Franco lana

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13—14 LUGLIO 2013—GITA AL RIFUGIO SANTA RITA

Quattro zampe in Valsassina. Point of view : Franco Lana Sabato La Salita Sabato mattina ci si trova a Margno sul piazzale della funivia che sale al Pian delle Betulle, di fronte al distributore dell’assessore Fabio Pasetti. Quattro chiacchiere, quattro zampate dei nostri amici pelosi, si mollano gli zaini, quelli pesanti perché l’altro, quello che dovrebbe essere leggero viene su con noi, a Fabio che li porterà nel pomeriggio al rifugio San Rita, nostro punto d’arrivo a duemila metri d’altezza e circa quattro ore di camminata.

Dopo una piccola sosta tecnica si sale in auto all’Alpe di Paglio, punto d’attacco della salita. Ultimi controlli, e riempite borracce e bottiglie d’acqua si parte. I cani davanti legati in vita, un accenno di fila indiana ben distanziata, cani tranquilli e via che si sale. Il tempo è buono e il leggero strato di nuvole (cumolo nembi come direbbe il De Loi, meteorologo del gruppo) a velare un sole che altrimenti rischierebbe di prosciugare le nostre energie già a metà strada. I cani approfittano degli abbeveratoi per trasformare una bevuta in un bagnetto rigenerante con successiva doccia al conduttore causa scrollamento del pelo. La salita sale ripida ma costante e la fila si spezza in gruppetti che chiacchierano. Tema : i cani, cos’altro, se no ? Si arriva così in cima alla prima salita che corrisponde anche con la prima tappa: il larice bruciato, quota 1600m. Zona dove i fulmini cadono con una certa frequenza e il terreno tutt’attorno è contrassegnato da mozziconi d’alberi e rami bruciati. La discesa non è troppo faticosa e abbiamo il tempo di rifiatare un po’ ma questo ci obbligherà a risalire ancora poco dopo. Infatti dove termina lo sterrato dobbiamo arrampicarci su per un sentiero scavato dall’acqua con i cani che saltano da una parte all’altra e lo zaino che comincia a farsi sentire. Ma lo sforzo è ripagato da un panorama bellissimo, siamo praticamente in mezzo alle Orobie e lo sguardo arriva fino alle cime più alte che incorniciano la Valsassina ad oriente. Paesaggio caratterizzato dalla presenza di numerosi greggi di pecore e mucche che trascorrono l’estate in alpeggio dove le temperature sono più fresche e il foraggio abbondante. Dopo la breve pausa per scattare qualche foto e bere un sorso d’acqua si riprende la marcia con il sentiero che ancora una volta si impenna per superare un breve tratto particolarmente ripido ma che lascia spazio ad un bel sentiero in single track in piano a mezza costa con lo sguardo che spazia sui pascoli sottostanti e i cespugli di fiori di un rosa acceso. Alla fine del sentiero ci aspettano alcuni tavoli appoggiati sopra un piccolo pianoro che ci consente di volgere lo sguardo spaziando da ovest ad est. Di fronte a noi il sentiero che scende per un breve ripido tratto già ci anticipa che il bello deve ancora venire. Sarà stata la pausa panino, la stanchezza e


forse anche l’aria fresca, nonostante il maglione, sopra la pelle sudata che improvvisamente cominciano ad accendersi alcune spie rosse nella mia testa e le gambe fanno fatica a spingere. Di crisi in bici ne ho avute e quindi le so riconoscere ma stringo i denti a vado avanti pianissimo. Nick mi guarda e si capisce che anche lui comincia ad essere stanco. Abbiamo avuto entrambi una settimana difficile: io ho passato molte ore guidando su e giù da Brescia, lui invece con un dolore al ginocchio sinistro che pare finalmente guarito. Il gruppo si frammenta ancora di più e io non riesco a tenere un passo decente senza fermarmi ogni 100 metri. De Loi e Andrea rallentano il passo e mi fanno compagnia. Si accende così un dialogo tragicomico fatto di un misto di preoccupazione (c’hai le labbra viola, stai bene?) e ironico (non c’hai più il fisico è l’unica frase ripetibile …). Mi offrono da mangiare qualsiasi cosa dolce: albicocche, pappa reale, miele, cioccolata…Mi viene un dubbio: sono loro ad aiutare me oppure io che aiuto loro a svuotare gli zaini che diventano quindi più leggeri ?

Lo strappo successivo si inerpica tra le rocce e i cani sono incuriositi dal gregge che pascola sul prato alla nostra destra che ha un’inclinazione di almeno 25 gradi. Non avevo mai pensato che le pecore fossero così a loro agio anche su pendii di quel tipo. Nonostante i cani da guardia, Tobo riesce a pinzare un agnello per la coda e non ne vuole sapere di lasciarlo andare. Sara ha il suo bel daffare a convincerlo che le scatolette sono meglio e alla fine, senza che i cani da guardia fortunatamente se ne accorgano, Tobo si convince e molla l’agnello.

Per quanto mi riguarda invece, gli sfottò sono appena iniziati tant’è che anche gli altri che intanto si erano attardati per capire cosa fosse successo, cercano di farmi coraggio a modo loro, avanzando dubbi sulla mia tenuta fisica nel modo più simpatico possibile. Solo che io ho nel frattempo perso il mio sense of humor o forse non capisco più le battute. Decido quindi di andare a sinistra che è più lungo ma più facile, come mi ripetono tutti, compresi quelli che scendono verso valle. Io però, visti gli strappetti continui non sono mica convinto del tutto ma proseguo anche perché le gambe ricominciano a pompare e la meta si avvicina sempre più. Giro l’ultimo angolo e intravedo il tetto del rifugio, coperto dalla cima e dalla vegetazione bassa e colorata. Gli ultimi 300 metri vengono subito ribattezzati “tratto della parolaccia libera” in cui ognuno di noi, cani compresi, cedono alla tentazione di commentare chi a voce alta chi invece, in carenza d’ossigeno, visto che siamo a duemila metri s.l.m. , a denti stretti , i passi che ci separano dal rifugio. Alla fine c’è l’abbaiamo fatta tutti quanti e il rifugio è presto malamutizzato: la quiete d’alta quota viene rotta dai gorgheggi dei nostri pazienti amici, che sfruttando la nostra ignoranza delle lingua canina si cambiano pareri sulle dubbie qualità intellettive dei rispettivi padroni.

Ma a noi umani piace credere invece che ci stiano ringraziando per la bella camminata di cinque ore e 900 metri dislivello. Cane del profondo nord non vuole dire necessariamente cani da alta montagna, ma tant’è.


Al rifugio manca solo il Pasetti Il rifugio e gli spazi prospicienti vengono minuziosamente perlustrati da nove nasi che cerano di capire dove i loro padroni li hanno portati e perché. Ma alla fine la stanchezza prevale e il prato tagliato di fresco, sapendo del nostro arrivo, è una compilation di Malamute sdraiati nelle posizioni più strane. Anche Numa, che Malmute non è, ma bensì un bel esemplare di Terranova nero trova la sua posizione sotto il tavolaccio di legno. Noi dei Malamute, quando andiamo in giro, siamo esigenti e anche ingombranti. Grazie allo splendido carattere socievole da consimili infatti non abbiamo nessun problema a fare stare in spazi ristretti i nostri amici. A patto che siano separati da piastre d’acciaio ! Scherzi a parte, i Malamute sanno essere ugualmente socievoli anche con gli estranei così come non sopportano la vicinanza dei propri simili del medesimo sesso. Quindi la divisione delle camere non è proprio una cosa semplice. Ma siccome ormai abbiamo una certa esperienza, sappiamo bene come fare e tempo venti minuti ogni Malamute ha la sua stanza. In cui è consentito l’accesso anche agli umani a cui si accompagna. Mancano solo Pasetti e gli zaini con il cambio. Nell’attesa il barista viene messo sotto pressione dalle continue ordinazioni di liquidi vari. Le preferenze sono per la panaché, birra e coca cola. Più qualche naturista che beve ancora acqua, dopo tutta quelle trangugiata durante la salita. Ad un tratto si sente il tipico suono del Lombardini, trattorino da montagna, che sale traballando trascinandosi dietro, su per la montagna, il rimorchietto con sopra un frigo imballato, bombole del gas e tutti i nostri zaini su per gli ultimi ripidissimi tornati della mulattiera che parte da Premana. Dieci kilometri più giù. La vista che ci si presenta davanti agli occhi ci lascia tutti a bocca aperta. Sergio, il rifugista-chef guida il Lombardini che sembra un toro imbizzarrito tanto violenti solo i sobbalzi trasmessi dal sedile di guida che lo proiettano in aria. Sergio resta aggrappato al mezzo solo tenendosi forte al volante e si percepisce nettamente lo sforzo nel guidare in queste condizioni limite. Anche Fabio ha il suo bel daffare: in piedi sulle sponde del rimorchio mentre si tiene in equilibrio regge il frigo che sembra sul punto di cadere, e tiene d’occhio le bombole del gas. A vederli mi viene in mente una gara di sidecar: con Sergio e Fabio che si muovono in perfetta sincronia nonostante i sobbalzi, per affrontare gli ultimi insidiosi tornati, con il pubblico che da sopra fa il tifo. E quando finalmente arrivano in cima vengono accolti da acclamazioni ed applausi sinceri per le manovre fatte con provata perizia al limite del possibile. Ma non c’è tempo per troppi complimenti: il frigo è atteso in cucina, ognuno ringrazia e reclama il proprio zaino. Fabio è stravolto neanche fosse salito di corsa. Ed in effetti, qualche tratto l’ha anche fatto, ma poi ha deciso che, tutto sommato, era meno faticoso il viaggio sul rimorchio. Corsa per le docce vinta dal sottoscritto e Sara che mi becca ancora una volta con l’intimo tecnico della Nike e prima che io scompaia in bagno riesce ad esclamare “Franco è la seconda volta che ti becco in mutande”. Ma tanto Giulio è uno sportivo penso io : ha anche giocato a basket e figurati se pensa a certe cose. Spero proprio che sia così.


Intanto che cuoce la polenta taragna, quella fatta con il grano saraceno, una "noce" di burro e "qualche" tocchetto di formaggella, dietetica insomma, decidiamo di controbilanciare assumendo subito una dose di apertivi a base di bianco spruzzato. E visto che ci siamo, lo mandiamo giù assieme a della pancetta a fette e pane nero. La polenta tarda a cuocere e i pizzoccheri pure e noi, per non annoiarci, insistiamo con il bianco spruzzato. E con la pancetta ! E i cani ? I cani sono in camera, senza IPod perché non c’è campo, mangiati e bevuti e soprattutto stanchi. Per inciso Nick ha voluto la correzione pappa a base di tocchi di bitto. Preciso come a casa. Meno male che Giorgio, l’altro rifugista, ama i cani e capisce le mie esigenze con un cenno del capo. Ne ha due anche lui, di cani, pincher. Pappa pronta e noi si passa dal tavolo del bar a quello della sala da pranzo. Sarà stato quest’ultimo sforzo a scatenare in tutti noi una fame bestiale, atavica quasi. Giorgio, bravo ragazzo, ci vuole proporre un suo vino che lui definisce biologico. Ma che De Loi ed il sottoscritto definiamo in altro modo meno poetico. E quindi si passa su bottiglie di Grumello del Negri. Tanto per non correre rischi. Il primo assalto dei pizzoccheri finisce in tragedia con le teglie svuotate in un amen. La seconda ondata è più fortunata e resiste solo qualche minuto di più ma alla fine viene terminata. Si passa alla taragna, quella dietetica di prima con noce di burro e una spuzzata di formai de mut. Si profila una tragedia in quanto è completamente senza sale. Viene interpellato lo chef Sergio. Che forse, a causa del rimescolamento delle idee provocato dal Lombardini se l’è dimenticato del tutto. Ma da buon oste tenta comunque una timida difesa: la risposta è una sonora risata. La taragna crede di averla scampata ma viene assalita a cucchiaiate e solo l’arrivo del brasato prima, e qualche salamella dopo, evitano che faccia la fine dei pizzoccheri. Ma la serata è appena iniziata, la tivvù non c’è e le bottiglie di vino si svuotano velocemente, complice anche la rossa Giulietta lesta nel rabboccate tutti i bicchieri che rientrano nel suo raggio d’azione Si ride come matti, si beve e si mangia. Arriva una teglia di torta di mele con le noci ancora tiepida e lo chef, chissà perché, viene proprio da me e mi intima di tagliarla porgendomi il coltello. Io faccio delle fette rettangolari ma lui non è d’accordo. Piccolo dibattito sconclusionato e poi anche lui si convince che così va bene. Sparisce anche la torta. Dentro la temperatura del locale è elevata, forse anche per via della stufa economica a legna che è servita per cucinare la taragna. Ci si infila il giubbotto e si esce per il colpo finale: la bottiglia di grappa riserva. Fuori la natura ci mostra la sua potenza e oltre le montagne verso est è in corso un temporale bello forte. I lampi illuminano le nuvole ed il cielo a giorno. Sembra di assistere ai fuochi d’artificio senza botti.

Sarà la stanchezza, saranno forse e i due tre bicchieri di vino, sommati al bianco spruzzato ed alla grappa ma il richiamo della branda si fa irresistibile. Giusto le forze per il giro pipì di Nick ed Innesto il pilota automatico modalità lavaggio denti-ricerca branda e mi infilo nel sacco a pelo sotto lo sguardo incuriosito di Nick.


Domenica, l’emergenza, L’elicottero e il rientro La mattina la giornata è finalmente bellissima, il cielo limpido e il sole luminoso. Ci sono tutti gli ingredienti per una bella giornata ed invece arriva l’imprevisto che rischia di trasformare in tragedia una bellissima escursione. Bajkal, il cagnone di Andrea si lamenta : ha una torsione gastrica e se non viene immediatamente operato rischia seriamente di morire. Sento Giulio che chiama col radiotelefono del rifugio il 118 ma non riesce ad ottenere nessuna risposta concreta. La chiamata viene trasferita prima a i carabinieri, poi a vigili del fuoco ma nessuna sembra saper come bisogna comportarsi per il recupero di un cane che richiedere l’elisoccorso. Passano minuti interminabili e la tensione cresce così come la disperazione. Che ci piange, chi fa finta di niente. Alla fine dopo numerose telefonate a vuoto si trova l’elicottero di Elitellina che conferma l’arrivo in 15 minuti. Davide Loi sostituisce un esausto Giulio al telefono. La Gabri allerta il veterinario di Primaluna e concordano il punto di atterraggio dell’elicottero. Bajkal intanto pare essersi ripreso un pochino e anche lo sguardo di Andrea non è più perso e disperato come prima. Si aspetta solo il velivolo: ma quanto durano sti quindici minuti ? Poi all’improvviso arriva l’elicottero che con una sola manovra esperta fa un mezzo giro sopra il rifugio, si avvicina di fianco alla piazzola alza il muso e appoggia i pattini sulla piazzola senza la minima esitazione. Si apre lo sportellone e salgono Bajkal , Andrea, Davide e la Gabri. L’elicottero da gas si alza in verticale e prende quota, scivola a destra e punta deciso il muso verso il fondo valle e in un attimo e già sparito, direzione veterinario di Primaluna. Ci vogliono solo due minuti di volo e Bajkal è finalmente in clinica. Viene stabilizzato e preparato per l’intervento che fortunatamente riesce per la gioia di tutti. La milza, schiacciata, è compromessa, ma l’intestino non ha subito danni gravi e Bajkal è fuori pericolo. Bel lavoro di squadra, grande disponibilità di Sergio e Giorgio e grandissima abilità dell’elicotterista che ha effettuato le manovre ad una velocità incredibile e con una precisione millimetrica sempre nella massima sicurezza. La certezza si avrà solo qualche ora più tardi. Il rientro a valle sarà meno pesante e faticoso, nonostante lo zaino con extra peso e le gambe pesanti per la salita del giorno prima. I gruppi si divido: una parte ripercorre il tragitto in senso opposto mentre io, Sara e Giulio scegliamo di scendere dalla Valvarrone, dove ci aspettano dieci chilometri di discesa ininterrotta. La valle è bellissima, e gli imprevisti non mancano certo. I cani approfittano del torrente per rinfrescarsi e bere a piacimento. La bella giornata spinge numerose le persone a salire ma non solo. Infatti ad un certo punto incontriamo il gregge di mille pecore viste sul crinale il giorno prima e dobbiamo accostare in disparte per fare passare. Tutto fila liscio fino al momento in cui Tobo si ricorda dell’agnello del giorno prima, e comincia ad abbaiare e agitarsi, seguito a ruota dalla Maya. È un attimo e si scatena il parapiglia : pecore che corrono da tutte le parti cani che abbaiano, pastori che urlano. Maya da uno strattone a Sara e le fa fare un 270…Giulio che ha il suo bel daffare per tenere Tobo. Nick mi guarda interdetto che si unisce, quasi per dovere, alla festa ululando, ma piano. Ci vuole quasi un quarto d’ora prima che tutto il gregge sfili e noi si possa riprendere la discesa. Ci fermiamo quasi subito con Sara ancora sconvolta e tesa. I cani invece, come se non fosse successo nulla. La discesa procede tranquilla fino a Premana dove arriviamo dopo circa tre ore di camminata, tutti stanchi ma soddisfatti. Veniamo recuperati dal fratello della Gabri che ci riporta a Paglio. Proprio mentre arriviamo sopraggiunge anche l’altro gruppo che ha fatto il giro lungo. Ci sediamo al bar per commentare lo scampato pericolo di Bajkal. Si decide di mangiare qualcosina : tagliatelle speck e zafferano, ancora taragna, grigliata mista di carne, così tanto per non partire a stomaco vuoto. L’atmosfera è quella giusta e nonostante gli oltre 20km e i quasi 2000 metri dislivello nessuna vorrebbe andare via. I cani vengono distribuiti in giro, sempre per via del loro caratterino, e ancora una volta prendiamo possesso di quasi tutta la veranda del bar, tra gli sguardi incuriositi dei gitanti domenicali. Stavolta bisogna proprio andare: è il momento dei saluti, baci ed abbracci a tutti. Ci facciamo fare un doggy-bag per Andrea bloccato in clinica che gli consegnerò mentre torno a casa. E' bello vedere Andrea sollevato e sorridente e Bajkal che dorme sotto tranquillanti. E’ stato proprio un bel weekend dove non ci siamo fatti mancare nulla. Anche se avremmo fatto volentieri a meno delle evoluzioni aeree. Ma fortunatamente è finita bene. I cagnoni si sono comportati alla grande, qualche battibecco ma tutto nella norma. Conduttori intelligenti non si sono mai messi in situazioni difficili o di pericolo. Una compagnia bene assortita. Da rifare.


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