G I U D I T TA S A N S
Giuditta Sans by Ilaria Vaccari
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Le Luci della Centrale Elettrica Vasco Brondi
Le luci della centrale elettrica è il nome del progetto artistico/musicale di Vasco Brondi, nato nel 1984 e cresciuto tra Ferrara e l’Emilia. Un progetto le cui prime canzoni trovano una forma e una collocazione iniziale nell’omonimo demo autoprodotto nel 2007 distribuito dall’artista direttamente ai concerti. Si tratta di dieci canzoni, che mettono subito in luce una scrittura originale e una forza espressiva fuori dal comune e per questo non passano inosservate. In una cittadina, Ferrara, in cui è difficile non conoscersi e impossibile non incontrarsi, la strada di Vasco Brondi
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incrocia quella di Giorgio Canali, chitarra disturbata dei CSI e musicista sui generis, ruvido e radicale nell’approccio. Nasce così “Canzoni da spiaggia deturpata”, il primo album de le luci della centrale elettrica prodotto in collaborazione con Canali e pubblicato da La Tempesta, una delle principali labels indipendenti italiane, creata dei Tre Allegri Ragazzi Morti. L’album, che sfoggia in copertina una splendida illustrazione di Gipi, ottiene ottimi riscontri, al punto da ricevere il Premio Tenco nella categoria “Migliore opera prima”, oltre alle copertine di alcune riviste specializzate (Rumore, Blow up), mentre sono più di cento i concerti del tour che presenta il disco, facendo tappa in club e festival prestigiosi. “Canzoni da spiaggia deturpata” sarà anche inserito al sesto posto nella classifica dei dischi del decennio stilata dal magazine Rolling Stone a dicembre del 2010, primo degli italiani. Quello di Vasco Brondi è un percorso di formazione onnivoro, la cui forza è rappresentata dal confluire di linguaggi artistici diversi e complementari nel divenire degli scenari tecnologici: la musica, il cinema, il fumetto, il videoclip, l’illustrazione, la pittura, la danza e la scrittura da un lato. Internet, i blog, l’esplosione dei social network dall’altro. Così mentre “Per combattere l’acne”, forse la canzone più popolare contenuta sul suo album d’esordio, trova posto nella colonna sonora del film di Federico Rizzo “Fuga dal call center” (2009), non sorprende poi tanto che il successore del primo album de le luci non sia un nuovo disco ma un libro, raccolta di alcuni post scritti per il suo blog insieme ad altre pagine inedite, pubblicato in quello stesso anno a nome Vasco Brondi e intitolato “Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero”.
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THIS IS GIUDITTA
‘Cosa racconteremo di questi cazzo di anni zero’ di Vasco Brondi trae l’ispirazione dall’omonimo blog dove quotidianamen te l’autore scrive storie e descrizioni, nate Un romanzo-monologo, un rac dal suo bisogno conto interiore, a cui si unidi guardarsi den scono fogli di appunti scritti a tro e attorno. mano: idee, schizzi, e su tutto la libertà di osservare il fuori per rispecchiare il dentro, quello che forse ci accomuna tutti, con «i nostri occhi pieni di disordine». In un linguaggio criptico, ma ben riuscito, questo volume è come una lunghissima canzone fatta di immagini e suggestioni che, se estrapolate, sembrano poesie.
Metafore ispirate dal quotidiano e dal lirismo da strada. Fotografie di stanze disordinate si sovrappongono a quelle di quartieri abbandonati a se stessi, visioni e flash che attingono a quell’immaginario suburbano e surreale che hafatto la fortuna della musica.
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LA NOTIZIA DELLA MIA MORTE E’ FORTEMENTE ESAGERATA Mark Twain, pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens è stato uno scrittore statunitense. È considerato una tra le maggiori celebrità statunitensi del suo tempo: William Faulkner scrisse che fu il “primo vero scrittore americano” Trascorse i primi anni della sua vita a Hannibal, sulle rive del Mississippi, che tanta parte riveste nell’immaginario americano e che tanto rappresentò nell’esistenza e nell’arte dello stesso Twain. Dopo un primo brusco ingresso nel mondo del lavoro come tipografo dodicenne, fu apprendista pilota lungo il fiume sul battello «Alex Scott» (1857-61) e dal linguaggio del fiume derivò il proprio pseudonimo («mark twain», cioè «marca due», è un’espressione gergale per segnalare che la profondità dell’acqua è di due braccia). A questa prima tra le sue molte esperienze
breve parentesi militare all’inizio della guerra civile. Ma già l’anno seguente, nel 1862, Twain iniziò, insieme al fratello Orion, la serie dei viaggi che avrebbero contribuito a fare di lui uno dei conferenzieri e retori più richiesti e applauditi del suo tempo. Dopo l’avventura di minatore e cercatore d’oro nel Nevada, Twain diede inizio ufficialmente alla sua carriera di giornalista che l’avrebbe portato a passare agilmente da un quotidiano a un altro e, come inviato speciale, da un continente a un altro, dalla Polinesia alle isole Sandwich, all’Italia, alla Germania, e quasi all’Europa intera. Dopo l’esordio di scrittore con il racconto umoristico La famosa rana saltatrice della contea di Calaveras (The celebrated jumping frog of Calaveras county, 1865), Twain si mostra audace manipolatore della tradizione orale della «frontiera». pt/10,8 pt
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UNIVERSITY WALL
Lettere dalla Terra «Il tema centrale delle Lettere dalla Terra è la stupidità umana. [...] Il fatto è che per Twain la religione è una delle prove incontrovertibili della vocazione umana alla stupidità. Queste Lettere non sono un libello anticlericale ma un testamento antireligioso. Almeno come instrumentum regni, la religione così smascherata non potrà più funzionare: in essa è il compendio dell’umana follia e una cattiveria che si giustifica attraverso pretese morali».17 pt/20,4 pt La verità è che gli uomini non pensano: pensano soltanto di pensare, mentre in realtà non pensano. [...]
Questo libro di poche decine di pagine è diventato, in poco tempo, il baluardo di molte organizzazioni atee e umanistiche ed è stato contestato dai “benpensanti” conservatori.Ricco di esilaranti frecciate satiriche e ironiche rivolte ai contenuti biblici, racchiude in sé tutto il pensiero scettico e dissacratorio di Twain su Dio, sull’uomo, sull’universo; una sorta di
liberazione, di “vomito” verbale per eliminare parole indicibili perché non accettate dalla “morale” del tempo. L’autore, influenzato dal pensiero di Johnn J. MacFarlane, di T. Paine e di C. Darwin, fa scrivere queste lettere ad un Satana “poco diabolico, un po’ monello e come monello disposto a dire la verità senza peli sulla lingua”. Un Satana che, esiliato sulla Terra, si meraviglia dell’irrazionalità, dell’incoerenza, dell’ipocrisia degli uomini e della loro presunta superiorità rispetto agli altri animali,
Qui sulla Terra ogni nazione odia l’altra, e tutte odiano gli ebrei. Eppure ogni uomo pio adora il paradiso e vuole andarci!
un Satana che è vicino alle donne, che si indigna per le ingiustizie e per le inutili sofferenze inflitte agli esseri viventi, che si accorge delle crudeli contraddittorietà del Dio creatore, un Satana che sa anche strappare qualche sonora risata al lettore con eleganza e raffinatezza linguistica. Insomma, un faro nell’oscurità che si chia ma ignoranza, in quel buio della ragione che religioni e testi sacri di vario genere hanno saputo alimentare fino ai nostri giorni. 12 pt/14,4 pt
«Sentirai parlare di me, tesoro anche molto dopo che me ne sarò andato. / Ti parlerò con dolcezza, da una finestra nella torre della canzone». Leonard Cohen scrisse questi versi per Tower Of Song nel 1988, quando molti e forse lui medesimo pensavano che la parte più importante della sua vita e musica si fosse consumata, e poco rimanesse di interessante. Dietro la a cur va vventure tragicomiche e straordinarie, una persistenza del personaggio e delle sue canzoni che pochi avrebbero immaginato. Con quei versi il vecchio Len è stato profetico, perché è solo vero che le sue dolci parole risuonano forti anche adesso che se n’è andato, lasciando dietro di sé una scia di irresistibile curiosità. Le sue canzoni sono tradotte in tutto il mondo come le poesie e i romanzi, le biografie abbondano; e ora questo librone ponderoso che Jeff Burger ha compilato nel 2014 e Il Saggiatore ha appena pubblicato, con l’introduzione originale di Suzanne Vega e una lettera di Francesco Bianconi scritta apposta per l’edizione italiana. Si chiama Il modo di dire addio e sono «conversazioni sulla musica l’amore la vita» seminate da Cohen lungo l’intero arco della sua vita pubblica, dal 1966 in cui era solo un giovane scrittore senza chitarra
in mano fino al 2012, quando ormai settantottenne girava ancora il mondo per amore e per forza con il suo show e la soma di gloria e mito. Burger ha fatto un lavoro straordinario, collezionando decine di interviste per stampa, radio tv e non solo, ritagliando altre dichiarazioni in pillola dalle fon ti più disparate; con il diretto interessato che assisteva stu pito al montare dell’interesse nei suoi confronti, e con sincera modestia si schermiva e (leggete soprattutto le dichiarazioni degli anni Settanta) prometteva/minacciava ogni volta che presto avrebbe smesso, mai più show e figuriamoci interviste «a meno che l’intervistatore non si assuma gli stessi rischi che mi assumo io. Per esempio, potrebbe parlare di quali sono i sentimenti e le sensazioni di chi conduce l’intervista e di come essi vadano a interagire con il suo lavoro, invece di sottopormi a un fuoco di fila di domande». «La vera essenza di una persona» spiegava in un’altra occasione, «non emerge mai da questo genere di conversazioni, semplicemente perché la densità della carta stampata non è in grado di trasmetterla» Quelle provocazioni sono rimaste lettera morta, anzi, il fastidio degli anni giovani, sempre temperato da una impeccabile cortesia, con gli
anni è diventato generosa disponibilità, apertura quasi senza limiti. Cohen ha parlato parlato parlato per tutta la vita; con il paradosso che quando nel 1994 abbandonò le scene per entrare in un monastero zen, il nome che gli venne imposto fu Jikan, «che non vuol proprio dire silenzioso ma qualcosa che ha a che fare con il tacere, una specie di silenzio ordi nario». Nessuno mi toglie dalla testa che quell’appellativo fosse un beffardo invito a riflettere, rivolto dal maestro al discepolo grande affabulatore sempre affascinato, per sua stessa ammissione «dalla capacità di dare forma al mondo tramite le parole». Cohen è diverso da Dylan: non si spiega per enigmi, non elude le domande scomode e non cerca di ipnotizzare. Può confessare candidamente che «il più delle volte, non so neppure cosa sto facendo» e chiedere con umiltà di non essere chiamato poeta: «sem mai pseudo poeta, come diceva Gainsbourg» meglio ancora «stilista». Leonard Cohen: dolci parole dalla torre Confessioni e vicissitudini di un grande cantastorie di un tempo appena trascorso. di Riccardo Bertoncelli Musicajazz.it
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Alcuni estratti della lettera aperta di Nicla Vassallo e Sabino Maria Fassà: Milano - Genova, in vista del 25 novembre 2018. Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Non tutti sanno che la data fu scelta dalle Nazioni Unite per ricordare il brutale assassinio di tre donne, che difesero fino alla morte la propria libertà e la democrazia. Era il 25 novembre 1960 quando le tre sorelle Mirabal furono trucidate a bastonate a causa del loro coraggio e della loro resistenza contro il brutale regime di Rafael Leónidas Trujillo, dittatore della Repubblica Dominicana dal 1930 al 1961. Il 25 novembre dovrebbe perciò essere una giornata che celebra il coraggio e il ruolo attivo delle donne nella società e non tanto la loro (presunta) debolezza e il loro essere vittime “indifese” della violenza maschile. Oggi assistiamo a un crescendo di storie di cronaca che ci fanno percepire le donne come vittime “esemplari” di una violenza diventata parte integrante del nostro vivere quotidiano. La violenza sulle donne purtroppo non è però un fenomeno contemporaneo, ma serpeggia da millenni. Il movimento #metoo, che ha coinvolto sopratutto i campi dell’arte e dello show business, ha finalmente tolto il velo della vergogna delle vittime, ma non crediamo possa far diminuire il fenomeno, le cui radici sono profondissime e capillari. L’insieme del coraggio delle donne è la vera risposta. Siano perciò sempre di più e sempre più frequenti le artiste che parlano non solo e non tanto della violenza contro le donne, quanto della loro visione del mondo violento. Il loro esser protagoniste, allorché indipendenti e “attive”, sarà da modello ed esempio di “emancipazione” per le altre donne.
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D Repubblica.it 28 novembre 2018
Simone Simone Simone Simone de Beauvoir è da ritenersi una delle più autorevoli scrittrici dell’esistenzialismo francese. Con uno stile sobrio e profondamente accurato, dà vita ad un ricco corpus di opere in cui non si limita ad affrontare tematiche etiche e politiche, come la storia della letteratura francese lascia intendere e trascurando così la significativa produzione romantica del suo lavoro. Afflitta da una perenne angoscia esistenziale, ha mirabilmente analizzato la tragica crisi dell’uomo contemporaneo e le conseguenze che ne derivano all’interno della società. La sua scrittura si concentra principalmente su temi ancora attuali e su cui il dibattito è tutt’ora aperto in un perio do particolarmente difficile in cui la crisi ha risvegliato gli istinti più bassi dell’uomo. Se oggi parliamo di campagne contro l’ideologia gender e di lotta per la parità tra i sessi intesa non come scontro sterile tra le due metà del cielo, ma, citando la stessa scrittrice “per raggiungere una suprema vitto
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ria lo dobbiamo proprio a Simone de Beauvoir. Una vittoria in cui «è necessario che uo Una vittoria in cui «è necessario che uomini e donne, al di là delle loro differ ziazioni naturali affermino, senza possibilità di equivoco, la loro fraternità.» ( Da “Il secondo sesso“). Scrittrice, filosofa, insegnante e saggista, la de Beauvoir, osservatrice lucida della società, ammalia la sua generazione e spalanca le porte alla riflessione femminista degli anni Settanta. saggio monumentale “Il secondo sesso“, le maglie della gabbia in cui è rinchiusa la donna. Con uno stile realista e uno sguardo attento alla vita e alla letteratura, la de Beauvoir, pur realizzando opere filosofiche di spessore elevato, non limita il proprio orizzonte letterario ad un pubblico intellet tuale e coinvolge anche i ceti sociali meno acculturati che, sebbene non riescano sem pre a cogliere le sue intuizioni filosofiche, le sono debitori di una riflessione, ancor oggi, di pregiato valore.
Faculty of Design and Art Free University of Bolzano - Bozen Typeface designed by Ilaria Vaccari WUP 18/19 Prof. Antonino Benincasa Gian Marco Favretto Maximilian Boiger Calligraphy Workshop by Mag. Art. Eva Pรถll Font created with Illustrator & Fontself