Madonna di Val di Prata a Monticello Amiata

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Riccardo Lucetti Mauro Papa

A

M o n t i c e l l o fotografie di Cesare Moroni

In ricordo di Giovanni e Amilcare

A m i a t a


…Il Santuario poi, di Valdiprata la chiesa in campagna del gran pino, che in essa vive l’Immacolata è la guida del nostro cammino… (da Monticello di Ramiro Temperini)1 1 - INNOCENTI, Elena, Comune di Cinigiano: briciole di storia, Grosseto, Caletra, c1995


IL culto mariano in Val di Prata Riccardo Lucetti

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pendii lungo i fianchi dell’Amiata, monte sacro agli Etruschi e patria del profeta David Lazzaretti, portano innumerevoli segni dei culti religiosi che si sono avvicendati nel corso dei secoli, da quelli pagani frutto di antiche credenze e superstizioni, fino a quelli cristiani, segno e testimonianza del profondo legame che la gente di queste parti ha instaurato e continua a coltivare con l’assoluto2.

Numerosi i luoghi impervi, isolati, densi di silenzio, dove nel tempo monaci eremiti e religiosi si sono stabiliti ed hanno scelto il monte come luogo dove poter praticare la fede insegnandola agli uomini, avvicinando così alla religiosa spiritualità della natura le comunità che da sempre hanno abitato questa montagna.

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2 - PAPA, Mauro (ed.), Viaggio in Maremma nei luoghi di fede tra le figure e le testimonianze storiche e religiose, Grosseto, Provincia di Grosseto informa, [1999]


Tra queste alture sono sorte negli anni cappelle, chiese, santuari in onore di beati ma più spesso a celebrazione della Madonna; molti sono infatti i luoghi di culto mariano, tra cui alcuni di particolare rilievo storico-artistico, celebrati principalmente per le effigi della Vergine in essi conservate. Alla fine degli anni ’90 sono state celebrate in due importanti e popolosi centri amiatini delle ricorrenze che testimoniano la longevità e l’importanza nella memoria collettiva degli abitanti, del culto della Madonna: i 650 anni dalla costruzione del santuario della Madonna delle Grazie di Arcidosso, i 90 anni da quando Siena volle che la statua della Madonna della Pieve di Lamula, ai piedi di Montelaterone, sfilasse per le vie della città in occasione della plurisecolare processione della Domenica in Albis, e soprattutto l’eccezionale concessione, nella prima metà del ‘700, delle corone d’oro da parte del Capitolo Vaticano ad incoronazione dell’immagine di Maria sempre nel santuario di Arcidosso.

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è appunto questo il periodo, a cavallo tra il XVII e XVIII secolo, in cui la chiesa cattolica, in risposta alle accuse mosse dai riformatori protestanti al culto della Vergine considerato alla stregua di superstizione, favorisce e sviluppa il movimento mariano attraverso celebrazioni e cerimonie che chiamavano a raccolta l’intera comunità cittadina3. L’usanza dell’incoronazione delle immagini sacre è antichissima, ma la corona che in questo caso spetta alla Vergine ha un significato di grande rilievo, quello cioè di glorificazione suprema. Maria diventa regina in quanto madre di Dio. La maternità divina le conferisce una dignità che supera tutte le altre ed è il fondamento teologico dal quale deriva la legittimazione del culto speciale riconosciuto alla Madonna nella chiesa cattolica. Nel contesto poi della società medievale, gerarchicamente organizzata e che proiettava sugli ordini celesti i rapporti sociali terrestri, il riconoscimento della maestà assumeva un significato ancor più

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3 - BENEDETTI, Giovanni, Culto mariano tra XIV e XVII secolo, “Amiata storia e territorio” [2006]


forte. Ecco quindi, a partire dagli inizi del XII secolo, che cresce la popolarità artistica dell’immagine della Madonna rappresentata nella scena della sua incoronazione. Con l’affermarsi poi del culto mariano, diveniva sempre più frequente l’uso non solo di dipingere, ma anche di acquistare le corone grazie alle offerte dei fedeli, per porle con cerimonia solenne sul capo delle immagini della Madonna come omaggio e segno di regalità. Si giunse dunque al rito dell’incoronazione delle immagini mariane su decreto del Capitolo Vaticano, privilegio accordato raramente e concesso solo alle immagini venerate da antico culto, localizzate in luoghi sacri definiti santuari e legate a prodigi riconosciuti dalla tradizione popolare. Naturalmente questa onorificenza divenne col tempo particolarmente ricercata dalle comunità, anche per motivi che esulano dall’ambito strettamente fideistico, e così al Capitolo di San Pietro cominciarono ad arrivare domande di concessione dell’incoronazione da ogni parte del mondo, Amiata compreso. Le immagini sacre amiatine a cui venne accordato tale privilegio, oltre alla già citata Madonna delle Grazie di Arcidosso, furono quella di San Pietro di Piancastagnaio, quella delle Grazie di Castel del Piano, insieme a quella detta della Consolazione di Val di Prata. Tutte queste cerimonie di incoronazione fuono celebrate nel corso del XVIII secolo.

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L’effige di Val di Prata, è tuttora conservata ed esposta ai fedeli nel santuario che si trova nei pressi di Monticello Amiata, sul versante occidentale del monte, e che a lei è stato intitolato4.

Chi, volendosi gustare tutta intera la bellezza dell’Amiata, tralasciasse per una volta la più scorrevole e veloce via del Cipressino per lasciarsi andare lungo il bel nastro serpentino della “Cinigianese”, all’altezza di Monticello incontrerebbe, ben in evidenza su un piccolo colle inghirlandato di cipressi, un tempietto apparentemente spoglio di tutti quegli evidenti richiami architettonici che, di solito, attirano l’attenzione del turista. 4 - Le corone d’oro vennero fatte fondere a Roma, a fin qua trasportate all’interno di una cassetta di legno, ma tra la fine degli anni ’70 primi ’80 vennero sostituite da parte della Soprintendenza per i beni artistici e storici di Siena, con delle copie in fusione di ottone a scopo di sicurezza e consegnate al parroco di Monticello Amiata


La prima memoria storica dell’esistenza di una chiesa in località Val di Prata risale alla bolla di Papa Innocenzo III del 10 giugno 1198 diretta all’abate di San Salvatore dove si legge “il diritto che avete nella chiesa di Montepinzuto dentro il Castello, con la chiesa che è fuori dal Castello”.5 E’ più che probabile che tale edificio di culto sia stato eretto, come solitamente accadeva, in un antico luogo di preghiera riconosciuto sacro dalla comunità locale. Ancora oggi è possibile riconoscere una viva tensione religiosa, trasfusasi poi nei valori sociali e nel misticismo che anima questo territorio, raffigurata e celebrata in una diffusa sacralità dei luoghi. I visitatori che percorrono i sentieri e le vie isolate, non di rado si imbattono in piccoli rifugi di fortuna che ospitano al loro interno poveri altari votivi costruiti nel tempo da altri viandanti, a garanzia di un qualche conforto fisico e spirituale. Questo contesto socio-culturale ha generato una forte tradizione orale in cui si fondono leggende antiche con storie più recenti e quindi, come abitualmente avviene, anche nel caso specifico della provenienza dell’effige della Madonna di Val di Prata e dell’origine del santuario, esiste al fondo una storia leggendaria testimoniata dagli scritti degli studiosi di storia locale. E’ tradizione antichissima e costante in Monticello che l’immagine di Maria Santissima della Consolazione trovata fosse in Val di Prata, dietro i gemiti di una pastorella di pecore, che in quei pressi trovatasi in un giorno del mese di agosto guardando le medesime, che ardevano per la sete; perché a motivo della grande siccità, non trovatasi acqua per nessuna parte, sentì chiamarsi con una voce che le sembrava di Paradiso. Corse subito al luogo dove parevagli che si partisse quella voce e trovò un’immagine di Maria Santissima, dipinta in una tavola, posta sopra d’una pietra, ricoperta di pruni e di virgulti. Prostrasi tosto a terra la pastorella, la venera e quindi le chie5 - MARTINI, Luigi, Montepinzuto, Monticello Amiata: cronaca di mille anni, [Monticello], Ass. Pro Loco, [1985]

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de acqua per abbeverare l’assetato suo gregge, e la prelodadata immagine della madonna con una mano pigia la pietra, sulla quale era, e dà acqua in quantità che scorre a ruscello e così disseta l’armento. […] Con gioia e festa fu allora portata la miracolosa immagine alla chiesa proppositurale di Monticello, ma la mattina di poi non vi fu rinvenuta, e molti del popolo saputa la cosa si portarono a Val di Prata, ritrovarono l’immagine in un pianerottolo, sulla cima di un piccolo monte, tutto ricoperto di spessa neve, ove si vedevano delle orme impresse da piede nudo di giovinetta. Per questo vi fu subito eretta una chiesa, che attualmente esiste, e nell’altar maggiore vi fu collocata la detta miracolosa immagine alla venerazione del popolo di Monticello e di tutti i fedeli credenti. Al di là del fascino misticheggiante della leggenda, è invero molto probabile che il dipinto della Madonna sia stato donato al culto dei monticellesi dai vicini monaci benedettini dell’antica e potente Abbazia di San Salvatore che, oltre ad aver plasmato il territorio, garantendo la sacralità in Cristo e la percorribilità delle valli ai pellegrini che volevano raggiungere Roma, ha governato su queste terre per un lungo periodo.

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Nel Duecento, gli anni a cui ci stiamo riferendo, vigeva il governo della signoria nel quale i signori laici (gli Aldobrandeschi) e quelli ecclesiastici (gli abati di San Salvatore) dell’Amiata, esercitavano sui loro sudditi sia diritti patrimoniali o fondiari – prelievi di denaro in natura o in lavoro sulle terre concesse – che poteri politici, come il comando militare, la giustizia e l’esenzione delle tasse6. Nell’area le due signorie, e quella dell’abate almeno dal 1220, sovrapponevano le loro giurisdizioni per cui l’attuale paese di Monticello, originariamente costituito da un castello fortificato eretto su di un colle poco distante chiamato Montepinzuto, si trovava non di rado sottoposto a richieste economiche e pressioni politiche da parte dell’uno che dell’altro signore; ma nel 1240, l’arbitrato imperiale e la concomitante ricostruzione del paese di Montepinzuto, distrutto in quello stesso anno da un devastante incendio, confermarono il potere della signoria abbaziale sul territorio amiatino, mante6 - Imberciadori, Il debrando Amiata e Maremma tra 9° e 20° secolo, Parma, La Normale Tip., [1971]

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nuto senza gravi contrasti nella seconda metà del secolo e per tutto il Trecento. Alcuni scritti, attribuiscono a questa sovrapposizione di giurisdizioni, e ai conseguenti contenziosi, il motivo scatenante alla base dell’incendio che rase al suolo l’insediamento militare di Montepinzuto.7 A seguito di tali vicende, si è ipotizzato da più parti che l’immagine della Madonna venne donata dai monaci alla popolazione colpita dall’incendio come segno di augurio per l’insediamento del nuovo centro abitato, in virtù e a legittimazione del loro riconosciuto ruolo di guida spirituale e materiale8. Generalmente gli arredi, le pitture e le sculture che abbeliscono i santuari mariani sono opere artistiche di un qualche rilievo, commissionate ad aristi di fama e poste ad ornamento e celebrazione dell’immagine della Vergine; non altrettanto invece si può affermare delle raffigurazioni venerate. Era usanza infatti, che questi oggetti di culto fossero per le comunità antiche rappresentazioni anche povere nei materiali, ma che avessero, oltre a quello puramente religioso-votivo, anche un intrinseco valore storico e politico; quindi oggetti recati in dono o lasciti di altre comunità limitrofe, in segno di riconoscenza o fedeltà. In assenza di tali condizioni molto spesso queste rappresentazioni venivano commissionate da figure cittadine di spicco agli uomini che più avvicinavano la propria attività alla sensibiltà artistica di quel territorio, quindi non certo a maestri noti ma a qualche onesto e sconosciuto maestro d’ascia e artigiano della zona.9 7 - REDON, Odile, Un comune medievale e le sue scritture: da Montepinzutolo a Monticello Amiata, Cinigiano, Pro loco Monticello Amiata, Amministrazione comunale di Cinigiano, [1998] 8 - Esiste anche un’altra ipotesi relativa alla donazione dell’immagine sacra che ne attesterebbe l’origine prima del Mille. “E’ antichissima: risale al tempo in cui dominava sul vico di Montepinzuto (oggi Monticello) l’abate amiatino dell’Abbadia S. salvatore, forse, dell’anno 802 dopo Cristo”. IMBERCIADORI, Ildebrando, Santuari amiatini, Grosseto, La Maremma, [1930]

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9 - MARCUCCI, Domenico, Santuari mariani d’italia: storia, fede, arte, Roma, Paoline, [1987]


è questo sicuramente il caso dell’immagine della Madonna con il Bambino di Val di Prata, posta sull’altare maggiore del santuario. Si tratta infatti non di un dipinto su tela, bensì di una tavola di legno tardo quattrocentesca molto ridipinta nel corso dei secoli,10 pare anche da Nicola Nasini uno dei maggiori artisti amiatini, nel corso del XVII secolo. L’immagine dipinta su tavola di legno solidissimo, oggi è in campo d’oro, ma anticamente era in campo oscuro; una volta era di forma bislunga perché pare certo che la Vergine fosse dipinta a sedere come la Madonna di Montenero presso Livorno; adesso è di forma quasi quadrata perché dai ginocchi in giù è stata segata forse per adattarla all’urna; ma il popolo dice che il falegname che la segò finì male con la moglie e coi figli. 10 - SANTI, Bruno, Guida storico-artistica alla Maremma: itinerari culturali nella provincia di Grosseto, Siena, Nuova immagine, [1995]

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L’opera venne trafugata dalla chiesa nel gennaio del 1987 per essere poi ritrovata nel corso dell’anno successivo e riconsegnata alla comunità di Monticello. Questo genere di santuari, quelli che la tradizione vuole sorti in luoghi precisi resi celebri da apparizioni o ad altri fatti prodigiosi, in genere sono architettonicamente non fastosi e iniziano ad essere costruiti per lo più in periodo tardo rinascimentale. Quello di Monticello è stato edificato nel XVII secolo e si trova su un morbido pianoro leggermente staccato dal centro abitato al numero civico 47; di fronte Montelaterone e l’imponente vetta dell’Amiata, alle spalle il paesino con il vicino cimitero. Per raggiungere il sagrato, occorre percorrere uno stretto viale delimitato da bassi muri di pietra, fino all’obelisco del parco della rimembranza; tutt’intorno alti cipressi che vegliano le tombe dei concittadini scomparsi nelle guerre del Novecento.


Il cubo di granito che fa da base all’obelisco, ha su di sé appollaiata un’aquila nera ad ali spiegate che sorregge con gli artigli una lapide; sopra questa i nomi dei lutti ed una data in numeri romani, 11 settembre 1923. L’inaugurazione del parco venne celebrata nei giorni in cui solitamente veniva festeggiata l’incoronazione della Madonna, ciò testimoniato da un manifesto del programma della festa straordinaria in onore di Maria Santissima in Val di Prata, a conferma dell’alto valore simbolico che il santuario costituisce per questa comunità. L’edificio presenta la facciata a capanna con il portale architravato, e l’interno ad ala unica con due altari laterali tardo barocchi: quello di sinistra, del 1691, conserva la pala con la Madonna del Carmine con Santa Teresa d’Avila, Santa Elisabetta d’Ungheria, San Filippo Neri e Sant’Elena, uno dei vertici dell’attività pittorica di Giuseppe Nicola Nasini. O Maria, ci affidiamo con fiducia a te nostra madre, sull’esempio delle generazioni passate e come consegna alle generazioni future. E’ un’atmosfera di devozione, la si respira, la si legge e la si tocca ovunque; lungo le pareti che circondano l’altare centrale su cui troneggia l’immagine della Madonna, costellate di opachi ex voto a forma di cuore, moltissimi degli inizi del Novecento ma ce ne sono anche di recenti, sui manifesti celebrativi della notte di veglia a conclusione del pellegrinaggio del 4 giugno 1997, sugli altari laterali edificati per grazia ricevuta. Una tensione sacra e una devozione che rende ancora oggi il santuario meta di pellegrinaggi11 sulle storiche orme profane del Moro, del Ganascia e di Vittorino; fantini della Torre devoti alla Madonna di Val di Prata, usciti vittoriosi dal selciato di Piazza del Campo. 11 - NICCOLAI, Lucio, Paesi dell’Amiata: guida nella storia, nell’arte, nelle tradizioni, nell’immaginario della montagna incantata, [S.l.], C. Moroni, [2003]

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