42 minute read

Apicoltura logica e razionale Michele Campero

Next Article
AGENDA LAVORI. SUD

AGENDA LAVORI. SUD

La FAI-Federazione Apicoltori Italiani, già all’inizio del 1990, diede per la prima volta alle stampe una delle sue più indovinate pubblicazioni. Il titolo “Apicoltura Logica e Razionale”, voleva essere un itinerario guidato alla conduzione biotecnica dell’alveare. Il volume, stampato su carta riciclata (cosa non banale per quei tempi), rappresentava l’affermazione di un Autore, nella persona di Michele Campero, che si era già cimentato con agili manuali pratici, improntati alla logica semplificazione delle basilari tecniche di tecnica apistica. Ma anche al lancio di un nuovo modo di pensare la conduzione degli alveari, facendo ricorso a biotecniche che avevano lo scopo di migliorare il benessere delle api e ridurre l’azione devastante dell’acaro Varroa.

Advertisement

La prefazione alla prima edizione di questo volumetto, recava la firma dell’allora presidente della FAI-Federazione Apicoltori Italiani, dr. Silvestro Cannamela, il quale esordiva così: “Siamo fuori dall’emergenza varroasi? Può bastare la disponibilità di qualche specialità anti-varroa, di specifica natura chimica, perché gli apicoltori italiani dormano sonni tranquilli e duraturi? No, purtroppo gli esperti ci dicono di no! E ci ricordano che l’acaro, nemico dei nostri alveari, altro non è che una macchina straordinariamente capace di resistere ad ogni aggressione che nei suoi confronti l’uomo intenda effettuare. Da qui, da questa incontrollabile per ora peculiarità della Varroa destructor Anderson & Trueman, nasce la debolezza e il limite di ogni trattamento disinfestante che l’apicoltore voglia attuare all’interno dei suoi alveari. Un errato dosaggio, una somministrazione nel momento sbagliato, altre variabili ancora poco note sul meccanismo d’azione dei diversi prodotti, e il gioco è fatto: la varroa, invece di cadere colpita a morte rimane stordita sul fondo dell’alveare e torna, appena può, a danneggiare l’ape. E questa varroa, nel riprodursi, darà vita a ceppi resistenti e ben assuefatti a qualunque principio attivo. C’è poi un altro rischio che nella frenetica ricerca di nuovi sistemi di lotta alla varroa gli apicoltori stanno correndo: tradire la fiducia del consumatore facendo un uso improprio dei prodotti anti-varroa. Sappiamo tutti che nel caso delle api questo rischio è ridotto al minimo: la stagionalità degli interventi e i dosaggi infinitesimali sono elementi a nostro indiscutibile vantaggio. Sono elementi, però, che non possono giustificare l’inosservanza di norme basilari di buon comportamento nei confronti delle api, dei suoi prodotti e quindi, in ultima analisi, del consumatore. Il futuro dell’apicoltura italiana, ne siamo convinti e vorremmo ne fossero altrettanto convinti tutti gli amanti dell’ape, passa soprattutto attraverso, la qualità superiore delle nostre produzioni. La lotta biomeccanica, che l’appassionato apicoltore Michele Campero ha escogitato e qui propone con abbondanza di consigli ai suoi colleghi, e con essa tutti quegli interventi tecnici o biologici che possono essere effettuati nel corso della stagione apistica, sono il nostro “salvagente”. Ad esso dobbiamo aggrapparci senza indugio ogni volta che lavoriamo con i nostri alveari. Guai a coloro che si difendono lamentando la complessità di questi interventi: la moderna apicoltura che vediamo nel prossimo futuro è quella praticata da appassionati cultori dell’ape sì, con uno o mille alveari non importa, ma tutti accomunati da uno spirito di gruppo e da una ambizione di professionalità che non lasciano libero neanche uno spazio, sia pur minimo, per chi vuol fare a modo suo, in fretta, con facilità e a costo zero, quello che è invece dettato da una antica e rigorosa disciplina che oggi va trasformandosi in moderna professione.” Una sola cosa merita forse di essere aggiunta a questa “Premessa”: le parole che avete fin qui letto, sono state scritte esattamente venti anni fa. È vero e per dimostrarlo avete a disposizione un piccolo indizio: l’acaro varroa, che allora era stato battezzato con il nome di Varroa jacobsoni Oudemans, solo in anni più recenti è stato riclassificato come Varroa destructor Anderson & Trueman. Differenze sistematiche a parte, ciò che risulta sorprendente è che si tratto dello stesso testo che introduceva la precedente edizione di questo volume. Furono “vergate”, all’epoca, dal mio predecessore Silvestro Cannamela (1924-2006). Nel rileggere queste parole, traslate oggi in una realtà dove tutto appare rivoluzionato anche in apicoltura, emerge la consapevolezza che la visione dell’epoca è ancora perfettamente attuale. Perché immutabili sono i ritmi biologici e le regole che governano la vita e la riproduzione degli esseri viventi. È per questa ragione che ci siamo limitati a riproporle, senza alcuna modifica. In tutti questi anni, infatti, è apparsa chiara una cosa: la scorciatoia della lotta chimica alla varroa ha interessato una parte prevalente della famiglia apistica italiana e internazionale. Questo nonostante Campero, come diversi altri Apicoltori insieme a lui, abbia-

no dimostrato che controllare la varroa, senza l’aiuto di prodotti di sintesi, è possibile: a vantaggio della biologia delle api, della qualità dei prodotti dell’alveare, della salute dell’Apicoltore e del suo interesse economico. Un’opportunità che non tutti hanno saputo o voluto cogliere, portando oggi gli allevamenti apistici ad uno stato di evidente degrado: la varroasi è ancora una preoccupazione diffusa, la lotta biotecnica non è applicata e tanto meno propagandata/illustrata come meriterebbe, i livelli di infestazione e reinfestazione non sono mai stati così elevati come in questo periodo. È parso doveroso dunque, reiterare un appello pensato allora per far maturare presso il più gran numero possibile di Apicoltori un elevato senso di responsabilità, un’etica della nobile arte di allevare le api e, in ultima analisi, una buona pratica apistica come oggi si dice nel moderno lessico tecnico-legislativo. Appello che oggi, con il senno di poi, risulta dunque ancora attuale, opportuno e addirittura indispensabile. Il ricorso alla pratica della conduzione biotecnica, infatti, che potrà anche apparire oneroso e improponibile a chi non vuole fare neppur un minimo sforzo per modificare vecchie abitudini ancorché nocive ed improduttive, rappresenta l’unica strada possibile per curare le api garantendo la qualità assoluta del miele, della cera e degli altri prodotti dell’alveare. Questo manuale pratico, arricchito oggi dall’ininterrotta e positiva esperienza dell’Autore e dei suoi estimatori, vuol essere lo strumento di valorizzazione di quella parte dell’Apicoltura italiana che sceglie quotidianamente di privilegiare la salute delle api e la qualità dei prodotti apistici, nel pieno rispetto degli equilibri del superorganismo alveare.

Non pensiamo ci sia altro da aggiungere se non, dopo ormai 30 anni di tempo dalla prima edizio-

ne, che Campero è stato un visionario e noi con lui per averlo pubblicato e diffuso ad un ampio pubblico, italiano e internazionale, dando vita a una numerosa corrente di pensiero e di azione che considera l’ape una creatura meritevole di essere rispettata anche quando la difendiamo dai suoi peggiori parassiti.

Raffaele Cirone

OSSERVARE, CAPIRE, AGIRE

Per “apicoltura logica” si intende l’intervenire in stretto rapporto con la necessità dell’alveare seguendo la logica delle api. Per “logica delle api” si intende quel loro sistema di vita spontaneo ed appropriato all’ambiente in cui l’alveare si trova. Esso va sempre visto e considerato in rapporto al suo ambiente, mai come una cosa indipendente. Solo in questo modo si riesce a capire qual è la logica delle api. Poiché questi insetti non possono comprendere l’uomo si deve cercar di capire le api, così da poterle assecondare nel loro sistema di vita per ottenere il massimo di soddisfazione. Non si deve considerare soddisfacente solo il quantitativo di miele prodotto bensì tutti i risultati di un buon allevamento quali: salute, selezione, funzionalità del materiale, controllo, guida e prevenzione della sciamatura, favi perfetti e completamente a celle femminili, ecc. Affinché l’apicoltura sia logica, è indispensabile che l’apicoltore osservi la globalità dell’ambiente, ossia: la temperatura, il clima ed i venti, le fioriture, le fonti di polline, di nettare, di melata e di propoli, l’acqua ed il comportamento spontaneo all’interno e all’esterno dell’alveare. “Il successo in apicoltura dipende dall’attenta osservazione dell’evoluzione naturale dell’alveare” (Zander). Con l’attenta osservazione si può constatare che le api hanno un ambito di tolleranza nelle loro azioni: ed è proprio in questo ambito che gli apicoltori possono operare per sfruttarle in modo intelligente e “logico”. Con l’osservazione si deduce anche che occorre agire tempestivamente pur sempre e solamente rispettando la logica delle api. Troppo spesso l’apicoltore opera trascurando certi principi naturali sui quali è basata la vita delle api, disturbando e sconvolgendo l’organizzazione di questa meravigliosa società. Credendo di poter convincere questi insetti a fare ciò che si vuole, ci si sobbarca un’enormità di lavoro e spese inutili, per avere in cambio poche e misere soddisfazioni. Nel rapporto ape/apicoltore chi ha da imparare l’uno dall’altro è l’apicoltore, poiché le api non saranno mai disposte a collaborare con lui: spetta a questi imparare a collaborare con le api. E per poter collaborare occorre osservare, capire ed agire. La descrizione dell’evoluzione dell’alveare che seguirà, ci dà la possibilità di individuare i punti essenziali ed indicativi su cui si basa un’apicoltura razionale ed intensiva. È da tener presente che tutte le osservazioni del comportamento sono state effettuate su colonie operanti in ambiente prealpino e clima continentale. Per capire quali sono i punti basilari su cui fa perno l’evoluzione naturale di una colonia d’api occorre osservare il comportamento di uno sciame in una cavità sufficientemente ampia. L’ampiezza di questa cavità deve essere tale da contenere interamente lo sviluppo della colonia durante il primo e il secondo anno. Inoltre le pareti della cavità non devono condizionare in nessun modo la costruzione dei favi per cui le costruzioni in cera saranno ancorate solamente al soffitto. Occorre ricordare che uno sciame naturale (primario) è composto da api di età diversa; una regina feconda, api bottinatrici, api giovani che da poco hanno fatto i primi voli d’orientamento, api giovanissime che non sono mai uscite dall’alveare (api di casa). Inoltre bisogna tenere presente che la regina negli ultimi giorni trascorsi nell’alveare-ceppo è stata sempre meno nutrita dalle operaie giovani per far sì che i suoi ovari cessassero di dare uova ed il suo corpo si snellisse e si alleggerisse quel tanto da permetterle di prendere il volo con lo sciame; in tal modo, quando lo sciame si stabilisce nella cavità, la regina non è in grado di deporre subito.

Foto 1 - Aspetto schematico del nido costruito da uno sciame in una cavità sufficientemente ampia.

Occorre che le api la stimolino con la gelatina reale per farle riprendere, dopo due giorni circa, la deposizione.

COMPORTAMENTO DELLA COLONIA NEL PRIMO ANNO DI SVILUPPO

Lo sciame, dopo aver preso possesso della cavità (abitacolo), dà il via alla costruzione dei favi partendo generalmente dal centro della volta dell’abitacolo stesso. In rapporto alla grandezza del o dei fori di accesso alla cavità, alla sua posizione e ai venti dominanti, le api scelgono la giusta direzione nella quale verranno costruiti i favi. In questo modo, la colonia riesce ad ottenere una buona ossigenazione in tutti gli spazi di interfavo evitando correnti d’aria sgradevoli e nocive. Quando il primo favo ha raggiunto la lunghezza di pochi centimetri, le ceraiole, api giovani produttrici di cera, iniziano a costruire, su entrambi i lati della prima costruzione, altri due favi paralleli a distanza interassiale di 37 mm circa (Fig. 1). Se lo sciame è consistente e l’ambiente esterno è favorevole, le ceraiole continueranno la costruzione di più favi paralleli ad uguale distanza tra di loro; tra tutti, il favo centrale è sempre più lungo mentre, allontanandosi dal centro, gli altri presentano lunghezza minore, dando così all’insieme la forma di cuore, forma che si riscontra anche nel favo visto frontalmente. Poiché nei primi due giorni di costruzione la regina non depone, le api ne approfittano per preparare un ambiente accogliente per ospitarne la futura prole. Nella parte superiore di ogni favo, il “melarietto”, viene immagazzinato miele; nel lato più caldo della cavità, l’altezza della cornice di miele è di gran lunga inferiore rispetto a quella del lato più freddo (nord). Al di sotto questa cornice viene immagazzinato il polline ben concentrato in una fascia che segue l’arco descritto dal melarietto; esso occupa solo la metà o poco più della lunghezza delle celle ed è uniformemente ben compresso (Fig. 2). Trascorsi due giorni circa dall’insediamento, la regina inizia a deporre nelle celle appena sotto la cornice di polline, all’incirca nel mezzo del favo centrale che è il più grande e il più caldo. La rosa di covata è compatta, di forma circolare od ovale e va di giorno in giorno estendendosi e mantenendo la concentricità iniziale. La covata viene estesa anche sui favi laterali ma con rose sempre meno grandi: più i favi sono lontani dal centro del nido, sempre meno covata, di forma sferica o quasi, contengono, permettendo così alle api di scaldarla con il minor dispendio di energie.

La regina aumenta costantemente il ritmo di deposizione e, parimenti, le ceraiole ampliano la costruzione in modo sempre molto proporzionato mantenendo la forma a cuore di ogni favo e del loro insieme e provvedendo al loro fissaggio al soffitto in modo adeguato alla grandezza e al peso degli stessi. Ingrandendo i favi e conservando la covata circolare, la colonia ha la possibilità di aumentare l’area del melarietto e quella del polline su ogni favo con covata. In condizioni ambientali ottimali la regina espande la deposizione ininterrottamente per 21 giorni; dopo tale periodo la covata deposta il primo giorno, che si trova in alto appena sotto il polline, inizia a sfarfallare. A questo punto le api riempiono di miele le celle appena liberatesi, allungando verso il basso il melarietto e impediscono alla regina di deporvi nuovamente, costringendola ad ampliare la covata nella parte inferiore dei favi e dando così inizio ad una progressiva discesa della stessa. Il polline che si trova appena sotto le celle liberate dallo farfallamento viene coperto da uno strato di miele ed infine opercolato. Queste operazioni di discesa della covata e del miele permettono alle api di lasciare dietro di sé una provvista di polline ben conservato che servirà per lo sviluppo della prima covata dell’anno successivo. Da notare che le provviste di polline si trovano solo sui favi costruiti per ospitare la covata ed esclusivamente nelle celle piccole, da operaie. Il settore superiore o melarietto è costruito a favi spessi: lo spazio tra i favi di miele è grosso modo uguale allo spessore del corpo di un’ape, mentre tra i favi contenenti covata le api lasciano uno spazio circa il doppio, per far sì che il melarietto possa contenere più miele possibile e tra la covata possano lavorare due strati di operaie, uno per ogni facciata dei favi. Quando l’ambiente offre buoni raccolti e il numero delle bottinatrici è sufficiente, il melarietto non basta più per contenere tutto il bottino: allora la colonia si organizza e costruisce altri favi laterali. Essi hanno una distanza interassiale maggiore di quella che si nota tra i favi di covata, sono di spessore superiore a quelli del melarietto e sono costruiti a celle grandi come quelle da fuchi, contrariamente a tutte le celle di covata costruite nel primo anno che sono da operaie. Si può dedurre che le api, nel costruire i

Foto 2 - Disposizione delle scorte di miele e di polline e della prima rosa di covata da operaie sul favo appena costruito dallo sciame.

Foto 3 - Disposizione delle scorte di miele e di polline, della covata da operaie e della covata da fuchi durante il secondo anno.

favi laterali, cerchino di usare il minimo di cera ed ottenere il massimo di capacità dai favi e, per ottenere ciò, costruiscono a celle grandi. Difficilmente queste celle grandi (da miele) verranno in seguito usate per allevare fuchi essendo fuori dalla sfera di covata, quindi difficilmente controllabili tecnicamente. In un ambiente povero di risorse nettarifere le api si limitano all’uso del melarietto per l’immagazzinamento del miele senza costruire i melari laterali. Ritornando ad osservare lo sviluppo della covata si noterà che questa va calando verso il basso, lentamente ma costantemente; con l’arrivo delle prime notti fresche, agosto/settembre secondo le zone, la discesa si arresta. A questo punto le api girano una pagina del loro calendario: la covata comincia a ridursi e lentamente risale verso il soffitto della cavità; così che l’ultima rosa di covata viene a trovarsi a ridosso del melarietto ed è in questa zona che si formerà più tardi il centro del glomere. Nella risalita, man mano che la covata diminuisce, la colonia colloca il miele fresco sempre più vicino al centro del nido, in modo da poterne disporre comodamente durante la stagione invernale. Con le prime notti fresche la colonia inizia anche a sistemare gli accessi alla cavità; costruisce con propoli e cera pareti e colonne atte a regolare l’ossigenazione all’interno e a deviare le correnti fredde nel modo più adeguato alle necessità della colonia durante il periodo invernale; in questa fase della sua vita, la famiglia è abbastanza numerosa ed è composta di api di tutte le età, ma è sprovvista di covata. Nelle belle giornate invernali ma con temperatura mite, che permette alle api di sciogliere il glomere e fare qualche volo di purificazione, verranno portati all’esterno i corpi delle api morte di vecchiaia durante il periodo di freddo così che alla fine dell’inverno la colonia originale risulterà notevolmente ridotta. Ricapitolando brevemente quanto sopra, i punti che caratterizzano lo sviluppo della colonia durante il primo anno sono i seguenti: • inizio del primo favo al centro della cavità; • orientamento dei favi in rapporto agli accessi e ai venti dominanti; • posizione del miele e del polline, come in Fig. 2; • inizio della deposizione da parte della regina due giorni circa dopo l’insediamento dello

sciame nella cavità; • discesa della covata dopo 21 giorni; • copertura del polline per l’inverno con il miele; • costruzione, per la covata, di sole celle da operaie; • costruzione di favi spessi per immagazzinare il miele; • risalita della covata nella tarda estate; • preparazione degli ingressi per affrontare i rigori dell’inverno.

COMPORTAMENTO DELLA COLONIA NEL SECONDO ANNO DI SVILUPPO

In febbraio la regina inizia nuovamente la deposizione adeguando il quantitativo di uova alla grandezza della colonia, alle scorte di miele e polline e alla temperatura. La prima rosa di covata è creata il più in alto possibile, appena sotto le provviste superiori del favo centrale; in questa zona la colonia riesce con maggior facilità a produrre il calore necessario per la covata. Per 21 giorni non ci sono nascite di api nuove ma solo covata in espansione, dopo di che sfarfalla quella deposta nel primo giorno. Se le api in sfarfallamento sono in numero inferiore alla quantità delle api che muoiono, la colonia invece di crescere diminuisce. Se le dinamiche si eguagliano, l’entità della colonia rimane quella che è, fintanto che la temperatura esterna non viene in aiuto e solo così la colonia può far nascere più api di quante ne muoiano. Se invece già dall’inizio della deposizione la famiglia è numerosa, riesce a produrre più calore e solamente in quest’ultima condizione la colonia riesce ad avere uno sviluppo precoce e costante, però sempre in rapporto all’ambiente. Al termine dello sviluppo di fine inverno e di inizio primavera, i favi costruiti per la covata dell’anno precedente (primo anno) sono nuovamente tutti presidiati dalle operaie. Questo periodo coincide normalmente con l’insorgere della tendenza, in ogni famiglia stabile, ad allevare fuchi. Nel caso la colonia si trovasse in un abitacolo piccolo senza più spazio per costruire celle da fuchi, può pazientare per un paio di settimane, ma poi si organizza e in qualche modo riesce ad ottenere qualche fuco proprio. Però non potendo dar sfogo a questo loro istinto, le api si preparano precocemente alla sciamatura. La cavità presa in considerazione nelle nostre osservazioni è però così grande da poter contenere il pieno sviluppo del primo e anche del secondo anno, per cui le api possono osservare il comportamento logico della colonia anche in questo momento delicato. Per ottenere dei fuchi e nello stesso tempo mantenere la forma sferica della covata, le api devono costruire celle grandi nel settore della covata. I favi laterali per il miele, come già detto, non si prestano per questo allevamento perché sono fuori della zona di covata. Allora le api ampliano i favi, fanno scendere l’arco del miele e quello del polline, quindi, nella parte posteriore (la più fredda) creano il “settore fuchi” (Fig. 3). La scelta del collocamento di queste celle maschili potrebbe essere così spiegata: l’allevamento dei fuchi dura poche settimane, dopo di che il “settore fuchi” non serve più per stipare del polline né tanto meno per allevare delle operaie, ma solamente per immagazzinare del miele. Riempiendo questo settore di miele, le api prolungano l’arco posteriore del melarietto; una programmazione più saggia non potrebbe esistere. Inoltre, in caso di tempo inclemente prolungato, la colonia rinuncia ad un’eventuale preparazione alla sciamatura, per cui i fuchi non la interessano più; essa deve riunirsi per scaldare la covata e se non riesce a coprirla tutta, una parte deve essere trascurata: in particolare, sarà quella maschile che si trova nella parte più difficile da scaldare; inoltre non essendo al momento più necessaria, sarà naturalmente abbandonata. In seguito, il settore fuchi può essere guarnito nuovamente di covata o riempito di miele a seconda dell’ambiente e della stagione. Nel secondo anno, la discesa progressiva della covata, le provviste di polline sotto il miele, la risalita della covata e la preparazione degli accessi alla cavità avvengono come nel primo anno. Nel periodo caldo vengono allargati i fori di in-

gresso secondo necessità. Nello sviluppo del secondo anno, le api possono ampliare i favi che costituiscono i melari laterali continuando a costruirli a celle grandi. È da notare che i favi non vengono mai costruiti così lunghi da toccare il fondo della cavità: le api vi lasciano sempre un’anticamera per ospitare le bottinatrici che nelle giornate di pioggia non possono andare al lavoro. Ciò che caratterizza il secondo anno di sviluppo rispetto al precedente è il comportamento delle operaie nei confronti della regina e la presenza di covata maschile. Quando una colonia alleva fuchi significa che intravede un’eventuale necessità di sostituire la regina con o senza sciamatura, tuttavia la sostituzione della regina non è causa né effetto, talora, dell’allevamento dei fuchi, attività che può durare anche per tre generazioni indipendentemente dalle condizioni di cui sopra. La sostituzione della regina senza sciamatura, detta rimpiazzo, si verifica di norma nel corso dell’estate; è però possibile osservarla anche nel periodo della sciamatura. La colonia, volendo sostituire la regina senza sciamare, costruisce una o due celle reali (e in quest’ultimo caso demolisce la seconda cella reale dopo poco tempo) sulla facciata di un favo centrale nella zona della covata femminile. Questa cella viene quasi sempre costruita solo con cera nuova e chiara. Dopo l’allevamento, la maturità e la fecondazione, inizia il periodo di deposizione della nuova regina, anche se in tutto questo periodo la regina madre continua la sua attività ovodepositrice. Con il progredire dell’ovodeposizione da parte della giovane sostituta, la vecchia madre riceve sempre meno nutrimento e di conseguenza limita progressivamente, fino alla cessazione, la deposizione; a questo punto trascurata dalle operaie della propria corte, termina il suo ciclo vitale. Questo periodo di convivenza tra madre e figlia può essere abbastanza lungo, da pochi giorni ad un anno. Pur essendo ancora inspiegati i motivi naturali di tale convivenza, si può affermare che il rimpiazzo garantisce la continuità della deposizione evitando che il processo di naturale sostituzione alteri l’entità della colonia; inoltre si può affermare che esso fughi il pericolo di orfanità nella famiglia che continua così a costruire e lavorare normalmente. Quando la colonia decide di sostituire la regina con la sciamatura, essa costruisce abbozzi di celle reali: i cupolini; essi vengono di norma eretti sui bordi dei favi contenenti la covata femminile in quantità molto variabile, da un minimo di tre fino a venti o più. Appena viene deposto l’uovo nel primo cupolino, la colonia entra in febbre sciamatoria: cessa ogni produzione di cera ed ogni costruzione salvo l’allungamento dei cupolini, diminuisce anche il ritmo della raccolta allo stretto necessario per la nutrizione della covata aperta così che nulla viene più aggiunto alle scorte. L’inizio della febbre sciamatoria coincide con la progressiva diminuzione del nutrimento fornito alla regina onde ottenere l’alleggerimento indispensabile al volo durante la sciamatura. Diminuendo la deposizione ne consegue la riduzione della covata con sempre minor richiesta di nutrimento. Se il brutto tempo non ostacola il normale andamento di questa fase delicata, la febbre sciamatoria dura 9 giorni: dalla deposizione dell’uovo nel primo cupolino fino all’opercolatura della cella reale, dopo di che la famiglia si divide e lo sciame primario esce con la vecchia regina. Della metà circa degli individui adulti che rimangono nella cavità, pochissime sono le bottinatrici, avendo la maggior parte di esse seguito lo sciame. Prima della sciamatura le api si riempiono l’ingluvie di miele, che servirà loro da scorta per affrontare la grande avventura. Nella famiglia-ceppo rimangono parte delle api giovani, alcune bottinatrici, covata in parte opercolata e celle reali in tutti i diversi stadi di sviluppo. A sette giorni circa dall’avvenuta sciamatura si schiude la cella reale più vecchia; la regina neonata inizia la perlustrazione dei vari favi dell’alveare; ad un tratto essa si arresta appiattendosi sul favo ed emette dei suoni

acuti ritmici: “tuiiiiii-tuii-tuii”. Durante questo “canto” la piccola corte di api che circonda la regina si arresta anch’essa e si può udire la risposta delle giovani sorelle ancora rinchiuse nelle celle reali: “qua-qua-qua”; questi due canti aumentano gradatamente di frequenza e la giovane regina riesce con essi a localizzare le celle reali e ad ucciderne le occupanti onde rimanere, da sola, a capo della colonia. Qualora le operaie non rinuncino ad effettuare una seconda sciamatura, impediscono queste uccisioni addossandosi l’una all’altra a difesa delle celle reali; la regina, però non desiste e continua ad emettere il suo “canto” stimolando nuovamente l’istinto di sciamare nella colonia. La regina vergine esce, con la metà circa delle api adulte rimaste, formando un nuovo piccolo sciame; tale fenomeno può ancora ripetersi secondo le stesse modalità precedenti fino a quando non verrà permesso a una regina neonata di trafiggere le consorelle: solo così si arresta la febbre sciamatoria. Non sempre la colonia tende a dare più di uno sciame e quindi permette alla prima regina di liberarsi delle rivali. Le celle reali trafitte vengono, in un secondo tempo, forate da un lato e liberate dal cadavere, quindi demolite dalle operaie. La regina vergine nei primi giorni di vita esegue voli di orientamento ed in seguito il volo nuziale, che può essere ripetuto più volte, dopo di che, fecondata, inizierà la deposizione che darà origine, fino alla primavera successiva, a sola covata femminile; se la deposizione richiederà più spazio di quello esistente, le operaie provvederanno alla costruzione di nuovi favi, ma sempre a celle piccole, da operaie, come avviene nel primo anno di sviluppo. Ricapitolando brevemente, i punti che caratterizzano lo sviluppo della colonia durante il secondo anno sono i seguenti:

• impellente necessità di allevare fuchi; • settori ben distinti tra covata maschile e femminile; • anticamera sul fondo per ospitare le bottinatrici nei giorni caldi e piovosi; • inizio della febbre sciamatoria con riduzione dell’approvvigionamento nei limiti del consumo giornaliero; cessazione di ogni costruzione; • rimpiazzo: allevamento di una sola cella reale per la sostituzione della regina senza sciamatura.

EVOLUZIONE DEGLI ALVEARI INDOTTA DAL PARASSITA VARROA

Durante i primi anni di infestazione da Varroa negli alveari del nostro territorio i danni furono ingentissimi, poiché le api, non conoscendolo, non reagirono e subirono passivamente le conseguenze. Pertanto il patrimonio apistico collassò enormemente: migliaia e migliaia di alveari scomparvero e moltissimi tra quelli che si salvarono presentavano gravi danni, tanto da essere considerati dei “non valori”, ossia inutili. Col passare del tempo, però, gli alveari sopravvissuti, con l’aiuto degli apicoltori, iniziarono a reagire mettendo in atto nuove strategie di salvezza. Tra queste, le più evidenti sono: aumento dell’istinto sciamatorio, allungamento del periodo di sciamatura e maggior frequenza di sostituzione di regina. Tutto ciò va a collegarsi strettamente ad un palese aumento dell’allevamento di fuchi, sia come quantità sia come lunghezza del periodo. La maggior frequenza del cambio di regina è dovuto all’enorme calo di spermatozoi prodotti da tutti quei fuchi che, durante il loro sviluppo larvale, sono stati impoveriti di emolinfa da parte delle Varroe. A tal proposito, il ricercatore Johannis Weiss scrisse che quando una larva da fuco viene punta da più Varroe, si avrà come risultato finale un fuco con il 50% in meno di spermatozoi, pur mantenendo lo stesso volume di mucosa spermatica. Da quest’ultimo particolare ne consegue che quando la regina sente la spermateca piena, perde il desiderio di uscire ulteriormente in volo di accoppiamento, pur avendo incamerato solamente la metà degli spermatozoi necessari per soddisfare il proprio alveare. Le operaie, però, percepiscono questa carenza, quindi si sentono insoddisfatte e temendo che la propria regina non sia sufficientemente valida, tentano di sostituirla, quindi continuano ad allevare fuchi e questo è dovuto al fatto che l’alveare è condizionato da una “legge” naturale che lo obbliga a produrre fuchi prima di allevare nuove regine. Pertanto, ormai da alcuni anni e in quasi tutti gli alveari, sciami compresi, avviene la produzione di fuchi anche durante lo sviluppo. Tale evoluzione va tenuta in conto durante tutta la pratica apistica e in particolar modo nell’uso del Telaino Indicatore e del Telaino Indicatore Trappola a 3 settori, descritti nei capitoli seguenti.

COMPORTAMENTO LOGICO E RAZIONALE DELL’APICOLTORE VERSO LE API

L’osservazione dello sviluppo spontaneo della colonia d’api, descritta nel paragrafo precedente ha messo in rilievo una serie di punti fondamentali indispensabili all’esistenza dell’alveare (vedi punti dall’1 al 10 dello sviluppo del primo anno). Per praticare un’apicoltura logica e razionale occorre tenere in alta considerazione questi punti e rispettarli sempre. Inoltre, è necessario applicare un metodo di allevamento consono alla vita naturale delle api ed utilizzare un’attrezzatura funzionale, di facile realizzazione da parte dell’apicoltore.

PRIMO ANNO DI CONDUZIONE DELLO SCIAME

Anzitutto occorre procurare il materiale necessario: • un fondo d’arnia, possibilmente mobile, capace di contenere una buona parte delle bottinatrici durante i periodi piovosi (vedi punto 3 dello sviluppo del secondo anno); • 1 nido Dadant-Blatt o DU-CA; • 5 telaini da nido con fogli cerei; • il foglio cereo deve toccare la traversa inferiore

del telaino; non importa se non tocca il portafavo, infatti le api lo fissano prima al portafavo e poi allungano le celle; si devono preparare altri 3 o 4 telaini con foglio cereo da usarsi in seguito; • 1 diaframma; • 1 listello lungo 47 cm, largo 4,5 cm e spesso 0,8 cm; le sue estremità devono avere l’orecchietta uguale a quella dei telaini (Fig. 4A); • alcuni listelli (da 3 a 5, a seconda se il nido è da 10 o 12 telaini) come i precedente, larghi solamente 3,5 cm (Fig. 4B); • 1 escludi-regina con cornice solo nella parte superiore e alta non più di 1 cm; • 2 melari con favi o fogli cerei; • 1 coprifavo con foro per il nutritore; • 1 tettuccio. L’arnia, prima di essere popolata, deve essere collocata perfettamente in piano, servendosi della livella. Ciò si rende necessario poiché la colonia d’api, quando costruisce i favi, dà la pendenza alle celle in rapporto alla “verticale”, traiettoria che unisce lo zenit al centro del globo terrestre; per esprimersi più semplicemente: le api danno la pendenza alle celle rispettando l’appiombo. Anche in seguito durante la transumanza, è importante che l’alveare sia sempre ben livellato onde evitare che le api si trovino a disagio. Modificare l’appiombo ad un alveare dopo la costruzione dei favi diventa un problema per la colonia, come lo sarebbe per le persone se si modificasse loro, sensibilmente, il livellamento del pavimento di un’abitazione. Lo sciame, anche se è molto grande, si inarnia su soli 5 telaini da nido e a questi si accosta il diaframma. Si copre lo spazio vuoto esistente tra il diaframma e la parete del nido facendo uso dei listelli: quello più largo trova posto contro la parete. Sul nido si posa l’escludi-regina con la cornice in alto, su quest’ultima va messo il me-

039.2873401

Foto 5 - Distribuzione disordinata e non naturale dei fuchi (parte punteggiata) in favi derivanti da fogli cerei introdotti nell’alveare prima e durante il periodo di sciamatura.

lario. Infine vanno posti il coprifavo e il tettuccio. I listelli copri-vuoto impediscono alle api di costruire dei favi nello spazio tra il diaframma e la parete del nido, fissandoli all’escludi-regina o ai telaini del melario. Per chi pratica l’apicoltura tradizionale, i soli cinque fogli cerei del nido sembrano un po’ pochi, ma in realtà sono più che sufficienti, poiché in uno sciame, anche molto popoloso, vi è un solo individuo, la regina, capace di deporre normalmente; ad essa occorrono parecchi giorni per riempire di covata questi 5 favi. Essendo la quantità di favi del nido limitata, le api la riservano per la sola covata, a parte la cornicetta di miele. Se vi fossero più favi, la colonia sarebbe tentata di immagazzinare un po’ troppo miele in quelli laterali: a questo punto il nido non sarebbe più solamente nido nel vero senso della parola, ma un nido-melario. Per quanto riguarda lo spazio utile al contenimento delle api c’è il melario; se è necessario se ne mette un secondo. Prima di allontanarsi dallo sciame appena inarniato occorre dare un’occhiata all’orizzonte: se minaccia brutto tempo è prudente somministrare nutrimento. Nel giro di poche ore la giovane colonia si ambienta e si organizza: inizia dal centro del nido a trasformare i fogli cerei in favi, prepara le cornici di miele (o melarietto) e le fasce di polline nella parte superiore o posteriore dei favi da nido (vedi punti 1 e 3 dello sviluppo del primo anno). Non appena le mini riserve del nido sono preparate, le operaie portano il loro bottino giornaliero nel melario. Il primo miele che arriva nel melario viene collocato nel favo situato in posizione centrale rispetto ai cinque favi del nido. Nel frattempo la regina inizia la deposizione: dapprima lentamente, ben presto però intensificando l’opera e dopo pochi giorni raggiunge il suo ritmo massimo. Nella prima settimana dopo l’inarniamento, il consumo interno della colonia è quasi insignificante, infatti per 2 giorni circa la regina non depone; le prime uova deposte non sono molte e impiegano 3 giorni per schiudere; inoltre, dopo la schiusa, le larve per i 2 giorni successivi consumano pochissimo. Se la capacità bottinatrice dello sciame è considerevole, quasi tutto il raccolto di nettare viene stipato nel melario: quando nell’ambiente circostante abbonda il

nettare, il melario viene riempito in 8-10 giorni. A questo punto ognuno può porsi la domanda: quando bisogna visitare il nido, per dare spazio alla covata? Sapendo che la regina impiega mediamente 3 giorni per guarnire un favo da nido, che i favi sono 5 e che la regina nei primi 2 giorni non depone o quasi, si interviene dopo 17 giorni. Se la covata occupa tutti i favi, si toglie un listello, si sposta il diaframma e si ottiene un posto vuoto per l’introduzione del sesto foglio cereo. Il punto migliore per introdurre questo nuovo telaio ed ottenere un favo di giusto spessore è tra due favi, la cui cornice di miele è già opercolata. Se non lo fosse, le api allungherebbero troppo le celle a miele dei favi laterali al foglio cereo, così ne risulterebbe poi un favo sottilissimo a livello del melarietto e due favi con una grande gobba. Quando nessuna delle cornici è opercolata, si cala il foglio cereo vicino al diaframma o dall’altra parte, contro la parete, cioè a minor danno. I 5 fogli cerei iniziali danno sfogo alla regina per 15 giorni di deposizione, col sesto foglio cereo si arriva a 18 giorni di deposizione e poi si aggiunge, con lo stesso procedimento, il settimo e si arriva così a 21 giorni di deposizione. Durante la visita del diciassettesimo giorno, volendo, si possono dare 2 fogli cerei invece di uno, risparmiando una visita: quella del ventunesimo. Sta all’apicoltore scegliere, tenendo però presente che per estendere la covata su questi 2 fogli cerei non sia stipato troppo miele. Introducendo un solo cereo per volta, si ha più lavoro ma miglior risultato. Durante la prima visita si toglie anche l’escludi-regina, che non serve più. Raggiunti i 21 giorni di deposizione, inizia lo sfarfallamento della covata deposta nel primo giorno. Nel bugno villico, le api approfitterebbero di questi sfarfallamenti per ingrandire il “melarietto”, facendo scendere la covata (vedi punto 5 del primo anno). Con l’arnia razionale questo non avviene poiché l’apicoltore dà alle api la possibilità di ingrandire il “melarietto” nella parte superiore con l’uso del o dei melari, cosicché la regina può nuovamente deporre nelle celle sfarfallate, pertanto si crea un ciclo continuo di sfarfallamento e di nuova deposizione nelle medesime celle. Se però la regina riesce a deporre un numero di uova superiore a quello delle api che sfarfallano (ciò si nota da una crescente area di covata su ogni favo) occorre dare, dopo 30 giorni dall’inarniamento, l’ottavo foglio cereo. Con l’aggiunta di quest’ultimo foglio si raggiunge, di norma, il numero massimo dei favi utili al primo anno di evoluzione dello sciame. Per quanto riguarda la posizione da dare a quest’ultimo, e in genere a tutti i fogli cerei, vale la regola descritta sopra. Questi 8 favi così ottenuti sono completamente a celle femminili (vedi punto 7 dello sviluppo del primo anno).

ElEnco dEllE visitE al nido dEllo sciamE nEl primo anno

Giorno 1: inarniamento dello sciame. Giorno 17: introduzione del 6° foglio cereo. Giorno 20: introduzione del 7° foglio cereo. Giorno 30: introduzione dell’8° foglio cereo. Altre visite possono essere necessarie per controllare lo stato di salute della covata e per l’invernamento. Il numero di visite ai melari è subordinato ai vari raccolti della zona. L’apicoltore che in Piemonte o in altre regioni con condizioni ambientali simili pratica il nomadismo verso la montagna, ha la necessità di avere le colonie pronte per la metà di giugno: lo sciame così trattato soddisfa discretamente tale esigenza. L’epoca della grande sciamatura, sotto i 500 metri di altitudine, va da metà aprile a metà maggio: lo sciame, prima della metà di giugno ha tutto il tempo di svilupparsi. Questo alveare si presta anche ottimamente al trasporto, poiché il nido è leggero: contiene solo 8 favi e non ha grandi provviste di miele. Inoltre, nel periodo che trascorre in montagna, non da problemi di sciamatura, poiché è una colonia al primo anno di sviluppo e durante questo periodo non tende ad allevare fuchi né a sciamare, salvo rare eccezioni. Avvicinandosi l’autunno, la covata va gradata-

Foto 6 - D Telaino indicatore (T.I.) con i due terzi superiori occupati dal favo (parte tratteggiata) ed il terzo inferiore vuoto.

mente riducendosi e le scorte di miele si avvicinano sempre più al centro del nido. Di norma le scorte che la colonia concentra su questi 8 favi bastano largamente per passare l’inverno. Durante la buona stagione le api si sono procurate e dislocate le scorte di miele e di polline in modo molto armonico, così da poter far fronte, con minor difficoltà, ai rigori dell’inverno ed iniziare in febbraio la nuova deposizione in un ambiente a loro confacente. L’entrata dell’alveare, alta 8-10 mm e lunga quanto la larghezza dell’arnia, non va mai manomessa: le api se la gestiscono nel modo più appropriato, secondo le loro esigenze di ossigenazione e di protezione (vedi punto 10 del primo anno). Alla soglia dell’inverno se si raschia tutto ciò che le api hanno costruito nell’entrata, si scombussola completamente il microclima all’interno dell’alveare: a causa della bassa temperatura non riescono più a riparare le malefatte dell’uomo e ripiegano sul maggior consumo di miele per ottenere la temperatura occorrente alla loro sopravvivenza. Oltre a questo, sono costrette a ritardare l’inizio della deposizione di febbraio e a limitare la stessa finché non arriverà la stagione più mite. In seguito alle osservazioni fatte, si conclude che ogni manomissione all’entrata è sempre negativa, salvo casi eccezionali. Come visto in precedenza, le costruzioni di propoli e di cera erette dalle api all’entrata dell’alveare sono determinate dalla posizione in cui si trova il medesimo. Se l’alveare, nella stagione fredda, dovesse essere spostato e collocato secondo una direzione diversa, subirebbe l’influenza del vento dominante in tutt’altro modo, quasi sempre negativo. Allora l’apicoltore può e deve intervenire per adeguare l’entrata alla nuova posizione e direzione, cercando di imitare il più possibile le caratteristiche delle porticine degli alveari che già si trovano in questa nuova dislocazione. Quando occorre limitare il passaggio delle api, a causa del saccheggio, si devono usare porticine di rete o di lamiera bucherellata, in modo tale da non impedire l’aerazione. Davanti a tanta saggezza e armonia dimostrate da questo meraviglioso popolo alato, l’apicoltore deve, all’inizio dell’inverno, limitarsi a controllare e regolare l’entità delle scorte, proteggendo inoltre l’alveare solamente dall’esterno. Le protezioni invernali possibili sono parecchie, alcune non del tutto necessarie ed altre invece molto

utili, come la coibentazione tra il tetto e il coprifavo o la copertura dell’apiario tramite tettoia e barriera frangivento. Nel corso dei 3 mesi invernali, periodo in cui non esiste la covata, l’alveare si spopola parzialmente: questo è dovuto alla morte naturale delle api più vecchie. Lo spopolamento può essere più o meno sensibile a seconda del rapporto esistente tra api vecchie e giovani all’inizio dell’inverno.

SECONDO ANNO DI CONDUZIONE DELLO SCIAME NATURALE

Di norma la deposizione viene ripresa nel mese di febbraio, stagione fredda, con temperatura notturna sovente inferiore allo zero. La quantità di uova deposte giornalmente è direttamente proporzionale alla produzione di calore da parte della colonia. Questa, per produrre sufficiente calore, deve essere numerosa ed avere buone provviste di miele e di polline. Inoltre, l’ambiente interno deve essere a misura d’ape, ossia deve mantenere quell’armonia che solo le api sanno crearsi, collocando l’anno precedente il miele ed il polline nella giusta posizione affinché siano accessibili ed utilizzabili senza dover disperdere energie. Per questo si sconsiglia ogni spostamento di favi centrali da settembre a marzo: facendolo, si rischia di compromettere il normale sviluppo della famiglia. Per mettere meglio in risalto l’importanza dell’entità della colonia in questo particolare momento, si rende necessario citare tre situaNOME ...............................................................................................

............................................................................................... INIDIRIZZO ............................................................................................... CAP ............................................................................................... LOCALITÀ ............................................................................................... PROVINCIA ............................................................................................... TELEFONO 1 ............................................................................................... TELEFONO 2 ............................................................................................... CODICE FISCALE ............................................................................................... PARTITA IVA ............................................................................................... N° ALVEARI ...............................................................................................

ORDINO

N. ...... bobine formato STANDARD (1.000 pezzi), Euro 32,50 + IVA N. ...... bobine formato MEDIUM (500 pezzi), Euro 16,25 + IVA N. ...... bobine formato MIGNON (500 pezzi), Euro 16,25 + IVA

N. ...... bobine di Sigilli di Garanzia “Polline Italiano” formato UNICO (100 pezzi), Euro 15,00 IVA inclusa

N. ...... bobine di Sigilli di Garanzia “Pappa Reale Italiana” formato UNICO (30 metri), Euro 10,00 IVA inclusa

Compilare chiaramente e inviare alla: FAI-FEDERAZIONE APICOLTORI ITALIANI Corso Vittorio Emanuele II, 101 Email commerciale@faiapicoltura.biz

Autorizzo l’utilizzo dei miei dati personali ai sensi dell’art. 10 della legge n. 197/03 (Tutela della Privacy) e acconsento al loro trattamento per il perseguimento degli scopi statutari della FAI-Federazione Apicoltori Italiani. SI NO

zioni diverse dalle quali dipendono il regresso, la staticità e lo sviluppo della società delle api: 1. quando la colonia è troppo piccola, nascono meno api di quante ne muoiono per cui essa diventa sempre più piccola e rischia di esaurirsi; 2. quando essa riesce a far nascere tante api quante ne muoiono, l’entità della famiglia rimane invariata; questo è il punto critico o di sviluppo zero (staticità); 3. quando essa riesce a far nascere più api di quante ne muoiono, si ha il vero sviluppo precoce. Da ciò si deduce che è sconveniente avere nell’apiario colonie troppo piccole, specialmente a febbraio-marzo. Si dà per scontato che lo sciame preso in considerazione sia arrivato in febbraio in condizioni ottimali, oltre il punto critico. Sviluppandosi normalmente riesce a presidiare di nuovo tutti i suoi 8 favi per la seconda metà di marzo. Questo periodo coincide con l’insorgere, nelle colonie stabili, dell’impellente necessità di allevare fuchi (vedi punto 1 del secondo anno); questo sciame si considera stabile poiché ha già superato il suo primo anno di sviluppo, però dispone solamente di celle da operaie e non ha spazio per costruirsi il settore maschile; se non interviene l’uomo a procurarglielo, la colonia pazienta due o tre settimane e poi si prepara precocemente alla sciamatura. Essendo la colonia alloggiata su solo 8 favi, l’apicoltore ha la possibilità di aggiungere altri due fogli cerei e complementare il nido. Le api, ricevendo questi fogli cerei, ne approfittano per trasformarli parzialmente in celle da fuchi. Siccome però, prima di poter ottenere il settore maschile, la famiglia è costretta a pazientare parecchi giorni, nel momento in cui si presenta l’occasione di realizzarlo, essa è irrefrenabile e si comporta in un modo non del tutto naturale. Infatti, spesse volte, dal foglio cereo ricava un settore da fuchi molto disordinato, come si può notare nella Fig. 5. Il favo che ne risulta è di scarso valore e poco funzionale, poiché solamente le rose maschili che si trovano nella parte posteriore vengono riutilizzate, dopo la stagione dei fuchi, per stivare il miele: le altre celle maschili frammiste a quelle femminili rimangono a lungo vuote, senza essere utilizzate né per il polline né per il miele. Questo risultato negativo non è per niente trascurabile se si pensa che da ricerche fatte si è constatato che la media delle celle da fuchi trovate sui favi dell’apicoltura tradizionale ammonta a 400 per favo ottenuto da foglio cereo. Si sa che in primavera quasi tutte le celle da fuchi vengono utilizzate volentieri per la covata, causando un consumo energetico non indifferente e che la maggior parte delle colonie alleva 3 generazioni di maschi. Si sa anche che per allevare una larva maschile occorrono 0,5 g di nutrimento, composto di gelatina reale, polline e miele. L’energia impiegata da parte della colonia per allevare il quantitativo di fuchi riscontrabile nell’apicoltura tradizionale si può calcolare facilmente: • 400 celle da fuchi per favo x 10 favi = 4.000 celle; • 4.000 celle da fuchi nelle quali si allevano 3 generazioni = 12.000 fuchi; • 12.000 fuchi x 0,5 g di nutrimento = 6.000 g di nutrimento; volendo tradurre il valore di questo nutrimento in miele, occorre raddoppiare la cifra, ossia 6.000 g. x 2 = 12.000 g. Inoltre, i fuchi adulti continuano a nutrirsi per tutta la loro vita. Nel caso specifico riguardante lo sciame in oggetto si hanno solamente 2 fogli cerei trasformati parzialmente in celle da fuchi: gli altri 8 sono a celle da operaie. Però l’apicoltore tradizionale usa sostituire 2 favi l’anno, facendoli costruire in primavera, durante lo sviluppo delle colonie, così dopo 5 anni tutti i favi risultano trasformati parzialmente in celle da fuchi. Un allevamento così numeroso di maschi non è di certo necessario; oltre a ciò, in una situazione del genere l’apicoltore è impossibilitato a controllare e a selezionare i fuchi (la selezione dei fuchi è importante quanto quella delle regine). A questo punto nascono spontanee numerose

domande: 1. come si deve comportare l’apicoltore per evitare che le api trasformino i fogli cerei in celle da fuchi? 2. E per evitare che allevino troppi fuchi? 3. Cosa di deve fare per avere il controllo sulla covata maschile? 4. Come selezionare i fuchi? La risposta è la seguente: occorre adottare il metodo del TELAINO INDICATORE (T.I.). Questa risposta pone ulteriori, spontanei quesiti. Di che cosa si tratta? Come si ottiene? A cosa serve? Dove e quando si usa? 1. Si tratta di un telaio con favo che “indica” all’apicoltore la situazione e l’orientamento comportamentale e di gestione dell’alveare da parte della famiglia d’api, inoltre gli suggerisce i lavori utili da effettuare all’interno dell’alveare stesso. In sintesi è una valvola di sfogo per la colonia e una spia indicatrice per l’apicoltore. Il telaio indicatore si può paragonare ad un diagramma da leggere e interpretare. 2. Il T.I. si ottiene mediante l’asportazione di un terzo o anche più di cera ad un favo (Fig. 6).

Si può usare anche un favo già un po’ vecchio, purché i due terzi superiori di esso abbiano ancora una lieve trasparenza, tanto da ritenerlo valido per una stagione ancora. Durante il ritaglio del favo occorre tranciare anche i fili dell’armatura, in modo da ottenere una finestra veramente vuota. Il taglio del favo non deve essere obbligatoriamente orizzontale, può essere obliquo, ondeggiato o verticale; l’orizzontale è però preferibile. La luce della finestra non deve essere inferiore a 3,5 dm2. La parte di favo da conservare è bene che sia tutta a celle femminili. Per ottenere la dimensione ottimale della finestra, occorre seguire il taglio secondo la grandezza della colonia: più essa è numerosa e più grande si fa la finestra, senza però esagerare, mantenendo la metà del favo come limite massimo.

Quando si è sprovvisti di favi disimpegnati dalla covata, necessari alla preparazione del T.I., occorre ripiegare su di un telaio un foglio cereo che però va armato orizzontalmente, oppure si applica una traversa a 10 cm circa da quella inferiore e così lo si può armare verticalmente. Il T.I. ottenuto da favo vecchio, rispetto a quello col foglio cereo, è meno costoso e facile da ottenere ed inoltre lo si può preparare durante la visita all’alveare. Il T.I. viene contrassegnato con una puntina da disegno o con un chiodo ben visibile. 3. Il T.I. consente di risolvere il problema del settore fuchi, selezionare la covata maschile, ottenere la costruzione di favi perfetti e a sole celle da operaie, limitare la sciamatura ed infine mettere in collaborazione le api e l’apicoltore risparmiando tempo e materiale. Oltre a ciò, il T.I. serve come lotta biologica, o biomeccanica, contro la Varroa (di quest’ultima si parlerà in uno dei prossimi capitoli). 4. Il T.I. si introduce al centro dei favi di covata; essendo questa la posizione più calda, le api agiscono sul T.I. con molta sensibilità ed espressione. È utile inserire il T.I. negli alveari 4 settimane prima del periodo di sciamatura nella zona dove si opera.

Michele Campero

Fine prima parte

This article is from: