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DAL LAYOUT ALLA BRAND IDENTITY

MULTIDISCIPLINARIETÀ E SINTESI DI COMPETENZE. È QUESTO L’IDENTIKIT DELL’OFFICE STRATEGIST, FIGURA PROFESSIONALE DI RACCORDO FRA COMMITTENZA E PROGETTAZIONE, MA ANCHE INTERPRETE DI UNA NUOVA CONCEZIONE DELLO SPAZIO UFFICIO COME VEICOLO DI IMMAGINE, VALORI, IDENTITÀ. NE PARLIAMO CON OTTAVIA PELLONI DELLO STUDIO IL PRISMA

txt Claudio Moltani

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L' office design è una disciplina complessa cui concorrono aspetti funzionali, formali e distributivi, ma anche legati alla sfera emozionale e alla comunicazione in quanto veicolo della brand identity. In questa ottica lo spazio fisico dell’ufficio deve essere in grado di trasmettere i valori e la visione dell’azienda, saper creare engagement e condivisione di obiettivi, costruire e valorizzare il legame identitario che unisce le persone, la società e l’ambiente. La parola chiave di questa complessa sinergia di obiettivi è multidisciplinarietà. Le competenze chiamate in causa non si limitano infatti alla sfera del design e della progettazione ma coinvolgono anche nuove expertise che spaziano dal management al brand consulting, dal marketing alla consumer behaviour. Serve quindi una figura di sintesi, in grado di interpretare le esigenze e le aspettative delle aziende finalizzandole al progetto di design. Oggi questa figura esiste ed è l’Office Strategist, professionista dalle competenze trasversali che spaziano dall’architettura al design, dalla psicologia al marketing. Ed è proprio questo l’identikit di Ottavia Pelloni dello studio milanese Il Prisma. Laureata in management alla Bocconi, una carriera internazionale nel brand consulting, una formazione in interior design allo IED, Ottavia Pelloni e la business unit Worksphere di Il Prisma applicano il pensiero strategico e le competenze di management e branding nella progettazione di luoghi di lavoro innovativi. Il nostro incontro ci ha offerto una prospettiva su un profilo professionale ben radicato a livello internazionale e che nel nostro paese, complice una sempre più rapida evoluzione del concetto di spazio ufficio, ha oggi ampi orizzonti di espansione.

Cambia lo spazio ufficio, cambiano le esigenze connesse e se ne aggiungono di nuove: qual è il contributo di Il Prisma alla trasformazione in atto?

Seguiamo le evoluzioni del settore per anticiparne le dinamiche future e immaginare e concretizzare ambienti che siano sempre più adatti alle nuove esigenze. Stabiliamo connessioni strategiche fra progetti e obiettivi per potenziare l’identità aziendale e condensarli in spazi adatti ai vari team, ai collaboratori ma anche a

La nuova sede di Volkswagen Financial Services a Milano progettata dallo studio Il Prisma

L'headquarter di Bain & Company in Piazza Cordusio a Milano. Progetto Il Prisma

fornitori, partner e ospiti. La nostra business unit è formata da figure che provengono da diverse professionalità e questo aiuta a capire meglio come lavora l’azienda che si rivolge a noi, la sua mission, la sua visione e le sue esigenze. Noi interveniamo soprattutto nella fase iniziale, quella di definizione delle esigenze del brand. Esigenze che spesso sono inespresse, nascoste dietro una sorta di “lista della spesa” che snocciola quante sedie, quanti tavoli, quanti punti luce e così via. Noi iniziamo con il dire che lo spazio lavoro non è una situazione fissa e immutabile, ma al contrario attiva per sua natura diversi comportamenti e modalità di relazione. Su questa base si passa alla fase operativa, quella da cui scaturisce concretamente il progetto dello spazio. Ci viene chiesto molto spesso di intervenire per facilitare la comunicazione interna dell’azienda e delle sue varie ramificazioni, come anche di implementare e trasferire negli spazi nuovi modelli e flussi collaborativi, in cui i cluster di postazioni non siano chiusi in se stessi ma in continua relazione reciproca. Da qui l’importanza di ambienti aperti agli incontri, non solo di lavoro ma anche informali, come una sala break.

Il Prisma era presente ad All Around Work, la manifestazione che ha fatto il punto sull’evoluzione del mondo office. Emergeva, da quel contesto, la necessità di ampliare le proposte, le tecnologie, i prodotti destinati ai workspace…

Sicuramente stiamo assistendo al consolidamento di un trend che ha come protagonista la smaterializzazione del legame tra lavoro e spazio fisico dell’ufficio tradizionale a favore della sua distribuzione in contesti che vanno dall’abitazione agli spazi di coworking. È un momento certamente particolare, emergenziale, e l’accelerazione di alcune dinamiche va letta anche in questa luce, ma è sicuramente un trend che si va consolidando e che continuerà ancora. In questa cornice, la nostra business unit Worksphere sviluppa spazi di lavoro dove le persone possono lavorare in condizioni psicologiche ed emotive ottimali, capaci di creare brand engagement, in un contesto sempre più ibrido dove presenza fisica e digitale si compenetrano.

Parli di contesti ibridi, un concetto che trovo ancora difficilmente applicabile in molte aziende. Trovi che la situazione stia effettivamente cambiando?

I paradigmi classici della progettazione degli spazi ufficio stanno vivendo una profonda trasformazione. Prima si progettava lo spazio fisico, l’ufficio, e poi al suo interno si implementava la parte digitale. Ora tutto questo va profondamente ripensato. Basti pensare alla gestione delle riunioni miste, con una quota di persone presenti in azienda e un’altra connessa da remoto. È una situazione che spesso si rivela difficile da gestire. Il successo di una riunione in modalità mista dipende in parte dal layout degli spazi, e il vecchio concetto di

Tra gli ultimi progetti office di Il Prisma anche il nuovo Headquarter Sorgenia a Milano ufficio non aiuta di certo: la sala è quella classica, un grande tavolo circondato da sedie, uno schermo, un microfono direzionale. L’abitudine a questo tipo di meeting non è ancora radicata, le persone collegate in remoto spesso vengono come dimenticate, sono una presenza lontana, e il microfono direzionale le taglia fuori dal vivo della discussione. Dobbiamo invece introdurre e insegnare nuove modalità. Gli strumenti già esistono, ad esempio un microfono ambientale in grado di includere tutti i partecipanti, grandi schermi ad arco che offrono maggiore compartecipazione, anche visiva, e sale riunioni dove tutti possono guardare comodamente lo schermo.

Spazi dove anche l’estetica ha un ruolo fondamentale…

Certo, il tema estetico è importante quanto la funzionalità degli spazi, l’ergonomia dei prodotti, l’illuminazione. Sono legati, strettamente interconnessi fra loro, e noi lavoriamo sull’intera filiera di questi aspetti come componenti della progettazione. L’obiettivo è quello di offrire un’esperienza funzionale ed emozionale, che sappia coinvolgere tutti e impronti tutti gli spazi di lavoro. È fondamentale saper intervenire sui colori, sulla luce, sulla tattilità dei materiali. Stiamo anche assistendo a una crescente diffusione di materiali intrinsecamente salubri come il rame, l’ottone, l’acciaio, facili da pulire e igienizzare. Ricordiamoci che un buon ambiente di lavoro trasmette emozioni e piacevoli sorprese. E il tema dell’esperienza diventerà sempre più centrale nell’organizzazione del lavoro.

Lavoro di prossimità, lavoro diffuso, smart e home working stanno mettendo in secondo piano il ruolo dell’ufficio?

Trovo sia ancora molto importante che un’azienda abbia un suo centro di gravità identitario, un luogo che sappia raccontare e trasferire l’immagine del brand e i valori aziendali. L’ufficio diventerà sempre più un luogo di condivisione, di training e coaching, dove si lavorerà in team hub e non dai singoli desk. E anche il manager uscirà dal suo ufficio d’angolo, con vista meravigliosa, per entrare in questa dinamica di condivisione. |end

SPAZI (E RISORSE) IN EVOLUZIONE

OPEN SPACE, SMART WORKING E NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI. IL DESIGN RIDEFINISCE IL LAYOUT, MA QUAL È L’OPINIONE - E LA VISIONE - DI CHI SI OCCUPA DI MANAGEMENT E DIREZIONE DELLE RISORSE? LO ABBIAMO CHIESTO A PAOLO IACCI, PRESIDENTE DI AIDP PROMOTION, SOCIETÀ DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA DIREZIONE DEL PERSONALE

txt Lorenzo Noè

Gli spazi di lavoro si stanno trasformando per rispondere alle esigenze di una mutata organizzazione. L’interior design cerca così di dare risposte a un fenomeno che è in corso da tempo e che i recenti eventi legati alla pandemia stanno solo accelerando. Abbiamo chiesto cosa ne pensa a Paolo Iacci, manager d’impresa e psicologo del lavoro, con una lunga esperienza come direttore delle risorse umane, docente all’Università Statale di Milano e, attualmente, presidente di Eca Italia e AIDP Promotion, società dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale

Gli spazi di lavoro sono sempre più luoghi di interazioni, di scambio di competenze e di apprendimento continuo. Quali sono le esperienze attuali più significative a riguardo?

La pandemia sembra aver messo in crisi il modello “open space” che aveva raggiunto il suo massimo splendore solo pochi anni fa, nel 2015, con i più grandi uffici open space del mondo, realizzati per Facebook in soli 18 mesi da Frank Gehry a Palo Alto, in piena Silicon Valley, in grado di contenere lungo un unico corridoio oltre 2.000 ingegneri. Il covid ha ridotto quei meravigliosi uffici più simili a una città deserta, ponendo molti dubbi sulla loro funzionalità. In realtà, ancor prima della pandemia, nel numero di dicembre 2019 l’autorevole rivista di management Harvard Business Review era intervenuta in maniera molto critica. Uno studio condotto sui dipendenti di un centinaio di aziende aveva evidenziato come negli uffici open space si registrino il 66% in più di congedi per malattia rispetto ai classici uffici, le conversazioni calano del 73% a beneficio della messaggistica istantanea e delle e-mail (+67%). Sembra che gli impiegati accusino costanti rumori di sottofondo che fanno loro perdere la

In apertura e sopra, Headquarter Gusto a San Francisco, progetto Studio Gensler A fianco, due progetti dello studio Il Prisma: la sede Bacardi a Milano e gli uffici Linkedin a Parigi

concentrazione e desiderino avere più privacy. Probabilmente rimane però ancora vero che il non avere delle barriere fisiche possa rendere più semplice parlarsi, vedersi, scambiarsi idee e dividersi i compiti. Probabilmente si dovrà trovare il giusto compromesso, dividendo i dipartimenti che svolgono mansioni simili, destinando uffici privati a chi per lavoro telefona tutto il giorno per evitare di distrarre il team creativo che invece può riunirsi in un’aerea comune dove potersi confrontare e sviluppare idee. Io credo che dovremo passare da uffici open-space a uffici cosiddetti “semi-open space”.

Gli ambienti domestici e gli spazi di lavoro si stanno ibridando. Da un lato aumentano le persone che lavorano da casa, dall’altro gli spazi di lavoro diventano più domestici. Intravedi futuri sviluppi?

In questi mesi di pandemia milioni di persone hanno continuato a lavorare da casa. Non possiamo pensare che una volta trovato il vaccino questa esperienza collettiva possa essere completamente cancellata. Lo smart working è entrato di prepotenza nelle abitudini dei lavoratori italiani e i vantaggi sono sotto gli occhi di tutti. Minori spostamenti, un impatto positivo sull’ambiente, un senso di maggiore libertà per l’individuo. D’altro canto, non possiamo pensare di non avere più le persone fisicamente riunite in uno stesso luogo: l’interazione da remoto non è uguale a quella in presenza, diventa più difficile la conoscenza delle persone tra loro, la coesione dei team e il senso d’appartenenza a uno stesso gruppo. Probabilmente andremo verso un modello ibrido, fatto di tempi di lavoro in ufficio e tempi di lavoro svolti da remoto.

A questo proposito, le recenti necessità di contenimento della pandemia hanno evidenziato l’importanza di ripensare gli spostamenti urbani. Il modello della fifteen-minute city presume la vicinanza fra residenze e luoghi di lavoro. È un modello che ritieni praticabile?

Già in questi mesi stiamo notando che le imprese contrarie allo smart working fanno maggiore fatica a reclutare le risorse, soprattutto i ragazzi della generazione Z, i veri nativi digitali. Lavorare da remoto non vuol dire però necessariamente dover stare in casa, dove magari gli spazi sono ristretti e manca la necessaria tranquillità. Dobbiamo pensare a un lavoro svolto “altrove”. Stanno già oggi nascendo spazi di coworking e ibridi. Librerie dove si può anche studiare o lavorare, uffici dove si può “affittare” una scrivania per poche ore o una piccola sala riunioni per un pomeriggio. Anche il rapporto tra l’azienda e il territorio di riferimento sta cambiando. A Milano, ad esempio, la sede di Microsoft o i nuovi uffici di Aon prevedono spazi aperti al pubblico dove poter svolgere eventi e organizzare manifestazioni pubbliche. Stiamo andando verso un nuovo rapporto tra i luoghi di lavoro, il territorio e le persone. |end

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