GIUDITTA
Giuditta by Ilaria Vaccari
Itaca
Constantino Kavafis 12 pt
8 pt
Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, né nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l’anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga. Che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti (finalmente e con chegioia) toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre tutta merce fina, anche profumi penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
La poesia Itaca, scritta nel 1911, simboleggia l’origine, la ragione e al tempo stesso la meta del lungo viaggio, simile a quello del leggendario Ulisse, che ogni uomo compie nel corso della sua vita. Secondo lo scrittore è bene che il
viaggio sia il più lungo e articolato possibile, in modo tale da arrivare alla meta già ricchi, di una ricchezza immateriale. L’isola in quanto meta è, dunque, lo stimolo che muove ogni uomo a mettersi in cammino.
Font characteristics
guide lines
slight contrast between the strokes
small counter aperture
bracketed serif
tappered terminal straight base
NOTES
The bracket is a curved or wedge-like connection between the stem and serif of some fonts. Not all serifs are bracketed serifs. I wanted my design to be peculiar, that is why I have decided to give it both shades.
In typography a counter is the area of a letter that is entirely or partially enclosed by a letter form or a symbol. There can be close or open counters. An aperture is the opening between an open counter and the outside of the letter.
Guide lines help you giving the right proportions to your letters.
The point at the top of a character such as the uppercase A where the left and right strokes meet is the apex.
My Font
Kavafis si dedicò molto a ridare vita alla letteratura greca sia in patria che all’estero. Le sue poesie erano solitamente concise, ma riportano molto bene rappresentazioni della realtà o delle società e degli individui letterari che ebbero un ruolo nella cultura greca. L’incertezza nel futuro, ma anche il saper cogliere il presente e il senso della misura, i piaceri sensuali, ilcarattere sono alcuni dei suoi temi pre morale e la nostalgia feriti. Konstantinos Kavafis nel 1900
Come un recluso, egli non fu mai riconosciuto durante la sua vita. Oltre che i suoi soggetti, anticonvenzionali per l’epoca, le sue poesie mostrano anche un’abile e versatile arte che viene spesso perduta nella traduzione delle sue opere. La sua poetica viene insegnata nelle scuole greche. Kavafis nutrì per tutta la vita un senso di chiusura e di segregazione vergognosa e necessaria. Potenze oscure e indefinibili lo hanno murato “inavvertitamente” in una stanza buia, insieme figura della passione e della paradossale ascesi interiore e artistica cui essa lo spingerà, dove il poeta sa di non poter trovare una finestra aperta sul reale e sulla libertà, ed è al tempo stesso lambito dal pensiero angoscioso che l’impossibile finestra gli recherebbe la luce troppo cruda di scoperte ancora peggiori della presente oscurità.
12 pt
Uno sguardo nuovo sulla guerra Khalifa Abo Khraisse regista 6 novembre 2018 10.30 28 pt
È meglio quando si ha fortuna. Ma io preferisco essere a posto. Così quando viene sono pronto. Tutti i corrispondenti di guerra vivono seguendo questo motto: essere a posto e pronti, ogni istante di ogni giorno. Ogni volta che scattano una foto, mentre seguono una storia o intervistano una persona, devono prendere in un tempo brevissimo tante decisioni, non solo di ordine tecnico, concettuale o artistico, ma anche su questioni di vita o di morte. Devono essere sempre coscienti di ciò che li circonda guardare di continuo gli aggiornamenti leggere le strade e le situazioni come farebbe un abitante del posto e con l’altro occhio conce trarsi sul loro lavoro. Tutti i corrispondenti di guerra meritano rispetto e stima per il loro coraggio sebbene siano davvero pochi quelli che riescono a camminare sul filo del rasoio e capire la situazione e ancora meno quelli in grado di ottenere risultati eccezionali. La lettura degli articoli che dovrebbero parlare della situazione in Libia si rivela in alcuni casi un passatempo divertente, poiché nonostante la conoscenza che alcuni cosiddetti giornalisti hanno della Libia sia inferiore a quella che ho io della cardiochirurgia, si ostinano comunque a scriverne. Molti esperti da salotto mostrano i sintomi del moderno salvatore bianco. Il loro senso di superiorità è palpabile. Hanno studiato i selvaggi sanno tuttodi loro scrivono di loro per i lettori del mondo civilizzato e pontificano su cosa ci si dovrebbe fare. Ce ne sono però alcuni che sanno davvero di cosa parlano che hanno acquisito una profonda conoscenza della complessa situazione libica e sono dotati di un occhio sensibile che gli consente di non perdersi alcun dettaglio. Soprattutto sono riusciti a raccontare molte storie delicate senza privare le persone della loro dignità. Seguo il loro lavoro da anni e ho avuto la fortuna di incontrarne alcuni a Tripoli. In cima alla mia lista ce ne sono due Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi.
12 pt
20
Algeri, 2017 Appena arriverai ad Algeri, dovrai imboccare una serie di strade in pendenza, salire per poi riscendere. Incontrerai la rue Didouche Mourad, attraversata da un centinaio di vicoli e da altrettante storie, a pochi passi da un ponte che si spartiscono suicidi e innamorati. Dovrai scendere ancora, allontanarti da bar e bistrot, negozi di vestiti, mercati di frutta e verdura, proseguire spedito senza fermarti, girare a sinistra, sorridere al vecchio fioraio, appoggiarti per un po’ a una palma centenaria, non fare caso al poliziotto che ti dirà che è vietato, correre dietro a un cardellino insieme a un gruppetto di bambini, e poi sbucare sulla place de l’Émir Abdelkader. Forse non ti accorgerai del Milk Bar, la facciata è stata ristrutturata da poco e di giorno l’insegna si vede appena: l’azzurro quasi bianco del cielo e il sole accecante confondono le lettere. Guarderai alcuni ragazzini arrampicarsi sulla base della statua dell’emiro Abdelkader e sfoderare i loro sorrisi più smaglianti davanti a genitori pronti a postare le loro foto sui social. Ci sarà un uomo sulla soglia di una porta che fumerà leggendo il giornale. Dovrai salutarlo e scambiare qualche convenevole prima di tornare indietro, senza scordarti di lanciare un’occhiata di lato: il mare argentato e scintillante, le grida dei gabbiani, e ancora l’azzurro, quasi bianco. Dovrai seguire il cielo, dimenticarti degli edifici haussmanniani e passare accanto all’Aéro habitat, un catafalco di cemento che domina la città. Sarai solo, perché per perdersi e vedere tutto bisogna essere soli. Ci sono città, e Algeri è una di quste, in cui qualsiasi compagnia è di troppo. Ci si passeggia come ci si abbandona alle fantasticherie, con le mani in tasca e il cuore stretto. Ti inerpicherai per strade in salita, aprirai pesanti porte di legno che nessuno chiude mai a chiave, accarezzerai il segno lasciato sui muri da proiettili che hanno falciato sindacalisti, artisti, militari, insegnanti, anonimi, bambini. Sono secoli che il sole sorge sulle terrazze di Algeri e sono secoli che, su queste stesse terrazze, noi assassiniamo. Concediti una sosta seduto sui gradini della Casbah. Ascolta i giovani musicisti suonare il banjo, fa’ caso alle vecchiette nascoste dietro le finestre, osserva i bambini giocare con un gatto dalla coda mozza. E l’azzurro sopra la testa e ai tuoi piedi, un celeste che si tuffa nell’oltremare, macchia oleosa che si spande all’infinito. Un azzurro al quale noi non prestiamo più attenzione, nonostante i poeti cerchino di convincerci che il cielo e il mare sono una tavolozza di colori, pronti a tingersi di rosa, di giallo, di nero. Dimentica invece il rosso di cui sono intrise le strade, un rosso che non è mai stato lavato, in cui ogni giorno i nostri passi affondano un po’ di più. All’alba, quando le automobili non hanno ancora invaso le arterie della città, riusciamo a sentire le bombe esplodere in lontananza. Ma tu, tu prenderai le viuzze baciate dal sole, vero, e ci arriverai, finalmente, alla rue Hamani, un tempo rue Charras. Cercherai il 2 bis ma ci metterai un po’ perché alcuni numeri civici non esistono più. Ti troverai di fronte a una vetrina con una scritta: Un uomo che legge ne vale due. Ti troverai di fronte alla Storia, quella con la s maiuscola, che ha sconvolto il mondo, ma anche a una storia, quella di un uomo, Edmond Charlot, che nel 1936, all’età di ventun anni, aprì la libreria-biblioteca Les Vraies Richesses. (La libreria della rue Charras, L’orma editore, 2018, pp. 11-13). 17 aprile 1936 Colpo di fortuna incredibile: c’è un locale in affitto al 2 bis della rue Charras, proprio accanto all’università. È un buco, saranno sì e no sette metri per quattro, ma per noi è perfetto. Io, Jean Pane e la signora Couston ci siamo fatti delle grasse risate: se allarghiamo le braccia riusciamo a toccare entrambe le pareti! Una scaletta ripidissima e tutta cigolante (dovrò darle una bella oliata) conduce a quello che noi molto pomposamente chiamiamo «il primo piano». In realtà è un soppalco microscopico dove abbiamo già deciso di piazzare una tavola di legno su due cavalletti di ferro per ricavarne un ufficio. Sono felice! Povero in canna, indebitato fino al collo, ma felice! (p. 37) 5 maggio 1936 Sarà una biblioteca, una libreria, una casa editrice, ma sarà innanzitutto un luogo per gli amici che amano la letteratura e il Mediterraneo. Appena arrivato al 2 bis e già sto impazzendo di felicità. Comincio a conoscere i vicini, i commercianti e i baristi. Saranno i nuovi personaggi del mio universo. Révolte dans les Asturies è in vendita. Sono tutti convinti che le iniziali e.c. stiano per Éditions Camus. L’inghippo non reggerà per molto, ma finché dura facciamo finta di niente, l’importante è vendere. (p. 39) 28 dicembre 1938 Mi sono imbarcato in un’impresa non facile, ma si sta creando una buona rete e gli amici mi sostengono. Camus viene spesso a darmi una mano in libreria. Compila i moduli di abbonamento, quando può compra un libro, e sennò lo prende in prestito. Si siede sugli scalini o sotto il soppalco e scrive, legge o corregge manoscritti al posto mio. Si sente a casa. (pp. 71-72)
12 pt
YOU ARE BORN MODERN YOU DO NOT BECOME SO Modernism refers to a global movement in society and culture that from the early decades of the twentieth century sought a new alignment with the experience and values of modern industrial life. Building on late nineteenth century precedents artists around the world used new imagery, materials and techniques to create artworks that they felt better reflected the realities and hopes of modern societies. The terms modernism and modern art are generally used to describe the succession of art movements that critics and historians have identified since the realism of Gustav Courbet and culminating in abstract art and its developments in the 1960s. Although many different styles are encompassed by the term, there are certain underlying principles that define modernist art
A rejection of history and conservative values (such as realistic depiction of subjects); innovation and experimentation with form (the shapes, colours and lines that make up the work) with a tendency to abstraction; and an emphasis on materials, techniques and processes. Modernism has also been driven by various social and political agendas. These were often utopian and modernism was in general associated with ideal visions of human life and society and a belief in progress. By the 1960s modernism had become a dominant idea of art, and a particularly narrow theory of modernist painting had been formulated by the highly influential American critic Clement Greenberg. A reaction then took place which was quickly identified as postmodernism.
MEGLIO DORMIRE CON UN CANNIBALE SOBRIO CHE CON UN CRISTIANO UBRIACO 41pt
«Laggiù soffia! Laggiù soffia! La gobba come una montagna di neve! È Moby Dick!» Ishmael, narratore e testimone, si imbarca sulla baleniera “Pequod”, il cui capitano è Achab. Il capitano ha giurato vendetta a Moby Dick, una immensa balena bianca che, in un viaggio precedente, gli aveva troncato una gamba. Inizia un inseguimento per i mari di tre quarti del mondo. Lunghe attese, discussioni, riflessioni filosofiche, accompagnano l’inseguimento. L’unico amico di Ishmael morirà prima della fine
della vicenda. E’ Queequeg, un indiano che si era costruito una bara intarsiata con strani geroglifici. Moby Dick viene infine avvistata e arpionata. Trascinerà nell’abisso lo stesso Achab, crocefisso sul suo dorso dalle corde degli arpioni. Ishmael è l’unico che sopravvive, usando, come zattera, la bara di Queequeg.
a New York - presso l’Editore Harper & Brothers - col titolo definitivo Moby Dick or The Whale, ma soggetta a vari passaggi di mano ed errori di copiatura. Il romanzo scritto in un anno e mezzo fu dedicato all’amico Nathaniel Hawthorne. Fu un fallimento commerciale: alla morte di Melville, nel 1891, l’opera era fuori stampa e ne erano state vendute circa 3200 copie. Fu riscoperto solo negli anni Venti del ‘900.
“Rokovoko è un’isola l ontanissima a sud-ovest. Non è segnata in nessuna carta: i luoghi veri non lo sono mai.”
“Il coraggio più sicuro e più utile è quello che nasce da un giusto apprezzamento del pericolo che si affronta.”
Moby Dick o La balena (Moby Dick or The Whale) è un romanzo del 1851 scritto da Herman Melville. Il libro, capolavoro della letteratura americana della cosiddetta American Renaissance, fu pubblicato in due versioni differenti nel 1851: in ottobre a Londra - dall’editore Bentley - col titolo The Whale (“La balena”) con modifiche fatte dall’autore e dall’editore per emendare il testo dalle parti considerate oscene, blasfeme e dalle ironie verso la Corona britannica; in
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