Tesi di laurea Antonino Decarolis

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Alle nostre famiglie



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Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

INDICE Introduzione

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Capitolo I Il centro storico di Carini

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1.1 Il contesto urbanistico 1.1.1 Sviluppo storico 1.1.2 Caratteri urbanistici 1.1.3 Caratteri tipologici

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1.2 Lo studio del centro storico di Carini ex L.R. 13/2015

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Capitolo II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

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2.1 I materiali da costruzione dell’edilizia storica 2.1.1 Materiali lapidei naturali 2.1.2 Materiali lapidei artificiali 2.1.3 Legno 2.1.4 Ferro 2.1.5 Vetro

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2.2 Le murature 2.2.1 Valutazioni preliminari 2.2.2 Indice di qualità muraria (IQM) 2.2.2.1 Giudizio sulla qualità della muratura 2.2.2.2 Ipotesi di base 2.2.2.3 La “regola dell’arte” 2.2.2.4 Criteri per definire la presenza, la presenza parziale o l’assenza dei requisiti della “regola dell’arte” 2.2.2.5 Valutazioni dell’indice IQM 2.2.2.6 Criteri utilizzati per l’attribuzione dei pesi

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2.2.2.7 Valutazione della categoria muraria (verifiche per cinematismi di collasso) 2.2.2.8 Correlazione di IQM con i parametri meccanici della muratura 2.2.3 Attacco a terra 2.2.4 Classificazione dei paramenti murari 2.2.5 Cantonali 2.3 Gli archi e le volte 2.3.1 Archi 2.3.2 Volte

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2.4 Le aperture 2.4.1 Aperture esterne 2.4.2 Vani finestra

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2.5 Gli aggetti 2.5.1 Balconi 2.5.1.1 Balconi con suoli in marmo e mensole metalliche 2.5.1.2 Balconi in pietra da taglio 2.5.2 Cornicioni

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2.6 Le coperture

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2.7 Gli elementi tecnici non strutturali 2.7.1 Sistemi di smaltimento delle acque meteoriche 2.7.2 Scale esterne 2.7.3 Sistema di impermeabilizzazione

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2.8 Le pavimentazioni esterne

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Capitolo III VulnerabilitĂ sismica di un edificio nel centro storico di Carini

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3.1 La vulnerabilitĂ sismica 3.1.1 Riferimenti tecnici e normativi

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3.1.2 Inquadramento dell’aggregato e valutazioni preliminari 3.1.3 Caso studio 3.2 Conoscenza del manufatto 3.2.1 Rilievo geometrico e descrizione degli ambienti 3.2.2 Rilievo materico-strutturale 3.2.3 Rilievo dei dissesti e del quadro fessurativo

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3.3 Indagini per la caratterizzazione meccanica dei materiali 3.3.1 Diagnostica strumentale 3.3.1.1 Prova su muratura mediante martinetto piatto singolo 3.3.1.2 Prova su muratura mediante martinetto piatto doppio 3.3.1.3 Sintesi dei risultati ottenuti mediante le prove con i martinetti 3.3.1.4 Prova su volte mediante indagini video-endoscopiche 3.3.1.5 Analisi mineralogico-petrografica di un campione di malta 3.3.1.6 Determinazione della resistenza a compressione 3.3.2 IQM caso studio 3.3.3 Analisi dei carichi 3.3.4 Sintesi finale dei dati ottenuti tramite i diversi approcci 3.3.5 Ipotesi sul meccanismo locale di collasso

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Allegati

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Capitolo IV Verso un codice di pratica per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio nel centro storico di Carini 191

Bibliografia

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INTRODUZIONE La tesi si inserisce all’interno del laboratorio di laurea magistrale a ciclo unico in Ingegneria edile-architettura avente ad oggetto: “Linee guida per il recupero del centro storico di Carini”. La tesi è articolata in quattro parti. La prima, svolta sotto la guida del prof. Giuseppe Trombino, responsabile e coordinatore del Laboratorio, affronta il tema della conoscenza urbanistica del contesto e descrive le iniziative che sin qui hanno riguardato il centro storico di Carini ed in particolare lo studio redatto in applicazione della L.R. 13/2015, da poco predisposto dalla amministrazione comunale. La seconda parte, svolta sotto la responsabilità della prof. Tiziana Campisi, ha affrontato il tema della conoscenza dei materiali e delle tecniche costruttive utilizzati nell’edilizia storica. La terza parte, svolta sotto la guida della prof. Lidia La Mendola e l’ing. Jennifer D’Anna, ha affrontato in particolare l’analisi di un caso studio. Particolare attenzione è stata posta, tra i vari elementi architettonici esaminati nella seconda e terza parte, sull’argomento “qualità muraria”, ormai riconosciuto, anche a livello normativo, come uno dei punti focali per l’analisi del comportamento strutturale di una costruzione in muratura esistente. D’altro canto però non sono molto diffuse le conoscenze sulle diverse tipologie e sulle peculiarità derivanti proprio dalle diversità nei costituenti e nella tecnica costruttiva. Per questo motivo un obiettivo fondamentale di questo laboratorio di tesi è stata la conoscenza approfondita e l’interpretazione critica delle tipologie di murature ricor-


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renti del centro storico di Carini; ciò ha fornito infatti le basi per capire come valutare qualitativamente la muratura e di conseguenza gli strumenti per definire delle linee chiare e razionali di intervento, nel pieno rispetto del tessuto urbano già costruito e caratterizzante la città. Nell’ottica di perseguimento degli obiettivi sopra citati si è fatto affidamento oltre che sulle N.T.C. del 2008 (basate sulla sperimentazione fisica diretta) anche sul metodo dell’IQM (basato sull’analisi qualitativa, ma approfondita, della tessitura muraria e della regola dell’arte) per fare un confronto tra i risultati ottenuti perseguendo le due metodologie di intervento. Attraverso quest’ultimo è stato possibile valutare la qualità muraria e ricavare, in via indiretta, ma con buona aderenza alla realtà, una stima dei parametri meccanici della muratura necessari per le verifiche di sicurezza richieste dalle Norme Tecniche per le Costruzioni, unitamente alla circolare esplicativa 617 del 2 Febbraio 2009, nella parte riguardante gli edifici esistenti. Tramite i due strumenti sopra citati ci si è resi conto, inoltre, della disomogeneità nelle strutture portanti in muratura, quale risultato di un processo di crescita frenetica ed incontrollata, che unita alla compresenza di diversi materiali, spesso con caratteristiche di rigidezza e resistenza molto difformi, hanno influito negativamente sul comportamento strutturale degli edifici. A tutto questo si aggiungono quegli interventi di alterazione strutturale, come porzioni realizzate in epoche diverse, ampliamenti, sopraelevazioni, ecc… che caratterizzano gran parte dell’edilizia esistente; da queste considerazioni si è dedotta la necessità di studiare gli elementi tecnici con le relative funzioni e le tecniche costruttive tipiche del centro storico; così facendo si sono predisposti gli strumenti per valutare la congruità e la correttezza di tutte le


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azioni finora intraprese nel tessuto edilizio esistente nonché quelle future che si intraprenderanno. Sulla base di questo lavoro preliminare si è poi scelto un edificio rappresentativo della tecnica costruttiva carinese, al fine di studiarlo e definire, nello specifico, le linee guida di intervento. Per raggiungere un livello di conoscenza adeguato, è stato necessario procedere all’esecuzione di prove sperimentali mirate sia a definire meglio la geometria degli elementi strutturali (per esempio spessori di volte attraverso endoscopie o saggi), sia le tipologie murarie (muratura semplice o a doppio paramento, muratura a sacco, ecc., attraverso endoscopie o carotaggi continui), sia a rilevare la presenza di elementi di connessione (cordoli, zanche, ecc., attraverso prove pacometriche o saggi) e a caratterizzare fisicamente e meccanicamente i materiali (attraverso carotaggi, prove chimiche, termografie, prove con martinetti piatti). Insieme alla caratterizzazione meccanica della muratura si è rilevato il quadro fessurativo e i dissesti dell’edificio tenendo conto dell’influenza esercitata dagli edifici limitrofi e quindi dall’aggregato; sulla base dei dati raccolti e di un’accurata indagine visiva è stato poi costruito un modello dei possibili cinematismi che interessano l’intera struttura. Concludendo lo studio descritto ha avuto lo scopo di fornire gli strumenti per una corretta valutazione del comportamento strutturale locale e globale di edifici in muratura in aggregato, attraverso l’identificazione della struttura, l’interpretazione delle cause di danno, l’individuazione delle anomalie e dei problemi strutturali al fine di determinare le più adeguate tecniche di intervento per il ripristino strutturale, che consentano di raggiungere un opportuno grado di miglioramento del comportamento in campo sismico delle strutture.

Introduzione


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

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Infine nella quarta ed ultima parte della tesi, sulla base delle conoscenze acquisite, sono stati definiti alcuni indirizzi progettuali per gli interventi di recupero da attuare nel centro storico di Carini. Tali indirizzi, organizzati in schede e riguardanti soltanto gli elementi costruttivi studiati nella tesi, costituiscono un primo contributo alla costruzione di un Codice di pratica professionale, che rappresenta un documento fondamentale per dare operativitĂ alle attivitĂ di recupero edilizio.


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Ringraziamenti Desideriamo ricordare tutti coloro che ci hanno aiutato nella stesura della tesi con suggerimenti, critiche ed osservazioni: a loro va la nostra gratitudine. Ringraziamo anzitutto i professori Giuseppe Trombino, Lidia La Mendola e Tiziana Campisi, relatori, e la correlatrice ingegnere Jennifer D’Anna per la pazienza dimostrata e per la loro guida sapiente durante questo percorso di tesi. Proseguiamo con i professionisti della Geolab s.r.l., per le prove effettuate e gli ingegneri Paolo Amato e Pierangela Messeri per la competenza messa a nostra disposizione; infine un ringraziamento speciale va a Bartolo Amato, proprietario dell’immobile preso in esame, per l’infinita disponibilità e per l’affetto mostrato nei nostri confronti.


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CAPITOLO I IL CENTRO STORICO DI CARINI

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1.1 IL CONTESTO URBANISTICO 1.1.1 Sviluppo storico La posizione geografica di Carini e la presenza nel territorio di numerose grotte hanno permesso la presenza dell’uomo sin dalla preistoria, come testimoniano i molti reperti e disegni in esse ritrovati. Il primo insediamento nel territorio, secondo gli storici, sarebbe stato realizzato ad opera dei Sicani in un tratto di costa ad occidente di Palermo, che si estendeva nelle attuali zone della “Chiusa Carrubba”, “Piraineto” e “Carbulangeli”. Hyccara, questo l’antico nome della città, raggiunse il suo massimo splendore nella seconda metà del V secolo a.C. quando divenne un importante emporio marittimo, frequentato dai Fenici. Nel 415 a.C. durante la guerra tra ateniesi e siracusani, la città fu distrutta dagli Ateniesi di Nicia. La città venne ricostruita qualche tempo dopo, lontano dal mare, nella contrada oggi chiamata “San Nicola”; i numerosi resti rinvenuti, tra i quali bellissimi mosaici pavimentali, ci testimoniano l’importanza e la ricchezza raggiunta dalla città in età romana, tanto da ospitare per un soggiorno ricordato da Plinio, financo l’imperatore Antonino Pio. Tra l’VIII ed il IX secolo d.C. la città, ora denominata Iccara, subì numerose incursioni saracene fino a quando venne definitivamente conquistata dagli Arabi insieme a tutta la Sicilia Occidentale. Nell’anno 909 l’emiro Mulei Almoad concesse ai Carinesi di ricostruire il paese (al quale fu dato il nome di Qarinis) nel sito nel quale oggi sorge. Con la conquista normanna, nel 1072, il conte Ruggero asse-

Cap.I Il centro storico di Carini


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gnò la baronia di Carini a Rodolfo Bonello che fece edificare alla fine del sec. XI una “fortezza” che dominava il territorio. Il viaggiatore arabo Idrisi testimonia nel 1154 l’esistenza di questa costruzione. Sotto la dominazione sveva la borghesia dell’Università di Carini ebbe quattro rappresentanti, a testimonianza dell’importanza che questa cittadina andava acquisendo. Nel periodo angioino la signoria della città fu affidata a Palmerio Abbate, la cui famiglia rimase al potere fino al regno di Martino I. Nel 1397 si infeudò il catalano Umbertino La Grua, il cui titolo venne ereditato dalla figlia Ilaria, che andò in sposa a Gilberto Talamanca. Nacque in questo modo la dinastia Talamanca-La Grua che mantenne la baronia di Carini fino al XIX secolo. L’inizio del XV secolo segnò un periodo di risveglio e di benessere per tutto il territorio. Si ha un primo ampliamento del borgo, con l’urbanizzazione di “Piano Cardoni” odierna piazza del Duomo e si sviluppa una crescente costruzione di costruzioni residenziali nelle aree limitrofe. Nel XVI secolo comincia il vero e consistente processo di urbanizzazione del territorio, sorgono così: palazzi gentilizi, chiese e conventi e vengono effettuate le prime lottizzazioni destinate ad abitazioni civili, mentre venne lentamente configurandosi un ceto borghese, grazie alla concessione di numerose enfiteusi e allo sviluppo dell’attività commerciale. La regolarizzazione cinquecentesca dell’impianto urbano porta alla prima definizione di assi portanti e del grande piano antistante il Duomo, inteso come centro della “Croce delle strade”. I nuovi assi stradali permettono la realizzazione di nuovi rioni nelle aree limitrofe la “Terra Vecchia”, determinando


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l’allontanamento della città dal Castello ed il formarsi di un articolato tessuto urbanistico. Con la costruzione, nel 1745, della “via Lunga” (oggi corso Garibaldi), comincia l’espansione della città nell’intera collina. Il centro vitale è sempre comunque il Castello, attorno al quale si estende l’antico borgo, con la chiesa di S. Giuliano, i magazzini baronali e l’edificio comunale. Il complesso era circondato da una cinta muraria, di cui la porta a sesto acuto antistante il convento di S. Vincenzo, oggi è la sola testimonianza. Il Castello subisce nei secoli numerosi rifacimenti ed ampliamenti, restando comunque sempre in possesso ai La Grua. Il legame dei La Grua con Carini cominciò ad allentarsi alla fine del ‘700, per sciogliersi definitivamente con l’abolizione del feudalesimo (1812) e il trasferimento di Antonio Francesco La Grua a Parigi (1839). Liberatosi della baronia, il Comune di Carini ebbe un notevole sviluppo nel campo della pubblica istruzione e della cultura, attrezzandosi, fra l’altro, di biblioteca e teatro. L’ultimo Ottocento è caratterizzato da una consistente regolarizzazione dell’impianto urbano, accompagnato dalla costruzione di bei palazzi e di fontane.

Cap.I Il centro storico di Carini


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Fig.1 Carini nelle carte del catasto borbonico (E. Caruso e A. Nobili, Le mappe del catasto borbonico di Sicilia).

Fig.2 Carini nella carta del TCI del 1920.


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Cap.I Il centro storico di Carini

Fig.3 Mappa Catastale del Centro Storico di Carini degli anni venti.

Fig.4 Il territorio di Carini nel Foglio della Carta d’Italia dell’IGM della fine dell’Ottocento.


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1.1.2 Caratteri urbanistici Le cartografie storiche, insieme ai dati di una letteratura storica vasta ed approfondita ci consentono di ricostruire gli elementi generatori della forma urbana e i tratti morfologici identitari del centro storico di Carini. L’assetto urbano di Carini, già nel corso del primo ventennio del XVI secolo vede consolidarsi, attorno al castello, vari quartieri che denunciano la crescita estensiva della cittadina baronale e le varie fasi di sviluppo. I vari comparti, contrassegnati da emergenze e intervallati da zone rurali, sono correlati da una articolata trama viaria che converge verso l’antica piazza cittadina. Il loro sviluppo ha come riferimento o fulcro il castello, la cui posizione paesaggistica e orografica condiziona l’espansione dell’abitato secondo le direttrici consentite dal sito (sud, est ed ovest). Il primo nucleo di abitazioni, denominato “Terravecchia”, si colloca tra il perimetro murario esterno e la cinta muraria del borgo, sulla quale si apre l’antica porta. Essa si configura come un ambito urbano angusto ed irregolare, la cui superficie ammonta a poche migliaia di metri quadri. L’accentramento delle abitazioni su un rigido schema viario monoassiale è il retaggio più appariscente della cultura urbana feudale. Presenta una grande densità di case, aderenti le uno alle altre che spesso sono semplici monocellulari e che si addensano attorno ad un cortiletto interno. All’interno del borgo distinguiamo due settori che si diversificano essenzialmente per l’epoca di urbanizzazione e per la natura delle componenti sociale e residenziali. Il primo agglomerato urbano “extra terram” denominato “Lo Cortiggiu Novo” si espande nel lembo orientale della Terravecchia. Di conformazione irregolare si intercala tra il vico-


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lo del castello e il corso Umberto. Il secondo agglomerato urbano extra terram si espande ad ovest del castello e si caratterizza per il suo rapporto diretto ed immediato con l’antico sobborgo. Si tratta dell’odierna area urbana compresa tra il paramento murario della Terravecchia e il torrente (oggi coperto) che attraversa l’abitato nei pressi di via Fiumarello. In alcuna delle sue parti costitutive, l’edilizia del vasto quartiere si organizza con caratteri improntati alla regolarità e alla simmetria dei centri di nuova fondazione; in altre parti si consolida in maniera irregolare, attorno a cortili interni e a strette viuzze; in altre ancora è piuttosto rada poiché ogni residenza ha nella parte retrostante uno spazio agricolo di pertinenza. Il terzo ed ultimo quartiere si espande nella parte orientale del roccaforte roccioso e prende la denominazione di “Mandria di li Giumenti”. In essa, recenti ricerche e la presenza di una torre e di due porte di accesso, hanno fatto sorgere il sospetto che fosse un ulteriore cittadella fortificata, denominata “Terranova”. Nonostante resti il dubbio sull’effettivo perimetro e dei limiti precisi dell’abitato, è possibile rilevare la positura dell’agglomerato come parzialmente arroccato e al tempo stesso subalterno al castello. Notiamo infatti che la parte settentrionale del sobborgo presenta una radiocentricità virtuale intorno al maniero con gli isolati che seguono parallelamente le curve di livello (asse preferenziale E-O) mentre i rimanenti isolati, essendo subordinati alla forte pendenza del terreno (asse preferenziale N-E) invertono il loro orientamento. Il modello di impianto urbano adottato sembra tuttavia svilupparsi come rete di collegamento tra direttrici viarie uscen-

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ti dalle porte principali dell’abitato. La fondazione di chiese (Matrice e S. Vito) nel piano dei Cardi è l’evento pianificatorio di maggiore rilevanza urbanistica a cavallo del ‘300 e ‘400, tenuto conto che sposta il baricentro cittadino più a sud-ovest e sovverte l’applicazione del rigido modello urbanistico di stampo medievale incentrato sull’abitato munito.

Fig.5 Veduta della piazza di Carini tratta dal Viaggio pittorico del De Saint Non del 1781.

L’asse preferenziale, ad andamento centrifugo (corso Umberto), che dalla antica piazza si indirizza verso la parte meridionale del piano dei cardi, si colloca sulla direttrice viaria che collega più brevemente il castello con il retroterra. Con l’inversione prospettica della chiesa madre, il reticolo stradale si chiude ad anello, grazie al prolungamento della “Ruga di San Rocco” nel Piano dei Cardi. La strada (oggi corso Garibaldi) è concepita larga e rettilinea e per la sua


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praticabilità assume una priorità assoluta nei collegamenti viari da e per la capitale. Piazza Duomo è pianificata come slargo di collegamento tra direttrici viarie radiali e come nuovo percorso privilegiato che conduce al castello. Si ha la netta impressione, in definitiva, che se per un verso la crescita spontanea e caotica della cittadina tende a creare un paesaggio apparentemente disordinato, esito di interventi privati ed occasionali, per l’altro gli sforzi per una razionalizzazione per lo sviluppo urbanistico da parte del baronato e dell’operoso Universitas siano notevoli e preminenti. L’area di espansione edilizia predilige non solo la parte prossima al corso Garibaldi nel suo innesto con la piazza Duomo, ma anche le aree limitrofe alla Matrice e all’acquedotto dei mulini. Nella prima metà del XVI secolo, l’interrelazione tra il quartiere fortificato di Terravecchia e l’ambiente circostante, si esplica con la saturazione edilizia delle aree rurali contigue della cinta muraria. La lottizzazione avviene con caratteri, modalità e successioni temporali diversi. Entrando nel dettaglio la prima area ad essere parcellizzata è quella prossima alla chiesa di San Rocco, al confine dei cosiddetti “Roccazzi”. L’attività pianificatoria urbana favorisce la parte prossimale del “Ruga di San Rocco” dall’imbocco di via Jannella alla via Renda, per estendersi nell’intorno urbano che si interpone fra il corso Garibaldi e l’odierna via Roma. L’allineamento delle case predilige la direttrice E-O dando luogo al definitivo assetto del corso Garibaldi. Il restante contesto urbano si dispone invece con caratteri improntati all’irregolarità, distribuendosi in cortili attorniati da stretti vicoli.

Cap.I Il centro storico di Carini


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Una altra nuova lottizzazione si estende ad ovest della Terranova, nell’area limitrofa alla antica piazza e prende il nome di Santa Caterina dell’Olivella per la presenza dell’omonima chiesa. Nella seconda metà del XVI secolo si distingue il rione dell’elite sociale ed economica di Carini che si aggrega tra “La Turrecta” e la vicina “Ruga di San Lorenzo”. In sostanza sono diversi i poli di aggregazione che, nel tempo, hanno generato le principali direttrici di espansione urbana. Il primo è ovviamente il Castello con la Terravecchia; il secondo è la piazza antistante attorno alla quale si genera il quartiere fortificato Mandria dei Giumenti; il terzo è la chiesa di S. Vito e la Matrice. Il centro conserva, nel complesso, caratteri ambientali di spazio urbano medievale accresciutosi e integratosi saldamente nelle sacche di espansione e riempimento dei secoli successivi. La morfologia è adeguata al sito orografico di giacitura a ripido scoscendimento a Nord. La tipologia urbana è a comparti ampi e irregolari nel primo nucleo a ridosso del Castello; a comparti rettangolari, disposti a raggiera, nella fascia di saldamento con la piazza centrale; a settori regolari e tessuto incrociato nell‘espansione cinquecentesca e seicentesca. Nei cunei intermedi si inseriscono strutture di raccordo. La maglia viaria, convergente verso il centro, è retta da un asse di penetrazione E.O.


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1.1.3 Caratteri tipologici L’ambiente urbano del centro storico di Carini è caratterizzato dalla presenza di un tessuto connettivo costituito da tipi base, aventi una organizzazione spaziale a cellule chiuse, a sviluppo prevalentemente verticale ed utilizzazione monofamiliare, aggregati a schiera o pseudo schiera, e più raramente a corte, di limitate dimensioni, realizzati, probabilmente, per accrescimento e aggregazione di originari tipi a schiera monocellulari, opportunamente trasformati dal punto di vista distributivo e talvolta inglobati nell’ ambito di organismi più complessi, di maggiori dimensioni. Sparsi in questo tessuto connettivo si trovano, soprattutto sui due allineamenti viari principali, edifici di maggiore consistenza e qualità architettonica che vanno dal palazzetto a palazzi veri e propri, alcuni dei quali presentano anche caratteri monumentali. Si elencano di seguito gli edifici più rappresentativi: 3.1.

Chiesa Madre (S. Maria dell’Assunzione, già del SS.

Sacramento), 1492-1523 (rimaneggiamenti del 1704, restauri alla cupola e al coro del 1775-1798, restauri statici del 1927-31, campanile sinistro del 1704 crollato in parte nel 1931 e restaurato, Torre con orologio del 1721); 3.2.

Pannelli figurati a formella-di terracotta dipinta, 1715,

G. Milone (ricomposti sul tompagno esterno della Cappella del SS. Crocifisso dopo il crollo del Campanile della Chiesa Madre su cui erano alloggiati); 3.3.

Oratorio del SS. Sacramento, seconda metà del sec.

XVI (rimaneggiamenti dei secc. XVII e XVIII, restauri del 1958, stucchi interni attribuiti a G. Serpotta); 3.4.

Palazzo Leone, prima metà del sec. XX;


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3.5.

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Palazzo Genova, sec. XVIII (rimaneggiamenti del

sec. XX); 3.6.

Casa d’abitazione, sec. XIX;

3.7.

Palazzo Abbate, sec. XIX;

3.8.

Palazzo Giambanco, sec. XIX;

3.9.

Palazzo Cudietta, sec. XVIII;

3.10. Chiesa di S. Vito, sec. XIV (Chiesa Madre dal 1450 al 1523; ampliamenti del 1447-50, portale del 1532, rimaneggiamenti dei secc. XVII e XVIII, trasformazioni dei secc. XIX e XX); 3.11. Fonte monumentale; 3.12. Chiesa di S. Maria del Rosario, 1560 (rimaneggiamenti dei secc. XVII e XVIII); 3.13. Convento di S. Maria del Rosario dei PP. Domenicani, 1570-1631; 3.14. Casa d’abitazione, prima metà del sec. XX; 3.15. Ex Chiesa del “Rosariello” (demolita e sostituita da edilizia abitativa del sec. XX); 3.16. Ex Chiesa di S. Spirito, sec. XVIII (demolita e sostituita da cinematografo nel sec. XX); 3.17. Ex Ospedale di S. Spirito, sec. XVIII (demolito e sostituito da cinematografo nel sec. XX); 3.18. Chiesa della Madonna del Carmine, 1566-1571 (rimaneggiamenti del sec. XVIII, restauri recenti); 3.19. Convento dei PP. Carmelitani, 1566-1606 (rimaneggiamenti del sec. XVIII; dismesso, oggi Caserma CC.); 3.20. Palazzo Giambanco, prima metà del sec. XX; 3.21. Cassa rurale “L’Assunzione”, prima metà del sec. XX; 3.22. Palazzo Giambanco, prima metà del sec. XX; 3.23. Chiesa del Carminello, sec. XVIII (sconsacrata, oggi


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garage); 3.24. Palazzo del Principe di Galati, sec. XVI-XVII (trasformazioni dei secc. successivi); 3.25. Chiesa degli Agonizzanti, 1607 (facciata del 1918); 3.26. Palazzo Lo Piccolo, sec. XVIII (trasformazioni dei secc. XIX e XX); 3.27. Palazzo Mazzola-Mannino, sec. XIX; 3.28. Palazzo Pecoraro, sec. XVIII; 3.29. Ex Chiesa, (demolita, oggi casa Randazzo); 3.30. Chiesa di S. Antonio La Mancusa (poi S. Rocco), seconda metà del sec. XVI (rimaneggiamenti dei secc. successivi); 3.31. Convento dei Frati Minori Conventuali, 1612 (poi carcere mandamentale, resti); 3.32. Chiesa di Maria SS. di Loreto, prima metà del sec. XVII (rimaneggiamenti dei secc. XIX e XX); 3.33. Chiesa di S. Lorenzo, seconda metà del sec. XVI (su precedente impianto minore del sec. XI, rimaneggiamenti dei secc. successivi); 3.34. Convento dei PP. Mercedari, seconda metà del sec. XVI (dal 1610 dei Frati Minori Osservanti; dismesso, oggi Ospedale S. Lorenzo); 3.35. Chiesa del Roccazzello, sec. XVIII-XIX; 3.36. Palazzo Comunale, seconda metà del sec. XIX (rimaneggiamenti del sec. XX); 3.37. Chiesa delle Anime Sante del Purgatorio, inizi del sec. XVIII (sul precedente impianto minore della Chiesa di S. Giuliano del sec. XIII Chiesa Madre fino al 1450); 3.38. Chiesa, sec. XVIII (sconsacrata, oggi asilo infantile); 3.39. Fonte a due bocche e scalea monumentale, sec. XVIII; 3.40. Chiesa di S. Vincenzo (Badia), 1631 (restauri recen-

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ti); 3.41. Monastero di S. Vincenzo delle Suore Domenicane di S. Mercurio, 1631 (trasformazioni e parziali sostituzioni del sec. XX, oggi istituto scolastico); 3.42. Palazzo Marcianò, sec. XIX; 3.43. Chiesa di S. Caterina martire e vergine, sec. XVIII (restauri del 1927-31); 3.44. Collegio di Maria Addolorata, 1783; 3.45. Palazzo signorile, sec.XVIII; 3.46. Palazzo signorile, sec.XIX (sostituzioni parziali del secolo XX); 3.47. Tracce di elementi costruttivi e decorativi del sec. XVII; 3.48. Casa Pecoraro, sec. XVIII (rimaneggiamenti recenti); 3.49. Ex Chiesa “Libera Infermi” (demolita e sostituita da edilizia abitativa del sec. XX); 3.50. Torre Di Vita, sec. XIV-XV (manomissioni dei secc. successivi); 3.51. Chiesa di S. Giuseppe, sec. XIX-XX; 3.52. Chiesa di Gesù e Maria (o di S. Mercurio) sec. XVIII (sconsacrata); 3.53. Mulino con sistema ad acqua, sec. XIX (dismesso); 3.54. Chiesa di S. Maria degli Angeli, 1603; 3.55. Convento dei Frati Minori Cappuccini, 1603; 3.56. Porta di città, sec. XII (rimaneggiamenti del sec. XVII); 3.57. Cappella Palatina, sec. XVI (su precedente impianto, rimaneggiamenti del 1690); 3.58. Castello, sec. XI-XII (del Barone Rodolfo Bonello 1075-90, poi dei Lanza di Trabia nella seconda metà del sec. XVI; ristrutturazioni della seconda metà del sec. XVIII, torri


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Cap.I Il centro storico di Carini

del sec. XVI, ingresso del sec. XII, scala monumentale del sec. XV).

Fig.6 Carta dei beni architettonici del centro storico di Carini (da Filigeri G., Carini nel cinquecento)


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1.2 LO STUDIO DEL CENTRO STORICO DI CARINI EX L.R. 13/2015 La Legge regionale n. 13 del 2015 ha posto l’obbligo ai Comuni siciliani di redigere uno “Studio con effetti costitutivi” riguardante il centro storico, composto da: a) una relazione esplicativa delle scelte; b) una planimetria in scala non superiore a 1:500. Lo studio sopra specificato è finalizzato a semplificare le modalità e le procedure di rilascio dei titoli abilitativi per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente dei centri storici e non sostituisce gli ordinari strumenti di pianificazione, quali la Variante ex Circolare ARTA n. 3/2000 ovvero i piani particolareggiati esecutivi e di recupero edilizio. Il Comune di Carini, in ossequio alla norma legislativa citata, ha redatto il suddetto studio, che in atto ha già ricevuto le approvazioni tecniche e dovrà essere approvato definitivamente dal Consiglio Comunale. Lo studio è stato redatto dall’Ufficio Tecnico comunale, diretto dall’ing. Giuseppe Badalamenti, avvalendosi della consulenza del Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Centri Storici dell’Università di Palermo. L’art. 1 della L.R. 13/2015 prescrive che lo Studio specificato in premessa debba riferirsi al “centro storico” di ogni Comune. Tale definizione, come è noto, non è priva di ambiguità, dal momento che la Regione Siciliana non ha mai completato il progetto di catalogazione e di censimento dei centri storici siciliani, prescritto dall’art. 1della L. R. 7 maggio 1976 n 70, che recita: “Il Governo della Regione, entro sei mesi dalla pubblicazione della presente legge, è tenuto a determinare


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con decreto l’elenco dei comuni siciliani i cui centri storici rappresentino beni culturali di particolare pregio, ai fini della salvaguardia, della conservazione e del recupero mediante interventi di risanamento conservativo…” In assenza di specifiche indicazioni, nello studio, il Comune si è riferito alla perimetrazione contenuta all’interno dello schema di massima della Variante Generale del vigente Piano Regolatore Generale, approvato con Delibera consiliare n. 172 del 25/07/1997.

Fig.7 Il centro storico di Carini in una recente foto aerea.

Il Piano Regolatore Generale vigente, approvato con D. A. n. 248 del 07/06/1983, è stato redatto dall’architetto Michelangelo De Caro e dagli ingegneri Nicola Mineo e Giusep-

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pe Verace. Il Piano, fortemente datato e concepito in una logica decisamente espansiva, identifica come zona A solamente un piccolissimo nucleo attorno alla piazza principale, visualizzato nelle immagini che seguono. La più gran parte del nucleo originario della città è invece classificato zona B.

Fig.8 Stralcio del PRG vigente. L’area urbana di Carini.

Fig.9 Area Urbana di Carini . In rosso è indicata la zona classificata “A” nel PRG vigente.


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Nello schema di massima del nuovo Piano Regolatore, progettato dal gruppo formato dagli archh. Bernardo Rossi Doria (capogruppo) e Giorgio Valzelli, e dagli ingg. Giovanni Armetta e Giuseppe Leone, il cui iter avviato nel lontano 1994 non è a tutt’oggi concluso, la perimetrazione della zona A del centro urbano risulta notevolmente più ampia della precedente e comprende tutti i tessuti urbani esistenti alla fine dell’ottocento, come mostrato di seguito.

Fig.10 Stralcio dello Schema di massima del nuovo PRG, relativo al centro urbano.

Fig.11 Area Urbana di Carini. Con il tratteggio è indicato il perimetro della zone A del nuovo PRG.


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La perimetrazione, in particolare, è riferita ad una carta del catasto borbonico, di seguito riportata, che rappresenta la città nella prima metà dell’Ottocento. Il Centro storico di Carini non è soggetto a vincoli paesaggistici ne ad altri vincoli territoriali. Va solamente segnalata la presenza, nel Piano regionale di Assetto Idrogeologico, di aree di pericolosità e rischio limitrofe al centro storico e precisamente a monte di esso, comunque esterne al perimetro preso in considerazione dallo Studio.

Fig.12 Stralcio del Piano di assetto idrogeologico vigente. In grigio i siti di attenzione. Con i colori sono invece indicate le aree di Rischio.


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Cap.I Il centro storico di Carini

Fig.13 Stralcio del Piano di assetto idrogeologico vigente. In grigio i siti di attenzione. Con i colori sono invece indicate le aree di Rischio.

La legge n. 13/2015 richiede che, attraverso uno “Studio con effetti costitutivi”, venga individuata la appartenenza delle singole unità edilizie che compongono il patrimonio edilizio esistente all’interno dei centri storici alle tipologie specificate nell’art. 2 della stessa legge. Tale adempimento, apparentemente semplice e probabilmente così considerato dal legislatore, richiede in realtà una attività di rilevamento resa assai complessa da un lato dalla mancanza di adeguati strumenti di conoscenza cartografica e documentaria del patrimonio edilizio, dall’altro dalla incertezza interpretativa che le definizioni tipologiche contenute nell’art. 2 della legge in molti casi sollevano. Per procedere alla redazione dello studio è stato dunque necessario porre in essere una preliminare ed assai laboriosa attività tecnica consistente nella predisposizione di adeguati supporti informativi e nella calibratura degli strumenti di valutazione delle tipologie.


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Le analisi ed i rilevamenti effettuati hanno consentito di comporre un sistema di conoscenze sufficientemente articolato ed approfondito, in base al quale è stata definita la planimetria specificata nell’art. 3 della legge. In essa, per ciascuna delle unità edilizie individuate, è indicata la tipologia di appartenenza facendo riferimento alla classificazione prevista nell’art. 2 della stessa legge. Tale classificazione, pur risultando generalmente chiara e di immediata interpretazione nella sua articolazione generale (edilizia di base, palazzetti, palazzi, monumenti, edifici specialistici, edifici moderni, altro), determina però, come già rilevato, difficoltà interpretative nelle sotto-specificazioni di talune tipologie. Le difficoltà riguardano in particolare l’edilizia di base (categoria alla quale appartiene la maggior parte delle unità edilizie del centro storico), che viene articolata in quattro diverse categorie, le prime tre delle quali sono definite in maniera ambigua e di non univoca interpretazione. Vengono infatti tutte descritte come “Unità edilizie con caratteri dimensionali planimetrici, originari o modificati” ma la sottoclassificazione nelle seguenti tre categorie: “non qualificata”, identificata con la lettera a), “parzialmente qualificata”, identificata con la lettera b), e “qualificata”, identificata con la lettera c), non è affidata agli stessi parametri valutativi. Mentre infatti le tipologie b) e c) si differenziano per il livello delle trasformazioni subite e sono dunque individuabili attraverso una valutazione oggettiva del manufatto, la tipologia a) sembra invece prescinderne essendo la sua definizione affidata, almeno parzialmente, ad un giudizio di valore (“scarsa valenza”) che introduce una elevatissima soggettività nelle operazioni di rilevamento.


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La questione non è certamente trascurabile per una duplice ragione, connessa da un lato alla predominanza di tali tipologie nel contesto urbano di qualsiasi centro storico, dall’altra nella sostanziale differenza tra gli interventi consentiti nella tipologia di cui alla lett. c) rispetto a quelli consentiti nelle altre due. Negli edifici appartenenti alla prima sono consentiti esclusivamente modesti interventi conservativi, mentre la gamma di interventi consentiti negli edifici appartenenti alle altre due categorie è assai ampia, potendo arrivare alla demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma e ciò senza alcuna limitazione significativa, a meno di non considerare significativa la condizione derivante dalla locuzione “coerente con la tipologia dell’intorno”, utilizzata dal legislatore, in vero assai generica e di difficile e discrezionale valutazione. Per queste ragioni, prima di avviare il lavoro di rilevamento delle caratteristiche tipologiche delle diverse unità edilizie che compongono il centro storico, come prescritto dalla norma, è stata effettuata una preliminare analisi tipologica cercando di definire parametri e criteri di attribuzione se non oggettivi quanto meno condivisi e soprattutto verificabili.

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Fig.14 Planimetria con la identificazione delle tipologie descritte nell’art. 2 della L.R. 13/2015. Legenda Edilizia di base non qualificata Edilizia di base parzialmente qualificata Edilizia di base qualificata Edilizia di base qualificata speciale (Palazzetti) Edilizia monumentale residenziale (Palazzi dell’edilizia storica) Edilizia monumentale specialistica (religiosi, civili, militari, produttivi ed altri) Edilizia residenziale moderna non qualificata Edilizia specialistica moderna non qualificata

Edilizia appartenente ad altre tipologie (depositi, magazzini,...) Edilizia esclusa dalla classificazione tipologica Strutture precarie Sottopassi Area di tutela e valorizzazione (art.4 comma 2 della L.R. n.13/2015)


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CAPITOLO II MATERIALI E TECNICHE COSTRUTTIVE NEL CENTRO STORICO DI CARINI


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

2.1 I MATERIALI DA COSTRUZIONE DELL’EDILIZIA STORICA Per portare a compimento un’analisi il più possibile esaustiva dei materiali e delle tecniche costruttive adoperate nel costruito carinese, è necessario avere una conoscenza approfondita del contesto storico, geografico ed economico del territorio, facendo luce sulle sue risorse e le sue debolezze; questo lavoro preliminare è infatti indispensabile per comprendere le diverse ragioni che hanno determinato l’assetto urbanistico-costruttivo della città oggetto di studio. Purtroppo la mancanza di materiale bibliografico esaustivo sulla città di Carini, ha obbligato a far riferimento a trattazioni su larga scala, ovvero sulla Sicilia Occidentale, che comunque restituiscono un quadro chiaro sui materiali impiegati nel centro storico in esame. Si faranno di seguito brevi cenni alle più diffuse materie prime impiegate nella costruzione storica di Carini. 2.1.1 Materiali lapidei naturali La già rilevata difficoltà dei trasporti a distanza, messa in relazione al criterio della massima economicità giustificano appieno il largo impiego nell’edilizia residenziale carinese di materiali naturali di natura lapidea. La costituzione geo-litologica dei terreni costituenti la Val di Mazara, infatti, è tale da garantire una discreta varietà di materiali lapidei naturali che, seppur non sempre possiedono buone caratteristiche fisiche e meccaniche, hanno comunque il pregio della facilità di lavorazione e messa in opera. Dalla visione della Carta geologica dell’Isola di Sicilia nel-


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la scala 1 a 100000, rilevata dal 1877 al 1882 e pubblicata per cura del R. Ufficio Geologico si evince che i materiali più facili da reperire fossero: calcari detritici ed organogeni, calcareniti, accumuli detritici, depositi alluvionali e sabbie.

Argille Formazione gessoso-solfifera Calcari detritici ed organogeni e calcareniti Arenarie e conglomerati Accumuli detritici, depositi alluvionali e flavio lacustri, sabbie Fig.1 Distribuzione delle principali formazioni geologiche nella Sicilia Occidentale del XV-XIX secolo.

Calcarenite conchiliare Materiale principe della tradizione costruttiva del paese in esame è la calcarenite conchiliare, dalla più compatta, proveniente dalle cave della frazione di Bivio Foresta, alla più tenera, proveniente da bacini esterni e più incline alle lavorazioni meccaniche. Il pezzame di calcare comune poi, di facilissima reperibilità, sottoposto a calcinazione (per cottura) fornisce la calce, il cui impiego come legante è diffuso in tutto il territorio comunale della città di Carini e nelle aree ad essa limitrofe.


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

2.1.2 Materiali lapidei artificiali Accanto ai materiali da costruzione naturali un posto di notevole rilievo occupano, per l’uso costante che di essi si è fatto e ancora si fa, i materiali lapidei artificiali costituiti da gesso, laterizi e materiali cementanti. Gesso Il gesso, abbastanza presente nel centro storico carinese, si importava dai giacimenti solfiferi esterni al territorio comunale e propri della Sicilia occidentale; si trova anche in forme generalmente inquinate (da argilla, bitume, salgemma, calcite...) in moltissime altre zone dell’Isola; trova impiego sia allo stato naturale per murature che come materiale cementante, di elevate proprietà meccaniche. Laterizi Sono chiamati comunemente laterizi tutti i materiali da costruzione fatti artificialmente con argille cotte in apposite fornaci. Oltre ai mattoni pieni di forma parallelepipeda (adoperati per murature) si trovano mattoni per pavimentazioni (palmari), tegole curve (canali), tubazioni per scarichi (catusi), frammenti adoperati per le “incocciature” nei paramenti murari e infine, più recenti, le tegole marsigliesi. Leganti Leganti artificiali di fondamentale importanza sono le calci, il gesso e il cemento, questi ultimi i più recenti. La produzione di calce, come legante, non risulta di buona qualità data la presenza di tracce marnose all’interno dei suddetti calcari. Un altro legante di grandissimo uso nei pa-


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esi siciliani è il gesso che viene adoperato sia da solo che per il confezionamento di malte. Infine non è infrequente, specie nell’edilizia più povera, l’uso della terra cruda come sostanza cementante in murature grossolane, mescolata con tritume di paglia o canne (tajo). Il legante così ottenuto, che può essere considerato una malta d’argilla, non offre evidentemente una grande resistenza, ed il suo impiego, generalmente in murature di grosso spessore, è dovuto alla necessità di riempire le connessure, garantendo un minimo di resistenza a pressione senza variazioni di volume. Malte Le malte, così come previsto dalla tradizione costruttiva, si ottengono mescolando il legante con aggregato, prevalentemente sabbia (e/o ghiaia) ed acqua; le sabbie usate nel territorio sono quelle provenienti dai bacini fluviali, opportunamente lavate. Talvolta sono usate anche le sabbie marine, il cui impiego dovrebbe essere però sempre preceduto da una lunga esposizione alle intemperie. 2.1.3 Legno Accanto ai materiali lapidei, un posto di rilievo lo assumono i materiali di origine vegetale, la cui disponibilità si rivela spesso determinante ai fini dell’organizzazione stessa dell’abitazione. L’assenza di alberi ad alto fusto in tutto il territorio (con poche eccezioni) e in generale la penuria di coltivazioni boschive, infatti, ha determinato un uso il più possibile limitato di questo materiale con soluzioni costruttive che si riflettono


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nelle caratteristiche tipologiche in maniera ben precisa: le dimensioni della casa sono spesso strettamente dipendenti dalla massima lunghezza della trave in legno della copertura; le dimensioni dei vani di porta e di finestra sono sempre molto limitate, anche a causa della penuria (e quindi del costo) del legname per gli infissi; e così via. I legnami usati nelle costruzioni appartengono quasi sempre alla classe dei “legni duri”, che comprende la quercia, il castagno, il noce, il faggio. La quercia in particolare, albero di grande dimensioni, che unisce alla buona qualità del suo legno una lunga durata, si trova impiegata per travature, così come il castagno che però, essendo di dimensioni minori, si presta in modo particolare alla produzione di travicelli e correnti (ginelli e mezzi ginelli). Tra i legni resinosi i più usati sono il pino ed il cipresso e, tra quelli teneri o dolci, il pioppo, particolarmente indicato per gli infissi e la tavolature. 2.1.4 Ferro Gli altri materiali utilizzati sono il ferro e il vetro, il cui impiego è tuttavia limitato nell’edilizia contadina, data la scarsa reperibilità in loco e la complessità della lavorazione necessaria per produrli. In particolare il ferro, almeno in un primo momento, è stato adoperato come materiale per elementi accessori (chiodature, ringhiere, anelli alle pareti...); successivamente assume anche una funzione statica nelle putrelle dei vari orizzontamenti e dei balconi.


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2.1.5 Vetro L’uso del vetro è piuttosto raro, probabilmente poiché doveva essere considerato alla stregua di un materiale prezioso; il suo uso si limite ai vani finestra e ai sopraluce.

2.2 LE MURATURE 2.2.1 Valutazioni preliminari L’argomento “qualità muraria” è ormai riconosciuto, anche a livello normativo, come uno dei punti focali per l’analisi del comportamento strutturale di una costruzione in muratura esistente. D’altro canto, però, non sono molto diffuse le conoscenze sulle diverse tipologie e sulle peculiarità derivanti proprio dalle diversità nei costituenti e nella tecnica costruttiva. Per questo motivo un obiettivo fondamentale di questo studio è la conoscenza approfondita e l’interpretazione critica delle tipologie di murature ricorrenti del centro storico di Carini; ciò fornirebbe infatti le basi per capire come valutare qualitativamente la muratura e di conseguenza definire delle linee chiare e razionali di intervento, nel pieno rispetto del tessuto urbano già costruito e caratterizzante la città. Nell’ottica di perseguimento degli obiettivi sopra citati ci si propone di avvalersi del metodo dell’IQM, (basato sull’analisi qualitativa, ma approfondita, della tessitura muraria e della regola dell’arte). 2.2.2 Indice di Qualità Muraria (IQM) Gli obiettivi dell’IQM possono essere sintetizzati nei due


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punti seguenti: •

proporre un metodo per la valutazione della qualità muraria utilizzabile anche da tecnici non particolarmente esperti di murature;

utilizzare il suddetto metodo per ricavare in via indiretta, ma con buona aderenza alla realtà del caso specifico, una stima dei parametri meccanici della muratura necessari per le verifiche di sicurezza richieste dalle N.T.C. del 2008 per gli edifici esistenti.

Il secondo obiettivo, in particolare, riguarda l’applicazione delle N.T.C. del 2008 per gli edifici esistenti in muratura. Ci si propone infatti di ottenere, tramite l’IQM, una stima dei valori numerici dei parametri meccanici: •

fm = resistenza media a compressione;

τo = resistenza media a taglio;

E = valore medio del modulo di elasticità normale.

Questi parametri sono riportati, ma solo per alcune tipologie murarie, nella appendice C8A.2 della Circolare esplicativa, con un intervallo di valori possibili (min-max). In virtù della buona correlazione tra IQM ed i valori di fm, τo ed E delle tabelle della normativa, si proporrà di utilizzare l’IQM (ricavabile per qualsiasi tipologia muraria) per estendere l’applicabilità delle procedure delle N.T.C. a tutte quelle tipologie che attualmente o non sono previste nelle tabelle della Circolare o non trovano in esse una corrispondenza adeguata. L’IQM (Indice di Qualità Muraria), infine, si distingue in base alla possibile direzione dell’azione sollecitante il generico pannello murario. Dunque, per ciascuna tipologia si avranno tre indici di qualità muraria: IQM per azioni vertica-


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li, IQM per azioni orizzontali fuori piano ed IQM per azioni orizzontali nel piano. Nella valutazione dell’IQM entrano in gioco alcuni parametri caratteristici della corretta ed efficace messa in opera della muratura: i cosiddetti parametri della “regola dell’arte”. Tramite l’osservazione della muratura viene infatti valutato il grado di rispetto di ogni parametro della regola dell’arte sulla base di alcune regole che saranno definite nel seguito. Il risultato finale è così costituito da tre valori, variabili fra 0 e 10, associati alla tipologia muraria e dipendenti dalla direzione dell’azione sollecitante. A ciascuno di questi valori verrà poi associata una “categoria” di appartenenza della muratura - A, B o C: •

ad una muratura di categoria A corrisponde un buon comportamento strutturale;

ad una muratura di categoria B corrisponde un comportamento di media qualità;

una muratura in categoria C manifesta un comportamento insoddisfacente di fronte alle sollecitazioni ipotizzate.

2.2.2.1 Giudizio sulla qualità della muratura In questo sottoparagrafo si individuano i fattori che costituiscono la “regola dell’arte” nell’ambito delle costruzioni di muratura. Successivamente saranno indicati alcuni semplici criteri per verificare, caso per caso, la presenza, la presenza parziale o l’assenza dei parametri della regola dell’arte. Sarà poi valutata la risposta di un pannello murario ad una serie di azioni sollecitanti e si studierà, per ogni azione, come varia la risposta di tale pannello a seconda della presenza, della par-


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ziale presenza o dell’assenza dei vari parametri della regola dell’arte, e quindi in funzione della tipologia della muratura. Si potrà, in tal modo, individuare quali sono i parametri della regola dell’arte che, se presenti, garantiscono una buona qualità della muratura. Si perverrà, infine, ad un giudizio sintetico della qualità muraria per ogni tipologia muraria e per ogni tipo di azione cui il pannello è sottoposto. 2.2.2.2 Ipotesi di base L’IQM viene valutato facendo riferimento al generico elemento murario verticale (un pannello). Tale elemento viene considerato sottoposto a diversi tipi di azione classificabili in tre categorie: •

Carichi verticali: fra di essi si hanno la forza verticale concentrata (ad esempio quella dovuta ad una trave infilata nella muratura) e la forza verticale distribuita sulla faccia superiore del pannello (ad esempio quella dovuta ad un solaio o ad una parete sovrastante).

Azioni orizzontali che impegnano il pannello murario nel suo piano medio: fra di esse si ricordano le azioni sismiche rappresentate da una forza orizzontale complanare al pannello e posta sulla sua sommità. Solitamente tali azioni sono dovute ai terremoti e riescono ad impegnare i pannelli murari in questa direzione solo se la concezione globale dell’edificio è scatolare.

Azioni che impegnano il pannello murario ortogonal-


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mente al suo piano medio: si tratta di sollecitazioni dovute a carichi eccentrici (es. il momento flettente dovuto a solai eccentrici appoggiati sul bordo della parete) ma, più spesso e più pericolosamente, si tratta di sollecitazioni dovute al sisma. Fra esse si ricordano: una forza orizzontale (concentrata o distribuita) agente in sommità del pannello e ad esso ortogonale; un momento flettente rappresentato da un vettore verticale (responsabile del cosiddetto “effetto arco” o flessione orizzontale della parete); un momento flettente rappresentato da un vettore orizzontale (responsabile della flessione verticale della parete). I parametri della regola dell’arte influiscono in maniera diversa sulla risposta del muro a seconda del tipo di azione che sollecita il pannello. Per tale motivo appare opportuno studiare separatamente i tre casi. 2.2.2.3 La “regola dell’arte” La “regola dell’arte” è l’insieme degli accorgimenti costruttivi che, se eseguiti durante la costruzione di un muro, ne garantiscono il buon comportamento e ne assicurano la compattezza ed il monolitismo. Essa deriva da una pratica costruttiva millenaria e dall’osservazione diretta del comportamento delle murature sia in fase statica che sotto sisma ed è codificata nei manuali di epoca antica e premoderna. Nel seguito si darà una sintetica descrizione degli elementi che, tutti insieme, definiscono la regola dell’arte. Gli accor-


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gimenti costruttivi che saranno presi in considerazione, e che nel loro insieme costituiscono la regola dell’arte, sono di seguito elencati: •

(MA.) Malta di buona qualità / efficace contatto fra elementi / zeppe: questo requisito, necessario per trasmettere e ripartire le azioni fra le pietre in maniera uniforme e per portare le forze fino al terreno, si ottiene o per contatto diretto fra elementi squadrati (es. opus quadratum) o tramite la malta (è questa la maggior parte dei casi) o, per muri irregolari con malta degradata, grazie a pietre di dimensione minore inserite nei giunti, le cosiddette “zeppe”. La malta oltre a regolarizzare il contatto tra le pietre, se di buona qualità, assicura una certa resistenza di natura coesiva alla muratura e tale contributo può diventare importante se mancano gli altri parametri della regola dell’arte in grado di garantire la monoliticità del muro.

(P.D.) Ingranamento trasversale / presenza di diatoni: questo requisito impedisce la suddivisione della parete in più paramenti semplicemente costruiti l’uno a ridosso dell’altro e, inoltre, permette la distribuzione del carico su tutto lo spessore del muro anche in quei casi in cui c’è un carico gravante sul bordo della parete. Il requisito può essere soddisfatto grazie ai “diatoni”, ossia pietre passanti attraverso tutto lo spessore della parete. Ugualmente efficaci sono legature con elementi laterizi o di pietra non completamente passanti ma in grado di interessare gran parte dello spessore della parete ed ingranati fra loro (“semidiatoni”).


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(F.EL.) Forma degli elementi: la presenza di due facce orizzontali sufficientemente piane assicura la mobilitazione delle forze d’attrito, cui si deve gran parte della capacità di una parete di resistere a sollecitazioni orizzontali ad essa complanari. Infatti l’attrito si mobilita principalmente sotto l’effetto della forza peso della muratura sovrastante la superficie di scorrimento. È intuitivo che l’attrito si massimizza per le superfici di scorrimento ortogonali alla forza peso, dunque per superfici di scorrimento orizzontali. Da quanto detto consegue che questo è uno dei requisiti necessari per ottenere un buon ingranamento fra gli elementi della parete.

(D.EL.) Dimensione degli elementi: assicurano, come i diatoni, un buon grado di monoliticità della parete. Inoltre, proprio in virtù della loro grande dimensione, si tratta di elementi di grande peso e spesso ben ingranati fra loro e difficili da muovere.

(S.G.) Sfalsamento fra i giunti verticali: tale condizione, insieme alla forma squadrata delle pietre, permette “l’effetto catena” che fornisce una certa resistenza a trazione alla muratura. Inoltre, anche se le pietre non sono squadrate, se si hanno giunti regolarmente sfalsati si mobilita un’altra grande risorsa resistente delle murature: l’ingranamento fra gli elementi resistenti (anche detto “effetto incastro”).

(OR.) Presenza di filari orizzontali: tale requisito induce una buona distribuzione dei carichi verticali in quanto si ottiene un vincolo di appoggio regolare. Ma l’orizzonta-


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lità dei filari assume importanza anche in occasione delle azioni sismiche poiché essa consente l’oscillazione attorno a cerniere cilindriche orizzontali senza danneggiare la muratura. Per gli stessi motivi sono importanti anche i ricorsi orizzontali in mattoni che con interasse periodico regolarizzano le murature in pietre e ciottoli. •

(R.EL.) Resistenza adeguata degli elementi: questo requisito tende ad evitare tre situazioni: che gli elementi siano intrinsecamente deboli (ad esempio i mattoni di fango che si utilizzano in certe zone del mondo); che essi siano mattoni fortemente forati; che essi siano degradati, ad esempio per umidità o per esposizione alle intemperie.

2.2.2.4 Criteri per definire la presenza, la presenza parziale o l’assenza dei requisiti della “regola dell’arte” Per attribuire un giudizio sulla qualità della muratura, come si è detto, è indispensabile valutare (analiticamente o qualitativamente) in che misura sono rispettati i sette parametri caratterizzanti la regola dell’arte. Solo dopo questa operazione preliminare sarà possibile comporre i sette giudizi parziali in una valutazione sintetica. Esprimere un giudizio sul rispetto di un dato elemento della regola dell’arte è difficile per vari motivi. In primo luogo esiste la problematica che per conoscere occorre osservare e certi parametri da giudicare sono difficilmente osservabili senza effettuare indagini o saggi. Tuttavia una operazione di valutazione della qualità muraria è certamente difficile (ed in molti casi impossibile) se non si accetta di dover eseguire le necessarie indagini. Si tenga conto che ci si sta riferendo a saggi e non a prove:


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si tratta di levare l’intonaco in alcune zone dell’edificio e di fare saggi in profondità. Per tale motivo, il presupposto fondamentale del metodo descritto è che i tecnici ed i progettisti incaricati di intervenire su un fabbricato esistente in muratura svolgano le necessarie indagini volte a caratterizzare la muratura, investendo le risorse economiche che occorrono. I costi aggiuntivi di tali indagini nella fase del “processo diagnostico” possono consentire, nel breve periodo, un risparmio sugli interventi e, nel lungo termine, un risparmio sui costi di ricostruzione (che certamente si renderebbero necessari domani se oggi, per mancanza di conoscenza, si progettassero interventi inadeguati) in caso di danneggiamento dell’immobile. Un secondo problema è il seguente: è semplice riconoscere le due situazioni limite, di rispetto e di non rispetto di un dato parametro della regola dell’arte. Le osservazioni sul campo delle murature presenti in casi reali hanno però mostrato che esistono anche situazioni intermedie, non riferibili né al rispetto né al mancato rispetto della regola dell’arte. Perciò è stata introdotta, per ogni parametro considerato, una categoria di giudizio denominata “parziale rispetto” della regola dell’arte. Di seguito si riportano della tabelle significative al fine della valutazione del rispetto (indicato con R), del non rispetto (indicato con NR) o del parziale rispetto (indicato con PR) della regola dell’arte:

Tab.1 Criteri per il rispetto dei parametri della regola dell’arte riguardanti la resistenza e la dimensione degli elementi.


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Tab.2 Criteri per il rispetto del parametro della regola dell’arte riguardante la forma degli elementi resistenti.

Tab.3 Criteri per il rispetto dei parametri della regola dell‟arte riguardanti l‟ingranamento trasversale e l‟orizzontalità dei filari.

Tab.4 Criteri per il rispetto dei parametri della regola dell‟arte riguardanti l‟ingranamento nel piano della parete.

Tab.5 Criteri per il rispetto dei parametri della regola dell‟arte riguardanti la qualità della malta.


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2.2.2.5 Valutazione dell’indice IQM Vengono qui forniti i valori numerici necessari per determinare IQM. In via preliminare, come detto, occorre valutare i parametri della regola dell’arte, esprimendo, per ognuno di essi, un giudizio sul suo rispetto (rispettato “R”, parzialmente rispettato “PR” oppure non rispettato “NR”). I giudizi sul rispetto dei parametri della regola dell’arte sono espressi in base ai criteri riportati in precedenza.

Tab.6 Punteggi da attribuire ai parametri della “regola dell’arte”.

Nella tabella 6 sono riportati i punteggi da attribuire ad ogni parametro della regola dell’arte in funzione del suo rispetto, parziale rispetto o non rispetto ed in funzione del tipo di azione sollecitante preso in considerazione (azione verticale, azione ortogonale al piano della parete, azione orizzontale complanare alla parete). I punteggi ottenuti dalla tabella 6 sono poi inseriti nella formula riportata di seguito, ottenendo un punteggio globale, chiamato IQM (Indice di Qualità Muraria) per ogni tipo di azione sollecitante. IQM= RE.EL. X (OR. +P.D.+ F.EL. + S.G.+ D.EL.+ MA.)


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Dunque tale procedura conduce a tre valori di IQM compresi fra 0 e 10: uno per ogni direzione di sollecitazione. Ciò che distingue i tre valori di IQM è il diverso peso attribuito ai parametri della regola dell’arte per le tre situazioni di sollecitazione. I pesi attribuiti indicano l’importanza di un dato parametro per una buona risposta della parete nei confronti del tipo di azione sollecitante considerata. Essi derivano dalle considerazioni sul rispetto o meno della regola dell’arte per ciascuno degli elementi considerati. 2.2.2.6 Criteri utilizzati per l’attribuzione dei pesi Il criterio seguito per differenziare il comportamento delle murature nei confronti dei tre tipi di azione considerati consiste nell’attribuire ai vari parametri della regola dell’arte pesi differenti. Dunque un aspetto della regola dell’arte può risultare più o meno importante in funzione del tipo di sollecitazione considerata. Naturalmente ciò non significa che gli aspetti della regola dell’arte che hanno un peso minore in tabella 1 non abbiano alcuna influenza sul comportamento di una muratura nei confronti dell’azione considerata. Si sottolinea, pertanto, la convenzionalità del metodo il cui scopo non è quello – evidentemente irrealistico – di fornire una caratterizzazione certa del comportamento meccanico di una data tipologia muraria, bensì quello di dare una indicazione orientativa. Azioni verticali Una parete sottoposta ad un carico verticale (e solo ad esso)


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solitamente ha motivo di andare in crisi o per instabilità, oppure rottura per compressione. Poiché il metodo di analisi qui illustrato si basa sull’ipotesi di analizzare pannelli murari osservabili solo per una limitata estensione (1 metro quadro nell’ipotesi peggiore) si darà nel seguito maggior peso all’evenienza di una rottura per compressione, pur non trascurando il fenomeno dell’instabilità, importante su tese murarie snelle ed estese. Affinché avvenga la rottura per compressione (almeno per carichi ordinari) è necessario che l’elemento resistente sia intrinsecamente debole, oppure che la muratura sia fortemente degradata. Se si verifica una di queste due condizioni allora si è nella situazione in cui R.EL. = NR. In tal caso i rimanenti parametri della regola dell’arte perdono di importanza; per questo motivo se R.EL. = NR. il fattore moltiplicativo nella formula che dà IQM è molto basso e si ottiene un IQM basso. Se la qualità dei blocchi o delle pietre è elevata allora la rottura per compressione può essere facilitata da concentrazione delle tensioni all’interno della muratura. I parametri che più di altri impediscono delle errate diffusioni delle tensioni nel solido murario sono la presenza di blocchi squadrati (F.EL.), l’orizzontalità dei filari (OR.) e la buona qualità della malta (MA.). Come si può vedere dalla tabella 1, i parametri cui è stato attribuito maggior peso nella valutazione del comportamento di una parete soggetta a carichi verticali sono proprio F.EL. ,OR. e MA. Per quanto riguarda il fenomeno dell’instabilità, esso è tenuto in conto premiando con 1 punto il rispetto o il rispetto parziale del parametro P.D. (presenza di diatoni-ingranamento della parete) e distinguendo questi due casi dal caso di totale


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assenza di ingranamento (non rispetto del parametro P.D.) in cui anche l’instabilità può diventare un motivo di crisi in quanto la snellezza della parete su più paramenti aumenta rispetto al caso della stessa parete monolitica. Azioni orizzontali fuori piano Una parete sottoposta ad azioni orizzontali che tendono a deformarla fuori dal suo piano ha delle limitate porzioni di muratura che sono soggette a forti tensioni di compressione. Si pensi ad esempio al caso di una parete che ribalta ed alle tensioni che tendono a schiacciare le pietre posizionate vicino alla cerniera orizzontale. Per questo motivo si perviene ad un IQM molto basso se la muratura ha elementi resistenti degradati o debolmente resistenti a compressione. In caso contrario si valuta positivamente l’aspetto ritenuto fondamentale per la risposta delle murature ad azioni fuori piano, ossia la loro monoliticità dovuta al buon ingranamento interno fra i paramenti (P.D.). A tale parametro, infatti, è stato attribuito il peso maggiore. Altri parametri cui è stato attribuito un peso elevato sono: la presenza di filari orizzontali (OR.), che favoriscono l’oscillazione del muro attorno a cerniere orizzontali e la forma degli elementi resistenti (F.EL.). Infatti la presenza di elementi resistenti squadrati favorisce l’ingranamento interno fra i paramenti della parete. Azioni orizzontali complanari Anche nel caso di azioni sollecitanti orizzontali complanari alla muratura la presenza di elementi non resistenti a compressione oppure molto degradati conduce ad un basso valore di IQM. Se gli elementi resistenti della muratura sono


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adeguati si procede alla valutazione degli altri parametri della regola dell’arte. La resistenza di una parete nel suo piano è dovuta a: •

coesione, aspetto conferito alla muratura da una malta di buona qualità (MA.);

attrito; esso si esplica su superfici orizzontali (causa la verticalità della forza peso) di elementi resistenti a contatto fra loro, di qui l’importanza del parametro F.EL. Ma non basta: occorre anche che i giunti verticali siano sfalsati fra loro affinché l’attrito si possa esplicare, dunque per questo motivo si dà importanza al parametro S.G.;

ingranamento ed incastro fra i blocchi; tale aspetto può addirittura definire la pendenza della lesione che si andrà a formare in caso di sisma e si capisce bene come tale lesione sia tanto più facilitata a formarsi quanto più la sua pendenza sia verticale (specie nei meccanismi di rotazione di cunei di muratura triangolari). L’incastro fra i blocchi è presente se si hanno blocchi squadrati (F.EL.) e giunti verticali sfalsati (S.G.).

Da quanto detto discende che i tre parametri della regola dell’arte ritenuti fondamentali per conferire alla muratura una buona resistenza ad azioni complanari sono la presenza di blocchi squadrati, lo sfalsamento dei giunti verticali e la qualità della malta (F.EL., S.G. e MA). È stato attribuito un peso maggiore anche alla presenza di diatoni (P.D.), importanti perché consentono alle azioni orizzontali complanari di interessare l’intero spessore del muro e non solo il paramento dove esse si esercitano direttamente.


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2.2.2.7 Valutazione della categoria muraria (verifiche per cinematismi di collasso) Il metodo illustrato in questa nota è indicato anche per una classificazione delle murature in funzione della loro risposta a sollecitazioni verticali, orizzontali fuori piano ed orizzontali nel piano. Per inciso si nota che la determinazione del comportamento meccanico di un pannello murario sottoposto ad azioni orizzontali (sia nel suo piano che fuori piano) è alla base dell’applicazione del metodo dell’analisi limite, finalmente recepito dalla normativa nazionale sulle costruzioni (il recente DM 14.01.2008). Nella tabella 7 si entra con i tre valori di IQM determinati grazie alla tabella 6 e si legge direttamente la categoria di appartenenza della muratura in riferimento alle tre azioni sollecitanti.

Tab.7 Metodo dei punteggi: attribuzione delle categorie murarie.

Le categorie possibili sono tre e sono state denominate A, B e C. La categoria migliore è la A, la peggiore è la C. Nella categoria B rientrano le murature di qualità intermedia. Nel seguito si caratterizzano le categorie murarie in base alla tipologia di azione sollecitante. Per azioni verticali: •

una muratura di categoria A difficilmente subisce lesioni e può essere considerata di buona qualità;

una muratura di categoria B ha bassa probabilità di col-


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lassare ma essa può lesionarsi; può quindi considerarsi di media qualità; •

una muratura di categoria C ha elevata probabilità di subire lesioni o di andare fuoripiombo per il fenomeno dell’instabilità, specie se di spessore limitato e molto caricata e specialmente in corrispondenza di carichi concentrati. In condizioni estreme risulta possibile il collasso. Tale categoria di murature va considerata di scarsa qualità.

Per azioni orizzontali fuori piano: •

una muratura di categoria A è in grado di mantenere un comportamento monolitico. Essa ha una probabilità molto bassa di lesionarsi o di collassare per azioni fuori piano se le pareti sono ben collegate fra loro e ai solai; la muratura di categoria A è da ritenersi di buona qualità. Le verifiche per meccanismi di collasso possono essere svolte ipotizzando un comportamento monolitico delle pareti;

una muratura di categoria B non è in grado di mantenere un comportamento monolitico ma comunque neanche si disgrega se sottoposta ad azioni orizzontali fuori piano. Per tale categoria di murature è probabile avere lesioni o spanciamenti in caso di sisma, ma è difficile che esse collassino se sono ben collegate agli orizzontamenti ed ai muri di spina; tali murature sono di media qualità. Le verifiche per meccanismi di collasso possono essere svolte, in favore di sicurezza, ipotizzando che la muratura sia formata da due paramenti distinti e non efficacemente connessi.;

una muratura di categoria C si disgrega in caso di sisma;


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per essa è molto probabile il collasso, anche in presenza di efficaci collegamenti. Tali murature sono da ritenersi di scarsa qualità. Le verifiche per meccanismi di collasso sono sostanzialmente non indicative in quanto non sono rispettate le ipotesi di sufficiente coesione degli elementi murari. Per azioni orizzontali nel piano: •

una muratura di categoria A ha basse probabilità di lesionarsi; essa può definirsi come una muratura di buona qualità;

una muratura di categoria B, in caso di sisma, ha buone probabilità di lesionarsi, specialmente se le pareti sono sottili o se sono poche rispetto all’area coperta dall’edificio; tuttavia tali lesioni saranno di scarsa entità; tale categoria definisce le murature di media qualità;

una muratura di categoria C ha molte probabilità di lesionarsi nel piano delle pareti e le lesioni che subirà saranno ampie; pertanto nella categoria C rientrano le murature di scarsa qualità.

2.2.2.8 Correlazione di IQM con i parametri meccanici della muratura La correlazione fra IQM e valori meccanici della muratura proposti dalle N.T.C. del 2008 si basa sull’utilizzo delle murature descritte nelle stesse N.T.C. ed è stata studiata tramite il confronto tra le 36 tipologie murarie, desunte dalla Circolare Esplicativa 617 del 14 Febbraio 2009, e i valori IQM ricavati sulle stesse tipologie tramite le opportune indagini. Le correlazioni esaminate sono le seguenti:


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correlazione di IQM verticale con fm (resistenza media a compressione della muratura);

correlazione di IQM nel piano con τo (resistenza media a taglio della muratura);

correlazione di IQM verticale con E (valore medio del modulo di elasticità normale della muratura).

Ogni correlazione è rappresentata su un diagramma cartesiano avente in ascissa IQM (verticale o nel piano) ed in ordinata il parametro meccanico d’interesse (fm, τo oppure E, minimo, medio o massimo); sostituendo il valore di IQM nell’equazione che descrive la curva si sono ottenuti i corrispondenti parametri meccanici. 2.2.3 Attacco a terra A causa dell’orografia della città di Carini è possibile riscontrare, nelle fondazioni del centro storico, collaborazioni tra banchi rocciosi e muratura che si traducono nel livellamento di quest’ultimi tramite pietre di piccola e media pezzatura, e malta, in modo da avere un piano di posa il più possibile regolare per la posa dei conci superiori. 2.2.4 Classificazione dei paramenti murari Essendo l’economia uno dei principi base che da sempre informano l’edilizia minore, l’approvvigionamento nelle immediate vicinanze, o al più da cave prossime all’abitato (cava Foresta), del materiale da costruzione era considerato una condizione imprescindibile. La disponibilità in loco di materie prime diventava una ne-


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cessità nel caso in cui le condizioni orografiche rendevano ostico, se non addirittura impossibile, il trasporto. La facilità di trasporto aveva una notevole influenza anche sul formato degli elementi: se le cave si trovavano a distanza notevole, solitamente, si preferiva estrarre i conci in dimensioni ridotte in modo da realizzare formati più facilmente movimentabili. La circostanza che buona parte dell’edilizia povera carinese sia caratterizzata da paramenti murari a vista – per mancanza di risorse, per scelte di carattere estetico, o per assenza di manutenzione che in alcuni casi ha ridotto a ruderi le unità edilizia abbandonate – permette di analizzarne in dettaglio la struttura verticale della fabbrica nelle sue parti costituenti: elementi costitutivi di base, spessori, tipo di apparecchio, presenza di indentature, connessioni varie ed eventuali, diatoni, semidiatoni, consistenza dei nuclei interni e così via. Le schede, che successivamente verranno proposte, corredate da un abaco fotografico, definiscono un repertorio di sistemi costruttivi rappresentativi dell’area oggetto di studio. La classificazione dei casi esaminati tiene conto, oltre che della natura materica degli elementi costituenti, anche della disposizione degli stessi nella tessitura dell’apparecchio murario; nella fattispecie si sono identificate, in base alla forma e alla natura degli elementi lapidei, due macro-categorie: A e B; ognuna di esse presenta tre diverse declinazioni, rispettivamente A.1, A.2, A.3 per la prima e B.1, B.2, B.3 per la seconda; Categoria A Vi rientrano tutti i paramenti ad assestamento pseudoisodomo, realizzati con conci di calcarenite conchiliare; quest’ul-


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timi sono ottenuti tramite segagione e posti a coltello o di testa; le loro dimensioni variano secondo intervalli che vanno dai 20 cm ai 60 cm per la base, dai 10 cm ai 45 cm per lo spessore e dai 17 cm ai 28 cm per l’altezza, i piani di posa sono chiaramente identificabili e rettilinei; i giunti verticali, sufficientemente sfalsati, e i giunti orizzontali hanno un andamento rettilineo e costante con uno spessore che generalmente non supera il centimetro. •

Sottocategoria A.1: prima variante di questa categoria, è caratterizzata da una muratura ad una testa realizzata con conci perfettamente squadrati, posti di costa, e dai giunti di malta estremamente sottili e rifiniti, testimoni della particolare cura posta nel perseguimento dei filari orizzontali.

Sottocategoria A.2: quello che identifica questa seconda sottocategoria, oltre alla presenza di conci sommariamente squadrati, sempre posti di costa, è la presenza di rincocciature di pietre minute e frammenti di laterizi ascrivibili all’obiettivo sopracitato di voler definire dei filari orizzontali per la posa dei conci superiori.

Sottocategoria A.3: ultima variante di questa categoria, l’A.3, muratura ad una testa, è giustificata dalla dimensione dei conci il cui lato minore raggiunge quasi i 30 cm e dalla disposizione degli stessi tutti di testa; infine si è riscontrata la presenza di comenti di malta che insieme alle pietre minute di forma irregolare e ai frammenti di laterizi delineano dei filari di ripianamento (rimbottonature).


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Categoria B Questi paramenti rappresentano la maggior parte della casistica riscontrata nel centro storico di Carini, nonostante la scarsa qualità, e si trovano soprattutto in edifici ad una elevazione fuori terra. Sono realizzati utilizzando prevalentemente pietrame informe che non presenta alcuna lavorazione su nessuna delle facce, ottenendo tessiture caotiche con grossi problemi di ingranamento fra i vari elementi. I piani di posa sono parzialmente identificabili e sub-orizzontali in porzioni limitate di paramento, con ripianamenti parziali e poco curati che quasi mai si sviluppano in orizzontale lungo l’intero setto. I già citati problemi di ingranamento nella tessitura sono diretta conseguenza della ridotta possibilità di sfalsamento dei giunti verticali, nonché della parziale o totale assenza di semidiatoni o diatoni; ciò ha come effetto la formazione, in caso di dissesto, di estese lesioni o addirittura dello “spanciamento” dei paramenti murari (nel caso di murature a sacco). •

Sottocategoria B.1: prima delle tre varianti, si distingue per l’utilizzo non di pietrame ma di conci di calcarenite di varia pezzatura; la mancanza di un buon assortimento dimensionale favorisce la presenza di vuoti raramente colmati dalla malta, in buona parte degradata o assente; unica nota positiva il tentativo, seppur parziale, di ottenere dei filari orizzontali.

Sottocategoria B.2: prima delle due declinazioni murarie caratterizzate da pietrame informe, questa si distingue, tra le tre sottocategorie, per la presenza di diatoni e semi-


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diatoni, unici elementi che sembrano rispettare la “regola dell’arte”; la loro presenza è probabilmente dovuta alla funzione portante di questa tipologia di apparecchi murari, riscontrabile, per l’appunto, ai piani terra. Da non sottovalutare inoltre, il grande assortimento dimensionale degli elementi costituenti, fattore che limita la presenza della malta, la quale, se presente in grandi quantità, è in grado di inficiare la resistenza meccanica del pacchetto murario. •

Sottocategoria B.3: quest’ultima sottocategoria si afferma come la peggiore tra tutte quelle sopracitate, non rispettando nessuno dei parametri costituenti la “regola dell’arte”; si distingue per essere l’unica muratura a sacco riscontrata in seguito ai sopralluoghi che hanno preceduto questo studio. I suoi difetti peggiori riguardano la criticità della tessitura che si manifesta caotica, senza alcun raziocinio costruttivo, portando l’apparecchio murario ad essere incline a “spanciamenti” per la totale assenza di elementi di ammorsamento tra i paramenti murari, quali diatoni e semidiatoni; ad aggravare la situazione contribuiscono i ciottoli, prelevati dai bacini fluviali circostanti che, con le loro superfici levigate, sono responsabili della cattiva aderenza con il resto del pietrame e con la malta che li ingloba.

Di seguito sono riportate, per ogni sottocategoria muraria, la scheda IQM e il relativo abaco fotografico.


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Muratura pseudoisodoma ad una testa, realizata con conci di calcarenite. La malta è in buono stato e ben conservata, con giunti di dimensione non superiore ad un centimetro.


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Fig. A.1-1 Vista d’insieme del paramento murario.

Fig. A.1-2 Vista della soluzione d’angolo.

Fig. A.1-3 Particolare lesioni in corrispondenza del muretto d’attico.

Fig. A.1-4 Tessitura muraria.


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Fig. A.2-1 Vista d’insieme del paramento murario.

Fig. A.2-2 Soluzione d’angolo.

Fig. A.2-3 Particolare degrado dei conci.

Fig. A.2-4 Vista frontale dell’apparecchio murario.


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B

Sezione A-A

B

B

A

Sezione B-B

A

A

A

Paramento

B m


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Muratura in conci di calcarenite mista a schegge lapidee - Via Brindisi

Fig. A.3-1 Vista frontale del paramento murario.

Fig. A.3-2 Sezione muraria verticale.

Fig. A.3-3 Particolare del giunto privo di malta.

Fig. A.3-4 Rilievo dimensionale del concio.


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Fig. B.1-1 Vista d’insieme da via Trento.

Fig. B.1-2 Particolare sull’attacco a terra.

Fig. B.1-3 Tessitura muraria.

Fig. B.1-4 Particolare sul posizionamento delle pietre.


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B

Sezione A-A

B

B

A

A

Sezione B-B

A

A

Paramento

B

m

Rapporto area malta-pietre Malta Pietre


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Fig. B.2-1 Vista d’insieme dell’apparecchio murario.

Fig. B.2-2 Ingrandimento sul diatono.

Fig. B.2-3 Sezione muraria verticale.

Fig. B.2-4 Sezione muraria orizzontale.


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Fig. B.3-1 Vista d’insieme del paramento murario.

Fig. B.3-2 Tessitura muraria.

Fig. B.3-3 Vista della sezione muraria verticale dall’esterno dell’edificio.

Fig. B.3-4 Vista della sezione muraria verticale dall’interno dell’edificio.


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2.2.5 Cantonali Nelle murature a elementi (pietra, mattoni) maggiore cura è riservata ai cantonali ( porzioni di girata) chiamati spesso pilastri di “fabrica”, dove la diversificazione del materiale e la maggiore attenzione posta al trattamento superficiale consentono a quest’espediente costruttivo, situato all’incontro dei corsi, di assolvere all’istanza statica ed estetica che gli si richiede; in particolare si attua un ammorsamento di due setti murari convergenti in un angolo; questa soluzione limita la formazione di meccanismi di ribaltamento cosiddetti di “1° modo” (così come descritti dalla ReLUIS, Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica), ovvero quelli che coinvolgono prevalentemente la risposta fuori piano delle

Fig.3 Cantonale in conci di calcarenite a creare indentatura.

Fig.4 Cantonale indentato alla muratura adiacente.

pareti; in particolare questi si manifestano attraverso la rotazione di porzioni di pareti rispetto ad assi prevalentemente orizzontali che costituiscono, per l’appunto, delle cerniere cilindriche. Nelle soluzioni d’angolo, nell’edilizia minore e in quella specialistica (sebbene con alcune varianti), si ri-

Fig.2 Cantonale in conci di calcarenite a creare indentatura.

Fig.5 Cantonali in conci dalle dimensioni allungate a disposizione alternate.


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trovano soluzioni con blocchi lapidei più o meno squadrati (e solo in pochi esempi sagomati o modanati) di grosso spessore disposti alternati in modo da creare indentatura con la muratura adiacente; in particolare le posizioni dei conci riscontrate prevalentemente nei cantonali sono due: •

di testa;

di taglio.

Nella maggior parte dei casi sono elementi di qualità superiore rispetto al resto dell’apparecchio murario che frequentemente è costituito da pietrame informe di piccola e media Fig.6 Cantonale in conci di calcarenite a creare indentatura.

pezzatura; non di rado inoltre, si nota che l’altezza dei conci presenti nel cantonale definiscano un filare orizzontale nel resto del paramento murario.

Fig.7 Cantonale della Torre di Vita, vista laterale.

Fig.8 Cantonale della Torre di Vita, vista angolare.


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CA.1 muratura in pietrame misto infome concio d’indentatura concio sagomato


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2.3 GLI ARCHI E LE VOLTE 2.3.1 Archi L’arco, in generale e quindi anche nell’architettura carinese, si presenta come la migliore risposta alla richiesta di realizzare soluzioni di continuità nelle murature; esso conferisce una gradevole nota estetica e il suo configurarsi come sistema spingente, piuttosto che pesante, rappresenta un notevole vantaggio in determinate situazioni. Quelli censiti in questo studio sono ascrivibili a due categorie: gli archi a tutto sesto, impiegati per realizzare aperture nelle murature ma prevalentemente, come già accennato, Fig.9 Arco d’ingresso in calcarenite.

come parte integrante delle volte nei passaggi coperti pedonali e carrabili, e gli archi ribassati; quest’ultimi producono, a livello statico, delle forti spinte orizzontali che li qualificano a tutti gli effetti come archi di contro spinta. Ultime considerazioni che meritano attenzione sono la presenza, in entrambe le tipologie, di conci ben rifiniti che rendono minimo lo spessore dei giunti di malta e l’invariante costituita dalla forma e dalle dimensioni fra imposta e chiave, accorgimento che mantiene gli spessori pressochè costanti. 2.3.2 Volte

Fig.10 Arco in calcarenite.

Nonostante le volte in pietra a vista hanno in Sicilia una lunga tradizione, sono da ponderare alcune ipotesi sui fattori che ne possono aver inibito nel tempo la costruzione; tra questi i più influenti sono probabilmente di ordine economico e pratico; la volta in pietra a vista doveva essere aspirazione primaria tanto di artefici, quanto di committenti, ma il


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

suo costo, per l’appunto, deve averne scoraggiato più volte l’adozione come soluzione costruttiva. Da non sottovalutare inoltre, le ragioni pratiche oltre che economiche; non è infatti da mettere in secondo piano la mancanza di maestranze specializzate in grado di affrontare i problemi tecnici e costruttivi decisamente superiori che comportano tali strutture. Quelle esaminate sono quindi le ipotesi più accreditate, in grado di giustificare le poche volte esterne presenti nell’edilizia povera del centro storico di Carini; generalmente in pietra sbozzata, sono realizzate in modo tale da configurare

Fig.11 Vista frontale arco di via G. Badalamenti.

dei passaggi coperti, geometricamente identificabili in volte a botte; la presenza di conci ben squadrati ha permesso inoltre di ridurre l’utilizzo di malta e quindi lo spessore dei giunti; dai sopralluoghi effettuati infine, è stata identificata, anche se raramente, in corrispondenza delle aperture nelle murature su cui la volta è impostata la presenza di lunette, unico elemento complesso riscontrato in queste strutture.

Fig.12 Particolare della lesione nell’arco di via San Giuseppe.

Fig.13 Vista frontale dell’arco di via San Giuseppe.

Fig.14 Arco di via San Giuseppe.


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V.1


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

2.4 LE APERTURE 2.4.1 Aperture esterne Lo studio sulle aperture al piano terra ha portato alla descrizione di una modesta casistica, che comprende dai casi più semplici, privilegiati nell’edilizia minore, a quelli più complessi, sintesi di una ricerca statica ed estetica, vanto, soprattutto, dell’edilizia specialistica. La tecnica costruttiva povera della tradizione carinese si affida ad elementi semplici, come l’utilizzo dei conci di calcarenite negli stipiti delle porte, con eventuali conci di indentatura, l’accostamento di più tronchi lignei grezzi per tutto lo spessore murario negli architravi o sempre per quest’ultimi

Fig.16 Apertura con estradosso alla romana.

la scelta di blocchi lapidei monolitici. Le aperture con una maggiore ricerca stilistica fanno dell’arco, a tutto sesto o ribassato, in conci di calcarenite conchiliare o in blocchi di pietra squadrata, il loro punto di forza; altre eccezioni che caratterizzano questa classe di aperture sono la presenza di piattabande, composte da pochi elementi (non più di 5), l’ar-

Fig.15 Apertura ad arco con conci dalla disposizione alternata.

Fig.17 Apertura in posizione d’angolo.


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chivolto, in pietra lavorata e con concio in chiave pronunciato, e la ricerca stereotomica che si concretizza in archi con estradosso alla romana (un solo caso riscontrato). Altri elementi frequenti sono le soglie in conci di calcarenite o in calcare compatto di Billiemi e il sopraluce delle porte, a forma regolare o semicircolare, utile per l’apporto di luce che assicura ai vani scala. Infine il telaio in legno, costante di tutte le aperture, fissato tramite cerniere al controtelaio è costituito da montanti e traversi, lasciati a vista all’interno mentre all’esterno la superficie è resa continua da tavole Fig.18 Apertura con architrave monolitico in pietra.

chiodate.

Fig.19 Apertura con arco a sesto ribassato.

Fig.20 Apertura in calcarenite conchiliare con arco a tutto sesto e conci di indentatura.


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P.1

sopraluce in ferro

infisso ligneo

concio in chiave

concio sagomato per costruire l’arco

concio d’imposta intagliato

concio d’indentatura

piedritto lapideo


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P.2

infisso in ferro

piattabanda composta da cinque elementi

concio di indentatura

soglia in pietra


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P.3

infisso in ferro

estradosso alla romana

soglia in marmo


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P.4

architrave monolitico in pietra compatta

stipite in calcarenite conchiliare

infisso in ferro


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P.5

sopraluce in ferro

infisso ligneo

concio in chiave

concio d’imposta

concio d’indentatura

soglia in pietra


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P.6

infisso ligneo

concio in chiave

concio d’indentatura

soglia in pietra


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2.4.2 Vani finestra Il sistema in esame in realtà non si discosta molto da quello delle aperture su strada; ritroviamo infatti, per l’edilizia povera, gli architravi lignei sopra descritti, eventuali conci di indentatura del vano alla muratura adiacente e gli infissi, costituiti o da un anta cieca mobile o da due ante mobili con doppio finestrino ovvero dei riquadri vetrati con lo scuretto posto internamente. Anche in questa categoria non mancano le eccezioni, rappresentate dalla piattabanda in conci di calcarenite o dall’utilizzo di conci lapidei finemente modanati, traccia inconfondibile di sapienti maestranze nell’arte del taFig.21 Apertura con piattabanda composta da cinque elementi.

glio della pietra.

Fig.22 Apertura con architrave e stipiti in calcarenite conchiliare.

Fig.23 Apertura in pietra da taglio con “orecchie” lapidee.

Fig.24 Apertura in pietra da taglio con conci sagomati.


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F.1

piattabanda lapidea a cinque elementi

concio d’indentatura

davanzale lapideo a due pezzi


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F.2

architrave lapideo monolitico

davanzale lapideo a due pezzi


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F.3

architrave lapideo a tre pezzi

orecchie lapidee


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F.4

architrave lapideo a due pezzi

spalle lapidee


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2.5 GLI AGGETTI 2.5.1 Balconi Il panorama urbano della città di Carini è fortemente caratterizzato dalla presenza dei balconi; con rifermento ai materiali costitutivi più frequenti, vengono trattati i sistemi costruttivi e le specificità dei balconi con suoli in marmo e mensole metalliche, e balconi in pietra da taglio. 2.5.1.1 Balconi con suoli in marmo e mensole metalliche Nell’edilizia del passato il materiale maggiormente utilizzato è stato il ferro, nelle sue diverse costituzioni chimiche e nella produzione e lavorazione, dal ferro dolce alla ghisa, dalla barra forgiata al profilato semi-industriale. Tale materiale, meno nobile rispetto alla pietre, connota da più secoli i balconi della città, con aspetto formale variabile in funzione dell’epoca di realizzazione, dell’importanza della strada e delle funzioni alle quali erano adibiti gli stessi Fig.25 Balcone con suolo in marmo e mensola metallica.

edifici. Le tipologie di mensola metallica maggiormente riscontrabile nelle costruzioni più antiche sono costituite da due elementi in ferro piatto ad andamento rettilineo, ortogonali, righettone verticale e righettone orizzontale, con una larghezza di circa 4-4,5 cm ed uno spessore di circa 1-1,5 cm; invece l’elemento “diagonale”, riconducibile ad un doppio ricciolo, decorato con ferri piatti a motivo floreale, è in ferro quadratino, collegato al telaio di contorno, nei punti di tangenza delle spirali terminali, a mezzo di chiodature. Alla fine degli anni ’70 si hanno le prime notizie certe dell’ap-

Fig.26 Balcone con suolo in marmo e mensola metallica IPE.

plicazione dei profilati metallici, ferri a doppio T, nelle men-


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

sole dei nostri balconi. Anche se staticamente sufficienti, il nudo profilato raramente venne adoperato, in quanto considerato antiestetico ed eccessivamente “meccanico”; gli ornamenti dell’aspetto della mensola riguardavano l’estremità esterna e l’intradosso nei pressi dell’incastro; nei casi meno signorili si limitava a tagliare a 45° la parte terminale dei profilati o a sagomarli secondo linee più sinuose. Le soluzioni più diffuse prevedevano invece l’applicazione all’estremità di un elemento decorativo a forma di goccia stilizzata, detto brindolo; quest’ultimo realizzato interamente in ghisa, con profonde modanature e scanalature, con un’altezza di 8 o 10 cm, provvisto di un’asola passante entro la

Fig.27 Balcone con suolo in marmo e mensola metallica IPE con brindolo.

quale si inseriva l’estremità del profilato, sagomata secondo una conformazione particolare che consentiva la ribattuta dal lato esterno. Per quanto riguarda l’intradosso dei profilati, entrò nell’uso corrente una tipologia ad unico pezzo (sottomensola), ricco di decori in ghisa a riccioli, fiori ed arabeschi, realizzato mediante stampaggio e dotato di spinotti in ferro dolce, necessari per la connessione con il profilato sovrastante, previo inserimento di un ferro piatto, con spessore non superiore a 6-7 mm, che fa da interfaccia fra i due elementi sopra descritti.

Fig.28 Balcone con suolo in marmo e mensola metallica IPE con brindolo e sottomensola.


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B.M.1

Mensola a doppio ricciolo

Bardella


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

B.M.2

Profilato a doppia T

Bardella


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B.M.3

Brindolo

Profilato a doppia T

Bardella


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

B.M.4

Brindolo

Profilato a doppia T

Sottomensola Bardella


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2.5.1.2 Balconi in pietra da taglio Quello dei balconi in pietra da taglio è un segmento di nicchia nel panorama architettonico carinese, ed annovera sporadiche presenze, principalmente negli edifici nobili della città. Il motivo di questa particolarità è da ricercare nella difficile reperibilità di materiale lapideo incline all’intaglio e nella sua capacità di soddisfare le richieste di natura estetica; elemento base del balcone in pietra sono le mensole o gattoni (termine correntemente riferito agli elementi aggettanti da una parete con primaria funzione di sostegno), spesso modanate e arricchite di decorazioni quali foglie stilizzate e forme geometriche; nella casistica riscontrata si presentano composte da un unico pezzo o da più pezzi sovrapposti, quest’ultima soluzione costruttiva dovuta alla maggiore altezza del concio all’incastro dell’unico pezzo, che comporta difficoltà nell’estrazione dalla cava, nel trasporto e nella posa in opera, nonché un sensibile aumento del prezzo di applicazione; nell’esempio sotto proposto si può notare chiaramente Fig.29 Balcone con mensola composta da due elementi.

la discontinuità tra la mensola superiore, aggettante e dallo

Fig.30 Balcone in pietra con mensola composta da un elemento.

Fig.31 Vista d’insieme di un balcone in pietra da taglio.


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

sviluppo longitudinale, ed il pezzo sottostante, più piccolo e tozzo. Sulle mensole poggia un impalcato costituito da diverse lastre di materiale lapideo che mostrano un profilo a gradini; come spesso accade nella tradizione costruttiva siciliana, anche a carini questo sistema risulta giuntato in corrispondenza della mensola centrale. Al di sopra si ha il parapetto, composto da un diaframma di colonnine nei campi centrali e da blocchi parallelepipedi con triglifi negl’angoli. Infine il corrimano in pietra compatta, giuntato anch’esso centralmente.

Fig.32 Vista laterale di un balcone in pietra.

Fig.33 Mensola in pietra decorata con foglie stilizzate.

Fig.34 Vista d’insieme di un balcone in pietra da taglio.

Fig.35 Particolare di un impalcato lapideo.

Fig.36 Particolare dell’intradoso di un impalcato lapideo.

Fig.37 Vista dal basso di una mensola lapidea.


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B.P.

triglifi lapidei

corrimano in pietra compatta

colonnina lapidea lastra in marmo

suolo in lastre lapidee a due pezzi

mensola lapidea a due pezzi


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

2.5.2 Cornicioni Sono elementi che sporgono in modo più o meno accentuato rispetto alla parete esterna dell’edificio, decorato con modanature di fine fattura e talvolta da mensole; assumono la forma di una cornice o di una trabeazione, pur mancando degli elementi di sostegno degli ordini architettonici; altri elementi ricorrenti nei cornicioni dell’edilizia meno povera sono il “listello” e la “gola dritta”; il primo è un elemento di separazione con superficie rettilinea che media tra una più sporgente e una meno sporgente, il secondo un profilo a S disposto obliquamente, con curva concava nella parte sporgente e curva convessa nella parte rientrante. Infine, come coronamento di questi sistemi, troviamo le te-

Fig.38 Soluzione d’angolo del cornicione.

gole marsigliesi sia nell’edilizia povera che in quella specialistica.

2.6 LE COPERTURE Le più diffuse sono anche quelle che caratterizzano la tradizione costruttiva siciliana, ovvero quelle spioventi, a singola o a doppia falda. La loro struttura portante, generalmente non spingente, è in legno, costituita da un orditura principale di travi dalla sezione arrotondata e da un assito di tavole lignee accostate tra loro e opportunamente chiodate alla stessa; al di sopra di tutto questo sistema ritroviamo il manto di coppi o di tegole marsigliesi. Fig.39 Copertura a singola falda in coppi siciliani.


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CAPITOLO 2.7 GLI ELEMENTI TECNICI NON STRUTTURALI 2.7.1 Sistemi di smaltimento delle acque meteoriche Dai sopralluoghi effettuati si è riscontrato l’utilizzo degli embrici esterni costituiti da coppi in laterizio, sovrapposti parzialmente gli uni sugli altri e opportunamente sigillati con malta cementizia per formare dei canali di scolo delle acque; quest’ultimi, nel caso siano compresenti più canali sulla stessa superficie, sono generalmente convergenti, in rari casi si trovano disposti con inclinazione opposta a diverse quote altimetriche; per quanto riguarda i reggicoppi, si è accertata la presenza di chiodi metallici o di elementi sagomati. L’acqua raccolta è poi allontanata dalla superficie esterna Fig.40 Sistema di smaltimento con embrici sostenuti da chiodi metallici.

tramite buttafuori o tramite un sistema formato da imbuto e

Fig.41 Sistema di smaltimento con embrici sostenuti da chiodi metallici.

Fig.42 Sistema di smaltimento con embrici sostenuti da risega.

tubatura in laterizio (“catusato”) o PVC, raramente in eternit.

Fig.43 Sistema di smaltimento con embrici sostenuti da mensolette.


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

S.A.1

embrice in laterizio malta cementizia chiodo metallico buttafuori in laterizio

embrice in laterizio buttafuori in laterizio


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S.A.2

embrice in laterizio

chiodo metallico

catuso in laterzio

malta cementizia catuso in laterzio

embrice in laterizio

reggicoppo metallico

malta cementizia


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini

2.7.2 Scale esterne Le scale tipiche di Carini sono semplici, costituite da 2 o 3 gradini in pietra di Billiemi senza particolari lavorazioni; unica fra queste una piccola voltina ricavata nel gradino più basso, in modo tale da non ostacolare lo smaltimento delle acque piovane che si raccolgono nei canali ai lati delle pavimentazioni stradali; il resto della massa muraria è in pietrame informe, talvolta coperta ai lati della stessa scala da uno strato di malta steso senza particolare attenzione. Altra casistica, anche se più recente, è quella delle strutture in ferro, caratterizzate da una struttura intelaiata, a montanti e traversi. 2.7.3 Sistema di impermeabilizzazione Di particolare rilievo è il sistema di impermeabilizzazione adottato dai carinesi per evitare infiltrazioni d’acqua nelle pareti esterne degli edifici; si tratta di una sovrapposizione parziale dei coppi siciliani, rovesciati e sigillati gli uni agli altri con malta cementizia, in modo tale da creare una barriera impermeabile alle piogge.

Fig.45 Sistema di impermeabilizzazione in coppi siciliani.

Fig.44 Scala in pietra di billiemi.


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2.8 LE PAVIMENTAZIONI ESTERNE Negli ambienti urbani un ruolo importante è dato alle pavimentazioni esterne; nella maggior parte dei casi si riscontrano i cosiddetti “selciati”, costituiti da guide e catene in pietra compatta di modeste dimensioni definendo dei campi, spesso, in ciottoli di varia pezzatura.

Fig.46 Selciato con canale di scolo centrale in pietra compatta.

Fig.47 Selciato con guide e campi in pietra compatta.

Altri tipi di pavimentazione sono il basolato e quella in porfido; la prima è caratterizzata dal perfetto accostamento Fig.48 Basolato in lastre regolari ben accostate.

di conci di forma squadrata; si tratta di lastre di rocce di origine vulcanica o calcarea, di notevole peso e dimensioni, lavorate superficialmente in modo tale da garantire una buona aderenza anche in condizioni di superficie bagnata; infine la seconda tipologia è quella più indicata per uso pedonale e si basa, come è stato accennato sopra, sull’utilizzo del porfido, in cubetti dalla forma cubica irregolare, ottenuta per spaccatura meccanica; i giunti presenti tra questi elementi vengono poi sigillati con la boiacca cementizia.

Fig.49 Pavimentazione in cubetti di porfido.


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Cap.II Materiali e tecniche costruttive nel centro storico di Carini


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

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CAPITOLO III VULNERABILITÀ SISMICA DI UN EDIFICIO NEL CENTRO STORICO DI CARINI


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

L’assenza di normative, metodologie specifiche e strumenti di calcolo dedicati al costruito esistente, ha rappresentato nelle epoche recenti terreno fertile per una progettazione improvvisata e non giustificata; la mancanza di un pensiero razionale, insieme alla noncuranza verso un problema delicato come quello della vulnerabilità sismica, ha comportato conseguenze non indifferenti nel campo delle costruzioni in muratura. Gli edifici concepiti secondo questo vecchio modo di pensare sono spesso caratterizzati da forte disomogeneità e da uno stato di degrado maggiore rispetto ad altre tipologie strutturali, entrambi elementi che, nel caso di aree a sismicità medio-alta, comportano rischi sismici piuttosto elevati. Le conseguenze dei recenti eventi sismici, unitamente ad uno stato avanzato delle ricerche scientifiche sull’argomento, hanno sensibilizzato i professionisti nei riguardi di questo tema anche perché la maggior parte del patrimonio edilizio italiano, e in particolare il tessuto urbano a valenza storico-monumentale, è in muratura. Da queste considerazioni nasce la necessità di adottare approcci e metodologie di intervento diversi che tengano conto oltre che delle caratteristiche strutturali del singolo edificio, anche del contesto in cui esso sorge; viene da sé che questo tipo di lavoro non può prescindere dallo studio dell’aggregato all’interno del quale il generico edificio si localizza; infatti nella maggior parte dei centri storici italiani il costruito si presenta sotto forma di aggregato edilizio. Alla luce di quanto detto si evince la necessità di definire un modello di riferimento per le analisi; a questo proposito le N.T.C. del 2008 dedicano un preciso spazio, il capitolo 8, alle costruzioni esistenti. In particolare vengono definite tre fasi: una relativa al percorso di conoscenza che consente la definizione delle azioni e del modello


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

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di calcolo, una di analisi strutturale per la valutazione della sicurezza nei confronti del sisma atteso, ed infine il progetto di eventuali interventi di consolidamento o di rinforzo strutturale, che possono essere classificati come adeguamento, miglioramento o interventi locali, a seconda delle differenti situazioni. Il percorso di conoscenza su cui ci si è soffermati nel presente studio con riferimento ad un caso tipo si articola nei seguenti passi: un’analisi, che si basa sulla ricostruzione del processo di realizzazione e sulle successive modificazioni subite nel tempo dalla costruzione; il rilievo geometrico-strutturale dell’edificio e delle eventuali strutture in aderenza, unitamente ai dissesti, in atto o stabilizzati, ponendo particolare attenzione all’individuazione dei quadri fessurativi e dei meccanismi di danno; infine, la caratterizzazione meccanica dei materiali tramite documentazioni, verifiche in situ e indagini sperimentali. A valle del percorso di conoscenza, raccolte tutte le informazioni suddette, si potrà individuare il livello di conoscenza (LC1, LC2 o LC3) e definire il correlato fattore di confidenza, da utilizzare nelle verifiche di sicurezza.

3.1 LA VULNERABILITÀ SISMICA 3.1.1 Riferimenti tecnici e normativi Normativa e Linee Guida di riferimento per il rilievo, l’analisi ed il progetto d’intervento: •

Linee Guida per gli interventi di miglioramento sismico degli edifici in aggregato nei centri storici, ReLUIS (a cura di Carocci C., Tocci C., Cattari S., Lagomarsino S.), Marzo 2009;


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

Linee Guida per le modalità di indagine sulle strutture e sui terreni per i progetti di riparazione/miglioramento/ ricostruzione di edifici inagibili, ReLUIS, Bozza Marzo 2010;

Decreto Ministeriale del 14/1/2008. Norme Tecniche per le Costruzioni. G.U. n. 29 del 4/2/2008 suppl. ord. n.30, nel seguito indicato come NTC2008;

Circolare 2 febbraio 2009 n. 617, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Istruzioni per l’applicazione delle “Norme Tecniche per le Costruzioni” di cui al D.M. 14/01/2008. G.U. n. 47 del 26/2/09 suppl. ord. n. 27;

Linee Guida per la riduzione della vulnerabilità di elementi non strutturali, arredi e impianti, Dipartimento della Protezione Civile (a cura di De Sortis A., Di Pasquale G., Dolce M., Gregolo S., Papa S., Rettore G.F.), Giugno 2009;

Linee Guida per la riparazione e il rafforzamento di elementi strutturali, tamponature e partizioni, DPC-ReLUIS, Bozza Agosto 2009. Normativa di riferimento per la presentazione ed esecuzione di interventi di recupero post- sisma e criteri di finanziamento;

Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3820 del 12/11/2009. Ulteriori interventi diretti a fronteggiare gli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo il giorno 6 Aprile 2009 e altre disposizioni di protezione civile, art.7 commi 3-9, nel seguito indicata come O.P.C.M.3820;

Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3827 del 27/11/2009. Ulteriori interventi diretti a fronteggiare gli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo il giorno 6 Aprile 2009 e altre disposizioni di protezione


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civile, art. 10, comma 2,3,4, nel seguito indicata come O.P.C.M. 3827; •

Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3832 del 22/12/2009. Ulteriori interventi diretti a fronteggiare gli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo il giorno 6 Aprile 2009 e altre disposizioni di protezione civile, art.3, nel seguito indicata come O.P.C.M. 3832;

Decreto del Commissario Delegato per la Ricostruzione della Regione Abruzzo n.3 del 09/03/2010.

3.1.2. Inquadramento dell’aggregato e valutazioni preliminari L’individuazione dell’aggregato sta alla base di tutto il procedimento di rilievo ed analisi finalizzato al progetto d’intervento. Al suo interno sono solitamente riconoscibili gli elementi originari ed omogenei che lo hanno generato, da cui ha preso il via il processo di accrescimento edilizio, fino alla saturazione completa degli spazi liberi. Il passo successivo è l’individuazione al suo interno delle unità strutturali omogenee e degli elementi che determinano eventuali interazioni tra di esse. Tale operazione consiste nell’analisi dell’evoluzione costruttiva dell’aggregato e trova un valido riscontro nell’analisi del danno che può verificarsi a seguito di un evento sismico. Infatti, l’interazione tra strutture eterogenee poste in adiacenza determina specifiche tipologie di danneggiamento che si sommano o sovrappongono a quelle che più tipicamente contraddistinguono strutture isolate, non in aggregato. Al fine di individuare univocamente un aggregato edilizio è pertanto necessario indicare quali siano gli spazi (strade, piazze, corti interne, giunti di


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

separazione) che lo rendono strutturalmente indipendente dagli edifici nelle immediate vicinanze. Da qui prende il via la fase conoscitiva dello stesso volta a districare dal punto di vista storico, geometrico, costruttivo e strutturale, le unità edilizie originarie della struttura, a cui si sono aggiunti nel tempo, per giustapposizione, altri edifici in affiancamento, ampliamenti ed interconnessioni che costituiscono i tratti distintivi dell’edilizia in aggregato. Recentemente la normativa italiana ha formalizzato ed aggiornato tali aspetti. Le N.T.C. del 2008 e, in particolare, le relative “Istruzioni per l’applicazione” (Circ. 617 2009) sottolineano di fondamentale importanza la determinazione preliminare delle Unità Strutturali (U.S), cioè quelle porzioni dell’edificato a cui corrisponde una unitarietà comportamentale; l’U.S. viene definita come quella costruzione che presenta continuità da cielo a terra per quanto riguarda il flusso dei carichi verticali e, di norma, sarà delimitata o da spazi aperti, o da giunti strutturali, o da edifici contigui strutturalmente ma, almeno tipologicamente, diversi (par. 8.7.1. N.T.C. del 2008). Tra le interazioni strutturali con gli edifici adiacenti, si dovranno considerare le azioni provenienti dai solai o da pareti di U.S adiacenti, le spinte non contrastate causate da orizzontamenti sfalsati di quota sulle pareti in comune con le U.S. confinanti, le spinte di archi o volte appartenenti ad U.S. contigue, le spinte provenienti da archi di contrasto o tiranti ancorati su altri edifici, gli effetti locali causati da prospetti non allineati o da differenze di altezza o di rigidezza tra U.S. adiacenti, i possibili martellamenti nei giunti tra U.S confinanti e infine le azioni di ribaltamento e di traslazione che interessano le pareti delle U.S. di testata delle tipologie edilizie seriali.


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

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3.1.3. Caso studio Al fine di affrontare concretamente il problema della sicurezza sismica del centro storico di Carini, si è fatto riferimento ad un edificio tipo, che presenta tutte le carenze ed i problemi tipici del centro storico carinese. Per tale edificio il rilievo visivo è stato affiancato da alcune indagini strumentali, grazie al contributo della Geolab, che hanno consentito di giungere ad una buona conoscenza e ad un giudizio sulla qualità degli elementi costruttivi, dei materiali e del loro degrado e, in generale, dei fattori che possono influenzare il comportamento strutturale.

Fig.1 Centro storico di Carini.

L’edificio preso in esame è un fabbricato sito in via Mons. T. Mannino n°7/8, all’interno del quartiere “Chianu Ranni”, e risulta costituito da due corpi, divisi da un vano scala, uno articolato su tre livelli fuori terra, quello di sinistra, e l’altro su quattro livelli, quello di destra. L’evoluzione storica dell’immobile è facilmente riconoscibile dalle tecniche costruttive e dai materiali utilizzati, che testimoniano imme-


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

diatamente come la costruzione originaria fosse costituita da un solo livello, mentre gli altri piani siano stati realizzati in epoche successive.

Fig.2 Quartiere “Chianu Ranni”.

3.2 CONOSCENZA DEL MANUFATTO Coerentemente al percorso di conoscenza definito dal paragrafo 8.5 delle N.T.C. del 2008 si propone, nel seguente capitolo, la conoscenza del manufatto preso in esame. 3.2.1. Rilievo geometrico e descrizione degli ambienti Il primo passo propedeutico alla conoscenza dell’impianto strutturale dell’edificio deriva dalla fase di rilievo geometrico. In virtù delle peculiarità costruttivo-strutturali tipiche


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degli edifici in aggregato, tale operazione non è stata limitata al “singolo” edificio, ma è stata, ove possibile, estesa agli edifici limitrofi; così facendo si è potuto mettere in luce anche l’articolazione spaziale di questultimi. Una visione critica del suddetto rilievo è finalizzata a mettere in luce alcuni aspetti condizionanti la vulnerabilità sismica dell’aggregato o della Unità di Analisi in oggetto. Una visione attenta di questi elaborati di rilievo fornisce già di per sé preziose indicazioni, ed è volta ad individuare le connessioni spaziali Fig.3 Inquadramento aggregato.

fondamentali tra i vari elementi costituitivi l’aggregato (unità edilizio-strutturali), con particolare attenzione ai meccanismi di giustapposizione, sovrapposizione e rifusione edilizia. Come brevemente accennato, l’immobile studiato presenta quattro elevazioni fuori terra ed è composto da due corpi adiacenti con un vano scala in comune. Al piano terra vi sono tre ingressi: il primo, sulla sinistra del prospetto, dà accesso all’ambiente più grande di tutto il pian terreno che è adibito a magazzino; la luce vi entra da un’unica finestra di piccole dimensioni che, da sola, non è sufficiente ad illuminare l’intero vano a pianta quadrangolare. Dalla parete op-

Fig.4 Prospetto su piazza Mons. T. Mannino.

posta all’ingresso si può entrare, tramite una porta a doppia anta, in un ambiente più piccolo e controsoffittato, mentre la porta, sulla parete di destra, si affaccia nel sottoscala, che, a sua volta, permette di accedere al minore degli ambienti finora descritti. Il secondo ingresso è quello principale dell’edificio; attraversandolo si entra nel vano scala, da cui si diramano i vari accessi agli ambienti dell’immobile. Il primo di questi, sulla destra, è prossimo al filo esterno della parete e mette in comunicazione con l’unico vano voltato della prima elevazio-

Fig.5 Ambiente piano terra (corpo di sinistra).

ne fuori terra, al quale è possibile accedere anche da un’im-


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

posta a due ante che si apre sull’esterno, e che costituisce terzo ed ultimo ingresso dell’edificio. L’ambiente, a pianta pseudo-rettangolare, si sviluppa in profondità circa quanto il magazzino precedentemente descritto e, come questo, lungo il suo lato corto, presenta una porta che consente di accedere ad uno dei bagni presenti nella casa, anch’esso provvisto di controsoffitto. Salendo la prima rampa di scale si giunge al primo pianerottolo, dal quale è possibile entrare in due ambienti: il primo, nel corpo di sinistra, è sfalsato della quota di un gradino a salire rispetto al vano di destra ed è la riproposizione dell’am-

Fig.6 Ambiente piano primo (corpo di sinistra).

biente sottostante, però più luminoso, grazie all’imposta che consente l’accesso al primo balcone; anche in questo caso, come nel piano di sotto, una porta permette di accedere ad un’altra stanza, che in questo caso è voltata e nella quale le generatrici della volta sono ortogonali alla direzione di sviluppo del fabbricato, perpendicolare alla via sulla quale si affaccia. Il secondo ambiente, collocato nel corpo di destra, è profondo quanto il primo, ma si differenzia da quest’ultimo poiché più stretto; anch’esso è messo in comunicazione, tramite un’apertura ad arco, con un ambiente voltato il quale

Fig.7 Ambiente piano primo (corpo di destra).

ingloba il sottoscala della seconda rampa della scala principale dell’edificio. Salendo ancora si raggiunge l’ultima elevazione del corpo di sinistra e la penultima di quello di destra. Per quanto riguarda la prima, si nota subito che il piano di calpestio è stato rialzato, ricavando così un’intercapedine, probabilmente utilizzata, in passato, per accatastare la legna da ardere; per colmare il dislivello altimetrico si sfrutta una piccola rampa di 4 gradini posta a ridosso del muro che, il vano in questione, ha in comune con la scala principale. La luce pervade l’am-

Fig.8 Intercapedine nel piano secondo (corpo di sinistra).


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biente attraverso una piccola finestra quadrata ed una porta che consente di accedere ad uno dei terrazzini della casa. Come coronamento di questa porzione di fabbrica vi è un copertura inclinata a singola falda. Dal secondo pianerottolo, tramite due gradini speculari a quelli di accesso all’ambiente sopra descritto, si entra nel secondo piano della parte destra dell’immobile. Qui un disimpegno accoglie una rampa interna di scale, che porta all’ultimo piano dell’edificio, e una porta attraversata la quale si ha, sulla destra, un’apertura Fig.9 Ambiente piano secondo (corpo di sinistra).

che mette in collegamento con una piccola stanza a pianta quadrangolare e ,di fronte, un breve corridoio che si apre su un ambiente geometricamente più regolare e più ampio; quest’ultimo si affaccia sulla via principale grazie ad un balcone. L’ultimo piano, insieme a quello appena descritto, rappresenta un intervento successivo al periodo di nascita dell’immobile, ipotesi accreditata dalle diverse tecniche costruttive riscontrate (delle quali si parlerà più avanti). Oltre ai forni, confinati nell’angolo più interno della stanza, proprio sopra la scala prima accennata, si trova una porta-finestra comuni-

Fig.10 Ambiente terzo piano (corpo di destra).

cante con il minore fra i tre terrazzini del fabbricato; l’ultimo dei tre è accessibile, dall’esterno del secondo, tramite una scala a pioli in legno.


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

RILIEVO GEOMETRICO TAVOLA PLANIMETRIE

1. Planimetria piano terra, quota:+1,70 m

1

2

3

4

5

6

2. Planimetria piano primo, quota:+3,80 m 3. Planimetria piano secondo, quota:+6,80 m 4. Planimetria piano terzo, quota:+10,00 m 5. Planimetria piano quarto, quota:+13,25 m 6. Planimetria copertura


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RILIEVO GEOMETRICO TAVOLA SEZIONI

1

2

1. Sezione A-A 2. Sezione B-B 3. Sezione C-C 4. Sezione D-D

3

4


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

RILIEVO GEOMETRICO TAVOLA PROSPETTO


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

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3.2.2 Rilievo materico–strutturale La fase d’indagine finalizzata alla caratterizzazione dei materiali rappresenta un passo fondamentale nel percorso conoscitivo, avente l’obiettivo di individuare le tecniche d’intervento più idonee. Data l’estrema variabilità degli elementi strutturali che connotano l’edificio, si è ritenuto opportuno affiancare ad una campagna d’indagini visive un piano sisteFig.11 Pietrame informe in corrispondenza del vano scala al piano terra.

matico d’indagini distruttive e debolmente distruttive, al fine di giungere ad una buona conoscenza e ad un giudizio sulla qualità degli elementi costruttivi, dei materiali e del loro degrado e, in generale, dei fattori che possono influenzare il comportamento strutturale. Le indagini sopracitate, come si vedrà nel capitolo successivo, hanno confermato la disomogeneità materico-strutturale del fabbricato esaminato, frutto dei diversi periodi storici che ha attraversato. Le prime elevazioni sono, evidentemente, quelle più antiche e, come nella maggior parte delle costruzioni del centro storico della città di Carini, sono

Fig.12 Pietrame informe al piano terra (corpo di sinistra).

caratterizzate, per tutto il pian terreno, da pietrame informe nel muro prospiciente la strada; i setti murari ortogonali alla stessa sono invece in calcarenite conchiliare. Per quanto riguarda i solai, questi sono costituiti da putrelle in ferro a doppia T e i campi, che le stesse definiscono, sono riempiti da lastre di calcarenite; la volta presente nel corpo di destra prevede, partendo dall’intradosso, un sottile strato d’intonaco, uno strato più evidente in gesso, rinfianchi in pietrame e materiale sciolto e, infine, un sottile strato di malta di calce, collocato al fine di livellare il piano d’appoggio

Fig.13 Foro in corrispondenza del piano di imposta della volta al piano terra (corpo di destra).

per la pavimentazione, quest’ultima realizzata in mattoni di cemento.


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

Fig.14 Collegamento, al piano terra, in corrispondenza dell’apertura d’ingresso, tra il muro perimetrale in pietrame informe ed il muro di spina, del vano scala, in conci di calcarenite.

Al primo piano, salita la prima rampa della scala, realizzata totalmente in conci di calcarenite, cambia il solaio del corpo di sinistra realizzato, anche in questo caso, con putrelle in ferro dalla sezione a doppia T, ma con i campi costituiti da calcestruzzo confezionato con ciottoli di fiume di piccole dimensioni; per quanto concerne il solaio del corpo di destra viene riproposta la tipologia giĂ vista al pian terreno in putrelle e calcarenite (le volte presente al primo piano sono, da un punto di vista costruttivo, identiche a quella preceden-

Fig.16 Muratura in calcarenite al piano primo (corpo di sinistra).

Fig.15 Solaio in putrelle e cls.al piano primo (corpo di sinistra).

Fig.17 Particolare del pacchetto del solaio al piano secondo (corpo di destra).


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

133

temente descritta, differenziandosi solo per le dimensioni). Al secondo piano, nel corpo di sinistra, non si sono riscontrate differenze nelle strutture verticali; è presente, invece, la prima copertura dell’immobile costituita da un sistema pesante a singola falda, formato da un’orditura principale di travi lignee a sezione circolare, un assito di tavole accostate tra loro e chiodate all’orditura principale e un manto di coppi siciliani. Nel corpo di destra i solai più bassi, presenti negli ambienti più piccoli, ripropongono ancora una volta il siFig.18 Copertura in coppi siciliani (corpo di sinistra).

stema costruttivo del pian terreno, mentre il solaio del vano principale è realizzato in calcestruzzo armato. La rampa di scale interna che collega verticalmente il secondo e il terzo piano, sovrastata da voltine dal profilo ribassato, porta infine a quello che, dalle indagini effettuate, risulta essere il piano più recente; ipotesi confermata dal muro di separazione con l’esterno, realizzato in blocchi di cemento pomice. Infine si trova la copertura, un solaio piano in calcestruzzo armato. Per quanto riguarda tutti gli infissi della fabbricato si ritrovano legno e vetro; predominante il marmo nella pavimentazione dei balconi, sorretti questultimi da putrelle a doppia T

Fig.19 Solaio in cls armato al piano secondo (corpo di destra).

e sovrastati da semplici parapetti con elementi in ferro. Dalle informazioni ricavate dalle prove della Geolab sono state identificate tre malte di composizione differente, ognuna di un periodo storico diverso: si ha malta di calce (la più antica), malta di gesso, successiva alla prima, e malta cementizia, la più recente e presente principalmente nell’ultimo piano.

Fig.20 Blocco in cemento pomice del tramezzo al piano terzo (corpo di destra).


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

RILIEVO MATERICO TAVOLA PLANIMETRIE

LEGENDA: Muratura in conci di calcarenite Muratura in pietrame misto Muratura in blocchi di cemento pomice Volta in gesso Solaio in putrelle e calcarenite Solaio in putrelle e calcestruzzo Solaio ligneo di copertura Solaio in calcestruzzo armatto Non classificato

1. Planimetria piano terra, quota:+1,70 m

1

2

3

4

5

6

2. Planimetria piano primo, quota:+3,80 m 3. Planimetria piano secondo, quota:+6,80 m 4. Planimetria piano terzo, quota:+10,00 m 5. Planimetria piano quarto, quota:+13,25 m 6. Planimetria copertura


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

RILIEVO MATERICO TAVOLA ASSONOMETRIA

Nota: per la legenda fare riferimento alla tavola planimetrica del rilievo materico.


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137

3.2.3. Rilievo dei dissesti e del quadro fessurativo Da una scrupolosa indagine visiva sono state rilevate diverse zone critiche nella struttura, prima fra queste il pian terreno del corpo di sinistra dell’edificio. Avendo come riferimento la sezione D-D, le lesioni rilevate sulla parete in comune con la scala principale hanno mostrato di non limitarsi semplicemente al piano citato, ma proseguono nella parete sovrastante, con un allontanamento delle cuspidi superiori dal prospetto. Dall’inclinazione delle lesioni potrebbe farsi spazio l’ipotesi di un cedimento differenziale, accompagnato da avvallamenti della pavimentazione del primo piano; in particolare si registrano lesioni verticali, di circa 1 metro di lunghezza, al di sotto degli elementi in ferro del solaio (effetto dei carichi concentrati), sia al primo piano che al Fig.21 Lesioni in corrispondenza delle putrelle del solaio al piano terra (corpo di sinistra).

pian terreno. Un’altra considerazione significativa da fare è riguardante la deformazione rombica dell’apertura presente nel paramento finora descritto, alla prima elevazione, testimoniata dall’impossibilità di chiudere l’infisso ad essa incernierato. Dall’andamento delle lesioni e dal problema legato all’infisso che rade il suolo a causa della deformazione del vano, è possibile dedurre che il cedimento relativo interessi la porzione di edificio al di sotto dell’apparecchio murario del pian terreno che ospita l’infisso a doppia anta. Nel corpo di destra, sempre al piano terra, si trova una situazione simile, anche se meno evidente; l’unico segno visibile di un possibile cedimento differenziale, legato a quello precedentemente descritto, sta nella deformazione rombica dell’apertura presente nel muro ortogonale al prospetto, in

Fig.22 Lesione in corrispondenza della putrella del solaio al piano primo (corpo di sinistra).

prossimità di quest’ultimo. Altra situazione altrettanto problematica è quella relativa alla


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

parte di facciata del corpo di destra che interessa le prime tre elevazioni. Da una analisi visiva scrupolosa si è riscontrato un distacco della parete esaminata dagli orizzontamenti dei vari piani, testimoniata da una serie di lesioni che corrono lungo tutto il filo interno del prospetto; concorde con questa lettura del quadro fessurativo è, inoltre, una lesione orizzontale, individuata al pian terreno in corrispondenza dell’architrave, la cui distanza tra le cuspidi copre l’intero vano di apertura. Il cordolo in cemento armato individuato alla sommità del secondo piano e l’orditura del solaio dei due piani sottostanti, parallela al prospetto dell’edificio, fanno

Fig.23 Distacco tra solaio e muro del prospetto al piano secondo (corpo di destra).

ipotizzare un meccanismo di flessione verticale, nel quale due cerniere orizzontali si trovano, rispettivamente, alla base del piano terra e alla sommità del secondo piano proprio dove si trova il suddetto cordolo, essendo la porzione di parete fra queste cerniere non vincolata al livello degli orizzontamenti in quanto costituiti da solai orditi nella direzione parallela alla parete stessa. La terza cerniera del meccanismo si suppone che si localizzi in corrispondenza del solaio della prima o della seconda elevazione, o in una posizione intermedia tra queste.

Fig.24 Lesione orizzontale in corrispondenza del vano porta al piano terra (corpo di destra).

Addentrandosi nell’ambiente del primo piano del corpo di destra si nota, nell’apertura arcuata, in prossimità della chiave dell’arco, una lesione verticale passante da attribuire, con buona probabilità, all’apparecchio murario in conci di calcarenite presente nel piano superiore, proprio in corrispondenza della lesione stessa. Attraversando tale apertura, si osservano delle lesioni sul setto murario in comune con la seconda rampa della scala principale; tali lesioni in buona parte passanti attraversano i conci, spaccandoli di netto; dalla direzione delle stesse si può ragionevolmente ipotizzare

Fig.25 Lesione passante in prossimità della chiave dell’arco al piano primo (corpo di destra).


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che siano dovute ad un eccesso di carico verticale. Infine l’ultima zona coinvolta nello studio del quadro fessurativo è quella dell’ultimo piano del corpo di destra, cronologicamente il più recente. Qui le lesioni, la cui ampiezza del ventre non supera qualche millimetro, hanno un andamento orizzontale, segnando tutta la parete che si affaccia sulla scala (visibile nella sezione C-C); la causa è probabilmente da ricondurre all’eccessivo irrigidimento dovuto alla presenza del codolo che produce elevate sollecitazioni tangenziali a Fig.26 Lesioni passanti in corrispondenza del muro di separazione tra la seconda rampa del vano scala e l’ambiente del primo piano (corpo di destra).

contatto con la muratura con conseguenti scorrimenti e disgregazioni di quest’ultima; per quanto riguarda le lesioni sub-verticali, localizzate in corrispondenza dell’accostamento tra i conci più datati e quelli più recenti nella stessa parete, queste possono esser attribuite alla discontinuità materica al cui contatto si manifestano degli scorrimenti (fig.27). Una nota importante, suggerita dalle prove condotte dalla Geolab, riguarda le malte utilizzate all’interno dell’edificio. Infatti, da un’analisi empirica del campione di malta estratto dal fabbricato, si è potuta appurare la scarsa capacità coesiva della malta di calce (si sbriciola al tatto); questo spiegherebbe il perché questa si trovi inglobata nella malta di gesso, probabilmente aggiunta successivamente proprio per

Fig.27 Vista del cordolo in cls armato e della giustapposizione dei diversi conci in calcarenite nell’ultima elevazione (corpo di destra).

compensare il sopraggiunto degrado della prima. Tuttavia, la riflessione più importante a cui porta questa considerazione è che la cattiva qualità della malta e l’elevato spessore dei giunti, possa aver influito sulle lesioni che interessano i conci di calcarenite tanto al pian terreno, nel vano scala principale, quanto al primo piano, in corrispondenza della seconda rampa dello stesso.


140

Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

QUADRO FESSURATIVO TAVOLA SEZIONI

1

2

Sezione A-A Sezione B-B Sezione C-C Sezione D-D

3

4


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142

Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

3.3 INDAGINI PER LA CARATTERIZZAZIONE MECCANICA DEI MATERIALI 3.3.1 Diagnostica strumentale In questo capitolo si riportano i risultati delle indagini sperimentali eseguite, dalla Geolab, su alcuni paramenti murari e sulle volte dell’edificio preso in esame. In particolare sono state eseguite: •

una prova con martinetto piatto (singolo) per determinare lo stato tensione attuale agente sulla muratura;

una prova con martinetti piatti (doppi) per determinare le caratteristiche meccaniche (resistenza e deformabilità) della muratura stessa;

quattro indagini con sonda ottica (endoscopie) per verificare le caratteristiche delle volte;

prelievo di una carota da un blocco di calcarenite per prova di compressione;

prelievo di un campione di malta per microanalisi.

3.3.1.1 Prova su muratura mediante martinetto piatto singolo Normativa di riferimento: •

ASTM C 1196-91 – In situ compressive stress within solid unit masonry estimated using flat jack measurements;

R.E.L.U.I.S. Sub Task 3b.3: Misura in situ dello stato di sforzo mediante l’uso di martinetto piatto singolo.

La prova è stata eseguita al piano terra, in corrispondenza del vano scala, ad un’altezza dal piano di calpestio di 1 m.


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143

Essa ha lo scopo di misurare la tensione presente sul paramento murario. La tecnica per la determinazione dello stato di tensione si basa sul fatto che un taglio eseguito in un solido sollecitato annulla le tensioni agenti sulle facce generate dal taglio stesso. Si descrive brevemente la procedura per la determinazione dello stato di sollecitazione. Tre coppie di punti di riferimento, basi deformometriche, sono state applicate sulla superficie della muratura ed è stata misurata la loro distanza attraverso un deformometro mecFig.28 Rimozione intonaco.

canico di precisione delle DEMEC, con base di misura pari a 200 mm. Successivamente è stato realizzato un taglio perpendicolare alla superficie della muratura, eseguito mediante una troncatrice idraulica dotata di lama diamantata anulare a trazione eccentrica. Ripetuta la misurazione a taglio effettuato, è stato inserito il martinetto in acciaio ad elevata deformabilità, di forma semiovale allungata con una superficie di 69.426 mm2 ed un coefficiente di taratura Km pari a 0,88. Per la messa in pressione del martinetto è stata utilizzata una pompa manuale modello Glötzl GmbH a mandata fine, dotata di due manometri di precisione di classe 0,6 con fondo

Fig.29 Collocazione delle basette di riferimento.

scala rispettivamente di 25 e 100 bar.

Fig.30 Esecuzione del taglio.

Fig.31 Inserimento del primo martinetto.


144

Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

La prova si è considerata conclusa quando tutte le basi di misura, la cui distanza viene misurata nuovamente tramite il deformometro, sono ritornate alla distanza precedente lo svolgimento della prova. Il carico è stato applicato ad incrementi di 1 bar; per ciascun incremento è stata effettuata la lettura delle basi deformometriche. Il livello tensionale misurato per riportare la distanza tra i due lembi della fessura alla condizione precedente il taglio è di 1,6 daN/cm2. 3.3.1.2 Prova su muratura mediante martinetto piatto doppio

Fig.32 Pompa manuale modello Glötzl GmbH.

Normativa di riferimento: •

ASTM C 1197-91 – In situ compressive stress within solid unit masonry estimated using flat jack measurements;

R.E.L.U.I.S. Sub Task 3b.3: Misura in situ dello stato di sforzo mediante l’uso di martinetto piatto doppio.

Tale prova è stata eseguita nella stessa porzione muraria sulla quale è stata effettuata la prova con martinetto singolo sfruttando quest’ultimo. Essa consiste nell’introdurre nella

Fig.33 Inserimento del secondo martinetto.

muratura un secondo martinetto piatto, parallelo al primo, inglobando una porzione muraria che costituisce il campione che viene assoggettato ad uno stato tensionale di compressione. Successivamente quattro coppie di punti di riferimento, basi deformometriche, tre poste in verticale, per ottenere un valore medio, ed una in orizzontale, per determinare la deformazione trasversale, sono state applicate sulla superficie della muratura ed è stata misurata la loro distanza, attraverso il medesimo deformometro utilizzato durante la prova con martinetto singolo. Nel corso della prova sono stati

Fig.34 Particolare della fuoriuscita dei due martinetti dal muro interessato dalla prova.


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145

eseguiti quattro cicli di carico incrementando gradualmente il livello di sollecitazione, a mezzo della stessa pompa manuale utilizzata per la prova con martinetto singolo; i primi tre cicli, a valori bassi di carico, sono di assestamento; il quarto, spinto fino al valore di incipiente rottura, raggiunge i 20 bar di pressione, che corrispondono ad una tensione pari a 15 daN/cm2. 3.3.1.3 Sintesi dei risultati ottenuti mediante le prove con Fig.35 Misurazione tramite deformometro meccanico delle DEMEC.

i martinetti Di seguito, si riportano in tabella i risultati sperimentali piÚ significativi delle prove eseguite con martinetto singolo e doppio sul paramento murario, forniti dalla Geolab ed il grafico elaborato per il calcolo del modulo di elasticità in corrispondenza del 4° ciclo; il suddetto modulo è stato valutato nel range di tensione 3-15 MPa come indicato in Tab.2, e risulta pari a 1157,5 MPa.

Tab.1 Dati, forniti dalla Geolab, ottenuti dalla prova con i martinetti piatti.

Tab.2 Retta di interpolazione lineare ricavata dai dati del quarto ciclo.


146

Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

3.3.1.4 Prova su volte mediante indagini video-endoscopiche Per ottenere un quadro conoscitivo completo, è stato ritenuto necessario effettuare delle prove che consentissero di approfondire la conoscenza degli orizzontamenti presenti nell’edificio campione. In particolare, la ditta Geolab, ha eseguito le due prove endoscopiche nell’immobile, in due ambienti voltati, posti uno al piano terra e l’altro al primo piano (vedi planimetrie). L’esame endoscopico è stato effet-

Fig.36 Video-boroscopico.

tuato con un video-boroscopio estensibile, dispositivo ottico costituito da una telecamera del diametro di 10 mm dotata di led, in foro verticale ottenuto mediante perforazione con trapano a percussione del diametro di circa 30 mm, successivamente ripulito con l’ausilio di aria e spazzole in plastica. Per ciascuna volta (E1-E2 quella del piano terra ed E3-E4 quella del primo piano) sono state effettuate due analisi, una in prossimità della chiave ed una in prossimità del piano alle reni, consentendo una dettagliata lettura della geometrie degli orizzontamenti in termini di spessori dei materiali (vedi allegati). Dai fotogrammi delle endoscopie effettuate nella

Fig.37 Esecuzione del foro (E1).

volta del piano terra, si riscontra materiale compatto (gesso) per uno spessore di 8 cm nella zona in chiave e di 10 cm in prossimità del piano alle reni; mentre nella volta del primo livello,sia in chiave che alle reni, si riscontra materiale compatto (gesso) per uno spessore di 13 cm. Come in precedenza, si riportano in allegato la planimetria con l’ubicazione delle indagini, i rapporti e le procedure di prova. Fig.38 Inserimento sonda flessibile all’interno del foro (E1).


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

147

3.3.1.5 Analisi mineralogico-petrografica di un campione di malta Normativa di riferimento: •

UNI 11176:2006 Beni culturali - Descrizione petrografica di una malta

Durante la campagna di indagini si è ritenuto opportuno esaminare, dal punto di vista mineralogico, la malta presente Fig.39 Estrazione in situ della malta.

nell’immobile preso in esame, al fine di ottenere un quadro il più possibile completo sulle tipologie di malte utilizzate nel territorio del centro storico. L’estrazione del campione è avvenuta al primo piano dell’immobile (vedi tav. planimetrie), ad un’altezza dal piano di calpestio di circa 1,70 m, in prossimità del piano d’imposta della volta. Il campione estratto è stato analizzato direttamente in situ attraverso un analisi visiva macroscopica, per definire in maniera qualitativa il tipo di legante; successivamente è stato portato in laboratorio per un’analisi mediante diffrattometria a raggi X (XRD). Dall’analisi effettuata, con

Fig.40 Preparazione campioni di malta in laboratorio.

un diffrattometro PANALYTICAL X’PERT PRO, si evince che il campione è costituito da frammenti di malta di due tipologie; la prima, denominata M1A, costituita in prevalenza da clasti a composizione silico-carbonatica, di dimensione compresa tra 0,3 e 0,5 mm, e da una matrice legante formata da calcite a struttura microcristallina; la seconda, denominata M1B, è costituita interamente da gesso. Si riportano in allegato, come per le altre analisi, i rapporti e le procedure di prova, nonché l’ubicazione del punto di

Fig.41 Inserimento dei campioni di malta all’interno del microscopio elettronico.

estrazione del campione.


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

3.3.1.6 Determinazione della resistenza a compressione Normativa di riferimento: •

UNI EN 12504-1:2009 Prove sul calcestruzzo nelle strutture- Parte 1:Carote, prelievo, esame e prova di compressione;

UNI EN 1926:2007 Metodi di prova per pietre naturaliDeterminazione della resistenza a compressione uniassiale.

Durante la campagna di indagini si è ritenuto necessario

Fig.42 Preparazione del supporto della carotatrice.

determinare la resistenza a compressione della calcarenite conchiliare, materiale principe della tradizione costruttiva del paese in esame, proveniente dalle cave della frazione di Bivio Foresta. Il prelievo è avvenuto nell’immobile preso come oggetto di studio, in particolare al piano terra, in una zona adiacente alla porzione muraria sulla quale è stata effettuata la prova con i martinetti. L’estrazione della carota è stata effettuata a mezzo di una carotatrice HILTI, modello DD 160, con una fresa a tazza dal diametro di 7,5 cm, opportunamente livellata in modo tale

Fig.43 Esecuzione del carotaggio.

da assicurare la perpendicolarità e la rettilineità dei provini. Durante l’avanzamento della perforazione, avvenuta molto lentamente, un getto d’acqua continuo ha permesso il raffreddamento e soprattutto la lubrificazione della superficie di contatto fra il tubo di carotaggio e la muratura, in modo da evitare l’attrito fra i due materiali ed il possibile trasferimento di momento torcente alla carota. Effettuata l’estrazione, il campione, avente un’altezza iniziale pari a 15 cm, è stato portato in laboratorio per essere diviso in due parti con altezze pari al diametro dello stesso,

Fig.44 Estrazione della carota.


149

Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

rispettivamente denominate C1-int e C1-est. Prima di iniziare la prova, come previsto dalla norma UNI EN1926 del 2007, i due provini sono stati opportunamente misurati al fine di determinarne le effettive dimensioni e pesati, pre- e post- essiccamento avvenuto ad una temperatura di circa 70°C. Per quanto riguarda l’apparecchiatura usata per la prova di compressione monoassiale sui due campioni, è stata utilizzata una macchina Galbadini CTM60, con un carico massimo Fig.45 Misurazione della carota.

applicabile pari a 600 kN. I due campioni sono stati disposti, uno per volta, al centro del piatto inferiore della macchina e successivamente è stata effettuata la prova; questa è stata eseguita applicando un precarico di 1 kN e procedendo, a controllo di forza, sino alla completa rottura del campione, incrementando il carico di 0,20 (N/mm2)/s. La prova ha dato come esito una resistenza a compressione R di 4,93 MPa per il campione C1-est e di 4,85 MPa per C1-int. Come per le altre prove si riportano in allegato la planimetria con l’ubicazione delle indagini, i rapporti e le procedure di prova.

Fig.46 Galbadini CTM60.

Fig.47 Sistemazione del campione nella macchina.

Fig.48 Rottura del provino.


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

3.3.2 IQM caso studio Sulla scia del lavoro descritto nel capitolo 2 di questo laboratorio di tesi, è stata elaborata anche la scheda IQM relativa alla muratura del vano scala, prossima al filo esterno della facciata, la stessa dove ha avuto luogo la prova con i martinetti. L’intento è stato quello di verificare la bontà del metodo tramite un confronto con i dati sperimentali risultanti dalle prove. Seguendo l’iter già descritto precedentemente per l’Indice di Qualità Muraria, si è avuta la conferma dell’attendibilità del lavoro finora eseguito, ovvero si è riscontrato che la muratura in esame appartiene alle sottocategorie già studiate nel capitolo precedente, confermando quindi queste come rappresentative delle costruzioni del centro storico di Carini. Procedendo con l’attribuzione dei punteggi, secondo quanto previsto dal metodo IQM, si ottengono i valori riportati nella Tabella 3, che conducono ai risultati sintetizzati nella scheda della muratura dell’immobile oggetto di studio, riportata a pagina 151.

Tab.3 Sintesi dei valori per l’I.Q.M.

Infine per determinare una correlazione fra IQM ed i valori meccanici della muratura proposti dalle N.T.C. del 2008 (IQM verticale con fm; IQM nel piano con τ0; IQM verticale con E) vengono utilizzati tre diversi diagrammi cartesiani,


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

151

uno per ogni parametro, aventi in ascissa IQM (verticale o nel piano) ed in ordinata il parametro meccanico d’interesse (fm, τ0 oppure E, minimo e massimo).

Tab.4 Diagramma IQM verticale-fm

Tab.5 Diagramma IQM nel piano-Ď„o.

Tab.6 Diagramma IQM verticale-E


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

153

3.3.3 Analisi dei carichi È stata effettuata un’analisi dei carichi in corrispondenza della porzione di muratura interessata dalla prova con il martinetto piatto singolo, con l’obiettivo di confrontarne i risultati con i dati ottenuti sperimentalmente. Innanzitutto è stata individuata la porzione di muratura da analizzare: una striscia verticale in conci di calcarenite larga 1 m e profonda 0,24 m (spessore muro). Successivamente sono state definite le aree di influenza relative alla zona di muratura in oggetto, considerando una porzione pari alla metà dei solai che insistono, piano per piano, sulla suddetta zona di muratura. Per ogni porzione, geometricamente definita, sono state poi compilate le schede di seguito allegate, con il calcolo dei pesi derivanti dai materiali componenti. Tutto ciò ha portato, come risultato, al calcolo del carico agente in corrispondenza dell’area interessata dalla prova sperimentale sopra citata, che è pari a 58,24 kN. Determinato il suddetto carico è stato possibile ricavare la tensione che grava sull’area interessata, che è pari a 2,4 daN/cm2. Il peso specifico della calcarenite, utilizzato nell’analisi dei carichi, è quello ricavato sperimentalmente dalla Geolab, pari a 15 kN/m3, così come si evidenzia nel certificato a pagina 188.


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Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

ANALISI DEI CARICHI SCHEMA ASSONOMETRICO

LEGENDA: 1. Muratura ad una testa in conci di calcarenite 2. Solaio in putrelle di ferro e blocchi di calcarenite 3. Voltina in gesso e calcarenite 4. Muratura ad una testa in conci di calcarenite 5. Voltina in gesso e calcarenite 6. Solaio in putrelle di ferro e calcestruzzo 7. Muratura ad una testa in conci di calcarenite 8. Solaio in calcestruzzo armato 9.Muratura ad una testa in conci di calcarenite

4

1. Assonometria porzione analizzata 3

2. Planimetria piano terra, quota:+1,70 m 3. Planimetria piano primo, quota:+3,80 m 4. Planimetria piano secondo, quota:+6,80 m

1

2


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

8

9

7

6 5

4

3

2

1

155


156

Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

1

Muratura ad una testa in conci di calcarenite

Pesi propri ( G1 )

kN

Conci di calcarenite

10,69

Carichi permanenti ( G2 )

kN

Intonaco interno

2,13

TOTALE

12,83

2

Solaio in putrelle di ferro e blocchi di calcarenite

Pesi propri ( G1 )

kN

Putrelle in ferro

0,000157

Blocchi di calcarenite

2,89

Carichi permanenti ( G2 )

kN

Pavimentazione

0,73

Massetto

0,63

Intonaco intradosso

0,62

TOTALE

4,87

3

Voltina in gesso e calcarenite

Pesi propri ( G1 )

kN

Materiale sciolto in calcarenite

0,36

Volta in gesso

0,099

Carichi permanenti ( G2 )

kN

Pavimentazione

0,15

Massetto

0,13

Intonaco intradosso

0,13

TOTALE

0,88


157

Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

4

Muratura ad una testa in conci di calcarenite

Pesi propri ( G1 )

kN

Conci di calcarenite

8,5

Carichi permanenti ( G2 )

kN

Intonaco interno

2,07

TOTALE

10,57

5

Voltina in gesso e calcarenite

Pesi propri ( G1 )

kN

Materiale sciolto in calcarenite

0,36

Volta in gesso

0,099

Carichi permanenti ( G2 )

kN

Pavimentazione

0,15

Massetto

0,13

Intonaco intradosso

0,13

TOTALE

0,88

6

Solaio in putrelle di ferro e calcestruzzo

Pesi propri ( G1 )

kN

Putrelle in ferro

0,000167

Soletta in calcestruzzo

3,53

Carichi permanenti ( G2 )

kN

Massetto

0,89

Intonaco intradosso

0,67

TOTALE

5,10


158

Cap.III Valutazione della vulnerabilità sismica di un edificio nel centro storico di Carini

7

Muratura ad una testa in conci di calcarenite

Pesi propri ( G1 )

kN

Conci di calcarenite

6,56

Carichi permanenti ( G2 )

kN

Intonaco interno

0,92

Intonaco esterno

0,87

TOTALE

8,35

8

Solaio in calcestruzzo armato

Pesi propri ( G1 )

kN

Soletta in calcestruzzo armato

9,7

Carichi permanent ( G2 )

kN

Pavimentazione

0,72

Massetto

0,82

Intonaco intradosso

0,62

TOTALE

11,86

9

Muratura ad una testa in conci di calcarenite

Pesi propri ( G1 )

kN

Conci di calcarenite

2,27

Carichi permanenti ( G2 )

kN

Intonaco esterno

0,60

TOTALE

2,87

RISULTATO FINALE

58,24


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

159

3.3.4 Sintesi finale dei risultati ottenuti tramite i diversi approcci Come visto nei precedenti paragrafi, le analisi del manufatto condotte tramite i diversi approcci sono state finalizzate, fondamentalmente, alla caratterizzazione dello stato tensionale agente su una porzione prescelta di muratura e alla determinazione delle caratteristiche meccaniche della muratura in quella stessa zona. Per quanto concerne la determinazione dello stato tensionale, quest’ultimo è ricavato attraverso la prova con martinetto piatto singolo ed il risultato ottenuto viene avvalorato dall’esito dell’analisi dei carichi condotta. I valori ottenuti in merito a questo primo studio vengono di seguito riportati. •

Stato tensionale determinato con martinetto piatto singolo: 16 N/cm2

Stato tensionale determinato con analisi dei carichi: 24 N/cm2

Come si può notare, i due valori sono molto prossimi tra loro; l’approssimazione per eccesso ottenuta tramite l’analisi dei carichi è dovuta probabilmente alla sovrastima del peso specifico della muratura (assunto pari a quello della calcarenite) oltre al fatto che si tratta della stima di un valore medio di tensione, ottenuto trascurando l’eventuale presenza di eccentricità dei carichi verticali. Si sono poi stimate le caratteristiche meccaniche della muratura, ovvero la resistenza media a compressione fm, la resistenza a taglio media τ0 ed il modulo di elasticità normale E. Volendo trattare dapprima la resistenza fm, questa è stata ri-


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cavata sfruttando tre possibili approcci, ovvero la prova con martinetti piatti doppi, il metodo di analisi IQM e, infine, le indicazioni fornite dalla normativa (Circolare 2009), facendo riferimento alla tipologia di muratura che più si avvicina a quella in esame; in particolare, tra le tipologie elencate nella Tabella C8A.2.1 della Circolare, ci si è riferiti alla “Muratura a conci di pietra tenera”. I valori ottenuti sono riportati di seguito. •

Prova con martinetti piatti doppi: fm = 150 N/cm2

Metodo di analisi IQM: fm = 160.10 – 272,04 (min-max) N/cm2

Tabelle normative: fm = 140 - 240 (min-max) N/cm2

I valori ricavati tramite i diversi approcci sono molto vicini tra loro e confermano, dunque, l’affidabilità del metodo IQM utilizzato. Una prima osservazione può essere fatta in merito al rapporto tra la tensione esistente in situ, di cui detto prima, ed il valore di resistenza a compressione ottenuto attraverso la prova con martinetti piatti doppi: la fc risulta essere un decimo della fm, ovvero la muratura sarebbe capace di resistere ad una tensione dieci volte maggiore rispetto a quella a cui effettivamente è soggetta in situ; ne deriva che si ha un fattore di sicurezza circa pari a 10. Un ulteriore confronto può essere effettuato con i dati ottenuti dalle prove di compressione monoassiale, condotte in laboratorio dalla ditta Geolab, sulle carote estratte in situ; detti valori risultano pari a 493 e 485 N/cm2 rispettivamente per i due provini ricavati dalla carota. Anche questo confronto avvalora l’attendibilità dei risultati ottenuti, in quanto è palese che la resistenza media a compressione del blocco di


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muratura debba essere nettamente superiore rispetto a quella relativa alla muratura intesa come assemblaggio di blocchi e malta. Le N.T.C. del 2008 forniscono, al capitolo 11, delle tabelle in merito alla valutazione fk (resistenza caratteristica a compressione) della muratura, dedotta a partire dalla resistenza a compressione dei blocchi e dalla classe di appartenenza della malta; considerando un valore in ingresso di 489 N/cm2 (valore medio, dedotto da prova monoassiale) per il blocco e considerando la malta di qualità il più possibile scadente (in accordo con lo stato effettivo della malta rilevato in situ), si ricava, per interpolazione, un valore di resistenza pari a 295 N/cm2. Anche questo valore non risulta essere molto lontano da quelli sopra citati, dando un’ulteriore conferma dell’affidabilità delle analisi condotte. Altra caratteristica meccanica ricavata dall’utilizzo dei doversi approcci è il modulo di elasticità normale E. I valori ottenuti sono di seguito riportati. •

Prova con martinetti piatti doppi: E = 1157 N/mm2

Metodo di analisi IQM: E = 832.11 – 1215.58 (min-max) N/mm2

Tabelle normative: E= 900 - 1260 (min-max) N/mm2

Anche in questo caso si ottengono dei risultati ottimali. L’ultima caratteristica meccanica ricavata è la resistenza a taglio media τ0. I valori ottenuti tramite l’uso dei diversi metodi sono di seguito riportati. •

Metodo di analisi IQM: τ0 = 3.2 – 4.9 (min-max) N/cm2

Tabelle normative: τ0 = 2.8 – 4.2 (min-max) N/cm2

In questo caso si ottengono dei range di valori non supportati da prove sperimentali, ma il confronto dei dati inerenti


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i valori di resistenza a compressione e modulo di elasticità, ricavati tramite i diversi approcci, ha già validato tanto l’attendibilità del metodo IQM quanto la buona approssimazione fornita dall’utilizzo delle tabelle normative; motivo per il quale i valori di τ0 forniti possono essere accettati come buoni e confrontati tra loro. Com’è evidente, anche in quest’ultimo caso i risultati ottenuti sono assolutamente confrontabili. Sempre al capitolo 11 delle N.T.C. del 2008 vi sono delle tabelle in merito alla valutazione fvk (resistenza caratteristica a taglio) della muratura, dedotta, come nel caso della fk, a partire dalla resistenza a compressione dei blocchi e dalla classe di appartenenza della malta. Considerando gli stessi valori di ingresso del caso precedente, si ricava in uscita un valore di resistenza sicuramente inferiore a 10 N/cm2 ; si tratta, dunque, di un numero che non si scosta di molto dall’ordine di grandezza dei valori sopra riportati.


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3.3.5 Ipotesi sul meccanismo locale di collasso MECCANISMO DI FLESSIONE VERTICALE I meccanismi ipotizzati si attivano attraverso la rotazione della porzione di prospetto del corpo a destra del vano scala; i cinematismi in esame prevedono due cerniere cilindriche orizzontali, una al piede del prospetto e l’altra in corrispondenza del cordolo della terza elevazione. Condizioni di vincolo della parete interessata dal meccanismo: - Scarso grado di ammorsamento con le pareti ortogonali. Carenze e vulnerabilità associate al meccanismo: - Assenza di cordoli nelle prime due elevazioni fuori terra;

Prospetto su via Mons. T. Mannino

- Assenza di catene ai piani; - Orizzontamenti mal collegati; - Paramenti mal collegati. Sintomi che manifestano la possibile attivazione del meccanismo: - Lesioni profonde in corrispondenza dell’ipotetico collegamento tra orizzontamento e parete interessata dal meccanismo; - Lesione orizzontale in corrispondenza della cerniera ipotizzata in prossimità del cordolo della terza elevazione; h4

h4

h4

h3

h3

h3

h2

h2

h2

h1

h1

h1

Sezioni dei tre possibili meccanismi di rottura

Rappresentazione assonometrica dei tre possibili meccanismi di rottura


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ALLEGATI

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INDAGINI STRUMENTALI

LEGENDA: M1: Prova martinetti piatti singolo e doppio C1: Estrazione carota CM: Campione di malta estratto E: Endoscopie volte

Planimetria piano terra, quota:+1,70 m

1

2

3

4

5

6

Planimetria piano primo, quota:+3,80 m Planimetria piano secondo, quota:+6,80 m Planimetria piano terzo, quota:+10,00 m Planimetria piano quarto, quota:+13,25 m Planimetria copertura


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N +4,45

+4,45 +0,00

D

D

D

+4,45

+0,00

+0,00

+0,00

+0,00

+4,45

+0,12

+2,67

+4,45

C

B

+0,00

C

+0,00

B

+0,00

C

+4,45

+0,00

B

+4,45

+5,57

+0,00

+0,00

+0,00

A

A

E4

+2,92

+3,14

+0,00

+4,45

E3

CM

A

+4,45

+0,00

+0,00

A

A

A

+6,27 +5,57

+0,00 +0,00

+0,00

+4,45

E2 E1 +0,20

M1

D

+4,45

C1

+0,00

C

+0,20

+0,00

+3,37

+3,14

D

B 0,1 0,5 0

+2,92

C

D

B 0,1 0,5

2 1

0

5

+7,80

B 0,1 0,5

5

0

+11,05

D

+7,80

+7,80

C

2 1

2 1

5

+11,05

+7,80

D

+5,57

+6,27

+7,80

D

+7,80

+11,05

+7,80

+11,05

+14,40

+7,80

C

C

B

+7,80

B

+11,05

C

B

+11,05

+11,05

+11,05

+7,80

+7,80

A

A

A

A

A

A +14,40

+11,05

+7,80 +8,88

+12,15

+11,05

+12,15

+7,80

+6,27

D

C

D

B

0,1 0,5 0

2 1

+6,27

+8,88

+6,27

+8,88

C

D

B

0,1 0,5 5

0

2 1

+8,88

C

B

0,1 0,5 5

0

2 1

5


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CAPITOLO IV VERSO UN CODICE DI PRATICA PER GLI INTERVENTI DI RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO NEL CENTRO STORICO DI CARINI


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Cap.IV Verso un codice di pratica per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio nel centro storico di Carini

Premessa La complessità che gli interventi di recupero edilizio assumono all’interno dei centri storici, per la necessità di relazionarsi correttamente con i materiali e le tecniche costruttive dell’edilizia storica, ha determinato, da qualche tempo, la necessità di codificare le tecniche di intervento da adottare nei diversi contesti territoriali, attraverso manuali contenenti codici di pratica per le diverse lavorazioni richieste dagli interventi di recupero. La finalità dei manuali di recupero è quella di documentare, con una manualistica di notevole livello ed estensione, le tecniche costruttive tradizionali, ai fini di formazione e perfezionamento dell’edilizia tradizionale per una migliore conservazione del costruito. Manuali di recupero per i centri storici sono stati adottati in diverse regioni e città dell’Italia, come per esempio nelle regioni Marche, Abruzzo, Sardegna e nelle città di Roma, Città di Castello, Siracusa, Genova e Palermo. Essi contengono un repertorio di materiali, delle tecniche, delle strutture e delle forme tipiche della costruzione, costituite da disegni esecutivi particolareggiati. Così facendo è possibile rimodellare il vecchio, partendo dai suoi elementi costitutivi, aggregandolo ed evolvendolo verso configurazioni tipologiche adatte alle esigenze attuali, seguendo nient’altro che l’insegnamento della storia, ovvero ricorrendo alle modalità storiche di aggregazione ed evoluzione del costruito. Considerazioni che potranno attingere criticamente e intelligentemente alle tecniche pre-moderne documentate. L’obiettivo è quello di orientare l’attività edilizia, la visione del centro storico come organismo e di proporre come fondamenta il manuale


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di recupero che, si offre come progetto per una attività globale di manutenzione, svolta attraverso la riproposizione dei materiali e delle tecniche premoderne. Da queste considerazioni scaturisce la necessità di aggiornamenti professionali in grado di offrire ‘chiavi di lettura’ del quadro ambientale di riferimento; infatti un intervento conservativo portato a compimento correttamente, non può prescindere dallo studio delle specificità proprie di ogni centro storico, di ogni comparto edilizio e/o di ogni singolo edificio. Alla luce di quanto detto occorre, quindi, considerare sistematicamente le preesistenze studiandole nei loro valori storico/tecnici, prestando la dovuta attenzione alle tipologie strutturali, ai sistemi costruttivi ed alla natura dei materiali; in seguito si dovrà valutare la fattibilità delle possibili soluzioni tecniche, valutandone pro e contro e confrontando le odierne tecniche d’intervento con i sistemi tradizionali. In questo capitolo, al fine di avviare un percorso conoscitivo e progettuale che dovrà arrivare a definire un codice di pratica per gli interventi nel centro storico di Carini, vengono fornite alcune prime linee guida riguardanti le modalità di intervento da adottare nelle diverse lavorazioni all’interno dell’intervento di recupero. Tali indicazioni, lungi dal costituire un riferimento esaustivo e compiuto, intendono costituire un primo passo verso la definizione di un manuale di recupero. Le indicazioni progettuali, riportate nelle pagine che seguono in schede sinottiche riguardanti i principali elementi costruttivi delle fabbriche tradizionali, sono costruite a partire dalle indagini conoscitive e dalle sperimentazioni condotte nelle prime parti del presente lavoro di tesi.


194

Cap.IV Verso un codice di pratica per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio nel centro storico di Carini

Fronti esterne Gli interventi sulle fronti esterne degli edifici devono assicurare: •

il rispetto dell’originario schema compositivo (allineamento e dimensioni delle aperture rispetto alla superficie muraria);

il mantenimento degli elementi di partitura architettonica (basamenti, cantonali, lesene, paraste, fasce, cornici e cornicioni, portali), delle opere di finitura (cornici delle porte delle finestre, balconi, infissi e ringhiere, fregi, iscrizioni, stemmi e mostre in pietra), e degli elementi funzionali esterni (scale e ballatoi esterni, marciapiedi rialzati o incassati);

l’esclusione di elementi di finitura non adeguati alle caratteristiche tradizionali degli edifici del centro storico;

la eliminazione dei volumi chiusi aggettanti che alterano il prospetto (latrine su balconi e simili).

Murature. Interventi strutturali E’ in generale prescritto l’uso di materiali tradizionali nelle opere di integrazione e sostituzione di elementi fatiscenti. Catene metalliche •

catene o tiranti, metallici o di altri materiali, opportunamente dimensionati, dovranno essere disposti nelle due direzioni principali del fabbricato, a livello dei solai ed in corrispondenza delle pareti portanti;

devono essere ancorate alle murature mediante capochiave, adeguatamente dimensionato; nel caso di murature particolarmente scadenti, è preferibile l’uso

Esempio di collegamento tra due setti murari.

di piastre;


195

Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

Cordoli •

Vanno realizzati in sommità dell’edificio (condizione ideale);

se in muratura, sono da realizzare a tutto spessore e generalmente con una muratura in mattoni pieni con un’ armatura metallica o in altro materiale resistente a trazione, che potrebbe essere costituita da barre o fasce in materiale polimerico fibrorinforzato (FRP), alloggiata all’interno e resa aderente alla muratura del cordolo tramite calcestruzzo o con opportune malte o resine;

Esempio di cordolo in muratura.

se in acciaio, sono da realizzare attraverso una leggera struttura reticolare o con elementi angolari e piatti metallici o tramite profili, sui due paramenti, collegati tra loro tramite barre passanti;

se in calcestruzzo armato, è necessario realizzarli di altezza limitata, in modo da non produrre elevate sollecitazioni tangenziali al contatto con il paramento murario, con conseguenti scorrimenti e disgregazione della muratura.

Esempi di cordoli metallici.

Tecnica dello scuci e cuci •

è consigliabile utilizzare materiali simili a quelli originari, per forma, dimensioni, rigidezza e resistenza, collegando i nuovi elementi alla muratura esistente con adeguate ammorsature nel piano del paramento murario e, se possibile, anche trasversalmente al paramento stesso, in modo da conseguire la massima omogeneità e monolicità della parete riparata.

Esempio di scuci e cuci.


196

Cap.IV Verso un codice di pratica per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio nel centro storico di Carini

Iniezioni di malta •

la tecnica va applicata utilizzando un’adeguata pressione di immissione, ed una miscela da iniettare che sia compatibile dal punto di vista chimico e fisico con i componenti costituenti la muratura oggetto di intervento.

Esempio di iniezione di malta.

Ristilatura dei giunti •

va realizzata attraverso la scarnitura profonda dei giunti e successivo riempimento con malta di migliori caratteristiche e compatibilità, preferibilmente, in profondità da entrambi i lati;

se eseguita su murature di medio-grosso spessore, al fine di garantire un incremento consistente di resisten-

Esempio di ristilatura dei giunti.

za, è consigliabile effettuarla in combinazione con altre tipologie di intervento. Diatoni artificiali •

da realizzare in conglomerato armato dentro fori di carotaggio;

nel caso di paramenti degradati è opportuno, prima dell’inserimento dei diatoni, la bonifica dei paramenti stessi tramite tecniche di consolidamento (iniezioni di

Esempio di diatono artificiale.

malta, ristilatura dei giunti). Intonaco armato •

in presenza di murature costituite da pietrame è opportuno pre-consolidare la muratura con la tecnica delle iniezione di malta;

• Esempio di intonaco armato.

è necessario estenderlo su entrambi i lati della parete.


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

197

Aperture •

eventuali modifiche non devono stravolgere i criteri compositivi originari e devono migliorare l’abitabilità complessiva dell’edificio;

i progetti di riqualificazione dovranno prevedere la riconfigurazione dei vani esterni di finestra, di balcone e di piano terra secondo le conformazioni originarie desunte da documentazioni o, in mancanza di queste, da considerazioni di natura storica, tipologica, funzionale, statica e formale;

compatibilmente con esigenze di tipo funzionale dovranno eliminarsi le aperture chiaramente incongrue, ovvero riconfigurarle in maniera da minimizzarne l’impatto visivo, specie se poste lungo le facciate principali o osservabili da punti di vista privilegiati;

la conformazione di vani riconfigurati dovrà adeguarsi ai caratteri dell’architettura dell’unità, eventualmente anche con l’apposizione di elementi decorativi semplici o semplificati (cornici, mostre, davanzali, mensole);

dovranno mantenersi, o eventualmente ricrearsi se in origine presenti, le zoccolature basamentali decorative o di protezione dell’intonaco dagli agenti atmosferici;

se inevitabile, può essere predisposto un telaio chiuso, in acciaio, calcestruzzo o misto acciaio-calcestruzzo, fornendo un contributo di rigidezza e resistenza in grado di compensare eventuali carenze strutturali. Balconi

dovranno essere dismessi i balconi realizzati con soletta a sbalzo in calcestruzzo armato e sostituiti con balconi con mensole in ferro con soprastante lastra di marmo bianco, sporgenti non più di cm. 70 e larghi al massimo quanto le aperture più cm.70 per lato;

nelle nuove costruzioni e comunque in presenza di un tessuto edilizio circostante con caratteristiche omogenee di edilizia tradizionale, l’eventuale struttura in c.a. esistente potrà essere mantenuta ma dovrà essere riportata ad un spessore massimo di cm. l0 all’estremità, nel rispetto delle misure sopra specificate;

le ringhiere devono essere realizzate in ferro, in ghisa o acciaio di disegno lineare, secondo i modelli in uso nella tradizione locale e tinteggiate nei colori tradizionali.


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Cap.IV Verso un codice di pratica per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio nel centro storico di Carini

Coperture a tetto •

non possono essere modificate nelle linee di gronda e di colmo, nella pendenza e nei materiali di finitura in laterizio (coppi siciliani), ovvero vanno ripristinate con coppi siciliani se alterate;

per esigenze impiantistiche e/o funzionali è possibile sostituire una porzione delle falde con copertura a terrazza piana per una quantità non superiore al 25% dell’estensione delle falde, a condizione che tale modificazione non sia visibile da spazi e luoghi pubblici;

vanno mantenuti gli elementi di coronamento in coppi aggettanti, con sporgenza massima di cm 30 ed eventuale alloggiamento per la grondaia, secondo i modelli tradizionali.

Sistema di smaltimento delle acque meteoriche •

qualora storicizzati, devono essere mantenuti nelle condizioni esistenti;

vanno rimossi invece quelli incompatibili con il partito architettonico del fronte;

qualora non sia presente un canale di gronda, non è consentito realizzarlo ex-novo lungo la facciata; un nuovo canale di gronda in laterizio, rame o lamiera zincata, dello stesso colore del prospetto, se tinteggiato, potrà al più incassarsi nella parte terminale della falda, non visibile dalla strada, con discendenti a sezione circolare in una posizione defilata che comunque non crei conflitto col partito architettonico;

l’eventuale presenza di doccioni dovrà prevedere il mantenimento e/o il recupero degli stessi e della loro funzionalità;

vanno sempre eliminati, incassandoli o riportandoli all’interno, gli scarichi delle acque nere posti sulle fronti esterne.


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

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200

FONTI BIBLIOGRAFICHE E DOCUMENTATIVE •

Abbate G.M., Carini nella storia di Sicilia sino al 1922, Agrigento 1982

Abbate G.,Cannarozzo T., Trombino G., Centri storici e territori. Il caso di Scicli, Alinea, Firenze, 2000

Amato P., La valutazione ambientale strategica: il caso studio del P.R.G. della città di Carini, Università degli Studi di Palermo, Tesi di laurea in Ingegneria, AA 2013/14

Badalamenti V., Carini nella storia, Edizioni Bellanca, Palermo 1992

Basiricò T., Architettura e tecnica nei borghi della Sicilia occidentale, Edizioni Fotograf, 2009, Palermo

Circolare 2 febbraio 2009 n. 617 – Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni” di n.47 del 26.02.2009

Colajanni P., Cucchiara C., D’Anna J., La Mendola L., Criteri e tecniche di valutazione e riduzione della vulnerabilità sismica del centro storico, in corso di stampa

Comune di Carini, Relazione tecnico-illustrativa. Piano Regolatore Particolareggiato di Recupero, arch. G. Valzelli, 2000

D’Alessandro G., Garofalo E. e Leone G., La stereotomia in Sicilia in età moderna, Dipartimento di Storia e Progetto nell’Architettura (DiSPA), 1999, Palermo

D.M. 14 gennaio 2008 – Nuove Norme Tecniche per le Costruzioni – G.U. 4 febbraio 2008 n. 29

Fatta G., Il balcone nella tradizione costruttiva palermitana, G. B. Palumbo Editore, 2002, Palermo

Fatta G., Campisi T., Li Castri M., Lo Piccolo S., Vinci C., La tradizione costruttiva nell’area delle Madonie, in: C. Aymech, A. C. Dell’acqua, G. Fatta, P. Pastore, G. Tagliaventi, L. Zordan (a cura di) “Architettura di base”, Alinea, Firenze, 2007

Filingeri G., Carini nel cinquecento, Associazione Culturale “Historia Magistra Vitae”, Partinico 2004

Giuffrè M., Città nuove di Sicilia XV – XIX secolo, Vittorietti Editore, 1979, Palermo

Linee guida per il rilievo, l’analisi ed il progetto di interventi di riparazione e consolidamento sismico di edifici in muratura in aggregato. Dipartimento Protezione Civile


Linee guida per il recupero del centro storico di Carini

201

ReLUIS. 2010 •

Lo Piccolo S., Caratteri dell’architettura tradizionale nell’area montana della Sicilia occidentale: tesi di dottorato, 2009, Palermo

Nicotra F., Dizionario illustrato dei Comuni siciliani, Palermo 1907



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