Itinerari di architettura_Firenze

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Università degli studi di Genova Facoltà di Architettura Corso di Laboratorio di Progettazione V A.A 2012-2013 Prof. Arch. Marco Casamonti Arch. Mattia Cadenazzi_ Arch. Carlotta Costantino_ Arch. Federica Poggio

ITINERARI DI ARCHITETTURA FIRENZE 1912\2012

GRUPPO N° 1

Sebastiano De Pilla Matricola: 3110054

Simone DiMaria Matricola: 3161632

Elisa Dodero Matricola: 3136344

Francesca Durante Matricola: 3110900

Agnese Guerri Matricola: 3224025

Silvia Neri Matricola: 3277496

Francesca Pietrelli Matricola: 3268256

Sara Traverso Matricola: 3021822


FIRENZE

01_Cinema Odeon

07_casa-studio Ricci

13_chiesa S. Giovanni B.

19_ponte da Verrazzano

25_condominio S.Jacopino

31_ingresso stazione SMN

02_Studio “A. Franchi”

08_casa-studio Savioli

14_sede della Nazione

20_Poste centrali

26_padiglione Spadolini

32_museo dell’opificio

03_Fabbricato viaggiatori

09_Cassa di Risparmio

15_case popolari Sorgane

21_ponte all’Indiano

27_teatro della Compagnia

33_ingresso Careggi

04_Centrale termica

10_Galleria degli Uffizi

16_sede della RAI

22_Archivio di Stato

28_FS Firenze Statuto

34_Palazzo di Giustizia

05_palazzina Reale

11_ponte Vespucci

17_casa per appartamenti

23_Palazzo degli Affari

29_terminal autobus

06_Ponte S. Niccolò

12_ponte alle Grazie

18_villa Bayon

24_Limonaia villa Strozzi

30_Le Torri



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project: Cinema Odeon typology: Sala cinema architect: Marcello Piacentini realization: 1920-1922 address: Piazza Strozzi

project: Stadio “Artemio Franchi” typology: Stadio comunale architect: Pierluigi Nervi realization: 1930-1932 address: V.le Paoli/V.le Maratona

project: Fabbricato viaggiatori typology: Stazione ferroviaria architect: Gruppo Toscano realization: 1932-1934 address: Piazza Stazione

project: Centrale termica typology: Edificio industriale architect: Angiolo Mazzoni realization: 1932-1934 address: Via delle Ghiacciaie

project: Palazzina Reale SMN typology: Padiglione per sovrani architect: Giovanni Michelucci realization: 1934-1935 address: Via Valfonda

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project: Ponte S. Niccolò typology: Ponte ad arco architect: Riccardo Morandi realization: 1948-1949 address: lungarno del Tempio

project: Casa-Studio Ricci typology: Casa unifamiliare architect: Leonardo Ricci realization: 1950-1964 address: Via Monterinaldi

project: Casa-Studio Savioli typology: Casa unifamiliare architect: Leonardo Savioli realization: 1950-52; 1968-70 address: Via delle Romite

project: Cassa di Risparmio typology: Edifici per uffici architect: Giovanni Michelucci realization: 1953-1957 address: Via Bufalini

project: Restauro Galleria Uffizi typology: Spazio espositivo architect: I. Gardella, C. Scarpa realization: 1953-1955 address: Piazzale degli Uffizi


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project: Ponte Vespucci typology: Ponte a tre campate architect: Morandi-Gori-Nelli-Gori realization: 1954-1956 address:Â Lungarno Vespucci

project: Ponte alle Grazie typology: Ponte a cinque arcate architect: Michelucci-Detti-Santi realization: 1955-1957 address: Lungarno delle Grazie

project: Chiesa di S. Giovanni B. typology: Edificio di culto architect: Giovanni Michelucci realization: 1960-1964 address: A1 uscita Firenze Nord

project: Sede della Nazione typology: Edificio per uffici architect: Pierluigi Spadolini realization: 1961-1966 address: Viale Giovine Italia

project: Case popolari Sorgane typology: Edilizia popolare architect: L. Savioli - L. Ricci realization: 1962-1980 address: V.le B. Croce-Via Isonzo

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project: Sede Regionale della RAI typology: Edificio pubblico architec: Italo Gamberini realization: 1965-1968 address: Lungarno Colombo

project: Casa per appartamenti typology: Edilizia popolare architect: L. Savioli - D. Santi realization: 1964-1967 address: Via Piagentina

project: Villa Bayon typology: Residenza unifamiliare architect: Leonardo Savioli realization: 1966-1967 address: Via Ippolito Galantini

project: Ponte da Verrazzano typology: Ponte a campata unica architect: Damerini-Savioli realization: 1965 address: Quartiere di Gavinana

project: Direzione centrale Poste typology: Edificio per uffici architect: Giovanni Michelucci realization: 1967 address: Via Pietrapiana


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project: Ponte all’indiano typology: Ponte strallato architect: Montemagni - Sica realization: 1972-1978 address: Cascine

project: Archivio di Stato Firenze typology: Edificio per uffici architec: Italo Gamberini realization: 1972-1988 address: Viale Duca degli Abruzzi

project: Palazzo degli affari typology: Edificio per uffici architect: Pierluigi Spadolini realization: 1972-1974 address: Piazza Adua

project: Limonaia Villa Strozzi typology: Spazio espositivo architect: Giovanni Michelucci realization: 1973-1988 address: Via Pisana

project: Condominio S.Jacopino typology: Edificio residenziale architect: Marco Dezzi Bardeschi realization: 1974-1976 address: P.zza San Jacopino

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project: Padiglione Spadolini typology: Spazio espositivo architect: Pierluigi Spadolini realization: 1974-1976 address: Fortezza da Basso

project: Teatro della Compagnia typology: Teatro e sala cinema architect: A. Natalini - F. Natalini realization: 1987 address: Via Cavour, 50r

project: Stazione Firenze Statuto typology: Stazione ferroviaria architect: C. Toraldo Di Francia realization: 1985-1988 address: Piazzale L. A. Muratori

project: Terminal autobus SMN typology: Pensilina dei Bus architect: C. Toraldo Di Francia realization: 1986-1990 address: Piazza della Stazione

project: Le Torri typology: Centro commerciale architect: Mario Botta realization: 1988-1992 address: Via A. Canova


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project: Ingresso stazione SMN typology: Rampa di accesso architect: Gae Aulenti realization: 1990 address: Viale Strozzi

project: Museo delle pietre dure typology: Spazio espositivo architect: A. Natalini - F. Natalini realization: 1992-1995 address: Via degli Alfani

project: Ingresso di Careggi typology: Edificio ospedaliero architect: CSPE - Ipostudio - ... realization: 1999-2010 address: Viale Morgagni

project: Palazzo di Giustizia typology: Edificio per uffici architect: Leonardo Ricci realization: 2000-2012 address: Viale Guidoni


FIRENZE 1912 _ 2012 1_Pianta di Firenze e dei suoi contorni al 1857-1861 2_Il Piano Poggi (1865), di Firenze 3_Il Piano Regolatore del 1915/24

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Firenze è universalmente riconosciuta come città dell’Arte, con un inestimabile patrimonio di architetture, dipinti, sculture, memorie storiche e scientifiche, che formano il tessuto cittadino. Per tutto il secolo scorso, fino ad oggi, la storia di Firenze è segnata da un processo di disintegrazione in cui la struttura antica è ormai insufficiente a risolvere tutte le esigenze della vita urbana moderna e si pone come ‘problema’ di una realtà complessa. Il suo significato deve essere recuperato in un nuovo contesto che non riesce mai a trovare un organico equilibrio e quindi a realizzarsi in una nuova forma urbana. Con il progetto di Giuseppe Poggi per Firenze capitale d’Italia (1864-1870) - che provocò la demolizione delle Mura della città per la costruzione dei Viali di circonvallazione, la creazione del Viale dei Colli e Piazzale Michelangelo e lo sviluppo iniziale di nuovi quartieri residenziali sia all’interno dei Viali (il distretto della Mattonaia intorno a Piazza Indipendenza, il distretto di Maglio intorno a Piazza d’Azeglio) che all’esterno (Savonarola, San Jacopino, Piagentina) - e con la demolizione del centro urbano intorno al vecchio mercato (1885-1889) per la creazione della grande Piazza Vittorio Emanuele II (ora Piazza della Repubblica) e le costruzioni di edifici adibiti pricipalmente ad uso ufficio, cominciò la terziarizzazione del centro urbano, nei primi decenni del ventesimo secolo. In conformità con lo schema urbano di pianificazione di Poggi, la città si espanse velocemente fino ai colli vicini - via Vittorio Emanuele II all’ovest, Viale Volta all’est e Oltrarno lungo via Pisana oltre il Pignone, dove la fonderia ha rappresentato il primo nucleo industriale insieme agli alloggi degli operai. Fino alla prima guerra mondiale i problemi della città sembrano accumularsi senza tangibili interventi dell’amministrazione pubblica. Sul piano sociale si rileva lo sviluppo del movimento operaio in difesa di una classe che vive in condizioni durissime. Dal 1890 al 1915

la popolazione cresce di cinquantamila unità. Dal 1905 al 1913 si costruiscono 36.652 vani; circa 2000 sono le abitazioni popolari realizzate: i cosiddetti ‘trenini’ (edifici residenziali borghesi a due piani a schiera) i quali sono una versione abbastanza provinciale di tipologie contemporanee europee, che tuttavia appare oggi non priva di qualità d’ordine e di dignità rispetto all’attuale anarchia edilizia. Nel primo quindicennio del secolo si manifestano diverse iniziative nel campo dell’edilizia “popolare” dove è chiara l’intenzione di utilizzare le aree ai margini della città murata. infatti gli interventi sono concentrati in tre zone: fuori la porta S. Frediano, fuori la porta S. Niccolò e intorno a S. Jacopino. Le zone delle Cure e di San Gervasio, dove contemporaneamente si sviluppa l’edificazione, sono riservate alle classi medie e agiate. Nel primo Novecento opera a Firenze l’architetto Giovanni Michelazzi. Nei villini da lui costruiti per le famiglie della borghesia fiorentina con il quale introduce il linguaggio modernista nel tessuto urbano antico, Michelazzi lascia a Firenze opere di non secondaria importanza nel panorama dell’architettura di gusto Liberty in Italia. La cultura fiorentina del Novecento offre contributi importanti in campo letterario, trovando uno strumento ideale nelle riviste, le quali assumono grande rilievo nella storia della letteratura italiana moderna, anche nel contesto della cultura internazionale. Fin dagli inizi del ‘900 la piana fiorentina si dimostra la direzione preferenziale per l’espansione, favorita dalle condizioni altimetriche, la presenza della ferrovia e la conseguente localizzazione delle prime aree industriali. Negli studi urbanistici di inizio secolo, la città è un’entità conclusa a livello concettuale, poiché le periferie assumono sempre il carattere di aggiunte che gravitano funzionalmente e strutturalmente sul nucleo storico, non è un caso che venga fatta una distinzione tra piani regolatori “interni” e quelli “esterni”, a testimoniare la netta percezione tra un dentro e un fuori della città.


1_La casa del Fascio (arch. C. Burci, 1927-28) 2_La stazione ferroviaria di Santa Maria Novella 1934-35 3_Stadio Comunale Artemio Franchi prima della ristrutturazione del 1990

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A parte un tentativo di piano urbanistico nel 1907, che non ebbe seguito, il piano successivo a quello per Firenze capitale fu compilato nel 1915 dall’ufficio strade del Comune, diretto dall’ingegnere Giovanni Bellincioni. Il piano entrò in vigore nel 1924, ben sessant’anni dopo il piano Poggi. Questo strumento urbanistico, fatto sostanzialmente di una ragnatela di maglie viarie che individuano isolati edificabili invadendo a colmata le aree libere fino ai piedi delle colline, è rimasto in vigore fino al 1958. Fu attuato soltanto in parte, per alcuni settori della rete stradale, ma determinò di fatto i due settori più consistenti di espansione residenziale - a nord, nella zona delle Cure, e a sudest, a Ricorboli - mentre confermò il settore delle Cure. L’attività edilizia adottò largamente la tipologia del villino. Inoltre il piano determinò l’avvio del quartiere industriale di Rifredi (1918), che doveva poi ospitare i più grandi insediamenti produttivi, e la zona ospedaliera di Careggi (a partire dal 1934). Il periodo fra le due guerre è segnato dai riflessi locali della politica del regime fascista in materia di gestione e disegno delle città. Un vecchio progetto del conte Giulio Guicciardini e del professor Ugo Giusti, del 1921, per il ‘risanamento’ del quartiere popolare di Santa Croce, viene rielaborato e presentato al podestà dal Guicciardini e dall’architetto Raffaello Fagnoni, nel 1928. Nel 1936 si inizia la demolizione di alcuni isolati della zona. Si lavora secondo un progetto comunale che prevede alla fine dell’intervento nuovi isolati e strade più larghe, ma nessuno ha un’idea chiara di cosa possa e debba rappresentare il nuovo quartiere, una volta realizzato, nel quadro generale della città. Dopo le demolizioni, i progetti di ricostruzione non furono attuati. Gli spazi vuoti furono ‘riempiti’ in tempi successivi nell’ultimo dopoguerra. Anche a Firenze, come nelle altre città italiane, il regime fascista mira a realizzare soprattutto opere monumentali e rappresentative: la casa del Fascio (arch. C. Burci, 1927-28); lo Stadio

Comunale (ing. P.L. Nervi, 1932), la Stazione Ferroviaria di Santa Maria Novella (arch.i G. Michelucci, N. Baroni, P. Berardi, I. Gamberini, B. Guarnieri, L. Lusanna, 193435), la Scuola di Guerra Aerea alle Cascine (arch. R. Fagnoni, 1937), la Casa del Balilla in piazza Beccaria (ing. F. De Reggi, arch. A. Cetica, 1936-37), la sede della Mostra-Mercato dell’Artigianato in piazza Cavour (arch.i S. Pastorini, M. Pellegrini, 1939). Nel corso del Novecento le attività direzionali continuano a concentrarsi nel centro. L’intervento più pesante è il nuovo complesso della Biblioteca Nazionale (1911-35), che investe parte delle strutture conventuali di Santa Croce e si affaccia sull’Arno. Nel 1931 Firenze viene definita stazione turistica internazionale; nel 1933 è sede dell’incontro tra Mussolini e Hitler, per il quale vengono allestite spettacolari scenografie urbane; nel 1935 viene inaugurata l’autostrada Firenze-mare e nel 1936 la linea ferroviaria elettrificata Firenze-Bologna, detta “Direttissima”. Nel 1951 la città provvedette a darsi un piano regolatore generale. Pur attentamente studiato, esso non potè impedire il processo di saturazione delle aree edificate oltre i viali di circonvallazione, la tendenza a un’espansione a macchia d’olio, la carenza di attrezzature, di servizi e di aree verdi. Vengono costruiti tre nuovi ponti sull’Arno: il “Vespucci”, in calcestruzzo armato precompresso; quello all’Indiano; quello “Giovanni Da Verrazzano”. Con il doguerra una profonda riflessione pone la residenza come parte della moderna vita civile, coproduttrice dell’identità di quartiere, passando con esperienze anche di una certa valenza utopistica / ideologica e successivamente incentrati sulla paziente ricerca della qualità degli standar residenziali. Emergono infine le qualità progettuali dei maestri, che dal liberty sino alle ville degli anni ‘60 e ‘70, hanno linguisticamente caratterizzato le opere come valore specifico dl paesaggio urbano. L’architettura sacra, culminante con l’episodio straordinario della chiesa dell’autostrada, ha


BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Chiesa di S.Giovanni Battista_particolare 2_Chiesa di S.Giovanni Battista in uno schizzo di Michelucci 3_Chiesa di S.Gioanni Battista 4_Piano Regolatore di Bartoli, Pastorini e Sagrestani 5_Il Palazzo Vecchio di Firenze durante l’alluvione 6_Alluvione a Firenze 7_Centro storico 8_Centro storico

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http://www.aboutflorence.com/firenze/Storia-di-Firenze.html http://archeologiamedievale.unisi.it/dottorato/sites/archeologiamedievale. unisi.it.dottorato/files/scampoli http://www.fiorentininelmondo.it/storia/storia-di-firenze.html http://www.firenze-online.com/conoscere/storia-firenze.php http://it.wikipedia.org/wiki/Risanamento_di_Firenze

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espresso alcune opere che articolano il momento religioso con diverse confessioni anche nell’ambito della realizzazione di complessi di servizio per la comunità. L’alluvione dell’Arno del novembre 1966 devasta case, musei, biblioteche, monumenti causando danni irreparabili al patrimonio artistico e culturale di Firenze con la conseguente perdita di diversi manoscritti o rare opere. Pur in assenza di un piano organico e di un efficace coordinamento delle risorse e delle iniziative, la funzione di Firenze quale città degli studi e della ricerca scientifica si va progressivamente potenziando. Il centro storico di Firenze, viene riconosciuto nel 1982 dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, è considerato racchiuso all’interno della concatenazione dei viali tracciati sulle vecchie mura medievali delle città di Firenze, raccogliendo i più importanti beni culturali artistici e pittorici del capoluogo toscano. Il novecento ha innovato la città in merito alle grandi attrezzature urbane e per un uso civile collettivo nuovo, proprio di una realtà sociale che il nuovo secolo ha fatto emergere e trasformato. Il tema dell’architettura per settori ha trovato fortissimo sviluppo e ha dato forma ad opere molto significative nella costruzione del volto moderno della città. ll secolo della modernità ha disegnato il carattere attraverso il disegno delle sue architetture, in ogni momento testimonianza di un contesto culturale e non solo architettonico in evoluzione.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_L’edicola del cinema odeon 2_Palazzo dello Strozzino 3_Cinema Odeon 4_La cupola 5_Cinema Odeon vista esterna 6_Cinema Odeon vista esterna 7_Cinema Odeon vista laterale dell’interno 8_Cinema Odeon vista dall’alto

project: Cinema Odeon typology: Palazzo Cinema Teatro architect: Marcello Piacentini in collab. Ghino Venturi realization: 1920 - 1922 address: Piazza Strozzi Firenze

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http://www.correrenelverde.it/architettura/personaggi/piacentini.htm http://www.zam.it/biografia_Marcello_Piacentini http://it.wikipedia.org/wiki/Marcello_Piacentini http://www.treccani.it/enciclopedia/tag/marcello-piacentini/ http://wikimapia.org/16983143/it/Palazzo-dello-Strozzino-Cinema-Odeon http://web.rete.toscana.it/cultura/architettura?command=showDettaglio&codice=100028&provincia=Firenze

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Nato a Roma nel 1881, figlio di un architetto Marcello Piacentini studiò nell’Istituto di Belle Arti, conseguendo il diploma di professore di disegno architettonico, e più tardi quello di architetto civile nella Scuola di Applicazione degli Ingegneri. Nel 1907 vinse il concorso per la sistemazione del centro di Bergamo. Nel 1910 realizzò il padiglione italiano all’Esposizione Mondiale di Bruxelles. Tra il 1915 e il 1917 il Cinema Corso di Roma rivelò il suo interesse per il modernismo europeo, che fino al 1920, emerse anche in vari altri progetti.Un primo esempio lo si trovava nella villetta Rusconi, realizzata da Piacentini nel 1913. Nel Palazzo della Banca d’Italia in Piazza del Parlamento (1914), Piacentini riprese poi, alcuni motivi la cui impronta si legava a Gianlorenzo Bernini. Dal 1920 in poi, le opere di Piacentini si possono distinguere in due gruppi: quelle di edifici pubblici e monumentali e quelle più modeste, case e villette per abitazione privata, simbolo del doppio ruolo che doveva assumere l’architetto. Nel periodo fascista Piacentini si fece portavoce di una “via nazionale all’ architettura” tentando una mediazione con gli esponenti della corrente razionalistica pur mantenendo in quasi tutte le sue realizzazioni un carattere eclettico. Numerosissimi i progetti e gli interventi urbanistici, tra i quali il Palazzo di Giustizia di Milano (1933) e il Palazzo del Rettorato dell’Università di Roma (1936). Prima della guerra Piacentini compì molti viaggi all’estero ; dai quali egli tornò trasformato, e con in mente un progetto artistico imponente, ispirato alla maestosità tedesca che trova riscontro in altre diverse opere: la sistemazione dell’E42 (1938-1942) la demolizione della “spina dei Borghi” per l’apertura di Via della Conciliazione (1941). Molto importante il rapporto di collaborazione che Piacentini ebbe con altri importanti artisti, come quella con Ferruccio Terrazzi per la realizzazione del Mausoleo Ottolenghi ad Acqui. Marcello Piacentini morì nel 1960.


01 1_Vista frontale dell’interno 2_Particolari 3_Particolare ingresso

project: Cinema Odeon typology: Palazzo Cinema Teatro architect: Marcello Piacentini in collab. Ghino Venturi realization: 1920 - 1922 address: Piazza Strozzi Firenze

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Il cinema-teatro venne realizzato all’interno dell’antico palazzo detto “dello Strozzino” per conto del Sindacato Immobiliare Toscano. Il palazzo, ormai privo dei muri perimetrali su più lati era in attesa di una sistemazione decorosa. Tra il 1914 e il 1915 si demolì un’altra parte del complesso, compreso il bel cortile quattrocentesco, per costruire tra il 1920 e il 1922 (passata la prima guerra mondiale) il Cinema Teatro Savoia, poi Odeon, su progetto di Marcello Piacentini in collaborazione con Ghino Venturi. Il progetto, che oltre al cinema-teatro e al locale da ballo, prevedeva due piani di appartamenti per uffici ed usufruiva dei muri perimetrali del palazzo, ripristinati e impaginati in stile neorinascimentale. Nell’occasione vennero ridisegnate due facciate e su un spigolo venne posto la lanterna a forma di tempietto circolare con nudi efebici in bronzo, opera dello scultore Marescalchi. L’interno del cinematografo, che occupa il piano terreno, il mezzanino e parte del primo piano si caratterizza per una fitta ornamentazione alla quale lavorarono lo scultore Giovanni Gronchi per i lacunari e le placchette in stucco, lo scultore Antonio Maraini per le tre Muse in legno dorato e policromo sul boccascena ed altri artiste e ditte specializzate per il complesso decorativo. Celebrato negli articoli dell’epoca come un modello di mirabile armonia tra struttura architettonica generale e funzione, e celebre per la modernità e gli accorgimenti tecnici, oggi il cinema-teatro è considerato l’unico esempio nel panorama artistico cittadino degli anni Venti, “capace di attirare, riassumere ed esaurire in sé le sparute e più autentiche potenzialità dèco degli operatori fiorentini”. Pochi furono gli elementi antichi riutilizzati (alcune volte, peducci e colonne) nell’ingresso e nel foyer. All’interno, un atrio-corridoio perimetrale filtra l’accesso alla sala da spettacolo. L’ingresso al cinema avviene da via degli Anselmi, mentre il portone centrale su via dei Sassetti immette nello scalone per la discesa nel sottosuolo. Dalla

piazza Strozzi si accede invece al corridoio colonnato coperto con volte a vela, che costituisce il settore originale del palazzo dello Strozzino. Da via degli Anselmi si accede infine all’atrio rettangolare ornato da due fontane e con al centro il bancone della biglietteria con coronamento in legno intagliato da Umberto Bartoli, originale dell’epoca. Alle due testate sono collocati i banconi per il bar e si dipartono le due scalinate di collegamento con la galleria superiore. Il grande vano per lo spettacolo, con platea a forma rettangolare e galleria a ferro di cavallo con palchetti laterali al secondo ordine, tenta una mediazione fra gli antichi organismi teatrali e i moderni luoghi di spettacolo cinematografico. Coperto da una grande cupola circolare di vetri colorati, in origine apribile tramite un congegno elettrico, la sala presenta un ricchissimo apparato decorativo, che riunisce gli stucchi bianchi e dorati delle colonne istoriate con placchette decorative, le tre Muse in legno dorato a coronamento del boccascena, i putti i festoni di palmette e le formelle centrali delle balaustre dei palchi, i due arazzi appesi sotto gli arconi laterali e la grande decorazione a stucco dorato sulla parete di fondo della galleria superiore, il prezioso telone in seta rosso cocciniglia e rosoni in lamina d’oro, dando vita ad un insieme prezioso e raffinato di ispirazione déco. L’arredo originale della sala, in velluto rosso, è stato rinnovato nel 1987 ed è attualmente in velluto giallo oro; sono ancora in loco le poltroncine in legno originali delle due gallerie del secondo ordine. Il foyer del primo piano presenta una copertura a lacunari ornati di stucchi con segni zodiacali e si articola in uno spazio centrale più ampio ornato da una fontana, mentre un’alta zoccolatura in marmo venato decora le pareti. I piani superiori, destinati ad uffici, si articolano intorno al grande invaso della sala cinematografica la cui cupola è protetta da un lucernario in vetro.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Torre di Maratona (prosp. fronte sud-est) 2_Scala elicoidale (prosp. fronte sud) 3_Ingresso (prosp. fronte nord-ovest) 4_Vista del campo del 1960 (prosp. fronte sud-ovest) 5_Pensilina (prosp. fronte ovest) 6_Torre di maratona (vista dalle gradinate della tribuna laterale) 7_Vista dello stadio (prosp. fronte sud-ovest) 8_Vista dello stadio (prosp. fronte sud)

project: Stadio “Artemio Franchi” typology: Stadio comunale architect: Pierluigi Nervi realization: 1930-1932 address: V.le Paoli/V.le Maratona

Carlo Cresti-Storia dell’architettura moderna-1964-Laterza Giovanni Michelucci- Lo stadio “Giovanni Berta” in Firenze dell’ingegnere Pier Luigi Nervi in “Architettura”-1932 M. Piccardi, M. Settimelli-Lo Stadio di Firenze| Storia di ieri e di oggi1990-Arnaud

(Sondrio, 21 giugno 1891 – Roma, 9 gennaio 1979)

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Si dedicò particolarmente allo studio delle strutture metalliche e in cemento sia nel campo strettamente tecnico sia nel campo figurativo. Laureato in ingegneria civile a Bologna (1913), ha svolto l’attività professionale con studio in Roma (dal 1923, Nervi e Nebbiosi; dal 1932, Nervi e Bartoli; dal 1955, Studio Nervi, con i figli Antonio, Mario e Vittorio); ha insegnato Tecnica delle costruzioni e Tecnologia dei materiali (1945-62, Roma, facoltà di architettura). Si è dedicato particolarmente allo studio del cemento armato, realizzando nuovi procedimenti costruttivi , specie nel campo della prefabbricazione strutturale, che hanno ampliato notevolmente gli orizzonti dell’architettura. La sua architettura, che si distingue anche per arditissime realizzazioni tecniche, si basa sul presupposto che non vi sia alcun contrasto tra la risoluzione «statico-costruttiva» di un problema architettonico e il suo risultato estetico. La prima delle sue opere importanti si presenta come esempio di una nuova architettura. Con le due aviorimesse a strutture geodetiche di Orvieto e le sei a elementi prefabbricati di Orvieto, Torre del Lago e Orbetello, tutte distrutte durante la guerra, studiò ulteriormente il problema dell’alleggerimento delle strutture. Compì anche studi sull’utilizzo del ferro-cemento nelle costruzioni navali. Il Palazzo delle esposizioni di Torino è tra le sue opere più riuscite insieme al Palazzetto e al Palazzo dello sport a Roma, alla sala delle conferenze del palazzo dell’UNESCO a Parigi, alla cartiera Burgo a Mantova. Oltre alla progettazione strutturale del grattacielo Pirelli a Milano tra le altre opere si ricordano: Stadio Flaminio; Palazzo del lavoro per l’Esposizione internazionale di Torino; ponte del Risorgimento a Verona; stazione per autolinee al ponte G. Washington di New York; aula delle udienze in Vaticano; Bureau international du travail a Ginevra.


02 1_Planimetria 2_Sezione pensilina 3_Sezione gradinata

project: Stadio “Artemio Franchi” typology: Stadio comunale architect: Pierluigi Nervi realization: 1930-1932 address: V.le Paoli/V.le Maratona

Descrizione dell’ opera

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Esteso su un’area di circa 50.000 m² compresa tra viale Manfredo Fanti, viale Pasquale Paoli e viale Maratona, lo stadio comunale “Artemio Franchi” si trova nel quartiere 2 di Firenze, detto “Campo di Marte”. L’impianto rappresenta la principale struttura di una serie di attrezzature sportive a servizio del quartiere e della città, come il Nelson Mandela Forum, la piscina comunale Paolo Costoli e lo stadio di atletica leggera Luigi Ridolfi, strutture che costituiscono il polo sportivo fiorentino. Il quartiere si propone come un grande spazio aperto e verde, all’interno della ordinata maglia delle costruzioni residenziali realizzate negli anni tra le due guerre. In occasione dei Mondiali di Calcio del 1990, accanto agli interventi di riordinamento estetico-funzionale dello stadio, grande attenzione è stata rivolta alla sistemazione delle zone limitrofe per quanto riguarda l’arredo, la viabilità e i giardini pubblici, costruendo inoltre nuovi parcheggi. Lo stadio “Artemio Franchi” fu il felice risultato di un appalto-concorso indetto dal Comune di Firenze. La struttura, situata nel quartiere di Campo di Marte e costruita tra il 1930 e il 1932 è ricca di elementi innovativi e avveniristici per l’epoca, come la pensilina priva di sostegni intermedi, le scale elicoidali e la torre di Maratona. A causa delle difficoltà nell’ottenenimento dei finanziamenti richiesti, lo stadio fu realizzato in due fasi distinte tra il 1930 e il 1932, facendo in modo di avere un impianto funzionale il prima possibile qualora non fossero ancora state completate tutte le strutture. L’ingresso principale, progettato dall’architetto comunale Alessandro Giuntoli, è costituito da un corpo di fabbrica allungato e sviluppato per l’intera lunghezza della tribuna coperta rivolta all’interno. Il settore centrale della facciata, sopra il quale svetta il nome dell’impianto, è ripartito da sei setti murari in cinque settori, all’interno dei quali si aprono le

alte cancellate, non più utilizzate come accessi. Le ali sono scandite da nove finestre ciascuna, separate da paraste lisce impostate al di sopra di una zoccolatura in pietra forte, che le raccorda con i pilastri dell’ingresso d’onore. L’uso di strutture a vista, inoltre, sottolineava quale fosse l’idea di arte di Nervi, “non solo estetica” ma anche “funzionalità e staticità”, e la sua fiducia nelle “magnifiche qualità plastiche del cemento armato”. Il fabbricato, il cui stile segue l’architettura razionalista dell’epoca, è stato collegato, negli anni 2000, tramite passaggi aerei metallici a sezione circolare, a due nuovi fabbricati laterali a struttura prefabbricata, destinati a servizi vari e a spogliatoi; le sole interruzioni all’uniforme scheletro della costruzione, a eccezione dell’ingresso principale, sono le scale elicoidali. Le tre scale elicoidali esterne, che permettono tuttora l’accesso del pubblico, si trovano alle estremità del rettifilo delle gradinate scoperte. La loro rampa sporge come una mensola da una trave avvolta a spirale, che si incrocia in mezzeria con una trave simmetrica; questa soluzione, oltre a rendere bilanciata l’opera, riduce l’azione torcente che la rampa genera sulla trave elicoidale. All’interno, lo stadio presenta una planimetria asimmetrica, a forma di “D”, con le estremità del settore della tribuna coperta che formano un angolo retto con le curve, per una precisa esigenza del bando di gara, un rettilineo di 220 metri per l’atletica leggera di fronte alla tribuna coperta. La torre di Maratona si sviluppa secondo la proiezione telescopica di semplici linee architettoniche che compongono una costruzione a tre piani, la cui verticalità si doveva contrapporre all’orizzontalità volumetrica della tribuna. La porzione anteriore della struttura è pausata da alcuni livelli che racchiudono finestroni in vetro bianco che si sviluppano per tutta l’altezza della torre, illuminando lo stadio nelle partite in notturna.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_galleria di testa 2_biglietteria 3_vista aerea del fabbricato viaggiatori 4_piazzale esterno e fronte principale 5_particolare degli arredi_panchina e poggia bagagli 6_particolare degli arredi_orologio di Nello Baroni sul fronte principale 7_pensiline lungo i binari 8_arrivo dei veicoli e particolare dei lucernari

project: Fabbricato viaggiatori typology: Stazione ferroviaria architect: Gruppo Toscano realization: 1932-1934 address: Piazza Stazione

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www.cultura.toscana.it http://opac.comune.firenze.it/easyweb/dis/campi.html http://www.palazzospinelli.org/architetture - P. Berti, V. Savi-La Nuova stazione di Firenze, Struttura e Architettura-Firenze-EDIFIR - Klaus Koening-Architettura in Toscana 1931-1968-Torino-ERI

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Il Gruppo Toscano è il gruppo di architetti che firmò il progetto e la realizzazione della stazione di Santa Maria Novella a Firenze. Era composto da Giovanni Michelucci, Pier Niccolò Berardi, Nello Baroni, Italo Gamberini, Sarre Guarnieri e Leonardo Lusanna. Il Gruppo cooperò quindi dal 1931 al 1934, per poi sciogliersi, salvo restare un collegamento informale tra gli architetti, che si consultarono reciprocamente in opere successive, come la palazzina Reale di Santa Maria Novella, firmata dal solo Michelucci. La storia della stazione di Firenze comincia con il malcontento fiorentino per il progetto dell’architetto Mazzoni che le Ferrovie dello Stato avrebbero voluto “regalare” a Firenze. Ricevuto l’incarico agli inizi del 1930, il Mazzoni aveva presentato il grande plastico in gesso nel Maggio del 1931. La critica ha completamente “bocciato” il progetto e il 25 agosto 1932, su tutti i quotidiani, appare il bando di concorso per la nuova stazione di Firenze in scadenza il 30 novembre. Il 26 novembre del 1932 Italo Gamberini discuteva la sua tesi di laurea in architettura sulla Stazione di Santa Maria Novella. Poco tempo prima della laurea di Gamberini, Michelucci riunì attorno a sè il suo assistente Berardi ed i laureandi Baroni, Gamberini, Guarnieri e Lusanna, per realizzare un progetto per la Triennale. All’ultimo momento però mancarono i fondi e il gruppo appena formatosi decise di partecipare al concorso della stazione, portando avanti il lavoro già svolto da Gamberini, dal momento che la scadenza era stata proprogata di un mese. La commissione giudicatrice del concorso si riunì il 17 e 18 febbraio 1933. Già il giorno successivo cominciarono a trapelare le prime notizie della affermazione del Gruppo Toscano.


03 1_planimetria del fabbricato viaggiatori 2_prospetto su via Alemanni (da Archivio Storico del Comune di Firenze) 3_prospetto su via Valfonda (da Archivio Storico del Comune di Firenze) 4_particolare del fronte principale

project: Fabbricato viaggiatori typology: Stazione ferroviaria architect: Gruppo Toscano realization: 1932-1934 address: Piazza Stazione

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Al di là delle etichette stilistiche che all’opera sono state date - lo stesso Michelucci ha dichiarato che la stazione non è un’opera dell’architettura razionale, ma naque “in massima libertà, da tendenze diverse, con vari contributi che non rispecchiano un unico stile” (“La Nazione, 2 aprile 1983) - e al di là del “filologismo attributivo” e delle citazioni formali che vi si potrebbero riconoscere è importante sottolineare il significato dell’edificio nel panorama specificatamente cittadino, era “quello di una straordinaria fioritura che il deserto architettonico fiorentino non sembrava lasciar sperare”. L’edificio della stazione si confronta in primo luogo con l’illustre architettura del fronte posteriore di S. Maria Novella. La ravvicinata presenza del monumento fu uno dei principali motivi di polemica all’epoca della costruzione, ritenendo le critiche impossibile un dialogo tra la nuova architettura “razionalista” e le antiche forme gotiche. La accentuata orizzontalità fa sì che il Fabbricato Viaggiatori non rivaleggi con il monumento, ma si ponga con funzione e aspetto di termine, di limite, per lasciare prevalere incontrastato nella sua espressione monumentale l’abside della chiesa. La stazione di Firenze si configura infatti come un lungo blocco compatto caratterizzato da una accentuata orizzontalità. Tale caratteristica è esaltata dai ricorsi leggermente sporgenti del rivestimento in pietra forte, coronato dalla cornice modanata, e dalla lastra bidimensionale della pensilina che, a protezione del marciapiede di facciata, si prolunga dall’avancorpo della galleria degli arrivi fino alla metà del fonte laterale, dissimulando con la sua larga linea d’ombra le alte finestrature del salone ristorante al pian terreno sul fronte sulla piazza e aumentando su Via Valfonda il suo aggetto per divenire il grande portico del traffico dei passeggeri in partenza, sostenuto da pilastroni rivestiti in travertino e illuminato da ampi lucernari.

Se l’orizzontalità della composizione volumetrica fu voluta per evitare il conflitto con il verticalismo dell’abside di S. Maria Novella, la scelta della pietra tradizionale fiorentina per il rivestimento serviva ad integrare l’edificio al tessuto circostante e, caratterizzandolo come una “parete”, informarlo “a quello spirito di chiara, calma, netta staticità tutto proprio dell’architettura fiorentina”. La compattezza materica del fronte sulla piazza è interrotta dalla grande vetrata bordata in ferro, divenuta simbolo della stazione stessa, che come una caduta d’acqua scende lungo il fronte e prosegue sulla galleria dei veicoli. Alla essenzialità del trattamento degli esterni si oppone la ricchezza dei materiali utilizzati all’interno, dove la policromia dei marmi, vetri e metalli tocca anche le parti più strettamente ‘funzionali’. La ricchezza dei materiali si affianca alla raffinatezza del design degli arredi - purtroppo quasi del tutto scomparsi - e dei particolari funzionali: le panchine e i portapacchi in bronzo ancorati ai pilastri centrali delle pensiline, fasciati nella parte inferiore da salvaurti di bronzo; gli orologi elettrici, tra cui quello esterno a pianta triangolare, disegnati da Nello Baroni; la grafica delle scritte in bronzo sulla parete di testa, la sequenza continua dei pannelli fotografici d’epoca - attualmente non più in loco - con le vedute delle città d’Italia; gli sportelli in cristallo e bronzo delle biglietterie ecc. L’estrema cura del dettaglio, insieme al perfetto impianto distributivo, garantiscono alla stazione la “resistenza” non solo “all’invecchiamento funzionale” ma soprattutto “all’invecchiamento estetico” facendone una espressione artistica “raggiunta e stabile”.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_vista dal piano del ferro del fronte su via delle Ghiacciaie 2_vista del sistema di camini con scala (foto del 1934) 3_vista dai binari della cabina apparati 4_vista dai binari della centrale termica 5_vista dell’esterno su via delle Ghiacciaie (foto del 1984) 6_interno della sala cadaie (foto del 2012) 7_interno della sala caldaie (foto del 1935) 8_foto dell’esterno su via delle Ghiacciaie

project: Centrale termica typology: Edificio industriale architect: Angiolo Mazzoni realization: 1932-1934 address: Via delle Ghiacciaie

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www.arvha.org http://opac.comune.firenze.it/easyweb/dis/campi.html Quaderni di Architettura-Angiolo Mazzoni: Architetto Ingegnere del Ministero delle Comunicazioni-Milano-Skira-pp.125-133 Klaus Koening-Architettura in Toscana 1931-1968-Torino-ERI

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Angiolo Mazzoni (Bologna 1894 - Roma, 1979) Estremamente eclettico nell’espressione progettuale, Mazzoni operò durante buona parte della sua attività professionale come ingegnere capo per le Ferrovie dello Stato, realizzando significativi interventi in tale ambito nelle maggiori città italiane: Firenze, Messina, Milano, Roma nonché numerosi edifici pubblici, tra i quali spiccano gli edifici postali di Grosseto, Sabaudia, Latina, Ostia, Palermo e Trento. Durante la sua formazione romana risentì dell’insegnamento di Vincenzo Fasolo e di Gustavo Giovannoni, che ne indirizzò sin dagli anni giovanili l’attenzione verso le architetture di Josef Hoffmann e Joseph Maria Olbrich. Il notevole grado di sperimentazione che caratterizza l’opera complessiva di Mazzoni rende difficile ridurre ad un unico comune denominatore il suo linguaggio. Lo testimonia la varietà stilistica cui sono improntate alcune delle sue opera più significative, come la Colonia di Calambrone presso Pisa, futurista, l’edificio postale di Pola, razionalista, o la Centrale termica della Stazione ferroviaria di Firenze, costruttivista. L’ostinata, pubblica adesione al fascismo da parte di Mazzoni (non rinnegata neanche dopo la seconda guerra mondiale, a costo di esiliarsi volontariamente in Colombia dal dopoguerra sino al 1963) è costata gravi sacrifici all’architetto ed ha reso problematico per lunghi decenni, nell’ambito della critica architettonica italiana, il pieno riconoscimento tvvecnico ed artistico dovuto ad un autore di primissima importanza non solo per l’eccezionale abbondanza della sua produzione, ma anche per la sua straordinaria qualità, testimoniata ad abundantiam dall’efficienza con la quale numerosi edifici pubblici realizzati da Angiolo Mazzoni restano ancor oggi in funzione soddisfacendo gran parte delle esigenze per le quali erano stati originariamente concepiti.


04 1_schema dei percorsi della cabina apparati 2_sezione trasversale 3_sezioni longitudinali della centrale termica

project: Centrale termica e Cabina apparati typology: Edificio industriale architect: Angiolo Mazzoni realization: 1932-1934 address: Via delle Ghiacciaie

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L’immagine architettonica della centrale termica e la sua modernità sono in buona parte legate agli svettanti e aerei elementi in ferro, di per sè essenza di quegli attributi macchinistici e tecnologici nei quali risiede uno dei temi fondanti dell’estetica futurista. Mazzoni è ben consapevole dell’importanza di tali elementi all’interno del progetto e della necessità di gestire con attenzione il passaggio dall’idea alla realizzazione: tale attenzione è testimoniata dalle numerose avvertenze contenute nella corrispondenza intercorsa tra il Ministero delle Comunicazioni e la Sezione speciale lavori delle ferrovie, dove costantemente si ricorda il “grande valore architettonico” del sistema camini-passerella-scala. L’idea dei camini metallici è presente sin dalle fasi germinali del progetto; l’immagine complessiva dei camini collegati da una passerella e da una scala a chiocciola è invece sucessiva. Quanto alla novità di tali temi e della loro composizione, se da una parte è senz’altro valido il rimando alle avanguardie russe e tedesche proposto da Forti e Godoli, così come quello alla predilezione futurista per la bellezza delle macchine, dei metalli e delle “tensistrutture”, dall’altra è evidente l’attenzione di Mazzoni sia a quanto sino ad allora realizzato in campo ferroviario e navale sia alla manualistica di settore. Il corpo principale della Centrale termica è caratterizzato, su via delle Ghiacciaie, da un parallelepipedo solcato, sul fronte strada, da finestrature a nastro, al quale si ammorsano sulla destra la muratura di protezione dello scarico del carbone e la “L” del ponte che costituisce la spina dorsale di questo nucleo. Su tutto svettano le scale a chiocciola ed i quatto camini raccordati in sommità dalla passerella. Su via Cittadella due volumi di uguale altezza si distinguono per lo scarto dal fronte stradale ed il trattamento della muratura: interamente vetrata quella del vano scala, scandita da finestre rettangolari e da un balcone all’ultimo livello quella del corpo uffici.

Il progetto originale dell’edificio della Centrale Termica viene integrato ed in parte variato quando le Ferrovie dello Stato decidono di realizzare accanto alla Centrale Termica l’edificio della Cabina Apparati imponendo tra l’altro un delicato problema di raccordo fra i due corpi di fabbrica che si attestavano su due diversi fili stradali. Il raccordo è realizzato dalla cerniera del corpo cilindrico che segnala e ricompone tale scarto direzionale. In realtà tale elemento cerniera, non era previsto nell’originario progetto e fu deciso dallo stesso Mazzoni per nascondere una struttura a pilastri risultata necessaria in corso d’opera. Su via delle Ghiacciaie, su cui si apre l’ingresso rialzato di sei gradini, l’edificio della Cabina Apparati presenta una alta fascia basamentale (fino alla quota dei binari), realizzata in mattoni e travertino oltre la quale si distende la muratura intonacata, ritmata da una serie di quattro finestre di forma e in numero differente su ciascuno dei quattro livelli. La testata semicircolare è dotata di quattro ampie finestrature sui due livelli inferiori e della grande vetrata in aggetto all’ultimo livello che, in coerenza con le funzioni della sala manovre, comprende l’intera parete. Il forte sbalzo della copertura, che inizia già dalla testata semicircolare e prosegue per tutto il fronte sul lato binari, conclude la costruzione e ne determina una ulteriore, potente caratterizzazione. L’edificio della centrale Termica, che è stato definito un gigantesco pezzo di “industrial design, ha l’immagine di una macchina colossale che corrisponde precisamente a quella che era la sua funzione: bruciare carbone per fornire il vapore necessario a riscaldare i locali della stazione e i vagoni viaggiatori in attesa, perché, fino all’avvento degli elettrotreni, la temperatura dei convogli era affidata ai cosidetti “carri riscaldatori” che, posti dietro il locomotore, entravano in funzione solo alla partenza.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_entrata su via Valfonda 2_particolare dell’entrata da via Valfonda 3_vista prospettica da via Valfonda 4_pianta piano terra 5_particolare scale interne 6_Giovanni Michelucci 7_particolare della facciata su via Valfonda 8_disegno facciata su via Valfonda

project: Palazzina Reale Stazione SMN typology: padiglione per i Sovrani architect: Giovanni Michelucci realization: 1934-1935 address: via Valfonda

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PACINI, R., 1936, La stazione di Firenze S. Maria Novella, “Architettura”, aprile CERASI, M., 1968, Michelucci PAGANI, C., 1984, La stazione di S. Maria Novella, in Tre architetture degli anni trenta a Firenze, Catalogo della mostra

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Considerato tra i maggiori esponenti del razionalismo italiano, aderì al movimento con notevole libertà espressiva e con un vivo senso dei valori storici e costruttivi tradizionali. Realizzò la sua prima opera sotto le armi: una cappella costruita nel 1916 sul fronte, a Caporetto. La stazione di S.M.N a Firenze (1933-36, in collaborazione) ebbero grande risonanza nel chiuso ambiente dell’architettura italiana dell’epoca. La chiesa di S. Giovanni Battista sull’Autostrada del Sole presso Firenze (196364), segna un vertice nel discorso architettonico di Michelucci, volto con quest’opera a realizzare una più intensa espressività attraverso l’uso del cemento armato. In seguito ha approfondito sempre più i valori espressivi del segno progettuale e dei materiali; si ricordano la realizzazione del palazzo delle Poste e Telegrafi a Firenze (1969-75), la sistemazione intorno alla sede della banca del Monte dei Paschi a Colle Val d’Elsa (Siena), una delle costruzioni più memorabili, progettata dal 1973 al 1978. Michelucci realizzò, inoltre, la ristrutturazione del quartiere di S. Croce a Firenze (1969), le straordinarie invenzioni per un Memoriale michelangiolesco sulle Alpi Apuane (1974), l’ospedale di S. Bartolomeo a Sarzana (La Spezia), nonché il progetto per il complesso teatrale di Olbia (che gli era stato affidato nel 1989).


05 1_pianta piano terra 2_dettaglio prospetto fronte 3_disegno facciata su via Valfonda

project:Palazzina Reale Stazione SMN typology: padiglione per i Sovrani architect: Giovanni Michelucci realization: 1934-1935 address: via Valfonda, Firenze

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Prevista nel progetto di concorso del 1932 per il Fabbricato Viaggiatori della Stazione di Firenze redatto dal “Gruppo Toscano”, la Palazzina venne radicalmente riprogettata nelle forme attuali nel 1934. Destinata alla sosta e alla residenza temporanea del Re e della corte, l’edificio, la cui architettura “in stile” appare “lontana dal fluido razionalismo del Fabbricato Viaggiatori”, si caratterizza per la preziosità dei materiali di rivestimento, la ricercatezza dei particolari e delle finiture. La palazzina Reale è dovuta interamente al disegno di Michelucci. Si sviluppa su una pianta quadrata, organizzata all’interno attorno al salone reale, racchiuso tra due vestiboli sui lati lunghi e circondato sui lati opposti dalla saletta particolare del re e dalla saletta dei ministri, con i relativi servizi. L’acceso alla Palazzina è consentito sia direttamente dal marciapiede dei binari tramite un cortile pilastrato, a sua volta collegato ortogonalmente con i binari tramite una galleria di passaggio illuminata da due file di ampie finestrature. Su lato verso via Valfonda la Palazzina è preceduta da una esedra destinata originariamente alle manovre degli automezzi davanti al portico d’ingresso, circoscritta da un muro ritmato da paraste. In questo spazio si disegna una lunga vasca, nella quale si rispecchia il gruppo statuario dell’Arno e la sua valle, opera di Italo Griselli, addossato al settore ‘pieno’ del portico d’onore. Le pavimentazioni della galleria di passaggio e del portico d’onore sono in serpentino verde delle Alpi, mentre le pareti ripetono il totale rivestimento in marmo Fior di

Pesco carnico su cui risaltano le cornici in massello di marmo bianco di Carrara delle finestrature, della vetrata di accesso alla saletta interna e del davanzale modanato delle aperture del primo piano. Il vestibolo d’onore, aperto sul lato dei binari con tre grandi vetrate con infissi di legno, presenta pavimenti in marmo rosso di Levanto, pareti in stucco romano e rivestimenti in noce ed è arricchito da due bassorilievi in stucco con un episodio dell’assedio di Firenze, opera di Mario Moschi, e un momento della costruzione della cupola brunelleschiana, di Giannetto Mannucci. Le vetrate di comunicazione con i due vestiboli sono incorniciate in marmo bianco apuano. Dal vestibolo d’uscita, che presenta finiture identiche a quello d’onore, si diparte la scala di comunicazione con il piano superiore, con gradini in marmo statuario e marmo pavonazzo d’Arni per il rivestimento e il corrimano. La stessa cura si riscontra nel trattamento delle salette riservate, di cui quella già dei ministri attualmente adibita ad uffici FF.SS.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_vista del ponte lato ovest 2_vista del ponte in ferro costruito dagli americani 3_vista del ponte lato est 4_fase del disarmo della centina 5_vista semi arco lato ovest 6_vista semiarco lato ovest 7_vista del ponte lato est 8_vista del ponte lato ovest dalla torre

project: Ponte S. Niccolò typology: Ponte ad arco architect: Riccardo Morandi realization: 1948-1949 address: lungarno del Tempio/lungarno Ferrucci

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Giuseppe Imbesi, Maurizio Morandi, Francesco Moschini-Riccardo Morandi_Innovazione tecnologia progetto- edizione del 1995-Roma-Gangemi Editore www.uniroma2.it/didattica/AT22/deposito/5a_riccardomorandi.pdf http://archivistorici.comune.fi.it http://www.comune.fi.it/archivio storico

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Riccardo Morandi, nasce a Roma nel 1902 e vi muore nel 1989, è stato uno dei più grandi ingegneri italiani che ha lasciato moltissime testimonianze della sua attività. Ha iniziato la sua attività in Calabria, negli anni venti, con la progettazione di strutture in cemento armato per le località allora terremotate. Tornò poi a Roma continuando lo studio dei problemi tecnici connessi a questo tipo di struttura ricca di promesse e di avvenire. Legato al fiorente filone del “Razionalismo costruttivo” aperto dall’ingegneria ottocentesca, la sua figura di progettista rappresenta una concreta esemplificazione metodologica di quella ricerca di integrazione tra funzione, costruzione e immagine che rappresenta, da sempre, l’obiettivo ideale di ogni architettura. La grande occasione di Morandi venne a guerra conclusa con la ricostruzione nazionale che lo vide tra i più propositivi realizzatori, specialmente nel tema del ponte, su cui aveva continuato a lavorare, e che egli sviluppò gradualmente in forme nuove e personali e che contribuì non poco a conquistargli un indiscusso riconoscimento internazionale. Fra il 1930 e il 1950 si può collocare il periodo di formazione della personalità progettuale di Morandi, passando progressivamente da edifici civili e industriali alle grandi strutture e ai ponti. Morandi era consapevole di operare non solo nel campo dell’ingegneria ma anche nell’ambito dell’architettura, egli stesso afferma in un conferenza tenuta nel 1975 ”Il principale scopo della mia ricerca è sempre stato il raggiungimento dei migliori risultati sia dal punto di vista stilistico che da quello tecnico , sempre applicando i più moderni procedimenti dell’arte del costruire , alla quale io credo di aver contribuito con qualche idea originale.”


06 1_planimetria 2_sezione longitudinale 3_pianta/prospetto/sezione da monte verso valle

project: Ponte S. Niccolò typology: Ponte ad arco architect: Riccardo Morandi realization: 1948-1949 address: lungarno del Tempio/lungarno Ferrucci

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Fu costruito tra il 1836 e il 1837 dalla ditta francese Il grande arco, è stato realizzato in cemeto armato a tipo Séguin, esperta nella costruzione di ponti metallici, tra- cellulare. La sua linea non ingombra con pesanti pile volto dall’alluvione del 1844, venne ricostruito nel 1853 l’alveo del fiume, consentendone una completa visuale. e ancora modificato nel 1890, fu poi chiuso al traffico pesante nel 1935 in considerazione delle sue precarie condizioni di stabilità, venne poi minato e distrutto dalle truppe tedesche in ritirata la notte del 3 agosto 1944. L’Amministrazione Militare Alleata provvide a realizzare un Baley Bridge, a struttura metallica portante provvisoria, che funzionò fino al 1948, quando il Ministero dei Lavori Pubblici bandì un pubblico concorso per la costruzione di un ponte in muratura. Il concorso fu vinto dalla Società S.P.E.R. di Roma con un progetto dell’ingegnere Riccardo Morandi, che prevedeva un’unica campata di circa 90 metri di luce per una lunghezza totale di 132 m, con una carreggiata di 16 metri affiancata da due marciapiedi di 2 metri e cinquanta. Il grande arco, di cemento armato a tipo cellulare, ha lo spessore in chiave di m 1,32 e, all’imposto, di m. 3,50. Il parapetto, formato da tanti finissimi pilastrini, venne subito chiamato dai fiorentini “chiusura lampo”. Morandi tenta di fondare storicamente il proprio progetto : il ponte San Niccolò, in sostituzione dell’opera originaria distrutta dai bombardamenti e provvisoriamente sostituita da un ponte in ferro costruito dagli americani, ripropone la soluzione a lui cara del ponte ad arco ribassato di Hennebique, realizzando tuttavia l’arco a timpani irrigidenti per ragioni di economia. L’immagine si vuole essenziale, quasi solamente un segno che non intende introdurre nuovi valori formali in un contesto già fortemente caratterizzato. La nuova opera doveva essere disegnata con il più serio impegno di inserire tra le grandi opere del passato una dignitosa opera moderna.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Interno studio 2_Prospetto 3_Prospetto Nord 4_Vista generale 5_Vista generale 6_Interno studio pittura 7_Facciata 8_Interno studio

project: Casa-Studio Ricci typology: Casa unifamiliare architect: Leonardo Ricci realization: 1950-1964 address: Via Monterinaldi

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http://www.edueda.net

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Leonardo Ricci nasce nel 1918 a Roma, secondo di quattro figli dell’ingegner Raniero Ricci e Giuditta De Giorgi. Fin da piccolo dimostra una vocazione per la pittura e per la scenografia teatrale. L’ adolescenza è segnata da trasferimenti in varie città tra cui Roma, Torino, Venezia e Firenze dove il padre è chiamato per motivi di lavoro. Termina gli studi classici presso il Liceo Michelangelo di Firenze nel 1936, e nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Architettura dove, sotto la guida di Michelucci che lo seguirà fino alla laurea nel 1942. Si distingue come uno degli allievi più dotati del maestro che lo avvia alla professione come assistente nel proprio studio dove lavora fino al 1946. Negli anni ’50 si dedica alla stesura di Anonymus(20° Century),sorta di testimonianza che avrà una notevole risonanza, specialmente negli Stati Uniti. Nell’ immediato dopoguerra esordisce nella professione insieme a Giorgio Gori e Leonardo Savioli, conosciuti durante gli studi universitari. Nel 1948, a soli trent’anni, Ricci vince, con altri tra cui Leonardo Savioli (1917-81), il concorso per il Mercato dei fiori di Pescia (1948-51), che gli vale una meritata fama internazionale. Comincia a progettare nel 1962 il piano del villaggio “Monte degli Ulivi” a Riesi, Caltanisetta. Si dedica in seguito all’ideazione di megastrutture, un percorso di sperimentazione inteso complessivamente come un “work in progress” che si concretizzerà definitivamente nel quartiere di Sorgane a Firenze, in collaborazione con altri architetti tra cui Canali, Milanese, Cencetti e altri, esperienza che si concluderà soltanto nel 1982. Dopo aver dato le dimissioni dall’Università di Firenze ha un periodo di stasi che però si interrompe con la costruzione del Palazzo di Giustizia di Savona nella seconda metà degli anni Ottanta. Muore a Venezia il 29 settembre 1994.


07 1_Vista dalla collina 2_Dettaglio piscina 3_Facciata

project: Casa-Studio Ricci typology: Casa unifamiliare architect: Leonardo Ricci realization: 1950-1964 address: Via Monterinaldi

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Ubicata sulla parte alta della collina in prossimità delle due cave da cui venne estratta la pietra per muri e lastrici, la casa-studio del pittore-architetto presenta un impianto molto articolato e dinamico che dipende in prima istanza dall’integrazione organica dell’architettura al sito, tenendo conto delle irregolarità, dei dislivelli, delle vedute panoramiche, di modo che i vari corpi di fabbrica che la compongono sono disposti su terrazzamenti, fruibili come una sorta di giardini pensili ma sistemati molto semplicemente (zone prative, alberi di varie specie, area della piscina). La particolare morfologia di questo episodio è anche l’esito di ampliamenti e modifiche che la casa-studio ha subito nel tempo. Gli elaborati grafici documentano tre fasi progettuali, la prima delle quali si distingue per l’articolazione rigorosamente simmetrica di due fronti: il prospetto vetrato dell’ala nord-occidentale (corrispondente all’appartamento degli ospiti a pianterreno e al soggiorno dei ragazzi al primo piano) e quello principale della zona giorno, che coniuga il classicismo dell’impianto con il razionalismo delle ampie vetrate e dei quattro pilastri. Nella seconda versione, elaborata nel 1949, a cui l’architetto fa riferimento per la realizzazione del nucleo originario, l’impostazione del progetto non cambiò sostanzialmente: le modifiche si concentrarono nella fronte dell’ala nord-occidentale che, pur mantenendosi simmetrica, ora ospitava due balconcini gemelli. Gli equilibri, le pacate armonie di queste soluzioni, riconducibili alla lezione di Michelucci (Baglione, 1999), contrastano decisamente con il brutalismo dei muri in pietra che qualificano il corpo turriforme del vano scala principale e il muro a feritoie, dalla composizione astratta - memore del linguaggio di Mondrian - che scherma il disimpegno tra la cucina-office, scavata nella roccia e priva di aperture all’esterno, il soggiorno-pranzo e la scala principale (Vasic Vatovec, 2000).

Nel 1952 la casa era già ultimata[1] ma ben presto Ricci, volendo acquisire nuovi ambienti, decise di introdurre modifiche e ampliamenti che comportarono il superamento dell’irriducibile dualismo linguistico della prima versione. Le componenti organiche del nucleo originario, conformi al genius loci (i muri in pietra, le asimmetrie, l’integrazione architettura-natura) vennero privilegiate e sviluppate. A stimolare questa decisiva svolta sul piano del linguaggio contribuirono senz’altro - nei termini già precisati- le suggestioni dell’opera di Wright (Koenig, 1959, 1968 e altre fonti) ampiamente pubblicizzata nel 1951 dalla celebre mostra fiorentina a Palazzo Strozzi (in occasione della quale Ricci conobbe personalmente il maestro americano[2]) e favorita anche dall’opportunità per l’architetto di una verifica diretta durante il primo viaggio del 1952 negli Stati Uniti. Di lì a poco, nel 1955, Ricci introdusse nella sua casa-studio sostanziali modifiche: la facciata del soggiorno dei ragazzi diventa asimmetrica eliminando un balconcino e chiudendo parte della vetrata con un muro in pietra; la fronte principale viene smantellata e radicalmente trasformata in concomitanza con la realizzazione del nuovo studio duplex, di architettura e pittura (poi solo di architettura), distanziato dalla parete di roccia della cava retrostante per ricavare uno “studio-soggiorno all’aperto”, particolarmente adatto nella stagione estiva (Baglione, 1999)


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_casa 2_casa, ingresso 3_casa, prospetto sud 4_studio, interno 5_studio 6_studio 7_dettaglio copertura 8_studio, giardino

project: Casa-studio Savioli typology: Casa unifamiliare architect: Leonardo Savioli realization: 1952-1970 address: via delle Romite, Galluzzo

Pier Carlo Santini - Ottagono - CO.P.IN.A. - 41/1976 - p.36/43 www.wikipedia.com www.flickr.com

Bibliografia

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Nasce a Firenze il 30 marzo 1917 e muore a Firenze l’11 maggio 1982. Superato l’esame di maturità classica, si iscrive alla facoltà di Architettura di Firenze e si laurea, nel febbraio 1941, discutendo con Giovanni Michelucci. Dopo la guerra visita Parigi insieme a Leonardo Ricci e, tornato a Firenze, inizia la professione lavorando con lo stesso Ricci e Giuseppe Gori fino al 1949. Da quest’anno in poi lavorerà, quasi sempre, in collaborazione con Danilo Santi. Nell’ambito dell’Istituto di Urbanistica lavora come assistente dei direttori che si succedono in oltre un decennio. Negli anni della Ricostruzione progetta ponti e piani regolatori, fra i quali il P.R.G. di Firenze (1949-1951). “Savioli è un architetto introverso [...], capace di passare una settimana intera per disegnare il dettaglio al vero di una cerniera”. (”Architettura in Toscana dal 1931 al 1968”, G.K. Koening). Differenzia attraverso le forme una ristretta varietà di spazi. Gli appartamenti di Savioli non si differenziano molto dai normali schemi adottati dall’INA-casa ma traspare una grande cura volta ad ottenere una composizione in cui gli elementi verticali siano rigorosamente contrappuntati a quelli orizzontali. Nel tardo Savioli si ritrova una frammentazione dei volumi spinta all’estremo che egli concepisce con un metodo “costruttivista”.


08 1_pianta piano terra 2_pianta piano primo 3_sezione

project: Casa-studio Savioli typology: Casa unifamiliare architect: Leonardo Savioli realization: 1952-1970 address: via delle Romite, Galluzzo

Descrizione dell’opera

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La casa presenta una pianta rettangolare e una volumetria compatta, su due livelli ed a doppio volume, caratterizzata in facciata da una partitura intonacata e rigorosamente simmetrica e animata dal disassamento delle aperture. Per quanto concerne l’interno, questo è dominato dallo spazio centrale del soggiorno-studio, intorno al quale si distribuiscono la piccola cucina e gli angoli, separati semplicemente da mobili, del soggiorno, del salotto e dello studio di pittura: per quest’ultimo è stato creato un collegamento visivo e funzionale con il livello del doppio volume, concepito verso il soggiorno come un passaggio ligneo per l’esposizione e la visione da basso dei quadri. Una semplice scala in legno senza corrimano (addossata alla parete lapidea) conduce al piano superiore dove sono situati il bagno e la camera, ambedue con ampie finestre sulla Certosa. Lo studio, anch’esso a pianta rettangolare e a volumetria compatta, si articola su di un unico livello e è qualificato all’interno dal fluire ininterrotto degli ambienti. Il fronte a valle è caratterizzato da una cortina in cemento faccia vista dalla quale emergono i plastici riquadri della panca basamentale, della porta, delle finestre e dei gocciolatoi e i tagli delle aperture e delle feritoie rettangolari. Particolarmente riuscito il soffitto in cemento, segnato dai serrati ricorsi delle casseforme, e la soluzione dei due pilastri la cui testa col solaio è caratterizzata da una cerniera metallica tinteggiata in rosso. Il grande vano dello studio è organizzato longitudinalmente, grazie a dislivelli, su due diverse quote e è scandito ritmicamente dall presenza dei pilastri e del blocco dei servizi, reso come uno stereometrica cortina di cemento.

Elemento dominante del nuovo intervento a è l’uso incondizionato del cemento. L’edificio suscitò un’immediata attenzione da parte della critica, sia per quanto concerne il nucleo dell’abitazione, frutto dell’esperienza del Movimento Moderno, che quello dello studio.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_sala espositiva 2_interno della sala per il pubblico 3_facciata del palazzo 4_pianta piano terra 5_scale interne 6_Giovanni Michelucci 7_salone per il pubblico della Sede centrale della Cassa di risparmio 8_prospetto facciata su via Bufalini

project: Sede centrale della Cassa di Risparmio typology: edificio per uffici architect: Giovanni Michelucci realization: 1953-1957 address: via Bufalini

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Isotta E., Sulla Cassa di Risparmio di Michelucci, in “L’Architettura Cronache e Storia”, n. 31, 1958 Lugli L., La Cassa di Risparmio di Firenze, in “L’architettura Cronache e Storia”, n. 31, 1958 Koenig G. K., Architettura in Toscana 1931-1968, Torino, Eri, 1968

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Considerato tra i maggiori esponenti del razionalismo italiano, aderì al movimento con notevole libertà espressiva e con un vivo senso dei valori storici e costruttivi tradizionali. Realizzò la sua prima opera sotto le armi: una cappella costruita nel 1916 sul fronte, a Caporetto. La stazione di S.M.N a Firenze (1933-36, in collaborazione) ebbero grande risonanza nel chiuso ambiente dell’architettura italiana dell’epoca. La chiesa di S. Giovanni Battista sull’Autostrada del Sole presso Firenze (196364), segna un vertice nel discorso architettonico di Michelucci, volto con quest’opera a realizzare una più intensa espressività attraverso l’uso del cemento armato. In seguito ha approfondito sempre più i valori espressivi del segno progettuale e dei materiali; si ricordano la realizzazione del palazzo delle Poste e Telegrafi a Firenze (1969-75), la sistemazione intorno alla sede della banca del Monte dei Paschi a Colle Val d’Elsa (Siena), una delle costruzioni più memorabili, progettata dal 1973 al 1978. Michelucci realizzò, inoltre, la ristrutturazione del quartiere di S. Croce a Firenze (1969), le straordinarie invenzioni per un Memoriale michelangiolesco sulle Alpi Apuane (1974), l’ospedale di S. Bartolomeo a Sarzana (La Spezia), nonché il progetto per il complesso teatrale di Olbia (che gli era stato affidato nel 1989).


09 1_pianta piano terra 2_dettaglio porta d’ingresso 3_prospetto facciata su via Bufalini

project: Sede centrale della Cassa di Risparmio typology: edificio per uffici architect: Giovanni Michelucci realization: 1953-1957 address: via Bufalini

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A seguito del trasferimento della capitale a Firenze, la Cassa di Risparmio dovette abbandonare i locali al pian terreno del Palazzo Medici Riccardi e acquistò come nuova sede un palazzo nobiliare in via De’ Cresci, oggi via Bufalini, primo nucleo del complesso immobiliare di proprietà della Banca. La rapida crescita della Cassa rese necessaria una prima ristrutturazione del palazzo (1886 dall’architetto Pasquale Faldi) il quale trasformò radicalmente gli interni mantenendo integro soltanto il prospetto su via Bufalini. La forte crescita della Cassa rese nel frattempo indispensabile la costruzione di una nuova sede, per la quale nel 1953 l’arch. Michelucci venne incaricato di studiare il progetto di massima. Durante l’elaborazione del progetto, la facciata su via Bufalini costituì l’oggetto di un contenzioso con la locale Soprintendenza, che si oppose alla proposta avanzata da Michelucci di abbattimento e di sostituzione con un nuovo fronte fino ad imporre il mantenimento della cortina muraria esistente. L’edificio doveva comprendere un grande salone per il pubblico, la cassa cambiali, gli uffici, l’autorimessa e il caveau. La costruzione fu inaugurata il 29 settembre 1957. L’opera di Michelucci concretizzava un nuovo concetto di “banca”, non più chiusa e diffidente verso la città ma la continua comunicazione degli spazi interni ed esterni e degli interni fra loro. Assecondando l’andamento del lotto, l’edificio è costituito da un corpo rettangolare sviluppato in senso longitudi-

nale nel quale si individuano tre parti principali: un primo settore fronteggiante la via Bufalini, con l’atrio d’ingresso al pian terreno, lo scantinato e quattro piani superiori per gli uffici e il centralino telefonico; il grande corpo rettangolare che comprende, oltre l’autorimessa ed il caveau al piano interrato, il grande salone per il pubblico di m. 42,08x16,40 a sviluppato a doppia altezza, e un’ala di uffici con affaccio sul giardino interno, elevata su quattro piani fuori terra. La sala è contenuta da due imponenti telai longitudinali sui quali poggia la struttura portante di copertura, costituita da travi a V in lamiera d’acciaio, preferite, per rapidità di costruzione, a quelle in cemento armato precompresso originariamente previste da Michelucci. Va notata la varietà materica degli elementi interni: il legno noce chiaro degli infissi interni e delle ringhiere dei ballatoi, il ferro delle ringhiere delle scale, il cemento a vista, l’intonaco bianco dei tamponamenti, i marmo delle pavimentazioni e delle scale e la grande cura dei particolari nella realizzazione di uno spazio estremamente vivo e dinamico.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_sala 2, vista del telaio in ferro a supporto del crocifisso del Cimabue 2_vista sala 7, sala del primo Rinascimento 3_vista sala 2, sala del Duecento e di Giotto 4_sala 2, vista del telaio in ferro riadattato a supporto della Maestà 5_vista sala 2, sala del Duecento e di Giotto 6_sala 5-6, vista del lucernaio 7_vista sala 5-6 del Gotico Internazionale 8_vista sala 5-6 del Gotico Internazionale

project: Nuovo allestimento galleria degli Uffizi typology: Attrezzature museali e per esposizioni architect: I.Gardella, G.Michelucci, C.Scarpa realization: 1953-1955 address: Piazzale degli Uffizi

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A.Belluzzi, C.Conforti, Giovanni Michelucci: catalogo delle opere, Milano, Electa 1986 http://web.rete.toscana.it/cultura/architettura?command=showDettaglio&codice=200040&provincia=Firenze http://www.comune.fi.it/archivio storico

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Ignazio Gardella nato a Milano nel 1905, professore della facoltà di architettura di Venezia dal 1949. Laureatosi presso la facoltà di ingegneria del politecnico di Milano, iniziò a lavorare nell’ambito del gruppo che faceva capo alla rivista Casabella costruzioni, diretta da G. Pagano, portavoce delle istanze rinnovatrici promosse da una minoranza di giovani architetti impegnati. Le opere di quel periodo denunciano il tentativo di superare, mediante una qualificazione formale, il rigore programmatico delle enunciazioni polemiche del razionalismo italiano di quel tempo. Nel dopoguerra approfondisce i motivi della sua tematica in opere come la casa condominiale in Milano e la casa ad Alessandria per gli impiegati Borsalino, la Galleria d’arte moderna a Milano e, più recentemente, l’Ospedaletto pediatrico di Alessandria e la casa alle Zattere in Venezia oltre a molti arredamenti e sistemazioni museografiche. Carlo Scarpa nasce nel 1906 a Venezia, si forma presso l’Accademia di belle arti di Venezia, dove nel 1926 ottiene l’abilitazione in Disegno architettonico. Nello stesso anno inizia l’attività di insegnamento presso l’Istituto universitario di architettura di Venezia, di cui sarà direttore dal 1972. Notevoli e numerosi i suoi interventi architettonici; per i suoi interventi museografici ottiene il premio Olivetti (1956), il premio IN/ARCH (1962) e la medaglia d’oro per la cultura e l’arte del Ministero per la pubblica istruzione (1962). La sua opera è presentata in Italia e all’estero in importanti mostre personali. Muore in Giappone nel 1978. Giovanni Michelucci, grande protagonista della storia e del dibattito dell’architettura italiana del secolo scorso partecipa con grande passione ai temi fondamentali del dibattito sulla città con posizioni anticonformiste e sempre innovatrici.


10 1_planimetria 2_pianta secondo piano 3_pianta secondo piano con evidenziato il numero delle sale

project: Nuovo allestimento galleria degli Uffizi typology: Attrezzature museali e per esposizioni architect: I.Gardella, G.Michelucci, C.Scarpa realization: 1953-1955 address: Piazzale degli Uffizi

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L’intervento di nuovo allestimento di Gardella, Scarpa e Detti si colloca all’interno del più vasto rinnovamento della galleria degli Uffizi, avviato a partire dal 1946. Nel 1953, viene decisa la sistemazione delle prime 7 sale della galleria, dette dei Primitivi. I lavori, vedono l’assidua partecipazione dei tre al cantiere, non senza contrasti, dato il pressochè antitetico modus operandi di Scarpa e Michelucci, e un definirsi progressivo del progetto in corso d’opera: tale iter è testimoniato anche dalla quasi totale mancanza di elaborati grafici. Terminate alla fine del 1955, sono ufficialmente inaugurate 1956. Il criterio allestitivo è quello di creare un itinerario dinamico che annulli la percezione statica e assiale dell’impianto dell’800. Tale dinamizzazione è conseguita, oltre che con lo spostamento delle aperture di passaggio ai lati delle sale, tramite la creazione di suggestivi tagli verticali nella murature che permettono sia scorci sulla galleria e sulle sale contigue, sia inconsueti tagli sulle singole opere. Per quanto concerne l’ostensione delle opere, il criterio adottato è quello di operare per contrasti, utilizzando la scatola muraria come un supporto bidimensionale e astratto, laddove la superficie bianca diviene schermo ideale per mettere in risalto composizione e cromatismo delle opere. A tale astrazione corrisponde l’attento studio dell’illuminazione naturale, studiata in ogni sala in modo diverso, per ottenere sempre un soddisfacente effetto di luce diffusa che uniformi lo spazio evitando effetti di taglio; tale risultato è conseguito tramite la ridefinizione dei lucernari e delle luci, ritagliati nella copertura o in corrispondenza dell’imposta delle capriate. Procedendo secondo l’itinerario di visita, la galleria finestrata immette direttamente nel salone del ‘200: un vasto spazio a pianta rettangolare, caratterizzato dalla copertura a capriate lignee e assito a doghe di legno. Nella compatta scatola muraria, tre calibrati tagli verticali a tutta altezza; uno verso la galleria,

uno verso la sala del Gotico e uno verso quella del Lippi, a ideale collegamento storico tra gotico e rinascimento. La disposizione delle opere, sebbene variata, attesta la volontà di rarefazione e sospensione dei progettisti; il centrale crocifisso, posizionato su una base in pietra serena e ancorato a un telaio in ferro, strutture poi riadattate alla Maestà, è messo in relazione con le altre opere di Duccio e Giotto, semplicemente appese alla parete su mensole in ferro. A terra, il contatto tra muratura e pavimento in cotto è segnato da uno zoccolino distanziatore costituito da un profilato in ferro, che ricorre in tutte le 7 sale. In alto, un nastro vetrato segna il fronte sulla galleria, creando un’asola orizzontale di luce in corrispondenza dell’imposta della capriate lignee. Le tre porte presenti nella sala sono caratterizzate dalla presenza nello spessore dell’imbotte di una lastra di pietra serena, posta a protezione della muratura dal frequente passaggio; tale soluzione è riproposta anche nelle altre sale. Per quanto concerne l’illuminazione naturale, se le sale 2 e 8 sono caratterizzate dal taglio orizzontale in corrispondenza delle capriate, la 4 e la 5/6 sono caratterizzate da semplici lucernari centrali a 2 falde, mentre le sale 7 e 9 sono illuminate tramite ampie finestre caratterizzate da infissi metallici. Riguardo l’esposizione delle opere, le sale successive al salone del ‘200, alternano mensole in pietra serena, dal semplice profilo lineare o mistilineo, e supporti in ferro; particolarmente interessante la soluzione dei polittici, dove un pannello color neutro illustra al visitatore la composizione dell’insieme, dando atto dei pezzi mancanti e l’uso del fondale di diverso colore per la sala 5/6 studiato per mettere in risalto geometrie e colori delle opere; molto interessante anche la soluzione della sala del Pollaiolo, dove le singole tavole erano incernieriate su baionette metalliche così da poterle sfogliare e “leggere” sia fronte che retro.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Incisione in memoria di Amerigo Vespucci 2_vista sede carrabile direzione Via di Melegnano 3_targa ponte Amerigo Vespucci 4_vista ponte lato est dal lungarno Soderini 5_vista sede carrabile con spartitraffico 6_pila centrale rivestita in pietra forte 7_vista ponte lato ovest dal lungarno Vespucci 8_vista ponte lato est dal lungarno Soderini

project: Ponte Vespucci typology: Ponte a tre campate architects: G.Gori, E.Gori, E.Nelli, R.Morandi realization: 1955-1957 address: lungarno Vespucci/lungarno Soderini

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Giuseppe Imbesi, Maurizio Morandi, Francesco Moschini-Riccardo Morandi_Innovazione tecnologia progetto-edizione del 1995-Roma-Gangemi Editore pag 145-149 http://web.rete-toscana.it/cultura/architettura http://www.comune.fi.it/archivio storico http://www2.ordineingegneri.fi.it/documenti/notiziario/ProgGenApr10.pdf

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Gori Giuseppe Giorgio: nato a Parigi nel 1906, si stabilì a Firenze nel 1924 dove morì nel 1969, frequentò l’Istituto Superiore di Architettura, laureandosi nel 1934. Fu assistente di Giovanni Michelucci dal 1934 al 1943. Dal 1944 al 1953 insegnò alla facoltà di Architettura e dal 1966 ne fu preside succedendo al prof. Raffaello Fagnoni. Gori si impegnò tenacemente per il rinnovamento della facoltà di Architettura, presentando negli anni 1964-1966 un progetto di riforma del piano di studi, che fosse più attento al rapporto tra formazione culturale dell’architetto ed esercizio della professione, ricercando contatti concreti con la realtà esterna. Riccardo Morandi, nasce a Roma nel 1902 e vi muore nel 1989, è stato uno dei più grandi ingegneri italiani che ha lasciato moltissime testimonianze della sua attività. Ha iniziato la sua attività in Calabria,negli anni venti, con la progettazione di strutture in cemento armato per le località allora terremotate. Tornò poi a Roma continuando lo studio dei problemi tecnici connessi a questo tipo di struttura ricca di promesse e di avvenire. Legato al fiorente filone del“Razionalismo costruttivo” aperto dall’ingegneria ottocentesca, la sua figura di progettista rappresenta una concreta esemplificazione metodologica di quella ricerca di integrazione tra funzione, costruzione e immagine che rappresenta, da sempre, l’obiettivo ideale di ogni architettura. La grande occasione di Morandi venne a guerra conclusa con la ricostruzione nazionale che lo vide tra i più propositivi realizzatori, specialmente nel tema del ponte, su cui aveva continuato a lavorare, che egli sviluppò gradualmente in forme nuove e personali e che contribuì non poco a conquistargli un indiscusso riconoscimento internazionale.Fra il 1930 e il 1950 si può collocare il periodo di formazione della personalità progettuale di Morandi, passando progressivamente da edifici civili e industriali alle grandi strutture e ai ponti.


11 1_Planimetria generale 2_Prospetto/Pianta dell’impalcato e alla quota della sede carrabile 3_Dettaglio di una pila-Prospetto, sezione, piantaProspetto

project: Ponte Vespucci typology: Ponti a tre campate architects: G.Gori, E.Gori, E.Nelli, R.Morandi realization: 1955-1957 address: lungarno Vespucci/lungarno Soderini

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Uno dei ponti più moderni di Firenze unisce il Lungarno Amerigo Vespucci al Lungarno Sederini. Tra il 1952 e il 1954 si svolse un concorso per la costruzione del nuovo ponte, poi realizzato tra il 1955-1957 sul progetto vincente “Precompresso 4” degli architetti Giuseppe Giorgio Gori, Enzo Gori, Ernesto Nelli e ing. Riccardo Morandi Il ponte Vespucci viene generalmente considerato dalla critica come il felice esito di un concorso che poneva il difficile problema dell’invenzione di un’opera dalla marcata valenza tecnico-funzionale da localizzare, però, all’interno del centro storico fiorentino; il nuovo attraversamento è collocato, infatti, tra il ponte alla Carraia e il ponte alla Vittoria, in stretta prossimità dello storico ponte a S. Trinita. La difficile operazione deve la sua riuscita alla feconda confluenza di qualificati apporti culturali e professionali: se ai tre architetti del gruppo, fiorentini, deve riconoscersi la spiccata capacità di interpretazione del carattere urbano in senso non nostalgico, non si può trascurare la presenza dell’ing. Riccardo Morandi, figura che assumerà un alto rilievo nell’ingegneria italiana proprio per la sua vocazione alla sintesi tra intelligenza tecnico-costruttiva e coerenza stilistico-formale. Il nuovo trattamento formale del ponte conferisce alla struttura una sua fisionomia indipendente che promuove una tacita convivenza tra vecchio e nuovo restando come esemplare, unanime punto di riferimento per tutte le successive esperienze di inserimento di un’architettura moderna nel tessuto storico Il nuovo e particolare trattamento formale dell’opera consente un inserimento ottimale in un contesto già fortemente caratterizzato. L’equilibrio visivo esistente non viene infatti turbato da quello che appare come un nastro teso da una riva all’altra.

La sua spazialità non si rifà all’arco, che già si pone come elemento significante altro rispetto ai due lembi urbani da collegare, ma alla strada. Lungo 166m e largo 22,50 m, si articola in tre campate, ciascuna con luce di 54,3 metri, appoggiate su due pile centrali intermedie. La struttura, realizzata in cemento armato precompresso, si distingue tra le proposte, anche le più innovative del periodo, per la geniale soluzione costituita dall’accostamento dei telai, sfalsati sulle pile. I telai vengono incastrati sulle pile come pettini, scaricando perciò i carichi lungo una sola direttrice centrale e non su un doppio asse, come accade nella versione tradizionale con i telai attestati l’uno all’altro. Ciò consente di mantenere anche i sostegni nelle dimensioni contenute che si addicono a uno spessore dell’impalcato notevolmente ridotto, ottenuto grazie all’impiego del cemento armato precompresso. Un ulteriore accorgimento rafforza l’immagine del nastro: la curvatura sghemba che si infila sotto l’impalcato in corrispondenza della chiave dell’arco, alleggerisce il segno, facendogli assumere l’andamento di una linea filante, che non intende introdurre nuovi valori formali in un contesto così caratterizzato. La scelta dei materiali , cemento martellinato per le travi, rivestimento in pietra forte per le pile e bronzo per la balaustra , conferma il rigore del linguaggio complessivo che connota l’opera. Alla scala del dettaglio architettonico sono riservate le maggiori concessioni decorative, come lo spartitraffico, pensato come elemento costruito di verde e luce. Possiamo dire che il nuovo ponte si rivelò assolutamente innovativo per la linea, per le soluzioni strutturali, per le tecniche costruttive e per l’organizzazione del cantiere.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_fase di cantiere 2_fase di cantiere 3_vista del ponte lato est dal lungarno Serristori 4_vista del ponte lato est dal lungarno delle Grazie 5_immagine storica delle cappelle sul ponte 6_vista di una pila 7_vista di ponte alle Grazie con sullo sfondo Ponte Vecchio 8_vista del ponte lato est dal lungarno delle Grazie

project: Ponte alle Grazie typology: Ponte a cinque arcate architects: G.Michelucci, E.Detti, R.Gizdulich, D.Santi realization: 1957 address: lungarno delle grazie/lungarno Serristori

Pietro Salvini- Itormentati ponti di Firenze- Estratto da ”La Graticola” Anno III N 4-5 Aprile-Maggio 1975- Tipografia Giuntina- Pag 12 http://www.comune.fi.it/archivio storico http: // web.rete.toscana.it/cultura/architettura

Riccardo Gizdulich (Firenze,1908 - 1983) è stato un architetto, militare e partigiano italiano, di origini fiumane, che lavorò come funzionario presso la Soprintendenza ai monumenti.

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Edoardo Detti (Firenze, 1913 -1984). Si laurea nel 1940 alla facoltà di Architettura con Michelucci, col quale condivide le sue prime esperienze di insegnamento e di progettista. Membro del Comitato toscano di liberazione nazionale, partecipa prima alla guerra di liberazione nel 1943 e poi alla ricostruzione di Firenze, prendendo parte alla Commissione artistica per Firenze distrutta, alla Commissione urbanistica del comune di Firenze e alla Commissione del provveditorato alle opere pubbliche della Toscana.Nel 1946-1947 partecipa con Michelucci al concorso per il Ponte S. Niccolò.La sua partecipazione alla rinascita della città, che trascende l’aspetto progettuale per assumere i connotati dell’impegno sociale e politico, si esprime attraverso gli scritti sulle riviste «Città Nuova» e «La Nazione del popolo». Giovanni Michelucci (Pistoia, 1891 -Firenze, 1990). Nella sua vita attraversa, con un operare sempre teso all’apertura di nuovi linguaggi e proposte, la complessità di eventi, trasformazioni, idee che animano il ‘900. Le sue innovazioni nel linguaggio dell’architettura sono sempre avvenute in un dialogo profondo con la storia, con la storia della città antica, medioevale, rinascimentale, e con i nuovi bisogni dei cittadini. Le sue architetture hanno al centro le persone ed il loro vivere piuttosto che la ricerca della forma e l’ambizione formale del capolavoro. La città variabile, la città tenda, la città del dialogo sono tra pagine più belle del pensiero di Michelucci attento al disagio urbano, al ripensamento delle istituzioni totali, alla “non città”, al tessuto degradato e a quello marginale, ai confini della città.


12 1_planimetria 2_pianta 3_sezione particolare costruttivo

project: Ponte alle Grazie typology: Ponte a cinque arcate architects: G.Michelucci, E.Detti, R.Gizdulich, D.Santi realization: 1957 address: lungarno delle grazie/lungarno Serristori

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Nel 1957 fu inaugurato il nuovo Ponte alle Grazie, il quarto dei ponti della città ricostruito dopo le distruzioni avvenute con la seconda guerra mondiale. Il progetto, realizzato dalla ditta Pontello sotto la direzione del Genio civile, viene prescelto quale vincitore di un “Concorso fra artisti e tecnici per la ricostruzione in muratura del Ponte alle Grazie” indetto nell’agosto del 1945, ma successivamente completato e reso esecutivo dall’Ufficio tecnico comunale, nella persona dell’ing. Casimiro Pagano. Tra i ventiquattro lavori pervenuti, la commissione assegna il primo premio, consistente nella somma di lire 250.000, al progetto contrassegnato dal motto “L’incontro” e firmato dagli architetti Giovanni Michelucci, Edoardo Detti, Riccardo Gizdulich, Danilo Santi e dall’ing. Piero Melucci. Non solo il ponte da progettare deve sorgere nel centro della città, a diretto confronto con il ponte Vecchio e con le architetture circostanti, ma deve inoltre inglobare alcune pile superstiti consolidate. La scelta del materiale e delle forme costruttive rappresenta perciò un chiaro orientamento di principio che riflette una precisa posizione culturale: l’acceso dibattito di questi anni non riguarda solo le scelte formali della ricostruzione ma il problema più generale dell’ ”ambientamento” dell’architettura moderna nei contesti storici. La linea vincente in questo caso fu quella moderatamente moderna che comportò l’uso del cemento armato seppure col trattamento esterno in pietraforte, materiale ritenuto, evidentemente, più “presentabile” del calcestruzzo. La struttura viene realizzata apportando notevoli variazioni rispetto al progetto vincitore, la più sostanziale delle quali riguarda l’altezza delle pile.

Originariamente queste salivano ad agganciare saldamente la soletta orizzontale superando sensibilmente i parapetti, con un effetto di prepotente uscita dall’acqua, sottolineato dalla rastremazione verso l’alto. Il successivo ridimensionamento dell’altezza riporta invece completamente l’immagine dell’oggetto nella tradizionale sintassi pila/sostegno - soletta/trave eliminando ogni suggestione strutturale e simbolica. Il progetto prevede inoltre un ampio uso del calcestruzzo, con paramento esterno in bozze di pietraforte, per le quattro pile di sostegno, e intonacato a cemento per l’impalcato orizzontale. La struttura è costituita da una trave Gherber in cemento armato a cinque luci di lunghezza variabile e una larghezza che va dai 9 metri delle campate centrali ai 14 delle carreggiate di imbocco. Le 6 nervature a profilo inferiore sagomato curvo sono collegate inferiormente da una controsoletta continua a spessore variabile, e superiormente dall’impalcato della carreggiata viaria e dai traversi, che portano a sbalzo ampi marciapiedi, larghi m 2,60 per ciascun lato. Tra le due solette alloggiano gli impianti a rete, acquedotto, gas, energia elettrica, collocati in un vano ispezionabile sottostante i marciapiedi.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_galleria delle città d’Italia 2_particolare dell’interno 3_prospetto est 4_pianta piano terra e primo piano 5_particolare prospetto nord 6_Giovanni Michelucci 7_prospetto sud 8_prospetto est e nord, sezioni

project: Chiesa di San Giovanni Battista (Chiesa dell’Autostrada del Sole) typology: edificio per il culto architect: Giovanni Michelucci realization: 1960-1964 address: Campi Bisenzio, A1 uscita Firenze Nord

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La chiesa dell’autostrada del Sole S.G.Battista a Campi Bisenzio, Firenze, Michelucci G., 1964 Storia dell’architettura moderna, Zevi B., 1975 CERASI, M., 1968, Michelucci

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Considerato tra i maggiori esponenti del razionalismo italiano, aderì al movimento con notevole libertà espressiva e con un vivo senso dei valori storici e costruttivi tradizionali. Realizzò la sua prima opera sotto le armi: una cappella costruita nel 1916 sul fronte, a Caporetto. La stazione di S.M.N a Firenze (1933-36, in collaborazione) ebbero grande risonanza nel chiuso ambiente dell’architettura italiana dell’epoca. La chiesa di S. Giovanni Battista sull’Autostrada del Sole presso Firenze (196364), segna un vertice nel discorso architettonico di Michelucci, volto con quest’opera a realizzare una più intensa espressività attraverso l’uso del cemento armato. In seguito ha approfondito sempre più i valori espressivi del segno progettuale e dei materiali; si ricordano la realizzazione del palazzo delle Poste e Telegrafi a Firenze (1969-75), la sistemazione intorno alla sede della banca del Monte dei Paschi a Colle Val d’Elsa (Siena), una delle costruzioni più memorabili, progettata dal 1973 al 1978. Michelucci realizzò, inoltre, la ristrutturazione del quartiere di S. Croce a Firenze (1969), le straordinarie invenzioni per un Memoriale michelangiolesco sulle Alpi Apuane (1974), l’ospedale di S. Bartolomeo a Sarzana (La Spezia), nonché il progetto per il complesso teatrale di Olbia (che gli era stato affidato nel 1989).


13 1_pianta piano terra 2_dettaglio interno 3_sezioni

project:Chiesa di San Giovanni Battista (Chiesa dell’Autostrada del Sole) typology: edificio per il culto architect: Giovanni Michelucci realization: 1960-1964 address: Campi Bisenzio, A1 uscita Firenze Nord

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L’incarico per la realizzazione della chiesa di San Giovanni Battista viene affidato a Michelucci nel settembre del 1960, dopo che era completamente decaduto il precedente progetto dell’ingegnere Lamberto Stoppa. Del primitivo progetto, Michelucci eredita l’impianto - a pianta longitudinale con battistero distaccato - e parte delle fondazioni, all’epoca già realizzate nonchè il ricco corredo iconografico definito dall’Istituto di arte liturgica ed in buona parte già commissionato agli artisti. A tal fine Michelucci ipotizza la creazione di un ampio nartece, avente la funzione di galleria atta ad ospitare i grandi bassorilievi raffiguranti tutte le città italiane collegate dalla nuova autostrada. Difficile risulta la scelta del materiale e delle tecniche costruttive: in un primo momento l’architetto ipotizza, in collaborazione con l’ingegnere Giacomo Spotti, una copertura con struttura in ferro, presto abbandonata a vantaggio del cemento armato. E’ soltanto con l’affidamento del calcolo delle strutture in alzato all’architetto Enzo Vannucci (gennaio 1962) che l’edificio trova finalmente il suo volto definitivo: le murature di pietrame divengono portanti, alla stessa stregua dei pilastri che si ingrossano notevolmente sino ad assumere le fattezze di alberi, mentre la copertura in conglomerato precompresso assume l’aspetto di una vela adagiata sulle strutture portanti. La chiesa si eleva in adiacenza del nastro dell’autostrada del Sole, fatto questo che accresce nel viaggiatore l’impressione che la chiesa si connoti come una tenda in prossimità di una sorta di pista per ininterrotte e mecca-

nizzate carovane. Il complesso è inserito in un lotto verde, costellato da ulivi, caratterizzato da una pendenza variabile, elemento questo sfruttato dallo stesso progettista per realizzare un percorso esterno atto a conoscere e scoprire l’articolazione volumetrica della chiesa ed i suoi episodi plastici e scultorei. L’aula ha una pianta a croce latina qualificata, sui lati est e nord, da un deambulatorio fungente da galleria della via crucis, il quale si inserisce, in corrispondenza del presbiterio, nell’altare maggiore e nella sagrestia, rialzata rispetto alla quota del pavimento: la disposizione dell’altare maggiore secondo l’asse nordsud, così come quella dell’ingresso lievemente disassato rispetto all’altare, è il risultato del consapevole ribaltamento operato dall’architetto rispetto ai tradizionali spazi liturgici a sviluppo longitudinale, volendo con ciò ribadire la centralità dell’elemento generatore dello spazio come del culto, sottolineata dal disegno coclide del pavimento: agli estremi dell’asse longitudinale sono collocati altri due altari, sorta di cappelle su cui la luce cade con notevole compostezza.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Dettaglio scale interne 2_Dettaglio scale interne 2 3_4_ Vista prospettica esterna 5_Dettaglio facciata 6_Pierluigi Spadolini 7_Prospetto 8_Prospetto est

project: Sede della Nazione typology: Edificio per uffici architect: Pierluigi Spadolini realization: 1961-1966 address: Viale Giovine Italia

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G. K. Koenig, Architettura in Toscana 1931-1968, Torino 1961

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Pierluigi Spadolini è nato a Firenze il 5 aprile del 1922. Ha iniziato la sua attività progettuale nel 1952 e da allora ha realizzato numerosissime opere in italia e all’estero. In particolare la sua ricerca progettuale e teorica si è indirizzata verso lo studio di tutte le componenti del processo edilizio e verso la sperimentazione di nuove metodologie del fare architettura. Tra le sue opere : la Sede storica del Monte dei Paschi di Siena , il Centro congressi a Firenze , l’edificio per le mostre della Fortezza da Basso a Firenze , la S.M.A. a Firenze , la Chiesa di Tor Bella Monaca a Roma, il Nuovo Centro Direzionale di Napoli e la Chiesa del Centro Direzionale , la nuova sede della Bayer a Milano, l’edificio per le Assicurazioni Generali a Mogliano Veneto , il Palazzo Italia all’Esposizione di Siviglia , il Progetto Direttore per il Sistema Direzionale Orientale di Roma. Numerose anche le sue pubblicazioni , tra le quali si ricorda : Design e Società , Componibilità come composizione , Progetto e processo edilizio. Nel 1969 ha istituito la Cattedra di Progettazione Artistica per l’Industria presso la Facoltà di Architettura di Firenze e, nella stessa sede, ha concluso nel 1992 la sua attività accademica come docente presso la Cattedra di Progettazione Integrale. Spadolini fu anche un importante designer sulla scena internazionale, soprattutto nel campo delle costruzioni navali (yacht). Muore a firenze nel 2000

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14 1_Vista dalla collina 2_Dettaglio piscina 3_Facciata

project: Sede della Nazione typology: Edificio per uffici architect: Pierluigi Spadolini realization: 1961-1966 address: Viale Giovine Italia

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La Sede de “La Nazione”, quotidiano fiorentino, si trova sul viale Giovine Italia, uno dei viali di circonvallazione che cingono il centro storico di Firenze. Realizzata tra il 1961 e il 1966 su progetto dell’architetto Pier Luigi Spadolini è uno dei più significativi esempi di architettura contemporanea della città. Il complesso dell’edificio, di dimensioni piuttosto grandi, è disarticolato in una serie di volumi, corrispondenti ciascuno a una funzione diversa, che spaziano dal viale Giovine Italia a largo Annigoni, l’ampia piazza posta davanti al mercato di Sant’Ambrogio. Spadolini, maestro dell’architettura prefabbricata e della costruzione con pannelli, compose la facciata dell’edificio posto sul viale con moduli standard, che creano un ritmo serrato di finestre rettangolari, simili a feritoie, che vennero probabilmente citate poi, sebbene trasformate in sviluppo orizzontale, nell’antistante archivio di Stato di Firenze di Italo Gamberini, opera del 1972-1988. L’uso della pietraforte in facciata si riallaccia alla più radicata tradizione fiorentina. L’edificio di viale Giovine Italia scavalca sulla sinistra l’imbocco di via Paolieri, breve strada che immette nel parcheggio sotterraneo di Sant’Ambrogio costeggiando il secondo fabbricato del complesso; in questo, oltre agli uffici, ha sede un auditorium. Dell’edificio che si affaccia su piazza Annigoni si segnala invece la copertura, che richiama, per forme e colore, lo stile del tetto dell’antistante mercato. Attualmente il complesso ospita, oltre alla sede del quotidiano fiorentino, gli uffici della SPE Società Pubblcità Editoriale s.p.a. (con accesso da via Paolieri) e la sede principale del gruppo DADA (con accesso da piazza Annigoni).Il risultato ha sconcertato , a prima vista , perché il ritmo così massiccio e serrato dei prospetti poteva essere scambiato per un monumento oggi caduto in disuso, abituati come siamo a vedere edifici pubblici coperti dal vel di cipolla del curtain-wall , graficamente

impaginati struttività.Ma fra questa strada , che nasconde l’interno le vere strutture portanti , o quella opposta che esibisce brutalmente le strutture portandole all’esterno. la terza via di Spadolini, recuperando la parete tradizionale con un attento e paziente studio che la rinnovella sue essenza statica e costruttiva, rappresenta un’apertura verso fecondi sviluppi, e forse ancora più delle altre in schiave con la tecnologia della produzione industriale. Se la parte dell’edificio de “La Nazione” destinato ad ospitare gli uffici redazionali , e quello delle linotypes e delle macchina , sono stati concepiti con la tecnica costruttiva che abbiamo descritto, la parte di rappresentanza è stata invece disegnata da Spadolini con il senso ancora artigianale dell’oggetto prezioso e preciso. Le sue doti di raffinato designer hanno avuto modo di mostrarsi meglio che altrove, in un calibrato gioco dello spazio , avvolto dalla scala-ballatoio che gli gira attorno, con un senso di centripeto dello spazio che prelude all’erigendo grande salone dei Congressi.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Edificio E 2_Edificio G 3_Edificio A 4_Edificio B 6_La Torre 7_Edificio C2 8_Edificio D

project: Complesso di case popolari a Sorgane typology: Edilizia economica e popolare architect: Leonardo Savioli e Leonardo Ricci realization: 1962-1980 address: via B. Croce, via Isonzo, via Tagliamento

Edilizia Popolare-256/1998-p. 4/21 Giovanni Klaus Koening-Architettura in Toscana 1931/1968-Torino-ERI-p.153/155 www.wikipedia.it

Leonardo Savioli

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Nasce a Firenze il 30 marzo 1917 e muore a Firenze l’11 maggio 1982. Superato l’esame di maturità classica, si iscrive alla facoltà di Architettura di Firenze e si laurea, nel febbraio 1941, discutendo con Giovanni Michelucci. Dopo la guerra visita Parigi insieme a Leonardo Ricci e, tornato a Firenze, inizia la professione lavorando con lo stesso Ricci e Giuseppe Gori fino al 1949. Nell’ambito dell’Istituto di Urbanistica lavora come assistente dei direttori che si succedono in oltre un decennio. Negli anni della Ricostruzione progetta ponti e piani regolatori, fra i quali il P.R.G. di Firenze (1949-1951). Differenzia attraverso le forme una ristretta varietà di spazi. Gli appartamenti di Savioli non si differenziano molto dai normali schemi adottati dall’INA-casa ma traspare una grande cura volta ad ottenere una composizione in cui gli elementi verticali siano rigorosamente contrappuntati a quelli orizzontali. Nel tardo Savioli si ritrova una frammentazione dei volumi spinta all’estremo che egli concepisce con un metodo “costruttivista”. Leonardo Ricci

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Consegue la maturità classica nel 1936, presso il Liceo Michelangelo di Firenze, e quindi si iscrive alla facoltà di Architettura della stessa città, dove si laurea nel 1941. Dopo averlo avuto come allievo, Giovanni Michelucci, lo assume come proprio assistente. Rimane nello Studio Michelucci fino al 1946. Oltre che esercitare la professione di architetto diviene anche docente di composizione architettonica insegnando anche negli Stati Uniti. Viene premiato con la Medaglia d’oro alla Triennale di Milano del 1957.


15 1_Ubicazione del quartiere nella città di Firenze 2_Planimetria

project: Complesso di case popolari a Sorgane typology: Edilizia economica e popolare architect: Leonardo Savioli e Leonardo Ricci realization: 1962-1980 address: via B. Croce, via Isonzo, via Tagliamento

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Il piano urbanistico di Sorgane è stato elaborato nel 1957 da 37 progettisti (architetti e ingegneri, compresi Leonardo Savioli e Leonardo Ricci), divisi in otto gruppi, coordinati da Giovanni Michelucci. Principio informatore del piano era quello di creare un sistema urbano fortemente articolato e unitario, alternativo alle periferie e ai quartieri tradizionali. Esso prevedeva una struttura articolata in due parti: l’insediamento in pianura e quello in collina, la “città bassa” e la “città alta” (destinata alle strutture di servizio), impostate secondo direttrici ortogonali, separate da una zona verde di rispetto ma collegate tra di loro. Il progetto provocò un’accesa querelle, su due motivi essenziali: l’ubicazione del quartiere a est della città, opposta alla direttrice di sviluppo fissata dal piano regolatore del 1951, e il timore che l’intervento potesse compromettere l’integrità paesaggistica del sito collinare, in cui sarebbe sorto il nuovo quartiere. Il piano fu drasticamente ridimensionato in fase di approvazione definitiva (1962), con l’esclusione di qualsiasi tipo di intervento sulla collina. Dall’iniziale previsione di 12.000 abitanti, si passò a 4.500 e degli otto gruppi ne restarono solo tre, capeggiati da Savioli, Ricci e Poggi. Tutti i complessi progettati da Savioli (edifici A, B, C, D, E, F, G) sono caratterizzati dall’uso della tipologia a ballatoio o in linea e dalla disposizione nel lotto di pertinenza, sempre ortogonale alla maglia stradale. I volumi sono compatti e particolare rilievo è dato all’articolazione degli elementi plastici, tutti appartenenti al medesimo lessico (balconi aggettanti su travi ricalate, tetti terrazza in cemento armato dalle forti sporgenze con profilo mistilineo, gocciolatoi emergenti e finestre riquadrate da cornici in cemento, con o senza davanzale e tettoia aggettanti) unificato dall’uso espressivo del cemento faccia vista e degli elementi prefabbricati (9 componenti elementari), dalla cui combinazione risulta

la varietà e molteplicità delle soluzioni conseguite. Gli edifici progettati da Ricci presentano un trattamento dei volumi estremamente omogeneo e compatto, tutto giocato sull’articolazione delle componenti verticali (corpi torre dei vani scale) ed orizzontali (fasce dei balconi), con un’evidente predilezione al trattamento della cortina muraria come elemento dominante e continuo. Il progetto della macrostruttura a ballatoio “La Nave” , nacque anche dal confronto con l’Unité d’habitation di Le Corbusier, che Ricci vagliò criticamente proponendo una soluzione diversa: “[L’Unité] è una cosa che ho visto, che ho studiato, nelle sue qualità e nei suoi errori. Ma al fondo c’è lo sbaglio di disintegrare una parte del tessuto sociale, di separarlo dal resto del contesto. Chi abita l’Unité sta come in un ghetto”. Ricci non volle dotare l’organismo di servizi comuni, inserì nella macrostruttura un sistema molto articolato di percorsi, verticali e orizzontali, atti a favorire gli incontri, gli scambi tra gli abitanti. L’interesse di questa proposta sta nella sintesi tra valenze architettoniche e urbanistiche, nel fatto che la macrostruttura intende proporsi come fulcro propulsivo di dinamiche comportamentali aperte e integrate, in grado di irradiarsi all’esterno, di relazionarsi al quartiere, o quanto meno di innescare un processo di questo tipo. Ambedue adottano la soluzione della copertura piana e praticabile, da intendersi come spazio destinato alle funzioni collettive. Molte delle soluzioni adottate dai progettisti risultano oggi di difficile lettura in quanto sono venuti a mancare sia quegli spazi di aggregazione sociale previsti nel piano del quartiere, sia quelle premesse che avevano indotto i due architetti fiorentini a privilegiare lo spazio per attrezzature collettive.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1-2_Sede Regionale RAI 3-4-7-8_Sede Regionale RAI sul Lungarno Colombo 5_Vista della torre 6_Italo Gamberini

project: Sede Regionale della RAI typology: Edificio pubblico architec: Italo Gamberini realization: 1965-1968 address: Via Arelina, Lungarno Colombo

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http://www.treccani.it/enciclopedia/italo-gamberini http://it.wikipedia.org/wiki/Italo_Gamberini Rosamaria Martellacci-Italo Gamberini Architetto (1907-1990)-Firenze-Edifir Italo Gamberini-L’Architettura dal Razionalismo all’Internazionalismo-Edifir

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(Firenze, 1907 - Firenze, 1990) Con la sua tesi di laurea concepì la base del progetto del nuovo Fabbricato Viaggiatori della Stazione di Firenze Santa Maria Novella, realizzato tra il 1932 e il 1935 dal Gruppo Toscano, formato da Nello Baroni, Pier Niccolò Berardi, Sarre Guarnieri, Leonardo Lusanna, Giovanni Michelucci. In linea con le tendenze più all’avanguardia della sua città continuò a lavorare con i suoi colleghi, soprattutto partecipando agli altri importanti concorsi nazionali banditi in quegli anni, come quelli per la stazione di S. Lucia a Venezia (1935) con Baroni, Berardi e Lusanna, e per alcuni edifici dell’EUR a Roma. Fu nel dopoguerra, però, che Gamberini diede inizio a quella intensa e seria attività professionale, svolta per larga parte in Toscana e in particolare a Firenze, che ne ha fatto uno dei maggiori protagonisti dell’architettura toscana del Novecento. Partecipò al concorso per il nuovo ponte della Vittoria e al concorso per la ricostruzione delle zone distrutte dalla guerra intorno a ponte Vecchio. Ottenne il primo premio ex aequo con un interessante progetto che, seppur non realizzato, anticipa alcuni dei temi della ricerca che Gamberini avrà modo di sviluppare successivamente, nonostante l’isolamento in cui l’ambiente fiorentino venne a trovarsi rispetto al dibattito a livello nazionale. Fu sempre attento agli aspetti tecnici del progetto e all’uso dei materiali, sia tradizionali, sia nuovi e sperimentali. Iniziò anche a lavorare sul tema della facciata facendo emergere, con evidenza, la scansione in tracciati regolari disegnata ora dalla tessitura strutturale, che acquista valore compositivo, ora dalle sporgenze delle finestre. Studiò soluzioni sempre originali e di alta qualità realizzate attraverso elementi e componenti industriali. Italo Gamberini muore a Firenze il 14 novembre 1990.


16 1-2_vista dell’esterno 3_sede regionale della RAI

project: Sede Regionale della RAI typology: Edificio pubblico architec: Italo Gamberini realization: 1965-1968 address: Via Aretina, Lungarno Colombo

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La sede regionale della RAI di Firenze si trova all’innesto tra il lungarno Colombo e il largo De Gasperi nella zona di Varlungo. Forte segnale tecnologico ed imponente presenza volumetrica ai confini orientali della città, l’enorme complesso occupa un’area di circa 18000 m² tra la via Aretina e il lungarno, in riva al fiume e in vista dei colli, in prossimità dello snodo autostradale di Firenze Sud. Del terreno disponibile è coperta solo la nona parte, essendo il rimanente sistemato a giardino e a parcheggio. Il complesso si articola in quattro nuclei con funzioni differenti: gli uffici, gli studi, il telecinema e la centrale elettrica, per un volume complessivo di circa 80.000 m3 di cui 38.000 interrati. La composizione appare serrata e plasticamente modellata, con forti variazioni di altezze e di volumi e un intenso gioco di chiaroscuri. Il corpo principale è costituito dal blocco nord-sud, destinato ad uffici, a cui è incernierato, tramite un nucleo a pianta quadrata maggiormente elevato in altezza, un secondo corpo di fabbrica disposto in direzione est-ovest ortogonalmente al primo. Nella parte centrale sono contenuti i volumi tecnici, il vano scala centrale e il traliccio metallico della torre-antenna. Le differenti funzioni sono denunciate all’esterno dal diverso trattamento dei volumi: tagliato da finestre a nastro quello degli uffici, chiuso e compatto il corpo di fabbrica destinato alle produzioni. Accanto al corpo-cerniera centrale si apre l’ingresso, segnalato da una lunga pensilina con struttura metallica e sovrastato dal cavo degli atri di piano, la cui progressione è conclusa dal volume in sporgenza dell’aula della mensa, totalmente vetrata e collegata alla terrazza sottostante da una scala metallica elicoidale. La struttura dell’edificio è interamente in cemento armato, salvo che nella zona dell’atrio principale e degli atri di piano, dove la struttura metallica ha permesso luci più ampie; metallica è anche la maglia ortogonale della struttura a vista del corpo di

fabbrica degli studi che per ragioni di insonorizzazione presenta il particolare accorgimento tecnico di una intercapedine tra le strutture portanti e le murature degli studi e quelle dell’involucro esterno, che appare completamente chiuso. La parete est dell’edificio degli studi si riflette nella vasca ad essa prospiciente, pavimentata a mosaico, verso la quale digradano i volumi delle fioriere accostate alla vetrata d’ingresso, mentre la parete ovest è modellata dagli aggetti dei volumi destinati al transito del personale. Il camminamento al livello più basso prosegue per collegarsi all’edificio della centrale termica, interamente rivestito in acciaio porcellanato blu-grigio indaco. Il settore degli uffici è percorso per tutta la lunghezza dei fronti dalle fasce orizzontali dei parapetti e delle finestre a nastro, con infissi in alluminio anodizzato e frangisole ad elementi mobili; il fronte Sud presenta al piano rialzato una lunga passerella pedonale coperta da una pensilina. Alle testate dei corpi di fabbrica si elevano i corpi scala accessori, connotati dalla successione verticale delle strette aperture d’angolo. Le pareti esterne sono rivestite in silipol di colore aranciato, colore che vuole essere sintesi del tradizionale cromatismo fiorentino del cotto e della pietraforte, ottenuto dopo più di 30 campionature. Da questo fondo cromatico omogeneo si staccano il blu-grigio-indaco dell’acciaio porcellanato di rivestimento delle torri degli ascensori e il rame rigato dei pesanti coronamenti, i “cappelli” di miesiana memoria. Nell’atrio principale domina la struttura metallica della scala principale, il cui pilone di sostegno si eleva da una base parallelepipeda di marmo bianco apuano, componendo insieme al rivestimento parietale in lastre di pietra serena e alla vetrata in cristallo opera di Guido Polloni, un gioco cromatico di grande raffinatezza


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_fronte interno 2_dettaglio prospetto nord 3_attacco a terra lato nord 4_copertura vista da nord 5_dettaglio facciata 6_dettaglio balconi 7_prospetto sud est 8_dettaglio copertura da sud

project: Casa da appartamenti in via Piagentina typology: Edificio residenziale architect: Leonardo Savioli, Danilo Santi realization: 1964-1969 address: via Piagentina

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L.Savioli/D.Santi-Orientamenti moderni nell’edilizia-5VII Giovanni Klaus Koening-Architettura in Toscana 1931/1968-Torino-ERI-p.153/155 http://ita.archinform.net www.flickr.com

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Nasce a Firenze il 30 marzo 1917 e muore a Firenze l’11 maggio 1982. Superato l’esame di maturità classica, si iscrive alla facoltà di Architettura di Firenze e si laurea, nel febbraio 1941, discutendo con Giovanni Michelucci. Dopo la guerra visita Parigi insieme a Leonardo Ricci e, tornato a Firenze, inizia la professione lavorando con lo stesso Ricci e Giuseppe Gori fino al 1949. Nell’ambito dell’Istituto di Urbanistica lavora come assistente dei direttori che si succedono in oltre un decennio. Negli anni della Ricostruzione progetta ponti e piani regolatori, fra i quali il P.R.G. di Firenze (1949-1951). Differenzia attraverso le forme una ristretta varietà di spazi. Gli appartamenti di Savioli non si differenziano molto dai normali schemi adottati dall’INA-casa ma traspare una grande cura volta ad ottenere una composizione in cui gli elementi verticali siano rigorosamente contrappuntati a quelli orizzontali. Nel tardo Savioli si ritrova una frammentazione dei volumi spinta all’estremo che egli concepisce con un metodo “costruttivista”. La cura dei dettagli è dovuta principalmente al collaboratore di Savioli, Danilo Santi, già collaboratore di Michelucci che ha saputo arricchire i dettagli della propria ventennale esperienza artigiana di arredatore e designer.


17 1_planimetria 2_prospetto nord - prospetto sud-ovest 3_pianta piano tipo

project: Casa da appartamenti in via Piagentina typology: Edificio residenziale architect: Leonardo Savioli, Danilo Santi realization: 1964-1969 address: via Piagentina

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La casa è situata in un lotto d’angolo delimitato ad est da via Piagentina ed a nord da via don Bosco, all’intersezione di due assi ortogonali, quello longitudinale che dal fiume Arno va sino alle colline di Fiesole e quello trasversale, più asse di collegamento ideale che non visivo, che traguarda Santa Maria del Fiore. La scelta operata da Savioli di enfatizzare la dimensione verticale dei volumi trova dunque le sue radici da una parte nella volontà di affermare l’edificio come punto di riferimento spaziale avente una sua strategica collocazione nel tessuto urbano, e dall’altro nel riferimento alla continuità con la tipologia fiorentina della casa-torre. Tale rapporto di emergenza sul circostante, nel quale l’edificio si propone come polo generatore di un tessuto senza soluzione di continuità con quello entro le mura, è oggi scarsamente leggibile a seguito della successiva saturazione dell’isolato con edifici di notevole altezza. L’articolazione dei volumi ruota attorno all’elemento generatore, nonché asse verticale della composizione, del corpo scale e del vano ascensore, superficie piena e compatta interrotta sui due fronti soltanto da piccole luci feritoie e dalla porta di accesso ed agganciata al volume prospiciente la via Don Bosco da una sorta di ballatoio su spalti, anch’esso compatto e privo di aperture, nel quale è situata la scala di accesso al tetto praticabile. Tali volumi, riconducibili a quattro con quello della torre del vano scale, sono individuabili sia per il diverso trattamento plastico delle facciate, sia perché l’architetto ne sottolinea l’articolazione tramite l’arretramento o la rotazione delle superfici, l’inserimento di profondi tagli verticali in facciata (si veda il nastro finestrato che isola il corpo ascensore sul fronte est e quello che segnala l’inclinazione del fronte nord), la diversa altezza e le diverse soluzioni di copertura.

Allo stesso tempo il desiderio di ricondurre il tutto ad un unico organismo spaziale è evidenziato dalle soluzioni d’angolo, tutte curvilinee, che inevitabilmente suggeriscono l’andamento continuo delle superfici. All’articolazione dei volumi corrisponde un’estrema varietà nelle aperture e nel rapporto pieno-vuoto, resa possibile dall’utilizzo di nove moduli in cemento assemblati secondo molteplici possibilità combinatorie: i balconi e i bow window, addensati sull’angolo sud-est attorno al pilastro che corre per tutta l’altezza, sono ciascuno diverso nel disegno, così come le finestre (ora luci, ora porte finestre, ora finestre, ora superfici vetrate, talvolta dotate di cornice aggettante, talvolta riquadrate) si distribuiscono in facciata attorno ad un asse verticale o liberamente, sempre comunque in corrispondenza con le esigenze di vita degli spazi interni. Da sottolineare che, alla continuità della cortina muraria, fa da contrappunto il trattamento degli elementi plastici delle finestre, in prevalenza ad angolo retto. Relativamente agli interni, l’edificio è caratterizzato da due appartamenti ai piani terra, primo e secondo, da uno agli altri: tutti sono caratterizzati da una zona soggiorno aperta, che funge da spazio di distribuzione. Il vano interrato è invece adibito a garage e magazzino. Il materiale impiegato è il calcestruzzo, in parte prefabbricato mantenendo però presenti alcuni scopi: “evitare la prefabbricazione seriale e ripetitiva del cemento; realizzare mediante detti elementi una composizione irripetibile con elementi ripetibili; usare la prefabbricazione in modo tale da consentire libertà, fantasia e quindi ambientazione”. (Tratto dalla relazione di progetto redatta da Savioli e Santi)


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_vista 2_prospetto 3_prospetto 4_dettaglio della copertura

project: villa Bayon typology: casa bifamiliare architect: Leonardo Savioli realization: 1966-1967 address: via Beato Ippolito Galantini

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Casa a due appartamenti in San Gaggio-Ottagono-31/1973-p.98/99 http://ita.archinform.net

Nasce a Firenze il 30 marzo 1917 e muore a Firenze l’11 maggio 1982. Superato l’esame di maturità classica, si iscrive alla facoltà di Architettura di Firenze e si laurea, nel febbraio 1941, discutendo con Giovanni Michelucci. Dopo la guerra visita Parigi insieme a Leonardo Ricci e, tornato a Firenze, inizia la professione lavorando con lo stesso Ricci e Giuseppe Gori fino al 1949. Da quest’anno in poi lavorerà, quasi sempre, in collaborazione con Danilo Santi. Nell’ambito dell’Istituto di Urbanistica lavora come assistente dei direttori che si succedono in oltre un decennio. Negli anni della Ricostruzione progetta ponti e piani regolatori, fra i quali il P.R.G. di Firenze (1949-1951). “Savioli è un architetto introverso [...], capace di passare una settimana intera per disegnare il dettaglio al vero di una cerniera”. (”Architettura in Toscana dal 1931 al 1968”, G.K. Koening). Differenzia attraverso le forme una ristretta varietà di spazi. Gli appartamenti di Savioli non si differenziano molto dai normali schemi adottati dall’INA-casa ma traspare una grande cura volta ad ottenere una composizione in cui gli elementi verticali siano rigorosamente contrappuntati a quelli orizzontali. Nel tardo Savioli si ritrova una frammentazione dei volumi spinta all’estremo che egli concepisce con un metodo “costruttivista”.


18 1_pianta 2_schizzo 3_prospetto

project: villa Bayon typology: casa bifamiliare architect: Leonardo Savioli realization: 1966-1967 address: via Beato Ippolito Galantini

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La casa pre­senta una pi­a­nta ed una vo­lu­me­tria forte­ mente ar­ti­co­late, si svi­luppa su due piani – cias­cuno con au­to­noma unità abita­tiva – ed è ca­rat­te­riz­zata dal trat­ ta­mento di cias­cuno degli am­bi­enti in ma­niera del tutto au­to­noma. L’impianto plani­metrico ri­sulta dalla com­bi­na­zione di­n­a­ mica di ma­trici geo­metri­che (qua­drate, rettan­go­lari e cir­ co­lari) or­ga­niz­zate se­condo assi or­to­go­nali e dia­go­nali, alle quali cor­rispon­dono in alzato cel­lule au­to­nome in cui le su­per­fici mu­ra­rie ri­sul­tano dalla com­bi­na­zione di piani ret­ti­linei e cur­vilinei. Nell’insieme questa ar­chi­tet­tura è ca­rat­te­riz­zata da un sis­tema prin­ci­pale, il grande tetto-terrazza in cemento ar­mato a fac­cia vista con­ce­pito come strut­tura au­to­noma pog­gi­ante su pilastri, e dalle unità spa­ziali sot­to­stanti, com­bi­nate tra sé in un di­n­a­mico gioco di spor­genze e ri­en­tranze, pieni e vuoti, zone di luce e zone d’ombra. Tale sot­to­sis­tema è a sua volta im­postato sull’elemento ge­ne­ra­tore del vo­lume emer­gente del corpo cilind­rico delle scale, a cui con­duce un per­corso pe­do­nale ruo­tato di 45° ris­petto al fronte, ed è con­no­tato da al­cune pre­ senze plas­ti­che di forte ri­ch­iamo, quali il vo­lume cilind­ rico e cu­po­lato del ca­mino e la grande ter­razza cir­co­lare ad esso ad­dos­sata. L’articolazione spa­ziale è inoltre ar­ric­chita dal ca­li­brato gioco dei bal­coni, ca­rat­te­riz­zati dalla com­bi­na­zione di piani in cemento ed ele­menti in alluminio, e delle cor­nici di porte e fi­ne­stre, ar­ti­co­late cias­cuna in ma­niera au­to­ noma me­di­ante la dif­fe­ren­zia­zione delle di­men­sioni, la spor­genza della cornice-tettoia o del davanzale, il di­se­ gno degli in­fissi in legno. Tutte le aper­ture si in­se­ris­cono in tale con­testo rispon­dendo al me­de­simo gioco di di­n­a­ mismo spa­ziale, sempre tut­ta­via nel ris­petto dello spa­zio in­terno da il­lu­mi­nare e dell’atmosfera che in ogni am­bi­ ente si vuole creare.

Relativamente alla dis­po­si­zione dei vani al piano terra, ca­rat­te­riz­zato da una su­per­fi­cie molto più ampia del sov­ ras­tante, la zona giorno (sog­giorno, sala, sa­lone) si con­ fi­gura come un unico spa­zio aperto e fles­si­bile, ar­ti­co­lato da un at­tento stu­dio di dis­li­velli, mentre le ca­mere si con­ no­tano, se­condo una lo­gica già spe­ri­men­tata nella villa Taddei a Fiesole, come spazi in cui le par­eti as­su­mono il ruolo de­ter­mi­nante di setti di chi­usura e d’isolamento. Nel piano su­pe­riore, nel quale i vani si ri­du­cono a 3, per­ mane la dif­fe­ren­zia­zione del trat­ta­mento spa­ziale tra la zona giorno e la zona notte e le su­per­fici dei bal­coni as­ su­mono una grande ri­le­vanza.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_targa ponte 2_vista del ponte dal letto del fiume 3_vista del ponte lato est 4_vista del ponte lato ovest 5_vista carreggiate 6_vista terrazze lato ovest 7_vista percorso pedonale lato ovest dal lungarno Colombo 8_vista percorso pedonale lato ovest dal lungarno Colombo

project: Ponte Giovanni da Verrazzano typology: Ponte a campata unica architect: L.Savioli, C.Damerini, V.Scalesse realization: 1967-1971 address: lungarno C.Colombo/lungarno F.Ferrucci

Bruno Zevi-L’Architettura, cronaca e storie- Etas KompassAnno XVII- n° 8- Pag 497-507 Pietro Salvini- Itormentati ponti di Firenze- Estratto da ”La Graticola” Anno III N 4-5 Aprile-Maggio 1975- Tipografia Giuntina- Pag 21 http://www.artearti.net/magazine/articolo/gli_anni_sessanta_nuovi_ponti_e_nuove_idee_costruttive

Carlo Damerini è nato a Roma nel 1921 e risiede a Firenze dal 1931. È stato Ufficiale di Marina in servizio permanente effettivo. Si è laureato in ingegneria civile dei trasporti nel 1949. Ha iniziato la professione nello studio dell’architetto Giovanni Michelucci. Ha proseguito l’attività come libero professionista con particolare indirizzo alla progettazione di ponti, viadotti e strutture industriali. È stato direttore dell’ufficio tecnico di alcune importanti imprese. Ha ricoperto incarichi ufficiali all’Ordine professionale, al Collegio ingegneri e al Consiglio di amministrazione dell’ANAS. 1

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Leonardo Savioli nasce a Firenze il 30 marzo 1917. Superato l’esame di maturità classica, si iscrive alla facoltà di Architettura di Firenze e si laurea, nel febbraio 1941, con Giovanni Michelucci. Negli anni drammatici della Seconda guerra mondiale produce i disegni e le riflessioni de La Città ideale, nei quali prendono forma le idee che Savioli va elaborando su una città disegnata e descritta con toni altamente poetici, secondo un’idea progettuale che vede l’uomo protagonista e spettatore dello spazio in cui vive. Nell’ambito dell’Istituto di Urbanistica lavora come assistente dei direttori che si succedono in oltre un decennio,Petrucci, Michelucci, Degl’Innocenti, fin quando non gli viene conferito l’incarico per l’insegnamento dell’Arte dei giardini dal 1964 al 1966. Negli anni successivi assume altri incarichi, fra i quali la direzione dell’Istituto di Architettura degli interni e di Arredamento col relativo corso e i corsi di Disegno e Rilievo. Da tempo aveva già intrapreso l’attività professionale. Infatti, dopo la guerra, visita Parigi insieme a Leonardo Ricci e, tornato a Firenze, inizia la professione lavorando con lo stesso Ricci e Giuseppe Gori fino al 1949. Da quest’anno in poi lavorerà, quasi sempre, in collaborazione con Danilo Santi. Negli anni della Ricostruzione progetta ponti e piani regolatori, fra i quali il P.R.G. di Firenze.


19 1_planimetria 2_pianta ponte 3_sezione trasversale mensola in precompresso

project: Ponte Giovanni da Verrazzano typology: Ponte a campata unica architect: L.Savioli, C.Damerini, V.Scalesse realization: 1967-1971 address: lungarno C.Colombo/lungarno F.Ferrucci

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Il Ponte Giovanni Da Verrazzano fu realizzato nel quartiere di Gavinana dopo la catastrofica alluvione del 1966, dall’architetto Leonardo Savioli e dagli ingegneri Carlo Damerini e Vittorio Scalesse. Dato che le due rive dei lungarni Cristoforo Colombo e Francesco Ferrucci sono zone verdi adibite a giardini pubblici, il nuovo ponte avrebbe dovuto essere altrettanto indicato per l’attraversamento pedonale, pertanto non è stato progettato solo come un collegamento fra due rive, ma crea percorsi pedonali e stradali a diversi livelli con una architettura di forte carattere espressivo. L’idea dell’ architetto Savioli era quella di rispettare una naturale progressione dei ponti fiorentini così come si erano succeduti nella storia; Savioli aveva infatti notato che discorrendo dal centrale Ponte Vecchio, un ponte che è quasi una via cittadina, con edifici, tetti e mura, sia verso valle che verso monte i ponti sull’ Arno tendevano sempre più a snellirsi e ad acquisire una certa leggerezza. Così è infatti se osserviamo dal Ponte Vecchio verso valle il S. Trinita, il Ponte alla Carraia, il Vespucci, il Ponte alla Vittoria e verso monte il Ponte alle Grazie e il S. Niccolò. Inoltre Savioli intendeva rispettare quella tradizionale sobrietà, linearità ed essenzialità tipiche dell’ arte architettonica fiorentina. Realizzato ad una sola luce con la struttura in cemento armato e la travatura centrale in acciaio, alleggerisce notevolmente il traffico alla zona di levante della città. Già da tempo infatti la parte più a sud della città necessitava di un valido punto di attraversamento sull’ Arno in modo da evitare un eccessivo concentramento di autovetture nei dintorni del ponte più vicino, il S. Niccolò. Il ponte che presenta una linearità tesa, sottile, continua ed unitaria è stato tuttavia concepito in due parti distinte: alle spalle, due grandi mensole in cemento radicate alle rive; al centro un’unica trave in ferro.

La differenza di materiale, oltre che denunciare chiaramente la struttura, propone anche un tipo di opera adatta ad un ambiente prevalentemente naturale; un ambiente cioè che alle spalle mette in evidenza, come scaturite da esse, le parti in cemento, e nel centro mette in luce la parte metallica sospesa sull’acqua. Le quattro parti laterali con le relative piazzette, percorsi ed affacciamenti, oltre che contribuire a rendere il ponte più vivo, “abitato”, per così dire, dai pedoni, accentuano l’articolazione plastica e tendono a dare un maggiore slancio dalle spalle verso il centro. Il ponte è lungo 141 m, largo 26,80 m e ha un’altezza massima di 12 m. La struttura, mista in acciaio e calcestruzzo, concentra in un’unica soluzione i seguenti vantaggi: estrema leggerezza strutturale, massimo strutturamento di due tipi di materiale; possibilità di contrasto tra i due materiali, differenti per natura, colore e luminosità. L’impiano planimetrico è di per sè eloquente: le due coppie di terrazze che tripartiscono l’impronta dell’impalcato del ponte, sembrano stare quasi a recuperare la memoria delle pigne intermedie di un ponte a tre arcate; mentre lo stesso nastro d’impalcato si dilata e si plasticizza nel superamento della sola sede veicolare, suggerendo e proponendo nastri pedonali, e scale, e saldature con la scarpata verde dell’alveo dell’armo. Ed è proprio forse da quell’alveo, dal basso cioè, che sotto il ponte si può avere una delle immagini più suggestive e più convincenti di questa opera di Savioli.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_facciata da via Giuseppe Verdi 2_facciata da via dell’Ulivo 3_facciata da via Pietrapiana 4_pianta piano terra 5_vista da via dell’Ulivo 6_Giovanni Michelucci 7_vista da via Pietrapiana 8_vista interna delle poste

project: Direzione centrale Poste typology: edificio per uffici architect: Giovanni Michelucci realization: 1967 address: via Pietrapiana

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FIESOLE 1976, La città di Michelucci, cat. della mostra a cura di E.Godoli, Basilica di S. Alessandro, 30.4. - 30.5.1976, Fiesole CERASI, M., 1968, Michelucci, Roma AA. VV., 1992, Firenze. Guida di architettura, Torino

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Considerato tra i maggiori esponenti del razionalismo italiano, aderì al movimento con notevole libertà espressiva e con un vivo senso dei valori storici e costruttivi tradizionali. Realizzò la sua prima opera sotto le armi: una cappella costruita nel 1916 sul fronte, a Caporetto. La stazione di S.M.N a Firenze (1933-36, in collaborazione) ebbero grande risonanza nel chiuso ambiente dell’architettura italiana dell’epoca. La chiesa di S. Giovanni Battista sull’Autostrada del Sole presso Firenze (196364), segna un vertice nel discorso architettonico di Michelucci, volto con quest’opera a realizzare una più intensa espressività attraverso l’uso del cemento armato. In seguito ha approfondito sempre più i valori espressivi del segno progettuale e dei materiali; si ricordano la realizzazione del palazzo delle Poste e Telegrafi a Firenze (1969-75), la sistemazione intorno alla sede della banca del Monte dei Paschi a Colle Val d’Elsa (Siena), una delle costruzioni più memorabili, progettata dal 1973 al 1978. Michelucci realizzò, inoltre, la ristrutturazione del quartiere di S. Croce a Firenze (1969), le straordinarie invenzioni per un Memoriale michelangiolesco sulle Alpi Apuane (1974), l’ospedale di S. Bartolomeo a Sarzana (La Spezia), nonché il progetto per il complesso teatrale di Olbia (che gli era stato affidato nel 1989).


20 1_pianta piano terra 2_particolare scala in marmio 3_particolare facciata

project: Direzione centrale Poste typology: edificio per uffici architect: Giovanni Michelucci realization: 1967 address: via Pietrapiana

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L’incarico della progettazione della nuova sede compartimentale delle Poste viene conferito all’architetto Giovanni Michelucci che tra 1959 e il 1964 elabora diverse versioni del progetto dell’edificio, ultimato nei primi mesi del 1967. L’intento di inserire il progetto nel più vasto programma di riqualificazione del quartiere orienta le scelte progettuali dell’involucro in senso urbano. L’edificio ospita al piano terreno un ufficio postale per il pubblico ed ai piani superiori la sede centrale del Compartimento di Firenze. Uno zoccolo che contiene il doppio volume del salone da spicco a una fascia, corrispondente al primo dei piani in cui si trovano gli uffici, che scatta all’esterno rispetto al filo di facciata, creando un forte aggetto sull’angolo tra le due strade principali, dove è situato uno degli ingressi. Sopra a questo, gli altri tre piani riprendono l’andamento del piano basamentale. All’interno, la continuità degli spazi e dei percorsi conferisce la consueta caratterizzazione delle architetture michelucciane di vivacità e scambio sociale. Il piano terreno è occupato dalla galleria - vera e propria strada interna, parallela alla via Pietrapiana, scandita dai grossi pilastri verticali - che costeggia e immette nel salone del pubblico. L’ambiente principale, di forma rettangolare, riceve una forte suggestione spaziale dalla copertura, formata da una sequenza di paraboloidi in cemento armato intonacato, e dalla articolazione a doppio volume. Alle due estremità della strada interna, due scale - entrambe a due rampe e a vista - conducono agli alloggi

duplex, quella sul lato affacciato su via Verdi, e agli uffici superiori, quella sul lato su via Pietrapiana. I piani superiori seguono una medesima organizzazione planimetrica, con un percorso centrale che distribuisce gli ambienti di lavoro. La dimensione modulare della cellula viene accorpata in diverse soluzioni che creano situazioni spaziali differenziate, per il lavoro singolo o d’equipe. I materiali utilizzati sono il rivestimento in calcare di S. Giuliano per il basamento, il cemento armato a faccia vista per i piani superiori, mentre gli infissi sono in alluminio anodizzato bronzo. All’interno, figurano il cotto per i pavimenti del salone del pubblico, il legno per i corrimano e i piani d’appoggio, sia dei tavoli che del banco, il cemento armato a faccia vista per i paraboloidi che coprono il salone, i telai d’appoggio e le scale, il rivestimento in pietra per le pareti e i pilastri.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_vista del ponte lato est 2_vista del ponte lato ovest 3_vista del ponte 4_vista del ponte da sotto 5_vista del ponte dal parco delle Cascine 6_dettaglio della struttura metallica 7_dettaglio del pilone con i tiranti 8_percorso pedonale

project: Ponte all’Indiano typology: Ponte strallato architect: A.Montemagni, P.Sica, F.De Miranda realization: 1972-1978 address: quartiere Perentola/quartiere Isolotto

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Laura Andreini-Rassegna di architettura e urbanistica- Edizioni KappaVolume anno XXXIX- n°117- Pag 127-134 http: // web.rete.toscana.it/cultura/architettura http://www.artearti.net/magazine/articolo/gli_anni_sessanta_nuovi_ponti_e_nuove_idee_costruttive http://www.paolosica.it/BIOGRAFIA.htm

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Paolo Sica nasce a Livorno il 30 aprile 1935. A Firenze, eccetto una breve parentesi romana durante il periodo bellico, trascorre gli anni della fanciullezza; frequenta il Liceo Michelangelo e, in seguito, la Facoltà di Architettura dove si laurea nel 1960 con Ludovico Quaroni. La sua formazione continua a Londra dove lavora presso il London County Council e negli Stati Uniti, dove nel 1962 consegue un Master Degree presso l’University of Illinois, Urbana. Tornato a Firenze diviene assistente di Edoardo Detti, partecipa a concorsi di architettura e urbanistica, collabora alla stesura del Piano Intercomunale del comprensorio fiorentino (1965), pubblica un saggio dal titolo Traffico e forma urbana in cui si delineano le basi di quello che sarà uno degli interessi del suo operare. Del 1968 il progetto per il ponte viadotto presso le Cascine all’Indiano, oggetto di un concorso appalto vinto in collaborazione con Adriano Montemagni. Docente di Disegno del Territorio, di Urbanistica e di Progettazione Urbanistica nella Facoltà di Architettura di Firenze, dove è professore ordinario dal 1981, la sua attività spazia dalla teoria alla storia, alla pratica, attraverso la partecipazione a numerosi concorsi.Muore a Parigi il 27 settembre 1988. Fabrizio de Miranda nato a Napoli nel 1926 è un ingegnere italiano, progettista di ponti e strutture e professore universitario. Ha contribuito, come studioso e come progettista, allo sviluppo della costruzione metallica in Italia in particolare nell’ambito dei ponti in acciaio e dei ponti strallati. Su suoi progetti sono state realizzate in Italia e nel mondo alcune grandi opere con caratteristiche innovative come i Viadotti Coretta e Macinaie dell’Autostrada del Sole, la Strada sopraelevata di Genova, i Ponti Zarate Brazo Largo in Argentina, il Ponte all’Indiano a Firenze, il Viadotto San Lorenzo a Roma e il Ponte di Rande in Spagna.


21 1_planimetria con il sistema di attrezzature e funzioni legate al ponte 2_pianta e prospetto 3_sezione della travata

project: Ponte all’Indiano typology: Ponte strallato architect: A.Montemagni, P.Sica, F.De Miranda realization: 1972-1978 address: quartiere Perentola/quartiere Isolotto

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Atto ad unire i quartieri di Peretola e dell’Isolotto, si tratta di un ponte realizzato fra il 1972 e il 1978. Nel 1967 venne bandito un concorso vinto dal gruppo formato dagli architetti Adriano Montemagni e Paolo Sica e dall’ingegnere Fabrizio De Miranda. L’ingegnere De Miranda riceverà nel 1978 ad Helsinki il premio europeo della Convenzione Europea della Costruzione Metallica proprio per questa costruzione. La storia del ponte all’indiano, così come la storia di tutti gli attraversamenti dell’Arno, è strettamente connessa con quella delle cruciali trasformazioni urbane che la città ha subito nel corso dei secoli. La realizzazione del viadotto deve essere letta come l’epilogo di una strategia di trasformazione urbana posta in essere attraverso l’attività di pianificazione guidata da Edoardo Detti nel 1962. Alla base delle problematiche evidenziate nell’alaborazione del nuovo PRG emerge, come per molte città italiane, il complicarsi del traffico, della circolazione, della sosta e parcheggio delle automobili divenute nuove prorompenti protagoniste della scena urbana. ll progetto viene notato perché i progettisti disegnano non solo un ponte carrabile ma anche pedonabile, pur se non richiesto nel bando. Il ponte viadotto oltre a rispondere alla funzione di completare la nuova grande struttura viaria intercomunale prevista nel PRG del 1962, doveva garantire, nelle intenzioni dei progettisti, continuità tra le due aree verdi contrapposte, ovvero il parco delle cascine e il parco di Mantignano. Il progetto si propone quindi, già in partenza, obiettivi che superano la semplice funzionalità di infrastruttura di viabilità per investire e coordinare ambiti e sistemi diversi, configurandosi come un vero e proprio asse di scambio. La collocazione dello scavalcamento alla confluenza dei due fiumi presenta inoltre una situazione di interesse

ambientale: il belvedere dell’Indiano proietta la sua vista lungo la Valle dell’Arno. Esigenze ambientali e funzionali convergono in una proposta progettuale che si pone in rapporto alle altre attrezzature dell’area come oggetto autonomo “altro” e “diverso” la cui qualificazione formale è affidata al carattere architettonico di nodo e fulcro visuale del paesaggio. E’ il primo ponte strallato di grande luce ancorato a terra realizzato nel mondo, ed è uno tra i più grandi ponti di questo tipo in Italia del XX secolo. L’impalcato è retto da una serie di cavi, detti appunto stralli, che vengono ancorati a piloni di sostegno. Ha una campata principale sorretta da cavi di acciaio ad alta resistenza, con una luce di 206 metri, ed è impalcato in lamiera di acciaio irrigidita composta da 2 travi a cassone trapezio collegate da traversoni e controventi orizzontali. Per mantenere inalterata la percezione dello spazio prospettico dell’alveo del fiume e per non invadere la sede fluviale con elementi che avrebbero modificato il deflusso delle acque, è stato scelto di articolare il ponte con un’unica luce, evitando l’uso di sostegni intermedi. La scelta dell’acciaio come materiale prevalente si collega a motivi tecnologici e a scelte di natura linguistica, contrapponendosi intenzionalmente al valore naturale del vicino parco delle Cascine. Nella progettazione del ponte, oltre agli aspetti strutturali, particolare attenzione è stata posta anche all’illuminazione; lo studio illuminotecnico ha cercato di mettere in risalto i punti nodali della struttura attraverso la luce, è stata prevista l’illuminazione dei tiranti di sostegno della travata principale attraverso gli stessi proiettori, localizzati in testa ai piloni, che servono il piano carrabile. I rapporti di integrazione funzionale con l’intorno immediato si esplicano in sistemi interrelati di percorrenza e servizio, quali aree di parcheggio, passerelle, rotatorie e rampe di collegamento alla viabilità locale esistente.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Archivio di Stato 2-5_Archivio di Stato 3-4-7-8_Prospetto principale 6_Italo Gaberini

project: Archivio di Stato di Firenze typology: Archivio architec: Italo Gamberini realization: 1972-1988 address: Viale Duca degli Abruzzi

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http://www.treccani.it/enciclopedia/italo-gamberini http://it.wikipedia.org/wiki/Italo_Gamberini Rosamaria Martellacci-Italo Gamberini Architetto (1907-1990)-Firenze-Edifir Italo Gamberini-L’Architettura dal Razionalismo all’Internazionalismo-Edifir

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(Firenze, 1907 - Firenze, 1990) Con la sua tesi di laurea concepì la base del progetto del nuovo Fabbricato Viaggiatori della Stazione di Firenze Santa Maria Novella, realizzato tra il 1932 e il 1935 dal Gruppo Toscano, formato da Nello Baroni, Pier Niccolò Berardi, Sarre Guarnieri, Leonardo Lusanna, Giovanni Michelucci. In linea con le tendenze più all’avanguardia della sua città continuò a lavorare con i suoi colleghi, soprattutto partecipando agli altri importanti concorsi nazionali banditi in quegli anni, come quelli per la stazione di S. Lucia a Venezia (1935) con Baroni, Berardi e Lusanna, e per alcuni edifici dell’EUR a Roma. Fu nel dopoguerra, però, che Gamberini diede inizio a quella intensa e seria attività professionale, svolta per larga parte in Toscana e in particolare a Firenze, che ne ha fatto uno dei maggiori protagonisti dell’architettura toscana del Novecento. Partecipò al concorso per il nuovo ponte della Vittoria e al concorso per la ricostruzione delle zone distrutte dalla guerra intorno a ponte Vecchio. Ottenne il primo premio ex aequo con un interessante progetto che, seppur non realizzato, anticipa alcuni dei temi della ricerca che Gamberini avrà modo di sviluppare successivamente, nonostante l’isolamento in cui l’ambiente fiorentino venne a trovarsi rispetto al dibattito a livello nazionale. Fu sempre attento agli aspetti tecnici del progetto e all’uso dei materiali, sia tradizionali, sia nuovi e sperimentali. Iniziò anche a lavorare sul tema della facciata facendo emergere, con evidenza, la scansione in tracciati regolari disegnata ora dalla tessitura strutturale, che acquista valore compositivo, ora dalle sporgenze delle finestre. Studiò soluzioni sempre originali e di alta qualità realizzate attraverso elementi e componenti industriali. Italo Gamberini muore a Firenze il 14 novembre 1990.


22 1_Foto dell’epoca della costruzione 2-3_Archivio di Stato

project: Archivio di Stato di Firenze typology: Archivio architec: Italo Gamberini realization: 1972-1988 address: Viale Duca degli Abruzzi

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L’Archivio di Stato di Firenze è il repositorio delle carte e degli archivi documentali di proprietà pubblica nella città di Firenze. L’archivio è una miniera inesauribile di documenti di ogni epoca, a partire dalle carte dell’Abbazia di Passignano (risalenti all’VIII secolo), di importanza fondamentale per gli studi storici, storico-artistici, linguistici, paleografici e diplomatici. Le carte conservate nella sede centrale in Piazza Beccaria e nel deposito di Sesto Fiorentino, divise in circa 600 fondi, richiedono scaffalature per una lunghezza di oltre 75 chilometri. La nuova sede fu progettata dagli architetti Italo Gamberini, Loris Macci, Rino Vernuccio e Franco Bonaiuti. L’edificio è collocato lungo i viali di Circonvallazione in un’area che l’architetto Giuseppe Poggi nel suo progetto per i Viali aveva progettato di lasciare vuota per aprire la visuale da piazza Beccaria e dal viale Gramsci verso la collina di San Miniato al Monte. Questa area era però stata già occupata in epoca fascista per la costruzione nel 1938, della Casa della Gioventù italiana del Littorio, un interessante edificio dell’architetto Aurelio Cetica, demolito per far posto all’attuale, piuttosto discusso, tanto da essere stato definito “triste costruzione” da Antonio Paolucci. L’edificio si pone come un elemento urbano qualificante, premessa per la ricostruzione della vasta area del quartiere Santa Croce e anticipazione del suo recupero socio-culturale. L’ambientamento nei confronti del contesto architettonico passa in modo programmatico attraverso scelte plano-volumetriche, coloristiche e materiche, che confermano sia una operatività basata sul metodo che l’attenzione per la città di Firenze in tutte le sue manifestazioni di vita, siano esse sociali che storiche. All’interno i movimenti che interessano il pubblico, i visitatori occasionali delle mostre, gli studiosi o i partecipanti ai convegni periodici, sono stati

realizzati in modo da creare un rapporto continuo fra il fruitore e gli aspetti di vita più importanti dell’organismo. Le strade-gallerie interne, attrezzate con esposizione di materiale, come se fosse un percorso-museo, permettono affacciamenti sugli ambienti-mostra, sugli archivi e sui grandi laboratori di restauro. Nel nodo di congiunzione, rappresentato dalla piazza coperta, si constretizza lo scambio tra movimenti orizzontali e verticali, tra interno ed esterno. Il recupero del rapporto fra utenza e prodotto architettonico, tra vita interna ed esterna e l’attenzione per il contesto, funxionale e fisico con le premesse per l’inserimento nella città, oltre all’utilizzo di materiali tipici di Firenze, come la pietra forte, utilizzata per il rivestimento e per le pavimentazioni interne ed esterne, ed i suoi colori tipici.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_prospetto est 2_prospetto nord 3_4_ vista prospettica 5_prospetto dettaglio 6_Pierluigi Spadolini 7_facciata 8_prospetto sud

project: Palazzo degli affari typology: Edificio per uffici architect: Pierluigi Spadolini realization: 1972-1974 address: Piazza Adua

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PierLuigi Spadolini , Architettura e civiltà industriale ,scritti e interventi 1986-1992 , L.F.F 1992

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Pierluigi Spadolini è nato a Firenze il 5 aprile del 1922. Ha iniziato la sua attività progettuale nel 1952 e da allora ha realizzato numerosissime opere in italia e all’estero. In particolare la sua ricerca progettuale e teorica si è indirizzata verso lo studio di tutte le componenti del processo edilizio e verso la sperimentazione di nuove metodologie del fare architettura. Tra le sue opere : la Sede storica del Monte dei Paschi di Siena , il Centro congressi a Firenze , l’edificio per le mostre della Fortezza da Basso a Firenze , la S.M.A. a Firenze , la Chiesa di Tor Bella Monaca a Roma, il Nuovo Centro Direzionale di Napoli e la Chiesa del Centro Direzionale , la nuova sede della Bayer a Milano, l’edificio per le Assicurazioni Generali a Mogliano Veneto , il Palazzo Italia all’Esposizione di Siviglia , il Progetto Direttore per il Sistema Direzionale Orientale di Roma. Numerose anche le sue pubblicazioni , tra le quali si ricorda : Design e Società , Componibilità come composizione , Progetto e processo edilizio. Nel 1969 ha istituito la Cattedra di Progettazione Artistica per l’Industria presso la Facoltà di Architettura di Firenze e, nella stessa sede, ha concluso nel 1992 la sua attività accademica come docente presso la Cattedra di Progettazione Integrale. Spadolini fu anche un importante designer sulla scena internazionale, soprattutto nel campo delle costruzioni navali (yacht). Muore a firenze nel 2000

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23 1_Vista dalla collina 2_Dettaglio piscina 3_Facciata

project: Palazzo degli affari typology: Edificio per uffici architect: Pierluigi Spadolini realization: 1972-1974 address: Piazza Adua

Progettato dall’Architetto Pierluigi Spadolini, il moderno Palazzo degli Affari con la sua struttura polivalente e flessibile, è dislocato su 5 piani ed ha un capacità complessiva di 1800 persone. Adiacente al Palazzo dei Congressi, circondato da un grande parco secolare, a due passi dalla stazione ferroviaria ed a 5 minuti a piedi da Piazza del Duomo.

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Punto di forza di questa struttura è la sua grande versatilità, ogni spazio è infatti modulabile e si adatta ad ogni tipo di esigenza. Inaugurato nel 1974, è una moderna struttura di 4.000 m2, ha una capacità complessiva di 1.800 persone ed accoglie convegni e manifestazioni espositive, poster session, sale stampa, defilé di alta moda oltre a colazioni di lavoro e gala dinner. Dall’attico del Palazzo si può ammirare il panorama di Firenze e dell’ampio parco secolare, che collega la struttura del Palazzo dei Congressi. Spadolini elabora una parete , che per cromatismo cerca un rapporto con l’intorno, costituendosi infatti in cemento bianco e inerti di pietra e marmo, ma è un rapporto che subito viene spezzato e allontanato , “giocando” con gli sfalsamenti dei vari livelli. I pannelli , anche in questo caso rigorosamente componibili , sono concepiti in modo da fa vibrare la pelle dell’edificio , che manda di un fronte principale e nel quale tutti i lati sono ottenuti con lo stesso disegno e con le stesse gerarchie ,tradizionalmente ripartite, in una chiara e riconoscibile impostazione sintattica. Anzi ,se mai una differenziazione la si può trovare , questa la si registra nel diverso dosaggio del vetro nella composizione dei volumi.

Il fronte concavo verso il giardino, è equilibrato sulla presenza delle due ali aggettanti che si innestano sulla parete di fondo interamente vetrata e queste maggiori aperture verso l’interno , prospettanti il lato sistemato a verde , testimoniano la volontà di relazionare l’architettura , alla presenza dell’elemento naturale. La disposizione dei pannelli sulla facciata conferisce una sorta di leggerezza che pare rarefarsi salendo gradualmente verso l’alto,alludendo e interpretando il tema murario delle facciate di molti palazzi rinascimentali, nei quali le diverse intensità del bugnato conferiscono un’evidente gerarchia alle diverse parti . Ma in questa dimensione sintattico-grammaticale ,poco importa se l’attacco a terra è completamente vetratato e ribalta così quei valori simbolici di radicamento al suolo che normalmente ci si aspetta dall’elemento basamentale ,così come si registra la totale mancanza d’evidenti temi di scansione d’angolo ,se si accettua il raffinato raddoppio del pannello prefabbricato;quello che conta , è la supremazia del dettaglio , la profonda attenzione ad una tecnologia mai esibita e la rigorosa costruzione degli impaginati frontali, ottenuti sull’elaborazione di pochi elementi basilari.La fressibilità e la scomponibilità che investe tutta questa esperienza realizzativa , è riflessa anche nella sistemazione degli spazi interni, divisi è vero , in rigida funzionalizzazione a seconda dei diversi livelli, ma comunque interamente riorganizzabili tramite speciali pannellature in legno


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_vista dal boschetto della Limonaia 2_particolare facciata 3_facciata principale 4_vista interna 5_particolare scalinata teatro 6_Giovanni Michelucci 7_vista prospettica 8_scalinata teatro

project: Limonaia Villa Strozzi typology: spazio espositivo architect: Giovanni Michelucci realization: 1973-1998 address: via Pisane

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Sistemazione della limonaia di Villa Strozzi, Naldi F., in La città di Michelucci, Firenze, 1976, pp.175-180 CERASI, M., 1968, Michelucci, Roma Storia dell’architettura moderna, Zevi B., 1975

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Considerato tra i maggiori esponenti del razionalismo italiano, aderì al movimento con notevole libertà espressiva e con un vivo senso dei valori storici e costruttivi tradizionali. Realizzò la sua prima opera sotto le armi: una cappella costruita nel 1916 sul fronte, a Caporetto. La stazione di S.M.N a Firenze (1933-36, in collaborazione) ebbero grande risonanza nel chiuso ambiente dell’architettura italiana dell’epoca. La chiesa di S. Giovanni Battista sull’Autostrada del Sole presso Firenze (1963-64), segna un vertice nel discorso architettonico di Michelucci, volto con quest’opera a realizzare una più intensa espressività attraverso l’uso del cemento armato. In seguito ha approfondito sempre più i valori espressivi del segno progettuale e dei materiali; si ricordano la realizzazione del palazzo delle Poste e Telegrafi a Firenze (1969-75), la sistemazione intorno alla sede della banca del Monte dei Paschi a Colle Val d’Elsa (Siena), una delle costruzioni più memorabili, progettata dal 1973 al 1978. Michelucci realizzò, inoltre, la ristrutturazione del quartiere di S. Croce a Firenze (1969), le straordinarie invenzioni per un Memoriale michelangiolesco sulle Alpi Apuane (1974), l’ospedale di S. Bartolomeo a Sarzana (La Spezia), nonché il progetto per il complesso teatrale di Olbia (che gli era stato affidato nel 1989).


24 1_modellino Limonaia 2_dettaglio interno 3_struttura del palco

project: Limonaia Villa Strozzi typology: spazio espositivo architect: Giovanni Michelucci realization: 1973-1998 address: via Pisane

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Nel 1973 il comune di Firenze decise di trasformare il complesso di villa Strozzi (la villa, le scuderie e la limonaia restaurate nella seconda metà dell’Ottocento da Giuseppe Poggi) in uno spazio polivalente per l’arte contemporanea. Per conferire all’intervento un carattere internazionale, vennero interpellati sette architetti diversi per esperienza e cultura: gli italiani Giovanni Michelucci, Ignazio Gardella e Carlo Scarpa, il finlandese Alvar Aalto, l’austriaco Hans Hollein, l’americano Richard Meier e l’inglese Alan Irvine. Tutti i progettisti si confrontano con il tema della ristrutturazione non conservativa dell’architettura, palese espressione della volontà della committenza di conservare l’involucro degli edifici, riconfigurandoli completamente all’interno. Michelucci cominciò a lavorare al progetto nell’aprile del 1973. Prese corpo progressivamente l’idea di uno spazio attraversato da percorsi aerei nel quale la copertura diveniva spazio per lo spettacolo e la sistemazione interna si poneva in decisa autonomia rispetto al guscio ottocentesco (debitamente restaurato e consolidato). Le difficoltà economiche e il succedersi di diverse amministrazioni determinarono un arresto dell’iter e indussero la committenza e il progettista (Bruno Sacchi) a rivedere in parte il progetto, eliminando il sistema delle passerelle interne e in qualche modo semplificando l’idea michelucciana. Il progetto esecutivo viene approvato il 26 marzo 1987 e i lavori avviati poco dopo: il 16 gennaio 1998 venne approvato il progetto delle opere di completamento e di arredo. La Limonaia fu conclusa nell’estate del 1998 e ufficialmente inaugurata il 6 luglio.

Il progetto di ridefinizione ideato da Michelucci consiste in una riduzione della precedente architettura ottocentesca a semplice involucro murario, all’interno del quale si sviluppano una nuova architettura e una nuova struttura, completamente e volutamente indipendenti dal contenitore come esplicitamente denota la candida struttura metallica della copertura.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_ prospetto fronte nord 2_balconi (prosp. fronte nord) 3_balconi prospetto est 4_ingresso appartamenti 5_vista prospetto generale 6_7_8_lucernai

project: Condominio P.zza San Jacopino typology: Residenziale architect: Dezzi Bardeschi realization: 1973-1976 address: P.zza San Jacopino

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http://nonsolosanjacopino.blogspot.it http://www.comune.fi.it/home.htm

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Nato a Firenze (1934), Ingegnere Edile con Giovanni Michelucci, tesi di progetto: una scuola materna a Sorgane (Bologna, 1957), Architetto con Piero Sanpaolesi, tesi in restauro: il complesso di San Pancrazio a Firenze e l’opera dell’Alberti (Firenze, 1962). Ha alle spalle un’esperienza più che quarantennale nel settore della conservazione e dell’intervento di recupero del patrimonio costruito, maturata, prima, presso l’Istituto di Restauro dei Monumenti di Firenze, fin dalla sua fondazione, e poi, dal ‘76 presso la Facoltà di Architettura di Milano come ordinario di Restauro Architettonico.Dall’anno 2000 è stato chiamato ad insegnare anche all’Università di Architettura di Parma come docente del Laboratorio di Restauro per la laurea specialistica in Architettura. Dal 2005 fa parte del Colleggio docente del Dottorato in Tecnologie e Management dei Beni Culturali di Lucca. Al Politecnico di Milano ha fondato il Dipartimento per la Conservazione delle Risorse architettoniche e ambientali (che ha diretto dal 1980 al 1985) e il Dottorato di Ricerca in Conservazione dei Beni Architettonici con sede presso il Politecnico di Milano (sedi consorziate Genova, Cagliari e Reggio Calabria) di cui è stato coordinatore (1983-1985). Dal 1998 al 2002 ha fatto parte del Senato del Politecnico di Milano a rappresentarvi le aree disciplinari della Progettazione architettonica e della Conservazione. Accademico delle Arti e del Disegno a Firenze, e dal 2003-2007 Presidente della sezione Italiana dell’ICOMOS) per il quale, tra l’altro, ha promosso e organizzato la Terza Mostra Internazionale del Restauro Monumentale; poi al Salone del Restauro a Ferrara (22-25 marzo 2007); al Palazzo Ducale di Gubbio. Attualmente aperta al San Michele, sede del Ministero e dei Beni delle Attività culturali, a Roma (18 giugno-26 luglio 2008). Vicepresidente del Comitato del MBC per lo studio e la ricerca dei giardini storici.


25 1_dettaglio dei balconi 2_prospetto su piazza San Jacopino 3_Balconi visti dal vano scala

project: Condominio P.zza San Jacopino typology: Residenziale architect: Marco Dezzi Bardeschi realization: 1973-1974 address: Piazza San Jacopino

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Per riuscire ad apprezzare l’edificio che identifica Piazza San Jacopino e capire che cosa ha influenzato Marco Dezzi Bardeschi nello scegliere questo bizzarro color marrone, basta volgere lo sguardo dal centro della piazza di San Jacopino,verso via Cassia, e in fondo scorgeremo la centrale Termica di Angiolo Mazzoni in via delle Ghiacciaie con le sue imponenti e nere canne fumarie. La particolarità dell’edificio di San Jacopino è nelle sue forme irregolari, ottenute dalla sovrapposizione di cilindri, prismi ed elementi vetrati sporgenti. La pianta dell’edificio che gioca su più livelli è frutto della sovrapposizione di moduli quadrati ruotati di 45° rispetto a quelli sottostanti. Il risultato è una naturale alternanza tra il pieno della muratura e il vuoto dei balconi, ai quali si affiancano le tracce curvilinee e i moduli circolari delle coperture. Paradossalmente le critiche sopite in questi anni per l’edificio del Mazzoni, si levarono per questo palazzo quando nel 1976 alla sua inaugurazione i fiorentini gridarono allo scandalo, ritenendo inconcepibile una simile rottura architettonica con lo tradizione fiorentina. In epoca più recente i giudizi formulati per questo particolare palazzo marrone sono in generale più positivi, anche perchè tanti non ci fanno più nemmeno caso. l complesso è caratterizzato da una planimetria e volumetria articolate e si sviluppa in un nucleo adibito a residenza ed uffici, su 5 e 6 piani fuori terra più mezzanino e seminterrato, con fronte principale sulla piazza San Jacopino ed impianto al “L”, ed in un corpo ad un solo piano adibito ad attività commerciale ed uffici, perpendicolare all’asse stradale di via Ponte all’Asse. L’impianto volumetrico è qualificato dall’intersecarsi, con ampi tagli di cesura, di matrici spaziali dalla pura geometria: il prisma triangolare del corpo scale principale, fungente da sprone di penetrazione nel vuoto della piazza nonché da motivo dinamizzante e catalizzante, i paralle-

lepipedi ed il cilindro dei corpi degli appartamenti, ritmati orizzontalmente da tagli ed aggetti, ed i cilindri dei corpi scale secondari. Tale matrice geometrica ricorre anche nella pianta, tutta giocata ai vari livelli dalla sovrapposizione di moduli quadrati ruotati di 45 rispetto a quelli sottostanti, così da costituire una naturale alternanza tra il pieno della muratura ed il vuoto dei balconi, ai quali si giustappongono le tracce curvilinee dei balconi ed i moduli circolari delle coperture. Mentre il piano terra presenta un basamento vetrato, il resto dell’edificio è caratterizzato dalla compattezza della cortina muraria: questa è fortemente connotata dal cromatismo dell’intonaco, di un colore rosso-marrone scuro, sul quale contrasta il verde pisello degli infissi: in tale articolazione si differenziano la prua della testa dell’edificio, con tagli poligonali sullo spigolo, e le due torri dei vani scale, caratterizzate, come il piano terra ed a differenze delle altre aperture, da infissi di colore bianco. La pianta dell’edificio risulta dalla giustapposizione di tre nuclei di appartamenti, polarizzati attorno ai rispettivi vani scale: ciascuno degli appartamenti propone, con alcune varianti, la tradizionale distribuzione dei vani, con la suddivisione tra la zona notte e la zona giorno; al piano terra invece il corpo di testa è caratterizzato da un unico grande spazio scandito da pilastri circolari, mentre il resto dell’edificio presenta negozi al piano terra ed uffici al mezzanino. I pavimenti sono in ceramica, ad eccezione che nei vani scala e nei negozi al piano terra, in marmo a disegni geometrici.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Dettaglio Facciata 2_Copertura 3_Giardino 4_ Giardino 5_Entrata padiglione 6_Pierluigi Spadolini 7_Interni 8_Dettaglio scala

project: Padiglione Spadolini typology: Spazio espositivo architect: Pierluigi Spadolini realization: 1974-1976 address: Fortezza da Basso

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PierLuigi spadolini , Architettura e civiltà industriale ,scritti e interventi 1986-1992 , L.F.F 1992

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Pierluigi Spadolini è nato a Firenze il 5 aprile del 1922. Ha iniziato la sua attività progettuale nel 1952 e da allora ha realizzato numerosissime opere in italia e all’estero. In particolare la sua ricerca progettuale e teorica si è indirizzata verso lo studio di tutte le componenti del processo edilizio e verso la sperimentazione di nuove metodologie del fare architettura. Tra le sue opere : la Sede storica del Monte dei Paschi di Siena , il Centro congressi a Firenze , l’edificio per le mostre della Fortezza da Basso a Firenze , la S.M.A. a Firenze , la Chiesa di Tor Bella Monaca a Roma, il Nuovo Centro Direzionale di Napoli e la Chiesa del Centro Direzionale , la nuova sede della Bayer a Milano, l’edificio per le Assicurazioni Generali a Mogliano Veneto , il Palazzo Italia all’Esposizione di Siviglia , il Progetto Direttore per il Sistema Direzionale Orientale di Roma. Numerose anche le sue pubblicazioni , tra le quali si ricorda : Design e Società , Componibilità come composizione , Progetto e processo edilizio. Nel 1969 ha istituito la Cattedra di Progettazione Artistica per l’Industria presso la Facoltà di Architettura di Firenze e, nella stessa sede, ha concluso nel 1992 la sua attività accademica come docente presso la Cattedra di Progettazione Integrale. Spadolini fu anche un importante designer sulla scena internazionale, soprattutto nel campo delle costruzioni navali (yacht). Muore a firenze nel 2000

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26 1_Planimetria piano interrato 2_Piano terra 3_Piano primo

project: Padiglione Spadolini typology: Spazio espositivo architect: Pierluigi Spadolini realization: 1974-1976 address: Fortezza da Basso

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Il padiglione espositivo “Spadolini”, copre circa 13.000 m². degli oltre nove ettari racchiusi dall’antica struttura militare medicea. La volumetria elementare del fabbricato non si pone propriamente con discrezione nei confronti dell’intero contesto monumentale della Fortezza da Basso, affrontando in modo assai problematico il tema del rapporto con l’ambiente storico. L’intervento altera l’originario equilibrio dell’insieme, la cui architettura risulta sopraffatta di fronte alla presenza del nuovo edificio, a cui va tuttavia il merito di aver contribuito a dare forte animazione ad uno dei complessi architettonici più importanti di Firenze. Esternamente i tre piani presentano accessi completamente indipendenti in modo da poter essere utilizzati contemporaneamente per manifestazioni diverse. Due rampe simmetriche, innestate sui lati lunghi, collegano il piazzale alla copertura a terrazza che perimetra il volume prismatico vetrato dell’ultimo piano. Al centro dell’edificio è sistemata una scala su pianta quadrata che mette in comunicazione diretta le piastre continue dei piani, delimitando un’ampia corte interna. A questa si aggiungono una serie di scale laterali, normali e mobili, che nel complesso garantiscono una circolazione fluida. Tutta la costruzione risponde ai criteri della produzione industriale ed è realizzata con struttura in acciaio costituita da un tipo di pilastri e due diversi tipi di travi con campate di metri 10 x 10. I pilastri tubolari quadri di cm 28 di lato sono collegati attraverso bulloni a una struttura orizzontale in profilati d’acciaio a doppio T. I solai sono in elementi prefabbricati in cemento armato precompresso appoggiati sulle travi secondarie della struttura in acciaio; al di sopra sono posati strati di materiale polietilenico di sigillatura. Gli elementi sono fissati tra loro attraverso sistemi di montaggio reversibili che ne permettono il recupero quasi totale.

La stereometria semplice e modulare si risolve in un volume elementare la cui caratterizzazione architettonica è affidata alla ricerca condotta sui materiali delle superfici verticali e orizzontali e sul design dei componenti, studiati in modo da risultare in un numero limitatissimo di tipi. Le superfici verticali sono interamente rivestite in alluminio anodizzato bruno, modellato a profonde doghe orizzontali la cui altezza deriva dalla misura dello scalino. Il rivestimento, assai inconsueto per un ambiente storico, avvolge tutto il perimetro esterno dell’edificio e la scala centrale accentuando l’orizzontalità del volume e mascherando con il forte chiaroscuro delle doghe il carattere di provvisorietà della costruzione. Le superfici orizzontali esterne sono invece risolte con elementi prefabbricati in cemento con ciottoli affogati di colore bianco e verde, ancorati alle strutture portanti del fabbricato per mezzo di bulloni. Tre sono quindi i grandi temi architettonici, quanto mai attuali, affrontati e risolti in questa realizzazione: il rapporto culturale con le preesistenze storiche, l’impiego della tecnologia più avanzata nell’architettura contemporanea e quello del rapporto tra architettura permanente ed effimera nella tematica progettuale di oggi.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Ingresso secondario Teatro 2_Ingresso sala teatro 3_Vista generale teatro 4_Platea 5_Atrio 6_Assonometria generale 7_Assonometria 8_Ingresso da via Cavour

project: Teatro della Compagnia typology: Teatro e sala cinema architect: A. Natalini - F. Natalini realization: 1987 address: Via Cavour, 50rrchitect: Adolfo Natalini

http://www.nataliniarchitetti.com/

Adolfo Natalini è nato a Pistoia nel 1941. Dopo un’esperienza pittorica, che si rifletterà nel suo costante uso del disegno, si laurea in architettura a Firenze nel 1966 e fonda il Superstudio (con Cristiano Toraldo di Francia, Gian Piero Frassinelli, Roberto e Alessandro Magris, con Alessandro Poli tra il 1970 e il 1972) iniziatore della cosiddetta “architettura radicale”, una delle avanguardie più significative degli anni ‘60 e ‘70.

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Dal 1979 Adolfo Natalini ha iniziato una sua attività autonoma e si è concentrato sul progetto per i centri storici in Italia e in Europa, ricercando le tracce che il tempo lascia sugli oggetti e sui luoghi e proponendo una riconciliazione tra memoria collettiva e memoria privata. Tre le sue opere: i progetti per il Römerberg a Francoforte e per il Muro del Pianto a Gerusalemme, la banca di Alzate Brianza, il Centro Elettrocontabile di Zola Predosa, la casa in Saalgasse a Francoforte, il Teatro della Compagnia a Firenze. Nel 1991 inizia l’attività dei Natalini Architetti (studio di architettura al Salviatino, Firenze) con Fabrizio Natalini (omonimo ma non parente). Tra le loro opere: la ricostruzione della Waagstraat a Groningen, il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure a Firenze, la Dorotheenhof sulla Manetstrasse a Lipsia, la Muzenplein a l’Aja, il Centro Commerciale di Campi Bisenzio, il Polo Universitario a Novoli, Firenze, Boscotondo a Helmond, il Polo Universitario a Porta Tufi a Siena, Het Eiland a Zwolle, Haverlej a Den Bosch, il Museo dell’Opera del Duomo e il progetto per i Nuovo Uffizi a Firenze.


27 1_Planimetria generale 2_Vista prospettica 3_Dettaglio

project: Teatro della Compagnia typology: Museo architect: Adolfo Natalini realization: 1987 address: Via Cavour 50 rosso

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L’esiguo fronte principale è inserito tra le facciate dei palazzi Bastogi, già Capponi, e Panciatichi mentre la sala occupa il sito di quello che in origine fu il giardino Bastogi. Il fronte secondario, che si configura in realtà come principale, è allineato al filo stradale tramite la cortina del muro di recinzione dell’ex giardino Bastogi, dalla quale emerge, lievemente arretrato, il volume cieco della torre scenica. L’edificio presenta uno sviluppo planimetrico estremamente articolato, determinato dalla necessità di riutilizzare le strutture del preesistente cinema, e connotato dall’articolarsi degli spazi attorno ad un asse longitudinale, elemento di penetrazione e di distribuzione al contempo.Dal fronte principale, nel quale solo il basamento in pietra e la tettoia in vetro denotano la presenza della sala teatrale, si accede ad un profondo corridoio voltato a botte ai cui lati si dispongono, quasi “scavati” nella massa muraria, l’ottagono della biglietteria e l’esedra del bar, nonché un primo corpo di servizi, ed al termine del quale il foyer - anch’esso voltato a botte, a pianta rettangolare e disposto trasversalmente - funge da introibo alla platea, divenendo allo stesso tempo elemento di ricucitura tra i due assi longitudinali del vestibolo e della sala, lievemente sfalsati. Dopo un ulteriore spazio di sosta e di filtro un angusto “romitorio” centrale, memoria tangibile dei teatri e anfiteatri romani, immette nella platea e due scale laterali conducono ai palchi. La sala, a pianta rettangolare, si configura come una sintesi, riveduta e reinterpretata, tra i modelli dei teatri rinascimentali e le corti dei palazzi privati: quest’ultima connotazione di spazio interno - esterno è conseguita tramite il contrasto tra la massa compatta delle pareti lapidee e l’aerea superficie del soffitto a sezione mistilinea, dalla quale emergono, evidente reminiscenza delle macchine teatrali medievali, i corpi metallici del ponte tecnico e delle capriate.

Le pareti interne della sala sono rivestite in lastre di pietra rosata e concluse da una trabeazione con cornice dentellata: quelle dei lati principali risultano quadripartite tramite paraste e sono scandite al piano terra da portici architravati ed al piano superiore da logge con arco a sesto ribassato (due per ogni intercolumnio). La tessitura muraria è, all’interno di tali moduli, caratterizzata dall’emergere ritmico di blocchi lapidei aventi la funzione di animare la superficie sotto la luce e di risolvere problemi acustici. Relativamente ai rivestimenti interni, tutti gli spazi principali - atrio, foyer e disimpegni - presentano il tema conduttore delle pareti rivestite in pietra rosata a cui fanno da contrappunto sul pavimento il gioco riflettente dei marmi e sul soffitto la lucentezza di volte e solai intonacati ad encausto. Particolarmente raffinati il banco della biglietteria, in lastre di marmo rosso, e quello del bar, in cui l’emiciclo in pietra racchiude al centro il fusto di una preesistente colonna ionica in pietra serena. Relativamente ai rivestimenti esterni, anch’essi in pietra rosata, di estrema raffinatezza l’inserimento dei caratteri in oro sulla cornice del basamento, che sul fronte denotano il nome dell’edificio teatrale e sul retro l’ingresso al palcoscenico e quello per gli artisti.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1-2-5_Pensilina della Stazione di Firenze Statuto 3_Particolare Pensilina 4_Particolare della finestra 6_Cristiano Toraldo Di Francia 7_Passaggio sopaelevato 8_Particolare del passaggio vetrato

project: Stazione di Firenze Statuto typology: Stazione ferroviaria architect: Cristiano Toraldo Di Francia realization: 1985-1988 address: Piazzale Ludovico Antonio Muratori

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(Firenze, 18 settembre 1941) Dopo essersi laureato in architettura, fondò, nel 1966, il “Superstudio” assieme a Adolfo Natalini, dove il linguaggio architettonico e il design vennero rielaborati sulla base di metodi di rottura fortemente ironici. Dopo questa esperienza, nel 1980 continuò la carriera professionale in proprio, ispirandosi soprattutto al linguaggio dell’architettura toscana del Cinquecento. Toraldo di Francia si è sempre occupato di diversi settori della progettazione, dal disegno industriale all’architettura. Ha ideato allestimenti di interni e spazi espositivi tra cui la Mostra “I Maestri della Carrozzeria Italiana” al Centre Pompidou a Parigi nel 2000. Ha progettato uffici e interni commerciali per importanti aziende italiane, tra le quali citiamo Anonima Castelli, Enrico Coveri, Gherardini e per istituti di credito come la Banca Toscana e altri fino alla recente Sede della Banca di Credito Cooperativo del Chianti Fiorentino. Del 1998 è il progetto del Piano Regolatore della città di Tropea. Ha progettato opere pubbliche per i comuni di Roma, Firenze, Ancona, e altri. Per il settore dei trasporti pubblici urbani ha progettato il sistema di pensiline di attesa per gli autobus Ataf e le fermate della nuova tramvia nella città di Firenze. Per le FS ha realizzato la Stazione ferroviaria Statuto a Firenze e la sistemazione della stazione di Rignano con la relativa Piazza del Comune. Ha inoltre progettato la Stazione di Peretola per la nuova linea veloce Firenze-Pisa, ed il sistema di fermate non presidiate lungo la stessa linea. Nel 1992 è stato invitato a prendere parte alla fondazione della prima Facoltà di Architettura delle Marche per l’Università di Camerino, nella sede di Ascoli Piceno, per la quale è attualmente Professore associato di Progettazione Architettonica.


28 1_vista delle scalinate 2_sezione della Stazione 3_prospetto e pianta della Stazione

project: Stazione di Firenze Statuto typology: Stazione ferroviaria architect: Cristiano Toraldo Di Francia realization: 1985-1988 address: Piazzale Ludovico Antonio Muratori

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La stazione di Firenze Statuto è una stazione ferroviaria sopraelevata che prende il nome dall’omonimo quartiere. L’incarico della redazione di un progetto per la sistemazione dello scalo ferroviario di Firenze Statuto venne dato all’architetto Cristiano Toraldo di Francia nel 1985 nell’ambito di un programma di riorganizzazione genelale del nodo ferroviario fiorentino varato dalla II Unità Speciale delle Ferrovie dello Stato. Il sovrappasso su via dello Statuto, costituito da una coppia di ponti impostati su basamenti in finta pietra, doveva nei programmi essere trasformato in una piccola stazione di transito per treni regionali, a servizio soprattutto del complesso ospedaliero di Careggi e del vicino polo espositivo della Fortezza da Basso. Nel 1987 il progetto venne radicalmente modificato in seguito alla decisione da parte delle Ferrovie di destinare Firenze Statuto, data la sua ottima collocazione nella struttura urbana e la possibilità del rapido collegamento con il vicino centro storico, a fermata per i treni superveloci della tratta Roma-Milano, convogli il cui assetto non consente l’entrata e l’uscita da stazioni di testa quale S. Maria Novella. La stazione venne attivata nel 1988 ed appare concepita come un’architettura-filtro tra la periferia e il nucleo storico cittadino. È un’architettura “in forma di facciata”, che riprende in chiave contemporanea il linguaggio proprio dei manufatti ferroviari, sovrapponendosi al rilevato esistente e risolvendo nel suo spazio interno il collegamento tra le due diverse quote del piano stradale e del piano del ferro. Si presenta complessivamente “come un loggiato aperto nei due sensi interno-esterno con alcune parti chiuse”, che esprime la duplice funzione di fondale scenografico come nuova porta cittadina e di punto “eccezionale” di osservazione della scena urbana. La lunghezza del fronte (circa 140 m) e la conseguente orizzontalità della composizione viene bilanciata dalla verticalità delle nove colonne giganti che serrano le due logge simmetriche ai lati della grande tra-

vatura centrale Vierendel, adottata a memoria dei ponti ferroviari tardo-ottocenteschi, che ingloba il ponte esistente su via dello Statuto anteponendosi ad esso. Chiusa da vetrate, la travatura Vierendel delimita lo spazio della ex-sala d’attesa posta al livello del piano del ferro, oggi utilizzata come spazio espositivo, che viene quindi a costituirsi come una veranda di osservazione sia verso la città che verso la collina a Nord. La travatura centrale e le due logge laterali sono riunificate nel disegno dalla copertura metallica costituita da una pensilina aggettante, che salda con un unico profilo orizzontale i diversi elementi del prospetto. La pensilina presenta in sezione una sagoma a doppio profilo arcuato convergente verso l’interno; il lato sporgente verso la piazza, dimensionalmente più ampio, è sostenuto da aste metalliche aperte a ventaglio, impostate su ritti verticali metallici a sezione decrescente verso l’alto e a loro volta ancorati alle sottostanti colonne in cemento armato rivestite in laterizio a vista. L’accesso al secondo binario avviene tramite un sottopasso di comunicazione posto all’interno del loggiato di destra, dove continua la pavimentazione in porfido a piastrelle quadrate dell’ampio marciapiede antistante il corpo di fabbrica della stazione. Nello spazio interstiziale dei due portici, tra le colonne e il muro di contenimento, sono simmetricamente posizionate le scalinate rettilinee a doppia rampa, di collegamento tra la piazza e i binari. I blocchi scala sono caratterizzati dal rivestimento in piccole lastre di marmi colorati: il bianco di Carrara, il verde serpentino e il rosa di Verona (secondo un motivo utilizzato anche nel Terminal della stazione di S. Maria Novella), che spiccano sul grigio della pavimentazione in porfido e sull’uniformità del rosso mattone delle murature.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Particolare apertura lato Piazza della Stazione 2-5_Particolare del colonnato interno 3_Prospetto lato Piazza della Stazione 4_Cortile interno 6_Cristiano Toraldo Di Francia 7-8_Particolare del volume semicircolare

project: Terminal degli autobus di Santa Maria Novella typology: Terminal autobus architect: Cristiano Toraldo Di Francia realization: 1986-1990 address: Piazza della Stazione

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http://www.cristianotoraldodifrancia.it/index.htm http://it.wikipedia.org/wiki/Cristiano_Toraldo_di_Franci

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(Firenze, 18 settembre 1941) Dopo essersi laureato in architettura, fondò, nel 1966, il “Superstudio” assieme a Adolfo Natalini, dove il linguaggio architettonico e il design vennero rielaborati sulla base di metodi di rottura fortemente ironici. Dopo questa esperienza, nel 1980 continuò la carriera professionale in proprio, ispirandosi soprattutto al linguaggio dell’architettura toscana del Cinquecento. Toraldo di Francia si è sempre occupato di diversi settori della progettazione, dal disegno industriale all’architettura. Ha ideato allestimenti di interni e spazi espositivi tra cui la Mostra “I Maestri della Carrozzeria Italiana” al Centre Pompidou a Parigi nel 2000. Ha progettato uffici e interni commerciali per importanti aziende italiane, tra le quali citiamo Anonima Castelli, Enrico Coveri, Gherardini e per istituti di credito come la Banca Toscana e altri fino alla recente Sede della Banca di Credito Cooperativo del Chianti Fiorentino. Del 1998 è il progetto del Piano Regolatore della città di Tropea. Ha progettato opere pubbliche per i comuni di Roma, Firenze, Ancona, e altri. Per il settore dei trasporti pubblici urbani ha progettato il sistema di pensiline di attesa per gli autobus Ataf e le fermate della nuova tramvia nella città di Firenze. Per le FS ha realizzato la Stazione ferroviaria Statuto a Firenze e la sistemazione della stazione di Rignano con la relativa Piazza del Comune. Ha inoltre progettato la Stazione di Peretola per la nuova linea veloce Firenze-Pisa, ed il sistema di fermate non presidiate lungo la stessa linea. Nel 1992 è stato invitato a prendere parte alla fondazione della prima Facoltà di Architettura delle Marche per l’Università di Camerino, nella sede di Ascoli Piceno, per la quale è attualmente Professore associato di Progettazione Architettonica.


29 1_prospetto lato Stazione 2_prospetto scolo fontana 3_schizzi e particolare della pensilina

project: Terminal degli autobus di Santa Maria Novella typology: Terminal autobus architect: Cristiano Toraldo Di Francia realization: 1986-1990 address: Piazza della Stazione

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Voluta dall’Assessorato all’urbanistica del Comune di Firenze e progettata nel 1986 con la collaborazione di Andrea Noferi, la pensilina, posta come diaframma tra la via Valfonda e il “lato arrivi” del Fabbricato Viaggiatori della Stazione di Santa Maria Novella inglobando la fila di pini marittimi preesistente, venne realizzata nel 1990. L’opera ha suscitato vivaci critiche e accese polemiche per la scelta del linguaggio architettonico, giudicato discordante rispetto alle illustri architetture - l’abside della basilica di Santa Maria Novella e la stazione stessa, entrambe nella calda tonalità della pietraforte - a cui si rapporta, per la scelta dei materiali e per la collocazione urbana, che “altera non poco, impedendone anche la visione “ (Cresti 1995, p. 375) lo spazio circostante la stazione stessa. Nel tempo, il degrado e la frequentazione della pensilina da parte di senzatetto ha ulteriormente alimentato le critiche nei riguardi dell’opera, frequentemente oggetto di dibattito politico locale. Il 9 agosto 2010, il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha dato il via ai lavori di smantellamento. Utilizzata come terminal per gli autobus urbani e per servizi commerciali e turistici, la pensilina era organizzata in un doppio portico aperto parallelamente alle due direzioni della strada e della stazione, chiuso alle estremità da testate costituite da volumi semicircolari e da un corpo di fabbrica irregolare, rispettivamente destinati ad Ufficio Informazioni Turistiche e ad Uffici della società dei trasporti urbani ATAF. Dopo la chiusura dell’Ufficio informazioni, l’estremità orientale della pensilina subì un veloce degrado, che portò alla demolizione del corpo semicircolare nel 2005. La struttura dei porticati era metallica, con coperture reticolari rivestite in alluminio. Le colonne portanti erano rivestite in fasce di marmo verde di Prato e di bardiglio analogamente alle architetture di testa. Queste ultime erano a loro volta coperte da lucernari in ferro e vetro, nel caso dei corpi cilindrici, o dotate di co-

pertura piana e coronate da un cornicione in marmo rosa di Verona. Dello stesso marmo erano le incorniciature degli oblò che si aprivano lungo le pareti esterne, lasciate in cemento armato faccia a vista per il resto del fronte su via Valfonda. Risultava uno spazio concepito come un piccolo agglomerato urbano con una sorta di “piazzetta-corridoio” al suo interno, attrezzata per la circolazione pedonale ma anche per momenti di sosta e di riposo, come suggerivano le panche in marmo poste sulla parete posteriore del piccolo fabbricato centrale dell’ATAF, la fontana in bronzo sulla facciata verso l’interno dell’ufficio abbonamenti, l’arredo del corpo cilindrico che precedeva l’Ufficio Informazioni Turistiche e che racchiudeva il primo degli alberi della fila. La pavimentazione suggeriva i diversi percorsi e distingueva nello stesso tempo le funzioni degli spazi: le lastre di porfido pavimentavano le direttrici di attraversamento e lo spazio di attesa sotto i porticati, mentre cubetti di porfido a disegno concorrevano all’arredo e alla qualificazione della “piazzetta-corridoio”. All’interno dei corpi di fabbrica la pavimentazione era in marmo, con disegno centrale poligonale in marmo rosso perimetrato da fasce di marmo verde scuro nei volumi cilindrici. All’esterno, la testata verso la palazzina Reale era caratterizzata da un grande gocciolatoio in rame dal quale le acque di raccolta della copertura si riversavano in una vasca ottagonale in marmo verde.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Entrata principale (prosp. fronte sud) 2_Galleria commerciale 3_Vista generale(prosp. fronte sud) 4_Vista interna del supermercato con struttura metellica di copertura 5_Facciata laterale (prosp. fronte est) 6_Fontana esterna 7_Galleria commerciale 8_Facciata principale (prosp. fronte sud)

project: Centro Commerciale Le Torri a Cintoia typology: Centro commerciale architect: Mario Botta realization: 1990-1992 address: Via Antonio Canova, 164/168

Controspazio 4-1993-pp. 61-62 Bindi C., Torricelli Maria Chiara-Centro commerciale Le Torri a Cintoia, in “Costruire in Laterizio”-1996-pp.266-271

(Nato il 1 aprile 1943 a Mendrisio, Ticino)

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Dopo un periodo d’apprendistato presso lo studio degli architetti Carloni e Camenisch a Lugano, frequenta il liceo artistico di Milano e prosegue i suoi studi all’Istituto Universitario d’Architettura di Venezia, dove si laurea nel 1969. Durante il periodo trascorso a Venezia, ha occasione di incontrare e lavorare per Le Corbusier e Louis I. Kahn. La sua attività professionale inizia nel 1970 a Lugano. Realizza le prime case unifamiliari nel Canton Ticino e successivamente numerosi progetti in tutto il mondo. Da sempre impegnato in un’intensa attività didattica, nel corso degli ultimi anni si è attivato come ideatore e fondatore dell’ accademia di architettura di Mendrisio. Il suo lavoro è stato premiato con importanti riconoscimenti internazionali tra i quali il Merit Award for Excellence in Design by the AIA per il museo d’arte moderna a San Francisco, l’ IAA Annual Prix 2005, International Academy of Architecture di Sofia per la torre Kyobo a Seul e lo “European Union Prize for Cultural Heritage Europa Nostra” per la ristrutturazione del Teatro La Scala di Milano. Tra le sue realizzazioni vanno ricordate: il Teatro e la Casa per la Cultura a Chambéry; la Galleria d’arte Watari-um a Tokio; la Mediateca a Villeurbanne; il SFMOMA museo d’arte moderna a San Francisco; la Cattedrale della Resurrezione a Evry; il Museo Jean Tinguely a Basilea; la Sinagoga Cymbalista e il Centro dell’Eredità a Tel Aviv; la Biblioteca municipale a Dortmund; il Centro Dürrenmatt a Neuchâtel; il MART museo d’arte moderna e contemporanea a Rovereto; la Torre Kyobo a Seoul; gli edifici amministrativi Tata CS a Nuova Delhi e Hydrabad; il museo Fondazione Bodmer a Cologny; il Centro pastorale Giovanni XXIII a Seriate e la Biblioteca a Bergamo; la ristrutturazione del Teatro alla Scala di Milano, la chiesa del Santo Volto a Torino e il Centro Wellness ad Arosa.


30 1_Planimetria generale 2_Sezioni 3_Archi pareti laterali

project: Centro Commerciale Le Torri a Cintoia typology: Centro commerciale architect: Mario Botta realization: 1990-1992 address: Via Antonio Canova, 164/168

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L’immagine dell’edificio è quella di un volume in muratura che si apre in serie ritmate di archi ed è spaccato al centro da uno spazio caratterizzato dalla copertura leggera in metallo e dalla fenditura traslucida centrale. L’edificio del centro commerciale “Le Torri” a Cintoia occupa il lato ovest del lotto, ai piedi di alcuni blocchi residenziali; ad est, dove le preesistenze sono più minute, un ampio spazio a verde, le cui geometrie sono affidate alle piantumazioni e alla fontana circolare, si ricollega al corpo costruito tramite un largo camminamento pedonale, costeggiato da una zona a prato con doppio filare di alberi ad alto fusto. Il percorso a terra è affiancato dalla passerella pedonale sopraelevata, alle due estremità della quale un corpo a esedra, in corripondenza dell’ingresso principale al centro commerciale, e un corpo cilindrico, segnale visivo dell’intero complesso, racchiudono le scale di salita. L’architettura dell’edificio è esternamente caratterizzata dalla muratura faccia a vista, ma questa non ne costituisce la struttura portante, anche se la composizione compatta dei volumi, le aperture ad arco e gli orizzontamenti voltati simulano un sistema strutturale coerente con i principi della tipologia muraria. Il sistema strutturale in elevazione è composto da setti laterali in cemento armato, pilastri intermedi, sempre in cemento armato, e coppie di pilastri metallici centrali successivamente rivestiti in calcestruzzo. L’interno del centro commerciale, nei corpi laterali, presenta una struttura massiccia a grandi luci ritmate dalla copertura con volte a botte trasversali. Per non indebolire questo riferimento nella forma architettonica ad una struttura prevalentemente compressa, dove le spinte degli orizzontamenti voltati vicendevolmente si neutralizzano nella sequenza stessa degli archi e delle volte, i controventamenti metallici sono nascosti fino al punto di rivestire i profilati IPE con finte travi rea lizzate in cartongesso.

Al centro, in contrapposizione alla tipologia strutturale degli spazi voltati laterali, l’edificio si apre in un volume a copertura metallica leggera. Gli elementi principali sono le travi a forma di “fuso” e le coppie di pilastri circolari. Il manto di copertura della struttura metallica è composto da un pannello sandwich formato da due lamiere ad orditura contrapposta con interposti due strati di isolamento; il lato interno all’edificio è in acciaio preverniciato mentre quello verso l’esterno è in rame. Come in altri progetti di Mario Botta, la struttura muraria in mattoni di laterizio faccia a vista non ha funzione portante, risultando sorretta dalla retrostante struttura continua in cemento armato. Tuttavia essa non denuncia, negli innesti d’angolo, nelle architravature e nei coronamenti, il suo costituirsi come apparecchiatura di rivestimento. Il perimetro esterno dell’edificio è realizzato da una parete doppia formata, all’interno, dalle pareti portanti in cemento armato e, all’esterno, da un paramento in muratura faccia a vista con interposta una intercapedine vuota. Il parametro murario è realizzato con mattoni del tipo fatto a mano e murati con calce antiefflorescenze appositamente colorata in cantiere con una composizione di ossidi rossi e gialli per poterne stemperare il colore grigio.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_accesso da viale Strozzi 2_vista interna del ponte 3_rampa tra piazzale Montelungo e il sovrappasso di viale Strozzi 4_le torri e il ponte coperto visto da viale Strozzi 5_vista interna del ponte coperto 6_vista dei binari dal ponte 7_vista delle torri dai binari 8_vista da piazzale Montelungo

project: Ingresso stazione Santa Maria Novella typology: Rampa di accesso architect: Gae Aulenti e Bianca Ballestrero realization: 1990 address: Viale Strozzi

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http://cinquantamila.corriere.it/ Andrea Aleardi, Corrado Marcetti-L’architettura in Toscana dal 1945 ad oggi-Firenze-Alinea Maurizio Gentile, Paolo Berti-Santa Maria Novella 1990-Firenze-Alinaripp. 97-120

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Bianca Ballestrero (Pisa, 1936) Gae Aulenti (Udine, 1927 – Milano, 2012) Gae Aulenti si forma come architetto nella Milano degli anni cinquanta, dove l’architettura italiana è impegnata in quella ricerca storico culturale di recupero dei valori architettonici del passato e dell’ambiente costruito esistente che confluirà nel movimento Neoliberty. La Aulenti fa parte di questo percorso, che si pone come reazione al razionalismo. Dal 1955 al 1965 fa parte della redazione di Casabella-Continuità sotto la direzione di Ernesto Nathan Rogers. Di se stessa usava dire di vedere la sua architettura in stretta relazione e in interconnessione con l’ambiente urbano esistente, che diviene quasi la sua forma generatrice, cercando, con questo, di trasferire nel suo spazio architettonico la molteplicità e l’intensità degli elementi, che vanno a definire l’universo urbano. Dal 1974 al 1979 è membro del Comitato direttivo della rivista Lotus International. Tra il 1980 e il 1987 è impegnata sul Musée d’Orsay. La ristrutturazione le ha reso importanti riconoscimenti tra cui la Legion d’Onore. Ma ha suscitato anche furiose polemiche tra gli addetti ai lavori. Con indiscutibile dinamismo, Gae Aulenti s’impadronì di fatto del lavoro, imprimendo il suo marchio su ogni dettaglio. Nel 1984 viene nominata corrispondente dell’Accademia Nazionale di San Luca a Roma, mentre dal 1995 al 1996 è presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2005 ha costituito la Gae Aulenti Architetti Associati. Muore il 1º novembre 2012 a Milano all’età di 84 anni. Prima della sua scomparsa, il 16 ottobre venne insignita del premio alla carriera consegnatole dalla Triennale.


31 1_planivolumetrico dell’accesso alla stazione da piazzale Montelungo 2_studi per l’interconnessione di Belfiore con Santa Maria Novella 3_prospetto delle torri e del ponte coperto da viale Strozzi

project: Ingresso stazione Santa Maria Novella typology: Rampa di accesso architect: Gae Aulenti e Bianca Ballestrero realization: 1990 address: Viale Strozzi

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L’accoglienza positiva e cordiale che, fin dal momento della sua inaugurazione, la città ha riservato al nuovo accessso alla stazione di Santa Maria Novella dall’area della Fortezza da Basso, è una dimostrazione che la rampa rappresenta la risposta, da tanto tempo attesa, ad un’esigenza di più agevole mobilità in un settore urbano nevralgico e fortemente congestionato. A pochi mesi dalla sua apertura è del resto già possibile constatare una crescente utilizzazione del nuovo accesso alla stazione. Non solo, ma di giorno in giorno, le modalità di utilizzazione della rampa ne evidenziano quella funzione di attraversamento urbano che il progetto già prefigurava. Ci si serve cioè della rampa come di una comoda strada pedonale che, partendo da un’area di parcheggio strategica, consente di raggiungere rapidamente la piazza della stazione e qui il centro storico. La sua genesi sta nell’ipotesi di un nuovo sistema-stazione costituito da Santa Maria Novella e da un suo polo satellite nell’area di Belfiore. L’interconnessione tra i due poli è prevista mediante la realizzazione sul piano dei binari e lungo il muro a retta del rilevato ferroviario sul lato verso la Fortezza, di un’asta pedonale dotata di marciapiedi mobili, a costruire un percorso attrezzato e coperto con nuovi punti di accesso e piccole aree di sosta. Il percorso, che prende l’avvio dal piazzale di parcheggio, sale per circa cento metri in rampa continua lungo il muro del rilevato ferroviario fino a raggiungere la quota della stazione. La lieve pendenza della rampa, assai inferiore a quella prevista per l’abbattimento delle barriere architettoniche, ha consentito un percorso continuo senza introduzione di ripiani intermedi. Contenuto tra due muri paralleli, il percorso si caratterizza a livello architettonico attraverso una serie di dettagli: dal disegno delle pavimentazioni, che richiama gli antichi selciati laterizi delle città toscane, al gioco dei corri-

mani, al tema continuo delle luci puntiformi incassate nel parapetto interno. La rampa raggiunge il piano della stazione in corrispondenza del sovrappasso di viale Strozzi, dando luogo alla formazione di un nuovo ponte pedonale: qui il percorso si dilata in un ampio spazio di sosta, coperto da un lucernario a falde inclinate. Ai lati, lo spazio è delimitato dalle alte torri laterizie che sorreggono la trave reticolare di sostegno del ponte. Il tema delle torri, per le quali è intuibile il riferimento formale alla Fortezza che domina lo scenario urbano circostante, resta anche in questa fase di realizzazione il segno architettonico utilizzato per caratterizzare nell’immagine, complessivamente unitaria dell’intervento, gli episodi fondamentali del percorso. Una torre analoga segnala infatti l’avvio del camminamento alla base della rampa. A terra, i portali aperti delle torri, sovrastati da arcate metalliche a sesto ribassato, consentono la totale percorribilità del marciapiede che fiancheggia la rampa. Dal ponte, ancora incanalato tra muri di mattoni che lo separano dal fascio dei binari e dall’area occupata dagli edifici della dogana, il camminamento prosegue scoperto verso la stazione alla quale va ad attestarsi alla conclusione dell’ultimo marciapiede. L’immagine architettonica dell’intervento si definisce in rapporto con l’ambiente circostante. Mentre il muro in laterizio, l’inclinazione delle rampe, le torri, rimandano alla presenza della Fortezza, la connotazione ferroviaria del luogo viene ribadita da citazioni di elementi strutturali specifici ed in particolare le travate metalliche dei ponti. Se l’uso generalizzato del mattone a faccia vista è risultato una scelta quasi obbligata dalle preesistenze con le quali il nuovo intervento va a dialogare, è dalle modalità di impiego dello stesso materiale, dagli elementi strutturali a quelli di finitura, che deriva al percorso la sua peculiaria fisionomia architettonica.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Museo Opificio Pietre Dure 2_scala interna al Museo 3_sala superiore 4_dettaglio scala 5_sala principale vista dal piano primo 6_sala principale vista dal piano terra 7_galleria 8_dettaglio balaustra

project: Museo dell’Opificio delle pietre dure typology: Spazio espositivo architect: Adolfo Natalini realization: 1992-1995 address: Via degli Alfani

http://www.nataliniarchitetti.com/

Adolfo Natalini è nato a Pistoia nel 1941. Dopo un’esperienza pittorica, che si rifletterà nel suo costante uso del disegno, si laurea in architettura a Firenze nel 1966 e fonda il Superstudio (con Cristiano Toraldo di Francia, Gian Piero Frassinelli, Roberto e Alessandro Magris, con Alessandro Poli tra il 1970 e il 1972) iniziatore della cosiddetta “architettura radicale”, una delle avanguardie più significative degli anni ‘60 e ‘70.

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Dal 1979 Adolfo Natalini ha iniziato una sua attività autonoma e si è concentrato sul progetto per i centri storici in Italia e in Europa, ricercando le tracce che il tempo lascia sugli oggetti e sui luoghi e proponendo una riconciliazione tra memoria collettiva e memoria privata. Tre le sue opere: i progetti per il Römerberg a Francoforte e per il Muro del Pianto a Gerusalemme, la banca di Alzate Brianza, il Centro Elettrocontabile di Zola Predosa, la casa in Saalgasse a Francoforte, il Teatro della Compagnia a Firenze. Nel 1991 inizia l’attività dei Natalini Architetti (studio di architettura al Salviatino, Firenze) con Fabrizio Natalini (omonimo ma non parente). Tra le loro opere: la ricostruzione della Waagstraat a Groningen, il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure a Firenze, la Dorotheenhof sulla Manetstrasse a Lipsia, la Muzenplein a l’Aja, il Centro Commerciale di Campi Bisenzio, il Polo Universitario a Novoli, Firenze, Boscotondo a Helmond, il Polo Universitario a Porta Tufi a Siena, Het Eiland a Zwolle, Haverlej a Den Bosch, il Museo dell’Opera del Duomo e il progetto per i Nuovo Uffizi a Firenze.


32 1_planimetria generale 2_scala interna 3_sala superiore

project: Museo dell’Opificio delle pietre dure typology: Spazio espositivo architect: Adolfo Natalini realization: 1992-1995 address: Via degli Alfani

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Nell’aprile del 1989 l’architetto pistoiese cominciò il progetto e i lavori furono avviati nel 1991. Nell’estate del 1995 vennero conclusi e il museo fu ufficialmente inaugurato il 1 luglio dello stesso anno. Poche le annotazioni critiche sul progetto; Vittorio Savi (1996) sottolinea il carattere di familiarità dell’intervento, che si presenta come una casa dove una parete sia stata tolta per mostrare l’interno e dove le “stanze” sono costituite da grandi vetrine classiche in legno. Dal centrale portale in pietra serena si accede al vestibolo sul cui fondo è visibile il cortile interno utilizzato anche come mostra di pezzi lapidei: ai lati del vestibolo sono situati la portineria e la scala di accesso ai piani superiori e, verso il cortile, l’ingresso al museo e la biglietteria. L’intervento è consistito nella riprogettazione e nell’allestimento del grande salone, nella ristrutturazione delle attigue salette ottocentesche e nella creazione della biglietteria e dei servizi igienici del piano terra. Il salone presenta una pianta rettangolare e un doppio volume, conseguito tramite l’inserimento di tre massicci pilastri di ordine gigante (in cemento e rivestiti in pietra serena con ricorsi orizzontali) che vengono a definire quattro spazi a pianta quadrata: queste nicchie al piano terra affacciano sul corridoio finestrato, mentre al piano superiore scompaiono per lasciare il posto ad un unico vano scandito unicamente dal segno verticale dei pilastri. Le vetrine (in legno di ciliegio e pero) sono ricavate alle pareti delle quattro nicchie (che ospitano i pezzi secondo un allestimento tematico e cronologico) e sul lato finestrato, più basse.

Al fondo della sala è situata, allineata con il filo esterno dei tre pilastri, la scala rettilinea che conduce al piano ballatoio: questa presenta il fianco connotato da un arco zoppo, al di sotto del quale si accede alle salette ottocentesche, e è caratterizzata dal medesimo rivestimento lapideo e disegno dei pilastri; in pietra serena sono anche le pedate ed il corrimano (quest’ultimo con un disegno di memoria buontalentiana) mentre le alzate sono rivestite da lastre di pietre dure (rosse, gialle e verdi). Il salone e le salette laterali sono illuminate da una luce diffusa mentre tutte le vetrine sono illuminate all’interno tramite fibre ottiche.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_Viste dell’ingresso 2_Viste dell’ingresso 3_Panoramica 4_Esterni 5_Interni 6_Esterno 7_Panoramica 8_Vista notturna

project: Nuovo Ingresso di Careggi typology: Centro Direzionale Multinazionale architect: CSPE-Ipostudio Architetti-Elio Di Franco realization: 1999-2010 address: Viale Morgagni

http://europaconcorsi.com/projects/146017-CENTRO-DIREZIONALE-MULTIZONALE http://www.archilovers.com/p30629/Centro-Direzionale-Azienda-Ospedaliera-Universitaria-di-Careggi_Firenze#info http://www.cspe.net/web/progetti_scheda

CSPE Il Centro Studi Progettazione Edilizia - CSPE - è uno studio professionale, fondato da Paolo Felli, Antonio Andreucci e Romano Del Nord, nel 1975 a Firenze per lo sviluppo di ricerche, studi, progettazione e consulenze nel settore degli interventi della sanità e del sociale. Coordinatori alla progettazione: Antonio Andreucci, Paolo Felli, Romano Del Nord, Giulio Felli, Corrado Lupatelli, Massimo Moglia

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IPOSTUDIO Ipostudio architetti associati nasce nel 1983. Fiorentini d’adozione, i membri del gruppo hanno compiuto gli studi presso la facoltà di architettura del capoluogo toscano, completando la loro formazione nell’ambito dell’Istituto di tecnologia dell’Università e, in particolare, svolgendo ricerche presso la cattedra di Sperimentazione di Sistemi e Componenti e di Progettazione Integrale. Dalla metà degli anni Novanta il lavoro di Ipostudio può essere indicato come uno dei più significativi di una nuova generazione di architetti italiani. Addetti al progetto architettonico: Lucia Celle, Roberto Di Giulio, Carlo Terpolilli, Elisabetta Zanasi Gabrielli. Elio Di Franco Responsabile di progetto.


33 1_planimetria 2_veduta aerea 3_esterni

project: Nuovo Ingresso di Careggi typology: Centro Direzionale Multinazionale architect: CSPE-Ipostudio Architetti-Elio Di Franco realization: 1999-2010 address: Viale Morgagni

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Il nuovo ingresso dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi (NIC) si sviluppa su superficie totale di circa 24.000 mq e si articola in 4 edifici. Il nuovo Centro Direzionale assolve al ruolo di ‘interfaccia scenografica’ con la città e di ‘porta di accesso’ al polo ospedaliero, adottando logiche urbane e morfologiche che integrandosi concorrono a definire un organismo unico. Sullo sfondo di viale Morgagni, il Centro ospita funzioni direzionali e servizi per il cittadino, (strutture informative, universitarie e commerciali), per la prima volta centralizzate in unico sistema aperto ed accessibile alla città. Filtro fra ospedale e città, sottolinea il senso dell’accoglienza e dell’assistenza sempre più radicati, come caratteristiche distintive, nel modello sanitario toscano. Rappresenta il superamento dell’ospedale inteso come luogo chiuso, quasi ostile: il Nuovo Ingresso non è semplicemente una porta di accesso, è un luogo di passaggio, ma anche di incontro, un luogo rappresentativo della complessità della più grande azienda ospedaliero universitaria dell’Italia centrale: una nuova “piazza”, una nuova loggia per Firenze. Una piazza coperta, nella grande tradizione urbana delle logge fiorentine. Simbolo di un ospedale che risorge su se stesso, sulla sua storia, nell’area dove da sempre Firenze e la Toscana hanno identificato uno dei luoghi più rappresentativi per la cura e la formazione universitaria, con la sede della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Firenze. Il progetto architettonico ha modificato radicalmente l’aspetto urbano dell’area ospedaliera, trasformandola in un luogo emblematico della complessità della più grande Azienda Ospedaliero Universitaria dell’Italia centrale. Fra gli elementi simbolici, a testimonianza della volontà di cambiare il rapporto con la città, è l’abbattimento del vecchio muro di cinta che separava e chiudeva l’accesso all’area sanitaria dal mondo esterno. Il progetto è informato da una chiara volontà ordinatrice: un vero e proprio “pezzo di città”,

ispirato alle gerarchie morfologiche e agli allineamenti prospettici che costituiscono la cifra distintiva della struttura urbana di Firenze. Il complesso, costituito da quattro volumi, accoglie gli Uffici amministrativi e sanitari dell’Azienda, l’Università, la hall d’ingresso e il parcheggio. La grande copertura sovrasta, in tutto o in parte, i diversi edifici rendendoli un solo organismo. Con l’alternarsi delle grandi aperture vetrate che ne disegnano la superficie, garantisce la diffusione graduata della luce naturale. Trascende il proprio ruolo funzionale ponendosi come una sorta di grande loggia a scala urbana, un “segnale” capace di rapportarsi e imporsi alle eterogenee volumetrie. Il baricentro dell’intero sistema è la grande hall d’ingresso a doppia altezza. La trasparenza delle superfici lascia intuire funzioni e contenuto dello spazio interno a chi si accosta ai servizi dell’Azienda Ospedaliera. Al livello superiore della hall è collocata la Direzione Generale, sanitaria e amministrativa, collegata con due passaggi aerei all’edificio degli uffici operativi dell’Azienda e a quello dell’Università. Lungo l’asse longitudinale della piazza, uno specchio d’acqua arricchisce la piazza e lambisce le grandi aperture che portano la luce naturale fino al livello inferiore: un patio parzialmente coperto, raggiungibile sia dall’interno della hall che dall’esterno, accoglie un’area pedonale, riservata ad attività commerciali come ristorante, bar, edicola, farmacia e un auditorium da trecento posti. Le due piazze, superiore e inferiore, coperte dalla grande loggia, si articolano come un vero e proprio “foro” urbano dove le aperture, le grandi vetrate, gli specchi d’acqua, le riflessioni e le alte colonne, scandiscono lo spazio in un gioco di rimandi tra interno ed esterno.


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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA 1_particolare del lato sud 2_vista da nord-est 3_prospetto sud 4_attacco a terra, lato sud 5_prospetto est 6_dettaglio copertura nord 7_vista dall’alto del lato nord 8_vista del lato nord

project: Palazzo di Giustizia typology: Edificio per uffici architect: Leonardo Ricci realization: 2000/2012 address: Viale Guidoni

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Leonardo Ricci - Zodiac - 5 - 1991 - pp. 202/203 www.urbanfile.org www.transfinito.eu www.wikipedia.it www.fabricaprogetti.it

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Leonardo Ricci nasce nel 1918 a Roma, secondo di quattro figli dell’ingegner Raniero Ricci e Giuditta De Giorgi. Fin da piccolo dimostra una vocazione per la pittura e per la scenografia teatrale. L’ adolescenza è segnata da trasferimenti in varie città tra cui Roma, Torino, Venezia e Firenze dove il padre è chiamato per motivi di lavoro. Termina gli studi classici presso il Liceo Michelangelo di Firenze nel 1936, e nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Architettura dove, sotto la guida di Michelucci che lo seguirà fino alla laurea nel 1942. Si distingue come uno degli allievi più dotati del maestro che lo avvia alla professione come assistente nel proprio studio dove lavora fino al 1946. Negli anni ’50 si dedica alla stesura di Anonymus(20° Century),sorta di testimonianza che avrà una notevole risonanza, specialmente negli Stati Uniti. Nell’ immediato dopoguerra esordisce nella professione insieme a Giorgio Gori e Leonardo Savioli, conosciuti durante gli studi universitari. Nel 1948, a soli trent’anni, Ricci vince, con altri tra cui Leonardo Savioli (1917-81), il concorso per il Mercato dei fiori di Pescia (1948-51), che gli vale una meritata fama internazionale. Comincia a progettare nel 1962 il piano del villaggio “Monte degli Ulivi” a Riesi, Caltanisetta. Si dedica in seguito all’ideazione di megastrutture, un percorso di sperimentazione inteso complessivamente come un “work in progress” che si concretizzerà definitivamente nel quartiere di Sorgane a Firenze, in collaborazione con altri architetti tra cui Canali, Milanese, Cencetti e altri, esperienza che si concluderà soltanto nel 1982. Dopo aver dato le dimissioni dall’Università di Firenze ha un periodo di stasi che però si interrompe con la costruzione del Palazzo di Giustizia di Savona nella seconda metà degli anni Ottanta. Muore a Venezia il 29 settembre 1994.


34 1_planimetria 2_sezione longitudinale 3_sezione trasversale

project: Palazzo di Giustizia typology: Edificio per uffici architect: Leonardo Ricci realization: 2000/2012 address: Viale Guidoni

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Il progetto del nuovo Palazzo di Giustizia di Firenze, nasce dall’esigenza di riunificazione delle varie sedi degli uffici giudiziari sul territorio fiorentino. L’area ove è stato collocato è il risultato della riconversione di un sito industriale in disuso di proprietà della Fiat, con una estensione di 32 ettari. Il palazzo, progettato negli anni settanta del XX secolo, in linea con l’architettura del periodo, ed iniziato a costruire nel 2000, nei progetti originari avrebbe dovuto essere totalmente funzionante nella primavera del 2006, nell’autunno del 2008, anche se gran parte delle strutture era stata completata, il cantiere era ancora aperto e il trasferimento degli uffici era in via di programmazione. Con l’inizio di gennaio 2012 il Nuovo Palagiustizia è divenuto operativo. Si tratta di un colossale complesso realizzato nell’area ex-Fiat, destinato a riunire tutti gli uffici giudiziari sparsi nella città, liberando molti edifici del centro storico (ben nove sedi) che potranno avere altre destinazioni. Progettato dall’architetto Leonardo Ricci (nel frattempo scomparso), è lungo 240 metri e largo 146, con una torre di 72 metri, una delle più alte della città. Il Palazzo di Giustizia è costituito da un insieme di corpi edilizi di diversa forma e dimensione, aggregati lungo una direttrice prevalente orientata sud-est/nord-ovest. L’orientamento SE corrisponde ad un asse visuale proiettato verso il centro storico della città di Firenze; l’orientamento NO traguarda, a distanza relativamente ravvicinata, l’aeroporto di Peretola e, più generalmente, la “piana” della conurbazione Sesto Fiorentino-Prato. A NE il profilo del monte Morello e dei monti della Calvana; a SO la pianura fino all’Arno e oltre questo, l’insediamento di Scandicci.

Questa indicazione localizzativa serve a capire che l’asse sud-est/nord-ovest costituisce il primo degli “assi direttori” della composizione architettonica, un simbolico (ma estremamente chiaro) tratto di collegamento tra la città storica ed il territorio di maggiore espansione urbana. Tale asse costituisce il riferimento principale per l’aggregazione di corpi di fabbrica differenti, ordinati in due serie parallele e disposti in modo tale da lasciare all’interno un vuoto di rilevanti dimensioni, una sorta di piazza urbana protetta e coperta, la “Basilica”. Il progettista definisce in planimetria i diversi edifici che compongono il complesso edilizio utilizzando differenti geometrie: la geometria basata sull’angolo retto, quella basata su direttrici inclinate rispetto all’asse SE-NO e orientate secondo angoli di differente valore, la geometria delle figure curve, archi di cerchio, ellissi. Le forme planimetriche risultanti da tale impostazione geometrica, sono quindi il quadrato, il rettangolo, il trapezio, il triangolo, il cerchio, l’ellisse, e tali forme risultano variamente relazionate, utilizzando procedimenti di accostamento, intersezione, parzializzazione. A questa complessa definizione della planimetria corrisponde una altrettanto articolata e qualificata individuazione delle sezioni tipiche, trasversali e longitudinali. I corpi edilizi a base rettangolare del fronte NE presentano una sezione verticale triangolare, esaltata dalla presenza di strutture lasciate a vista (dette “cavalletti”) e ripetute ritmicamente a passo costante sul fronte esterno. I corpi triangolari presentano rastremazioni/svasature, rispetto alla pianta tipica di piano, nelle zone basamentali e/o di copertura. I corpi a pianta ellittica, svuotati da corti interne la cui forma ripete, ma in modo eccentrico, la configurazione esterna dell’edificio, presentano coperture variamente inclinate rispetto all’orizzontale.


01_biografia 1_Giovanni Michelucci 2_rivista “La nuova città” 3_chiesa sull’Autostrada 4_elementi di città

architect: GIOVANNI MICHELUCCI (Pistoia, 2 gennaio 1891 – Firenze, 31 dicembre 1990)

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Michelucci proviene da una famiglia proprietaria di una qualificata officina per la lavorazione artigianale e artistica del ferro e gli anni della formazione giovanile sono immersi nel mondo artigiano; dopo il diploma all’Istituto Superiore di architettura dell’Accademia di Belle arti, Michelucci ottiene nel 1914 la licenza di professore di disegno architettonico. Insegnerà poi presso l’istituto superiore di architettura di Firenze e sarà eletto Preside della Facoltà di Architettura nel 1944. Durante la grande guerra Michelucci realizza la sua prima opera di architettura, una cappella sul fronte orientale a Casale Ladra, vicino a Caporetto. Dopo la guerra lascia le “Officine Michelucci”. All’ambiente artistico pistoiese, in cui svolge un ruolo importante di riferimento intellettuale, appartiene anche Eloisa Pacini, raffinata pittrice, che sposa nel 1928. Il trasferimento romano è vissuto come un’occasione straordinaria di studio della architettura della città sacra e di realizzazione di nuove esperienze di lavoro. La sua capacità di centrare il rapporto con le esigenze del contemporaneo emerge nel 1933 quando, coordinatore del gruppo toscano composto da Baroni, Berardi, Gamberini, Guarnieri e Lusanna, vince il primo premio nel concorso per la Stazione di S. Maria Novella a Firenze con un’opera che conquista un riconosciuto valore internazionale non solo per le qualità funzionali ma anche per la qualità di inserimento nel contesto storico e urbano. Nel 1935 realizza, di fianco alla stazione, la Palazzina Reale in cui riafferma il valore dell’attenzione alla storia dell’architettura ed il desiderio di sfuggire all’eccitazione retorica con cui il razionalismo pensava di rappresentare un’epoca. Nel dicembre ‘45-gennaio ‘46 crea la rivista “La Nuova Città”. Nel 1948 Michelucci lascia la Facoltà di Architettura di Firenze, e diviene docente alla facoltà di ingegneria di

Bologna, dove resta fino alla conclusione dell’attività di docente e dove trova un ambiente più favorevole allo sviluppo dei suoi temi. Lasciato l’insegnamento universitario si dedica a una rigorosa ricerca con cui prepara una sua nuova rivoluzione nel linguaggio dell’architettura: la concezione dello spazio che dovunque percorribile, la città variabile, il rifiuto di formule e schemi tecnicistici o tecnocratici, un nuovo rapporto antico-moderno che si esprime anche nell’uso congiunto della pietra e del mattone con il cemento armato, l’acciaio e i nuovi materiali utilizzabili in architettura. Con la Chiesa dell’autostrada e con la Chiesa di Borgo Maggiore, nella Repubblica di S. Marino, Michelucci porta a compimento le premesse precedenti e realizza la sua rivoluzione progettuale, sulla base di una ricerca di unicità tra struttura e architettura, di sviluppo dello spazio come architettura di percorso. Nel 1982 Giovanni Michelucci costituisce con la Regione Toscana ed i comuni di Fiesole e Pistoia la “Fondazione Michelucci” di cui sarà Direttore sino alla sua scomparsa Guido De Masi, amico e collaboratore dell’architetto. Da una precedente donazione di disegni al Comune di Pistoia nasce invece il “Centro di documentazione Giovanni Michelucci” di Pistoia. Entusiasta e infaticabile promotore di iniziative e attività culturali anche nei suoi ultimi anni, partecipa con grande passione ai temi fondamentali del dibattito sulla città con posizioni anticonformiste e sempre innovatrici. Il 31 dicembre 1990, due giorni prima del festeggiamento del suo centesimo compleanno, muore nella sua casa di Fiesole vicino ai suoi collaboratori più stretti. Lascia erede universale la Fondazione.


02_biografia 1_Italo Gamberini 2_edificio ex-BICA 3_centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci 4_tesi di laurea sulla stazione di Firenze Santa Maria Novella

architect: ITALO GAMBERINI (Firenze 21 settembre 1907 - Firenze 14 novembre 1990)

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Con la sua tesi di laurea concepì la base del progetto del nuovo fabbricato viaggiatori della Stazione di Firenze Santa Maria Novella, realizzato tra il 1932 e il 1935 dal Gruppo Toscano, formato da Nello Baroni, Pier Niccolò Berardi, Sarre Guarnieri, Leonardo Lusanna, Giovanni Michelucci. In linea con le tendenze più all’avanguardia della sua città continuò a lavorare con i suoi colleghi, soprattutto partecipando agli altri importanti concorsi nazionali banditi in quegli anni, come quelli per la stazione di S. Lucia a Venezia (1935) con Baroni, Berardi e Lusanna, e per alcuni edifici dell’EUR a Roma: per la piazza imperiale con Berardi e per i palazzi dell’Acqua e della Luce nel 1938, e, nel 1941, per il palazzo dell’Artigianato con Fagnoni. Ma fu nel dopoguerra che Gamberini diede inizio a quella intensa e seria attività professionale, svolta per larga parte in Toscana e in particolare a Firenze, che ne ha fatto uno dei maggiori protagonisti dell’architettura toscana del Novecento. Partecipò al concorso per il nuovo ponte della Vittoria con Baroni, Bartoli, Focacci, Maggiora e al concorso per la ricostruzione delle zone distrutte dalla guerra intorno a ponte Vecchio. Ottenne il primo premio ex aequo con un interessante progetto che, seppur non realizzato, anticipa alcuni dei temi della ricerca che Gamberini avrà modo di sviluppare successivamente, nonostante l’isolamento in cui l’ambiente fiorentino venne a trovarsi rispetto al dibattito a livello nazionale. Fu sempre attento agli aspetti tecnici del progetto e all’uso dei materiali, sia tradizionali, come nell’abbinamento pietra-intonaco nell’edificio per appartamenti Ininimi (Firenze, 1946), o nuovi e sperimentali come nella chiesa di S. Ranieri a Pisa (1960), in cui pareti interne ed esterne in pietra di Trani grezza e mensole in cemento a vista sostengono una copertura in ferro rivestita di legno.

Iniziò anche a lavorare sul tema della facciata facendo emergere, con evidenza, la scansione in tracciati regolari disegnata ora dalla tessitura strutturale, che acquista valore compositivo come nel nuovo padiglione della Mostra nazionale dell’artigianato a struttura metallica, ora dalle sporgenze delle finestre come nell’edificio per uffici e negozi per la Fondiaria (1962). Studiò soluzioni sempre originali e di alta qualità realizzate attraverso elementi e componenti industriali; emblematici i mobili brise-soleil a grigliati di vetrocemento e i raffinati dettagli costruttivi disegnati per l’edificio per uffici, negozi e garage di via Nazionale a Firenze, primo edificio in Toscana in curtain-wall.


03_biografia 1_Leonardo Savioli 2_pianta per l’allestimento della mostra “Firenze ai tempi di Dante“ 3_stralcio di tavola della Città Ideale 4_mercato dei fiori di Pescia (1970-1981)

architect: LEONARDO SAVIOLI (Firenze, 30 marzo 1917 – Firenze, 11 maggio 1982)

“E pour cause c’è da parlare di cultura artistica e non solo di cultura architettonica: perché Savioli, come pochi altri architetti, si formò e professò l’artisticità del linguaggio e del progetto, ancor prima della professionalità, che pur fu altissima”. (Francesco Guerrieri, in Leonardo Savioli: Il segno generatore di forma-spazio - Savioli, maestro e moltiplicatore di cultura, Firenze, Archivio di stato)

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L’opera architettonica di Savioli ha la sua genesi da un’inquieta ricerca diagrammatica, da una costante sperimentazione grafica e pittorica: “macchie e grumi più compatti” concorrono ad un instancabile rinnovamento formale. Il disegno, elemento unificante tra architettura, grafica e pittura, restituisce con chiarezza la complessa figura dell’Artista: la sua ricerca grafica è fondativa dell’opera architettonica, anche se letta per frammenti dentro il tessuto fiorentino. “Savioli è un architetto introverso [...], capace di passare una settimana intera per disegnare il dettaglio al vero di una cerniera”. (”Architettura in Toscana dal 1931 al 1968”, G.K. Koening). Differenzia attraverso le forme una ristretta varietà di spazi. Gli appartamenti di Savioli non si differenziano molto dai normali schemi adottati dall’INA-casa ma traspare una grande cura volta ad ottenere una composizione in cui gli elementi verticali siano rigorosamente contrappuntati a quelli orizzontali.

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Leonardo Savioli nasce a Firenze il 30 marzo 1917. Cresce in una casa del centro storico, stimolato fin da bambino alla creatività. Dopo essersi diplomato al liceo classico Dante, si iscrive alla Facoltà di Architettura di Firenze, laureandosi nel 1941. All’università stringe amicizia con Leonardo Ricci, futuro collega, e frequenta le lezioni di Giovanni Michelucci. Nel 1940 inizia ad insegnare e a svolgere attività di ricerca nel ruolo di assistente presso l’Istituto di Urbanistica. Fin dagli anni del liceo disegna e dipinge con grande passione, e continuerà poi a farlo per tutta la vita, parallelamente all’esercizio della professione di architetto. Tra il 1943 e il 1945, nel clima di fermento per la fine della guerra, elabora un ciclo di disegni detto “La città ideale”, in cui Firenze diventa una utopica città, ideale perché veramente “a misura d’uomo”, nella quale il fiume è l’asse intorno a cui si sviluppano le attività e si aprono i luoghi di incontro e scambio. Finita la guerra, partecipa ai concorsi per la ricostruzione dei ponti di Firenze. Dal 1944 inizia a collaborare professionalmente con Leonardo Ricci e Giuseppe Gori, insieme ai quali progetta il mercato di Pescia, che riceve il primo premio della Biennale di San Paolo del Brasile, nel 1953. Dal 1948 collabora invece con Danilo Santi. Nel 1950 si sposa con Flora Wiechmann e progetta la loro casa davanti alla Certosa del Galluzzo, a Firenze. Tra il 1968 e il 1970 progetterà lo studio, accanto alla casa. Negli anni Sessanta progetta e realizza villa Sandroni; villa Taddei; l’edificio di via Piagentina a Firenze. Tra il 1962 e il 1971 si dedica alla progettazione e realizzazione di vari allestimenti espositivi, fra cui quello per la mostra su Le Corbusier, e quello per la mostra “Firenze ai tempi di Dante”. Dal 1964 insegna “Architettura degli Interni e Arredamento”. Tra 1965 e 1970 progetta villa Bayon, il ponte da Verrazzano a Firenze e il cimitero di Montecatini. Si spegne a Firenze l’11 maggio del 1982.


04_biografia 1_Pierluigi Spadolini 2_Monte dei Paschi di Siena 3_sede della Nazione 4_Palazzo degli Affari

architect: PIERLUIGI SPADOLINI (Firenze, 15 aprile 1922 – Firenze, 8 giugno 2000)

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Pierluigi Spadolini fratello di Giovanni Spadolini, presidente del Senato ha diretto l’Istituto di Progettazione per l’industria e di tecnologie speciali della Facoltà di Architettura di Firenze: è stato infatti uno dei primi architetti italiani a introdurre la prefabbricazione nel progetto d’architettura, ad esempio nella gestione dell’emergenza, realizzando il Sistema Abitativo di Pronto Intervento (SAPI), in vetroresina. L’uso della prefabbricazione é evidente nella facciata della Sede della Nazione (1961 – 1965), lo storico quotidiano fiorentino. Il ritmo della facciata è scandito da pannelli in cui le finestre assomigliano a feritoie medievali. Nel 1973 è la volta del Palazzo degli Affari, sempre a Firenze. Anche qui la facciata è disegnata dagli elementi prefabbricati: il primo piano essendo destinato alle esposizioni presenta una maglia più fitta, i piani superiori essendo destinati ad uffici hanno le aperture più ampie. Interventi sull’esistente sono quelli per la Cassa di Risparmio di Pisa e per il Monte dei Paschi di Siena.A Pisa l’architetto utilizza addirittura il legno nelle sue più grandi possibilità espressive, facendolo piegare col vapore. A Siena il lavoro è legato allo studio e al rispetto delle antiche volumetrie dei palazzi Salimbeni, Tantucci, Ranieri Salimbeni e Spannocchi. Come giusto che sia, i nuovi interventi avvengono senza alcuna mimetizzazione, ma sono denunciati. La parte più suggestiva e di grande qualità architettonica è data dalla torre del Castellare dei Salimbeni, che è diventato il punto di snodo di tutto il grande complesso del Monte dei Paschi. Ha partecipato alla realizzazione del Centro Direzionale di Napoli, il cui masterplan generale è stato firmato dall’architetto Kenzo Tange. Suo è il progetto del piano pedonale e dell’arredo urbano dell’Asse Verde, una lunga strada larga 70 metri e lunga 800, priva del traffico automobilistico, che diviene il parco dell’intero Centro. Dall’Asse si accede alle piastre e successivamente alle

torri. La collaborazione con il grande ingegnere romano Riccardo Morandi porta alla realizzazione della Chiesa di Santa Maria del Redentore. Pierluigi Spadolini rappresenta l’eredità del Gruppo Toscano, guidato da Giovanni Michelucci e composto da Pier Niccolò Berardi, Nello Baroni, Italo Gamberini, Sarre Guarnieri e Leonardo Lusanna, che negli anni trenta realizzò il progetto della stazione ferroviaria di Firenze Santa Maria Novella. A Pierluigi Spadolini possiamo aggiungere altri architetti che nelle scuole d’architettura italiane vengono poco spesso citati e che rappresentano una vera e propria stagione culturale a Firenze: Leonardo Ricci, Edoardo Detti, Raffaello Fagnoni, Giuseppe Giorgio Gori, Giovan Battista Bassi, Marco Dezzi Bardeschi, Giovanni Klaus Koenig, Massimo Carmassi.


05_biografia 1_Adolfo Natalini 2_ingresso sala Teatro della Compagnia 3_vista generale Teatro della Compagnia 4_dettaglio della scala del Museo dell’Opificio

architect: ADOLFO NATALINI (Pistoia, 1941)

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Adolfo Natalini è nato a Pistoia nel 1941. Dopo un’esperienza pittorica , che si rifletterà nel suo costante uso del disegno, si laurea in architettura a Firenze nel 1966 e fonda il Superstudio 8 con Cristiano Toraldo di Francia , Gian Piero Frassinelli , Roberto e Alessandro Magris e con Sandro Poli dal 1970 al 1972 ) iniziatore della cosiddetta “architettura radicale” , una delle avanguardie più significative degli anni ‘60 e ‘70 . I progetti del Superstudio sono apparsi in pubblicazioni e mostre in tutto il mondo e sue opere fanno ora parte delle collezioni di musei come il Museum of Modern Art New York , Istrael Museum Jerusalem , Deutsches Architekturtmuseum Frankfurt am Main , Centre Pompidou Paris . Dal 1979 Natalini ha iniziato una attività autonoma e si è concentrato sul progetto per i centri storici in Italia e in Europa , ricercando le tracce che il tempo lascia sui oggetti e sui luoghi e proponendo una riconciliazione tra memoria collettiva e memoria privata. Trale sue opere : i progetti per il Romerberg a Francoforte e per il Muro del Pianto a Gerusalemme, la banca di Alzate Brianza, il Centro Elettrocontabile di Zola Pedrosa , la casa di Saalgasse a Francoforte , il Teatro della Compagnia di Firenze . Professore ordinario presso la facoltà di architettura di Firenze , membro onorario del BDA (Bund Deutscher Architekten) , dell’accademia delle Arti del Disegno di Firenze e dell’Accademia di San Luca.Nel 1991 inizia l’attività dei Natalini Architetti con Fabrizio Natalini al Salviatino. Frabrizio Natalini , nato a Firenze nel 1953 , laureato in architettura nel 1980 , ha lavorato col Superstudio dal 1971 e con Adolfo Natalini (omonimo ma non parente) dal 1980.

Nel 1994 inizia la collaborazione con Architeetenbuto C. Schrauwen (Amsterdam). Corinne Schrauwen nata a Den Herlder nel 1964 , lau reata in architettura al T.U. Delft nel 1989 , ha lavorato con Natalini Architetti a Firenze dal 1992. Con lo studio di Amsterdam segue tutti i lavori olandesi dei Natalini Archietti.Tra le loro opere:la ricostruzione della Waagstraat di Groningen , il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure a Firenze , la Forotheenhof sulla Manetstrasse a Lipsia , la Muzenplein a l’Aja, il Centro commerciale a Campi di Bisenzio , il Polo Universitario a Novoli,Firenze, Boscotondo a Helmond , il Polo Uni versitario di Porta Tufi a Siena , Het Eiland a Zwolle, Haverlej a Den Bosch , il Museo dell’Opera del Duomo e il progetto per i Nuovo Uffizi a Firenze. Tra le pubblicazioni: “Appunti costruttivi – la palestra di Gorle” (Il Ferrone 1992), “Il Museo dell’Opificio a Firenze” (Sillabe 1995), V. Savi “ Natalini Architetti – Nuove architetture raccontate” (Electa 1996), “De Waagstraat” (Groningen 1996), “Temporanea Occupazione” (Alinea 2000), “Un edificio senese” (Gli Ori 2002), Adolfo “Natalini Architettore” (Fondazione Ragghianti Lucca 2002), “Adolfo Natalini Disegni 1976-2001” (Federico Motta Editore 2002), “Adolfo Natalini Album Olandese” (AION edizioni 2003) “Natalini Architetti” (Costruire in Laterizio,97,2004), “Adolfo Natalini Quaderni Olandesi” (Aion Edizioni, 2005).


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