111a monografia online

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ANTONIO IPPOLITO

CAPITANO ETTORE – GUERRA PARTIGIANA NELLE FORMAZIONI AUTONOME febbraio 1944/maggio 1945 VAL CORSAGLIA, FRABOSA SOTTANA (CN) Ettore Ippolito Barrafranca EN 04/02/1907 - † Bologna 24/03/1964

Una breve monografia sugli avvenimenti della guerra partigiana combattuta da Ettore Ippolito nelle formazioni autonome con citazioni della testimonianza di Aldo Sacchetti coprotagonista di quei giorni e quanto scritto sempre da Sacchetti ne “Un romano tra i ribelli” edizione Primalpe, da Giovenale Giaccardi ne “Le formazioni ‘R’ nella lotta di liberazione” Edizioni L’Arciere e da Mario Donadei “La ragazza della notte e altre storie di guerra partigiana” Edizioni L’Arciere


A Lorenza Il nonno non era fascista

Ringraziamenti a: Luisa De Caroli figlia di uno dei protagonisti Giacinto De Caroli, primo sindaco di Chiusa Pesio dopo la liberazione. Anima del museo della Resistenza di Chiusa Pesio. Mi ha aperto il mondo di quei giorni e mi ha introdotto ad Aldo Sacchetti Antonino Pecollo presidente del Museo della Resistenza di Chiusa Pesio Tarcina Ponzo protagonista di quei giorni incontrata a Miroglio Aldo Sacchetti protagonista di quei giorni e che tanto mi ha raccontato. Un amico di papĂ , ora anche mio Toni Colantuoni protagonista di quei giorni. Aiutante maggiore in Val Corsaglia di papĂ con cui ho avuto la possibilitĂ di parlare e mi ha ricordato di quei giorni. Felicita Veluri con altrettanta passione mi ha aiutato in ogni momento

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Sommario Prefazione……………………………………………………………………………………………………….………………………5 Biografie ………………………………………………………………………………………………………….…………….………9 Brani da “Un romano tra i ribelli” di Aldo Sacchetti Edizioni Primalpe……………………………..16 Brani da “Le formazioni “R” nella lotta di liberazione” di Giovenale Giaccardi Edizioni L’Arciere: Introduzione……………………………………………………………………………………………………………………….18 La terza divisione Alpi Ordinamento e dislocazione ……..………………………………………………..24 L’attività militare della terza div.Alpi sino alla prima decade del novembre 1944………..28 Notiziario …………………………………………………………………………………………………………………………..30 Rapporti con le altre formazioni……………………………………………………………………………….……..35 La situazione nel monregalese e della IIIª divisione Alpi alla fine del 44……………..………..43 Il rastrellamento del dicembre 1944…………………………………………………………………………………50 La riorganizzazione La brigata “G.Odino”……………………………………………………………………………………………………62 La IIIª e la Vª divisione “Alpi”…………………………………………………………………….……………...64 La liberazione……………………………………………………………………………………………………………….…..66 Circolari……………….…………………………………………………………………….……………………………………..68 Copie documenti………………………………………………………………………………………….……………………….73 Brani da “La ragazza della notte e altre storie di guerra partigiana” di Mario Donadei edizioni L’arciere ………………………………………………………………………………………...……….……………98 Tarcina Ponzo …………………………………………………………………………………………………..………………102

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PREFAZIONE Papà non parlò mai del suo periodo partigiano. Nel primo cassetto del suo comò aveva a destra un bustone con alcune carte (allegate qui in calce) ed una pistola Luger parabellum che noi non dovevamo assolutamente toccare. Si era procurato questa arma all’inizio del 44 quando, lasciando mia madre a Fiume per raggiungere il Piemonte, fu preso prigioniero dai tedeschi. Nella fuga che riuscì a mettere in atto sottrasse l’arma a una sua guardia. Questa Luger lo accompagnò per tutto il periodo bellico successivo ma purtroppo negli anni è andata perduta. Ricordo che ogni tanto menzionava Scimè che dopo la guerra era diventato capo della polizia Torino. Nel 1955 mi portò al cinema a vedere “Shaitan il diavolo del deserto” e mi disse che uno degli attori aveva fatto la guerra con lui e la cui faccia, non so perché, mi è sempre rimasta impressa, fino a quando Aldo Sacchetti mi disse che nella Brigata Val Corsaglia c’era anche Folco Lulli di cui trovai una foto con cui ho ricollegato subito il suo volto con il cavaliere di Shaitan. Sempre nel bustone c’era una lettera di Dino Giacosa e quando mi sposai nel 1973 pensai di mandargli le partecipazione. Mi fece avere un bellissimo regalo con una lettera che mi colpì molto per le parole commosse e che solo ora capisco. Nel 1988 ordinai i documenti del bustone in un raccoglitore che consegnerò al Museo di Chiusa Pesio. Nel 2014 mia figlia Lorenza mi chiese se il nonno era stato fascista ed io le dissi di no e che anzi era stato partigiano ma non seppi dire di più. Da qui la mia decisione di approfondire l’argomento ed il viaggio in Val Corsaglia nel 2015 dove ho scoperto qualcosa che non conoscevo. Ho parlato di ciò ad Aldo Sacchetti e mi ha chiarito che nelle nuove generazioni prevale il concetto che il cittadino Italiano che ha prestato servizio militare durante l'ultimo conflitto sia da considerarsi fascista in senso dispregiativo, ignorando che dall'ottobre 1922 al 1943 l'Italia era uno Stato monarchico (Casa Savoia) governato da Benito Mussolini a regime dittatoriale, la cui legalità era suffragata da una schiacciante maggioranza degli Italiani e sopratutto dal riconoscimento di tutte le altre Nazioni. Ne consegue che i cittadini da buoni patrioti nel ventennio, erano tenuti a rispettare le leggi vigenti e solo dopo l'8 settembre 1943 con l'armistizio di una guerra non dovuta e persa, scattò l'ora delle scelte tra Resistenza e Fascismo.

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Nota di Aldo Sacchetti in data 30/12/2015 ETTORE IPPOLITO. Nel luglio del 1943 il Cap. Ettore Ippolito ed il collega Cap. Gigi Scimè Ufficiali di Artiglieria, dovevano difendere le coste meridionali della Sicilia da un eventuale sbarco Alleato. Malgrado l’eroica difesa il reparto italiano dovette soccombere allo strapotere delle forze alleate e solo grazie all'intervento della divisione corazzata tedesca che si riuscì a rallentare l’avanzata degli angloamericani, nella piana di Catania. Ettore con il collega Gigi Scimè riuscirono, con gran parte della truppa, a sganciarsi illesi e raggiungere il continente. Evitarono, con mille difficoltà, la deportazione in Germania ed l’ arruolamento coatto nel nascente esercito della Repubblica di Salò, e raggiunsero la Provincia di Cuneo, dove presero contatto (ne ignoro le circostanze) con il Cap. Cosa già affermato Comandante delle Formazioni Partigiane Autonome del Monregalese. A Gigi venne affidato il Comando della Valle Ellero e la Val Corsaglia ad Ettore che interpretò il nuovo ruolo di combattente Aldo Sacchetti 12.02.2016 “clandestino” con grande perizia e coraggio, come dimostrò quando interruppe il traffico ferroviario germanico verso la Liguria facendo saltare il ponte sul fiume Pesio ed il 30 settembre quando respinse l’attacco tedesco a sorpresa al posto di blocco di Frabosa Sottana costringendo il nemico ad una precipitosa fuga. Nel periodo ’43- ’45 i contatti miei con Scimè e Ippolito furono frequenti ed improntati da stima Caffe Aragno Mondovì CN 1944 e sincera amicizia, ma dopo la Liberazione mentre i miei contatti con Scimè continuarono, persi di vista Ettore che probabilmente per il suo carattere schivo preferì allontanarsi dalle zone che lo videro protagonista nella Resistenza. Un'altra dote che ho molto apprezzato in Ettore è stata la capacità di sdrammatizzare momenti difficili con la sua brillante loquacità. Al caro indimenticabile amico Ettore, il comportamento da gentiluomo ed il gradevole umorismo gli valsero la possibilità di frequentare riservati ambienti privati per volere delle padrone di casa ansiose di ricreare i rimpianti intrattenimenti ante guerra con le partite di bridge ed il vero caffè. Durante una missione a Genova, i suoi modi distinti di gentiluomo non lasciarono indifferente la moglie del temuto Federale che lo volle ospite ad un rinfresco pomeridiano con le amiche molto ciarliere dalle quali Ettore apprese preziose informazioni per il nostro SERVIZIO X reparto di intelligence nel quale ricopriva la carica di ispettore con lo pseudonimo “Pippo”.

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Zona Operativa Formazioni R

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Ingrandimento zona operativa formazioni R

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BIOGRAFIE ETTORE IPPOLITO “CAPITANO ETTORE” nasce a Barrafranca EN il 04/02/1907. Viene ammesso all’Accademia militare di Modena nel 1933. Nel 1940 viene mobilitato in Albania e successivamente nel 1943 in Sicilia dove partecipa alla battaglia di Gela durante lo sbarco alleato ed ottiene la promozione a maggiore per merito di guerra con la motivazione: “IPPOLITO Ettore, capitano artiglieria s.p.e.. — E’' promosso maggiore, per merito di guerra. « Capitano di artiglieria in s.p.e. di provata capacità professionale, ardente animatore ed abile istruttore di un gruppo di nuova formazione, riusciva in breve tempo, a farne uno strumento bellico che, al primo urto, si imponeva al nemico non solo con la sua potenza, ma anche con la decisa volontà di vittoria che egli aveva saputo trasfondere nei suoi dipendenti. Sosteneva, col suo gruppo, la pressione di due colonne corazzate nemiche, provenienti da direzioni divergenti e riusciva ad infliggere loro gravi perdite. Sottoposto ad intenso tiro di controbatteria che metteva fuori uso la metà dei pezzi del gruppo, alla testa degli ufficiali e del personale superstite, dopo avere sparato fino all'ultimo colpo, riusciva con l'impiego delle mitragliatrici e bombe a mano, a disimpegnare i rimanenti pezzi, che portava in salvo nonostante la persi-stente azione nemica ». — Bivio Gigliotto (Sicilia) 15 luglio 1943” Dopo l’8 settembre resta in contatto con Scimè e dopo una visita a Fiume alla mamma, lo raggiunge a Fossano e fa parte della sua squadra sino al marzo 1944, passando poi alla banda Val di Pesio sino al luglio 1944 quando viene nominato comandante della Brigata Val Corsaglia. Dopo il rastrellamento del dicembre 1944 viene inviato a Genova come comandante della Brigata Odino- San Giorgio. Dopo la guerra rientra nell’esercito a Genova e dopo Bolzano, Terni e Forlì viene trasferito a Bologna dove muore nel 1964.

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PIERO COSA “CAPITANO COSA (BASTIAN)” Nato a Fossano (Cn) nel 1908, consegue il diploma di geometra a Mondovì e successivamente frequenta il corso Allievi Ufficiali di complemento. Sottotenente del I Reggimento Alpini di Mondovì nel 1928, durante il secondo conflitto mondiale partecipa alla campagna di Grecia sul fronte albanese. Successivamente in servizio presso l'VIII° Reggimento Alpini di Udine, all'8 settembre rientra a Fossano, sfuggendo alla cattura da parte dei tedeschi. Nelle settimane successive, salito a Chiusa Pesio, organizza un primo gruppo di partigiani. Al comando della formazione autonoma "Valle Pesio", partecipa a numerose azioni, fra cui l'attacco al campo di aviazione di Mondovì (27 dicembre 1943) e gli scontri in Val Pesio dell'aprile 1944 noti come "battaglia di Pasqua". Prende parte alla costituzione del Gruppo Divisioni "Rinnovamento" e alla liberazione della zona. Coniugato con la partigiana Francesca Gerbotto, nel dopoguerra lavora per una società petrolifera, vivendo per un lungo periodo in Colombia. Fra i promotori dell'allestimento del Sacrario partigiano presso la Certosa di Pesio, muore nel 1996.

DINO GIACOSA “DINO” Nasce a Torino nel 1916. Iscrittosi alla facoltà di Giurisprudenza di Torino, completa gli studi nel 1939 a Genova, ove ha dovuto trasferirsi per motivi di lavoro (è segretario di direzione presso l'Ente nazionale prevenzione infortuni ligure). Fervente antifascista, nel 1938 fonda con Luigi Passadore e Franco Valabrega il Movimento unitario rinnovamento italiano (Muri), gruppo cospirativo clandestino operante fra Piemonte e Liguria. Trasferito alla sede Enpi di Milano, nel giugno 1940 viene arrestato dall'Ovra e condannato a cinque anni di confino a Ventotene. Graziato nel 1942, si reca a Cuneo, ove trova lavoro presso lo studio legale di Duccio Galimberti, con il quale stringe una forte amicizia e una solida collaborazione nell'organizzare l'attività antifascista nel Cuneese. Dopo l'8 settembre 1943, presso Valdieri, in località Madonna del Colletto insieme a Galimberti e a Dante Livio Bianco è fra gli organizzatori della banda partigiana "Italia libera", con la quale ben presto si sposta tra la valle Stura e Grana, in località Paralup. Allontanatosi dal gruppo in seguito a divergenze, si sposta in Valle Pesio, ove nel febbraio 1944 entra in contatto con la formazione autonoma "Valle Pesio" comandata da Piero Cosa, poi confluita nel Gruppo Divisioni Autonome Rinnovamento, che contribuisce a riorganizzare diventandone commissario politico. Dà vita al Gruppo unitario di rinnovamento nazionale (GURN), organizzazione foriera di un progetto di rinnovamento politico-istituzionale da affiancare alla lotta militare, e al Servizio X, struttura segreta con mansioni di reclutamento, informazione e collegamento. Brillante avvocato nel dopoguerra, muore a Cuneo nel 1999

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ALDO SACCHETTI “TENENTE ALDO” è nato a Roma il 4 febbraio 1921, dove consegue la maturità classica. Nel dicembre 1941 viene chiamato alle armi per frequentare il Corso Allievi Ufficiali. Il 10 febbraio 1943 viene nominato Sottotenente di Complemento ed assegnato al 67° Reggimento di Fanteria a Como. II 22 giugno viene trasferito in Francia al 512° Battaglione Costiero in Villefranche sur Mer. L'8 settembre con un nucleo di commilitoni raggiunge la Provincia di Cuneo per unirsi alla Banda "Italia Libera" di Duccio Galimberti, Trasferitosi nel febbraio '44 in Val Pesio con il Cap. Piero Cosa, assunse il Comando di Brigata e successivamente della IIIª Divisione "Alpi" e Capo Collegiale del "Servizio X" con l'Aw. Dino Giacosa. Gli è stata conferita la Medaglia d'Argento al V.M. e le cittadinanze onorarie di Fossano e di Chiusa Pesio. Nel dopo guerra è stato membro della Giunta Esecutiva dell'Anpi con Boldrini, Gracceva, Ghia, Bugliari e Croci, ed in seguito Segretario Generale della Fivl (federazione italiana volontari libertà) di Mattei, Cadorna Argenton e Ferrando. Fondatore con Mario Donadei della Casa Editrice di Cuneo "L'Arciere" autore di "Un Romano tra i ribelli" Edizione "L'Arciere" del 1990 e del "Servizio X nella Resistenza" coautore Sergio Costagli Edizione "Primalpe" del 2005.

LUIGI SCIME’ “CAPITANO GIGI” nasce a Racalmuto (Agrigento) il 29 giugno 1907. Frequenta l’Accademia militare e nel 1935 come sottotenente di artiglieria viene inviato in Somalia dove partecipa alla guerra coloniale con le truppe indigene collaboratrici dell’esercito italiano e poi a capo di una banda irregolare indigena “Carsa” attiva nella controguerriglia. Nel 1939 rientra in Italia e partecipa alla conquista dell’Albania e alla guerra contro la Francia del giugno 1940. Assieme al Capitano Ippolito viene assegnato al 28 Reggimento di artiglieria, inserito nella Divisione Cremona con sede in Sicilia. Quando nel 1943 la minaccia di sbarco degli alleati nell’isola si fa imminente la Divisione Cremona e la divisione corazzata tedesca “H. Goering” hanno il compito di proteggere dallo sbarco il settore meridionale dell’isola attorno a Gela. La strapotenza dell’ artiglieria della Marina alleata e la superiorità aerea rendono impossibile la resistenza per cui Scimè segue le vicende della ritirata delle forze italiane e tedesche fino al passaggio sul continente il 12 luglio 1943, per raggiungere poi Bari. Avendo perso gran parte dei materiali e degli armamenti pesanti il capitano Scimè viene inviato con le truppe in Piemonte per ricostituire il 28 Reggimento Artiglieria della Divisione Livorno. Arriva a Fossano il 6 settembre. All’annuncio dell’armistizio il comandante della caserma si dilegua affidandogli la responsabilità degli uomini. Per sottrarre gli uomini alla cattura da parte dei tedeschi il capitano Scimè li manda in licenza provvedendo a nascondere un buon numero di militari meridionali, quasi tutti siciliani, nelle cascine della campagna cuneese, attorno a S. Albano. Il paese diventerà il punto di riferimento degli sbandati, protetti dal silenzio degli abitanti, per tutto l’inverno finché in primavera il gruppo decide di passare ad una fase più operativa. I contatti già avviati con Piero Cosa che sta operando in Val Pesio per organizzare la esistenza si traducono

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nella costituzione prima della Banda Cosa “ Val Pesio” e poi dal giugno 1944 della Brigata “Val Ellero” di cui il capitano Scimè ( il capitano Gigi) assume il comando. La formazione è fin dall’aprile sottoposta ad attacchi e nell’autunno inverno 1944 sostiene a lungo i rastrellamenti 1944 condotti da tedeschi e fascisti in valle Ellero. Nel gennaio 1945 viene costituita la Vª Divisione Autonoma Alpi “Mondovì” il cui comando è affidato al capitano Scimè. La divisione parteciperà agli attacchi ai presidi repubblicani in zona e nell’aprile 1945 alla loro neutralizzazione, infine alla liberazione di Mondovì il 29 aprile 1945. Il capitano Scimè avrà diversi riconoscimenti per la sua attività nell’esercito; per la sua attività di comandante partigiano otterrà la medaglia d’argento al valor militare.

TANCREDI GALIMBERTI “DUCCIO” Figlio di Tancredi Galimberti, avvocato, deputato liberale dal 1887 al 1913 e ministro delle Poste nel governo Zanardelli (1901-1903), Tancredi (Duccio) Galimberti nasce a Cuneo nel 1906. Nella sua formazione ha un ruolo centrale la madre, Alice Schanzer, studiosa di letteratura italiana e inglese, che gli trasmette il profondo interesse per Giuseppe Mazzini, di cui è testimonianza il saggio Mazzini politico, che egli scrive a 16 anni e che esce tra il novembre 1924 e il Duccio Galimberti gennaio 1925 su "L'Italia del popolo". Ottenuta la maturità presso il liceo Pellico di Cuneo nel 1922 - anno in cui comincia a scrivere su "La sentinella delle Alpi", di proprietà della famiglia - Galimberti si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell'ateneo torinese, presso il quale consegue la laurea nel giugno 1926. Dal 1927 inizia a lavorare nello studio legale paterno, dedicandosi contemporaneamente al proseguimento degli studi giuridici nell'ambito del diritto penale. Benché molto legato alla famiglia e benché il padre, nominato senatore del regno nel 1929, sia vicino al regime, Duccio si mantiene estraneo al fascismo e fermo nel rifiutare le proposte di adesione al Partito Nazionale Fascista (PNF). Nel 1939, anno della morte del padre, Galimberti entra in contatto a Torino con Ada Gobetti e, nel 1942, con Mario Andreis (conosciuto a Milano tramite il proprio fratello, Carlo), contatti che contribuiscono a far maturare il suo ingresso nel neonato Partito d'azione, sulla base di un'adesione morale prima che teorica, come mostra il "Progetto di costituzione confederale europea e interna" (al quale lavora con Antonino Repaci tra l'autunno del 1942 e la primavera del 1943), un documento che si discosta in parte dai presupposti azionisti e che risente dell'influenza del corporativismo.

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Il 26 luglio 1943, appresa la notizia della destituzione di Mussolini, Galimberti prende la parola pubblicamente - prima a Cuneo e poi a Torino - per incitare alla continuazione della guerra, contro il nazismo. Dopo l'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre, rivelatisi vani i ripetuti contatti con le locali autorità militari al fine di organizzazione una resistenza armata ai tedeschi, il 12 settembre lascia Cuneo per Madonna del Colletto, dove, con undici compagni (tra i quali Dante Livio Bianco, Arturo Felici, Edoardo Soria e Leo Scamuzzi) fonda la banda "Italia Libera", nucleo originario delle formazioni partigiane "Giustizia e Libertà" nel Cuneese.

Galimberti, da subito molto attivo nel tessere i collegamenti tra i primi gruppi partigiani nelle valli cuneesi, il 13 gennaio 1944 viene ferito nel corso di un combattimento nella zona di San Matteo in Val Grana. Dopo un breve periodo di convalescenza a Canale d'Alba (durante il quale redige un Progetto di riforma agraria), si trasferisce a Torino, dove in febbraio per incarico del Partito di Azione (Pda) assume il comando delle formazioni Movimento Giustizia e Libertà (GL) del Piemonte e in seguito la rappresentanza del partito all'interno del Comando militare regionale piemontese. Il 20 maggio 1944, accompagnato da Detto Dalmastro e Giorgio Bocca, a Barcelonette prende parte a un incontro con rappresentanti della resistenza francese, che getta le basi per i successivi accordi di collaborazione con il maquis (partigiani francesi) firmati a Saretto da Livio Bianco il 30 maggio. Costantemente impegnato in spostamenti finalizzati a organizzare, coordinare e sviluppare le formazioni partigiane GL, Galimberti continua tuttavia a risiedere a Torino: qui il 28 novembre 1944 viene arrestato, e imprigionato alle carceri Nuove. Prelevato dalle brigate nere di Cuneo, è tradotto nella sua città natale e torturato. La mattina del 3 dicembre, viene freddato ai bordi della strada nei pressi di Centallo dai fascisti, che nei giorni successivi cercano di presentare l'assassinio come la reazione a un suo tentativo di fuga. La sua memoria è subito insignita della medaglia d'oro al valor militare.

MARTINI ENRICO “MAURI” Nato a Mondovi il 29 gennaio 1911 dopo la maturità classica fu ammesso all'Accademia Militare di Modena nel 1929, al termine della quale proseguì nella regolare carriera di ufficiale degli alpini, nel 1936 con il 7º Reggimento alpini della divisione Pusteria, pertecipa alla campagna etiopica e nella battaglia del lago Ascianghi è decorato con la Croce di guerra al valor militare. Iniziata la seconda guerra mondiale, nell'aprile del 1941 viene promosso Capitano e destinato in Africa settentrionale italiana, ove rimane fino alla primavera del 1943, prendendo parte alla Martini Enrico Mauri battaglie di Marmarica e del deserto egiziano. Decorato di tre ricompense al valore, fu promosso al grado di Maggiore. Rimpatriato nella primavera del 1943, è assegnato allo Stato Maggiore dell'esercito, ove rimane fino all'armistizio dell'8 settembre 1943, data alla quale si aggrega ad un reparto di Granatieri, partecipando alla difesa di Roma. Raggiunge il Piemonte per unirsi alle unità della 4ª Armata, supponendo di dover proseguire nella resistenza contro i tedeschi. Viene catturato e imprigionato nel campo di

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concentramento di Apuania, da dove riesce nottetempo ad evadere ed il 17 settembre raggiunge le vallate del Monregalese. Di sentimenti monarchici, inizia l'organizzazione delle prime unità, da queste Valli, alle Langhe, al Monferrato, in venti mesi di combattimenti ininterrotti e spietati contro i nazifascisti, forma il I° Gruppo Divisioni Alpine del C.V.L.(Corpo volontari della libertà) che alla data del 25 aprile 1945 conterà nove divisioni partigiane con circa diecimila uomini. Contribuisce ampiamente alla liberazione di Torino, Asti, Alessandria, Alba, Bra, Mondovì, Ceva, Savona, dopo aver pagato alla Causa della Libertà un tributo di novecento morti e di oltre mille feriti e mutilati. Il I Gruppo Divisioni Alpine alla fine della guerra si sarà meritato sul campo 11 medaglie di cui 3 al valor militare. L'intero dossier documentario del I Gruppo Divisioni Alpine è conservato presso l'archivio dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti". Dialettica con il CLN(comitato liberazione nazionale) Non mancò neppure qualche difficoltà ad essere riconosciuto come comandante, da parte del CLN provinciale di Cuneo, per il quale "Mauri" non era sufficientemente conosciuto e secca fu la risposta del comandante: « ... in verità anch'io, in venti mesi di guerra combattuta sui due terzi di quella provincia, non ho mai avuto il piacere di sapere che esistesse un CLN provinciale. Ma non tengo a conoscerlo neppure oggi. » (Mauri, Con la Libertà e per la libertà, pag. 9) Al termine della guerra fu membro della Consulta Nazionale in rappresentanza delle Formazioni Autonome, strenuo sostenitore della concessione della Medaglia d'oro al valor militare alla città di Alba, quando era stato proposto il conferimento della Medaglia d'argento, inviando una lettera alla commissione Militare Regionale Piemontese. Nel 1947 chiese, ed ottenne, il collocamento nella riserva, lasciando il servizio attivo nell'Esercito Italiano con il grado di Tenente Colonnello. Si laurea in Giurisprudenza all'Università di Torino e diventa dirigente d'azienda. Monarchico e anticomunista, aderisce nel 1971 ai Comitati di Resistenza Democratico fondati da Edgardo Sogno, altro celebre partigiano badogliano. Morì in Turchia, a causa di un incidente aereo, il 19 settembre 1976. Il 12 novembre 1947, il Consiglio comunale di Alba, con deliberazione n. 9, gli conferisce la cittadinanza onoraria. « Maggiore Martini Enrico, comandante Mauri, organizzatore e capo delle formazioni Autonome dei Partigiani delle Langhe, portò all'ardua e pericolosa missione alto spirito di iniziativa ed indomito coraggio. La città di Alba, che diede alle schiere Partigiane il fiore della sua gioventù e che ebbe la ventura di essere liberata per la prima dal giogo nazifascista, di cui conobbe le feroci rappresaglie, conferisce al comandante Mauri la Cittadinanza Onoraria in segno di plauso, e nel suo nome esalta i partigiani di tutte le formazioni ed i loro Comandanti che lottando stoicamente nella regione albese dal 1943 al 1945, hanno bene meritato della causa della Liberazione » (Alba 12 novembre 1947) Le città di Alba e Torino gli hanno dedicato una via

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DANTE LIVIO BIANCO Nato a Cannes nel 1909, dove il padre, sarto emigrato da Valdieri, aveva raggiunto una solida posizione nel settore tessile, Dante Livio Bianco frequenta il liceo classico a Cuneo. Come il cugino Aldo Quaranta, con il quale condivide una grande passione per la montagna, Bianco si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Torino, laureandosi nel 1930 con Gioele Solari. Proprio all'università avviene il primo incontro con l'antifascismo: nel maggio 1928 Francesco Ruffini è contestato dagli studenti fascisti per essersi espresso in Senato contro il progetto di riforma elettorale plebiscitaria; Bianco, come Mario Andreis, Dante Livio Bianco Giorgio Agosti, Alessandro Galante Garrone e Ludovico Geymonat, è tra quanti manifestano sostegno al docente di diritto ecclesiastico e negli scontri che seguono l'episodio, insieme a Modesto Soleri, viene percosso dai fascisti. Dopo la laurea, Bianco sceglie la professione legale, lavorando dapprima a Cuneo e, dall'estate del 1933, nello studio torinese di Manlio Brosio, che era stato collaboratore della "Rivoluzione liberale" di Gobetti. In questo ambiente Bianco stringe relazioni sempre più salde con i fratelli Alessandro e Carlo Galante Garrone e con Agosti, con i quali aderisce al Partito d'Azione sin dalla fondazione nel 1942. Il 12 settembre 1943, a soli quattro giorni dall'armistizio, Bianco con undici compagni, tra i quali Duccio Galimberti, Arturo Felici, Edoardo Soria e Leandro Scamuzzi, fonda a Madonna del Colletto, a poca distanza dalla sua casa di Valdieri, l’Italia Libera, nucelo originario delle formazioni Giustizia e Libertà nel Cuneese, nelle quali militeranno anche la moglie Pinella Ventre (sposata nel 1937), il fratello Alberto e la cognata Alda Frascarolo. Divenuto commissario politico della Iª divisione GL nel luglio 1944, Bianco, a seguito dell'uccisione di Galimberti da parte dei fascisti, nel febbraio del 1945 assume la carica di comandante regionale delle formazioni GL, trasferendosi a Torino. Bianco, che subito dopo la Liberazione scrive una documentata cronaca della guerra partigiana, entra a far parte della Consulta nazionale, ma in seguito alla crisi del Pda dopo il suo primo congresso e ai deludenti esiti per il partito delle elezioni del 2 giugno 1946, lascia la politica attiva. Tuttavia, al fianco di molti dei compagni dell'area azionista torinese, prosegue il proprio impegno civile e culturale in particolare con l'Associazione GL, sorta nel 1947. Ritornato alla professione di avvocato e alla ricerca giuridica, è impegnato in difesa della Resistenza in numerosi processi del dopoguerra, tra cui quello per l'attentato di via Rasella. Nel 1953 appoggia l'esperienza di Unità Popolare di Piero Calamandrei e Ferruccio Parri, che riesce a bloccare il meccanismo maggioritario introdotto dalla cosiddetta "legge truffa". Muore improvvisamente in un incidente in montagna il 12 luglio di quell'anno.

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ALCUNI BRANI TRATTI DA “UN ROMANO TRA I RIBELLI” DI ALDO SACCHETTI EDIZIONI PRIMALPE

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09.05.1944

Tramite Maria prendo contatti con le sorelle Dutto di Benevagienna che gestiscono un negozio di dolciumi sotto i portici (ora Caffetteria Muggi). Proprio a Benevagienna conosco Ettore, amico e compagno di armi di Gigi, che presto si arruolerà con noi. E il classico ufficiale effettivo d’altri tempi, con un’inaspettata carica di simpatia. Mi presenta al bel mondo locale e per me ci scappa pure qualche parentesi... mondana! Pag.115 Genova I colloqui con Dino sono interminabili: ne abbiamo di cose da dirci! Ha programmato, con Cosa, un viaggio a Genova dove dovrebbe raggiungerlo insieme a Gigi e ad Ettore. A Genova vuole riagganciare gli amici del “M.U.R.l.” mentre Cosa deve riprendere le fila dell’organizzazione “Otto”, per i lanci. Pag.118 Maggio 1944 La nostra agenda è fitta di appuntamenti, ma qualcuno salta e si aprono spazi di tempo libero. Facciamo molta anticamera per contattare Balestrero; c’é aria di maretta tra la Resistenza genovese. Dino, per sicurezza si è un po’ appartato. Riusciamo ad agganciare Ettore, sistemato in un lussuoso appartamento in Genova alta, ospite di una stupenda signora! Scalpita e non vede l’ora di andare in vallata. Sono molto utili le sue relazioni genovesi nella cerchia dei militari. Lo trovo amareggiato e deluso: un suo ex collega, che pensava di arruolare in banda é invece passato coi fascisti. Giura vendetta: vuole farlo “cornuto”... e sono certo che ci riuscirà.

Aldo Sacchetti “Un romano tra i ribelli” Edizioni Primalpe Pagg 113/115/118

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Pag.160 GRUPPO "R" RINNOVAMENTO 2.1.45 qualcosa di nuovo ed importante bolle in pentola! Dino ci ha convocato urgentemente a Villanova, Cosa, Gigi, Ettore. Attorno ad un tavolo, ospiti di Don Servetti con le svolazzanti suore, Dino davanti ad un voluminoso carteggio, ci illustra il nuovo assetto politico militare che si vuole dare alla vecchia IIIª Divisione Alpi. La discussione si svolge in una atmosfera alquanto strana, un po’ formale. Siamo ben lontani da quelle belle riunioni condite da frizzi e battute! Vedo il Califfo, invecchiato e pallido; quasi a disagio. Si sente troppo promosso e forse rimpiange í tempi della Certosa e la libertà perduta di Capo Banda...! Gigi appare invece soddisfatto, convinto, al contrario di Ettore che si distrae facilmente e continua a sussurrarmi piccanti ricordi genovesi… Ettore mi piace sempre di più: è umano, vivo, cristallino. Valoroso comandante, secondo a nessuno nelle azioni più rischiose, sa trovare i giusti spazi per non rendere più cupa questa esistenza. Per quanto mi riguarda questo nuovo organico mi sembra un po’grandioso, e nel mio intimo continuo a pensare alla Volante, ai colpi di mano, ed alle belle scorrazzate in pianura Nel gennaio 1945, su progetto di Dino Giacosa, si costituì il Gruppo Divisioni "R", dipendente dal G.U.R.N. (Gruppo Unitario Rinnovamento Nazionale) e strutturato, sulla carta, in quattro Divisioni: la IIIª Divisione Alpi "Fossano", agli ordini di A. Sacchetti e comprendente le brigate Iosina (Rivaroli), Pesio (Bertoldo), Fossano (Vandoni); la Vª Divisione Alpi "Mondovì", comandata da L. Scimé e costituita dalle brigate Ellero, Maudagna, Corsaglia e Mondovì; la Divisione S. Giorgio, operante in Liguria al comando di Ettore Ippolito e la Divisione Augusta che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto agire come Divisione territoriale in Torino. La costituzione di queste ultime due divisioni incontrò notevoli difficoltà.

Aldo Sacchetti “Un romano tra i ribelli” Edizioni Primalpe Pag.160

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ALCUNI BRANI DA “LE FORMAZIONI ‘R’” NELLA LOTTA DI LIBERAZIONE di Giovenale Giaccardi EDIZIONI L’ARCIERE INTRODUZIONE Le formazioni «R» costituirono una categoria partigiana a sé stante, al punto che vennero persino definite come «le autonome dalle Autonome» per le loro presunte smanie d'indipendenza. In realtà esse si distinsero da tutte le altre, e quindi anche dalle «Autonome» cui pure appartennero, perché la loro storia ebbe aspetti singolari dovuti alla peculiarità delle origini, ed anche alla travagliata vicenda delle loro relazioni esterne. In queste pagine introduttive ci rifaremo brevemente alle origini, e cioè alla «Banda» partigiana di Valle Pesio¹ sorta nel settembre del 1943 per iniziativa di Piero Cosa e raggiunta da Dino Giacosa nel febbraio del 1944. La peculiarità cui accennavamo risulta proprio dall'incontro di queste due personalità notevolmente diverse, in cui però non mancavano i tratti comuni e gli aspetti complementari. Cosa aveva allora 35 anni, il grado di capitano di complemento degli alpini, e gli amari ricordi della guerra combattuta in Albania. Parimenti, l'esiguo gruppo da lui raccolto alla Certosa era composto, in maggioranza, da ex militari giunti all'antifascismo attraverso le disillusioni del periodo bellico. La Banda di Valle Pesio sorse quindi al di fuori di ogni influenza di partito, e fu concepita dallo stesso Cosa come un «reparto strettamente militare senza alcun colore politico». Essa però non si considerò mai un frammento del regio esercito scampato alla catastrofe dell'8 settembre '43, e quindi non richiese giuramenti di fedeltà al sovrano.

1 Mario Donadei ne ha diffusamente narrato le vicende in Cronache Partigiane - La Banda di Valle Pesio, Cuneo, 1973, e Piero Camilla ha ripreso l'argomento nel suo scritto La Battaglia di Pasqua in Valle Pesio, comparso sul « Bollettino della Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della Provincia di Cuneo », n. 71-1974. Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag.7

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Queste caratteristiche la distinsero fin dai primi tempi da altre formazioni di analoga matrice «militare»: assai significativo appare, al riguardo, un episodio avvenuto all'inizio del '44, quando un ufficiale superiore inviato dal generale Operti in Valle Pesio «per assumere il comando della banda», venne energicamente convinto a cambiare sede 3. Va detto d'altra parte, che per degli ex ufficiali il termine «militare» significava di per sé «senza alcun colore politico», dato che l'unico esercito di partito ad essi ben noto, ma tutt'altro che allettante, era la milizia fascista. Il rifiuto di ogni impronta partitica non implicava tuttavia una radicale ed assurda apoliticità, perché lo «scopo» dichiarato della formazione era quello di «combattere il fascismo repubblicano e i tedeschi fino a che, riacquistata la libertà, il popolo italiano non avesse eletto il nuovo governo»4. Quanto ai progressi compiuti e all'attività militare svolta tra il settembre '43 e i primi di marzo del '44 basterà qui dire che, dopo una silenziosa preparazione logistica, la Banda di Val Pesio si impose all'attenzione con una serie di operazioni, alcune delle quali ebbero particolare risonanza, come il «colpo» effettuato all'aeroporto tedesco di Mondovì in collaborazione con altre bande, e la completa distruzione del silurificio S. Giorgio di Pistoia, appena traslocato a Beinette. In tutto il periodo si verificarono solo due puntate nemiche in vallata: la prima, compiuta dai tedeschi, si arrestò a S. Bartolomeo ; l'altra, operata da una colonna fascista, fu facilmente bloccata nei pressi del Pian delle Gorre, e trasformata in rotta. San Bartolomeo Cosa era frattanto riuscito a porsi in contatto con l'«Organizzazione Otto» di Genova «che agiva come gruppo di collegamento con gli Alleati a mezzo di apparecchi radio trasmittenti»5. I risultati di questa iniziativa personale, assunta in un periodo in cui la possibilità di ricevere aiuti dagli angloamericani non era neppure presa in considerazione negli ambienti partigiani, non tardarono a manifestarsi. A partire dal 21 gennaio '44 la banda di Cosa ricevette diversi aviolanci di armi e materiale che furono tra i primi effettuati dalla «Special Force» britannica in tutta l'Italia del Nord, e segnarono l'inizio dei rapporti tra gli Alleati e la Resistenza del Cuneese. In febbraio infatti, la missione «LLL/Charterhouse», sbarcata poco prima a Voltri, si trasferiva in Valle Pesio con l'incarico di stabilire regolari comunicazioni radio con il quartier generale di Brindisi.

3Testimonianza di P. Cosa. Il generale Raffaello Operti era, in quel periodo, comandante delle 'formazioni partigiane’ della regione. 4 Dalla relazione di Cosa, cit. 5 dalla deposizione resa il 1° agosto 1949 dal prof. Ottorino Balduzzi, capo della ornanizzazioen “Otto” In: Atti della Commissione d'inchiesta sul salvataggio del porto di Genova, a cura dell'I.S.R.L., Genova, 1952, pag. 57. Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag 8

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Nel corso di quello stesso mese giungevano anche Dino Giacosa e Aldo Sacchetti, la cui adesione procurava alla formazione il valido apporto del Servizio X, e cioè della rete informativa da essi creata e diretta. Giacosa contava allora 27 anni, due lauree, due anni di attiva cospirazione antifascista ed altrettanti trascorsi in carcere e al confino. Nonostante la giovane età, egli proveniva, come pochi altri iniziatori della Resistenza nel Cuneese, dall'antifascismo attivo, e cioè da un'esperienza interamente politica, dato che non aveva precedenti militari. Si trattava però di un politico del tutto particolare perché completamente estraneo ai partiti clandestini, avendo fondato nel 1938, insieme a Luigi Passadore di Genova (firma la tessera MURI di Ettore Ippolito) e Franco Valabrega di Torino, un'autonoma organizzazione denominata «Movimento Unitario per il Rinnovamento italiano» (M.U.R.I.). Questa iniziativa rivela l'isolamento in cui Giacosa e i suoi amici si trovarono al momento della loro scelta antifascista, avvenuta all'inizio degli studi universitari, ma testimonia anche la loro insofferenza verso la vecchia classe politica, e il bisogno di fare da sé. Più tardi, e cioè nel dopoguerra, alcune posizioni vennero rivedute, ma questo bisogno restò, tanto che, presentando al pubblico il M.U.R.I. appena ricostituito, Giacosa scriveva: «Potremo essere ritenuti presuntuosi od illusi, per aver rifiutato di legarci ad un partito politico. Diciamo subito però che tale nostro rifiuto non è dovuto a spirito ribelle e a sfiducia per le varie correnti politiche risorte a nuova vita. La vera ragione è da ricercarsi piuttosto nello stesso processo psicologico che rese noi — allora appena ventenni — ribelli al fascismo (...). Ed è a questo spirito di indipendenza (...) che non possiamo rinunciare, senza rinunciare a noi stessi» 6.

6 Il brano è tratto dall'articolo Presentazione, apparso su «Movimento», organo del M.U.R.I. stampato a Genova, n. 1 del 7-14 luglio 1945.

Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag.9

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Tornando al M.U.R.I. pre-bellico, è opportuno precisare che esso operò dal '38 al '40, quando, accortosi che la polizia fascista ne aveva scoperto le tracce, Giacosa si affrettò a scioglierlo, «onde predisporre una condizione giuridica di non punibilità per tutti gli aderenti» 7. Secondo le notizie fornite da Raimondo Luraghi, che poté esaminare l'incartamento giacente presso la questura di Torino, «Nel momento in cui i capi del M.U.R.I. caddero in mano all'Ovra l'attività in Piemonte era in pieno rigoglio; a Torino esistevano altri otto aderenti con mansioni direttive; ad Alessandria e Novara il Movimento stava iniziandosi assai bene; era già pronto un manifesto da lanciarsi a Torino (...). Vi era anche parecchia stampa, poligrafata da operai della Capitaneria di porto di Savona» 8. Dopo l'arresto di Giacosa, Valabrega ed altri, avvenuto il 1° giugno 1940, la polizia catturò una trentina di aderenti che vennero rinchiusi nelle carceri di Firenze. Furono tutti deferiti al «Tribunale Speciale per la difesa dello Stato» e tenuti in celle d'isolamento nel corso della fase istruttoria che si protrasse per otto mesi. Dopo il proscioglimento, la commissione per il confino colpì la maggior parte degli arrestati, e quindi Giacosa venne trasferito nell'isola di Ventotene che, a quell'epoca, ospitava vari illustri rappresentanti dell'antifascismo militante 9 Liberato nel 1942 grazie ad un espediente burocratico escogitato dall'avvocato Enrico Zola del M.U.R.I. di Torino, era stato accolto nello studio legale di Duccio Galimberti in Cuneo, e, dopo l'8 settembre '43, aveva preso con lui la via della montagna. Gli erano rimasti, specie nel capoluogo ligure e in quello piemontese, diversi amici e sostenitori, sui quali egli faceva affidamento per un'attiva partecipazione alla lotta armata, e per il futuro rilancio del movimento. Già durante la sua permanenza presso Galimberti e nella banda «Italia Libera», Giacosa aveva tenuto a precisare e a distinguere la sua posizione: «C'era stato un accordo concluso tra me e Galimberti, egli afferma, proposto da lui, onde prevenire eventuali contrasti e smetterla di litigare tra noi due, lui per il P.d.A., io per il M.U.R.I. (...) Credo che fossero i primi del novembre 1943 e ci trovavamo nel distaccamento dei Tetti Grain (...) e ivi decidemmo di stilare un "patto di unità d'azione" tra i due gruppi, e Duccio stesso, servendosi di un letto come tavolo, scrisse a mano su due fogli di carta qualunque, una copia per uno, il nostro accordo...» 10

7 Dalla testimonianza scritta di Giacosa. Arch. « R », 8/A. 8 R. Luraghi Lotta antifascista in Piemonte dal 1926 al 1943, in « Il movimento dí Liberazione in Italia », n. 28-29, 1954, pagg. 31-33. La sigla O.V.R.A. significa: Opera Vigilanza Repressione Antifascismo. 9 Testimonianza di Giacosa. Della vicenda del M.U.R.I. tratta diffu-samente l'articolo di L. Passadore apparso sul numero isolato de « Il Mo-vimento », uscito a Genova 11 15 maggio 1945. 10 Cfr. Antonino Repaci, Galimberti e la Resistenza italiana, Torino, 1971, pag. 210.

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L'intesa durò fino alla fine del '43, quando Giacosa ritenne di non poter più appartenere a «Italia Libera» per la sua dichiarata dipendenza dal Partito d'Azione, e quindi se ne staccò, insieme ad Aldo Viglione 11. Poco dopo anche Aldo Sacchetti raggiungeva Giacosa e, dato che i due avevano fatto parte, insieme a Duccio Galimberti, Livio Bianco e Leo Scamuzzi, del «Comando collegiale» della banda, la secessione ebbe la portata e le conseguenze di una rottura all'interno del gruppo dirigente. Le sue ripercussioni finirono infatti di estendersi dal piano delle relazioni personali a quello dei rapporti tra formazioni, fomentando rivalità e polemiche, ma alimentando anche un'attenzione reciproca del tutto particolare. Al momento dell'offensiva primaverile scatenata dai tedeschi contro le formazioni partigiane del Cuneese, la Banda di Valle Pesio aveva ormai concluso il periodo della sua crescita, e quindi la «battaglia di Pasqua» costituì per essa un autentico banco di prova. Nei giorni dal 7 al 9 aprile «anziani» e giovani alle prime armi, nuclei originari e gruppi aggiunti realizzarono con coraggio e determinazione il piano difensivo di Cosa, ottenendo uno dei maggiori successi riportati dai partigiani sui tedeschi. Quasi simbolica appare al riguardo la presenza di Giacosa e Sacchetti a fianco dei siciliani portati in banda da Gigi Scimè, un ufficiale di carriera (era stato in Sicilia con Ettore Ippolito durante lo sbarco) che proprio tendendo imboscate con questa spericolata masnada si rivelò un valente comandante partigiano. Dopo la ritirata in Valle Tanaro e la forzata divisione della formazione, Giacosa e Sacchetti raggiunsero Cosa a Genova, dove egli si era recato per aiutare il radiotelegrafista della missione «LLL/Charterhouse» a porre in salvo il suo apparecchio e a riprendere i contatti con la «Otto». Negli stessi giorni però questa organizzazione veniva distrutta dai tedeschi, ed anche la suddetta missione era catturata al completo. Dopo questi fatti i tre attesero sul posto il momento del rientro in Valle Pesio tenendosi in contatto con Scimè, rimasto a curare i collegamenti con i diversi gruppi nei quali la banda si era scissa. Dalle discussioni di quei giorni uscì il cosiddetto «piano dei Giovi» 12 proposto da Giacosa. Esso prevedeva l'espansione della formazione nelle valli del Monregalese, il potenziamento del Servizio X, l'impianto di una nuova banda partigiana nel territorio di Genova e la riunione di tutte queste forze in un gruppo politico al quale, naturalmente, Giacosa tendeva a dare l'impronta del suo movimento unitario. L'incontro tra la formazione di Cosa e l'ideologia del M.U.R.I. 13 avvenne perciò a Genova, ma l'avvicinamento delle posizioni si realizzò per gradi, e sotto la spinta di fattori esterni. Il punto di tangenza che lo rese possibile fu, come si è visto, il postulato dell'autonomia dai partiti politici, comune ad entrambe, anche se scaturito da esperienze e mentalità diverse. 11 Anche Beppe Tosello (« Sigaret ») lasciò la Valle Grana in quell'occasione. 12 Dalla località dove essi risiedevano. 13 L'esposizione del pensiero del M.U.R.I. non rientra nei limiti di questo lavoro, anche perché esso venne in buona parte elaborato dopo la fine della guerra. Ci sembra tuttavia opportuno indicare il suo concetto ispiratore, e cioè la convinzione che la democrazia basata sui partiti necessiti di un correttivo, ossia di « un punto di confluenza » tra le diverse correnti « se si vuole evitare che lo scontro materiale tra loro tradisca e conduca a fallimento lo scopo di ognuna di esse ». Le frasi citate sono tratte dall'articolo Chi siamo di G. Giacosa, apparso sul n. 7 del « Movimento » che reca le date del 18-25 agosto 1945. Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag.11

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In Valle Pesio, frattanto, la situazione non accennava a migliorare: per tutto il mese di maggio i fascisti continuarono ad imperversare tanto che la stessa G.N.R.(Guardia Nazionale repubblicana) di Chiusa Pesio, vedendosi minacciata dalle ribalderie della «Muti» 14, ne stigmatizzava il comportamento scrivendo al capo della provincia 15. All'inizio di giugno il presidio di S. Bartolomeo lasciava finalmente la valle, e subito aveva inizio lo spontaneo rientro dei primi gruppi partigiani. Nella seconda metà del mese, con l'arrivo di Scimè, Sacchetti e Cosa, la banda andò ricomponendosi e anche la guarnigione di Chiusa Pesio giudicò prudente alzare le tende. Dopo qualche settimana la formazione si divise in tre gruppi dislocati nelle Valli Pesio, Ellero e Lurisia, destinati a costituire l'embrione di altrettante brigate. Nello stesso tempo furono ristabiliti i collegamenti con Giorgio Vallero, il comandante dei partigiani di Valle Iosina che, dopo essersi uniti agli uomini di Cosa durante i combattimenti di aprile, erano rientrati nella loro zona. Giacosa era invece rimasto a Genova per seguire i primi passi della nuova formazione locale, cui era stato dato il nome di «Odino - San Giorgio» perché una parte dei suoi uomini doveva unirsi alla banda «Gian Carlo Odino» 16 organizzata dal Partito Liberale nella zona di Voltaggio, mentre la «S. Giorgio» era stata concepita come un'unità costituita da squadre cittadine. Di fatto, quest'ultima funzionò essenzialmente come Servizio X, e non ebbe gli sviluppi previsti perché ostacolata dal protrarsi della detenzione di Luigi Passadore, nuovamente arrestato, e da altre circostanze avverse. Quanto all'«Odino», occorre aggiungere che le intese intercorse con l'ing. Mario Albini, membro del Comando Militare Regionale Ligure, prevedevano che la nuova brigata, risultante dalla fusione dei due gruppi, passasse agli ordini di Costanzo Repetto 17 il comandante designato da Giacosa, e venisse «organicamente inquadrata» nella formazione di Cosa, e cioè nella futura IIIª divisione «Alpi» 18. Altri accordi furono stabiliti con l'avv. Errico Martino, presidente pro-tempore del C.L.N., e Luigi Lanfranconi del P.d'A. per il riconoscimento ufficiale del reparto, e la sua dipendenza operativa dai comandi locali. La realizzazione di questo progetto, per il quale Giacosa aveva offerto un contributo finanziario «anche integrale» da parte del suo «gruppo», occupò diversi mesi e, come si vedrà, riuscì solo parzialmente. Durante il mese di luglio le squadre organizzate da Costanzo Repetto si riunirono nella zona di Gottardo - Molassana San Siro - Prato, per poi spostarsi, come previsto, verso Voltaggio 19. Dall'Appennino ligure al Monregalese il «piano dei Giovi» stava ormai divenendo realtà, e con questa espansione incominciava una nuova fase di vita partigiana, assai più ampia e complessa di quella vissuta dalla «Banda di Valle Pesio».

14 Famigerata Legione Autonoma « Ettore Muti ». 15 Cfr. La relazione del comandante in data 19.5.44, copia nell'Arch. « R », 24/A. 16 Così chiamata in memoria del capitano Gian Carlo Odino, comandante di una formazione partigiana, caduto nell'eccidio avvenuto alla Benedicta ai primi dell'aprile 1944. La banda di cui si parla era costituita dai resti di tale formazione. 17 Si trattava di un ufficiale che si era già distinto nelle file dell'« Organizzazione Otto » 18 Testim. di Giacosa; cfr. la lettera di quest'ultimo all'ing. Albini in data 23.11.44, Arch. « R », 7/C, e la relazione Brigata « Giancarlo Odino » - effettivi e cronistoria, datata 13.6.1946, in AISRL, AM/P4. 19 Cfr. la relazione di Costanzo Repetto, Arch. « R », 7/C.

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LA IIIª DIVISIONE « ALPI »

Ordinamento e dislocazione

Due documenti attestano la nascita della nuova divisione: l'«ordine n. 1» diramato da Cosa nella prima decade di luglio del 1944, con il quale i gruppi che si erano andati raccogliendo nelle Valli Pesio, Lurisia ed Ellero venivano invitati a costituirsi in tre distinte brigate, e la lettera da lui inviata il 12 luglio al C.L.N. regionale e alle formazioni limitrofe per ribadire l'ambito della sua giurisdizione 1. 1 La lettera reca l'intestazione « Brigata Val Pesio » e la firma « Bastian », pseudonimo allora usato da Cosa. — AISRCP, coli. 2403; l'ambito della zona veniva così descritto: « 1.Valle Pesio (compreso Pradeboni) – 2.Beinette – 3.Margarita – 4.Morozzo – 5.S.Albano – 6.Fossano – 7.Benevagienna 8.Trinità – 9.Magliano -10.Roccadebaldi – 11.Pianfei – 12.Villanova Mondovì – 13.Roccaforte – 14.Val Ellero (compresa Lurisia) ».

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Il testo del primo documento è andato smarrito, ma il suo contenuto è desumibile dall'«ordine n. 2» del 21 luglio che ad esso fa esplicito riferimento per apportarvi una «parziale modifica», e cioè la soppressione della brigata Lurisia, e la sua sostituzione con un semplice distaccamento avente il compito di provvedere «al servizio rifornimento delle due vallate Pesio-Ellero» 2. L'ordine reca la generica intestazione «Comando divisione alpina» e rivela il disegno abbozzato da Cosa e dai suoi collaboratori nei mesi precedenti: una formazione più ampia della vecchia «banda», ma raccolta tra Pesio e Ellero, e cioè in una zona sulla quale essa, direttamente o indirettamente, aveva già fatto sentire la sua influenza, e che nel luglio 1944 si presentava pressoché sgombra 3.

Carta geografica della provincia di Cuneo prodotta dal Servizio politico del Comando generale della Guardia nazionale repubblicana. Vi è rappresentata, senza indicazioni di date, la situazione delle varie aree della provincia relativamente all a dislocazione e alla consistenza delle bande partigiane.

2 Arch. « R », 3/A. 3 In Valle Ellero si era recentemente insediato un gruppo di ex appartenenti alla banda di Franco Ravinale, guidato da Luigi Martelli. Esso entrò a far parte della brigata Ellero.

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Pochi giorni prima dell'emanazione di questo ordine, Mauri aveva fatto visita a Cosa in Valle Pesio, e dal loro incontro era scaturita la decisione di costituire la terza brigata della nuova divisione nelle Valli Maudagna e Corsaglia, anziché in quella di Lurisia. L'ampliamento era stato proposto da Mauri insieme al suo progetto di riorganizzazione del 1° settore Monregalese-Langhe, e venne ufficialmente annunciato il 22 luglio con un documento che riconosce alla formazione comandata da Cosa (in quel momento denominata «1a divisione alpina») la «giurisdizione sulle valli di Peveragno, Pesio, Ellero, Miroglio, Corsaglia»4. Queste precisazioni valgono a stabilire la parte di verità contenuta nelle affermazioni di Mauri, il quale esorbita però alquanto quando asserisce di avere «costituito» la terza divisione «Alpi»5. Il nuovo ordinamento era destinato a durare per tutto il periodo di vita della divisione, e cioè sino al gennaio 1945. Più mutevoli furono invece i numeri che la contraddistinsero: da «prima» divenne ben presto «seconda» divisione per un ripensamento di Mauri e poi, definitivamente, «terza» in seguito agli accordi di Certosa con le G.L. cuneesi. Di questi accordi ci interessano, per il momento, solo i riflessi organizzativi, notificati da Cosa «a tutti i comandi di Brigata e distaccamenti dipendenti» il 10 agosto '44. Nel documento «il nuovo ordinamento assunto dalle formazioni partigiane della provincia di Cuneo dopo gli accordi raggiunti fra i Capi Banda e i rappresentanti politici nei colloqui del 7-8 agosto 1944» veniva così descritto: I° Gruppo divisioni « Giustizia e Libertà Comandante Maggiore Mauri Iª Divisione Alpina Brigata Val Grana Giustizia e Libertà Brigata Val Stura Capitano Rosa Brigata Val Gesso Brigata Val Vermenagna Brigata Val Roja Brigata Val Bisalta IIª Divisione Alpina Brigata Val Maira Giustizia e Libertà Brigata Val Varaita Tenente Detto IIIª Divisione Alpina Brigata Val Pesio Giustizia e Libertà Brigata Val Ellero Capitano Cosa Brigata Val Corsaglia Banda Val Josina Banda Val Maudagna Banda S. Giorgio – Liguria IVª Divisione Alpina Brigata Val Casotto Giustizia e Libertà Brigata Val Mongia Brigata Val Tanaro Divisione «Langhe» Brigata Langhe settentrionali Giustizia e Libertà Brigata Langhe meridionali 4 Arch. « R », 3/A. 5 Partigiani Penne Nere, Milano, 1968, pag. 134. Va ancora aggiunto che il gruppo partigiano esistente in Val Maudagna si era già avvicinato a Cosa per « divergenze di vedute con Mauri ». Testimonianza di T. Colantuoni.

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All'inserimento della formazione in questo grande schieramento unitario si accompagnò il suo perfezionamento organizzativo, anche negli aspetti formali: sempre in data 10 agosto 1944 venivano redatti i primi prospetti generali riguardanti l'inquadramento interno. In essi Cosa e Giacosa figurano come comandante e commissario politico della divisione; Aldo (Sacchetti), Gigi (Scimè) e Ettore (Ippolito) quali comandanti delle brigate Pesio, Ellero e Corsaglia; Dinaldo (comando collegiale di Dino Giacosa e Aldo Sacchetti) quale capo del Servizio X; Giorgio (Vallero) quale comandante della banda Val Iosina; Silvio (Barello) quale comandante della banda Val Lurisia; Giacomino (Murgia) quale comandante della banda Val Maudagna; e infine « Giorgio » (Costanzo Repetto) quale comandante della banda Odino-San Giorgio della zona di Genova Nello stesso periodo Cosa costituiva una «squadra comando» addetta ai servizi divisionali che, dopo il cambiamento di sede da Certosa di Pesio a Rastello in Valle Ellero avvenuto nell'ultima decade di agosto, ampliò notevolmente le sue funzioni e i suoi effettivi per far fronte alle crescenti necessità. Lo schema organizzativo pubblicato nella «Storia del Gruppo Divisioni "R"» disegna, con un pizzico di compiacimento burocratico….

Dispiegamento Brigata Odino novembre 1944

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L’ATTIVITA’ MILITARE DELLA IIIª DIVISIONE “ALPI” SINO ALLA PRIMA DECADE DI NOVEMBRE 1944 Dalla metà di settembre l'attività della brigata si spostò decisamente sul piano del sabotaggio e, più ancora, dei combattimenti e delle imboscate in pianura. Non tutte le azioni compiute risultano adeguatamente documentate: sono note alcune tra le più rilevanti e clamorose quali l'interruzione dei due ponti stradali sulla Stura nella zona di Fossano, e la cattura di 28 prigionieri tedeschi nel corso di una sola operazione 8. Un cenno più diffuso richiede la situazione delle Valli Corsaglia e Maudagna dove, fin dal mese di maggio, si erano ricostituiti due distinti gruppi partigiani, entrambi alle dipendenze di Mauri. Il primo contava un centinaio di uomini sistemati a Fontane sotto il comando di Alberto Gaglietto. Il secondo, nato per iniziativa di Toni Colantuoni e Giacomino Murgia coadiuvati da alcuni «vecchi» partigiani della Val Casotto quali i fratelli Augusto e Sergio Astengo, Giovanni P. Manzo, Ugo Cornazzani e Luigi Tozzi, si era quasi subito insediato alla Balma. Nei primi mesi la forza di questo gruppo si mantenne sui 50 uomini; in luglio, dopo un attacco tedesco e il passaggio di Gaglietto in Val Casotto, esso raggiunse rapidamente i 150 elementi ed entrò a far parte della IIIª divisione «Alpi» come «brigata Corsaglia», al comando del capitano Ettore Ippolito. «L'aumento degli uomini — scrive Colantuoni — creò all'inizio delle difficoltà circa l'armamento che furono poi superate, in parte con azioni di guerra, e in parte coll'aiuto del Comando di Divisione tanto che, verso la fine dell'estate, tutti gli uomini erano dotati di armi individuali»9. Rifugio la Balma giugno 2015

Interno rifugio la Balma giugno 2015

8 In tutto il periodo la brigata Ellero ebbe le seguenti perdite: Gianni Vizio, caduto a Mondovì il 29 luglio; Luigi Martelli, Domenico Bongio-vanni, Vittorio Da Ros, caduti il 9 agosto in un'imboscata presso le case Orsi (Villanova Mondovì); Secondino Basso deceduto il 17 agosto per le ferite subite in uno scontro con i fascisti a Roccaforte; Antonio Chisci morto il 25 settembre a S. Albano dopo aver attaccato da solo una pattuglia tedesca; Stefano Dolla caduto a Villanova, nel corso di un'operazione di polizia contro grassatori, il 26 settembre 9 testimonianza di Toni Colantuoni aiutante maggiore di Ippolito

Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag 34

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L'accenno alle armi sottratte al nemico si riferisce, principalmente, all'impresa compiuta dagli uomini della squadra di Andrea Micheletti ("Nino"), in buona parte originari della Valle Roja e quindi assai pratici di quei luoghi. «Fu un'avventura molto rischiosa — leggiamo in una testimonianza — perché per raggiungere le fortificazioni poste sopra S. Dalmazzo di Tenda dovettero forzare il blocco dei tedeschi e dei russi che presidiavano Tenda e la zona circostante. Dopo essersi impossessati di alcune mitragliatrici, mitragliatori e di un mortaio da 45, riuscirono a far ritorno passando proprio davanti alla caserma "Plava" di Tenda» 10 Superate le difficoltà create dalla sua stessa crescita, la brigata raggiunse in breve una notevole efficienza, e dalla metà di settembre essa risulta felicemente inserita nell'azione comune: sono infatti i suoi uomini a

11 novembre 1944 Val Corsaglia Immagine donata al Comune Chiusa di Pesio da Elisabetta Tonello

compiere la più difficile distruzione sulla statale n. 28, ad impegnare con successo reparti nemici in perlustrazione nel fondo valle, a proteggere efficacemente il fianco destro della divisione durante 'attacco tedesco del 14 novembre 11 Prima di concludere dobbiamo ancora soffermarci sulle vicende della brigata «Odino-S. Giorgio» di Genova che, dopo un promettente incremento numerico e il perfezionamento organizzativo ottenuto nella regione di Molassana, assai esposta agli attacchi nemici, raggiunse in settembre la zona di Voltaggio, attestandosi sui monti Purale e Zuccaro. Qui però non tardò a verificarsi un increscioso incidente causato dallo spostamento, non tempestivamente segnalato, di un altro reparto partigiano, e dall'inesattezza delle informazioni pervenute al comandante Costanzo Repetto, che venne ferito in maniera abbastanza grave. La sua menomazione e l'allarme destato dalle voci di un imminente rastrellamento non tardarono a produrre una crisi nella formazione che poté essere solo parzialmente salvata dal commissario Francesco Buttafava (Bufra), con l'aiuto di Paolo Torre e Dante Repetto. Informati, seppur tardivamente, dell'accaduto, Cosa e Giacosa decidevano l'invio di due ufficiali della IIIª divisione «Alpi»: Mario Scacchetti, quale temporaneo sostituto del comandante, e Piero Geremia ( Monti) alla testa di tredici uomini mandati di rinforzo 12. 10 Testimonianza di Aldo Clerico e Luigi Mondino. 11 Nel periodo considerato le perdite della brigata furono le seguenti: Mario Garelli, caduto in un'imboscata in regione Alma di Frabosa il 19 luglio; Cesare Iemini fucilato il 30 luglio a Mondovì; Dante Munichi, deceduto in seguito a malattia al Prel di Frabosa il 19 agosto. 12 Informazioni tratte dalle lettere di Giacosa inviate il 24 e 25 novembre all’ing.Mario Albini e a Francesco Buttafava,e della relazione di Piero Geremia “Monti” Arch “R” 7/c

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NOTIZIARIO 1944

6 settembre «Nei pressi di Fossano tre Patrioti della IIIª Divisione avvistano fermo un grosso autotrasporto tedesco giunto da poche ore dal fronte toscano. Due soldati germanici, tra cui un maresciallo, fanno la guardia al prezioso materiale di carico. Visto il buon colpo, i tre patrioti con estrema decisione affrontano i germanici, li disarmano e imponendo il cambiamento di rotta, li portano al comando della loro brigata». (« Rinascita d'Italia » n. 8 del 7.9.44) 6.9.44 ore 16 — Ribelli asportavano nelle vicinanze di Fossano il camion Fiat 626, contrassegnato 088 (paragrafo 1181 del rapporto della Gendarmeria tedesca in data traduzione) 5.

.9.44 —

6 settembre “Mondovì in quei giorni era presidiata da un centinaio di repubblicani SS italiane e da una ventina di tedeschi comandati dal ten. Boldt. Si venne a sapere che all'entrata della città si trovava un deposito di nafta e decidemmo di scendere in città verso mezzogiorno (...). Una motocicletta precedeva il nostro camion che doveva andare al centro della città a caricare il sale, seguito dal 626 che doveva caricare la nafta nei pressi della ferrovia per Villanova (...); tutti ci guardavano con sorpresa e ci applaudivano (...). Entrammo in città scendendo dal viale Vittorio Veneto dove l'altro camion si fermò a caricare la nafta.

5 Uno dei partecipanti era Beppino Demartino, della brigata Ellero. Il rapporto tedesco citato è conservato nell'Arch. « R », 36/B, e si trova riprodotto nell'Appendice. Fu redatto dal capitano comandante il distretto della gendarmeria, corrispondente alla provincia di Cuneo. Elenca 15 azioni partigiane dal 6 al 17 settembre, quattro delle quali riguardano sicuramente la 36 divisione Alpi.

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In Corso Statuto catturammo un elegante ufficiale a braccetto a fidanzata (...). Senza scendere dal camion giungemmo in piazza S. Carlo dove un ufficiale fece l'atto di puntare il suo mitra verso di noi, ma colpito dal nostro tiro preciso cadde gravemente ferito; altri repubblicani e tedeschi intenti a consumare il pranzo nell'albergo dei Tre Limoni credettero bene di barricarsi in una stanza e non intervenire. Raggiungemmo il magazzino del sale (...), forzata la porta si incominciò ad insaccare il sale aiutati dall'ufficiale repubblicano (...). Intanto i fascisti per intimorirci incominciarono a sparare dalla ben munita fortezza della parte alta della città, senza però aver il coraggio di attaccarci direttamente... » 6 (Testimonianza di Giovanni Griseri) 21.9.44.

notizia in «Rinascita d'Italia» n. 10 del

8 settembre Il mattino dell'8 settembre una squadra di Patrioti partita su segnalazione, raggiungeva con marcia notturna di circa 10 ore la strada di arroccamento Colle di Nava - Colle dei Signori. Con veloce opera di mina la strada veniva interrotta, sì da impedire ogni eventuale transito». («Rinascita d'Italia» n. 9 del 14.9.44)7. 15 settembre «Ribelli fecero saltare il ponte sul fiume Pesio all'altezza della pietra miliare Km. 24 strada statale 28 Genola-Mondovì-Ceva». ( paragrafo 1175 del rapporto della gendarmeria tedesca cit.) “L'azione fu decisa dal comando di divisione e affidata per l'esecuzione alla Brigata Val Corsaglia. Vi parteciparono: il cap. Ettore Ippolito, l'avv. Guido Verzone, Toni Colantuoni, Luigi Tozzi, Ugo Cornazzani, km 24 della statale 28 Giovanni Piero Manzo, Edoardo Aperto e altre sei o sette persone. In giornata si era cercato di avere informazioni circa la struttura del ponte presso l'ufficio del genio civile di Fossano, ma l'unico dato preciso era, purtroppo, l'assenza dei fornelli da mina. Preparato e caricato l'esplosivo plastico ci portammo sul posto con tre macchine e iniziammo il lavoro dopo aver dislocato delle vedette verso Magliano e verso Mondovì. Ponte sulla statale 28

6 L'azione venne diretta da Gianni Raineri; tra i protagonisti, tutti della brigata Ellero, risultano: Giacomo Gregorio, Giovanni Griseri, Emilio Manfredi, Riccardo Miraglio, Vincenzo Puma, Angelo Sanna 7 La squadra apparteneva al comando divisione ed era guidata da Cosa.

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«Al lavoro contribuirono notevolmente una trentina di uomini estranei alle formazioni partigiane che, provenienti da Torino, erano diretti a Mondovì su dei carri, dopo aver lasciato il treno a Fossano (...). Il lavoro, piuttosto duro, occupò l'intera notte e solo verso le sei del mattino si riuscì a dar fuoco alle micce (...) nel rientrare a Frabosa sbagliammo strada e fummo costretti a tentare il passaggio dal blocco fascista della "Rosa Bianca". Tutto andò per il meglio... » 8. (Testimonianza di Toni Colantuoni). 17 settembre 17 settembre — notte. I patrioti della brigata Valle Ellero hanno fatto saltare il ponte stradale sulla Stura fra Fossano e Trinità. Il ponte era composto di sei arcate, lungo 150 m. e largo m. 6, alto 20-25 m., costruzione in muratura. L'operazione è stata eseguita con esplosivo 808, ed ha ottenuto la distruzione di un'intera arcata con un'interruzione di più di 30 m. La ricostruzione si presenta quanto mai ardua; (...) si è troncato il transito diretto Mondovì-Fossano, che era il percorso più usato per il passaggio delle truppe tedesche dalla Liguria al Piemonte settentrionale e viceversa». («Giornale per la trasmittente» n. 2 del 20.9.44).

17-18/9/44 Ribelli fecero saltare il ponte stradale sulla Stura. Strada statale 28 ». (paragrafo 1176 del rapporto della gendarmeria tedesca cit.)9.

28 settembre «Frabosa Sottana 28 settembre — Il distaccamento locale della Brigata Corsaglia catturò un ufficiale ed un graduato tedeschi con automobile e materiale». «Giornale per la trasmittente» n.4 del 29.9.44) 18.

8 Oltre aí predetti parteciparono all'azione: Nino Micheletti, Luigi Mondino, Aldo Clerico, Francesco Pepè 9 All'azione parteciparono: la « volante » al completo, Giacomo Gregorio, Giacornino Murgia, Guido Ferreri, Giuseppe Magliano e vari altri partigiani della brigata, agli ordini di Gigi Scimè. 18 L'azione venne compiuta da Gelso Clerico, Giuseppe Lidestri e Francesco Patelli. (Testimonianza di F. Patelli).

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30 settembre

«Comunico che ieri 30 settembre verso le ore nove del mattino una ventina di tedeschi a cavallo e in bicicletta si avvicinarono al posto di blocco di Frabosa Sottana. Già avvistati dal posto di avvistamento, appena arrivati a tiro di sten gli uomini del posto di blocco aprivano il fuoco con armi individuali e con armi automatiche, volgendo in precipitosa fuga il nemico che si allontanava al galoppo. Intanto la squadra volante partiva in macchina da Frabosa Soprana all'inseguimento del nemico fino alle porte di Mondovì. Da quanto comunicano dei borghesi í tedeschi lamentano dei feriti». (dalla relazione di Ettore Ippolito del 1.10.44) 19.

2 ottobre

«Peveragno 2 ottobre — notte. I Patrioti della Banda Iosina hanno distrutto un'arcata della lunghezza di circa 7 m. del ponte stradale tra S.Rocco (frazione di Pevergnano) e Beinette. (giornale per la trasmittente n.6 dell’11.10.44) 11 ottobre Una pattuglia dela Brigata Corsaglia ha attaccato in regione Gandolfi la retroguardia di una colonna di cacciatori degli Appennini. Dopo una breve sparatoria , la pattuglia riusciva a catturare un sergente, un caporale e un soladato della suddetta formazione fascista (“Giornale per la trasmittente” n.7 del 20.10.44)

24

19 Il distaccamento del posto di blocco comprendeva, oltre al comandante Piero Basso e a Nino Micheletti, i seguenti partigiani: Orfeo Agnelli, Giovanni Basso, Mario Basso, Gelso e Aldo Clerico, Boccaccio, Agostino Botribelli, Giuseppe Boschiazzo, Vincenzo Carasso, Pasquale Cartolano, Giuseppe Lidestri, Giacomo Macalli, Vittorio Magagnin, Giusto Mascarello, Luigi Mondino, Armando Pagella, Francesco Pepe, Gianni Scaramuzzi, Bruno Vaiani. 24 Tra i partecipanti all'azione risultano: Giovanni Damore, Rocco Demaria, Giorgio Ferraro, Giovanni Frucci, Raffaele Gigante, Antonio Malgeri, Brizio Montinaro, Vincenzo Regina. Per notizie su i « Cacciatori degli Appennini » vedi il capitolo: La situazione del Monregalese e della IIIª divisione Alpi.

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11 ottobre Una pattuglia della Brigata Corsaglia ha attaccato un camion tedesco proveniente da S. Michele e diretto verso Mondovì. L'automezzo veniva colpito dall'esplosione di una bomba plastica e da ripetute raffiche di Bren e di sten che causavano ai tedeschi un morto e quattro feriti ». («Giornale per la trasmittente» n. 7 del 20.10.44) 25.

12 ottobre «Un esiguo numero di Patrioti della Brigata Ellero ha attaccato nei pressi del Santuario di Vicoforte una colonna di 14 autocarri tedeschi carichi di uomini e materiali. Con preciso fuoco del mitragliatore e dei moschetti colpivano e immobilizzavano alcuni automezzi, causando un elevato numero di morti (circa una ventina come risulta dai primi accertamenti), e oltre 40 feriti. La reazione nemica non riusciva a colpire i Patrioti». («Giornale per la trasmittente» n. 7 del 20.10.44) 26 12 ottobre « Una pattuglia della Brigata Corsaglia ha attaccato in regione Gandolfi un camioncino e un camion di repubblicani. Dopo una sparatoria durata circa un'ora, entrambe le formazioni abbandonavano la località; i fascisti che avevano avuto la peggio lasciavano sul terreno 5 morti e si ritiravano con numerosi feriti, i Patrioti invece raggiungevano la base con un solo ferito». («Giornale per la trasmittente» n. 7 del 20.10.44) 27. 16 ottobre «Roccadebaldi 16.10.44. Una pattuglia della Brigata Ellero ha attaccato due macchine tedesche, colpendole ripetutamente. Una delle macchine che aveva tentato di sottrarsi al tiro accelerando la corsa, era poco dopo costretta a fermarsi in seguito a probabile avaria. Le perdite del nemico non si potevano accertare data l'immediata reazione dell'avversario ». («Rinascita d'Italia» n. 13 del 19.10.44)

25 Parteciparono all'operazione: Orfeo Agnelli, Gaetano Arrigo, Bartolomeo Bogetti, Vincenzo Carraro, Francesco Conci, Giorgio Ferraro, Giorgio Ferrua, Raffaele Gigante, Antonio Magnabosco, Celestino Magnabosco, Antonio Malgeri, Raffaele Mannai, Brizio Montinaro, Francesco Patelli, Mauro Pisani, Vincenzo Regina, Pietro Sagulo, Giovanni Salis, Agostino Schirra, Antonio Sozzo, Giovanni Veronese. 26 La squadra, agli ordini di Angelo Ferrua, era composta da: Francesco Bertolino, Giulio Madru77a, Pietro Sagulo, Federico Tealdi, Giovanni Turbiglio. 27 Il comando di brigata affidò l'operazione al distaccamento di Frabosa Sottana comandato da Luigi Tozzi.

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RAPPORTI CON LE ALTRE FORMAZIONI Si giunse così alla firma degli «Accordi della Certosa», consistenti in tre diversi documenti, e non in uno solo come si è a lungo ritenuto sulla scorta del «memorandum» pubblicato da Bianco nel suo libro.

Demonte (valle Stura), agosto 1944. Incontro fra dirigenti delle formazioni partigiane GL e autonome del Cuneese e l'ufficiale del Soe Neville Darewski (maggiore Temple). Si riconoscono, partendo da sinistra: Dante Livio Bianco; Alberto Marenco di Moriondo (alle spalle di Bianco); Aldo Sacchetti (accanto a Bianco, in primo piano); Neville Darewski; Piero Cosa; Bruno Leoni; Carlo Olivero; Enrico Martini (Mauri); Guido Verzone (con il cappello); Nuto Revelli; Ettore Rosa. In seconda fila compaiono Renato Testori (alle spalle di Mauri) e Walter Cundari (alle spalle di Verzone)

I tre documenti sono: A) Il « memorandum » di cui sopra, redatto dai capi delle G.L. cuneensi e datato 7 agosto 1944 B) Una «dichiarazione», datata 8 agosto, che costituisce il fulcro degli accordi, e non soltanto una «controdichiarazione» 19, in quanto precisa gli scopi e i limiti di tutti gli impegni assunti dalle tre parti contraenti, ed è la sola che contenendo espliciti ed essenziali richiami agli altri due documenti, conferisce unità e coerenza all'insieme degli accordi. Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag.328

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C) Un secondo «memorandum» , quello a «firma Cosa e Giacosa» in data 8 agosto. Di questi documenti diamo subito il testo integrale: A).MEMORAMDUM 7 AGOSTO 1944 Documento redatto dai capi delle GL cunensi nel convegno delta Certosa. AISRP, C, 36,c. MEMORANDUM 1.I punti fondamentali ed essenziali che presiedono all'attività ed organizzazione delle nostre Formazioni partigiane sono i seguenti: necessità d'un orientamento politico, il che non significa necessità di adesione a questo o a quel partito. Vuol dire invece, semplicemente, chiara visione e consapevolezza dei fini ultimi che si perseguono coll'azione militate immediata. 2.Per noi le forze partigiane non rappresentano la continuazione e sopravvivenza, su scala ridotta, del vecchio organismo militare italiano, ma costituiscono 1'espressione di un movimento autonomo, sorto per libera iniziativa popolare: il che di per se stesso si risolve già in una inequivoca affermazione politica. 3. La lotta antitedesca ed antifascista non altro che la premessa e la via per il raggiungimento dei fini ultimi della nostra azione: i quali consistono, sinteticamente, in un radicale rinnovamento politico, morale e sociale del paese. 4.Intendiamo impegnare tutte le nostre forze contra l’instaurazione e la conservazione di qualsiasi regime totalitario e dittatoriale, di qualsiasi tipo o colore. Siamo perciò contro la dittatura della reazione (grosso capitale, alta finanza, agrari, militaristi, ecc.) non meno che contro quella del proletariato o di qualsiasi altra classe o gruppo. 5.Lottiamo per 1'instaurazione di una sana democrazia, colla salvaguardia piena della libertà, il rispetto della dignità umana, 1'abolizione di qualsiasi privilegio, il conseguimento della giustizia sociale. Vogliamo che il popolo italiano sia messo in grado di manifestare liberamente e genuinamente, all'infuori di qualsiasi manipolazione interessata, la propria volontà per scegliere gli ordinamenti che più gli convengono. 6.Giustizia e Libertà la nostra bandiera, che può e deve raccogliere - come di fatto già raccoglie - non soltanto i militanti d'un determinato partito (come il Partito d'Azione), ma tutti quegli Italiani di buona fede e di sana coscienza morale che, pur senza aderire espressamente a questo o quel partito, professano ideali democratici e progressisti. 7.Siamo contro tutti i nazionalismi e gli imperialismi e, senza per nulla rinnegare 1'alto valore umano e storico dell'ideale nazionale e della tradizione patriottica italiana, auspichiamo una fede razione di liberi popoli del nostro continente, che lasciando intatta nei tratti essenziali la fisionomia delle singole nazioni, realizzi una vera comunità europea, sola via per assicurare una pace duratura e garantire le migliori possibilità di progresso.

Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag.104/328

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8.Come condizione per il rinnovamento politico, morale e sociale da noi perseguito, vediamo la necessità assoluta di un'opera di severa giustizia e di radicale epurazione, che valga a colpire colle più gravi sanzioni i responsabili della rovina del nostro paese e a liberare definitivamente l'ltalia da tutti i possibili ritorni della reazione, da chiunque e sotto qualunque forma promossi o sostenuti. 9. Le nostre formazioni intendono restare inquadrate nel Comitato di Liberazione Nazionale, perfettamente disciplinate agli ordini dello stesso. Valle Pesio 7 agosto 1944 FIRMATO D.L.BIANCO, D.DALMASTRO, A.FELICI, E.ROSA, GIACOSA G.(DINO), MAURI, L.SCAMUZZI, P.COSA

B).DICHIARAZIONE Nel momento in cui il magg. Sergio Mauri e il cap. Piero Cosa accettano per le loro formazioni delle Langhe e delle valli Iosina, Pesio, Ellero, Maudagna, Corsaglia, Casotto, Mongia, e Tanaro, il motto «Giustizia e Libertà », si dichiara formalmente: 1.Che le addette formazioni non sono state promosse dal partito d’Azione 2.Che l’adozione del motto « Giustizia e Libertà » non implica l’adesione al Partito d'Azione, restando libero ciascuno dei militanti nelle formazioni stesse di professare l'opinione politica che meglio crede, e restando viceversa impegnative per tutti le dichiarazioni contenute nei due memorandum in data 8 agosto 1944 a firma Cosa e Giacosa, e in data 7 agosto a firma Felici, Dalmastro, Scamuzzi e Bianco 3.che l'unione dei gruppi Mauri e Cosa coi gruppi « Giustizia e Libertà » preesistenti è stata concordata per ovviare alla lamentata mancanza di comando unico. V.Pesio,8 Agosto 1944. Fti: Giocondo Giacosa (Dino); Leandro E.Rosa, Piero Cosa, Dalmastro, Dante Livio Bianco

Scamuzzi,

Mauri,

A.Felici,

C). MEMORANDUM COSTITUZIONE E CARATTERE DEL GRUPPO COSA Gruppo P. Cosa IIIª Divisione Alpina Comandante. Piero Commissario Brigata Val Pesio Politico Dino Brigata Val Ellero

— Com. Aldo — Com. Gigi

Brigata Val Corsaglia — Com. Ettore

Servizio X — Capo Dinaldo (Dino Giacosa e Aldo Sacchetti) Squadre di pianura (Mondovì 40 - Benevagienna 20 - Fossano 40 - Morozzo 50) Com. Piero Banda Odino S. Giorgio (Liguria) Com. Giorgio Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag.104

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Il Gruppo del cap. Piero Cosa organizzato per libera iniziativa e fondato sul perfetto affiatamento dei suoi capi e dei suoi elementi, garanzia essenziale del suo ottimo rendimento conferma la propria DIPENDENZA DAL C.L.N. ai cui ordini i singoli componenti lottano quasi tutti fin dal settembre 1943 sul fronte della Resistenza, e chiede di essere riconosciuto e considerato nucleo omogeneo ad ogni effetto organizzativo ed amministrativo per cui espone le proprie necessità: IIIª Divisione Alpina - forza iniziale 1000 uomini

— al mese L. 1.000.000

Servizio X - forza minima 50 agenti

— al mese L. 100.000

Squadre in pianura - forza media 150 uomini

— al mese

Banda Odino - S. Giorgio - forza iniziale 100 uomini

— al mese L. 200.000

Accenna ora i motivi fondamentali della sua linea d'azione che può a richiesta essere ulteriormente illustrata: fino alla cacciata dei tedeschi e dei fascisti, il Gruppo si dedicherà come prima alla guerra contro di essi in formazione distinta, inquadrato nelle forze operanti dell'Esercito Nazionale di Liberazione, senza assumere colore o tendenza politica specifica. Nell'intervallo fra la vittoria e la costituzione di un Gover-no Nazionale resterà in campo per la tutela della libertà di scelta del Governo da parte del Popolo fondandosi sulle seguenti pregiudiziali politiche che si definiscono brevemente a garanzia: pregiudiziali negative: antifascismo, antinazismo, contro ogni forma di nazionalismo inteso come espressione xenofoba, razzista, militarista, imperialista e simili. pregiudiziali positive: libertà in regime democratico — ordine —collaborazione interna ed esterna — Governo liberamente eletto e rappresentativo. Dopo la costituzione di un governo legalmente e liberamen-te eletto il Gruppo scioglierà i suoi ranghi militari e inviterà i propri elementi a partecipare alla Ricostruzione della Patria scegliendo liberamente la propria strada nel campo politico. Allo scopo di rendere però questa scelta consona alle ne-cessità della Nazione, che il Gruppo fa coincidere con le pregiudiziali su esposte, da tempo esso educa i propri componenti alla formazione di una sicura e sana coscienza politica fondata sulle pregiudiziali stesse e intensificherà questa opera mediante l'insegnamento diretto, la diffusione di stampa approvata dal C.L.N. e soprattutto con l'assistenza continua in questa vita di guerra di cui venga capita e sentita l'essenza e la funzione politica. Il Gruppo confida pertanto che come ha già dato alla Pa-tria degli ottimi soldati, per i quali parlano i numerosi martiri e i continui eroici sacrifici, le darà domani degli ottimi citta-dini perfettamente coscienti delle necessità della Nazione e preparati a partecipare con cognizione di causa e sicura fede alla vita politica di essa. li 8 agosto 1944 Il Comandante Militare f.to Piero Cosa

Il Commissario Politico f.to Giocondo Giacosa

21

21 Il documento giacente nell'AISRP C, 36, c, reca anche la firma di D. L. Bianco; copia anche nell'AISRP B, 46, a, e nell'AISRCP, F. B., 1641 a, b. n A. Repaci, op. cit., pag. 320.

Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag.105

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Rapporti con le formazioni garibaldine Le relazioni con Mauri e i capi delle G.L. cuneesi, fin qui esaminate, costituiscono indubbiamente la parte più rilevante ed essenziale dei rapporti esterni intrattenuti dalla 3ª divisione «Alpi»: non mancarono tuttavia interessanti, anche se sporadici, contatti con le formazioni «Garibaldi», di ispirazione comunista. Uno d ei p u nt i d i t a ng enz a t er r it o r i al e s i t ro va v a nel l a z o n a della brigata Iosina che, nell'ottobre '44, ebbe qualche attrito con i garibaldini della Bisalta 1 per le requisizioni da questi operate nei dintorni di Peveragno. Dalla scarsa documentazione esistente risulta però che nella primavera del '45 i rapporti tra le due formazioni erano divenuti più stretti e cordiali, per effetto del coordinamento promosso dal comando di zona. Molto più rilevanti e documentate appaiono invece le relazioni intercorse sia con i garibaldini operanti sul versante ligure, sia con la federazione cuneese del P.C.I. Lo spoglio della corrispondenza attesta la loro correttezza e proficuità, ma fornisce altresì alcune interessanti notizie sull'atteggiamento tenuto dal comando di una divisione «autonoma» nei confronti dei suoi partigiani dichiaratamente comunisti. La prima testimonianza di una presa di contatto tra la IIIª divisione «Alpi» e la 2 a divisione Garibaldi « F.Cascione » risale al luglio del '44, quando Cosa inviò una missione di quattro elementi in Liguria alla ricerca di «Biagio», il radiotelegrafista della missione «Charterhouse», di cui era stata segnalata la fuga dalle prigioni della Gestapo di Imperia 2 . Entrati nella zona controllata dai garibaldini, o «stelle rosse» come più comunemente venivano chiamati, i quattro dovettero rinunciare a proseguire per la minaccia di un immediato disarmo 3 . Malgrado l'irritazione prodotta dall'episodio, il 1° agosto Cosa autorizzava il passaggio in Val Corsaglia di un folto gruppo di partigiani della divisione «Cascione» incaricato di rifornire di viveri i compagni che stavano combattendo 4 . All'inizio di settembre il comando garibaldino inviò un ufficiale a discutere con Cosa la possibilità di una più stretta coordinazione delle operazioni offensive in un momento ritenuto decisivo 5 , ma è assai probabile che il suddetto comando ricercasse la collaborazione con le «autonome» del Monregalese anche al fine di poter disporre di essenziali vie di rifornimento e, all'occorrenza, di ritirata. Cosa accolse con favore le proposte e subito scrisse a Mauri: «Il latore della presente è Aldo 6 , comandante di una brigata garibaldina alle dipendenze del Curto che agisce in Liguria. Aldo mi ha detto che ha bisogno di parlarti e magari di combinare un appuntamento col Curto. Ho l'impressione che da questi colloqui potrebbe risultare un gran bene per tutti, per cui ti mando Aldo stesso (che mi pare un bravo ragazzo e molto di buon senso) per un primo scambio di idee (...). Ed ora mi permetto di farti una proposta. 1 Battaglione Boves » della 15' brigata garibaldina — Arch. « R » , 1 9 /F . 2 C f r . M . D o n a d e i , o p . c i t . , p a g . 1 6 3 , e i l n o s t r o c a p i t o l o s u i rapporti con le missioni alleate. 3 Testimonianze di G. Boggia, B. Castellino, E. Cavallera e Francesca Gerbotto. 4 Vedi lettera di Cosa a Mauri in data 1° agosto '44, AIRSCP, Ar chivio Mauri. 5 Da quindici g iorni circa g li Alleati erano sbarcati in Provenza. 6 Aldo Arn era, oper aio d i Savon a.

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Dato che Martinengo 7 si trova in zona lontana, che a noi interessa poco; zona controllata dai garibaldini, zona molto difficile da rifornire, non potresti dargli ordine di spostarsi in Val Casotto (...)? Così sarebbe molto facilitato il problema dei rifornimenti ed il collegamento con te. Inoltre la Val Casotto ne sarebbe rafforzata in attesa di aumentare i suoi effettivi...» 8 . A stretto giro di posta Mauri rispondeva: «Ho parlato con Aldo di molte questioni ed ho chiarito molti equivoci. Spero che si possa continuare su una strada di stretta e proficua collaborazione. Se ti è possibile avere un abboccamento con Curto 9 prendi tutti gli accordi che ritieni necessari ed opportuni; decidi pure tu come credi dato anche che siete voi i più direttamente interessati per le reazioni di buon vicinato (...). Intanto ho dato a Martinengo l'ordine di trasferirsi in Val Casotto così spe ro che il problema dei rifornimenti possa risolversi felicemente...»10 Qualche giorno dopo Aldo spediva a Cosa un biglietto per avvertirlo del suo imprevisto insediamento nella zona della IIIa divisione «Alpi»: «Al mio arrivo a Viozene mi raggiunge una staffetta del Curto con l'ordine di ritornare nelle vicinanze della Val Corsaglia con il compito che a voce ti spiegherò. — Ti accludo anche una lettera per te del mio Comando Divisionale...». «Mando due uomini a Fontane con una pesante Fiat per il cambio di armi stabilito con il magg. Mauri. Io appena sistemate poche faccenduole da queste parti ti raggiungerò e ci metteremo d'accordo... » 11. Il compito di Aldo e dei suoi uomini era quello di fare incetta di grano prima che la stagione autunnale rendesse difficoltosi i trasporti attraverso i valichi alpini. Dalla lettera del Curto, firmata anche dal commissario politico Giulio 12, risultava che il comando della divisione «Cascione» si era spostato «nelle vicinanze della costa», il che rendeva inattuabile il progettato incontro con Mauri. Al riguardo essi scrivevano: «... vediamo se è possibile accordarci in linea di massima a mezzo corrispondenza; a noi pare che attualmente il centro nevralgico della situazione militare continui ad essere nella nostra zona costiera e lungo le strade che da questa conducono al Piemonte. — In particolare la strada n. 28 è già da diverso tempo oggetto di attenzione da parte dei tedeschi, i quali tentano con ogni mezzo di riattivarla allo scopo evidente di servirsene per la loro fuga dalla Liguria occidentale. — La nostra 1a Brigata è già ripetutamente intervenuta per ostacolare il servizio di questa strada ma in questo momento la 1a Brigata deve trasferirsi più a sud per obiettivi decisivi della massima importanza. — Se i vostri distaccamenti sono disponibili sarebbe interessantissimo poterli fare agire in azioni di imboscate e di sabotaggio lungo il tratto della 28 che va da Nava a Garessio. 7 Eraldo H anau, com and ante della brig at a V ai T anaro . 8 Lettera di Cosa a Maur i d el 1° sett em bre '4 4, in AISRC P , Arch . Mauri, coll. 249-50, riportata da E. Fenoglio, op. cit., pagg. 528-9 9 Nino Siccardi, comandante della 2a divisione « Garibaldi ». 10 Lettera d i Maur i a Cosa del 1° se ttem bre '44 , in AIS R CP, Arch. Mauri, coli. 251, riportata da E. Fenoglio, op. cit., pag. 529. 11 Arch. « R», 19/F. 1 2 L i b er o B r i g an t i — L et t er a al C a p . P . Co s a d el 3 s e t te m b r e ' 4 4 , Arch. « R », 19 /F. 13 Lettera del 4 ottobre '44 in Arch. « R », 19/F.

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Nell'attesa della buona occasione per incontrarci personalmente vi porgiamo i nostri fraterni saluti». Dato che la proposta interessava la zona della 4a divisione «Alpi», essa venne probabilmente trasmessa a quel comando. Il 25 settembre il ten. Aldo comunicava al comandante della brigata Corsaglia l'improvviso arrivo dell'«Ispettore Comandante la 1a e 2a zona», accompagnato dal capo di stato maggiore della 2ª divisione e da altri ufficiali, «per il colloquio già noto con il Capo della Missione Inglese». L'incontro con il magg. Temple era stato infatti concordato da tempo, ma proprio in quello stesso giorno il capo della «Flap» stava accingendosi a far ritorno nelle Langhe, e non sappiamo se l'abboccamento abbia avuto luogo, magari all'ultimo momento. E’ viceversa sicuro che i capi garibaldini si incontrarono con il colonnello Cope all'albergo Radium di Lurisia, in quel momento sede del comando della 3a divisione «Alpi», e della nuova missione alleata. Verso la fine di settembre si verificava un incidente tra il comandante della brigata Corsaglia e i garibaldini ospiti, in conseguenza del quale Cosa chiedeva al comando della divisione «Cascione» il loro allontanamento per «motivi di opportunità disciplinare e di ordine», offrendosi però di custodire il grano già raccolto e di provvedere ad ulteriori rifornimenti ". La replica arrivava addirittura dall'Ispettore Comandante la 1a zona Liguria gen. Simon 14 che, esposte le sue lagnanze nei confronti Hotel Radium del capitano Ettore Ippolito, si dichiarava pronto a prendere tutte le misure disciplinari che si rendessero necessarie» nel caso in cui gli uomini del reparto comandato dal ten. Aldo si fossero «comportati in modo da turbare la disciplina e l'ordine», e pregava infine Cosa di consentire al reparto di ultimare gli approvvigionamenti 15. Pochi giorni dopo in Val Corsaglia, invece della partenza del distaccamento, si verificava la calata in massa dei garibaldini della «Cascione». Come risulta da una diffusa relazione ufficiale, due delle tre brigate della divisione il 15 ottobre erano state attaccate a S. Bernardo di Mendatica, e costrette a ritirarsi verso Upega, Camino e Viozene. Il 17 sera i tedeschi assalivano di sorpresa il gruppo rimasto ad Upega con i Viozene feriti: «Giunti in serata i superstiti a Viozene — prosegue testualmente la relazione —i Comandi decidevano (...) di attraversare nella notte il passo del Mongioje e portarsi a Fontane, eludendo cosI l'inseguimento tedesco e spostandosi in una zona relativamente tranquilla e che presenta la possibilità di un riassestamento militare ed economico delle nostre formazioni. — Attraversato nella notte tra it 17 e il 18 il passo del Bocchino, si giungeva in mattinata nel paese di Fontane » 16 14 Carlo Parini. 15 Lettera dell'11.10.44, in Arch. « R », 19/F. 16 U n g ru ppo di g aribal din i pro ve n ie n t i da V io z e n e co n un f e rito t ras po rt ato in barell a, ragg iu ns e in ve ce R astello , in V alle. Elle ro. Ess o venne ass istito e siste mato nei lo cali l as ciati l iberi dal com an do divis io n e , t raslo cato a Lu ris ia in qu e i g io rn i.

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La «forza presente» di ciascuna brigata veniva valutata in circa 400 uomini, ma essa era in continuo aumento perchè — riferisce ancora la stessa fonte — «tre distaccamenti della 1a Brigata stanno giungendo quasi al completo nella zona», e «dovrebbhero rientrare le numerose squadre che erano in azione al 15.10 » 17. Ben presto quindi, oltre mille garibaldini gremivano l'alta Val Corsaglia «rotti e laceri ma fieri» come dice la relazione. I problemi posti da una migrazione di tali proporzioni indussero Cosa a chiedere l'interessamento della federazione cuneese del P.C.I. con un messaggio in cui si legge fra l'altro: «Per dovere di umanità con le modestissime risorse di cui disponiamo facciamo tutto il possibile per accontentarli, ma prevediamo che se continuerà l'afflusso, non avremo risorse sufficienti per accoglierli tutti e inoltre si verificheranno disordine e confusione assai nocivi in questo momento delicato nel quale stiamo aspettando un attacco nemico... » Val Corsaglia giugno 2015 18. Il segretario federale « Antonio » 19 rispose quasi subito proponendo un loro incontro a Fontane con il comandante Curto che non ebbe luogo perchè lo stesso Antonio dovette improvvisamente assentarsi. «Mi rincresce per questo improvviso contrattempo — scrisse a Cosa — e chiedo scusa se, nonostante le mie intenzioni, non potrò essere presente all'appuntamento che le avevo richiesto. Comunque se lei crede, l'appuntamento potrà sempre aver luogo e ad esso parteciperanno il Comandante e il Commissario della 1 a brigata (...). — Col Comando della Divisione abbiamo trattato ampiamente la que stione ed unanime è stato l'apprezzamento per l'assistenza che le sue formazioni hanno assicurato ai garibaldini. Inoltre tutte le misure sono state prese onde assicurare i migliori rapporti fra garibaldini, popolazione e vostri partigiani. In caso di deprecato attacco nazifascista, e qualora lei lo gradisca, Lei potrà contare sull'immediato ed energico appoggio dei garibaldini nella comune lotta contro gli invasori tedeschi e i traditori fascisti... » 20 . A quanto risulta, le gravi difficoltà della situazione furono felicemente superate grazie alla collaborazione dei comandi locali; ne fa fede il ringraziamento rivolto al cap. Ettore dal comandante e dal commissario della 2' divisione il 7 novembre '44, e cioè al momento del rientro del grosso della formazione alle proprie basi: «Costretti dalle note circostanze a rifugiarci a Fontane anche grazie alla gentilezza e fraterna disposizione vostra nei nostri confronti abbiamo potuto provvedere a un nuovo equipaggiamento degli uomini, ciò che ci ha messo nella miglio re condizione per ritornare nella nostra zona e riprendere la lotta. — Personalmente sono stato ben lieto di poter conoscere i valenti comandanti della III a divisione Alpina, e porto con me la convinzione che continueremo uniti nella lotta fino in fondo contro il comune nemico. — Mi dispiace di non poter portare personalmente i miei ringraziamenti e saluti al Comandante Cosa e ti prego di rendertene te stesso interprete. — Non dimenticheremo la tua gentilezza e i tuoi favori, ti ringraziamo a nome di tutto il Comando e salutiamo fraternamente» 21. 17 Relazione dello stato maggiore della 2' divisione del 22.10.44, in AI SR CP, co ll. 0250.

18 Lettera del 18 ottobre '44, Arch. « R », 19/F. 19 Rag. Giacomo Castagnetto di Oneglia. 20 Lettera a Cosa del 23 ottobre '44, Arch. « R », 19/F. 21 Lettera al Comandante della brigata Corsaglia, ibidem.

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Durante la permanenza in Val Corsaglia delle provate schiere garibaldine si verificò un episodio che ci sembra particolarmente significativo. Esso riguardava un ufficiale della IIIª divisione «Alpi» accusato di aver favorito il trasferimento di partigiani della IIa divisione Garibaldi «dalla propria formazione ad altra diversa senza benestare» 22, e quindi sottoposto a procedimento giudiziario. Accertate le responsabilità, Cosa adottava nei suoi confronti i seguenti provvedimenti disciplinari: 1. Giorni 7 di arresti di rigore, già scontati, 2. Rimozione dall’incarico di comandante di distaccamento, 3. Trasferimento ad altra valle per punizione.

LA SITUAZIONE DEL MONREGALESE E DELLA IIIª DIVISIONE «ALPI» ALLA FINE DEL 1944 Dato che i mutamenti intervenuti nel mese di novembre avevano interessato in modo particolare il settore Monregalese - Langhe, esso fu il primo ad avvertire gli effetti della nuova situazione, e l'unico destinato a subire fino alla fine la massiccia presenza dei tedeschi. Prima ancora del suo trasferimento la 34a divisione al comando del generale Lieb aveva già fatto sentire la sua minacciosa vicinanza attraverso le pesanti azioni di rastrellamento condotte contro le formazioni garibaldine dell'Imperiese e, più direttamente, con una catena di presidi posti a controllo delle vie di comunicazione tra la Liguria occidentale e il Piemonte. L'attacco ai garibaldini venne sferrato all'inizio della seconda metà di ottobre, quando ormai i movimenti tedeschi avevano preso l'avvio e la sicurezza dei transiti esigeva il pieno controllo delle retrovie. Mentre gli Generale Lieb Alpenjdger prendevano «posizione sulle alture di Cima Marta e Balconi Marta, occupando le opere fortificate di Giraone », reparti della 34a divisione avevano investito la zona di Mendatica, Piaggia e Pigna, costringendo l'intera divisione « Cascione » a cercar scampo in Val Corsaglia 23. Quanto ai presidi stabiliti nel Monregalese va precisato che i transiti di truppa e di materiali sulle linee di comunicazione tra Piemonte e Líguría risultavano abbastanza frequenti anche prima dei trasferimenti delle grandi unità, e quindi le misure protettive erano state tempestivamente adottate. Fin dal 2 ottobre '44 il Foglio X n. 67 aveva infatti segnalato: « tra Car care e S. Michele vi sono undici posti di blocco collegati telefonicamente. Pattuglie di circa trenta uomini si spingono a piedi…. 22 L'accusa si desume dall'introduzione del provvedimento disciplinare adottato. 23 Cfr. Foglio X n. 80 del 17 ottobre '44, e il capitolo: Rapporti con le formazioni garibaldine.

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…L'intera scena dei combattimenti appariva avvolta nel fumo acre dei roghi accesi nel sottobosco dai proiettili incendiari e dai lanciafiamme; a Chiusa Pesio, con l'afflusso di altri reparti ciclisti, motorizzati e ippotrainati, le forze tedesche superavano già gli effettivi di un battaglione. A Lurisia, il comando della 3' divisione « Alpi » stava procedendo febbrilmente, ma con ordine, all'occultamento delle carte e dei materiali, nonché al trasferimento della missione alleata e dei prigionieri. Solo un sottile velo di protezione, formato da tutti gli uomini non altrimenti occupati, separava ormai l'albergo Radium dal nemico avanzante. Fortunatamente i tedeschi non sfruttarono la favorevole occasione creata dalla loro manovra. Forse gli ordini ricevuti contemplavano soltanto l'eliminazione del posto di blocco, o forse essi si illusero di aver posto in fuga l'intera formazione. Più probabilmente stimarono di non avere forze sufficienti per un'operazione più vasta, e preferirono incendiare baite e fienili piuttosto che avventurarsi oltre, nel pomeriggio ormai inoltrato. Al cader della notte infatti ridiscesero in colonna verso Chiusa camminando guardinghi sulla strada, ed esplorando i versanti- con un riflettore 8. Quasi alle loro spalle i partigiani del posto di blocco, riorganizzati a Lurisia, tornavano sul Mortè per controllare la situazione e vigilare sino all'alba. Per quanto assai perplessi sulle reali intenzioni nemiche i comandi temevano il rastrellamento in grande stile per l'indomani; a Roccaforte partigiani e civili lavorarono quindi tutta la notte per sgomberare il capoluogo e predisporre le difese. Venne infine presa la decisione di tendere un agguato ai tedeschi sullo stesso terreno della loro irruzione. Alle 5 del mattino reparti della brigata Ellero Monastero di Roccaforte raggiungevano gli uomini del posto di blocco, schierandosi sulla destra orografica con una mitragliatrice pesante e due leggere, manovrate da Giovanni Leone, Angelo Sanna e De Grazia. « Si trattava — precisa la relazione del comando di brigata — dei distaccamenti di Cassisi e Sasso riuniti sotto il comando del s.t. Reineri Giovanni 9. Alle ore 10,20 una colonna di tedeschi attaccava nuovamente il Mortè. I nostri sostenevano validamente l'attacco e infliggevano gravi perdite all'attaccante, ma la scarsezza delle munizioni costringeva il s.t. Reineri alle ore 12 circa a dare ordine di ripiegare. Il ripiegamento veniva eseguito in perfetto ordine ed a stretto contatto del nemico... » 10.

8 Testimonianza di Simone Ferrero. 9 Raineri. 10 Relazione di Gigi Scimè del 24.11.44, Arch. « R », 5/B.

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Ed ecco la descrizione di alcune fasi del combattimento fatta da un partigiano della brigata Val Pesio. 11 Alla nostra destra vigila Nicola Sasso e sarà lui che dovrà contrastare per primo l'avanzata tedesca, sino alla sua individuazione. Noi gli copriremo la ritirata con un fuoco rabbioso di cinque minuti senza interruzione. I tedeschi avanzano con circospezione; sono motorizzati, hanno pure dei cavalli (...). Ecco Sasso e i suoi uomini hanno iniziato il fuoco e la Buffalo americana sgrana rafficacce tali da scompigliare le file tedesche, ma per poco purtroppo. Quelli si riorganizzano, procedono ora in ordine sparso, pattuglie a destra e a sinistra nei valloncelli laterali, cavo telefonico, centrale di tiro, mortai. Rispondono al fuoco di Sasso e in breve ne hanno ragione. Una granata di mortaio colpisce la Buffalo e Sasso, privo di armi pesanti, deve ritirarsi. Ad un ordine del ten. Monti entriamo in azione con i fucili inglesi e spariamo sino a quando siamo fatti bersaglio da un pattuglione che, risalendo il nostro versante, sta per piombarci addosso (...) riusciamo a pompare su nel bosco, sopra Lurisia; dal Pilone d'Olocco gli uomini di Dalmasso 12 sono venuti in postazione nelle nostre vicinanze; li salutiamo perché tocca a loro proteggere la nostra ritirata sprovvisti ormai come siamo di munizioni... ». Anche il ripiegamento degli uomini della brigata Ellero veniva protetto dai rinforzi affluiti al comando di Luchino, e l'avanzata nemica era lenta e costosa. Scesi dal Mortè, i tedeschi proseguirono sia verso Lurisia sia in direzione di Roccaforte. A Lurisia due squadre del comando divisione appostate nella zona del cimitero riuscivano a disimpegnarsi senza perdite dopo aver costretto gli attaccanti a disperdersi. 13 Nel pomeriggio — ricorda un testimone — corre voce che i tedeschi, superato il valico, scendono verso Roccaforte. Due mitragliatrici pesanti battono la provinciale per cui devono giungere i nemici; una spara di fronte dal picco del Castello, l'altra lateralmente dalla regione Lion. Percorrendo le strade del paese vedo ancora il cap. Gigi con pochi uomini; due di essi, per impedire che gli automezzi catturati ai tedeschi nell'azione di Pogliola 14 ricadano nelle loro mani, si affrettano ad incendiarli. Si sentono già i colpi di mortaio diretti contro le mitragliatrici partigiane. Ridotte queste al silenzio verso le ore 17 entrano guardinghe nell'abitato le avanguardie nemiche ed in seguito il grosso della colonna. Grande fu il disappunto dei tedeschi nel vedere presso la chiesa le loro macchine tuttora fumanti. La colonna pernotta a Roccaforte entrando con la violenza nelle case... 15 A quell'ora le brigate Ellero e Pesio si trovavano ormai attestate sulle vecchie posizioni nelle rispettive valli, mentre il comando divisione e la missione alleata stavano rientrando nella zona di Baracco. Il fatto che reparti di « Cacciatori degli Appennini » fossero comparsi a Villanova in concomitanza con la discesa tedesca dal Mortè finì per convincere tutti che l'indomani il nemico avrebbe sferrato l'attacco generale, ma si trattava di una valutazione errata. 11 Filippo Ravera. 12 Era il distaccamento « valligiani », comandato da Battista Dal-masso. 13 Testimonianza di Piero Chionetti. 14 Si trattava di tre grossi camion. 15 Testimonianza di don Mario Pezza, parroco di Roccaforte.

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Prima che sorgesse l'alba del 13 novembre il comando divisione veniva informato dalle pattuglie in perlustrazione che una colonna tedesca era transitata da Chiusa e Roccaforte in direzione di Mondovì-Ceva tra le 3 e le 5; più tardi giungeva notizia che tutti i centri di fondo valle, da Peveragno a Roccaforte, risultavano sgombri. Nel settore Pesio-Ellero la giornata trascorse perciò tranquilla, mentre la minaccia sembrava spostarsi sul fianco destro della formazione. La brigata Val Corsaglia sorvegliò attentamente le mosse nemiche con l'aiuto del suo efficiente sistema di collegamenti telefonici, ma nulla accadde sino all'indomani. Il 14 novembre venne avvistata una colonna tedesca che dai Gandolfi saliva verso Corsaglia; il re-parto si arrestava però quasi subito, inviando solo delle pattuglie sulla strada della Ressia. Qui la squadra guidata da Nino Micheletti impegnava a lungo i tedeschi, costringendoli a cercare riparo dietro le case, e a ritirarsi con perdite. Anche un partigiano cadeva colpito a morte nello scontro 16. Dato che l'episodio non ebbe seguito, lo scopo intimidatorio dell'azione fu presto evidente: la statale n. 28, tra Mondovì e Ceva, era ormai divenuta una retrovia essenziale per le operazioni della 34' divisione contro le Langhe. Se non conclusa la partita era per il momento sospesa, con un bilancio di tre morti e tre feriti, e la perdita della zona di fondo valle prima occupata. Quest'ultimo fatto, di per sé poco importante e per certi aspetti provvidenziale, assunse in quel momento un significato mestamente simbolico, tanto più che già cominciavano a circolare le sconfortanti notizie captate il 13 novembre dalla radio di Williamson. Si trattava del noto messaggio del gen. Alexander che, nell'approssimativa traduzione consegnata al comando divisione, invitava i partigiani ad « aspettare che il tempo venga per il prossimo urto» 17. Le settimane che seguirono furono di relativa calma, ma le notizie in arrivo dalle Langhe non consentivano illusioni sulle intenzioni tedesche, anche se, ancora una volta, erano piuttosto i fascisti a macchinare piani offensivi. La condotta del comando della 34ª divisione era indubbiamente influenzata, ol-tre che dal peso delle operazioni in corso, anche dalla preoccupazione per la sorte dei trenta prigionieri nelle mani della IIIª divisione «Alpi». La «tregua» fu, comunque, preziosa, data la mole di problemi che la formazione si trovava ad affrontare. Sovrastavano per gravità ed urgenza quelli logistici: gli uomini erano in gran parte vestiti ancora come nei mesi estivi, senza calzature adeguate alla stagione, spesso sprovvisti di coperte e ricoveri che offrissero protezione contro i rigori invernali, e con scarse munizioni per l'arma in dotazione. Gli approvvigionamenti alimentari costituivano poi un gravissimo assillo, malgrado la previdente attività dei comandi e delle squadre addette. Sfamare tanta gente in una zona di montagna, quasi priva di risorse e con le vie di accesso alla pianura strettamente vigilate dal nemico, era un'impresa che le esperienze dei primi mesi del '44 avevano già dimostrato ardua per delle bande di limitata consistenza numerica.

16 Maurizio Massana. Il giorno 15 novembre decedeva Aldo Carrara, partigiano della stessa brigata rimasto ferito in precedenza; il 26 dello stesso mese veniva fucilato a Cuneo Ettore Garelli, cancelliere della Pretura di Fossano, capogruppo del Servizio X sotto lo pseudonimo di “Gomma” 17 testo completo è riportato nell'Appendice.

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Sul piano delle misure più immediate, e nella previsione di un attacco che costringesse la formazione a ritirarsi in alta montagna, il comando divisione decise la creazione di magazzini viveri in quota, dove furono trasportati e celati quantitativi di pane biscottato, pasta, carni insaccate e castagne. Le pressanti insistenze presso la missione alleata fruttarono finalmente due lanci di armi e vestiario nelle notti sul 17 e il 22 novembre, estremamente necessari dopo due mesi di continue azioni offensive e difensive. Piovvero dal cielo i primi mortai da 80, ma scarso fu il numero delle armi più richieste, e cioè dei mitragliatori Bren. I rifornimenti ottenuti valsero comunque ad attenuare alcune carenze e a riportare una certa fiducia nella cooperazione degli Alleati. Le difficoltà del momento e l'impegno posto nei preparativi logistici non avevano frenato l'attività delle squadre operanti in pianura: il 24 novembre la « volante » della Val Pesio attaccava forze nemiche a Beinette e il 30 un'altra squadra distruggeva un'arcata del ponte stradale di Pianfei 18; il 3 dicembre gli uomini della banda Iosina interrompevano la li-nea telefonica tra Cuneo e Beinette e catturavano due militari della « Littorio ». Un reparto di questa divisione si presenta-va qualche giorno dopo in Val Iosina per un'azione di ritorsione, ma veniva respinto e volto in fuga dalla banda con l'appoggio di rinforzi giunti dalla Valle Pesio 19 . In un precedente capitolo abbiamo accennato al difficile momento attraversato dalla brigata « G. Odino », operante nel Genovese ma appartenente alla IIIª divisione « Alpi », e alle misure decise da Cosa e Giacosa per sostenerla. La spedizione di rinforzo, guidata da Piero « Monti », partì da Rastello il 30 novembre e raggiunse Voltaggio il 10 dicembre dopo una lunga marcia in assetto di guerra. Pochi giorni dopo, una squadra scendeva a Pontedecimo per attaccare la caserma dei pompieri occupata dalle « brigate nere », e subito il nemico stabiliva posti di blocco nei paesi vicini e dava inizio ad un vasto rastrellamento. L'« Odino » abbandonava perciò la zona con l'intenzione di ritirarsi verso le Langhe, ma, giunta a Mornese alle ore 8 del 18 dicembre, cadeva in un'imboscata tesa, su segnalazione di una spia, da un centinaio di S.S. tedesche provenienti da Gavi. Nel duro scontro che ne seguì la formazione perdeva due uomini; altre tre restavano feriti e solo uno di essi poté essere tratto in salvo. « Monti » decideva allora di ripiegare, ma la continua insidia nemica lo induceva a fermarsi a Bosio, da dove egli rientrava con i suoi uomini nel Cuneese, mentre il resto della formazione proseguiva la marcia di occultarsi nella zona 20. I segni dell'approssimarsi sempre più chiari anche nelle valli tenute dalla IIIª divisione « Alpi », e uno dei più singolari fu la discesa sulla Certosa di Pesio di una quarantina di tedeschi, probabilmente Alpenjager, la sera dell'8 dicembre. Giunsero da monte, e cioè da Limone, pernottarono in un cascinale e si eclissarono di buon mattino, prima che i partigiani potessero intercettarli 21 Lo scopo esplorativo del raid fu ben pressto confermato dalle notizie relative all'attacco sferrato contro la brigata Val Tanaro della 4a divisione, e all'occupazione dei Viozene, Carnino ed Upega avvenuta due giorni prima. Da Limone alla valle del Tanaro i tedeschi avevano ormai bloccato ogni via di ritiraata alle due divisioni alpine, e quindi si preparavano ad un rastrellamento di proporzioni mai visto prima. 18 Relazione in Arch. « R », 4/C. 19 Relazione in Arch. « R », 6/B. 20 Relazione di Piero Geremia (“Monti”) in Arch “R” 7/c e testimonianze di Antonio Maffezzoni; Giulio Patrini e Dante Repetto

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Le informazioni del Servizio X continuavano ad annunciare un attacco in forze di fascisti: il Foglio n.106 del 9.12.44, compilato ad uso comando della IIIª divisione Alpi, forniva addirittura i dettagli del piano: «I fascisti in collaborazione col comando della divisione Littorio, stanno concertando un piano di attacco generale contro la nostra Divisione. Il piano comprende uno sbarramento dei fondovalle da Pevergnano a Mondovì con successiva avanzata dai due lati, sulla sinistra da Val Pesio e sulla destra da Val Corsaglia. Si comunicheranno appena note le direttrici precise. Una volta stretti di fronte e dai lati, dovremo essere attaccati dalle punte avanzate delle due ali scopo di accerchiarci, mentre il resto dei reparti ci bloccherebbe e stringerebbe nel cerchio. La forza impiegata dovrebbe ammontare complessivamente, nei progetti attuali a a 12.000-13.000 uomini, composti di tutto il disponibile della divisione Littorio, della Brigata nera di Cuneo più eventuali rinforzi fascisti e repubblichini provenienti da fuoir. Non si parla per ora di tedeschi. L’armamento degli attaccanti è considerevole, composto di tutti i mezzi in uso compresi i carri armati, in dotazione alla Littorio. Il progetto è in fase di accelerazione e si conta di metterlo in esecuzione non immediatamente, ma fra una settimana circa. Il progetto è assolutamente autentico: l'esecuzione è nelle mani di molti destini che speriamo siano galantuomini. Colleghi militari, all'opera 22. Le autorità politiche e militari della R.S.I. erano dunque sul punto di compiere uno sforzo quasi senza precedenti per assicurarsi in esclusiva il vanto dell'eliminazione della IIIª divisione «Alpi» e, alla data del 9 dicembre, si ripromettevano di entrare in azione una settimana più tardi. Nel corso di quella stessa giornata invece i tedeschi si erano già mossi saggiando le difese della Val Corsaglia con una puntata di mezzi anfibi verso S. Giacomo e occupando, in serata, Peveragno, Chiusa Pesio e Villanova Mondovì. Il giorno dopo attaccavano in forze la Val Casotto, avanzavano su Roapiana e Monastero Vasco in Val Corsaglia e completavano il blocco del fondovalle con l'occupazione di Roccaforte. Il via all'operazione era stato perciò deciso il giorno 9, cioè appena ottenuta la liberazione dei prigionieri e sotto l'impressione causata dallo spettacolare lancio diurno effettuato nel primo pomeriggio sul campo della Tura 23.Dato che l'unica truppa italiana impiegata fu quella già da tempo aggregata alle forze tedesche, e cioè il raggruppamento «Cacciatori degli Appennini», gli ambiziosi progetti della «brigata nera» e della «Littorio» erano perciò condannati a restare sulla carta. A cose fatte, la prima cercò di giustificare la sua assenza raccontando in giro di non aver voluto partecipare alle operazioni della 34ª divisione perché «condotte con criteri inaccettabili quali rappresaglie contro la popolazione e fucilazione senza processo» 24. 21 Notizia in Arch. «R 4/C 22 Arch. « R », 32/A. 23 Cfr. il capitolo Aviolanci e rapporti con le missioni alleate. 24 Cfr. Foglio X n. 118 del 21.2.45.

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Dal 9 dicembre la IIIª divisione «Alpi» visse ore frenetiche: occorreva recuperare il lancio notevolmente « disteso », convincere le missioni inglesi a mettersi al sicuro da qualche parte e, soprattutto, ridimensionare alla svelta la formazione per sottrarla all'annientamento. Dopo quanto era avvenuto nel-le Langhe era più che evidente che ogni resistenza ad oltranza si sarebbe risolta in un massacro, data l'enorme sproporzione delle forze e dei mezzi. La riduzione degli effettivi avrebbe invece consentito di manovrare in alta montagna e di non trovarsi alla fame sin dal primo giorno. Lo sfoltimento era stato previsto ed autorizzato dal comando di zona con le seguenti istruzioni: «Il numero dei componenti i vari reparti venga strettamente proporzionato allo stato dell'armamento e della sussistenza (...). Il numero esuberante dei Patrioti può venire sistemato, previe cautele di sicurezza per ognuno, mediante concessione di licenze al mas-simo quindicinali, prorogabili» 25. Alle ore 21 di quello stesso 9 dicembre il comandante della brigata Vai Pesio annunciava a Cosa: « Ho inviato altri uomini in licenza. Sono rimasto con una brigata tutto fuoco (...). Passo la notte al Pilon d'Olocco...» 26. Cosa gli rispondeva immediatamente: «Sono stato fin'ora in conversari con il maggiore inglese paracadutato ieri. Poi ho avuto un lungo colloquio con Gigi 27 che ha avuto ordine di mandare in licenza anche lui il massimo degli uomini e ritirarsi in alto. Sta provvedendo e domattina forse sarà già a posto. Io sto facendo altrettanto, così tu puoi assumere lo schieramento che mi hai accennato senza preoccuparti di difendere il fianco della Val Ellero (...). Non essendo (state) lanciate le radio da campo i collegamenti non ci saranno più. Anche le staffette avranno difficoltà a trovare i loro obiettivi in quanto saremo in continuo movimento. Ad ogni modo le mie intenzioni sono, abbandonato Rastello domattina, dirigermi verso la Tura e poi eventualmente più in alto. Non so ancora se mi sposterò verso la V. Corsaglia o verso V. Pesio. Dipenderà dagli avvenimenti. I tedeschi a Villanova hanno evidenti intenzioni di attaccare e raggiungere la Tura per eliminare il campo di lancio e prendere il più possibile dei materiali aviolanciati. Ho dato ad Ettore 28 l'ordine di mandare anche lui il massimo degli uomini in licenza e abbandonare Frabosa ritirandosi in alto. - Speriamo di salvare l'organizzazione e riprendere subito il lavoro, passata la bufera... » 29

25 Circolare n. 2 — Oggetto: indirizzo operativo — del 27.11.44, Arch. « R », 25/A. 26 Lettera in Arch. «R », 3/D. 27 Scimè, comandante della brigata Ellero. 28 Ippolito, comandante della brigata Corsaglia. 29 Lettera in Arch. « R », 3/D.

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IL RASTRELLAMENTO DEL DICEMBRE 1944 La sera del 10 dicembre la situazione dei reparti della IIIª divisione «Alpi» a seguente: la banda Iosina, alquanto sfoltita, stava ritirandosi verso l'alta valle che costituì un rifugio relativamente sicuro per tutta la durata del rastrellamento; la brigata Valpesio, ridotta ormai ad una quarantina di uomini, si trovava attestata sul versante della Pigna, pronta però a raggiungere le basi predisposte in quota, al Gias Madonna e al Gias Sestrera Soprano; la brigata Ellero, forte ancora di quasi 250 uomini, vigilava dalle sue postazioni sistemate sulla destra orografica, dai Dho alla zona del Pino e del Fornello, e da quelle stabilite sulla sinistra sopra Norea e in Val Lurisia, alle stalle Brigna e Cussa. Il comando

della brigata aveva deciso di affrontare il nemico su queste posizioni per impegnarlo prontamente e ritardarne l'avanzata verso il prevedibile obiettivo del Pian della Tura. Alle spalle della brigata Ellero si trovavano gli uomini del comando divisione, una sessantina in tutto, divisi in due gruppi. Quello addetto agli uffici e ai magazzini stava completando l'occultamento di provviste e incartamenti a Rastello; l'altro, dislocato sulla Tura, si trovava impegnato in una sfibrante gara con il tempo per ricuperare, distribuire o nascondere il disperso materiale aviolanciato il giorno innanzi.

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Più delicata, e anzi già critica, si presentava nelle stesse ore la situazione della brigata Corsaglia perché, dopo una giornata di combattimenti, il nemico si era impadronito della Val Casotto e, a notte fonda, tallonava ancora i partigiani della 4a divisione «Alpi» in ritirata. Alle 21 circa un battaglione di «Cacciatori degli Appennini» proveniente da Pra di Roburent calava di sorpresa su Bossea dove aveva cercato riparo la brigata Casotto. Questa riusciva a sottrarsi all'insidia salendo a Fontane e quindi a Casera Vecchia, per poi «guadagnare la pianura con una contromarcia notturna in mezzo allo schieramento nemico» 1. La brigata Val Corsaglia si trovava perciò già scoperta e minacciata sul fianco e a tergo prima di essere attaccata dal fondo valle. Pur non conoscendo ancora la situazione in tutta la sua gravità, il comando si trovò costretto ad abbandonare le posizioni e ad attuare una precipitosa riduzione della forza. Il momento viene così ricordato da due testimoni 2: L'ordine del Comando è di fare il vuoto, senza opporre alcuna resistenza e di salvare uomini e armi. Gli uomini vengono lasciati liberi circa l'azione di mimetizzazione da svolgere. Non ci sono che due alternative: cercare di raggiungere l'alta montagna o la pianura, per poi riunirci appena cessato il pericolo (...) La decisione del Comando viene criticata aspramente. Ma l'ordine è tassativo e alla fine, a malincuore, viene eseguito. Si nascondono le armi pesanti. Gli uomini si dividono in gruppetti ed inizia l'operazione di sganciamento...». A Frabosa Soprana, nel cuore della notte, vi era «gran trambusto di partigiani e civili»: fino al mattino infatti durarono i lavori di sgombero e occultamento, diretti da Colantuoni. Con una mossa analoga a quella della brigata Casotto, una cinquantina di partigiani si diresse verso il fondo valle «riuscendo a passare nella notte fra le file tedesche e a portarsi nella zona tra Vicoforte e Niella Tanaro»; esito ugualmente felice ebbe la discesa verso il piano di un secondo gruppo che l'avanzata nemica aveva isolato nella regione di S. Giacomo 3. Gli uomini di Nino Micheletti, che intendevano ritirarsi in alta montagna, ricevettero dal comandante l'ordine di salire al Prel, unirsi al distaccamento colà dislocato e attendere il suo arrivo. Tutti gli elementi entrati nella formazione negli ultimi tempi furono disarmati e rinviati alle loro case. Dall'insieme di queste notizie risulta che il comando, sfoltiti i ranghi, intendeva ritirarsi con un esiguo reparto nella zona Prel-Balena, dove in precedenza aveva occultato una riserva di viveri. Sfortunatamente il proposito non poté realizzarsi per la tempestività colla quale i nazifascisti mossero all'attacco in Val Corsaglia: il comando si trovò infatti tagliato fuori dai suoi uomini prima che fosse giorno, e poco mancò che al Prel avvenisse una strage.

1 E. M. Mauri, Partigiani Penne Nere, Milano, 1968, pag. 186; va-rie notizie sono state tratte dalla testimonianza di don Giovanni Berse-zio, allora parroco di Fontane. 2 Aldo Clerico e Luigi Mondino. 3 Notizie desunte dalla testimonianza di Antonio Colantuoni, aiutante del comandante della brigata Ettore Ippolito

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11 dicembre Tra le 5 e le 7 dell'11 dicembre grossi reparti di fanteria della 34ª divisione tedesca, di Alpenjager della Vª divisione e di «Cacciatori degli Appennini» iniziarono l'attacco alla IIIª divisione «Alpi» seguendo tutte le possibili direttrici: da Villlanova e dall'Annunziata verso Frabosa Sottana, e di qui sia verso Frabosa Soprana sia verso Miroglio in Val Maudagna; dai Gandolfi verso Corsaglia e lo Straluzzo; da Bossea verso il Prel attraverso i «Lubet». Ancora da Villanova altri reparti si diressero verso Roccaforte, e di qui sia verso Norea, sia verso Lurisia e la sua valle. Da Chiusa Pesio l'attacco si irradiò in direzione del Mortè e del Pilone d'Olocco, di Gambarello e di S. Bartolomeo; da Peveragno verso Madonna dei Boschi, Crocetta, Pradeboní; da Limone verso il Vaccarile e la Bisalta 4. La manovra si sviluppò prima e più lestamente sulle ali: le forze ammassate a monte di Roccaforte fin dalle 5, e destinate all'attacco frontale in Valle Ellero, non si mossero che alcune ore dopo, con calcolato ritardo. Era quasi l'alba quando due partigiani del gruppo di Nino Micheletti in sosta al Prel si portarono all'inizio della carrareccia che scende su Frabosa per vedere se altri compagni fossero finalmente in arrivo. Scorsero invece «duecento metri sotto, diversi mezzi motorizzati (che) si stavano cautamente avvicinando» 5. Dato l'allarme, la squadra di Micheletti riuscì subito a portarsi fuori tiro in direzione della Balma; gli uomini del distaccamento sostennero un breve combattimento, disperdendosi poi qua e là per la montagna. Mentre Micheletti e i suoi, disperando ormai della situazione, decidevano di portarsi al Passo delle Saline per poi proseguire verso Tenda, gli scampati del Prel e altri partigiani della Val Corsaglia si rifugiavano nella zona del Mondolè dove le fortunose vicende del rastrellamento in corso dovevano, in seguito, favorire il loro insperato incontro con i compagni della brigata Ellero. Nell'opposto settore Iosína - Pesio numerose ed accanite pattuglie di Alpenjàger stavano frattanto procedendo ad una minuziosa esplorazione dei versanti. Il fumo gravava già sulla valle perché ogni capanna incontrata sul cammino veniva sistematicamente data alle fiamme 6. Poco dopo le 7,30 un'intensa sparatoria si accendeva all'improvviso nella zona di Lurisia, segno evidente che l'attacco alla brigata Ellero era cominciato con una manovra di aggiramento dalla valle contigua. L'avversario stava però incontrando la resistenza delle postazioni dí Brigna: gli uomini di Mario Bassignana avevano infatti l'arduo compito di ritardare i movimenti tedeschi verso la dorsale, e di ripiegare in direzione della Tura prima che il nemico si impadronisse del fondo valle.

4 Notizie ricavate da varie testimonianze, tra le quali citiamo quelle di Piero Rivaroli, Simone Ferrero, don Mario Pezza parroco di Roccaforte, Antonio Colantuoni, don Giovanni Bersezio parroco di Fontane. 5 Testimonianza di Aldo Clerico e Luigi Mondino. 6 Due partigiani dí Genova, Salvatore Timonieri e Elio Quesada, che avevano lasciato la brigata Pesio per raggiungere la brigata Odino, furono sorpresi e trucidati l’11 dicembre al Pilone d'Olocco.

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Dopo qualche tempo entrò in azione anche la postazione di Cussa che disperse e costrinse a deviare verso il Pilone d'Olocco un reparto in salita verso l'alta Valle di Lurisia. Solo nella tarda mattinata, ricevuto l'ordine di ripiegamento, gli uomini di questa postazione scavalcarono il costone nei pressi del rifugio Margherita e sí gettarono a valle inseguiti dalle raffiche nemiche 7.Per circa un'ora, dopo il primo echeggiare degli spari in lontananza, nella Valle Ellero regnò la calma. Alle ore 8 circa il posto di blocco di Norea interrompeva le comunicazioni telefoniche con il comando divisione per raggiungere la sua postazione nei pressi dí Baracco, e quindi anche Cosa, Gíacosa e gli altri uomini di stanza a Rastello si prepararono a lasciare il paese. Era con loro anche il cappellano don Bruno che aveva rifiutato ogni invito ad abbandonare in tempo la formazione; prendendo quota lentamente in direzione del Pian della Tura il gruppo si assunse il compito di controllare le eventuali infiltrazioni nemiche da Rastello.Verso le 10 tutto il versante sopra Prea apparve rigato di uomini in discesa: «Ormai si vedono i tedeschi, scrive un testimone, li contiamo col binocolo: vanno a squadre di trenta. Sparano di continuo e incendiano case e baracche che trovano. Scendono di corsa su Prea. Altri salgono al rifugio Margherita. Dopo un po' anche lassù c'è fumo »8.

12 dicembre Verso le 5, quindi ancora nella più fitta oscurità, gli uomini della brigata Ellero e del comando divisione, lasciarono la sella Bausana per scendere in lunga fila verso la stretta conca formata dalle pendici del Mondolè, dalla cima Durand e del monte Grosso. Impiegarono più di tre ore a raggiungerla,malgrado il rischio di essere sorpresi su quella ripida parete, perché in più punti fu necessario dar di mano alla piccozza per scalinare la neve ghiacciata. Raggiunto il Piandimale, la formazione si divise: la brigata Ellero ricominciò a salire, costeggiando il rio Colletta, verso la stalla del Seiras nell’alta Val Maudagna; il gruppo del comando divisione proseguì invece verso il rifugio Mondovì per la valle dell’Infermo. La manovra mirava a far perdere le tracce della formazione, a estendere il controllo sulle mosse del nemico, e anche a facilitare la ripresa dei collegamenti con le Valli Corsaglia e Pesio. Nel tardo pomeriggio la brigata Ellero raggiunse il Seiras: «Era coperto di neve — riferisce un testimone — che mimetizzava magnificamente; non era visibile da lontano in quanto ché è collocato in un avvallamento, perciò si sarebbe prestato molto bene al nostro scopo che era quello di nasconderci per alcuni giorni finché il nemico non avesse ritirato le sue forze» 16. 7 Testimonianza di Ernesto Biscia. 8 Testimonianza di Giorgio Boggia, dalla quale sono state tratte an-che alcune delle notizie sopra riferite. 16 Testimonianza di Giovanni Griseri.

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I nuovi arrivati trovarono sul posto un cavallo e un mulo trascinati fin lassù prima del rastrellamento dai partigiani della brigata Val Corsaglia, alcuni dei quali si trovavano ancora nascosti nelle vicinanze e non tardarono ad unirsi ai compagni. Ben diversa era, in quelle stesse ore, la sorte di altri partigiani della medesima brigata, e cioè della squadra di Nino Micheletti, ormai giunta al Passo delle Saline, e intenzionata a proseguire verso Tenda. Uno degli scampati racconta: «Annottava. I tedeschi, che dalle loro postazioni seguivano da tempo i movimenti degli uomini di Nino, probabilmente, ad un certo punto, temettero di veder scappare la preda. Un fuoco infernale si riversò improvvisamente su quegli uomini. Sin dalle prime raffiche Gelso Clerico venne colpito a morte (...) i partigiani reagirono d'istinto, ma il nemico era ben riparato. Anche Pastiglia venne colpito a morte mentre scaricava il suo sten su delle ombre inafferrabili. Poco più in là, Mascarello, un ragazzo di 18 anni, veniva intanto freddato mentre con le mani alzate, disarmato, si avvicinava ad una pattuglia tedesca. Uno dopo l'altro caddero in Gelso, Pastiglia, Mascarello, Magagnin, Tedeschi, Carrara. Aldo (Clerico), con uno sforzo tremendo, sospinto dalla forza della disperazione, riuscì a portarsi fuori tiro. Di lì a poco lo raggiunsero Nino e Patelli. Insieme decisero dí dirigersi verso il rifugio Mondovì».Verso questa stessa meta stavano allora marciando gli uomini del comando divisione, calati all'imbrunire sul Pian Marchisa. L'oscurità impedì il riconoscimento e i tre, convinti di avere a che fare nuovamente con i tedeschi, si portarono sulle pendici del Cars dove, «al riparo di una roccia, nutrendosi di sola neve, sostarono 6 giorni »17. La giornata volgeva così al termine senza combattimenti, ma con perdite assai superiori a quelle del giorno prima. Nella notte sul 13 i distaccamenti dei Dho, al comando di Luigi Meineri, riuscivano a passare tra le postazioni tedesche di Roccaforte 18, e un folto gruppo guidato da Angelo Ferrua lasciava il Fornello e raggiungeva la pianura per altra via. Raineri restò ancora sul posto per altre ventiquattr'ore, nella vana speranza di poter ancora raggiungere la formazione. Dal suo precario nascondiglio, spesso sfiorato dalle pattuglie tedesche dirette alla Tura, aveva potuto osservare l'avanzata nemica in Val Maudagna e l'occupazione del Bergamino e di Prato Nevoso. Esasperati dalla lunga tensione, due dei suoi uomini si erano gettati nella Vai Maudagna finendo quasi subito in mani nemiche. La cronaca del 12 dicembre registra, insieme al sacrificio di diversi partigiani, anche quello, non meno cruento, della popolazione civile. Proprio nella Valle Pesio dove la tattica di «fare il vuoto era stata meglio applicata, i tedeschi si abbandonarono alle più feroci rappresaglie per sfogare la delusione e la rabbia.

17 Testimonianze di Aldo Clerico. I sei caduti sono: Gelso Clerico, Francesco Pepé (Pastiglia), Giusto Mascarello, Vittorio Magagnin, Italo Tedeschi e Anteo Carrara.

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Citiamo il caso più impressionante tra i molti descritti dalle testimonianze raccolte: «Una pattuglia salita da Vigna alla Fiolera e quindi a Fuggin, alla Drit, e a Porcherot, sorprese in una stalla cinque uomini e cioè Edari Cesare di anni 32, Alberto Valentino di anni 35, Vincenzo Ferrero di anni 37, Antonio Baudino di anni 38, Sebastiano Manassero di anni 38; dopo averli derubati e percossi li trucidò barbaramente bruciando la stalla e tutte le capanne circostanti (...). Un sesto uomo (...) mancato alla prima raffica si gettò a terra e lasciandosi rotolare sul terreno gelato riuscì a salvarsi nel Vallone di Porcherot»20 . Diversi valligiani furono costretti a seguire i reparti come portatori di munizioni e finirono quasi sempre massacrati; le donne dovettero pelare patate e aiutare in cucina, i vecchi furono obbligati a spennare le molte galline rubate. Razzie di bestiame, incendi, asportazioni di preziosi, provviste e coperte, violenze alle persone si susseguirono senza tregua per tutti i lunghi giorni del rastrellamento. Fatti analoghi si verificarono anche nelle altre vallate, fortunatamente con conseguenze meno gravi, almeno per l'incolumità delle persone. Ovunque i giovani e gli uomini ancora validi abbandonarono le loro case e vissero in caverne e nascondigli. Nell'alta valle Ellero gruppi di valligiani ebbero frequenti contatti con i partigiani che divisero con loro le scarse provviste, e poterono contare sul loro aiuto per alcune missioni esplorative e di collegamento.

13 dicembre Per i partigiani attestati nelle valli Ellero e Maudagna la giornata del 13 dicembre scorse tranquilla. Il gruppo del comando divisione vigilò per tutta la mattinata riparato tra le rocce che fronteggiano il Passo delle Saline, mentre due staffette si portavano in Val Pesio, via lago Biecai - Passo Sestrera, per ristabilire i collegamenti con gli uomini di Sacchetti. Al Seiras la brigata Ellero si era garantita da ogni possibile Lago Biecai sorpresa con la sistemazione di varie postazioni e l'invio di pattuglie in perlustrazione, ma si trovava alle prese con il problema, ormai assillante, dei viveri. Le razioni individuali erano ormai esaurite o agli sgoccioli, e i depositi predisposti al Fornello risultavano inaccessibili per la costante presenza nemica in tutta la zona. Gli uomini della Val Corsaglia si offrirono di guidare una spedizione verso la Balma per rifornirsi al deposito dei Gavi (quota 1630), rimasto inutilizzato. Nel frattempo il mulo venne sacrificato e arrostito su lamiere; a sera, col rientro trionfale della pattuglia, tutti ebbero anche una modesta razione di pane, e maccheroni sconditi, cotti nell'acqua ottenuta dalla neve.

18 Testimonianza di Antonio Gola. 19 Testimonianze di G. Raineri e A. Ferrua. I due partigiani erano, probabilmente, Piero Fortunati e Eugenio Ierardi che risultano fucilati a Miroglio il 12 dicembre. Anche Domenico Cattaneo, della brigata Corsaglia, però in questa valle nello stesso giorno. 20 Testimonianza di Simone Ferrero .

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I medesimi problemi si ponevano anche al comando divisione che nel pomeriggio decise di ritornare al Piandimale, lasciando però sul posto una squadra al comando di Pino Ugliengo per l'avvistamento e le staffette. Il trasferimento riduceva le distanze dal magazzino viveri della Tura, e rendeva più rapido e sicuro tutto il sistema dei collegamenti, dal Seirass alla Valle Pesio. La «selletta» del Piandimale diventò così la nuova sede del comando divisione, malgrado la sua infelice ubicazione sul fondo della Valle dell'Inferno. I tavolati destinati alla stagionatura dei formaggi si trasformarono quella sera in letti a castello per ospitare, con una rigorosa divisione dello spazio, almeno una parte del gruppo. Gli altri proseguirono verso la Tura per fare un carico di viveri durante la notte. Se i partigiani avevano speso la giornata nella ricerca di una sia pur precaria organizzazione tattica e logistica, per i nazifascisti essa era trascorsa del tutto inutilmente. La stasi poteva essere interpretata sia come preludio di un disimpegno, sia come la preparazione di un secondo ciclo offensivo. In ogni caso appariva già chiaro che la manovra della IIIª divisione «Alpi» era riuscita a disorientare il nemico perché, a tre giorni dall'inizio dell'attacco, e dopo uno sfibrante lavoro di setacciamento, non solo non era riuscito ad annientarla, ma si trovava ancora alle prese con il problema della sua localizzazione.

14 dicembre Che i comandi tedeschi fossero in preda ad un vero parossismo risulta chiaramente dalle misure terroristiche cui fecero ricorso. Eccone la descrizione nel racconto di un testimone, direttamente coinvolto nel dramma vissuto da tutta la popolazione di Roccaforte: «Il giovedì mattino vengono arrestati il parroco e il V.Curato del Capoluogo ed il parroco di Prea e portati a Mondovì dove sono trattenuti due giorni. Nel pomeriggio dello stesso giorno si dirama l'ordine che tutti gli uomini dai 17 ai 45 anni devono radunarsi in piazza muniti di documenti. Se ne radunano un centinaio, credendo che si procedesse ad una semplice verifica delle carte e invece si vedono incolonnare ed avviare a Mondovì...» 21 Era l'inizio di una deportazione di massa tipicamente nazista, decisa per dividere il clero e la popolazione dai partigiani e strappare informazioni, ma anche per mascherare i magri risultati ottenuti con la messa in scena di una colonna di prigionieri catturati nel corso delle operazioni. Sulle montagne, la giornata del 14 dicembre segnò il momento culminante, e, insieme, l'inizio della crisi della nuova organizzazione che la IIIª divisione «Alpi» si era data adattandosi all'ambiente e alla situazione.

21 Testimonianza di don Mario Pezza.

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Dopo essere salito in nottata alla Tura l'ex distaccamento aviolanci si divideva in due squadre, una delle quali faceva ritorno al comando divisione, mentre l'altra, guidata da Nandino Picco, s'insediava alla Colla Bausana con il compito di assicurare un turno di vedette alla Cima Durand. Poiché analogo servizio era prestato da altri uomini del comando divisione al Passo della Colletta, che domina i cosiddetti «Viret» e il corso dell'Ellero, gli accessi alla zona occupata si trovavano quasi interamente sotto controllo, dalla Tura al Passo delle Saline, dalla Balma alla mulattiera che sale da Rastello. Le staffette a piedi e in sci continuavano a fare la spola per tessere i collegamenti e distribuire i viveri disponibili: quelle inviate in Val Pesio erano già La salita alla Durand vista dalla Turra rientrate al distaccamento del rifugio Mondovì con ottime notizie di Sacchetti e dei suoi partigiani, ancora indenni e ben riforniti. Uno dei presenti annotava quasi euforicamente: «La nostra squadra ha oggi egregiamente funzionato, come Comando Divisione, da organo accentratore di notizie, delle informazioni, e dei collegamenti. A sera ci troviamo tutti riuniti nella nostra selletta di Pian di Mà (Piandimale). Comincia a piacerci questa vita, purché la duri...»22. Che in queste condizioni la formazione riuscisse a tener duro e a mantenersi saldamente unita era certamente motivo di orgoglio e di fiducia. Ma il prezzo era la fame appena calmata, era il freddo sopportato con il continuo rischio del congelamento, erano i quotidiani strapazzi e l'impossibilità di soccorrere chi si fosse sentito male. Beppe Milano, il dinamico e generosissimo comandante dei ragazzi della Tura, giaceva al Pian di Male colpito da un attacco di appendicite che nessuno sapeva e poteva curare. Ai Seirass il problema più assillante continuava ad essere quello dei viveri, e quindi la brigata dovette ritentare la rischiosa avventura di una discesa al deposito della Balma. Uno dei volontari che presero parte alla spedizione racconta: «Eravamo circa una ventina al comando del ten. Mario Bassignana e partimmo nelle prime ore del mattino. — Raggiungemmo la Balma dopo un tratto di cammino quasi pianeggiante, e in quel posto furono messi di guardia due uomini (uno dei quali ricordo era un russo) su un cocuzzolo che dominava la Balma e il sentiero che scende verso Fontane. Altri due uomini furono posti di guardia nei pressi della Sella dei Gavi, per sorvegliare le provenienze dal Prel. Uno di questi ero io, l'altro era Macrino Giuseppe (...). il resto della squadra, con Bassignana, scese verso i Gavi (...). Caricavano la roba, dopo averla sistemata in sacchetti, sulle spalle e cominciavano a salire alla spicciolata verso la Balma. Dopo circa mezz'ora Bassignana ci fece segno di scendere per caricarci dei nostri sacchi, e così noi fummo gli ultimi a iniziare la salita e ci trovammo isolati dagli altri. I primi erano già abbastanza avanti quando, all'improvviso, sentiamo delle raffiche nella zona della Balma e subito pensiamo che il nemico sia salito da Fontane. 22 Testimonianza di Giorgio Boggia

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Seguitiamo a salire con i nostri sacchi ma ben presto ci sentiamo sparare alle spalle. Allora dirottiamo verso sinistra, in direzione di un colle che si apre tra le cime che dalla Balma vanno verso il Prel. Quando ci troviamo più in alto, ci accorgiamo di avere alle nostre spalle una pattuglia di sciatori in tuta bianca che già si muoveva nei pressi della sella dei Gavi. Li posso vedere distintamente con il cannocchiale di Bassignana: continuano a sparare nella nostra direzione, mentre altri spari echeggiano ora anche dalla parte del Prel, oltreché dalla zona della Balma (...). Ad un tratto il mio amico scivola sulla neve per una cinquantina di metri e dice che non ce la fa più. Scendo a prenderlo e, gettati i sacchi, risaliamo insieme...» 23. Ripiegando verso la Val Corsaglia i due si unirono a Bassignana, che era rimasto ferito ad una mano, e ad altri tre scampati. Attesa la notte, il gruppo raggiunse il piano. «Ricordo — aggiunge ancora il testimone — di aver visto alcuni compagni cercare di sfuggire alle pattuglie sbucate alle nostre spalle dirigendosi verso il Mondolè: forse furono bloccati e fatti prigionieri». Due membri della sfortunata spedizione, che erano rimasti subito feriti, vennero catturati e «trucidati davanti alla chiesa della Balma che fu incendiata dal nemico prima di ritirarsi»24. Pochi altri ripiegarono in tempo verso il Seirass, ma uno di essi, un russo di cui si parlerà ancora, si smarrì tra le montagne. Dei restanti si hanno notizie incomplete, ma tali da far ritenere che, in maggioranza, essi siano stati catturati e fucilati in Valle Ellero Lapide alla Balma nei giorni 15 e 16 dicembre. Lo fanno fondatamente supporre il numero dei partigiani caduti in questi giorni in circostanze rimaste oscure e, soprattutto, le testimonianze raccolte. La prima è del parroco di Roccaforte che annotò: «durante la lotta che si svolse sui monti (...) i nazifascisti riescono ad arrestare quattro partigiani tra i quali viene riconosciuto Corbelleri Mario, che vengono condotti la sera del giovedì 14 dicembre nella casa Martini ove ha sede il comando di un reparto ed ivi terribilmente torturati. Il mattino seguente, condotti a Norea, sono colà fucilati» 25. 23 Testimonianza di Ernesto Biscia. 24 Testimonianza di Giovanni Griseri; e Meo Preve. 25 Testimonianza di don Mario Pezzag

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LA RIORGANIZZAZIONE (gennaio-aprile 1945) Al termine del grande rastrellamento di dicembre fu subito chiaro che tedeschi e fascisti erano intenzionati a consolidare i risultati ottenuti presidiando le vallate e battendo la pianura per snidare i partigiani. «La situazione, scrisse Cosa, era sempre molto critica: non era assolutamente possibile tornare alle sedi di montagna perché tutti gli accantonamenti disponibili erano stati incendiati: le abbondanti nevicate rendevano impossibile il transito fuori delle strade controllate ed il trasporto di viveri e materiale (...). I fascisti poi, per garantirsi da imboscate prelevavano settimanalmente numerosi ostaggi in ogni paese, minacciando rappresaglie su di essi ad ogni minima azione dei partigiani (...). Considerata la situazione ed in attesa di poter tornare al normale inquadramento dei reparti, il grosso degli uomini e delle armi fu sistemato in piccoli gruppi nelle cascine della pianura adiacente alle nostre valli: in ognuna delle stesse furono mantenuti reparti armati di 60 uomini al comando di un ufficiale...». «Restarono nella zona montana soltanto reparti scelti che controllassero i movimenti del nemico per organizzare la ripresa» 1. L'11 gennaio '45 Cosa, Giacosa, Scimè, Sacchetti ed Ippolito si riunirono a Villanova Mondovì per esaminare i problemi del momento e le prospettive del futuro. Con un drastico bando essi vietarono ai partigiani, sotto pena di essere considerati disertori e quindi passibili di fucilazione, «l'esibizione di armi ed uniformi», nonché «la circolazione visibile». La stessa pena era comminata a chiunque avesse compiuto «attività militare, di polizia, di rifornimento, di requisizione» nella zona di competenza della IIIª « Alpi », o avesse offeso « la vita ed i beni dei cittadini »2.Dopo questa energica riaffermazione della presenza e dell'autorità della divisione, i comandanti tornarono a riunirsi l'indomani come membri della direzione del «Gruppo Unitario di Rinnovamento Nazionale» per ascoltare le proposte del commissario politico sulla riorganizzazione dei reparti. Esse prevedevano un notevole ampliamento dell'organico, tenuto conto del «materiale umano» disponibile, delle nuove norme che riducevano a 700 il numero di uomini «sufficiente per costituire una divisione », e dell'opportunità di procedere ad «un elevamento di gradi ed incarichi almeno perequato all'uso delle altre formazioni». Secondo Giacosa si poteva quindi «prevedere una riforma dei quadri, con la costituzione di almeno due Divisioni nel Cuneese, una in Liguria e una nel Torinese, più l'allargamento interregionale del Servizio X...»3. Come nella primavera del '44 la formazione reagiva ai colpi del nemico con un ambizioso e beffardo disegno di espansione, sulle cui dimensioni influiva certamente l'intento di dare maggiore consistenza e forza d'attrazione al G.U.R.N. Il progetto venne accolto all'unanimità 4, e il 21 gennaio 1945, dopo aver peregrinato da un rifugio all'altro a causa delle continue incursioni nemiche, Cosa e Giacosa si trasferirono a Torino per i necessari contatti con il comando regionale. 1 I passi sono tratti da due relazioni di Cosa. Arch. « R », 22/A e 26/B, 2 Il bando, firmato da Scimè, Ippolito e Sacchetti, reca la data del-l'11 gennaio 1945. Arch. « R », 21/A. Il testo è pubblicato nell'Appendice. 3 Dalla relazione di Giacosa alla Commissione Regionale Piemontese per le qualifiche partigiane, datata 27 marzo 1946. Arch. « R », 26/B. 4 L'« Ordine del giorno n. 3 » allora redatto è andato disperso, ma ad esso fa chiaro riferimento l'« Ordine del giorno n. 5 » riprodotto quasi integralmente in questo capitolo.

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Tre settimane dopo il nuovo organico veniva definitivamente approvato, come risulta dal seguente ordine del giorno: «Addì 14 febbraio 1945 si è riunita a Torino, presso il recapito C.C. del Servizio X, la direzione del Gruppo nella persona del dott. Giacosa, del cap. Cosa, del cap. Scimè e del ten. Sacchetti: assente alla discussione il cap. Ippolito, poi presente alla firma. Si è discussa la situazione del "Progetto Giacosa" di riorganizzazione di cui al precedente Ordine del giorno n. 4 (Seduta di Villanova Mondo-vi del 2 gennaio 1945 c.a.)5. Dato atto che il detto progetto, presentato in linee generali al C.L.N. e al C.M.R.P. dal dott. Giacosa nella sua relazione del 10 gennaio 1945 c.a. 6 e in sede di C.M.R.P. dal cap. Cosa, è stato di massima approvato dal Centro, come è contenuto nella lettera 154 op. del 25 gennaio 1945 c.a. del Comando Militare delle Formazioni Autonome in risposta alla relazione citata, e come è stato espresso in altri colloqui verbali col Centro stesso fatta eccezione per la parte riguardante la zona delle valli Casotto, Mongia e Tanaro che il C.M.R.P. (Comando Militare Regionale Piemonte) intende continuino ad appartenere alla giurisdizione del 1° Gruppo Divisioni Alpine, è stato DELIBERATO quanto segue: 1.Le forze appartenenti alla Banda Val Iosina, alla Brigata Pesio e alle squadre del tratto di pianura prospiciente fino a Fossano, vengono riunite in una unità cui si attribuisce il titolo originario di IIIª divisione "Alpi Fossano", e passa agli ordini del ten. Sacchetti. La Divisione si schiererà in quattro Brigate, tre montane, Brig. Iosina, Brig. Pesio e Brig. Lurisia, ed una di pianura, Brig. Fossano. 2.Le forze già appartenenti alle Brigate Ellero e Corsaglia e altre squadre del tratto di pianura prospiciente fino a Mondovì vengono riunite in un'altra unità che assume il titolo di "Va Divisione Alpi Mondovì" che passa agli ordini del cap. Scimè. La Divisione si schiererà anch'essa su quattro brigate, tre montane: Brig. Ellero, Brig. Maudagna, Brig. Corsaglia, ed una di pianura, Brig. Mondovì. 3.La forza della IIIª Divisione Alpi appartenente alla Brigata Odino - S. Giorgio, integrata di nuovi quadri, si riunirà in un'altra unità che assumerà il titolo di "Divisione S. Giorgio" che passa agli ordini del cap. Ippolito, accompagnato da Giuseppe Ferrando a Giuseppe Ferrando Genova, e secondo l'opportunità si concentrerà in una immagine donata al Comune Chiusa di Pesio da Francesca Gerbotto zona montana della Liguria o funzionerà come Divisione Territoriale in Genova, schierandosi a sua volta su un numero conveniente di Brigate.

5 La data accertata è quella del 12 gennaio '45.

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4.Le forze disponibili in Torino si riuniranno in un'altra unità che assumerà il titolo di "Divisione Augusta" e sarà affidata a un comandante da designare; anch'essa a suo tempo, secondo l'opportunità, si concentrerà in una zona montana del Torinese o funzionerà come Divisione Territoriale in Torino, schierandosi a sua volta in un numero conveniente di Brigate. Tutte queste quattro unità resteranno organicamente accentrate nel Gruppo Unitario di Rinnovamento Nazionale, coordinato dal Cap. Piero Cosa, che assume la funzione di direzione e rappresentanza militare del gruppo, mentre ogni unità godrà di autonomia amministrativa sotto la responsabilità personale dei rispettivi Comandanti e si inquadrerà operativamente nei piani del Comando Centrale. Resta inteso che mentre le due prime Divisioni citate, la "IIIª Alpi" e la "Vª Alpi Mondovì" sono ormai organizzate e a posto, per le altre due, la "S. Giorgio" e l'"Augusta", la loro ufficializzazione, è subordinata ad un felice esito della loro organizzazione, che è soggetta a tutti i fattori inerenti alla complessa situazione attuale. Il dott. Giacosa resterà Commissario politico di tutte le unità presso ognuna delle quali è prevista la nomina di un Vice Commissario, che funzionerà come Delegato del Commissario Politico. In attesa di designare i Vice-Commissari delle Divisioni "S. Giorgio" e "Augusta" sono nominati senz'altro lo studente universitario Aldo Viglione, Vice-Commissario della "IIIª Divisione Alpi", e il dott. Giuseppe Baracco Vice-Commissario della "Va Divisione Alpi Mondovì". (...). F.to Giacosa Giocondo Cap. Ettore Ippolito S.Ten. Aldo Sacchetti Cap.Luigi Scimè Cap.Piero Cosa Con queste decisioni, prese in Via Massena 69, nasceva il Gruppo Divisioni « R ». Cosa e Giacosa restarono sul posto per gli ulteriori contatti con il comando regionale e i problemi relativi all'impianto dell'« Augusta »; le maggiori cautele imposte dall'arresto del cappellano don Giuseppe Bruno 8 prolungarono ulteriormente la loro permanenza a Torino dove Giacosa era trattenuto anche dagli impegni relativi al Servizio X. I suoi rapporti con il comando della V zona di cui, insieme a Gustavo Comollo (« Pietro »), era commissario politico, furono perciò discontinui, ma alla fine di marzo egli riuscì a raggiungere Pradleves per discutere ed approvare diversi provvedimenti: almeno sette circolari diffuse il giorno 28 recano infatti la sua firma 9. Subito dopo venne sostituito da Enrico Bruno 10 che assunse e mantenne la carica di vice-commissario sino alla fine della guerra. 8 Don Bruno, che si era trasferito a Torino con Cosa e Giacosa, venne arrestato il 14 febbraio, rinchiuso nel braccio tedesco delle « Nuo-ve » e sottoposto a stringenti interrogatori. Fu liberato il 28 aprile. 9 AISRML, Fondo C.V.L., Piemonte, b 25-2. 10 Il capitano di complemento Enrico Bruno aveva diretto in precedenza l'ufficio « Affari Civili » della 3' divisione « Alpi ».

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Anche Cosa tornò per qualche tempo nel Cuneese per constatare i progressi della riorganizzazione e riferire al comando di zona. Giunto a Caraglio non poté però proseguire verso Pradleves a causa di un rastrellamento in Valle Grana. La relazione sulla IIIª e la Vª divisione «Alpi» da lui redatta segnala l'esistenza di 700 disarmati su un totale di 2250 uomini, e la scarsità delle munizioni, ma giudica che queste deficienze possano essere colmate in tempo utile, dato il recente «allontanamento dei presidi nemici dal fondo valle». «In pochi giorni, si legge infatti nella chiusa, gli uomini si trasferiranno nuovamente in montagna, saranno ripresi gli aviolancí e provveduto al completo munizionamento di tutta la forza..» 11. Nonostante le continue insistenze di Cosa presso i vari comandi e i rapporti stabiliti con il nuovo capo della missione americana Wasp IV 12, paracadutato in febbraio sulla Tura di Valle Ellero, nessun lancio venne effettuato sui campi predisposti dal «Gruppo» in Valle Pesio e nella zona collinare di Gassino Torinese. La brigata « G. Odino » e la divisione S.A.P. « Augusta » La parte del «progetto Giacosa» che riguardava la città di Genova apparve quasi subito irrealizzabile perché la brigata «. Odino » non riuscì a superare i difficili mesi invernali. Dopo il combattimento di Mornese (Ovada) essa si era ritirata verso Morbello dove però ebbe la sfortuna di incappare in un rastrellamento di vaste proporzioni. Trovandosi circondata, fu costretta a scindersi per sottrarsi alla distruzione, e da quel momento cessò di esistere come reparto organico, anche se i suoi uomini continuarono la lotta sino alla fine della guerra. Alcuni elementi restarono sul posto per attendere la guarigione di un compagno ferito ed entrarono nella brigata autonoma «Martiri della Benedicta». Essi si distinsero in tutte le azioni compiute dalla squadra «volante» di questa formazione nella zona di Gavi, Serravalle Scrivia, Novi Ligure, e, al momento della Liberazione, presero parte sia ai combattimenti contro le S.S. tedesche che si erano ritirate sul Monte Tobbio, sia alla discesa finale su Genova 13 I partigiani che Piero Geremia («Monti») aveva condotto dalla Valle Pesio rientrarono con lui nel Cuneese, mentre il grosso dell'«Odino», diviso in due gruppi, ripiegava verso Genova. Il primo tornò ad insediarsi nella zona del Monte Zuccaro, presso Voltaggio, ma in gennaio 1945 venne sorpreso da un'incursione nemica che causò un morto e la cattura di diversi elementi che vennero poi rinchiusi nel carcere di Marassi. Quando Dante Repetto riuscì a riunire gli sbandati, i garibaldini avevano ormai esteso la loro giurisdizione sulla zona, e quindi il distaccamento passò alle dipendenze della brigata «Pio» 14, e venne inviato a presidiare il settore dei Laghi del Gorzente e del Monte Tobbio. Nei giorni dell'insurrezione esso discese su Ponte Decimo, e contribuì al successo delle operazioni in corso a S. Quirico, Mignanego e Genova Albaro 15. 11 Arch. « R » 21/A. La relazione reca la data dell'8 aprile '45. 12 Si trattava di Mario Morisi (« Profeta »). 13 Testimonianza di Antonio Maffezzoni e Giulio Patrini. Cfr. anche la relazione Brigata a Giancarlo Odino », cit. 14 Questa brigata faceva parte della divisione « Mitigo ». 15 Testimonianza di Dante Reperto.

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L'altro gruppo, guidato da Paolo Cartagenova, aveva invece raggiunto una località denominata Creto, dopo essersi faticosamente sottratto alla morsa nemica. «Era questa, scrive lo stesso Cartagenova, una zona controllata dalla Brigata Garibaldi "Severino" 16 nella quale venimmo incorporati, e restammo fino alla liberazione di Genova con l'amarezza di non aver potuto combattere nelle file dell’Odino"». Solo una minoranza ebbe infatti questa possibilità e di essa parleremo ancora in seguito 17. Minori difficoltà incontrò a Torino il progetto dell'« Augusta » che venne attuato abbastanza sollecitamente dal Servizio X, e cioè da Enzo Gizzi (« Ezio ») e dai suoi collaboratori, con l'aiuto di alcuni elementi giunti dal Cuneese, tra cui Mario Scacchetti (« Steiner »), Piero Geremia («Monti »), e Clemente Bertola. Oltre ad un buon numero di carabinieri sbandati 18 e a diversi partigiani rimasti isolati, entrarono nella nuova formazione anche gruppi preesistenti come quelli appartenenti al «Movimento Piemonte-Libertà», guidati da Cornelio Cavallero (« Oscar »), Mario Brach del Prever e Giacomo Cordero (« Giacomino »), nonché le squadre organizzate nella collina torinese da Francesco Tomalino («Viviani») e Italo Cordero 19. L'armamento di questi uomini appariva però inadeguato ai compiti che li attendevano e il comando dell'«Augusta », assunto nel frattempo dal ten. col. Pietro Martini e da Mario Brach del Prever quale vice-commissario politico, decise di prendere in considerazione la collaborazione offerta da carabinieri in servizio e agenti della polizia ausiliaria. Queste forze, puramente presunte, vennero conteggiate a parte, e cioè raggruppate in una «divisione» esistente solo sulla carta, ma il cui contributo poteva essere prezioso al momento dell'insurrezione. In un secondo tempo il collegamento con i carabinieri venne interrotto per varie ragioni, mentre continuarono i rapporti con il «gruppo della Questura» all'interno del quale si trovavano ex partigiani e informatori del Servizio X. Queste decisioni furono prese in accordo con i responsabili del IV settore cittadino, dal quale la formazione dipendeva. Alla fine di febbraio Giacosa e Fernando Creonti, del C.M.R.P., l'avevano infatti presentata ufficialmente al comando della Piazza di Torino, e il capo di stato maggiore Vincenzo Mingione (« Mattone ») l'aveva subito posta agli «ordini del col. Airaldi 20, comandante del IV settore, competente per zona» 21. 16 Questa brigata appartenenva alla divisione « Cichero ». 17 Posizione del tutto diversa e a sé stante, rispetto all'« Odino » e al nucleo genovese del Servizio X, ebbe un gruppo clandestino di Sestri, nato da un'iniziativa personale del prof. Lorenzo Caboara e denominato « Brigata Lamarmora ». Pur essendo stato segnalato ai responsabili del G.U.R.N dal tenente Aldo Bianco, questa organizzazione non fece parte delle formazioni effettivamente comprese nel Gruppo delle divisioni au-tonome « R ». Nei giorni della Liberazione il prof. Caboara riuscì ad in-durre alla resa i tedeschi addetti alla postazione di artiglieria pesante di Sestri. Cfr. L. Caboara, Libertà e Resistenza ecc., in « Rivista Internazio-nale di filosofia politica e sociale », serie III, fascicolo II, Bologna, 1964, pagg. 149-51. 18 Testimonianza di Vincenzo Gizzi che ricorda l'aiuto dato dal col. Scognamiglio, « di provata fede antifascista ». 19 Notizie tratte dalle testimonianze del ten. col. Pietro Martini e di E. Gizzi. Il movimento « Piemonte e Libertà » era stato fondato da Ca-vallero e Brach del Prever prima del settembre 1943. Da un prospetto compilato in quei mesi si apprende che i gruppi cittadini appartenenti alv« Angusta » erano stati costituiti sia all'interno di uffici e fabbriche (Prefettura, Arsenale, Viberti, Spa C., Autocentro, Distretto, R.P., Stipel, Fiat L., Commissariato S. Secondo — cfr. Arch. « R », 22/A), sia in diversi quartieri della città. 20 L'ufficiale era allora noto come col. Monaldi. 21 Dalla dichiarazione di Vincenzo Mingione, datata 24.2.46; copia in Arch. « R », 26/B. — La commissione regionale per le qualifiche partigiane insediata alla fine della guerra, non riconobbe né il comando della divisione « Augusta », né quello del Gruppo divisioni « R pur dovendo riconoscere le qualifiche dei comandanti. Il provvedimento parve plausibile per quanto riguarda l'« Augusta » che, pur essendo stata organizzata in forma organica, di fatto operò per squadre; risultò invece assurdo per il comando del « Gruppo » che continuò a dirigere i medesimi reparti, anche se diversamente inquadrati e denominati .

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La IIIª e la Vª divisione «Alpi» La nuova IIIª divisione «Alpi-Fossano » nacque in montagna, tra i rigori dell'inverno e le privazioni imposte dai blocchi nemici. L'ossatura delle due brigate alpine fu costituita dai gruppi rimasti nelle Valli Pesio e Iosina durante il rastrellamento di dicembre; solo dopo i primi durissimi mesi del '45 i ranghi incominciarono ad infoltirsi con il rientro di partigiani scesi in pianura, e l'arrivo di nuovi elementi. Assumendo il comando della formazione Aldo Sacchetti stabilì la sua sede ai « Mau » (Tetti Mauri), mentre Toni Bertoldo, il nuovo responsabile della brigata Valle Pesio, sistemava i suoi uomini sui due versanti della valle, all'altezza di S. Bartolomeo. Nello stesso periodo Oberdan Rivaroli («Piero») organizzava la seconda brigata in Valle Iosina, e Aldo Vandoni veniva incaricato di dar vita alla brigata Fossano, destinata a riunire gli uomini rimasti al piano e le squadre sorte in questa città e nel suo territorio. La nascita della Vª divisione «Alpi-Mondovì» avvenne invece nelle cascine di pianura dove i partigiani di Scimè si erano ormai stabilmente sistemati. Anche in questo ambiente i continui rastrellamenti e l'incombente presenza dei presidi nemici ostacolarono la ripresa, ma non impedirono alle brigate di compiere azioni di sabotaggio e di polizia. Nella sua relazione il nuovo comandante della «Valle Ellero» Nino Luchino dà però maggiore risalto all'impegno posto nel garantire, anche nelle circotanze più avverse, il collegamento con i «gruppi isolati e i distaccamenti mobili. In tal modo infatti, « numerosi villaggi e cascinali della zona compresa fra Sant'Albano Stura, Pianfei, Peveragno, erano sotto il controllo della brigata». 22 Verso la fine di febbraio da questa formazione si staccò il «° gruppo distaccamenti » che, sotto il comando di Gianni Raineri, diede origine alla brigata Maudagna, 23 Anche i nuclei della «al Corsaglia », in parte ancora in montagna e in parte rifugiati in pianura, furono gradualmente raggiunti e collegati dal nuovo comandante Mario Bassignana. Dato che i nazifascisti «avevano presidi sparsi in tutta la zona monregalese, si legge nella sua relazione, incominciò una sorda lotta per evitare che le spie potessero individuare le zone di raduno, e i centri di rifornimento (...). I distaccamenti erano situati a Benevagienna, Trinità, Margarita, Pianfei, Chiusa Pesio, Villanova, Frabosa, Corsaglia, Fontane». Nel mese di marzo ebbe inizio il graduale ritorno in montagna, e in aprile l'organizzazione dei reparti progredì rapidamente. Il comando della brigata Ellero s'insediò a Baracco con alcuni distaccamenti, e diede subito inizio al ricupero di armi, munizioni e materiali, occultati in dicembre. Nello stesso tempo í comandanti delle brigate Maudagna e Corsaglia si stabilivano al Ponte dei Distretti e a Lanza Serra, formando nuovi distaccamenti alle case Friosa e Pellone, ai Fornelli, a Crevirola e ai Bassi 24. 22 Dalla relazione finale stesa il 7.6.45; Arch. « R », 21/B. 23 Dalla relazione finale stesa il 15.6.45; Arch. « R, 21/B. 24 Queste notizie sono tratte dalle relazioni già citate.

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Mentre le formazioni di montagna tornavano alle loro valli, la Vª divisione ampliava ancora il suo organico con la creazione di una seconda brigata di pianura intitolata ad Antonio Guerriero, e destinata ad operare nella zona di Carmagnola sotto il comando di Egidio Simoni.Da questa serie di notizie, che non riesce certamente a dare un'idea adeguata dei rischi e dei sacrifici che la riorganizzazione comportò, risulta con chiarezza che le due divisioni seguirono strade diverse. La Vª «AlpiMondovì», il cui comandante aveva già sperimentato con successo la «pianurizzazione», scelse questa via: mimetizzandosi, essa evitava gli attacchi in forze e poteva contare su sistemazioni migliori e più facili rifornimenti; doveva però muoversi con molta prudenza per il timore della rappresaglia nemica.La IIIª divisione «Alpi-Fossano» risolse invece con difficoltà i problemi logistici, corse il rischio dell'annientamento, ma ebbe maggiore libertà d'azione.

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LA LIBERAZIONE

Fossano Anche in questa città, assai prossima alla zona della IIIª divisione «Alpi» e ad essa legata da vincoli del tutto particolari, la liberazione avvenne soltanto nella notte sul 30 aprile, dopo il passaggio delle retroguardie tedesche. In precedenza però essa aveva vissuto ore di esaltazione e di tragedia per un tentativo di insurrezione popolare che cercheremo di ricostruire prendendo le mosse dal seguente ordine impartito il 25 aprile dal comando della Vª zona: «controllare ed impedire il movimento da e per Fossano. Intimare la resa. Se va, occupare Fossano» 33. Subito giellisti e garibaldini decidevano di effettuare un'azione di «assaggio», mentre Aldo Vandoni («Alduccio») lasciava Sant'Albano ed entrava nascostamente in città per mobilitare le squadre della sua brigata 34. A quanto risulta, egli intendeva «intimare la resa» ai tedeschi per conoscerne gli umori, e regolarsi di conseguenza: il fatto che non avesse portato con sè neppure la squadra «volante» della Valle Pesio, da tempo ai suoi ordini, indica tuttavia che egli non prevedeva azioni immediate. Più tardi giunse anche Cosa accompagnato da pochi uomini. Il mattino seguente, 30 aprile, tutte le formazioni che il giorno 26 si erano ritirate verso S.Lucia e S.Bartolomeo entrarono a loro volta in città, insieme ad un reparto delle “Autonome” di Mauri.

33 Circolare a firma « Il commissario di guerra Pietro Cosa » e « Il Comandante Militare Ettore Ippolito ». Copia nell'Arch. «R », 32/A. 34 Brigata « Fossano ». Cfr. il capitolo: La Riorganizzazione.

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immagine donata al Comune Chiusa di Pesio da Francesca Gerbotto

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CIRCOLARI CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTÀ Comando V Zona - Cuneo 28 marzo 1945 Circolare n. 6 Oggetto: squadre antisabotaggio e cautele nelle azioni di sabotaggio. Anche con riferimento a circ. 777 del 25 ottobre '44 del C.M.R.P. interessiamo le singole Formazioni dipendenti a organizzare fin d'ora squadre per azioni antisabotaggio pronte ad inter-venire a difesa delle opere facenti parte del patrimonio Nazionale che è di interesse generale, le quali si trovano esposte ad atti di sabotaggio da parte del nemico. In sede di questo Comando Zona sarà discusso l'impiego specifico e saranno impartite le direttive e le indicazioni delle opere di maggior importanza che possono essere sabotate e che è d'uopo proteggere. Anche con riferimento alla circ. 18.3.1945 del C.M.R.P.(Comando Militare Regionale Piemonte) Ufficio sabotaggi e contro sabotaggi si dispone nella maniera più categorica di impedire ad ogni costo e senza la minima esitazione che si proceda a sabotaggi che possono colpire la vita dei civili e il patrimonio Nazionale; piuttosto che incorrere in questi gravissimi inconvenienti che pregiudicano il buon nome dell'Organizzazione Patriottica e tradiscono Io scopo di essa è più opportuno desistere dall'azione preparata. Saranno ritenuti responsabili i Comandanti delle Formazioni degli eventuali danni provocati e che era possibile evitare; i Co-mandanti delle Formazioni a loro volta vogliano essere severissimi ed impartire precise disposizioni affinché non abbiano a verificarsi inconvenienti di tal genere. Il Comandante Militare Un Commissario Politico (Cap. Ettore) (Dino)

CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTÀ Comando V Zona – Cuneo 28 marzo 1945 Ai Comandi delle Formazioni dipendenti Circolare n. 11 Oggetto: depositi viveri e munizioni. Allo scopo di agevolare e assicurare lo sviluppo del piano operativo insurrezionale si incaricano i gruppi locali del Servizio X e il S.I.P (Servizio Informazioni Partigiani)1. di eseguire al più presto e col massimo scrupolo un censimento di tutti i magazzini e depositi contenenti viveri, munizioni e comunque articoli di interesse militare e civile attualmente controllati dal nemico ed esposti a manomissione durante la fase insurrezionale. Tali dati statistici contenenti l'indicazione del luogo del deposito, della qualità e possibilmente delle quantità del contenuto, del reparto o dell'ente depositario e tutte le osservazioni eventuali, devono essere comunicate a questo Comando al più presto. Il Comandante Militare Un Commissario Politico Un Commissario Politico (Cap. Ettore) (Dino) (Pietro)

1 Servizio informazioni partigiani, istituito dalle formazioni GL.

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CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA

CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA COMANDO V ZONA – CUNEO 28 marzo 1945 Circolare n. 12 Oggetto: monito generale in campo operativo. L'avanzata a ritmo accelerato delle Armate Rosse sul Fronte dell'Est, che si preparano ad investire inesorabilmente la capitale della Germania nazista, la pressione delle Forze Anglo-Americane sul Fronte Occidentale, impone alle Formazioni Partigiane di prepararsi per affrontare le prossime battaglie, che si dovranno sostenere, per cacciare definitivamente le forze nazifasciste dal martoriato Piemonte. Tocca a noi Partigiani saper affrontare questo difficile compito, cui ci troviamo di fronte dopo diciassette mesi di continua guerriglia attraverso dure prove, lottando in condizioni difficili e disperate. Tocca a noi saperci mettere in condizione di rivoluzionare il sistema di lotta, trasformandoci in Reparti Regolari ed organici, saper fare azioni coordinate, per poter affrontare le battaglie che ci saranno certamente imposte dalle residue truppe tedesche e dalle forze repubblichine, che attualmente formano l'ossatura dell'esercito fascista operante sul fronte Alpino. Molti di noi, anzi la stragrande maggioranza, non si pone questo delicato compito, cullandosi nell'illusione che battuto l'esercito tedesco, tutto deve crollare automaticamente da sé. Questa tesi oltremodo ingenua, ci farebbe cadere inesorabilmente nel caos, ci porrebbe nelle condizioni di rendere vani automaticamente tutti i sacrifici sin qui sostenuti, pagati a caro prezzo, col sangue dei nostri Caduti che avrebbero dato la loro giovane vita per il semplice desiderio di sparare contro l'odiato nemico. Chiudere la vita Partigiana così disonoratamente, senza nemmeno saper vendicare i nostri Morti, sarebbe il più terribile dei rimorsi. Non basta la volontà di proporsi di sparare su un gruppo di briganti o di littorini per poter togliersi il gusto di uccidere degli insignificanti traditori. Il problema che ci pone questa guerra di Liberazione Nazionale è molto più vasto, più complesso, a questo punto non bisogna dimenticare che anche noi siamo dei veri Soldati, al servizio di una giusta causa, alle dipendenze di un organo di Governo impersonato dal C.L.N. Per presentarsi degnamente alle popolazioni che vi attendono in qualità di Liberatori bisogna inalberare una nuova Bandiera, degna delle tradizioni Partigiane, conquistata con dura aspra lotta, in uno scorcio di tempo che racchiude un ciclo di incessanti battaglie combattute in serie difficoltà, senza un attimo di esitazione, Bandiera bagnata nel sangue dei nostri Migliori.

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Se noi in uno sforzo unitario e concorde, diretto al massimo scopo ci proponiamo di seguire questa linea di condotta, ci guadagneremo l'Onore delle armi, che è certamente il premio più ambito. Se noi invece non sapremo essere all'altezza della situazione assisteremo impotenti alla presa di posizione delle forze fasciste, vedremo gli stessi reparti littorini o monterosini, camuffarsi in bande che agli ordini dei loro ufficiali, spareranno contro i Partigiani, ritenendosi i depositari dell'ordine, usato in tutte le salse dai criminali della sedicente repubblica sociale italiana. Non mancherà l'occasione a questi individui per sfogare il bestiale odio che hanno verso di noi, contro coloro in gene-re, che in diverse circostanze si sono astenuti di sparare per il semplice scrupolo di non uccidere degli Italiani. In considerazione del pericolo che ci incombe è opportuno che tutti i Comandanti dipendenti dalla Va Zona - Cuneo prendano contatti per stabilire i compiti avvenire. Si invitano, pertanto, i Comandanti di Divisioni dipendenti o gli Ufficiali da questi delegati a intervenire alla riunione che si terrà alla sede del Comando Zona, il giorno 7 aprile ore 14. Data l'importanza e i delicati argomenti che verranno trattati si prega vivamente di non mancare. Con l'occasione questo Comando Zona invia a tutti i Patrioti l'augurio più fervido per la prossima ricorrenza Pasquale, augurio che oggi può essere uno solo: VITTORIA. Il Comandante militare (Cap.Ettore)

Un Commissario Politico (Dino)

Un Commissario Politico (Pietro)

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Messaggio del maggiore Neville Darewski («Temple »), capo della missione « Flap » (Special Force n. 1), inviato a Dino Giacosa, e rivolto alla IIIª divisione « Alpi »1. Caro Dino, siete stato così gentile da chiedermi di scrivere qualche parola per il vostro giornale ed io sono ben lieto di essere il primo collaboratore inglese. Vorrei anche cogliere l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno fatto tanto per me da quando giunsi fra voi. Mi è impossibile ricordare i nomi di tutti coloro che stanno facendo tanto nella nostra comune lotta contro il nazismo e il fascismo. Ma penso che questo sia il momento di comunicarvi il testo di un messagio che ho ricevuto dal Quartier Generale. Eccolo: «Il Capo di S.M. degli eserciti alleati si congratula con tutti gli uomini della vostra zona per il magnifico lavoro che stanno facendo contro il nemico e desidera render noto che la loro attività è costantemente apprezzata». Quanto sopra torna a grande onore per il Vostro Comandante Cap. Cosa e per i Capi Settore Cap. Ettore, Cap. Gigi e Ten. Aldo che furono di alto esempio ai loro uomini. Il Piemonte che è sempre stato antifascista può ora essere giustamente fiero della parte che i suoi patrioti prendono nella lotta per la disfatta del nazismo e del fascismo. Per quanto voi siate stati ostacolati da rastrellamenti e per quanto non abbiate sempre avuto la cooperazione che meritate, voi avete perseverato nella vostra causa e ora il successo per tanto tempo cercato è definitivamente in vista. Per ora e fino alla assoluta disfatta del nazismo e del fascismo tutti i motivi di discordia devono scomparire e tutti gli sforzi devono essere coordinati verso questo fine supremo. Sono sicuro che gli alleati possono contare sulla assoluta cooperazione di ognuno in Piemonte e questo assicurerà un rapido e completo successo alla nostra causa. Cordialmente vostro N.T.

26 settembre 1944

1 Testo autografo in Arch. « R », 10/A.

Giovenale Giaccardi Le formazioni “R” nella lotta di liberazione Edizioni L’Arciere Pag.347

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CORPO VOLONTARI DELLA LIBERTA IIIª DIVISIONE «ALPI» BANDO dell'11.1.1945 Per conoscenza: A tutti i Patrioti della IIIª Div. Alpi. A tutti i Patrioti transitanti nella zona della IIIª Div. « Alpi ». A tutti i cittadini della zona. In applicazione locale di ordine superiore ricevuto dal Comitato di Liberazione Nazionale — Comando Militare Nazionale del Piemonte a mezzo circolare n. 1322 op. 6.12.44, ed in ottemperanza a preciso ordine specifico diramato a tutti i suoi dipendenti da questo Comando, si emette il seguente Bando: I° - Qualunque Patriota della IIIª divisione « Alpi » venga meno all'ordine ricevuto di mascherare nella maniera più assoluta la propria veste partigiana fino a nuovo ordine, evitando esibizione di armi e di uniformi partigiane, evitando la circolazione visibile ove è possibile il suo riconoscimento, evitando ogni gesto ed atto che consenta al nemico e ai suoi informatori anche involontari l'individuazione, viene considerato come disertore, e come tale passibile di fucilazione ed escluso da ogni onore e diritto nell'eventualità di danni da parte del nemico. II° - Chiunque, Patriota o non Patriota, compia nella zona di competenza della IIIª Divisione Alpi (corrispondente al triangolo Cuneo-Mondovì-Fossano più la zona montana prospiciente fino al confine ligure) qualsiasi attività militare, di polizia, di rifornimento, di requisizione, e simili, viene considerato contravventore agli ordini superiori e come tale è passibile di fucilazione. III° - Chiunque, Patriota o non Patriota, nella zona di competenza della IIIª Divisione « Alpi », con i suoi atti minacci od offenda la vita ed i beni dei cittadini (circolare del C.L.N. citata) viene considerato contravventore agli ordini dell'Autorità legale e come tale è passibile di fucilazione. IV° - Non sono soggetti a questo Bando gli incaricati di speciali attività di questo Comando i quali devono essere muniti di ordine specifico firmato da uno dei Comandanti sottoscritti. V° - Tutti i Comandanti, gli ufficiali e gli incaricati speciali sono autorizzati ad applicare immediatamente la sanzione sancita in questo Bando, contro chiunque venga sorpreso in flagrante violazione del Bando stesso. IL COMANDO DELLA IIIª DIV. « ALPI » Cap. Gigi

Cap. Ettore

Ten. Aldo

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Via Roma 12 Montanera

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Corso Magenta 25 Genova

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Via Tommaso Invrea 7 Genova

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Un capitolo tratto da MARIO DONADEI “LA RAGAZZA DELLA NOTTE E ALTRE STORIE DI GUERRA” EDIZIONI L’ARCIERE

LА REGINA Е I «TRE RE» Se un giorno mi venisse chiesto di suggerire un tema per un saggio, о studio storico, о tesi di laurea, sugli aspetti marginali del fenomeno «Resistenza», non avrei esitazioni ad indicarlo: «Importanza dell'osteria nella guerra partigiana». Non с’è ombra d'intenzioni scherzose in questa affermazione. Se non propria lo storico, certo il cronista diligente e più ancora il poeta dovrebbero, prima che sia tardi, appuntare la loro attenzione sulle osterie di paese, che la guerra partigiana costrinse а mutarsi, di volta in volta, in sedi di comando militare о di ufficio operazioni, in ospedali da campo о in aule di tribunale e talvolta anche а prestare tavoli zoppicanti e calli di litri vuoti, come sostegno аllе bare ed ai ceri di improvvisate camere mortuarie. Forse è azzardato affermare che proprio in questi ambienti tipici della vecchia civiltà contadina, testimoni delle più elementari fra le gioie umane, la guerra partigiana maturo qualcuno dei suoi caratteri più spiccatamente popolari, di strategia dell'astuzia opposta alla togata superbia dei superuomini della Wehrmacht е su di essa trionfante. Certo è però che la storia è passata anche di qui, sui tavoli segnati dai circoletti rossi dei bicchieri, fra queste pareti decorate con lа cartolina della Веlla Otero,"lа litografia dell'Ernani e quella della «Scala della vita», dal vetro picchiettato di caccole di mosca. E tanti dei nostri ricordi di quel tempo sono legati indissolubilmente alla visione di un'insegna ingenua, con la N alla rovescia, di una pergola di viti, di un andito fresco е аll’afrore domestico del vino е аl volto di una ragazza che con uno sguardo degli occhi sorridenti sapeva richiamarti dalla ubriacatura della guerra а più giuste dimensioni umane, perché la guerra che tutto stravolge non ha poteri, fortunatamente, sulle ragazze giovani e sulle loro immutabili promesse di doni. Il «Cavallino bianco» di Vigna, donde partiva per lе sue missioni la «Volante» di Val Pesio; il «Garibaldi» di San Bartolomeo е «L'Angelo» di Chiusa Pesio; l'osteria senza nome di Rastello, sede del Comando Divisione «pare» ascoltava con gli оссhi socchiusi, succhiando la cannuccia della pipa, le discussioni sui рiani operativi, ed il consenso o la disapprovazione gli si leggevano in differenti disegni nelle rughe del vecchio volto, mentre Anna, inconsapevole della sua esuberante bellezza, suscitava improvvisi silenzi al suo passare in mezzo ai tavoli di abete... Mario Donadei “La ragazza della notte e altre storie di guerra partigiana” Edizioni L’Arciere

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L'osteria di San Grato con le tre sorelle materne e ciarliere е il «Cannon d'oro» di Roccaforte, dove Silvia ascoltava attonita, credendoli per lei improvvisati, i versi che iniziano col suo nome: «Silvia rimembri ancor quel tempo... ». L'«Osteria dei Cacciatori » di Consovero, affacciata su di un pigro canale solcato da flottiglie di anatroccoli multicolori, con la figlia del padrone innamorata di Viglione 1, al quale scriveva sgrammaticate lettere d' amore, sicché bastava presentarsi coi saluti di lui per avere gratis due uova fritte e qualche fetta di salame. Е l'«Osteria del Sole» di Antica Trattoria (ex Osteria) Miroglio, della quale lessi l'insegna tante volte scavalcando del Sole Miroglio la montagna da Val Еlleго а Frabosa е sempre quel nome bellissimo mi suscitava immagini che vorrei definire di panica felicita. Ogni volta, passando, iо mi ripetevo: in questo posto io verrò un giorno e sarà расе е sarà festa; е non ci sono entrato mai, аll'«Osteria del Sole» е naturalmente non ci sono mai tornato e forse non esiste nemmeno più, ma ancora oggi quel nome evoca gli stessi pensieri е la visione di un prato verdissimo, con annosi tronchi di castagno e di una pergola coi tralci fioriti. Poi ci sono i «Tre Re» di Peveragno, ma questi, almeno per quanto mi riguarda, meritano un discorso а parte. Lа notte che vi giunsi la prima volta era una di quelle che nei racconti dell'altro secolo venivano definite «di tregenda», con le nubi galoppanti per il cielo basso, la luna che sogghigna negli squarci e il vento che trae dai rami spogli degli alberi accordi singhiozzanti, come lamenti di anime dannate. Era il 19 gennaio 1945, lo ricordo con precisione perche e il mio giorno onomastico e per la prima volta mi toccava di festeggiarlo arrancando tutto solo per sentieri di montagna che l‘oscurità е l'inverno rendevano paurosi. Sulla colletta di Pradeboni trovai addirittura lа tormenta e se avessi saputo dove riparare credo che non sarei andato più lontano. Ma le case della frazione, mezzo sepolte dalla neve, erano tutte sbarrate ed ostili, е dovetti proseguire. Approdai а Pevergnano verso due di notte. «Non ti puoi sbagliare» mi aveva rassicurato, salutandomi ai Maur quella sera, il comandante della Val Pesio: «subito fra le prime case trovi una piazzetta con una fontanella di pietra. Il portone accanto alla fontana e quello dei "Tre Re" ». Difatti, m'imbattei subito nella piazzetta con la fontana, gelata. Bussai al portone e dopo molto insistere una donna anziana venne ad aprire, mezzo discinta, con occhi gonfi di sonno е un lume in mano. 1 Aldo Viglione nacque a Morozzo, in Provincia di Cuneo, nel 1923. Giovanissimo partecipò alla Resistenza in Valle Pesio e divenne partigiano.

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«Sono il Fante di Fiori» annunciai con solennità е рег un istante la donna mi guardò come si guarda un matto. Non fuggì tuttavia, alzò lа fiammella del lume а petrolio, mi esaminò attentamente da сарo а piedi e disse «Per trovare i "Тге Re" deve attraversare il paese: с'е l’insegna sul muro, un ро' oltre la piazza del Municipio». «iо non cerco affatto i "Tre Rе" » tentai di mentire «sono un geometra del catasto», ma la donna aveva già rinchiuso il portone е non mi restò che avviarmi, rimuginando che come «Servizio segreto» l'inizio si presentava davvero promettente. Аi «Тге Re» mi attendevano: fui introdotto da una ragazza dalle trecce folte e trovai Regina, la padrona, piantata in mezzo alla stanza del bigliardo, con le maniche rimboccate, accanto ad un mastello pieno d'acqua fumante. Dovetti spogliarmi nudo, con mia grande vergogna e nell’acqua di quel mastello, strigliato vigorosamente dalle mani impietose di Regina lasciai quella sera per sempre i miei affezionati pidocchi e la mia orgogliosa vernice di partigiano della montagna. Lа mattina dopo feci conoscenza con le аltге componenti del matriarcato che reggeva saldamente i «Tre Re». Lа nonna: alta, solenne e sempre alla ricerca di una mai raggiunta severità; Mimi, indimenticabile, che rideva spavaldamente gettando il сарo аll’indietro e con quel suo gesto pareva scacciare ogni paura, dissolvere ogni perplessità; Renata splendente dei suoi diciassette anni, con gli occhi nerissimi e una piccola voglia di gatto sul naso; Annamaria, la piccola, che ogni sera, seduta аl pianoforte scordato, mi riconduceva con la cantilena ossessionante dei «petits montagnards» alle perdute stagioni dell’infanzia. Cinque donne e ogni tanto l'apparizione dell'uomo di fatica: Pierre, detto «Sbornia fissa» per il suo attaccamento incrollabile alle bevande spiritose, col volto rosso dai lineamenti marcati come un mascherone di fontana. Ai «Тге Re» funzionò per circa un mese lа centrale del «Servizio X». Lа sera, la nonna saliva presto nella sua stanza al piano superiore e di lassù vegliava sulla sicurezza della casa, attenta ai rumori della notte, picchiando col suo lungo bastone sul pavimento, ogni volta che si annunciava sulla strada un rombo di motore. Di sotto, allora, spegnevamo le luci, e restavamo di guardia alla finestra pronti а filare per la porta del giardino che conduceva, per un breve vicolo, alla circonvallazione del paese. Due volte sole fummo quasi presi in trappola, ma sarebbe fuori tema raccontare qui come accadde e come ne scampammo. Dirò soltanto che l'ultima volta fu il federale Ronza in persona а fare irruzione ai «Tre Re» alla testa della sua Brigata nera, е non trovò se non una tranquilla osteria di paese, governata da cinque donne energiche, una delle quali, con un lungo bastone in mano, lo invitò а smetterla, per il futuro, di andare in giro armato e col cappello in testa nelle camere da letto delle signore. I «Тге Re» di Peveragno esistono ancora oggi. Non più l’osteria del tempo di guerra, coi bicchieri piccoli e i muri spessi, con le litografie alle pareti e i rettangolini di carta vetrata incollati sul muro accanto ad ogni tavolo, per sfregarvi la capocchia del fiammifero di legno: е un albergo elegante, dove, anziché in tinozze fumanti, ci si lava I tre Re Pevergnano dentro lustre vasche da bagno. Mario Donadei “La ragazza della notte e altre storie di guerra partigiana” Edizioni L’Arciere

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La nonna purtroppo se ne e andata per sempre, Regina e diventata sindachessa, Mimi, Renata e Annamaria si sono maritate e son rimaste fedeli аllе tradizioni della casata, che vogliono figlie femmine. Altra gente conduce il nuovo lосаlе, ma l'ospitalità dev'essere quella di sempre. Forse, а pensarci bene, il tema del saggio, о studio, о tesi, di cui dicevo all’inizio, potrebbe essere meglio precisato così: «Importanza dei "Tre Re" nella guerra partigiana di Val Pesio», con l'indubbio vantaggio per lo studioso ricercatore di poterlo scrivere in loco. Ма se il vino è ancora degno di quello che la nonna teneva in serbo trent'anni fa per gli ospiti favoriti, non so davvero che cosa potrebbe scaturirne fuori.

Mario Donadei “La ragazza della notte e altre storie di guerra partigiana” Edizioni L’Arciere

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A proposito di osterie: il 16/06/2015 incontro ed intervisto la signora Tarcina Ponzo. La signora Tarcina nel 1944/45 era a Miroglio e ricorda i partigiani che frequentavano l’osteria dei propri genitori. Il padre e la madre offrivano da bere ai tedeschi per dare modo ai partigiani nel retro dell’osteria di scappare. L’intervista registrata è disponibile su Youtube all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=CNITfjIKDrc Nell’intervista si nomina il “Pilon”, a 5 km. da Miroglio sulla strada per Prato Nevoso, come luogo in cui vivevano i partigiani. Qui accanto una foto attuale e di seguito quella della signora Tarcina Buon ascolto

Pilon giugno 2015

La Signora Tarcina Ponzo

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