Università degli studi di Genova Facoltà di Architettura Corso di Laboratorio di Progettazione V A.A 2012-2013 Prof. Arch. Marco Casamonti Arch. Mattia Cadenazzi_ Arch. Federica Poggio
Jun’ya Ishigami ( 石上 純也 )
Giulia Lecchini Matricola: 3266001
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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA
1_Jun’ ya Ishigami all’interno del KAIT 2_Jun’ ya Ishigami vince il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 2010 3_Ritratto di Jun’ ya Ishigami 4_Jun’ya Ishigami all’interno del KAIT 5_Jun’ya Hishigami appogiato al suo tavolo sottile
Junya Ishigami - Another Scale Of Architecture
Junya Ishigami è un giovane architetto che ha recentemente guadagnato l’attenzione in Giappone con una serie di lavori che sembrano spingere la luminosità e la leggerezza estetica di SANAA verso un nuovo orizzonte. Ishigami, laureatosi all’Università di belle Arti di Tokyo, ha lavorato a SANAA per quattro anni prima di fondare un proprio studio nel 2004. Il suo primo incarico gli fu affidato per lo show-room Lexus in occasione del Salone del Mobile di Milano, dove realizzò un mondo immerso nella nebbia attraverso il quale le immagini e gli oggetti apparivano come fantasmi. Si cimenta anche nella progettazione di pezzi di design, applicando a questi i solidi principi guida che conducono la sua architettura. Uno straordinario oggetto di design che sembra sfidare la gravità è il tavolo creato da Ishigami, che consiste di un singolo pezzo di acciaio precompresso, lungo 10 metri e spesso 3 millimetri, in cima al quale oggetti e piante, posti quasi a formare una composizione da giardino, sono sapientemente sistemati. Alla fine del 2006 presso “Space for Your Future” mostra realizzata presso il Museo di Arte Contemporanea di Tokyo, Ishigami esibì lo Square Ballonn, un’altra meravigliosa creazione che costituisce un passo in avattnti verso il raggiungimento dei limiti della realtà. E’ il 2008 l’anno in cui Ishigami realizza le sue opere più concrete ed importanti: il KAIT presso il Tecnology Center of Kugasawa, lo showroom di Yamamoto a New York e l’allestimento del Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia. In tutti questi progetti permangono i caratteri tipici dell’architettura del giovane giapponese, come l’eleganza, la sobrietà e l’intelligenza, plasmati dall’esperienza SAANA e orientati verso nuove frontiere di sperimentazione. Nel 2010 è invitato proprio da Kazujo Sejima a partecipare alla Biennale di Venezia dove si aggiudica il Leone d’oro come miglior partecipazione, proponendo un’ opera sui limiti estremi che l’architettura può raggiungere in trasparenza, leggerezza e spazialità: Architecure as Air. Jun’ya Ishigami è ampiamente considerato come colui che potrà segnare i futuri cambiamenti nella storia della progettazione giapponese. Sarà solo il tempo a poterlo dire.
http://www.designboom.com/tag/junya-ishigami/ http://en.wikipedia.org/wiki/Jun’ya_Ishigami
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01_KAIT, Kanagawa prefecture Japan 02_Yamamoto Showroom, New York 03_Japan Pavilion, Venice 04_Architecture as air, Chateau lacoste 05_Groot Park Vijversburg
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project: residence in Aoto typology:housing realization:never realized address:_
project: house in a little forest typology: housing realization: never realized address:_
project: KAIT Studio - Kanagawa Institute of Technology typology:public realization:2008 address: Atsugi, Kanagawa Prefecture, Japan
project: row house typology: housing realization: never realized address: _
project:Yohij Yamamoto New York showroom typology:showroom realization:2008 address:13th Street, New York
project: Japan Pavilion- Venice Biennale 2008 typology: exhibition realization: 2008 address: Giardini Venice Biennale 2008
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project: Architecture as air typology: exhibition realization:2010 address:Arsenale Venice biennale 2010
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project: Groot Park Vijversburg typology: public architect: MAKS realization: 2014 address:Groot Park Vijversburg
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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA
project: KAIT Studio for the Kanagawa Institute of Technology typology: public realization: 2008 adress: Atsugi, Kanagawa Prefecture, Japan
1_ gli interni dell’edificio, 2_ il soffitto dell’edificio, 3_ lo spigolo dell’edificio,
-Talleres del KAIT, Japan_ Arquitectura Viva ; 2009, (124): 36-41 -Julian Worral_ Ishigami in Kanagawa_Domus; N. 913 (2008), p. 20-29 -Ordine apparente, disordine sottile, Lotus international N. 138 (2009), p. 27-32 -KAIT, L’industria delle costruzioni ; N. 404 (2008), p. 48-53 Junya Ishigami Small images, Contemporary Architect’s Concept Series, INAX, p.22-43
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Tra gli edifici anni Sessanta del Kanagawa Institute of Tecnology, università a 40 km ad ovest di Tokyo, sorge una scatola trasparente che interferisce nella griglia delle vecchie costruzioni, in futuro sostituite una ad una all’interno di un programma di rinnovamento del campus universitario. Questo edificio è il KAIT, soprannominato “Facility”, un’ appendice del Kanagawa Institute of Tecnology, il suo laboratorio. La pianta dell’edificio quasi quadrata ( 47x46 m) si inserisce all’interno del preesistente reticolo delle vie del campus. La totale trasparenza delle pareti e le aperture su tutti e quattro i lati ne evidenziano la funzione pubblica: il KAIT workshop nasce infatti come spazio aperto a tutti gli studenti, come un laboratorio libero dedicato alla realizzazione di prototipi, progetti e sperimentazioni, un posto in cui gli studenti possono liberamente e facilmente andare quando vogliono per lavorare sulle proprie idee. In planimetria il progetto consiste in uno spazio senza confini fisici, una grande unica stanza. Non murature ma sottili pilastri modellano lo spazio interno di circa 2000 mq assecondando la necessità di creare un ambiente flessibile, aperto ad ogni forma di sperimentazione progettuale. Nel corso della progettazione sono stati realizzati modelli in varie scale, schizzi a mano partendo dalla riduzione della pianta a semplici punti e studi incrementali con speciali programmi informatici: il risultato è stat la disposizione di 305 pilastri, ognuno con dimensione, angolazione e sezione differenti, orientati e addensati in maniera da plasmare lo spazio determinando così 14 aree funzionali dai limiti indefiniti. Non solo l’addensamento e l’angolazione dei pilastri modella le 14 aree, ma la flessibilità dello spazio e data dalle attività e dai movimenti stessi delle persone. La luce naturale, che penetra attraverso strisce trasparenti aperte sul tetto, crea radure luminose; pesanti macchinari e scrivanie di legno antico dialogano con leggerissime sedie e tavolini in acciaio bianco; piante in vaso selezionate appositamente si confondono sullo sfondo con le piante che all’esterno circondano l’edificio, così da cancellare ulteriormente i confini della struttura. Dei 305 differenti pilastri di acciaio (dal più sottile di 16x145 mm al più spesso di 63 x 90mm) 42 sostengono le forze verticali
dell’edificio, 263 quelle orizzontali. I primi sono saldati, i secondi incernierati alla maglia metallica della copertura,mentre tutti penetrano allo stesso modo nella base di cemento e, ricoperti di vernice bianca, appaiono a prima vista identici e le pareti perimetrali sono costitutite da lastre di vetro trasparente di 5x1.5 m sostenute da profili verticali dello stesso materiale. Le uniche aperture sono le quattro porte sui lati dell’edificio e le sottili prese d’aria poste alla quota del pavimento e del tetto. Minimale, leggero e quasi trasparente, l’edificio è in piena sintonia con la filosofia del progettista secondo il quale l’architettura non deve essere intesa come struttura artificiale che ci separa dall’ambiente naturale. Oggi l’architettura e le opere dell’uomo hanno preso il sopravvento sulla natura. Dato che il confine tra spazio artificiale e naturale sta diventando sempre più ambiguo, un nuovo ambiente comincia a prendere forma ed è necessario quindi concepire l’architettura per questo nuovo ambiente. Ishigami afferma che la sua intenzione non era quella di progettare spazi individuali che avessero ognuno una precisa posizione all’interno dell’edificio ma di dar vita ad un luogo dove gli spazi non fossero delimitati da confini precisi e tutti avevano il solito identico valore. Gli spazi risultanti infatti sono ambigui e allo stesso tempo specifici, l’entrata, le aree di lavoro, i passaggi non so definiti fisacamente ma concettualmente. Le aree sono create per essere allo stesso tempo parte della grande stanza di 2000 mq che è l’intero edificio ma anche avere la propria larghezza e senso di distanze da quelle ha diversa destinazione d’uso. Infatti gli spazi nella loro grandezza e piccolezza sono determinati dalla disposizione delle colonne in primis, ma anche dalla disposizione del mobilio e delle piante, parti fondamentali del progetto. Sempre Ishigami dice che con il progetto del KAIT spera di aver trovato un modo di raggiungere un’equilibro tra l’astrattezza degli spazi materialmente indefiniti e la concretezza della specificità delle aree destinate alle diverse attività, tra il disordine apparente della selva di colonne e l’ordine sottile che sta dietro alla loro meccanica di stabilità e definizione dello spazio.
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project:Yohij Yamamoto New York showroom typology:showroom realization:2008 address:13th Street, New York
1_vista dall’alto dell’edificio, Iwan Baan 2_prospetto laterale, Iwan Baan 3_la pianta prima e dopo l’intervento
BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA Junya Ishigami Small images, Contemporary Architect’s Concept Series, INAX , p.147-153 Florian Idenburg_Showroom in New York_Domus N. 917 (2008), p. 60http://iwan.com/photo_Junya_Ishigami_Yohji_Yamamoto_New_York
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Molto spesso a New York il clamore per l’ennesimo, lussuosissimo grattacielo rischia di far passare inosservate moltissime operazioni delicate e magistrali come quella di riconversione di un edificio in mattoni a pianta triangolare operata da Jun’ya Ishigami. L’edificio si trova in una zona leggermente defilata rispetto al centro nevralgico di New York, ai margini del sempre più popolare Meatpacking District. L’intervento è stato condotto su una scala che tiene in considerazione la città e il dettaglio architettonico ignorando quella dimensione intermedia generalmente considerata a New York tipica del progetto architettonico. Ishigami ha praticato sul l’edificio esistente un taglio netto e deciso di dividere in due il fabbricato esistente, in due sezioni distente e indipendenti. Prelevando una generosa porzione diagonale a partire dalla facciata nord lungo la 13sima stradasi è creata una spaziosa apertura che separa nettamente il complesso in due parti. Su GansevortStreet, verso sud, la continuità della facciata sulla strada è stata invece mantenuta, fatta salva un’incisione più ridotta che offre un piccolo accesso al vicolo. All’intersezione delle due vie, la pianta della costruzione è stata arrotondata rendendola simile alla lama di una forbice. Il padigione in vetro è mattoni generato per mezzo di queste incisioni risulta al tempo stesso morbido e affilato. Sta nell’intersezione tra due strade sciolto, grazie al taglio dai
legami con il tessuto della città. L’interno è austero, rigido e severo arredato solo con le sottili aste appendiabito di ferro e i camerini di prova simili a cortine di ghiaccio.Dall’esterno attraverso le grandi vetrine è visibile lo spazio dello showroom nella sua totalità. Tuttavia questa struttura non opera in modo totalmente autonomo : il vicolo creato da Ishigami crea a sua volta una divisione funzionale tre gli spazi di servizio e di vendita, che il personale deve attraversare per accedere al magazzino. Per ridare forma all’edificio è stata messa a punto una procedura eleborata: i muri di mattoni verniciati sono stati completamente smontati, ripuliti e ricostruiti secondo la nuova pianta. Questo processo ha consentito di inserire nella facciata le finestre con cornici ad incasso, una scelta a cui si deve l’impressione che i grandi pannelli in vetro, alcuni dei quali a profilo curvo, si innestino senza sforzo nei muri e che , all’intersezione tra il nuvo vicolo e Gansevoort Street, produce anche la suggestiva impressione di una struttura a sbalzo in mattoni sospesa sopra lo spigolo vetrato. Si tratta di operazioni delicatissime che conferiscono all’edificio un tocco illusorio. Se generalmente le riconversioni si basano molto sul cambiamento della pianta, in questo caso la forza di Ishigami sta nell’aver proposto, partendo da un anonimo edificio industriale, un cambiamento forte e raffinato nel tessuto cittadino preesistente. L’interno è creato semplicemente dai risultati della manipolazione esterna. Le forme affilate dell’isola che si stacca dal complesso dell’edificio grazie al taglio, accentuano la forma triangolare rendendo lo spazio fluido. Gli interni si allungano infilandosi nella città. La bottega Yamamoto dimostra come la forma della città possa essere qualcosa di più rispetto alle normali trasformazioni che la città subisce. Il progetto trasmette infatti ottimismo e generosità, riconsegnando la strada al pubblico e a testimonianza di questa filosofia, una striscia dei mattoni appartenente perimetro del vecchio edificio, è stata mantenuta sul marciapiede.
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project: Japan Pavilion, Venice Biennale 2008 typology: exhibition realization: 2008 address: Japan Pavilion,Venice Biennale 2008
1_Jun’ya Ishigami e il suo padiglione 2_le serre e la struttura permanente del padiglione giapponesi 3_la sezione del progetto 4_la planimetria del progetto 5_l’interno del padiglione coi i designi sulle pareti
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“Extreme Nature: Landscape of Ambiguous Spaces” è il nome del progetto di Jun’ya Ishigami destinato al Padiglione Giapponese alla Biennale di Venezia del 2008. Sono un architetto giovanissimo, Junya Ishigami, e un professore emerito dell’Università di Tokio a rappresentare quest’anno il Giappone alla 11ª Biennale di Venezia. Il lavoro coordinato dei due ha messo in luce alcune delle attuali tendenze speculative nell’architettura d’avanguardia giapponese. Anzitutto Ishigami ha scelto di ricorrere ad un “metodo alternativo” per presentare i suoi progetti. Bypassando le modalità espositive più tradizionali, dove i progetti vengono riprodotti attraverso modelli, immagini e disegni, l’architetto ha presentato i suoi lavori in scala 1:1. Si tratta di piccole serre dalle pareti in vetro che circondano tutto il padiglione Giappone. La scelta di un volume di tal fatta non è una casualità: in omaggio al Crystal Palace, prima sede dell’Esposizione Internazionale, ed alla portata rivoluzionaria dei lavori che in esso erano esposti, Ishigami ha scelto di progettare delle serre in vetro. “Per pensare all’architettura del futuro è necessario guardare indietro”, ha asserito l’architetto. Il lavoro di Ishigami è decisamente metafisico e rimarca la necessità di superare il tradizionale modo d’intendere come sinonimi, o quasi, i concetti di “costruzione” ed “architettura”. Il progettista gioca sull’idea di pieno e vuoto, interno ed esterno, interiore ed esteriore, reale ed apparente e su quanto possano essere labili i confini tra gli opposti. Per fare questo, il progettista ha stabilito delle particolari condizioni. Anzitutto nel padiglione non ci sono barriere fisiche o sbalzi climatici che possano in qualche modo differenziare l’interno dall’esterno della mostra, evitando così che le sale vengano immediatamente percepite come “ambiente artificiale”. La precarietà del confine “dentro-fuori”genera un’ambigua miscela di elementi ambientali, ulteriormente amplificata dalla varietà di vita vegetale presente nelle serre, accuratamente selezionata da Hideaki Ohba, che differisce da quella già presente attorno al padiglione e che, proprio per questo, genera un leggero disturbo nella percezione del paesaggio del parco. Il risultato finale è che, paradossalmente, lo spazio interno alle
BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA Junya Ishigami Small images, Contemporary Architect’s Concept Series, INAX , p.120-127 Junya Ishigami_Biennale Pavilion_Lotus international; N. 142, p. 88-93 http://www.designboom.com/architecture/venice-architecture-biennale08-japanese-pavilion/
serre, con il loro volume trasparente, come “pieno d’aria”, è avvertito dal visitatore a mò di spazio esterno, al contempo lo spazio esterno appare come “paesaggio interiore”, mentre l’interno del Padiglione, quasi vuoto, mette a nudo la struttura originaria dell’area espositiva. Uno spazio doppio, ibrido, emozionale ed ossimorico, dove gli opposti coesistono. Questi i presupposti dell’architettura del futuro secondo il Giappone alla Biennale 2008.
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project: Architecture as air: Chateau La Coste typology: exhibition realization:2010 address:Arsenal,Venice biennale 2010
1_disegno di progetto con volumetria dello spazio occupato 2_l’installazione nelle sale dell’arsenale 3_il filo che disegna l’architettura di Ishigami 4_la prospettiva centrale del progetto
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Nel 2010 Junya Ishigami e associati è stato chiamato da Kazujo Sejima, direttrice della Biennale di Venezia quell’anno, a presentare il proprio lavoro e comunicare il proprio concetto di architettura nelle sale dell’arsenale. Il progetto di Ishigami – che misura quasi 14 metri in profondità, quasi 4 in larghezza e altrettanti in altezza – vuole essere lo studio per un edificio che si pone come modello o come costruzione reale. La novità e genialità dell’opera sta nel fatto che questa architettura dovrebbe essere costituita da aria, come l’aria. Le sottilissime fibre che lo compongono, tese tra gli elementi architettonici preesistenti nello spazio della mostra(le quattro imponenti colonne) lo rendono a prima vista quasi invisibile. Il fruitore viene lasciato nell’incertezza di dove esattamente cominci o finisca il progetto.La sua organizzazione spaziale non è facilmente decifrabile, con pilastri e travi tanto ridotti nelle proporzioni da diventare perfettamente impercettibili. La fragilità della struttura con le sue friabili membrature appena visibili, a stento in grado di reggere le spinte, a stento in grado di definire uno spazio, potrebbe essere una riflessione sull’architettura. L’invisibile mano dell’architetto dirige il fruitore. Architecture as Air non solo realizza una letterale scomparsa degli spazi, ma anche la loro confusione: un insieme spaziale perfettamente nitido eppure allo stesso tempo perfettamente ambiguo. L’architettura è stata da tempo accostata alla matematica e all’arte della geometria. Ishigami sfida la coscienza di ciò che costituisce un “architrave” e “un pilastro”, una “parete” e un “pavimento”. Il fatto che una linea definisca un muro o un certo numero di linee descrivano un volume implica un’indagine su ciò che costituisce un costrutto geometrico: la linea. Uno spazio tridimensionale collassa su se stesso attraverso la definizione di volume o di piano in una singola linea altrimenti bidimensionale. Ishigami è forse in sintonia con l’attuale interesse giapponese per il gioco dei volumi. Il fatto che Ishigami abbia posto un edificio fittizio in quello materiale (lo spazio espositivo) crea una definita ambiguità,un’incertezza, una confusione, caratteristiche che ritroviamo in moltissimi altri suoi progetti.
BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA Another scale of architecture, Junya Ishigami, Seigensha p. 11-31 http://www.domusweb.it/en/architecture/architecture-as-air-chateau-lacoste-/ -http://www.designboom.com/architecture/junya-ishigami-wins-goldenlion-for-best-project-at-the-venice-biennale/
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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA
project: park groot Vijversburg typology:public realization:2014 address:Vijversburg _ Park Groot, tytsjerk, Netherlands
1_vista del progetto 1 2_vista del progetto 2 3_il padiglione si fonde con l’ambiente naturale 4_la pianta 5_interni del padiglione 6_l’ingresso
-http://www.designboom.com/architecture/junya-ishigami-associatesmaks-park-groot-vijversburg/ -http://www.dezeen.com/2012/02/20/park-groot-vijversburg-by-junyaishigami-associates-and-maks/
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Lo studio giapponese Junya Ishigami + associates e lo studio olandese MAKS hanno progettato la proposta vincente del concorso per una serie di interventi architettonici - un centro visitatori, serre per giardini botanici, galleggianti e la ristrutturazione di una dimora storica - per il parco Groot Viljversburg in Tytsjerk nei Paesi Bassi. L’area del progetto è di circa 1000 mq. La villa storica esistente attualmente ospita mostre d’arte, spettacoli musicali e funzioni religiose. Il nuovo centro visitatori si fonderà nei giardini del 19 ° secolo, ricchi di flora e fauna autoctone della regione settentrionale dei paesi bassi. Il suo posizionamento all’interno dell’area è stato studiato per avere un impatto minimo suoi dintorni. La sala principale del centro si estende verso l’esterno, diventando un percorso che fluisce naturalmente in un sentiero del parco, rendendo il passaggio dallo spazio interno progressivo verso l’esterno, fino a sfociare tutto nell’ambiente del parco. Tre pareti sottili trasparenti circondano la struttura storica, il giardino rinascimentale, lo stagno antico e le linee che formano le file di tigli nel parco. Le superfici di queste pareti sottili, essendo riflettenti, inglobano il paesaggio circostante, in tal modo l’edificio diventa il parco. Gentilmente, le rampe dolci come se fossero colline, portano i visitatori dal parco all’interno del centro. Parallelamente ai progetti architettonici di cui si è parlato sopra sono stati previsti interventi sul parco: un’estensione di 15 ettari di quest’ultimo è stata progettata da uno studio di paesaggisti di Rotterdam chiamato LOLA che ha sede deltavormgroep e il famoso paesaggista olandese Piet Oudolf. La realizzazione del progetto è prevista per il 2014.
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project: row house typology: housing realization: never realized address: _
1_ studio della relazione tra le attività quotidiane e il giardino 2_ immagini del progetto 3_ il progetto e il suo contesto 4_ sezione 5_ pianta
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Il sito è su un vialetto in cui le macchine non possono entrare, i clienti sono una giovane coppia appena sposata, entrambe in carriera. Dato che loro saranno fuori tutto il giorno, l’idea è quella di potergli dare una casa che si possano godere nel fine settimana e la sera quando rientrano a casa. Progettando un piccolo giardino racchiuso da alti muri che permettono alla luce di passare ma formano lo spazio domestico. Questo giardino ha le caratteristiche di un ambiente al chiuso, sormontato da un tetto di vetro e da muri, che possono essere aperti.In questo piccolo giardino sta una piccola casa. L’idea è quella che la coppia, quando si trova in casa, passi la maggior parte del tempo nel giardino per rilassarsi. Nel giardino possono dormire, leggere libri parlare e ascoltare musica.Allo stesso tempo il giardino assume il ruolo di una stanza della casa, come fosse un salotto, e di un posto all’aperto dove, ad esempio, poter stendere le proprie cose. Con questo progetto quasi utopico Junya Ishigami vuole costruire non solo un edificio ma un nuovo stile di vita , in un ambiente dove il giardino e la casa non sono due spazi separati ma un tutt’uno. Inoltre pensare a dove mettere e sistemare le piante dovrebbe essere una delle primarie attività della row house. Le piante fioriscono in primavera, nei primi mesi d’estate maturano le verdure ed i frutti, si colorano di rosso d’autunno e si spogliano d’inverno. Quattro sono le stagioni, quattro sono le diverse sfumature che la row house assume durante l’anno.
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07 project: residence in Aoto typology:housing realization:never realized address:_
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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA
1_vista del progetto 1 2_vista del progetto sezionato 3_vista del progetto 2 4_la planimetria
- Junya Ishigami Small images, Contemporary Architect’s Concept Series, INAX , p.60-63
Il cliente del progetto è il proprietario di un complesso di appartamenti, che occupa, con la famiglia di suo figlio, il primo piano è adibito a casa di soggiorno. La richiesta era per un appartamento che doveva essere come una locazione supplementare per la famiglia di suo figlio. I progettisti hanno iniziato dal fatto che un altro appartamento nel palazzo avrebbe potuto essere rinnovato e trasformato nella richiesta del cliente. Successivamente considerando lo spazio attorno, che si vedeva dal tetto, suggerì a Ishigami che la parte supplemenatare da costruire sarebbe potuta stare proprio sul tetto pensato come un attico che si regge su pilotis. Un volume costituisce la sala da pranzo, appena sopra il livello 2 del tetto: questo sarebbe disegnato come un engawa, una sorta di veranda tipica dell’architettura giapponese. Il secondo volume presente è il soggiorno, il pavimento di questo è elevato talmente il alto dai pilotis che risulta più alto della ringhiera che passa per il perimetro del tetto. Più o meno al solito livello del soggiorno, forse un pò più in basso, c’è un terrazzo che appare come un giardino fluttuante . Il terzo volume è un posto dove appendere il bucato. E’ delicatamente racchiuso da pareti laterali di un materiale semitrasparente che blocca il vento che potrebbe far volare via la biancheria. Tutti i pilotis presenti sul tetto, che reggono le strutture dove sono gli ambienti progettati creano degli spazi semiaperti perfetti per svolgere molteplici attività. 4 L’uso dei pilotis cambia decisivamente la funzione del tetto, creando varie zone e movimentandolo. Viene progettato anche una sorta di muro su un lato del tetto in modo che possa proteggere le nuove architetture dagli agenti atmosferici e in particolare dal vento e inoltre schermi gli edifici dalla visuale del vicinato. La vera novità di questo progetto è che in una città densa come Tokyo l’utilizzo di pilotis è raro e riservato solo agli spazi a quota del terreno, creando , a causa della grande densità di edifici spazi bui e angusti. Sul tetto acquisisce tutta un’altra forza, gli ambienti che crea sono giustamenti illuminati, aperti e ventilati. Si progetta così un nuovo tipo di spazio all’aria aperta.
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project: house in a little forest typology: housing realization: never realized address:_
1_modello sezionato 1 2_modello sezionato b 3_la pianta del primo piano dells torre 4_la pianta del secondo piano 5_la pianta del sesto piano 6_la pianta del secondo piano della base
Nel sito in cui questa casa è progettata ci sono veramente poche case attorno. Lo scopo del progetto è quello di trovare la via che in qualche modo possa creare un ambiente ricco in un paesaggio di questo tipo, naturale e poco costruito. La prima volta che Ishigami è stato nel sito in cui questo edificio avrebbe dovuto sorgere fu colpito dalla generalità assoluta di questo luogo e in particolare dalle sue potenzialità per esperimenti spaziali incentrati sull’ altezza dell’edificio, più di quanto potesse accadere in città. Inoltre grazie ad edifici alti è possibile avere una magnifica visuale sui boschetti che sono nella zona, vedere le montagne e tutto il panorama attorno. Il sito è largo circa 300 mq e in questo ishigami progetta un grande spazio verde pensando ad una vegetazione insolita per un giardino: grandi alberi come i Ginkos o lo zelkovas giapponese; proprio per questo la pianta della casa viene studiata per essere il più piccola possibile. L’edificio progettato è alto 11 piani, ogni piano largo al massimo come 6 stanze con tatami. Le maggiori attività giornaliere possono essere concentrate ai livelli piu bassi; i livelli più alti possono invece essere considerati come luogi dove andare durante il tempo libero. I livelli alti vengono intesi come delle zone di “vacanza” da visistare una volta ogni tanto anche se non vi è vera e propria divisione tra le stanze remote degli ultimi piani e quelle di uso quotidiano. Ai livelli più alti è prevista una terrazza panoramica con libreria. La casa è circondata completamente dalla vegetazione, dagli alberi immediatamente vicini, dai boschetti un pò più lontano ed infine molto distanti si possono vedere le montagne, ogni cosa si può inoltre osservare da differenti livelli dal basso verso l’alto. Le scale che permettono di accedere ai diversi piani sono dei tipi più differenti, hanno varie forme a seconda del tipo di ambienti che devono collegare. Anche in questo progetto un fattore fondamentale è l’ambiguità: tra le stanze di uso quotidiano e quelle in cui si va una volta ogni tanto e tra la natura che circonda la casa, diversa da vedere ad ogni livello. 1
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BIBLIOGRAFIA| SITOGRAFIA
Junya Ishigami Small images, Contemporary Architect’s Concept Series, INAX , p. 136-139
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