ARCHEOMODERNITAS IL Crocifisso Magnifico della Chiesa di San Biagio

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Ministero dei Beni e delle Attività Culturali

Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze

Parrocchia di San Biagio a Petriolo Via San Biagio a Petriolo, 18 - Firenze

SOPRINTENDENTE: Cristina Acidini DIREZIONE AMMINISTRATIVA DELLA SOPRINTENDENZA: Giovanni Lenza FUNZIONARIO RESPONSABILE PER LA TUTELA DEL TERRITORIO: Lia Brunori DIREZIONE TECNICO-SCIENTIFICA DEL RESTAURO: Mirella Branca, funzionario responsabile per la tutela del territorio fino al 31 agosto 2011 RESTAURO: Stefano Garosi, Laura Garosi, Roberta Gori DISINFESTAZIONE ANOSSICA: Maurizio Catolfi DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA: Paolo e Claudio Giusti (prima e dopo il restauro),

Laura Garosi, Roberta Gori (fasi di restauro)

INDAGINI SPETTROFOTOMETRICHE: Leonardo Borgioli INDAGINI IDENTIFICATIVE DELLA SPECIE LEGNOSA: ART-TEST s.a.s.

Il restauro è stato finanziato dal Rotary Club Firenze Michelangelo La pubblicazione è promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze

in copertina: Francesco e Antonio da Sangallo Crocifisso Anni venti del secolo XVI legno di tiglio cm. 91x86 con le braccia in posizione orizzontale cm. 91x97


Il Crocifisso sangallesco della chiesa di San Biagio a Petriolo a Firenze Studi e restauro a cura di Mirella Branca



SOMMARIO

presentazioni

Giuseppe Betori

pag. 9

Cristina Acidini

pag. 13

Don Gilbert Shahzad

pag. 15

Arcivescovo di Firenze

Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze e, ad interim, dell’Opificio delle Pietre Dure

Parroco di San Biagio a Petriolo

testi

Mirella Branca

Il Cristo ligneo di San Biagio a Petriolo

pag. 19

Francesco Caglioti

Il Crocifisso di San Biagio: da Antonio da Sangallo il Vecchio a suo nipote Francesco

pag. 39

Stefano Garosi

Il restauro del Crocifisso

pag. 57

Peter Stiberc

Il Crocifisso di San Biagio nel contesto tecnico della bottega dei Sangallo. Osservazioni sulla tecnica costruttiva

pag. 77



Crocifisso della Parrocchia di San Biagio a Petriolo

Il SIGNUM CRUCIS non è un semplice segno, ma ha in sé una valenza unica nella esperienza della fede, in quanto in esso si esprimono iconograficamente due dimensioni fra loro umanamente inconciliabili come la morte e la vita, il patibolo e la vittoria. Il corpo di Gesù, il Verbo Incarnato, trasfigura con la sua persona e la sua vicenda storica quello che nella storia era identificato come il patibolo infamante. In quella morte offerta come dono di redenzione per l’umanità sta infatti la radice della risurrezione di Cristo che rinnova la vita dei suoi discepoli. Nel Crocifisso di San Biagio a Petriolo viene particolarmente evidenziata la corporeità di Gesù; la forte muscolatura, accentuata dalla cromia, gli arti robusti i tendini tesi nello spasimo del supplizio le ampie spalle, vigorese e virili. Il Cristo in croce è completamente nudo salvo un discinto perizoma. “ECCE HOMO”, ecco l’uomo (Gv 19,5), nella sua totale umiliazione. Inchiodato al legno infamante, il suo volto è serenamente addormentato nel sonno della morte. Il Redentore appare come il secondo Adamo, dal cui fianco squarciato esce copiosamente sangue e acqua, fonte generatrice della Chiesa, seconda Eva. La corona di spine è composta da due grossi rami verdeggianti attorcigliati, che fanno tornare alla mente il passo del Vangelo di Luca in cui si legge: “Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?” (Lc 23,21). Questa corona non di sterpi ma di verdi tralci sembra dirci che Gesù Crocifisso è l’albero della vita. Altro particolare, non secondario, di questa sacra immagine sono le braccia snodate, che mostrano il corpo piagato nel suo totale abbandono alla morte. Nella nostra arcidiocesi si conservano ancora numerosi corcifissi che presentano la medesima singolare caratteristica. Sono opere dei secoli XIV, XV e XVI e arricchiscono chiese ed oratori. Spesso non hanno più le tonalità originali, perché sono stati profondamente ridipinti, nella malintesa intenzione di ridonare vivacità alle tinte che andavano sbiadendo. Soprattutto, nella quasi totalità, hanno subito una modifica sostanziale, con il blocco dello snodo delle 999


braccia, con l’intenzione così di cancellare il rito della “deposizione”, un antico gesto sacro che si era sviluppato fin dal secolo XI. La Chiesa di Aquileia praticò questo rito fino al 1575. Il rito consisteva nella deposizione del corpo del Crocifisso dopo la Liturgia dei “Presantificati” del Venerdì Santo. L’antico e complesso rituale perdurò per lungo tempo soltanto nella parte che riguardava la sacra rappresentazione dello schiodamento e della deposizione del corpo dalla croce; il corpo di Cristo veniva calato dalla croce e deposto per essere venerato e vegliato per tutta la notte del Venerdì Santo, la croce rimaneva nuda immagine viva del Calvario della Parasceve. Il rito della “depositio” diventò occasione presso qualche comunità per un vero e proprio dramma liturgico, che quasi ovunque andò in disuso nel XVIII secolo, ma è ancora vivo in alcuni paesi del meridione. A Procida, ad esempio, rimane ancora il rituale dell’unzione con olio di cannella del corpo di Cristo morto, prima della processione del Venerdì Santo. Anche nelle Chiese orientali l’icona del Signore Crocifisso, schiodata dalla croce, cosparsa di acqua di rose e avvolta con un candido lino, viene deposta sotto l’altare. Nel restituire al culto il Crocifisso di San Biagio a Petriolo è bene fare memoria anche di queste ritualità, che ponevano i fedeli a contatto fisico con l’icona del Crocifisso, per una vicinanza che doveva far maturare la condivisione del cuore nei confronti del dramma di offerta di sé che si è consumata sulla croce di Cristo. Si tratta di una immedesimazione e di una condivisione che vanno anche oggi ricercate nella contemplazione del Crocifisso e che auspico possano nutrire la fede del popolo di questa comunità cristiana.

Firenze, 2 dicembre 2011

X Giuseppe Betori 10


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San Biagio a Petriolo

Il restauro del Crocifisso ligneo policromo di San Biagio a Petriolo, diretto con competenza esemplare da Mirella Branca (che ha curato anche il prezioso volumetto di studi e relazioni), ha comportato il coinvolgimento di uno specialismo d’eccellenza qual è quello dell’Opificio delle Pietre Dure, rappresentato in quest’impresa dal Settore di restauro della scultura lignea, in cui opera Peter Stiberc. Pur noto nel campo degli studi, il Crocifisso sangallesco entra col restauro in una dimensione di maggior notorietà e di più affermativa presenza, e torna alla parrocchia retta da Don Gilberto, che ha accolto e seguito con interesse questo recupero, in una rinnovata e più profondamente autentica leggibilità. L’immagine del Figlio dell’Uomo sulla croce ha accompagnato la vita religiosa della comunità di Petriolo da un tempo non misurabile con certezza, ma certo nell’ordine di alcuni secoli. Depositaria d’un folgorante capolavoro qual è il paliotto con San Biagio di Giovanni di Francesco, in cui la figura del santo vescovo si staglia come scolpita da pennellate intrise di luce sul fondo magnificamente decorato a imitazione d’una stoffa pregiata, la chiesa di San Biagio si rivela una volta di più connotata dalle testimonianze d’un arte diffusa nel territorio intorno e fuori Firenze - nel contado come si diceva nel Rinascimento - che una storia lunga e importante vi ha sedimentato. Sono grata quindi ai colleghi (comprendendovi Lia Brunori, che è subentrata nella tutela territoriale del Quartiere 5 a Mirella Branca nel suo pensionamento), a Stefano Garosi, al Rotary Club Firenze Michelangelo e a tutti coloro che hanno collaborato al restauro e alla pubblicazione, per essersi posti al servizio di un progetto che, raggiungendo il suo scopo, ha permesso il pieno recupero di un’opera d’arte sacra particolarmente intensa ed espressiva.

Cristina Acidini

Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze e, ad interim, dell’Opificio delle Pietre Dure 131313


Chiesa di San Biagio a Petriolo - Firenze

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Il Crocifisso della Parrocchia di San Biagio a Petriolo ritorna per il culto

Sua Eccellenza, Mons. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, a nome della comunità Parrocchiale di San Biagio a Petriolo voglio ringraziarLa per la sua presenza in quest’occasione di festa per la presentazione al pubblico del crocifisso attribuito ad Antonio da Sangallo il Vecchio. All’ingresso della chiesa di San Biagio a Petriolo, sopra il portone di destra l’iscrizione recita: “Questa chiesa è data del popolo”, a dimostrare la sua profonda radice nella storia della comunità di questo antico borgo fiorentino. Tutte le opere artistiche e gli oggetti sacri storici presenti nella chiesa e nel museo parrocchiale raccontano il forte legame spirituale e affettivo del popolo alla sua Chiesa. Quando sono arrivato in questa parrocchia nel 2008, guardando la bellezza dell’edificio risalente al secolo XI e dei suoi beni artistici e constatandone il malandato stato di conservazione, mi sono subito impegnato per cercare di ripristinare, per quanto mi era possibile, il loro originale stato di conservazione, anche per rispetto verso tutte le persone che avevano contribuito nel corso degli anni alla costituzione di questo grande patrimonio culturale e religioso. Con l’aiuto e la generosità dei fedeli di San Biagio e il contributo del Comune di Firenze abbiamo realizzato il nuovo impianto elettrico a norma, che ha riportato a nuova luce le bellezze architettoniche e pittoriche. Abbiamo inoltre raccolto tutte le opere storiche della parrocchia in un museo, per garantire la loro conservazione. Fra i manufatti artistici più rilevanti ivi custoditi, quelli di maggior pregio sono il crocifisso attribuito ad Antonio da Sangallo il vecchio e il quadro con il Cristo in carta pesta, che però versavano in cattive condizioni. Per questo mi sono immediatamente interessato al loro restauro che è iniziato nell’agosto 2009. Oggi, dicembre 2011, dopo 29 mesi, in seguito ai tanti incontri con la dottoressa Mirella Branca, con i restauratori e Peter Stiberc per decidere le modalità e tempi del restauro, finalmente possiamo ricollocare entrambe le opere al loro posto originale. Sono molto contento di poter restituire ai miei parrocchiani e a tutti i fedeli questi manufatti, importanti non solo dal punto di vista artistico ed estetico, ma soprattutto per il loro valore devozionale e 151515


simbolico: la Croce, rappresenta l’amore gratuito e la misericordia di Dio (Gal. 2,20). In modo particolare vorrei ringraziare la Dott.ssa Mirella Branca, funzionario della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, che, con la sua grande professionalità e cortesia, si è sempre dimostrata disponibile e interessata durante tutte le fasi dei restauri. In questa occasione, un ringraziamento sentito va a Dott.ssa Lia Brunori, nuovo funzionario della Sopritendenza per il quartiere cinque, con la quale avevo già avuto modo di lavorare per il museo e gli affreschi della Beata Giovanna da Signa nel 2007 con cui auspico una futura collaborazione. Grazie dunque ai restauratori, Stefano Garosi, Roberta Gori e Laura Garosi, che attraverso il loro minuzioso e accurato lavoro di esperti ci permettono oggi di ammirare queste opere in tutto il loro splendore. Ringrazio per la disponibilità e per la preziosa consulenza Peter Stiberc, ed inoltre, per i contributi professionali, i fotografi Paolo e Claudio Giusti, per la diagnostica il Dott. Leonardo Borgioli e la Ditta ART-Test e Maurizio Catolfi per il trattamento antitarlo (disinfestazione anossica). Fondamentale è stato poi il contributo avuto da parte del Rotary Club Michelangelo di Firenze, che anche in questi momenti di crisi si è dimostrato disponibile al recupero del nostro Crocifisso davvero molto prezioso per i fedeli di San Biagio a Petriolo. In fine voglio rimarcare che non sarebbe stato possibile realizzare tutto questo, se non avessi avuto il sostegno dei miei parrocchiani che si sono sempre dimostrati sensibili e generosi verso tutte le iniziative da me intraprese. Firenze, 2 dicembre 2011

Don Gilbert Shahzad 16


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1. Giovanni di Francesco, Paliotto con San Biagio, 1454, tempera su tavola

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Mirella Branca

Il Cristo ligneo di San Biagio a Petriolo

Nel pur articolato panorama delle problematiche metodologiche connesse al restauro, la questione degli interventi conservativi effettuati su crocifissi è la più ardua rispetto all’intervento su qualunque altro manufatto od opera d’arte, non tanto sotto l’aspetto delle operazioni pratiche da compiere, quanto per la scelta della strada più appropriata da percorrere. I motivi sono abbastanza chiari per chi abbia esperienza in questo settore. Il Crocifisso è prima di tutto l’opera di devozione per eccellenza: collocato sull’altare senza nessun apparato intorno, né i dolenti posti a narrare il pianto intorno al Cristo morto, né una suggestione di spazio fittizio tale da suggerire lo sconvolgimento del mondo alla sua morte, un relativo ausilio della cromia a soccorrerne la valenza estetica. Il Crocifisso è lì, punto d’arrivo degli sguardi della preghiera, di concentrazione delle disperazioni dei fedeli toccati dalla sorte. Poi, proprio per questo, quasi sottratto più di altre opere alla sua valenza di manufatto d’arte, per essere il Veicolo della pietà e della religione, nel variare nel corso dei secoli del senso del sacro: la bellezza dei colori degli incarnati nel contrasto con il blu violetto del perizoma nelle croci rinascimentali, soprattutto quattrocentesche, le superfici bronzee o imitative del bronzo nelle interpretazioni barocche, le brune e consistenti pelli di quelli ottocenteschi. E questi cambiamenti di gusto e di religiosità non riportati alla creazione ex novo di opere d’arte, accantonando e mettendo in canonica o nelle soffitte quelle più antiche, ma riadattando quel povero Cristo che resta sull’altare a quanto il fedele si aspetta di avere davanti agli occhi del suo spirito nella preghiera. Per questo il restauro è complesso, perché è vicino a un’operazione di scorticatura di un corpo, per l’appunto in questo caso quello di Cristo. Non riesco a concepire altra premessa per parlare del restauro di questo Crocifisso di San Biagio a Petriolo. Anche qui, prima di tutto occorre sgombrare il campo dai pregiudizi. Il territorio di quest’area della città, oggi identificato in una periferia urbana cresciuta a dismisura, con difficoltà di orientamento nei percorsi viari, di individuazione di piccoli borghi antichi - tra Petriolo, Peretola, Quaracchi 191919


per scoprirvi gioielli nascosti, come proprio nel caso della chiesa di Petriolo il bellissimo paliotto di San Biagio, opera di Giovanni di Francesco (fig. 1), custodito nel piccolo museo della canonica. Un territorio che in antico, più che intrico di strade, era intreccio di vicende oggi fino a un certo punto note, di percorsi religiosi e soprattutto di attività di Compagnie, certe volte parzialmente ricostruibili sotto l’aspetto storico. Si entra nella chiesa di Petriolo, passando per il portico. Se ne spiano all’interno le tracce del passato di uno spazio sacro che vanta origini antiche. Se si chiede il soccorso di guide ormai storiche, come I contorni di Firenze del Carocci, o anche le sue schede di catalogazione, non vi è traccia del nostro Crocifisso. Si richiama il borgo di Petriolo, che si incontra dopo Peretola e del quale si ha memoria dal 1031. Quindi la chiesa di San Biagio “antichissima, secondo apparisce dagli stemmi che vedonsi anche sulla porta”, che era stata di patronato dei Pilli e che doveva molti abbellimenti ai Del Tovaglia. Fra le opere d’arte si citano unicamente una tavola rappresentante la Vergine con Gesù, della scuola di Fra’ Bartolomeo1, un’altra tavola con l’Arcangelo Raffaele ed il fanciullo Tobia, dipinto pregevole del XV secolo, ed un “comunicatorio” in marmo con ornati e bassorilievi della scuola di Desiderio da Settignano2. L’edizione rinnovata della Guida del Carocci3 si sofferma maggiormente sui primitivi caratteri della chiesa, presenti ormai soltanto nell’aspetto esterno dell’abside, richiamando come le prime trasformazioni dell’edificio, costruito nell’XI secolo, si fossero avute nel secolo XV ad opera dei Pilli che con sentenza del 1353 avevano ottenuto di succedere ai diritti di patronato che, a parte i parrocchiani, da tempo remoto avevano i Filitieri da Castiglione. Carocci ricorda la tettoia “a guisa di Portico, sorretta da svelte colonnette, eretta quasi a difesa degli interessanti affreschi che adornano la parte inferiore delle pareti”, pitture da lui riferite alla maniera di Bicci di Lorenzo. Cita poi la porta della chiesa con lo stemma dei Pilli e la lunetta con l’affresco con la Madonna e i santi Biagio e Lucia “della maniera del Gaddi”. Il nostro Crocifisso è in effetti ricordato soltanto all’inizio degli anni Ottanta del Novecento nel testo di Alessandro Conti4: “Sopra l’altar maggiore, Crocifisso in legno della bottega di Antonio da Sangallo il vecchio”. Il richiamo era legato all’inserimento dell’opera nel repertorio dei crocifissi di area fiorentina e toscana di Margrit Lisner, edito nel 1970, 20


nel quale la croce di San Biagio a Petriolo trovava posto, come realizzata nella bottega di Antonio da Sangallo il vecchio, tra i crocifissi appunto da ascrivere all’ambito dei Sangallo5. È stata questa dunque l’unica voce critica levatasi a togliere dall’oblio l’opera, spostata dall’altare maggiore a una cappella laterale. Il Crocifisso di Petriolo era così entrato nel novero del gruppo di opere sangallesche, nell’ambito del dibattito attributivo ai due figli del legnaiolo e intarsiatore fiorentino Francesco Giamberti (1405-1480): il più anziano Giuliano (1443-1516), con suo figlio Francesco (1494-1576), e Antonio detto “il vecchio” (1455-1534). Il punto sulle proposte della Lisner, il cui fondamentale studio era partito da un’attenta revisione dei documenti, riguardo ai numerosi crocifissi lignei usciti dalla bottega dei Sangallo dagli inizi degli anni ottanta del Quattrocento alla morte dei due fratelli, veniva fatto, per inciso, in uno scritto di Eugenio Luporini del 19826. Si richiamavano le precisazioni per le quali su base documentaria veniva restituito a Giuliano il Crocifisso eseguito intorno al 1481 per l’altare maggiore della SS. Annunziata oggi nella seconda cappella laterale destra. Ci si soffermava poi nell’individuazione delle mani dei due artisti, nel Crocifisso per il convento di San Gallo, oggi nella cappella dei pittori nella stessa SS. Annunziata, ricordando opere non rintracciate per le quali si richiamava la collaborazione di Giuliano con il fratello Antonio quali il Crocifisso della Compagnia dello Scalzo o quello per lo Spedale degli Innocenti, accostando a queste quello delle Oblate di Careggi. Si richiamavano quindi altre opere identificate dalla studiosa, quali un piccolo Crocifisso nella fiorentina basilica di S. Spirito e una croce processionale nella chiesa di Santa Trinita. Da qui si può di nuovo concentrare la nostra attenzione sul Crocifisso di Petriolo che in comune con quello di Santa Trinita, datato intorno al 1520, ha la caratteristica delle braccia mobili, secondo una modalità diffusa per i cosiddetti “crocifissi da deposizione”7. Tramite l’inserimento di uno snodo nella congiunzione con la spalla era possibile trasformare la figura di Gesù a braccia aperte sulla croce in quella di Cristo morto adagiato sul cataletto e con le braccia lungo il corpo per poterlo esporre all’adorazione dei fedeli nel Venerdì santo, o talvolta farlo portare da membri di confraternite durante la rievocazione del Sepolcro compiuta all’esterno della chiesa. Dunque, un Crocifisso deposto, adatto ai riti pretridentini8. Se guardiamo all’attività religiosa delle confraternite cresciuta intorno 212121


alla chiesa di San Biagio9, tra le numerose compagnie ricordate spicca quella di San Sebastiano. La Compagnia, i cui primi capitoli risalgono al 1465, quando, sotto la reggenza di un monaco agostiniano, aveva sede nella chiesa di “Sancto Francesco allormannoro”, si spostò poco dopo a Petriolo, riunendosi in un primo tempo, come era consuetudine, nella chiesa di San Biagio. Al 1472 risale la richiesta alla Curia fiorentina di edificazione di un oratorio della Compagnia accanto alla chiesa10. A partire dal 1738 l’edificio venne completamente ristrutturato, dotato di un refettorio e di una sagrestia annessi, per essere poi ridotto, in concomitanza con l’ampliamento della chiesa, alla metà del secolo XIX. Dalle spese annotate nel corso del Settecento relative alla Compagnia di San Sebastiano a Petriolo11, si deduce la presenza di un Crocifisso, tuttora custodito tra i beni della chiesa, usato per la processione alla SS.Nonziata, per il quale venivano in vista di questo rito annotate le cifre impiegate per i fiori e nastri per fare la ghirlanda, per un palmizio, per la cinghia e la cucitura della tela, per la colazione dei cantori, per coloro che lo portavano in processione, annotandone poi l’argentatura. Nel mese di giugno del 1781 si trova tuttavia un appunto che fa riferimento a due crocifissi, portandoci a non escludere che il Crocifisso sangallesco di Petriolo fosse in qualche modo connesso con l’attività della Compagnia, parte dell’attività di devozione svolta all’interno dell’oratorio. Già la Lisner aveva evidenziato la presenza su tutta la superficie dell’opera di una pesante ridipintura. Da qui si sono avviate le problematiche di restauro. All’avvio dell’intervento, la grossolana ridipintura più recente, con tutta probabilità riferibile ai primi del Novecento, presentava ampie lacune diffuse, lasciando intravedere al di sotto la presenza di numerosi strati precedenti, come accade quasi sempre in particolare nel caso di crocifissi da deposizione. Nello stare al capezzale di Cristo prima del trasferimento in laboratorio, già si prospettavano i problemi sui quali si sarebbe riflettuto nei mesi successivi, cercando in indagini più approfondite la conferma alla strada più appropriata da percorrere. Nella sostanza, due aspetti apparivano subito chiari: l’assoluta necessità di rimuovere la ridipintura più recente, per la quale oltre tutto il volto di Cristo assumeva le fattezze di una maschera (fig. 2), e la problematicità di quello che sembrava a prima vista lo strato originario, di un colore giallo-verde chiaro incongruo per un Crocifisso cinquecentesco. Su questi due fattori si sono orientate le successive scelte metodologiche, 22


2a. Il volto di Cristo prima del restauro

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2b. Il volto di Cristo dopo il restauro

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3. Francesco da Sangallo, Crocifisso (particolare), Firenze, Ospedale di Santa Maria Nuova

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via via che il contatto diretto con la materia portava ad approfondire la conoscenza dell’opera. Appariva chiaro infatti come la ridipintura più recente fosse di notevole spessore, interferendo (come era evidente soprattutto nella resa delle dita delle mani) nella corretta lettura dell’opera non soltanto sul piano della resa dell’incarnato, ma anche su quello del modellato, che era invece, al di sotto, accuratissimo. Il fattore plastico ottenuto attraverso l’intaglio eseguito su un blocco di legno (in proposito vedi il testo di Peter Stiberc in questo stesso volume) e attento alla resa di dettagli anche minimi, è caratteristica essenziale nella resa del corpo vigoroso di questo Cristo morto, anche in parti che avrebbero potuto essere risolte per via di sola pittura o di giustapposizione di elementi non lignei. Così è per la corona di spine, modellata nel legno come in quello di Francesco da Sangallo per Santa Maria Nuova (fig. 3), con le spine inserite in fori di alloggiamento. Così è anche per le gocce di sangue sulla fronte, sul costato (fig. 4), sui polsi e sui piedi o per le vene delle braccia, in parte intagliate, con una minima successiva sovrapposizione di gesso. Così è anche per la sintetica definizione del membro del corpo di Cristo che sarebbe stato poi coperto dal perizoma (fig. 5). La distanza ravvicinata con questo corpo intagliato nel legno data dal restauro ha rafforzato la percezione di un’opera espressiva di un preciso contesto, nel richiamo a una dimestichezza con la materia lignea tale da generare implicitamente un pensiero che la trascendeva. L’unità delle arti propria delle botteghe fiorentine medievali e poi in continuità tra Quattro e Cinquecento, nel fiorire di atelier specializzati e tuttavia dediti a manufatti diversissimi fra loro, tra arti maggiori e cosiddette minori, doveva portare nella prassi quotidiana un’implicita maniera di guardare al materiale ancora grezzo, in questo caso il legno, ‘sentendo’ già la forma contenuta e avendo sicurezza su come ricavarla attraverso gli strumenti dell’intaglio. Quanto sappiamo sulle botteghe dei legnaioli fiorentini dell’epoca, particolarmente dalla testimonianza vasariana, consente di entrare dentro un clima. I luoghi dove si incontravano i migliori artefici ma anche i cittadini, e dove a fianco del lavoro erano “bellissimi discorsi e dispute d’importanza”. Nella bottega di un altro legnaiolo, Baccio d’Agnolo, con la quale i Sangallo avevano consuetudine probabilmente dagli anni ottanta del Quattrocento, poteva accadere di incontrare tra gli altri anche Raffaello 26


4. Particolare della ferita nel costato, durante il restauro

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5. Il corpo nudo di Cristo, nelle parti coperte dal perizomVTa

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giovane, Filippino, Andrea Sansovino e, di rado, lo stesso Michelangelo12. Le commissioni potevano essere per stalli lignei, per mostre da camino, per cornici, frequentemente anche per crocifissi, ma anche, soprattutto nel caso dei Sangallo, per progetti di architettura. Molte implicite motivazioni culturali erano dunque tra l’altro dietro il ‘fabbricare’ un Crocifisso come questo. Ritrovare per quanto possibile la dignità dell’opera, oltre la pesante ridipintura più recente, era naturalmente scopo primario del restauro. Al di sotto di questa erano numerosi strati di colore (per dati più circostanziati, vedi il testo di Stefano Garosi in questo stesso volume), ma la riflessione fondamentale era sul più antico, il cui colore giallo-verdastro era stato applicato direttamente sulla preparazione a gesso e colla e che con tutta probabilità era destinato in origine ad essere coperto dal colore dell’incarnato che sarebbe stato reso tramite lo strato pittorico vero e proprio. Le verifiche fatte avevano portato a constatare la presenza di sporco su questo strato, segno che per un certo tempo la scultura era stata esposta (niente ci impedisce di pensare che potesse esserlo stata, non ancora compiuta nella parte pittorica, nella stessa bottega) ma certo mai considerata come compiutamente definita, dal momento che in corrispondenza delle parti a rilievo relative alle ferite non era presente nessuna traccia della resa del sangue. Le considerazioni fatte su questi aspetti erano l’unica base possibile per corroborare le scelte su quale superficie cromatica fosse più corretto recuperare. La delicatezza e particolarità della questione, in presenza oltre tutto di un manufatto di grande qualità, ci ha portato a decidere di consultare i colleghi del settore della scultura lignea dell’Opificio delle Pietre Dure13. Peter Stiberc, di comprovata esperienza nel settore dei crocifissi lignei, ha confermato il carattere preparatorio dello strato più antico, accertato nel frattempo anche tramite le indagini effettuate, condividendo la nostra convinzione che la strada più appropriata da percorrere fosse nel recupero dello strato immediatamente successivo, anch’esso con tutta probabilità cinquecentesco, costituito da una tempera grassa resa sorda dalla presenza di un notevole strato di sporco. Sul recupero di questa superficie attraverso un’accurata pulitura si è quindi incentrato il lavoro successivo, una volta constatato che era ancora presente su tutto il corpo, per quanto con lacune sparse. In corso d’opera, nel rimuovere il perizoma di tela ingessata azzurra, si è potuto riscontrare come la parte del corpo destinata a essere coperta 292929


fosse stata lasciata a legno e come questo perizoma, vicino a quello in uso nei crocifissi sangalleschi, fosse subentrato a un altro di poco più piccolo, di cui si sono riscontrate minime tracce, come denotava la presenza della preparazione in una porzione della parte coperta da quello attuale. La scultura, che si restituisce così a una più corretta visibilità, ha recuperato in pieno la forza del modellato. I raffronti a suo tempo fatti dalla Lisner14 trovano un’ulteriore conferma, in un percorso denso di antefatti ineludibili nel terzo decennio del Cinquecento, da Donatello allo stesso Michelangelo con la sua Pietà e con il cartone della Battaglia di Cascina, ma poi anche Antonio del Pollaiolo e Andrea Sansovino e il Rustici e i riferimenti antichi quali il torso del Laocoonte, ma anche l’indagine anatomica su cadaveri, in una parola lo spirito di ricerca degli artisti dell’epoca. Lo studio del corpo indagato dalla pelle allo scheletro, che nel concreto dell’indagine sui cadaveri doveva portare a una vera e propria familiarità col sangue, rendeva consapevoli della sua interezza, per l’appunto dal volto alla muscolatura, ai glutei. Basti guardare, nel Crocifisso di Petriolo, alla forza del torso e delle spalle nel tronco posteriore, che nessuno avrebbe mai osservato, una volta che l’opera fosse uscita dalla bottega (fig. 6). A questa piena conoscenza dei dettagli anatomici si accompagnavano fattori propri della cultura europea laica dell’epoca, intrecciati con la religiosità cristiana contemporanea, in un’attenzione ormai concentrata sull’individuo-uomo, il cui corpo era ora più che mai da mostrare con evidenza, piuttosto che da velare. Nella complessa questione della distinzione, all’interno della bottega, delle mani di Giuliano o di suo figlio Francesco o del fratello Antonio, per la quale rimando al testo di Francesco Caglioti in questo stesso volume15, certi accostamenti restano a mio parere validi, come soprattutto quello con il Crocifisso di Sant’Agostino a Montepulciano (figg. 7-8). Anche in elementi di dettaglio come la ghirlanda intagliata, l’andamento delle ciocche dei capelli e il modo in cui partono dal centro della testa (fig. 9), ma soprattutto nell’intriseca monumentalità architettonica data dall’ampio torace. È questo l’aspetto che dà vigore alla figura, la cui forza si accentuava nella visione scorciata dal basso verso l’alto al di sopra dell’altare, ma le cui tensioni erano visibili tanto più nell’immagine vicina ai fedeli del Cristo deposto nel sepolcro. Tutta la muscolatura rilevata nel torace, con quello squarcio di ferita nel 30


6. Particolare delle spalle, durante il restauro

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7. Antonio da Sangallo il Vecchio, Crocifisso, Montepulciano, chiesa di San’Agostino.

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8. Francesco e Antonio da Sangallo, Crocifisso, Firenze, Chiesa di San Biagio a Petriolo

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9. Particolare della corona di spine e delle ciocche dei capelli, durante il restauro

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10. Particolare delle gambe, durante il restauro

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costato quasi da toccare - di un’efficacia paragonabile all’esempio pittorico dato nel secondo decennio del Cinquecento dal maestro di Issenheim, noto come Grünewald, nella Crocifissione oggi al Musée d’Unterlinden a Colmar - e poi nel ventre, quindi l’avvio dello slancio delle gambe (fig. 10). In questa maggiore evidenza data al torace è a mio parere la differenza maggiore rispetto per esempio al Crocifisso ligneo delle Oblate, dato a Giuliano, o in quello di Santa Maria Nuova, dato a suo figlio Francesco. L’artista aveva offerto al fedele, da contemplare nella preghiera, un corpo nudo bello e virile appeso alla croce (fig. 11), che era poi lo stesso corpo del cristiano, prima vigoroso e poi consunto dall’età e dalle sofferenze, sulla soglia dell’estremo disfacimento. E, per il Cristo-uomo, c’era stata poi la Resurrezione. Sulla via di questi possibili pensieri si veicolava l’identificazione del corpo umano come luogo per eccellenza della manifestazione di una bellezza originaria che era il tramite per la rivelazione di Dio, nella prospettiva della redenzione16. Su questo pezzo di legno diventato, nel Crocifisso di Petriolo, imago pietatis oggi appesa a una croce che non è la sua originaria, si è concentrata nei secoli la pratica della preghiera quotidiana dei parrocchiani. Della sua restituzione e ricollocazione sull’altare maggiore il ringraziamento va prima di tutto a don Gilberto, parroco di San Biagio, che tanto si è attivato per promuoverne il restauro, e allo sponsor che lo ha finanziato.

_______________________ 1 Si tratta della Madonna col Bambino tra i santi Nicola da Tolentino, Giovanni e Luca evangelisti, Francesco d’Assisi, data dalle schede del Carocci (1893) e da quelle del Giglioli (1929) a Fra’ Bartolomeo, riferita poi da Federico Zeri nel 1962 al Maestro i Serumido, attivo a Firenze nei primi decenni del secolo XVI. 2 Oggi riferito all’ambito di Mino da Fiesole. 3 Il riferimento è a G. CAROCCI, I contorni di Firenze, Firenze, Galletti e Cocci tipografi-editori, 1875, p. 75; IDEM, I dintorni di Firenze (Edizione completamente rinnovata), Firenze, Galletti e Cocci tipografi-editori, 1906, voll. 2, I, pp. 354-355. 4 A. CONTI, I dintorni di Firenze. Arte Storia Paesaggio, Firenze, S.P.E.S., 1983, p. 83. 5 M. LISNER, Kolzkruzifixe in Florenz und in der Toskana, München, Verlag F. Bruckmann, 1970, p.93, tav. 208. 6 E.LUPORINI, Una proposta attributiva nel problema della formazione di Giuliano da Sangallo scultore, in Scritti in onore di Ottavio Morisani, Catania, Università degli Studi, 1982, pp. 181-226: 199- 205. 7 Al momento dell’avvio del restauro le braccia avevano perduto il loro carattere mobile, essendo state fissate con dei chiodi poi dipinti, rimossi nel corso dell’intervento. 8 Se ne parla tra l’altro in O. ZASTROW, Due rari crocifissi inediti a braccia mobili. Annotazioni su riti pretridentini e su perdute tradizioni popolari, in “Archivi di Lecco e della Provincia”, XXXII, 2009, 4, pp. 45-63. 9 Per questi aspetti, rimando a M. CONTI, M. MURAGLIA, La chiesa di San Biagio a Petriolo e le sue confraternite, Firenze, Parretti grafiche, 1992 10 Per tutte le notizie in proposito, vedi M. CONTI, M. MURAGLIA, La chiesa di San Biagio cit., pp. 111-129. L’attività della Confraternita, soppressa da Pietro Leopoldo, è ripresa durante la Restaurazione, arrivando poi allo scioglimento definitivo negli anni sessanta del Novecento. 11 ASF, Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo, San Sebastiano a Petriolo, 3, 1747-1785, S. CLXVI, Cap. 1465-1496, f. n. 1873. 12 A. NATALI, L’officina della maniera moderna, in Storia delle arti in Toscana. Il Cinquecento, a cura di R. P. Ciardi e A. Natali, Firenze, EDIFIR, 2000, pp. 53-84: 63; vedi anche A. CECCHI, Percorso di Baccio d’Agnolo legnaiuolo e architetto fiorentino, in “Antichità Viva”, XXXX, 1990, 1, pp. 31-46; M. COZZI, Antonio da Sangallo il vecchio e l’architettura del Cinquecento in Valdichiana, Genova, SAGEP, 1992; D. LUCIDI, Antonfrancesco Bugiardini. Una nuova figura di intagliatore di Crocifissi nella Firenze del Cinquecento, in “Nuovi Studi”, XIV, 2009 (2010), 15, pp. 69-83. 13 Ringrazio Laura Speranza, che dirige il settore, per il consueto spirito di collaborazione mostrato. 14 Della studiosa richiamo qui anche i fondamentali testi M. LISNER, Zum bildhauerischen Werk der Sangallo, in “Pantheon”, XXVII, 1969, 1, pp. 99-115; 3, pp. 190-208. 15 Ringrazio lo studioso, che ha in corso una pubblicazione dedicata ai crocifissi di area fiorentina fra Tre e Cinquecento, frutto di una capillare ricognizione sulle opere, per avere accettato l’invito a dare il suo contributo a questo volume edito in occasione della conclusione del restauro del Crocifisso di Petriolo. 16 Per questi aspetti, rimando a A. PUIG I TARRECH, Il corpo e la corporeità, in Gesù. Il corpo, il volto nell’arte, catalogo della mostra (Torino, Scuderie juvarriane della Reggia della Venaria Reale), a cura di T. Verdon, Milano, Silvana Editoriale, 2010, pp. 125-129.

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11. Il retro del Crocifisso, dopo il restauro

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1. Giuliano da Sangallo, Crocifisso, 1481-1482. Firenze, chiesa della SS. Annunziata, seconda cappella a destra (dall’altare maggiore).

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Francesco Caglioti

Il Crocifisso di San Biagio: da Antonio da Sangallo il Vecchio a suo nipote Francesco

Il Crocifisso ligneo che viene presentato per la prima volta in forma monografica attraverso questo libriccino è un oggetto sul quale non sono note, almeno per ora, vecchie carte d’archivio e fonti a stampa. Assai scarsa, inoltre, è la bibliografia moderna che lo riguarda. Essa, anzi, si riduce in sostanza alla breve pubblicazione che ne diede nel 1970 Margrit Lisner1. Eppure, l’evidenza dello stile, documento primario sulle opere d’arte, consente agli studiosi di mettersi serenamente d’accordo circa l’epoca del bell’intaglio appena restaurato, il primo Cinquecento, e circa la sua origine nella bottega dell’anziano Antonio da Sangallo il Vecchio (1455c.-1534) e del giovane suo nipote Francesco (1494-1576), figlio di Giuliano (1445c.-1516). Questa è la classificazione del Crocifisso di Petriolo che formulò la Lisner, e ciò è ancora quel che si può e si deve ribadire dopo più di quarant’anni. Nato da una profonda conoscenza della materia e da una grande serietà di metodo, il volume della Lisner in cui compare il Cristo di Petriolo è un lavoro di ampio respiro, ricchissimo di materiali inediti, sui Crocifissi lignei fiorentini e toscani dall’inizio del Trecento sino al primo Cinquecento. In esso, dopo una preparazione più che decennale accompagnata da numerosi articoli di approfondimento, la studiosa tedesca affrontava per la prima volta un corpus vastissimo di manufatti che non erano stati mai indagati nelle loro plurime e complesse relazioni interne di iconografia, di stile e di qualità, e che nessuno, in séguito, avrebbe ripreso in mano con una simile sistematicità. Ciò non toglie, naturalmente, che la strada aperta dalla Lisner sia stata poi battuta da tanti altri studiosi e funzionari di Soprintendenza: numerosi Crocifissi sconosciuti sono stati aggiunti al catalogo della studiosa, e molti esemplari da lei pubblicati sono stati sottoposti a restauri, producendo una lauta messe di nuove evidenze storico-tecniche. Sui Crocifissi intagliati dai tre membri principali della famiglia Sangallo (Giuliano, Antonio il Vecchio e Francesco) non sappiamo oggi, tuttavia, molto di più di quanto la Lisner stessa mise insieme. E, d’altronde, le novità sui Sangallo sono tra le più appariscenti prodotte dalla studiosa, 393939


sia per i documenti portati alla luce, sia per le opere inedite ritrovate, sia per la reinterpretazione stabilmente persuasiva di alcune sculture prima mal attribuite. Intorno ai tre Sangallo la Lisner fu in grado di radunare un gruppo di undici Crocifissi di varie dimensioni, conservati perlopiù nelle chiese e negli istituti pii di Firenze e del contado, e distribuiti nell’arco di circa mezzo secolo di attività (1480-1530), a rappresentare uno sviluppo coerente di modi dalla maturità di Giuliano a una prima e a una seconda maturità di Antonio il Vecchio, sino alla maturità di Francesco2. Dopo la Lisner, nuovi documenti originari sono emersi soltanto per dare una piena conferma dell’attribuzione ad Antonio del grande Crocifisso nella chiesa di Sant’Agostino a Montepulciano (figg. 4, 6), nonché della sua cronologia tarda (la studiosa riteneva l’opera l’ultima del maestro nel genere, tra il 1520 e il 1525, mentre le carte d’archivio la posticipano addirittura al 1533)3 . Dati tecnici interessanti sono stati offerti dai restauri: in particolare quelli dei due Crocifissi delle Oblate di Santa Maria Nuova (uno di Giuliano, trasferito modernamente a Careggi con i beni delle religiose ospedaliere4; l’altro di Francesco, rimasto nei depositi di Santa Maria Nuova, figg. 5, 75), e quelli dei due Crocifissi più maturi di Antonio (uno in San Domenico a Fiesole, fig. 36; l’altro, già citato, a Montepulciano7). Un solo nuovo Crocifisso è stato infine restituito ai Sangallo: e si tratta di un esemplare piccolo, precedentemente ignoto, di mano di Francesco, in collezione privata,8 così com’è sempre di proprietà privata un Cristo piccolo di mano di Giuliano dato alle stampe già dalla Lisner9. Poiché però, nonostante gli sforzi della studiosa e di quanti hanno condiviso e condividono la sua passione di ricerca, il mondo dei Crocifissi lignei inediti rimane tuttora un mare magnum, con singoli punti e varie zone di qualità perfino altissima, non è affatto escluso che il futuro delle ricognizioni sul campo riservi grosse sorprese anche a beneficio dei Sangallo10. Per intanto, la lettura critica del Crocifisso di Petriolo dovrà umilmente attenersi, come ho detto, a ciò che ne ha scritto la Lisner, la quale ha introdotto tale scultura, per ragioni di cronologia, giusto al termine del capitolo su Giuliano, Antonio e Francesco. Considerato inoltre lo scopo divulgativo di queste nostre pagine, sembra opportuno ripercorrere in breve il quadro delle conoscenze odierne sui Crocifissi sangalleschi, così da precisare più facilmente la posizione storica e qualitativa dell’esemplare di Petriolo. Prima della Lisner, la voce bibliografica di riferimento sui Crocifissi dei Sangallo era addirittura, significativamente, la vita di Giuliano e di suo 40


2. Antonio da Sangallo il Vecchio, Crocifisso, 1490 circa. Firenze, convento della SS. Annunziata, vestibolo della Cappella di San Luca (dal convento di San Gallo).

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fratello Antonio scritta da Giorgio Vasari (nelle due versioni del 1550 e del 1568). A causa dell’enorme autorevolezza dei due maestri nel campo dell’architettura, il loro ruolo come versatilissimi intagliatori (di quadro, d’ornato e di figura), che pure era stato alla radice della loro formazione e dei loro primi successi, e il trampolino di lancio per la loro grande attività edilizia, si riduce nelle pagine vasariane a pochi accenni. Un’ulteriore riduzione, che è anche una deformazione, consiste nell’assegnazione che il biografo fa di tutti i Crocifissi menzionati (cinque, ovviamente di taglia monumentale) al solo Antonio, laddove i documenti recuperati dagli studi moderni danno uguale spazio – sia pure casualmente, tanto pochi sono ancora – a Giuliano. Andati dispersi nei secoli il terzo, il quarto e il quinto degli esemplari vasariani (quello della Compagnia dello Scalzo, e due mandati precocemente in Spagna e in Francia), la Lisner dovette ripartire dai primi due: quello della chiesa della SS. Annunziata (già presso l’altare maggiore, fig. 1), e quello del convento agostiniano di San Gallo, passato già durante il primo Cinquecento nella chiesa di San Jacopo tra’ Fossi, ma nell’Ottocento finito sempre all’Annunziata (fig. 2). Pur menzionando entrambi i fratelli, i documenti contabili del primo Crocifisso (1481-1482) sembrano dare una prevalenza decisiva, anzi esclusiva, al ruolo di Giuliano11. Tale rivelazione va d’accordo con la disparità di mano tra questa figura e quella di San Jacopo tra’ Fossi, lavoro non documentato, che dunque la Lisner pensò bene di lasciare sotto il nome di Antonio, così come in Vasari. Ad Antonio, d’altronde, spetta per documenti (del 1514) il terzo esemplare ricordato da Vasari, quello smarritosi dello Scalzo12. Un ultimo Crocifisso sangallesco di cui sia rimasta traccia nelle carte antiche collazionate dalla Lisner (prima che nel 1994 tornassero a galla i riferimenti archivistici di Montepulciano) è un esemplare perduto fornito nel 1495 da Giuliano allo Spedale degli Innocenti, in connessione con un tabernacolo del Santissimo13: benché il documento trascritto dalla studiosa non lasci intendere se la figura fosse a tutto tondo o ad altorilievo, esso dà la conferma testuale che Giuliano si cimentava anche nelle dimensioni minute. Non sarebbe facile, in verità, rimarcare di netto le differenze di stile tra Giuliano e Antonio sulla sola base dei due Crocifissi grandi oggi all’Annunziata, giacché il secondo, consegnato non troppi anni dopo il primo (al massimo una decina, sul 1490), è pure cresciuto tutto alla sua ombra. La Lisner, sempre molto attenta e controllata nei giudizi, si chiedeva se Giuliano non avesse avuto un ruolo perlomeno inventivo nel primo importante Crocifisso superstite di suo fratello. Il quesito sulle specificità 42


3. Antonio da Sangallo il Vecchio, Crocifisso, 1520 circa. Fiesole, chiesa di San Domenico (da Firenze, chiesa della Nunziatina?).

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4. Antonio da Sangallo il Vecchio, Crocifisso, 1533. Montepulciano, chiesa di Sant’Agostino.

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5. Francesco da Sangallo, Crocifisso, 1525-1530 circa. Firenze, Ospedale di Santa Maria Nuova (depositi). Fotografia prima del restauro recente (2009).

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esecutive dei due capostipiti dell’Annunziata si chiarisce tuttavia attraverso i confronti con gli altri esemplari sangalleschi radunati dalla studiosa. In particolare, il grande Crocifisso di San Domenico a Fiesole (proveniente dal convento della Nunziatina a Firenze, secondo l’opinione concorde degli studiosi moderni) costituisce una sorta di termine stilistico-evolutivo medio tra il compagno di San Jacopo tra’ Fossi e quello di Montepulciano. E poiché sia il Crocifisso di Fiesole che quello di Montepulciano rimandano per forza di maturazione anatomica pienamente cinquecentesca a un’epoca in cui Giuliano non c’era più, è chiaro che il percorso che va da San Jacopo a Fiesole a Montepulciano spetta ad Antonio. Lo stesso Vasari, del resto, pur nelle sue semplificazioni narrative, pone dopo la morte di Giuliano gli ultimi due dei cinque Crocifissi sangalleschi da lui elencati: e il fatto che Antonio continuasse a intagliare simili Cristi nei lustri estremi della sua vita, in pieno fervore di opere architettoniche, è oggi definitivamente convalidato dai documenti sull’esemplare di Montepulciano (1533). Nel grande Crocifisso di Giuliano all’Annunziata la Lisner coglie soprattutto gli esiti delle accanite lezioni di anatomia e di temperamento donate a Firenze nel terzo quarto del Quattrocento – attraverso disegni, sculture, incisioni e dipinti – da Antonio del Pollaiolo. Il vigore fisico del Cristo si traduce così non solo in compiutezza corporea, ma anche in capacità di nesso intimo tra massa plastica e moti dell’animo. Pur nello sfinimento della morte, la figura presenta, soprattutto a chi la ammiri di fianco, un’articolazione complessa e aggettante, che quasi tende a distaccarla dall’asse verticale della croce. Il Crocifisso di sughero della basilica di San Lorenzo, giuntovi da San Basilio degli Ermini (dove Vasari lo credeva opera del Simone fantomatico fratello di Donatello) e restituito brillantemente a Pollaiolo sul 1470 dalla medesima Lisner,14 costituisce un punto di partenza irrinunciabile per quest’attitudine. L’inquietudine e i fremiti convulsi che Pollaiolo innerva nel suo Cristo, sprigionandoli anche nella veduta frontale, Giuliano li ricompone tuttavia in una presentazione dal sapiente controllo architettonico, che si richiama evidentemente al padre putativo dei Crocifissi fiorentini di primo Rinascimento, cioè al Cristo di Filippo Brunelleschi in Santa Maria Novella (1410 circa), paradigma sempre presente anche allo spettatore di oggi. L’accordo tra lo sfoggio muscolare di Pollaiolo e un appiombo maestoso, addirittura trionfante, sembra essere stato il programma convintissimo di Antonio da Sangallo, inveratosi a poco a poco ma inesorabilmente attraverso i tre stadi segnati dai Crocifissi monumentali di San Jacopo tra’ Fossi, di 46


Fiesole e di Montepulciano. Se il primo dei tre svolge ancora – dalla testa dolcemente reclina e giù giù sino ai piedi – una lenta, sommessa serpentina, gli altri due si impennano, in contrasto prodigioso con la morte apparente e con il capo chino in avanti, come totem giganteschi, turgidi di salute perenne. Accanto alle cifre stilistiche dei due fratelli, scaturite da una medesima fonte ma evolutesi così individualmente, la Lisner fu in grado di mettere a fuoco una terza, distinta e più tarda tendenza sangallesca, incarnata dal grande Crocifisso dei depositi di Santa Maria Nuova (figg. 5, 7). In tale figura possente e nodosa, la costruzione anatomica sarebbe incomprensibile senza il modello dei Cristi più sviluppati di Antonio. Anche i dettagli più facilmente rivelatori rimandano a lui: i lunghi capelli che tendono a dispiegarsi a raggiere sulle spalle, o la corona di spine intagliata insieme alla testa (una scelta, quest’ultima, sempre più desueta nel corso del Rinascimento). Se la maniera matura di Antonio costituisce il fondamento culturale quasi irriflesso del Crocifisso di Santa Maria Nuova, e dunque il suo immediato precedente cronologico, c’è però nel Cristo qualcosa di ulteriore, che ha tutta l’aria di provenire da scelte consapevoli del nuovo maestro. E tali apporti sanno di ritorno al passato, ritrovato non per contatti fortuiti e intuitivi ma quasi per calcolo programmatico, e interrogato con ostinazione. L’anatomia di Antonio da Sangallo conosce dunque nel Crocifisso di Santa Maria Nuova un indurimento e un appesantimento come in certe scene dei pergami bronzei del vecchio Donatello in San Lorenzo a Firenze, fortemente condizionate nella loro resa finale dal contributo di Bartolomeo Bellano (fig. 8). Allo stesso tempo la posa del Cristo, con le gambe torte per consentire ai piedi di incrociarsi, ma anche smottate verso la sinistra dell’osservatore in conseguenza del cedimento del corpo senza vita, rimanda alle soluzioni del grande Crocifisso di Giuliano per l’Annunziata. Questa combinazione così peculiare di tratti di stile persuase la Lisner, molto intelligentemente, a restituire il Crocifisso di Santa Maria Nuova alla prima maturità di Francesco da Sangallo, figlio devotissimo di Giuliano e rappresentante tra i più avvertiti e quasi fanatici della riscoperta cinquecentesca di Donatello15. Pur senza avere dalla sua una riprova documentaria, la proposta della studiosa è sembrata così giusta da entrare all’unanimità nella letteratura successiva. Il Crocifisso di San Biagio a Petriolo, a cui è ormai arrivato il momento di guardare, s’insinua suggestivamente in quel viluppo che nella seconda metà degli anni venti del Cinquecento lega Antonio ultrasettantenne e Francesco ultratrentenne come autori di Cristi lignei: viluppo in verità un 474747


6. Antonio da Sangallo il Vecchio, Crocifisso (particolare). Montepulciano, chiesa di San’Agostino.

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7. Francesco da Sangallo, Crocifisso (particolare). Firenze, Ospedale di Santa Maria Nuova (depositi). Fotografia prima del restauro recente.

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8. Donatello e Bartolomeo Bellano, Calvario con tre crocifissi, 1462-1466 (particolare). Firenze, chiesa di San Lorenzo, Pergamo della Passione o meridionale.

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po’ enigmatico, poiché non abbiamo per ora nessuna prova sul suo conto al di fuori delle opere stesse. In questa situazione, il Crocifisso di Petriolo, pur non essendo tra i saggi più elevati del magistero sangallesco, finisce per rivelarsi un’opera-chiave, perché esprime immediatamente e sinteticamente, attraverso un unico esempio di medie dimensioni, quel dialogo fitto tra zio e nipote che altrimenti si può captare solo per vie indirette, mettendo a riscontro i Cristi grandi di Fiesole, di Montepulciano e di Santa Maria Nuova. L’anatomia eroica di Antonio ritorna dunque a Petriolo in tutto il suo clamore, soprattutto quando il Cristo è a braccia aperte, ma le gambe subiscono una contorsione e un’incrinatura che trascinano naturalmente con sé tutto il resto della figura, appaiandola al modello di Francesco. Anche la testa, il volto e i capelli, stretti dalla grossa corona intrecciata (ormai così familiare), fondono sintomaticamente i tipi di Santa Maria Nuova e di Montepulciano, sebbene la maggiore inclinazione verso destra esprima un senso di abbandono e di disfatta che pare più vicino alla sensibilità di Francesco. Una considerazione speciale è necessaria per il perizoma di tela ingessata, incollata e tinta di azzurro, che durante il restauro si è rivelato in conflitto con la stesura cromatica originaria (predisposta per accogliere un panno appena più piccolo), e sembra dunque – si potrebbe concludere in modo sbrigativo – non pertinente alla fase sangallesca. Sono infatti innumerevoli, com’è stranoto, i Crocifissi che nel corso dei secoli hanno visto rinnovati i loro drappi, in coincidenza con alcuni degli abituali interventi di manutenzione e ridipintura degli intagli, ragion per cui la modifica di Petriolo non avrebbe nulla di sorprendente. In questo caso, tuttavia, il perizoma che la storia ci ha consegnato tradisce affinità tali con il grande Crocifisso di San Domenico a Fiesole che non possono essere trascurate, poiché il panneggio di Fiesole è sicuramente originario, e poiché esso, per giunta, ha un andamento tutt’altro che comune. Al perizoma costruito per sovrapposizione diagonale e incrociata di lembi di lino, che riscontriamo in tutte le precedenti occorrenze della produzione sangallesca laddove si sono ben mantenute (fino all’episodio tardissimo di Montepulciano), si sostituisce a Fiesole un drappo disteso intorno ai lombi in un’unica, assai più semplice operazione, che parte da un nodo vistoso sul fianco sinistro della figura, e ad esso ritorna, lasciando poi pendere lungo la stessa coscia la stoffa di troppo. Si potrebbe banalmente definire questa soluzione ‘a grembiule’, ma l’effetto che essa produce sul Cristo fiesolano è di un nobile e ingegnoso paludamento all’antica, quasi imperiale, che 515151


9. Donatello, Crocifisso, particolare del San Francesco, 1447-1448. Padova, basilica del Santo, altare maggiore.

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avvolge la gamba destra in un ventaglio di creste eleganti, mentre le zone di lino più piane aderiscono alle carni con effetto ‘bagnato’. In questa solenne dinamica la coscia sinistra tende quasi a scoprirsi sul davanti, così come non era quasi mai avvenuto nella precedente tradizione fiorentina dei Crocifissi, benché il piccolo Cristo in bronzo rappresentato fra le mani del San Francesco di Donatello nell’Altare del Santo a Padova (fig. 9) costituisca un precedente oltremodo significativo in tal senso, settant’anni prima di Fiesole. Chi ha formato intorno ai fianchi del Crocifisso di Petriolo il perizoma che vediamo oggi era ben al corrente non solo del modello fiesolano (e magari di altri esempi analoghi di Antonio il Vecchio), ma anche, sembrerebbe, dell’esperienza di Donatello a Padova. Accanto al Cristo in braccio al San Francesco, il maestro del drappo di Petriolo si è infatti ricordato del perizoma del famoso Crocifisso bronzeo monumentale nella stessa basilica del Santo (fig. 10), dove la coscia sinistra è ormai completamente nuda, grazie all’uso geniale di un finto cordone per fermare la stoffa alla vita16. La ricomparsa di un simile canapo a Petriolo, quasi un hapax nella scultura dei Crocifissi fiorentini tra Quattro e Cinquecento, non può essere frutto del caso, e sembra non solo garantire l’antichità del drappo che ne pende, ma anche far pesare la bilancia delle spettanze tra Antonio e Francesco a favore di quest’ultimo. Non a caso Margrit Lisner, la quale pure credeva impropriamente (come ogni altro studioso ai suoi tempi) che il perizoma del Santo di Padova fosse stato rifatto nel Seicento, non aveva dubbi sull’antichità di quello di Petriolo, mentre si interrogava cautamente sulla pertinenza originaria di quello di Santa Maria Nuova17, che il restauro recente sembra adesso porre in dubbio18. Le considerazioni svolte fin qui sul perizoma spiegano perché nel titolo e nelle didascalie di questo volumetto il nome di Francesco da Sangallo acquista provvisoriamente un peso maggiore rispetto a quello di Antonio: ma la ricerca e il dibattito rimangono aperti.

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10. Donatello, Crocifisso, 1443-1449. Padova, basilica del Santo, altare maggiore (dall’antico tramezzo).

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1 M. LISNER, Holzkruzifixe in Florenz und in der Toskana von der Zeit um 1300 bis zum frühen Cinquecento, Florenz-München, Kunsthistorisches Institut in Florenz – Bruckmann, 1970, p. 93 e note 155-156 (p. 107), fig. 208. 2 M. LISNER, Zum bildhauerischen Werk der Sangallo, in “Pantheon”, XXVII, 1969, pp. 99-119, 190-208; EADEM, Holzkruzifixe cit., pp. 85-93 e note 101-158 (pp. 104-107), figg. 196-220. 3

M. LISNER, Holzkruzifixe cit., p. 91; B. SANTI, in Umanesimo e Rinascimento a Montepulciano. Montepulciano, 16 luglio - 15 dicembre 1994, a cura di Antonio Sigillo, Montepulciano, Editori del Grifo, 1994, pp. 64-65 n. 6.3; R. PIZZINELLI, in Scultura a Montepulciano dal XIII al XX secolo, Montepulciano, Editrice Le Balze, 2003, pp. 94-95 n. XLI.

4 M. BRANCA, La “cappelletta” delle reliquie nella chiesa di Careggi e alcune note sul patrimonio delle Oblate, ne Il tesoro liturgico dell’Ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, a cura di Mirella Branca, Cristina De Benedictis, Esther Diana, Mara Miniati, Brunella Teodori, Firenze, Edizioni Polistampa, 2009, pp. 50-55: pp. 50-51 figg. 1-2, 51 e nota 1 (p. 55). 5

B. TEODORI, A. FULIMENI, M. FIORAVANTI, M. SPAMPINATO, Il Crocifisso di Francesco da Sangallo dell’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze. Restauro, indagini e alcune osservazioni sulla tecnica costruttiva, in “Kermes”, XXII, 2009, 76, pp. 51-66.

6 F. PETRUCCI, ne L’officina della maniera: varietà e fierezza nell’arte fiorentina del Cinquecento fra le due repubbliche, 1494-1530, catalogo della mostra (Firenze, Galleria degli Uffizi, 28 settembre 1996 - 6 gennaio 1997), Firenze-Venezia, Giunta Regionale Toscana - Marsilio, 1996, pp. 86-87 n. 7. 7 L. MARTINI, M.I. GIANNELLI, Memorie d’arte antica: restauri a Montepulciano, catalogo della mostra (Montepulciano, Chiesa di San Francesco, 9 maggio – 6 luglio 2003), a cura di Laura Martini, Montepulciano, Editrice Le Balze, 2003, pp. 26-28 n. 7, 86 n. 7. 8

Eredi Carlo De Carlo. Parte seconda […], aprile 2011, Firenze, Casa d’Aste Semenzato, 2001, n. 107; G. GENTILINI, Proposta per Michelangelo giovane: un piccolo Crocifisso in legno di tiglio, in Proposta per Michelangelo giovane. Un Crocifisso in legno di tiglio, catalogo della mostra (Firenze, Museo Horne, 8 maggio - 4 settembre 2004), a cura di Giancarlo Gentilini, Torino, Umberto Allemandi & C., 2004, pp. 10-32: p. 16 e nota 36 (p. 31), fig. 8.

9 M.

LISNER, Holzkruzifixe cit., in part. p. 88 e note 120-121 (p. 105), figg. 202 e 220; G. GENTILINI, Giuliano Giamberti detto Giuliano da Sangallo (Firenze, 1443/1445-1516), Cristo crocifisso, in Per la storia della scultura: materiali inediti e poco noti. Catalogo a cura di Massimo Ferretti, Torino, Antichi Maestri Pittori di Giancarlo Gallino - Società Editrice Umberto Allemandi & C., 1992, pp. 22-31 n. 2.

10

Due nuovi e importanti Crocifissi di Giuliano e di Antonio, il primo di formato medio e il secondo piccolo, sono stati rinvenuti nel corso di simili perlustrazioni da Gianluca Amato, che prepara una tesi di dottorato sui Crocifissi toscani presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. In attesa che tale lavoro si concluda (2013), è mio ovvio dovere, da relatore, non dire di più sulla scoperta.

11 M. 12 Ivi, 13

LISNER, Holzkruzifixe cit., p. 86 e nota 105 (p. 104). p. 86 e nota 107 (p. 104).

Ivi, p. 86 e nota 106 (p. 104).

14 M. LISNER, Ein Kruzifixus des Antonio del Pollaiuolo in San Lorenzo in Florenz, in “Pantheon”, XXV, 1967, pp. 319-328; EADEM, Holzkruzifixe cit., pp. 74-75 e note 13-19 (p. 99), figg. 151-154. 15 A proposito dello zelo donatelliano di Francesco da Sangallo, mi chiedo sempre più insistentemente se non vadano infine riconosciuti a lui da giovane, piuttosto che allo zio Antonio (come si faceva soprattutto in passato) o al padre Giuliano (come si è fatto negli ultimi tempi) i tre ben noti fogli del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (259F-261F) con gli studi da sette immagini di santi nel battente destro della porticina bronzea ovest (destra) della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo. Presso M. LISNER, Zum bildhauerischen Werk der Sangallo cit., pp. 115, 190 ss., figg. 1 e 4; ed EADEM, Holzkruzifixe cit., pp. 90 e 92, tali prove figurano come di Giuliano. Per una scheda ampia e bibliograficamente ragionata si veda A. ANGELINI, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. Disegni italiani del tempo di Donatello, Firenze, L. S. Olschki editore, 1986, pp. 126-129 nn. 165-167 (sempre come Giuliano). 16 Sui due Crocifissi bronzei di Donatello a Padova e sulla loro importanza per il Crocifisso di San Biagio a Petriolo cfr. F. CAGLIOTI, Il ‘Crocifisso’ ligneo di Donatello per i Servi di Padova, in “Prospettiva”, 130-131, 2008, pp. 50-106: pp. 59 ss. e note (pp. 90 ss.), figg. 16-28. 17 M.

LISNER, Holzkruzifixe cit., p. 91 nota 146 (p. 106).

18 B. TEODORI, A. FULIMENI, M. FIORAVANTI, M. SPAMPINATO, Il Crocifisso di Francesco da Sangallo cit., passim. Confesso che la proposta di considerare spurio il perizoma di Santa Maria Nuova e di datarlo al Settecento, così come si fa con cautela in questo contributo, non mi persuade. Per quanto insolito rispetto a tutti gli altri perizomi sangalleschi, questo di Santa Maria Nuova ostenta un gioco sofisticato di acciaccature che sembra coerente con i marmi di Francesco, e che in fondo rilegge in controparte e in chiave ‘manieristica’ il drappeggio nuovo e archetipico di Antonio il Vecchio nel Crocifisso di Fiesole (fig. 3). Anche l’esempio del perizoma costrittivo di Donatello e Bellano nel pergamo di San Lorenzo (fig. 6) avrà avuto il suo valore per Francesco. A ogni modo, non riesco a immaginarmi un ‘restauratore’ settecentesco capace di escogitare una simile soluzione.

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1. Il Crocifisso prima del restauro sulla croce novecentesca

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Stefano Garosi

Il Restauro del Crocifisso

1. Osservazioni sulle tecniche di esecuzione Il Crocifisso, che misura cm. 91x86, è posizionato su una croce risalente alla prima metà del Novecento (fig. 1). La scultura policroma, scolpita a tutto tondo, è ricavata da un unico blocco di legno (legno di tiglio). L’intaglio è curatissimo fin nei minimi dettagli. I rilievi delle gocce di sangue (sulla fronte, sul costato, sui polsi e sui piedi) e le vene nelle braccia, sono parzialmente intagliate e in minima parte ottenute con un rilievo in gesso (fig. 2). Anche la corona è intagliata nel medesimo blocco, mentre le spine sono inserite in alloggiamenti (fori). Attualmente sono rimaste soltanto 13 spine, ma si contano anche 17 fori vuoti, nei quali in origine alloggiavano altre spine. Non è tuttavia possibile stabilire il numero esatto delle spine che la corona aveva in origine, poiché alcune parti di essa sono andate perse. Sommando le parti mancanti, esse ammontano a circa 4/5 centimetri (fig. 3). Il perizoma, in tela ingessata e dipinta di colore azzurro, non è originale, poiché le sue dimensioni non corrispondono a quelle delle aree preparate a gesso e preparazione giallo-verdastra nelle quali originariamente esso era alloggiato (fig. 4). 2. Lo stato di conservazione La scultura presentava un pessimo stato di conservazione, con sollevamenti, cadute della policromia, fratture, mancanze di parti anatomiche e numerose ridipinture. Tutta la struttura lignea era inoltre fortemente danneggiata dall’attacco di insetti xilofagi (figg. 5-8). Stabilire la stratigrafia delle ridipinture è stato fondamentale per poi procedere alla rimozione delle stesse. Partendo dalla struttura lignea, si riscontrava una preparazione a gesso e colla e, su questa, uno strato di colore giallo-verdastro. Esso era una tempera a colla sottilissima, perfettamente levigata, applicata sulla preparazione a gesso e colla come base della preparazione pittorica, ossia una prima stesura di colore intonato, sul quale successivamente si sarebbe dovuta eseguire la pittura, ed analoga condizione di colore intonato è stata riscontrata nei capelli. Della suddetta pittura non abbiamo trovato tracce in nessuna zona 575757


2. Dettagli dell’intaglio: i rilievi delle vene

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3. Dettaglio della corona di spine

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4. Fase di pulitura: individuazione dell’area del perizoma originale

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5. Parti mancanti stuccate grossolanamente nel restauro precedente

6. Parti mancanti stuccate grossolanamente nel restauro precedente

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7. Mancanze di parti anatomiche

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8. Sollevamenti

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ispezionabile della scultura, da ciò si può dedurre che non sia mai stata eseguita. Infatti, in fase di pulitura, sono stati riscontrati alcuni elementi che confermerebbero questa ipotesi: la presenza di sporco e vernice (rilevata anche nell’indagine spettrofotometrica) sul colore giallo-verdastro, che ha determinato anche una precaria adesione della materia pittorica della coloritura cinquecentesca al suddetto colore; la constatazione che alcuni fori di sfarfallamento (presenti nel colore giallo-verdastro) erano intasati dalla coloritura cinquecentesca (il più evidente per dimensioni e ostruzione in profondità, è stato riscontrato nel costato, sotto l’ascella sinistra); infine, il colore giallo-verdastro risultava essere una preparazione poiché si trattava di un colore applicato uniformemente, sul quale non si sono riscontrate tracce di ulteriore pittura, in particolare mancava la coloritura delle gocce di sangue, risolte nell’intaglio con meticolosa attenzione e scrupolosità nell’evidenziare ogni piccolo dettaglio (figg. 9-11). La coloritura cinquecentesca - una tempera grassa color ocra -, era coperta da uno strato di sporco che la faceva risultare plumbea, quasi grigia. Sopra a questa coloritura cinquecentesca, via via nel tempo, erano stati applicati numerosi strati di colore: un ocra chiaro, un incarnato grigiastro, un rosa rossastro, un’ocra arancio (presenti in modo disomogeneo sulla figura del Cristo) e, infine, un rosato grigiastro. Quest’ultima coloritura, che ricopriva tutta la figura del Cristo, è stata applicata durante un intervento risalente alla prima metà del Novecento (fig. 12). Le numerose cadute di colore diffuse su tutto il corpo, rendevano visibile la preparazione giallo-verdastra (fig. 13). Alcune parti anatomiche mancanti (due falangi del dito indice e medio della mano sinistra, due falangi dell’indice, dell’anulare e del mignolo e una falange del medio della mano destra) erano state reintegrate grossolanamente con stuccature in gesso - sostenute internamente con dei chiodi -, l’unica parte mancante non ricostruita è l’alluce del piede destro (figg. 14-15). La parte anteriore della spalla sinistra e la punta dei capelli che poggia su di essa, non sono originali, ma risalgono ad un antico intervento. In origine le braccia erano mobili, ma, prima del restauro, si presentavano bloccate, incollate e inchiodate e, negli spazi vuoti delle articolazioni erano stati inseriti pezzetti di stoffa intrisi di colla (figg. 16-17). Su tutta la figura del Cristo erano presenti numerosi fori di sfarfallamento, molti dei quali deformati nei punti in cui i tarli avevano lavorato appena sotto la superficie. La scultura presentava inoltre una lesione sul gluteo destro lunga circa 10 64


9. Stratigrafia delle ridipinture sulla schiena e sul fianco destro

10. Rilievo delle gocce di sangue

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11. Prelievo per l’indagine spettrofotometrica e documentazione della presenza di sporco e vernice sulla coloritura giallo-verdastra

12. Documentazione della stratigrafia delle ridipinture in fase di rimozione delle medesime nell’area della scapola e della spalla sinistra

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13. Dettaglio della preparazione giallo-verdastra

centimetri e una seconda lesione sul ginocchio sinistro lunga 2,5 centimetri. 3. L’intervento di restauro Preliminarmente al trasporto, è stata rimossa la polvere superficiale ed è stata effettuata una velinatura - con carta giapponese e colletta -, al fine di salvaguardare l’opera da eventuali danni (fig. 18). La prima fase dell’intervento è consistita nella fermatura del colore nelle zone in cui questo presentava un precario ancoraggio. Il consolidamento è stato effettuato a colletta nelle zone in cui vi erano presenti i sollevamenti più accentuati, mentre, per i distacchi nelle aree che presentavano ridipinture che sarebbero state certamente rimosse, abbiamo utilizzato il Klucel-G. In seguito alle varie indagini effettuate (osservazioni al microscopio e indagini spettrofotometriche), in accordo con quanto valutato dalla direzione dei lavori, Dr.ssa Mirella Branca, e confermato da Peter Stiberc, è stato deciso di rimuovere tutte le ridipinture, eccetto la coloritura cinquecentesca applicata direttamente sul colore-preparazione giallo-verdastro. La rimozione delle ridipinture, eseguita strato per strato, è stata effettuata meccanicamente a bisturi (anche con l’ausilio del microscopio), utilizzando 676767


14. Rimozione delle stuccature novecentesche dalle dita della mano destra e sinistra

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15. Rimozione delle stuccature novecentesche dalle dita della mano destra e sinistra

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16. Dettaglio dell’articolazione della spalla destra in fase di ripristino della mobilità

17. Dettaglio dell’articolazione della spalla destra in fase di ripristino della mobilità

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18. Velinatura

19. Rimozione delle ridipinture dell’area del busto

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20. Tracce di ammannitura e colore non pertinenti alla pittura originale rilevate dopo la rimozione del perizoma

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localmente Klucel-G come supportante, unito a una miscela di alcool (30%), acetone (30%), ammoniaca (2%) ed acqua (38%). Sono state rimosse le stuccature in gesso che reintegravano alcune falangi delle dita delle mani ed i chiodi che le sostenevano. Le articolazioni delle braccia sono state rese mobili mediante la rimozione dei chiodi, dei pezzi di stoffa e dei residui di colla. Sono inoltre stati ricostruiti i perni in legno di cui erano prive. È stata effettuata la rimozione del perizoma, che ci ha permesso di rilevare tracce di colore del perizoma originale ed individuare esattamente le aree in cui esso era alloggiato. Sono state inoltre rilevate macchie di sporco, di colore e residui di gesso sui glutei, non pertinenti né all’ammannitura, né al colore di base giallo-verdastro (figg. 19-20). Alcune piccole lacune presenti sulla figura del Cristo, sono state stuccate a gesso e colla. In accordo con la direzione dei lavori, è stato scelto un tipo di reintegrazione mimetica, che è stata effettuata con colori a tempera, ad acquerello ed a vernice. La verniciatura è stata effettuata con vernice mastice. Infine, come protettivo finale è stata utilizzata la cera microcristallina (figg. 21-22).

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21. Crocifisso dopo il restauro: verniciatura finale e trattamento con cera microcristallina

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22. Dettaglio della reintegrazione pittorica sul busto

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1. Crocifisso di Francesco e Antonio da Sangallo, San Biagio a Petriolo. Glutei visti dal basso. Questa visione si avvicina con le evidenti distorsioni ad una sezione trasversale del tronco.

2. Crocifisso di Francesco e Antonio da Sangallo, San Biagio a Petriolo. Glutei visti da basso. Alcuni anelli di accrescimento sono evidenziati con linee nere. La freccia rossa corrisponde alla direttrice di uno spacco radiale ed indica il punto dove passava il midollo del tronco è indicato dalla freccia rossa. Il cerchio rosso corrisponde ad un ipotetico anello di accrescimento completo.

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Peter Stiberc

Il crocifisso di San Biagio nel contesto tecnico della bottega dei Sangallo. Osservazioni sulla tecnica costruttiva

Una regola antica per le costruzioni lignee, comprese le sculture, è quella di evitare la presenza del midollo del tronco d’albero nel manufatto. Gli elementi lignei che contengono il midollo sono infatti soggetti a spaccature e in particolare durante la stagionatura del legno quasi inevitabilmente si spaccano. Mentre per le sculture lignee di grandezza naturale questa circostanza rappresenta una notevole sfida in termini di tecnica costruttiva, per un Crocifisso di misure ridotte, cioè di 91cm di altezza e di 18 cm di profondità, come quello di San Biagio a Petriolo, la soluzione è più a portata di mano perché può essere realizzata scegliendo un elemento proveniente da una porzione limitata dell’albero. Il problema può quindi essere risolto 'a monte', tramite l’accurata scelta di un elemento ligneo che presenti proprietà adatte, come quella di non contenere la parte centrale del tronco con il midollo e di essere sufficientemente stagionato. In questo modo è possibile valutare il 'comportamento' del pezzo di legno scelto. Idealmente non dovrebbe presentare difetti. Se si sono manifestati spacchi durante la stagionatura, possono essere localizzati e in qualche modo affrontati. Entrambe queste condizioni possono essere soddisfatte più facilmente per una scultura di dimensioni limitate, come nel caso dei crocifissi processionali, piuttosto che per un’opera di grandezza naturale. Ora, verificare nel caso di un Crocifisso ligneo policromo quale fosse stata la scelta dell’artista rispetto al pezzo di legno che ha usato per risolvere questo problema, non è facile, perché la superficie lignea della scultura è interamente rivestita di uno strato di gesso e colla e di colore. Nel caso del Crocifisso di San Biagio ci veniva incontro una caratteristica esecutiva particolare dei crocifissi lignei fiorentini. Nella tradizione tecnico-formale fiorentina del Quattro/Cinquecento i perizomi dei crocifissi erano eseguiti con tessuto impregnato di colla e venivano applicati o dopo la stesura del colore sul corpo del Cristo, o sulla superficie lignea prima di coprire tutta la figura, compreso il perizoma, di gesso e colla e di colore. In questi ultimi casi come anche nel crocifisso di San Biagio a Petriolo sotto la stoffa del perizoma si conserva la superficie lignea. 777777


Durante il restauro è stato possibile rimuovere temporaneamente il perizoma (peraltro non originale) ed esaminare la superficie lignea scoperta. La forma convessa dei glutei peraltro permette una discreta osservazione degli anelli di accrescimento in una disposizione che si avvicina ad una sezione trasversale del tronco (figg. 1 e 2 ). Così è possibile notare che gli anelli si restringono progressivamente verso il lato posteriore della figura. Il centro dei cerchi concentrici degli anelli e quindi l’asse che corrisponde al midollo del tronco verrebbe dunque a trovarsi poco oltre la schiena della figura, grosso modo sulla direttrice indicata dallo spacco radiale visibile sul gluteo sinistro (fig. 2, freccia). L’elemento ligneo usato per intagliare il crocifisso deriva quindi da una porzione del tronco ricavata da una metà del tronco stesso, a pochi centimetri dal midollo, che non viene incluso. Nella stessa area dei glutei si notano ancora alcuni spacchi dovuti ad anomalie del legno, come lo spacco grosso sul gluteo destro che segue l’andamento dell’anello di accrescimento ed è dovuto ad un indebolimento del tessuto ligneo che presenta tipicamente queste caratteristiche (questa separazione del tessuto lungo gli anelli di accrescimento). Anomali sono anche gli altri spacchi sul gluteo sinistro, con un orientamento che va a intersecare quello dello spacco radiale, probabilmente dovuti ad un nodo in quella zona. Il pezzo di legno usato deriva quindi da una porzione interna del tronco che però non arriva fino al midollo e presenta da questo punto di vista le proprietà necessarie per il suo uso. La presenza dei difetti nell’area dei glutei fa pensare che questi ultimi fossero già visibili o almeno prevedibili nell’elemento ligneo al momento di iniziare l’intaglio e che il legno fosse discretamente stagionato. Ma un’altra circostanza interessante da rilevare qui è che la parte problematica dell’elemento ligneo usato è stata sfruttata per ottenere il volume necessario per intagliare i glutei, cioè dalla parte posteriore della figura, dove le tensioni nel legno si potevano manifestare senza creare danno estetico alla scultura, perché sarebbero rimasti invisibili sotto il perizoma. In questo modo di sfruttare il legno si può riconoscere un comportamento tipico di questi abili artefici che combinavano le esigenze economiche con l'altissima conoscenza e sicurezza tecnica. Infatti anche le sculture a grandezza naturale, uscite dalla bottega dei Sangallo, sono una testimonianza straordinaria dello stesso atteggiamento pragmatico che ha portato perfino 78


ad un nuovo principio costruttivo per i crocifissi monumentali, un settore nel quale gli stessi Sangallo erano protagonisti. Il problema di procurare un volume di legno sufficiente per una figura di grandezza naturale, evitando che vi fosse presente il midollo, è stato risolto tradizionalmente usando tronchi interi, ma scavandone la parte interna che conteneva il midollo. Naturalmente ci sono stati anche tentativi di trovare alternative a questa tecnica che può complicare il lavoro d’intaglio specialmente quando l’artista vuole lavorare a tutto tondo1. In particolare i crocifissi fiorentini della prima metà del Quattrocento indicano un rifiuto della tecnica dello scavo, senza però arrivare ad una soluzione tecnica veramente efficace. La soluzione praticata dai Sangallo invece è basata su un principio veramente alternativo all’uso del tronco d’albero. Essi creano un blocco di legno, unendo più elementi, simili a quello usato per il crocifisso di San Biagio, che singolarmente presentano le proprietà di stagionatura e assenza del midollo, e quindi insieme formano un sistema stabile2. Gli elementi lignei adoperati per creare i blocchi assemblati da cui sono stati intagliati i crocifissi grandi hanno spessori fino a 18 cm, come nel caso del crocifisso di San Biagio. Negli assemblaggi del Crocifisso di Giuliano da Sangallo alla SS. Annunziata di Firenze e di quelli di Antonio alla SS. Annunziata e a San Domenico di Fiesole, per ottenere lo spessore del torace di 28 cm ca. sono stati sovrapposti un elemento di 10 e uno di 18 cm. L’elemento dello spessore tra i 18 e i 20 cm sembra essere stato una sorta di standard di misura massima per il legname, che corrispondeva alle migliori caratteristiche. Da questo punto di vista il crocifisso di San Biagio si inserisce perfettamente nella raffinata prassi tecnica della bottega dei Sangallo.

________________________ 1 P. STIBERC, Tridimensionalità e tecnica costruttiva in Kongo Rikishi. Studio, restauro e musealizzazione della statuaria giapponese, atti della giornata internazionale di studi (Centro di Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, 10 aprile 2008), a cura di S.Blasi, DVD, Firenze, Nardini, 2010, pp. 132-172. . 2 Faccio riferimento soprattutto ai dati emersi dalla ricerca sulle tecniche costruttive dei crocifissi fiorentini condotta da me nel settore Scultura Lignea dell’OPD, diretto da dott.ssa Laura Speranza con la collaborazione del settore Indagini non distruttive per le riprese rx, diretto da dott. Alfredo Aldrovandi. Finora sono stati esaminati dieci crocifissi tra cui tre dei Sangallo. Quello di Giuliano nella chiesa della SS. Annunziata a Firenze e quelli di Antonio nella cappella degli artisti della stessa chiesa della SS. Annunziata e a San Domenico di Fiesole. I risultati di questa ricerca verranno pubblicati prossimamente. Una altra soluzione è stata trovata nel crocifisso di Francesco di Sangallo dell’ospedale di Santa Maria Nuova. La sua tecnica costruttiva è stata analizzata tramite TAC da Marco Fioravanti in B. TEODORI, A. FULIMENI, M. FIORAVANTI E M. SPAMPINATO, Il Crocifisso di Francesco da Sangallo dell’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, in “Kermes”, 2009, 76, pp. 51-66.

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Finito di stamapre presso TIPOGRAFIA TOZZI - Signa (Firenze) Dicembre 2011




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