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Alla ricerca del parco
“Forza, Ernesto!” mi dicevo da solo. “Corri! Ancora due salti e ci sei!”. Arrivai quasi senza fiato, però arrivai.
Ma la cosa triste fu che ciò che trovai al mio arrivo non somigliava affatto, ma proprio per niente, a quello che io ricordavo.
C’erano sempre alberi da tutte le parti, certo, ma in mezzo agli alberi qualcuno aveva piazzato sentieri di cemento. E, lungo i sentieri, tante panchine di legno, verniciate di giallo e bianco, o di bianco e verde, o di bianco e blu. E, al centro, dove si riunivano tutti i sentieri, altre panchine. Tutto era nuovo e allegro. Tutto era pulito e curato. Tuttavia mi sentii un po’ deluso. Quello non era il parco che io conoscevo!
E pensai che quello di prima mi piaceva di più, con i suoi sentieri di terra e le sue panchine di pietra, anche se qualcuna era rotta e malridotta.
E dissi tra me e me: “Che peccato!”.
Mentre ero assorto nei miei pensieri riconobbi la voce di Matteo
1 Scrivi la parte centrale del racconto e fai in modo che sia coerente con il resto della storia.
L’apparecchio per i denti
Non sopportavo l’apparecchio per i denti. Continuavo a pensare che era orribile e che mi faceva una faccia mostruosa: sembravo una scimmia con la bocca piena di noccioline. Cercavo di ridere il meno possibile e così passavo per una musona con tutti gli amici. Insomma era un dramma. Poi è successa una cosa straordinaria.
Una sera sono andata a vedere un balletto in piazza e lo spettacolo mi è piaciuto tantissimo. Una delle danzatrici era una ragazzina poco più grande di me, ed era bravissima. Non credevo ai miei occhi. La mia ballerina preferita aveva un apparecchio per i denti due volte più ingombrante del mio. Eppure continuava a sembrarmi bellissima!
Quella sera ho deciso due cose. Primo: mi sarei iscritta a una scuola di danza; secondo: avrei sorriso a tutti.
1 Scrivi la parte iniziale del racconto e fai in modo che sia coerente con il resto della storia.
Sotto la pioggia
– Cos’hai, Ninuccio? – mi chiese tastandomi il pancino. Poi mi fece aprire la bocca:
– Perbacco! – esclamò osservando le mie tonsille infuocate.
Il dottore fece per ben due volte sì e no con la testa, proprio come fanno gli asini, e mi prescrisse le siringhe.
Mia zia me ne fece una subito, io naturalmente strillai, non tanto per il dolore quanto per la paura.
Due ore dopo, la febbre mi era passata ed anche lo spavento. Accarezzai Neve e dolcemente mi addormentai.
Quella notte ebbi un incubo.
Camminavo per un sentiero buio e silenzioso inseguito da una gigantesca siringa parlante. Ad un tratto, ne appariva un’altra da dietro un cespuglio e poi un’altra ancora che correva a perdifiato con l’intento di bucarmi.
Io gridavo, chiedevo aiuto ma ero solo e terrorizzato.
Mi svegliai di soprassalto col cuore che mi batteva forte; solo quando vidi Neve acciambellata sul mio letto mi tranquillizzai e tirai un sospirone, anche se mi rimase il fiatone come dopo una lunga corsa.