Numero 2, Aprile 2015
ARTESPLORANDO Sono Cristian, classe 1983, laureato in restauro e conservazione dei beni culturali, mi piace l'arte, la musica, la pittura. Da sempre la vera passione della mia vita è la storia dell'arte e oggi cerco di diffonderla anche attraverso questo notiziario, fondato insieme ad altri blogger con cui condivido questa passione! artesplorando.blogspot.it
alizzarin@gmail.com
La scoperta degli art blogger
c'è un gran fermento in atto, forse un nuovo Rinascimento Qualche settimana fa ho avuto la possibilità di partecipare ad un evento molto interessante oltre ad aver modo di conoscere dal vivo persone che già "conoscevo" nel web! Bellissima e strana esperienza che ci insegna forse come il web possa anche servire a unire le persone e non solo a farne delle isole scollegate dai rapporti umani. Ed è così che nell'interessante cornice di Affordable Art Fair Milano, una fiera d'arte contemporanea caratterizzata dalla facilità di acquisto, dell’ampiezza di scelta, dei prezzi accessibili e dell’approccio amichevole, Elena Datrino mi ha reso parte di un progetto che ha lo scopo di dare un volto ai tanti blogger che animano la rete. Il progetto si chiama appunto "Facce da blogger" e si è già concretizzato in una mostra a Roma ed in un catalogo. Ma a Milano Elena ha voluto porre l'accento su una categoria di blogger poco conosciuta, fino ad ora! Gli art blogger. Persone che, sotto diversi punti di vista, cercano di diffondere l'arte, la storia dell'arte e l'educazione ad essa connessa, in maniera totalmente libera e gratuita. E una cosa è emersa da questa giornata: c'è un gran fermento in atto, forse un nuovo Rinascimento, attuato da tanti appassionati d'arte che sempre più spesso scelgono il blog come strumento di condivisione e diffusione. Questo evento è stato un modo per dire che anche noi ci siamo e che è bello potersi conoscere e fare rete, per provare, nel nostro piccolo, a cambiare qualcosa nel paese in cui viviamo a riaccendere l'interesse verso l'arte e, perché no, a cercare di diventare persone migliori. Ed è un po' quello che Artesplorando sta cercando di fare con Are you art, un magazine interamente realizzato da blogger. Grazie ad Elena e Caterina che hanno permesso questa bellissima giornata. Il progetto di Elena Datrino lo trovate all'indirizzo: www.elenadatrino.it/facce-da-blogger-2015/
C. C.
MICHELANGELO BUONARROTI È TORNATO Antonietta Bandelloni, da sempre appassionata di arte ma soprattutto di Michelangelo e delle sue opere. Scrive per passione, per lavoro e per evadere dalla quotidianità. Casa sua è invasa dai libri, dai tubetti di colore e dalla vivacità di due piccole birbanti. michelangelobuonarrotietornato.com
antoniettabandelloni@gmail.com
La vita complicata della Madonna di Bruges Eccomi di nuovo qua a raccontarvi di me attraverso i miei post. Mi sono assentato per una giornata intera. Ho voluto di proposito rimanere lontano da questo trabiccolo che chiamate computer per riorganizzare perbenino il mi povero cervello. Le idee a volte son troppe e si ingarbugliano fra di loro divenendo indecifrabili. Già era un bel casino da vivo, ora che son morto è ancora peggio. Non vi illudete: anche nell’esistenza eterea avrete un bel po’ da fare quasi tutti i giorni. Però almeno la domenica si riposa, non si fa nulla o al limite si guardano le partite in televisione. Cosa vi racconto oggi? La conoscete la mia Madonna di Bruges? Ebbene, mentre ero tutto preso nella realizzazione del David, non mi mancò l’occasione di accettare altre commissioni. Già, nonostante mi portasse via un bel po’ di tempo trovavo anche il modo di dedicarmi ad altro. Una potente famiglia di mercanti fiamminghi mi commissionò la realizzazione di una Madonna con Bambino da collocare nella loro cappella di famiglia presente nella chiesa di Notre Dame di Bruges. Erano clienti della banca del Galli, non potevo dirgli di no. Ideai una composizione mai vista prima e siccome i ladri d’idee erano più scaltri che mai, impedii a tutti di vederla e la feci imbarcare su un bastimento al porto di Livorno nel 1506 alla volta della sua destinazione finale. Tanto era sconosciuta che addirittura nemmeno i miei biografi la conoscevano. O meglio, la citarono ma in modo del tutto fantasioso. Il Varchi e il Condivi nei loro testi fanno riferimento a una Madonna con Bambino in bronzo mentre il Vasari racconta la realizzazione di un tondo. (continua nella pagina seguente)
Una potente famiglia di mercanti fiamminghi mi commissionò la realizzazione di una Madonna con Bambino
Tuttavia nonostante tutte le precauzioni che presi ho paura che quel giovanetto di Raffaello abbia fatto in tempo a darle una sbirciata prima che la imbarcassi. In qualche sua opera io ce la rivedo tutta la mi Madonna. Quante ne ha passate quella scultura! I Musucron mi pagarono 4mila fiorini a opera conclusa: una cifra considerevole per l’epoca che nessun artista si sarebbe mai sognato di ricevere per un’opera di quelle dimensioni. Arrivò nelle fiandre nel 1508 e inizialmente fu collocata nella cappella di famiglia dove il pittore Durer la vide. Durante il periodo dell’occupazione napoleonica, la mia Madonna di Bruges venne rapita e portata a Parigi. Nel 1815 fu restituita alla nazione legittima proprietaria ma poco più di un secolo dopo, nel 1944, la trafugarono i tedeschi durante la ritirata. Per non dare nell’occhio l’avevano infagottata nei materassi e caricata su un convoglio della Croce Rossa. Da allora se ne persero le tracce. Grazie a Dio due anni dopo fu rinvenuta in Austria e per la precisione in una miniera di Altaussee, in Austria e riportata in Belgio. Da allora è sempre rimasta lì sull’altare della famiglia Musucron… se si esclude la sua esposizione temporanea a Firenze al Museo del Bargello in occasione di una mostra che comprendeva il noto Trittico Portinari del fiammingo Hugo van der Goes, solitamente esposto agli Uffizi. E chi l’ha detto che le sculture hanno una vita monotona e poco movimentata? Di sicuro non la mia Madonna di Bruges!
E chi l’ha detto che le sculture hanno una vita monotona e poco movimentata?
Il sempre vostro Michelangelo Buonarroti che stasera è allegro e vi regala anche un sorriso, si sì, un sorriso vero e non quelli fatti a mezza bocca!
A. B.
WWW.ALESSANDRAARTALE.IT Alessandra Artale, storica dell’arte, giornalista, scrittrice e blogger, laureata all’Università di Genova tanti anni fa. Il mio peggior difetto l’essere maniaca della precisione, la mia maggior virtù l’essere maniaca della precisione. L’arte è sempre stata la mia passione, fin da piccola. Non mi piace l’arte contemporanea, amo invece quella antica. Il mio cuore è per Tiziano e Caravaggio, ma c’è posto anche per qualcun altro. www.alessandraartale.it
artematite@gmail.com
Caravaggio, genio pettegolezzi e tormenti dell’anima Era dannato e lo sapeva benissimo, a tal punto che dipinse la sua faccia allucinata nella testa mozzata di Golia. Ma non era solo dannato. Era un genio. Un genio dagli occhi e dai capelli foschi che sconvolse quella Roma della Controriforma strangolata dall’Inquisizione.
Un genio dagli occhi e dai capelli foschi che sconvolse quella Roma della Controriforma strangolata dall’Inquisizione
E la sconvolse non perché sembrava uno sgherro più che un pittore, non perché era sempre pronto a far baruffa, non perché andava a letto vestito col pugnale in fianco e non si separava mai dalla sua spada che adoperava quanto i pennelli e non perché frequentava puttane e furfanti, ma perché stravolse buttandola a gambe all’aria quella pittura stereotipata così cara all’Accademia di San Luca, perché fu l’inventore della natura morta italiana fino ad allora appannaggio assoluto dei fiamminghi, perché colse nella luce e nelle ombre una forza inimmaginabile, perché mise in discussione l’iconografia classica, perché ripudiò il bello ideale per affermare il dramma dell’esistenza e della morte, dell’angoscia, della solitudine e della salvezza eterna. Non serve il tarlo del pettegolezzo becero che spesso racconta del suo primo maestro
Davide e Golia, particolare Peterzano come un pedofilo che lo insidia, tralasciando che fu lui a insegnargli la forza del colore imparata a sua volta da Tiziano. Non serve parlare dei baci e delle carezze con ragazzi o prostitute senza citare l’ambiente colto del palazzo del cardinal del Monte che lo vide amico del poeta Giovan Battista Marino. Non serve bisbigliare del suo infilare una rosa nei capelli del suo modello omosessuale per ritrarlo nel Ragazzo morso dal ramarro senza dire che nell’insidia dei sensi rappresentata da quella rosa si nasconde la morte. Di quel ragazzo piovuto dalle nebbie del Nord nella Roma papale si spettegola di duelli e risse ma poco si discute del conflitto interiore che lo vide dilaniato tra la forza della fede e una vita da peccatore. Ci si scandalizza nel vedere una prostituta far da modella per la Giuditta ma non sempre si fa capire che quel quadro inaugurò con la teatrale violenza del gesto, drammaticamente sottolineato dalla luce, la sua poetica dell’orrore su cui ritornerà spesso negli anni a venire.
Canestra di frutta (continua nella pagina seguente)
Si spettegola ancora sulla ragazza affogata nel Tevere distesa tra le candele e poi ritratta con il ventre gonfio nella Morte della Vergine, ma poco si fa cenno al tema del pianto già presente nella deposizione al sepolcro tutto volto ad esprimere l’umana realtà di un dolore non ancora trasfigurato dalla Grazia. Si raccontano sangue e omicidi, ubriacature e feste con femmine poco aristocratiche. Poco importa. Al di là di pettegolezzi quasi fosse un personaggio da copertina di giornaletti scandalistici, di Caravaggio rimarrà la gloria sempiterna, il suo essere genio al di là delle convenzioni accademiche e delle persone ‘per bene’. A. A.
Si raccontano sangue e omicidi, ubriacature e feste con femmine poco aristocratiche. Giuditta
La morte della Vergine, particolare
APPUNTI D’ARTE Mi chiamo Michela, nata a Roma nel 1984,dove conseguito la maturità classica. Questa mi ha dato la possibilità di ampliare fortemente le passioni che nutrivo fin da piccola, in particolar modo la letteratura ( soprattutto francese), l'arte, biografie e storia. appuntario.blogspot.it
appuntario@gmail.com
Danzando al "Moulin de La Galette"
Un momento, rappresentato per l'eternità. "Al Moulin de La Galette" ( 1876 ), P. A. Renoir " Ma se Renoir trasformava la collina di Montmartre in un paradiso terrestre, ciò non era completamente frutto della sua immaginazione: le lavoratrici si mettevano davvero l'abito della festa, e indossavano tutte le vesti, le acconciature e la bigiotteria che riuscivano a trovare mendicando, rubando o prendendole in prestito. Le ragazze erano raggianti e il sole splendette per tutta l'estate, facendo brillare il Moulin, sfolgorante di luce e di colori." ( "Impressionisti. Biografia di un gruppo", Sue Roe, Laterza.) Un momento, rappresentato per l'eternità. E' questo l'omaggio che il pittore Pierre-Auguste Renoir ( 1841-1919 ) gli diede. Nel periodo più spensierato della storia, la "Belle Epoque"; il "Moulin de La Galette" divenne uno dei simboli di quegli anni, dove borghesi, operai, modelle, cortigiane, intellettuali, disoccupati, si divertivano e ballavano senza distinzione di ceto; in un baccanale di euforia e gioia effimeri … Nel 1809 una famiglia, i Debray, comprarono i due mulini sulla collina di Montmartre, il Blut Fin e il Radet. All'epoca, Montmartre non era la deliziosa "piazzetta degli artisti" che conosciamo noi oggi. Era un villaggio poco vivibile, sporco e buio, e il sostentamento dei suoi abitanti proveniva dalle risorse della campagna. Ma con l'avvento delle fabbriche anche il lavoro cambiò, lasciando i mulini a vento fermi per sempre. Dopo la morte di Debray, il figlio superstite decise di riconvertire la sua proprietà in "guinguette" (sorte di balera) chiamandolo "Moulin de La Galette" dal nome delle famose frittelle di pane nero (dette " gallette), offerte all'ingresso. (continua nella pagina seguente)
Divenne subito un locale in cui si potevano godere di un buon pane caldo, un bicchiere di vino, lo speciale succo di melograno e una splendida vista di Parigi dall'alto; si aggiungeva dal 1833 uno spazio dedicato al ballo. Dopo il 1870, complice anche un clima di distensiva vivacità, "Le Moulin de La Galette" raccoglieva ogni giovedì, sabato, domenica e giorni di festa (rispetto al "Moulin Rouge" aveva prezzi decisamente più popolari) donne e uomini di ogni estrazione sociale: le donne con i loro abiti alla moda, dalle linee nuove, stretti alla vita (da poco era decaduta la crinolina) o quelli a buon mercato, ma comunque sgargianti e colorati, fresche ragazze, un po' sensuali in cerca di ascesa o semplicemente di un lavoro come modelle; uomini che ostentavano vanità e patrimoni fittizi, luogo di ritrovo per intellettuali, artisti e scrittori; tutto condito con canti, risate, musica e ballo. Ma nessun aneddoto ci può descrivere meglio cosa ha rappresentato questo locale del famoso quadro di Renoir, "La Moulin de La Galette". Renoir amava l'atmosfera allegra e volgare di Montmartre e rifugiarsi al Moulin per guardare le belle ragazze ballare. Iniziato a dipingere nell'estate del 1876 sul posto e terminato nel suo atelier di rue Cortot ( oggi sede del museo di Montmartre ), il pittore ci ritrae una scena di ballo dove giovani uomini e fanciulle abbandonati in un'atmosfera quasi surreale di estrema spensieratezza, che fissa un momento della vita parigina nella "Belle Epoque"," tagliando le figure a destra e a sinistra del primo piano, perché l'osservatore avesse l'impressione di sbirciare uno scorcio di realtà." I soggetti del quadro, inoltre, non sono altro che amici e clienti abituali del locale : in primo piano, la bella ragazza seduta su una panchina verde, Estelle, "al tavolo, con i bicchieri di succo di melograno, Lamy, Goeneutte e Rivière." Al centro del dipinto, con un paio di pantaloni aderenti, alla moda, mentre balla con Margot, una delle ragazze di Montmartre preferite dal pittore, c'è Cordenas, un pittore spagnolo. A destra della coppia una delle clienti più affezionate del Moulin, Angèle, una graziosa ragazza di diciotto anni mentre balla con un uomo. Ma Renoir non fu l'unico a dipingere il locale, ci pensarono: Henri de Toulouse-Lautrec (18641901), Kees van Dongen (1877-1968), Maurice Utrillo (1883-1955), Vincent van Gogh (18531890), Pablo Picasso (1881-1973) a testimoniare l'importanza storica di esso. Con la fine della "Belle Epoque" anche la fama del Moulin andò decadendo fino agli inizi del '900, dove " Associazione Amici della vecchia Montmartre" salvarono i mulini dalla distruzione e successivamente vennero restaurati. Oggi è sede di un ristorante. Ma guardando la tela di Renoir ci sembra ancora che quel ballo, quella musica, quelle voci, quelle luci non si siano mai arrestati... M. P.
"Moulin de La Galette" ( 1904-06 ) di Kees van Dongen
Renoir amava l'atmosfera allegra e volgare di Montmartre e rifugiarsi al Moulin per guardare le belle ragazze ballare…
ARTE PER BIMBI CURIOSI Sono Monica, mamma full, full, full-time di due bimbi pestiferi e meravigliosi. Diplomata al liceo artistico, successivamente ho intrapreso un percorso universitario che con l'arte non ha niente in comune. Amo condividere la mia passione per l'arte con i miei figli, nonostante siano ancora piccoli. Perchè non è mai troppo presto per imparare. arteperbimbicuriosi.altervista.org
f.monica@libero.it
Kandinsky tra musica e colore Alcuni mesi fa il Sole 24 ore dava la possibilità di collezionare dodici libri d’arte, allegati settimanalmente al quotidiano, rivolti ai bambini; ogni settimana un artista diverso, da Canova a Van Gogh, da Botticelli a Chagall. I libri in questione raccontano la vita di questi pittori/scultori, accennano ai vari stili pittorici da loro seguiti o “inventati” e mostrano alcune delle opere principali, sempre tenendo in considerazione il pubblico, piccolo ma esigente, a cui sono dedicati. Manco a dirlo, li ho comprati tutti, facendo la felicità di mia figlia, ma anche del mio bimbo più piccolo, che li sfoglia tutto soddisfatto raccontando alla sorella storie surreali e affascinanti che solo lui conosce.
Improvvisazione n.8
Ultimamente stiamo leggendo il volumetto dedicato a Kandinsky, la cui vita, devo ammettere, conoscevo solo superficialmente, anche se i suoi lavori mi hanno sempre catturata.
Kandinsky è riconosciuto universalmente come il creatore della pittura astratta
Di origini russe, Kandinsky è riconosciuto universalmente come il creatore della pittura astratta. Pur avendo iniziato a dipingere seguendo lo stile tipicamente russo, dallo spiccato accento popolaresco e folkloristico, nel giro di pochi anni Kandinsky ha modificato radicalmente il suo stile pittorico, lasciando che i colori prendessero il posto di persone o paesaggi.
Giallo, rosso, blu
(continua nella pagina seguente)
Diversi cerchi
Composizione n.6
Composizione n.10
Tornando al libro, la parte che è piaciuta maggiormente a mia figlia (ad essere onesta, anche a me…) è quella che spiega il cosiddetto “Astrattismo lirico”. Kandinsky afferma che per lui ogni forma geometrica può essere collegata ad una melodia e ad un colore, ad esempio, l’energia del giallo può essere perfettamente contenuta in un triangolo, mentre il blu, più tranquillo, starebbe meglio in un morbido cerchio. Non solo. I colori possono essere messi in relazione con i vari strumenti musicali, a seconda delle emozioni che sono in grado di trasmetterci, quindi, tornando al giallo di prima, questo potrebbe rappresentare il suono squillante di una tromba, mentre il blu sarebbe più adatto per il contrabbasso, dal suono profondo e freddo. E’ così che nascono tre serie di opere: “Impressioni”, “Improvvisazioni” e “Composizioni”, nelle quali Kandinsky diventa un direttore di orchestra che fa “suonare” i colori, i quali creano la melodia, il dipinto. Quello che secondo me manca nel libro sono le illustrazioni, decisamente scarse. M. avrebbe voluto vederne di più, quindi ne ho cercato alcune aggiuntive nelle quali abbiamo ricercato forme, colori e strumenti, seguendo il filo di una melodia che sentivamo solo noi. Eccole anche per voi, buon divertimento! M. F.
Kandinsky afferma che per lui ogni forma geometrica può essere collegata ad una melodia e ad un colore Cerchi in cerchi
Blu
Accento in rosa
Improvvisazione n.26
ARTE A SCUOLA PRESENTA ... Sono Miriam Paternoster, insegnante di Arte e Immagine presso la Scuola Secondaria di Primo Grado. Dal 2008 lavoro a questo blog, pubblicando e condividendo i lavori fatti a scuola e le lezioni ideate per la scuola: da allora questo sito è diventato un luogo dove scambiare nuove idee, confrontare lezioni, sperimentare tecniche e creazioni. “Arte a scuola”, scritto in italiano ed inglese, è un’occasione per incontrare insegnanti e studenti di tutto il mondo e per promuovere la creatività in classe e nella vita. arteascuola.com
Prospettiva Surrealista nello spazio Osservando le opere dei Surrealisti abbiamo pensato di creare queste stanze immaginarie, collocate in uno spazio siderale e riempite con oggetti senza nessuna connessione logica tra loro. Il mondo del sogno e dell’inconscio sembra entrare in queste stanze, generando un senso di assurdo e di mistero, proprio come nella pittura surrealista.
Il mondo del sogno e dell’inconscio sembra entrare in queste stanze
In questo collage, realizzato con gli studenti di seconda media, abbiamo dapprima disegnato una stanza in prospettiva centrale, secondo le regole geometriche della costruzione prospettica. Successivamente abbiamo disegnato un paesaggio “spaziale” con matite colorate su un foglio nero, per creare l’ambientazione fantastica della nostra prospettiva. L’immagine della stanza è stata poi ritagliata, incollata sul disegno e completata con un collage di oggetti e figure ritagliate da riviste e assemblate in modo paradossale. La nostra stanza surreale, fluttuante nell’universo è pronta! M. P.
patermir@gmail.com
LETTEREARTE Mi chiamo Cristina, ho studiato lettere e filologia classiche, ma al grande amore per la letteratura si unisce da sempre la passione per l’arte. Dal connubio dei miei interessi, è nato, nel febbraio 2013, il blog Athenae Noctua, in cui confluiscono interventi dedicati ai libri, alle opere d’arte, al teatro, al cinema e all’attualità e non di rado mi trovo a fondere insieme spunti provenienti da tutti questi mondi. athenaenoctua2013.blogspot.it
athenae.noctua2013@gmail.com
Gli infiniti sensi della ‘Primavera’
Quale tipo di messaggio il Botticelli, per volere di Lorenzo, ha affidato al suo dipinto? Quanto è celebre, tanto è complesso nel suo significato il dipinto che rappresenta nell'immaginario collettivo la stagione che stiamo vivendo: La Primavera di Botticelli, infatti, ha originato una vastissima serie di interpretazioni che si intrecciano e si avvolgono una nell'altra in virtù della rete di riferimenti e allegorie care all'ambiente filosofico e artistico della Firenze medicea. Realizzato fra il 1478 e il 1482, il dipinto, oggi esposto alla Galleria degli Uffizi, ha dimensioni notevoli (203x314) e presenta il ricorso ad una tecnica di pittura chiamata 'tempera grassa', che comporta l'unione di olio al pigmento. Si tratta indubbiamente di una celebrazione delle glorie della signoria e della fioritura stessa di Firenze sotto la guida dei Medici, ma, sebbene si possa con buona probabilità supporre che l'opera sia stata commissionata dal Magnifico, non è chiaro se l'occasione del dono sia la nascita del nipote Giulio (figlio del Giuliano ucciso nella Congiura dei Pazzi nel 1478) o il matrimonio del cugino Lorenzo di Pierfrancesco, che sicuramente lo conservava nella propria dimora nel 1498. Il motivo della committenza, tuttavia, non è l'unico problema nell'interpretazione dell'opera. La letteratura e l'arte dell'Umanesimo e del Rinascimento fiorentino hanno un carattere elitario, esclusivo: le opere d'arte e poesia che si producono alla corte medicea sono destinate alla fruizione da parte del Magnifico e dei suoi sodales. Tale chiusura fa sì che La Primavera sia soggetta agli stessi dilemmi: quale tipo di messaggio il Botticelli, per volere di Lorenzo, ha affidato al suo dipinto? (continua nella pagina seguente)
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Are You Art ?
Per rispondere dobbiamo affrontare una sorta di esegesi artistica che parte dal distinguere il significato letterale dell'opera da quello simbolico. Al primo livello, la scena si presenta abbastanza semplice: nel giardino delle Esperidi, in una natura rigogliosa e descritta con attenzione quasi scientifica per la sua varietà, si incontrano, da destra a sinistra Mercurio (identificabile dai sandali alati e dal caduceo), le tre Grazie, Aglaia, Eufrosine e Talia, simboli della bellezza, della gioia e della fecondità, Venere, Cupido, Flora (la Primavera, ornata di fiori e ghirlande), la ninfa Clori e il suo amante Zefiro, che, rapendola, genera con lei proprio la Primavera. Il valore letterale del dipinto, insomma, non è altro che la storia della nascita stessa della Primavera da Clori e Borea sotto lo sguardo delle divinità della prosperità. Le allegorie individuate come possibili chiavi per illuminare il significato della Primavera sono ricche di riferimenti alla filosofia di Marsilio Ficino; fra di esse si distinguono quella di Ernst Gombrich e di Edgar Wind; il primo vede nell’opera l’associazione fra Venere e l’Humanitas, cioè la virtù intellettuale che eleva l'uomo dalla sensibilità (rappresentata da Zefiro) alla ragione, identificata con Mercurio, mentre il secondo sostiene che Botticelli abbia rappresentato il percorso dell'anima dall'amore carnale (rappresentato dall'unione e dalla generazione di Zefiro, Clori e Flora) a quello intellettuale (Venere e Cupido), per arrivare all'amore spirituale (le Grazie e Mercurio, che indica il cielo).
La Primavera ha, dunque, sensi, forme, valori ed effetti infiniti
Non si possono poi dimenticare le allegorie familiari, con il tentativo di Mirella Levi D'Ancona di identificare i diversi personaggi del quadro con gli stessi sposi cui era destinata l'opera, ma non manca chi vede nella Primavera la traduzione visiva di un passo delle Stanze per la Giostra di Poliziano, scritte fra il 1475 e il 1478 e interrotte per la morte prematura di Giuliano, che ne doveva essere il protagonista. Nelle ottave 71-78 del libro I si incontra una descrizione del giardino di Venere che presenta diverse affinità con quella botticelliana ; in particolare, si può raffrontare il dipinto all'ottava 77, che sembra richiamata dal fluire dei fiori e delle foglie dalla bocca di Clori alle vesti di Flora per opera del soffio fecondo di Zefiro:
Con tal milizia e tuoi figli accompagna Venere bella, madre delli Amori. Zefiro il prato di rugiada bagna, spargendolo di mille vaghi odori: ovunque vola, veste la campagna di rose, gigli, violette e fiori; l’erba di sue belleze ha maraviglia: bianca, cilestra, pallida e vermiglia. La Primavera ha, dunque, sensi, forme, valori ed effetti infiniti, vari e molteplici come i colori fogge dei fiori ai piedi delle delicate figure, significati sfuggenti e allusivi come la trasparenza le vesti di Clori e delle Grazie e una forza fresca e prorompente come il soffio di Zefiro. E come la bella Clori, ci lasciamo rapire da tali suggestioni, godendoci uno dei più bei dipinti dal genio di un artista nostrano in uno dei momenti più luminosi della storia culturale italiana. C. M.
e le delnoi, nati
THE ART POST BLOG Io non racconto una mostra, ma le storie che racconta una mostra. Non spiego la storia dell’arte, ma narro le storie di cui parla l’arte. Nel mio blog ci sono dettagli, frammenti, curiosità, piccole storie contenute in grandi capolavori, realizzati da uomini e donne di grande talento. Divertiti e fatti ispirare. www.theartpostblog.com
artpostblog@gmail.com
Henri Rousseau. Il candore arcaico
Venezia, Palazzo Ducale. Visitare il Palazzo Ducale di Venezia per me è sempre una grande emozione. Si tratta di un luogo pieno di storia e di fascino, tappa fondamentale per chi visita Venezia, ma dove mi piace tornare più volte perché ogni sala di questo edificio ha molte storie da raccontare. Ma alle vicende di Palazzo Ducale dedicherò un post speciale a breve. Oggi, invece, vi voglio raccontare la mostra dedicata a Henri Rousseau, inaugurata un mese fa e che potrete visitare fino al 5 luglio 2015. Devo confessare che ho partecipato all’anteprima della mostra con grande emozione, perché di Rousseau ricordavo le opere più famose, ovvero le foreste immaginarie popolate da animali esotici, e conservavo nella mia mente una citazione dell’artista, che disse in un’intervista del 1910 “mi hanno già detto che non appartengo al mio secolo”. La bellezza della parabola artistica di Rousseau sta tutta in questa frase, che ho ritrovato in mostra, nella consapevolezza di essere fuori dagli schemi, impossibile da conciliare con altre correnti del suo tempo, troppo avanti ma anche troppo indietro. Questa mostra per me è stato un viaggio alla scoperta di Rousseau, che è sicuramente uno degli artisti più importanti nella nascita di un moderno linguaggio pittorico, ma troppo spesso relegato ai margini dei grandi movimenti artistici tra Ottocento e Novecento, perché si sottrae ad ogni definizione. La mostra, attraverso otto sezioni tematiche, sottolinea l’importanza che le sue opere ebbero nell’ambiente intellettuale di Parigi soprattutto ai primi del Novecento. In ogni sala potrete ammirare le opere di Rousseau che dialogano con i capolavori dei protagonisti di quella stagione fenomenale della storia dell’arte e che vedeva l’imporsi di artisti come Picasso, Cezanne, Gauguin, Klee, Morandi, Carrà, Kandinsky, Frida Kahlo e Diego Rivera. L’esposizione di Palazzo Ducale mette in luce non solo l’arte di Rousseau, ma l’unicità della sua ricerca artistica, che rappresentò un punto di riferimento per i giovani talenti che proprio in quegli anni aprirono nuove strade all’arte. Per chi vuole conoscere Rousseau questa è una mostra imperdibile! Vi potrete avventurare alla scoperta delle sue foreste incantate e allo stesso tempo comprendere l’ostinato desiderio, di un Doganiere in pensione, di cercare la semplicità per arrivare alla massima purezza dell’immagine. Henri Rousseau. Il candore arcaico. Dal 6 marzo al 5 luglio 2015 Palazzo Ducale di Venezia Sito ufficiale della mostra – www.mostrarousseau.it Fond. Musei Civici di Venezia – palazzoducale.visitmuve.it/it/mostre C.S.
“mi hanno già detto che non appartengo al mio secolo” H.R.
LA SOTTILE LINEA D’OMBRA: SEGUENDO IL FILO DI ARIANNA Per alcune persone io sono Arianna Senore, un architetto ventiquattrenne che vive e lavora in provincia di Torino. Per altri invece sono La sottile linea d’ombra, la mano invisibile che scrivendo cerca di trasmettere la sua grandissima passione per il mondo dell’arte e della bellezza. lasottilelineadombrablog.wordpress.com
arianna.senore@gmail.com
“A ogni epoca la sua arte e a ogni arte la sua libertà” Esordisco con lo slogan di un movimento artistico che ormai ha più di un secolo, che è nato per aspirare all’eterno ma è finito per essere superato nell’arco di pochi anni. Sto parlando della Secessione viennese, ovvero quello che succede quando in un clima di vivacità intellettuale le accademie di arte e di architettura della capitale dell’Impero Asburgico continuano a propinare le solite discipline classicheggianti e banali. Una tale rigidità convince menti brillanti come Gustav Klimt e Otto Wagner a separarsi per fondare una secessione di artisti indipendenti e capaci, volti alla creazione dell’opera d’arte totale. Come gli Impressionisti a Parigi nei Salons des Indipendents insomma, soltanto decisamente più visionari. Sulla questione filosofica che sta dietro al concetto di opera d’arte totale non mi dilungherò, anche se non posso evitare di ricordare il sarcasmo di un signorino come Adolf Loos (scrittore de Ornamento e Delitto, per capirci), teorico dell’architettura contemporanea ed invelenito oppositore della Secessione. È di un altro artista tuttavia che voglio parlare, di un altro architetto per la precisione: il giovane Joseph Maria Olbrich (dico giovane perché anche lui fa parte del club dei geni morti piuttosto giovani, a quarantun anni per la precisione). Incaricato di progettare niente meno che il Palazzo della Secessione, roccaforte dorata di questo movimento, esprime tutto il simbolismo e l’ossessione di questa generazione, che nonostante tutto soffre della crisi fin du siècle e inizia ad accusare un po’ di stanchezza della vita su una giostra tra la belle époque e l’imperialismo con le sue politiche di potenza. (continua nella pagina seguente)
Joseph Maria Olbrich, il palazzo della Secessione viennese, particolare.
il Palazzo della Secessione, roccaforte dorata di questo movimento, esprime tutto il simbolismo e l’ossessione di questa generazione
Ci sono i riferimenti alla cultura classica, leggibili tra le civette, gli allori e le Gorgoni, i particolari fiabieschi costituiti dagli animali riprodotti e infine ci sono le scritte: Ver Sarum (Primavera sacra) e, per l’appunto, il titolo di questo mio articolo. Esiste poi la modernità dei volumi e del loro assemblaggio, insieme alla freschezza di un lessico architettonico che non è ancora vincolato a regole stilistiche. Ultimo ma non meno importante, è presente in questo palazzo anche il fregio realizzato per l’occasione da Gustav Klimt, emblematico del clima fantasioso e visionario del periodo. Se andate a Vienna, fermatevi a vedere questo palazzo e fotografatelo su tutti i lati, perché garantisco che ne vale la pena. E pensate a Olbrich, a questi ragazzi che cento anni fa credevano in un futuro fatto di bellezza e cultura, che immaginavano di poter vivere in una colonia di Artisti (a Darmstadt, progettata dallo stesso Olbrich), lontani dalla guerra che presto avrebbe distrutto tutto e fatto crollare quello che allora era un impero secolare. A.S.
pensate a Olbrich, a questi ragazzi che cento anni fa credevano in un futuro fatto di bellezza e cultura Joseph Maria Olbrich, il palazzo della Secessione viennese.
Gustav Klimt, fregio all’interno del Palazzo della Secessione Viennese, particolare.
Numero 2, Aprile 2015
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ARTE E DIDATTICA: SCOPRIAMO LA STORIA E I GRANDI NOMI CHE CI HANNO INSEGNATO A GIOCARE CON L'ARTE! Nata e cresciuta nel verde della Sabina, pendolare per vocazione (artistica), incline per natura al mondo dei bambini. Gli ingredienti delle mie giornate? Colori, pennelli, carta q.b., studio tutti i giorni, tanto web, uova, zucchero, farina (che ci stanno sempre) e amore per tutto quello che faccio...a volontà! Sono una delle fondatrici di zebrart.it, uno spazio web dove si parla di arte e didattica, per me una preziosa e inesauribile fonte di arricchimento e di confronto! zebrart.it
silvia.andreozzi@gmail.com
Didattica dell'arte: ma che cos'è? Chiunque approcci all’insegnamento della storia dell’arte o delle materie artistiche in genere ha fatto i conti con la definizione della didattica dell’arte. Che cos’è precisamente questa materia? Qual’è la sua storia e la sua evoluzione? Iniziamo a conoscerla meglio Didattica dell’arte o didattica museale? Non solo un problema di definizione, ma un diverso campo di azione quello che vede distinte la didattica dell’arte dal settore più specifico invece della didattica museale. Si legge nell'Enciclopedia Universale dell'Arte: “Per didattica dell’arte si intende l’insegnamento artistico, in tutte le sue diverse manifestazioni (…) strettamente collegato con gli aspetti concreti del produrre opere d’arte.” Ed è in questa accezione di significato che inquadriamo ad esempio la magnifica esperienza della Bauhaus e di tutte le scuole di discipline artistiche che fanno riferimento a quella esperienza, come modello di insegnamento. Una scuola nata per volere di Walter Gropius con l’intento di arrivare a un’unificazione di tutte le arti, unendo le competenze teoriche a quelle pratiche, proprie degli artigiani. Anche lo schema dei corsi di formazione seguiva questo principio: divisi in corsi teorici e pratici, i ragazzi che si sono formati alla Bauhaus hanno competenze a tutto campo. Gli insegnanti stessi, reclutati da Gropius furono gli stessi artisti. Ricordiamo tra gli altri Klee, Kandinskji, Schlemmer. Per didattica museale invece si intende quella didattica dell’arte volta a trasmettere insegnamenti propri dell’opera d’arte nell’ambiente del museo. Ma attenzione, è vietato semplificare! (continua nella pagina seguente)
un diverso campo di azione quello che vede distinte la didattica dell’arte dal settore più specifico invece della didattica museale
Numero 2, Aprile 2015
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Didattica museale: l’arte non solo per bambini Fondamentale è, a mio modesto avviso, ricordare che la didattica museale è una disciplina scientifica a tutti gli effetti ( e con questo voglio dire che esiste una vasta letteratura in materia e moltissimi studi scientifici condotti da personale espertissimo) e non è una banale semplificazione dell’arte per bambini. Due sono i pregiudizi da sfatare: la didattica museale non si applica solo ai bambini, ma al contrario comprende tutto l’apparato didattico dell’allestimento di una mostra o di un museo, e per secondo, la didattica museale si rivolge dunque non solo alla fascia scolastica del pubblico ma anche agli adulti e non ultimo alla fascia di pubblico “speciale” utilizzando mezzi e strumenti specifici per abbattere le barriere della fruibilità dei beni. Didattica non è semplificazione, si legge perentorio in Immaginare il Museo, Riflessioni sulla didattica e sul pubblico di Maria Teresa Balboni Brizza, nel quale emerge l’importanza di sfatare questi luoghi comune: rivolgersi a un pubblico più amplio ( che siano bambini o ragazzi in età scolare piuttosto che il cosiddetto pubblico speciale), non significa necessariamente semplificare. Una definizione impossibile quella della didattica museale Insomma dare una definizione esaustiva alla didattica museale è quasi impossibile! L’indicazione guida sul campo della didattica museale, con la dichiarazione anche lì presente, della non esaustività di tale definizione, è sicuramente quella fornita dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che ha creato un portale di Didattica Museale, curato da Antonio Ciocca, per lo studio di questa amplia materia. Si può leggere lì: “Per “didattica museale” si intende, allora, l’insieme delle metodologie e degli strumenti utilizzati dalle istituzioni museali e da quelle scolastiche per rendere accessibili ad un più vasto pubblico collezioni, raccolte, mostre e in generale ogni tipo di esposizione culturale. Ma tale definizione non è esaustiva della complessa realtà rappresentata” Bisogna andare in campo internazionale per rintracciare una delle prime definizione adattabili alla didattica museale e più in generale alla valenza estetica dell’insegnamento dell’arte. È datata 1934 e firmata da J. Dewey: Art as experience, un saggio per comprendere che l’arte se vissuta come esperienza sensoriale è fonte di arricchimento e liberazione dell’energia creativa del bambino. L’arte non deve essere finalizzata alla produzione di “manufatti”, ma diviene lo strumento per acquisire capacità di osservazione, di memoria, di immaginazione In Italia tale teoria fu ripresa ed elaborata da Maria Montessori che definì “L’esperienza manipolativo-sensoriale, tipica della produzione artistica, assume un ruolo centrale in chiave evolutiva e la mano può essere considerata una sorta di “protesi” della mente” Approfondimenti sulla didattica museale in arrivo… Abbiamo visto quindi che la didattica museale e la didattica dell’arte hanno innumerevoli sfaccettature, che proveremo ad analizzare prossimamente per scoprirne e ripercorrerne le principali tappe storiche . S.A.
“La storia dell’attribuzione del dipinto a Caravaggio inizia quasi un secolo fa”
SVIRGOLETTATE - PENNELLATE DI CURIOSITÀ DAL MONDO DELL'ARTE Antonio Dario Fiorini, storico dell'arte e blogger. Il suo miglior pregio è la curiosità; il suo peggior difetto: la curiosità. Laureatosi presso l'Università degli Studi Roma Tre, ama l'arte moderna e contemporanea, provando una particolare predilezione per Caravaggio, Otto Dix, Ernst Ludwig Kirchner e Henri Matisse. svirgolettate.blogspot.it
a.d.fiorini@gmail.com
La vera nascita del MoMA di New York So già dove andare a parare. Ma per pacare curiosità ed abbracciare il sapere, guarderò ad una panoramica un po’ più ampia, prima di incanalare l’argomento che tratterò. Il MoMA, acronimo di Museum of Modern Art, è uno dei musei più celebri e fantastici del mondo. Collocato in Midtown Manhattan, sulla 53a strada a New York, è uno dei musei d’arte moderna che senza dubbio più hanno inciso sulla diffusione e fruizione di un’arte sempre in costante evoluzione. Ricercando info furtive e generiche su Wikipedia, è possibile aver una visione d’insieme circa le opere contenute nel museo, che spaziano da progetti d'architettura e oggetti di design, disegni, dipinti, sculture, fotografie, serigrafie, illustrazioni, film e opere multimediali. Inoltre la sua biblioteca ed i suoi archivi, raccolgono più di 300.000 libri e periodici, oltre alle schede personali di più di 70.000 artisti. Non a caso ho cercato su Wikipedia nozioni a riguardo. Ufficialmente il sito enciclopedico riporta, qualunque sia l’argomento trattato, spiegazioni coadiuvate da fonti certe. E allora su questa base, leggendo però di come è nato il MoMA, mi sorge qualche dubbio: “L'idea originale di un museo di arte moderna fu sviluppata nel 1928 principalmente da Abby Aldrich Rockefeller (moglie di John D. Rockefeller Jr.) e da due delle sue amiche, Lillie P. Bliss e Mary Quinn Sullivan. Il loro gruppo divenne noto con vari soprannomi, tra cui "the Ladies" (It. Le Signore), "the daring ladies" (It. Le ardite Signore), e "the adamantine ladies" (It. Le Signore adamantine). Come sede del museo da loro ideato affittarono un edificio piuttosto modesto e lo aprirono al pubblico il 7 novembre1929, 9 giorni dopo il crollo di Wall Street. Abby invitò A. Conger Goodyear, in precedenza presidente del consiglio di amministrazione della Albright Art Gallery di Buffalo, a diventare presidente del nuovo museo. La Rockefeller stessa assunse l'incarico di tesoriere. Si trattò di uno dei primi musei statunitensi ad essere dedicato interamente all'arte moderna e d'avanguardia (si veda anche la Gallery of Living Art di Gallatin e La Société Anonyme di K.Dreier) europee. Goodyear convinse Paul J. Sachs e Frank Crowninshield ad unirsi a lui come membri del consiglio di amministrazione. Sachs, condirettore e curatore della sezione stampe e disegni del Fogg Art Museum presso l'Università Harvard, fu incaricato di reperire i curatori. Goodyear gli chiese di suggerire un direttore e lui propose Alfred H. Barr Jr., un suo promettente giovane pupillo. Sotto la guida di Barr la collezione del museo, che in origine era composta di sole otto stampe e un disegno avuti grazie ad una donazione, si ampliò velocemente. Nel novembre del 1929 si tenne la prima mostra di successo, in cui furono esposte opere di Van Gogh, Gauguin, Cézanne, and Seurat.”
Il MoMA, acronimo di Museum of Modern Art, è uno dei musei più celebri e fantastici del mondo.
(continua nella pagina seguente)
P. Picasso, Les Deimoselles d'Avignon, 1907, olio su tela, MoMA, New York
Nulla di più vero, senza dubbio. Però il vero sarebbe stato ancora più vero se avessi riscontrato la presenza delle motivazioni che hanno indotto i Rockefeller a fondare il museo. Motivazioni che ovviamente non è possibile neanche riscontrare sul sito ufficiale del MoMA. E allora, fiero del mio “Autocritico Automobile” di Bonito Oliva sul comodino, racconterò di una verità scomoda che ha permesso la nascita di un progetto grandioso. Quando Bonito Oliva introduce il discorso sulla mostra American Art al Whitney Museum, durante il bicentenario della nascita dello stato nel 1974, ricorda l’impegno effettivo dei Rockefeller nel mondo dell’arte, essendo questi presidenti, vicepresidenti e membri associati dei più grandi musei americani, tra cui proprio il Whitney. Lo storico dell’arte, ricollocando la mostra in un periodo di forte consapevolezza della tutela verso la diversità quale unicum nel suo genere, non fa tanto leva sulla protesta derivante dal fatto che alla mostra avesse aderito solo una donna e nessun artista di colore, quanto sul fatto che nessuno avesse protestato per la presenza opprimente dei Rockefeller, quali artefici di un evento spiacevole accaduto nel 1914, nascosto dal muro figurato MoMA, erto proprio per relegarlo nell’oblio. Ebbene nel 1914, il padre di John D. Rockfeller, l’allora presidente del MoMA, fu costretto a reprimere uno sciopero scoppiato in una sua miniera a Ludow, nel Colorado. Per farlo utilizzò il suo esercito privato e richiese la collaborazione dell’esercito federale: il risultato fu la morte di alcuni minatori, di due donne e undici bambini. Quindi, caduto nell’onta del disgusto, per far dimenticare l’eccidio decise di consultare un public relations man, Ivy Lee, per cercar di rilanciare la testata della grande famiglia.
tutti gli indizi parrebbero confermare il dipinto al Caravaggio
Il consiglio che ne ricevette fu quello di associare il nome della sua famiglia ad opere di beneficienza e cultura, magari verso un’arte ancora poco capita, che meritava di una spinta verso la totale fruizione pubblica. E fu così che arrivò la Rockefeller Foundation ed il Museum of Modern Art. Beh si, decisamente alla luce di questa realtà è più facile mostrare ora una reticenza, una sorta di delusione, verso quella che è oggi un’istituzione indiscutibilmente straordinaria. Ma è anche vero che l’arte non è colpevole; è colpevole l’uomo, quindi se doveste andarci in futuro, (io mi auguro di poterlo fare quanto prima) godetevi Picasso, Cezanne, Dalì, Chagall, Degas, Monet, Pollock, Rothko o Kandinskij senza riserva e ragionate sul fatto che in fondo, anche se come rimedio ad un gesto aberrante, in fondo il magnate americano simbolo del capitalismo temuto, qualcosa di buono per l’umanità è riuscito a farla. A. D. F.
V. Van Gogh, Notte stellata, 1889, olio su tela, MoMA, New York.
R. Lichtenstein, Drowing girl, 1963, olio e polimero sintetico su tela, MoMA, New York.
Numero 2, Aprile 2015
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SCIADOGRAFIE Laura Cesari, laureata in Scienze Umanistiche, studiosa ed appassionata di storia dell'arte. Fondatrice e curatrice del blog Sciadografie: il nome deriva dagli esperimenti condotti nel 1833 dall'inglese William Henry Fox Talbot, il quale attraverso delle soluzioni specifiche rese sensibile alla luce un foglio di carta. Ponendovi sopra degli oggetti ed esponendo il tutto alla luce del sole notò come l'oggetto stesso lasciasse la sua ombra (shadow) sulla carta, creando ciò che noi definiremmo un "negativo". Il blog segue lo stesso concetto: filtrare l'arte e l'attualità attraverso le mie personali conoscenze e punti di vista sciadografie.blogspot.it
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Il Baldacchino della discordia. Le origini della rivalità tra Bernini e Borromini Roma, 1623. Il cardinale Maffeo Barberini sale al soglio pontificio con il nome di Urbano VIII ereditando una Basilica di San Pietro non ancora terminata con l'anziano architetto Carlo Maderno a capo dei lavori, il quale aveva precedentemente ricevuto l'incarico da Papa Paolo V. Maderno aveva preso a lavorare con sé un giovane parente dal talento straordinario che diventò presto suo braccio destro in qualsiasi commissione: Francesco Castelli, conosciuto universalmente comeFrancesco Borromini. Ma Papa Barberini aveva già il suo giovane di talento del quale fu mentore dal momento in cui Papa Paolo V ne constatò il genio: stiamo parlando di Gian Lorenzo Bernini, figlio dello scultore fiorentino Pietro Bernini - lo stesso Pietro, che tra le tantissime eccellenti opere realizzate nella sua vita ha ideato e scolpito a Roma in Piazza di Spagna la fontana della Barcaccia (oggi tristemente nota in tutto il mondo per gli atti vandalici degli hooligans olandesi subiti nel mese di febbraio 2015). Il giovane Bernini viene così assegnato dallo stesso Papa all'entourage di Maderno sia nei lavori alla Basilica sia alla realizzazione di Palazzo Barberini vicino al Quirinale.
Si possono ben intuire fin da principio i progetti di Urbano sul suo giovane protetto, basati sugli anni a lui dedicati nel formare un vero artista e cortigiano papale: Gian Lorenzo Bernini era diventato un uomo dalla viva intelligenza, diplomatico nelle relazioni lavorative e con attenta sensibilità nei confronti dei committenti, con calibrata simpatia e teatralità. Decisamente un uomo ben voluto dalla nobiltà. Lo stesso non si può dire di Francesco Borromini: ragazzo che non ebbe mai una protezione influente come la ebbe Gian Lorenzo, uomo dal carattere chiuso, irascibile, poco propenso alla compagnia, dal grande genio architettonico del quale era consapevole. Di certo non una persona con la quale si potesse discutere dei suoi modi di lavorare, spesso non compresi per il loro essere visionari e plasmatori di un nuovo stile. Mettere due artisti di tale calibro a collaborare tra di loro fu di certo l'errore più grande di Papa Urbano VIII - specialmente per la dichiarata propensione nei confronti di uno rispetto all'altro. Infatti in poco tempo arrivò la causa del loro attrito più grande: la commissione papale delBaldacchino sopra l'altare della Basilica di San Pietro. Normalmente, la copertura dell'altare è sempre stata determinata dalla presenza del ciborio, elemento architettonico permanente spesso realizzato in marmo, composto da quattro colonne a sorreggere una cupola o un tetto. Il baldacchino invece è una copertura di stoffa temporanea sorretta da quattro aste, destinata principalmente a proteggere e segnalare durante processioni la presenza del Santissimo Sacramento o un personaggio importante. Tale opera fuori dai canoni fu però voluta inizialmente da Papa Paolo V che nel 1606 assegnò l'incarico della sua realizzazione a Maderno, il quale negli anni successivi propose diversi progetti, uno dei quali fu approvato un mese prima dell'elezione di Urbano VIII. Non stupisce quindi il forte malumore di Borromini nel veder tolto l'incarico al suo maestro e sostituito per di più da un giovane scultore che poco conosceva dell'architettura. Purtroppo oltre al danno arrivò la beffa: la Congregazione della Reverenda Fabbrica di San Pietro indisse un bando per trovare il miglior progetto del baldacchino, bando terminato appena dieci giorni dopo il suo annuncio con l'inizio dei pagamenti regolari a Bernini per la realizzazione dell'opera.
Francesco Borromini. Anonimo.
Mettere due artisti di tale calibro a collaborare tra di loro fu di certo l'errore più grande di Papa Urbano VIII
(continua nella pagina seguente) Gian Lorenzo Bernini, autoritratto.
Numero 2, Aprile 2015 Borromini insieme a Maderno si ritrovò a collaborare attivamente con Bernini per i nove anni successivi - dal 1623 al 1633 - ad un progetto già avviato, dal quale lo stesso Bernini aveva preso spunto: il riferimento è all'inserimento delle colonne (elementi più da ciborio) a sostegno del tendaggio, idea avuta precedentemente da Maderno. La genialità di Gian Lorenzo portò alla fusione di colonne tortili - a ricordo della "colonna santa" ospitata nella nicchia nordovest della cupola, alla quale secondo tradizione si appoggiò Gesù durante una predicazione nel Tempio di Gerusalemme - utilizzando il procedimento di fusione a cera persa che gli permetteva di inserire oggetti veri nelle colonne. Le critiche arrivarono immediatamente: l'espediente fu causa di derisione, poiché diede il pretesto alle voci che circolavano su Bernini, il quale non era abbastanza bravo da scolpire certe cose con le sue stesse mani. Altre critiche furono sulla scarsa esperienza dell'artista nella fusione del bronzo, che lo portarono a contare eccessivamente sui collaboratori. Ed infine il malumore generale nei riguardi della provenienza del bronzo: Papa Barberini aveva fatto rimuovere sia i costoloni a sostegno della cupola di San Pietro sia, e ben più grave, le travi di bronzo di una capriata del portico del Pantheon - questo portò Giulio Mancini, medico del Papa stesso, a dire la famosissima frase «Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini», Quel che non fecero i barbari lo fecero i Barberini. Per l'effettivo completamento del baldacchino però ci vollero altri sei anni: Bernini infatti ricevette altri incarichi che lo distrassero dal baldacchino, come la tomba di Urbano VIII e i campanili per la Basilica di Santa Maria ad Martyres - il Pantheon (eliminati poi nel 1883). Ma la morte di Maderno all'inizio del 1629 determinò sia il prolungamento dei lavori che l'inasprimento dei rapporti con Borromini. Papa Urbano VIII nomina immediatamente Gian Lorenzo Bernini architetto capo della Fabbrica di San Pietro e di Palazzo Barberini, decisione che turba profondamente Francesco Borromini, poiché era per lui logico ricevere tali incarichi in quanto braccio destro di Maderno. Logico per lui ma non per il Papa, il quale aveva fin da subito dichiarato il suo scarso apprezzamento per l'anziano architetto. La drammaticità si appresta ad arrivare al culmine quando Borromini si trova a ricoprire il posto di primo assistente di Bernini nei suoi lavori, primo tra tutti quello del baldacchino. A pochi è noto infatti il suo ruolo chiave nel completamento di un'opera passata alla storia come "il Baldacchino del Bernini". Gian Lorenzo aveva pensato di porre sulla cima della struttura una statua del Cristo Risorto, elemento troppo pensante per dei sostegni sottili voluti dal Bernini stesso. L'intervento di Borromini fu illuminante: inserì al posto della statua un globo d'oro sormontato da una croce, richiamo alla sommità stessa della cupola della basilica. Le volute di legno dorato a sostegno del globo ricordano dei delfini che si tuffano, i quali rimandano alle volute usate da Borromini nella maggior parte dei suoi lavori, alla sua propensione al movimento ondulato, alla flessibilità delle linee, alla ricerca degli angoli arrotondati e alla sinuosità dello spazio architettonico da lui utilizzato. Come se non bastasse Borromini contribuì ampiamente ai lavori di Palazzo Barberini, anche questo assegnato a Bernini, nel quale è chiaro il contrasto tra i due artisti. Il cardinale Francesco Barberini (nipote del Papa) confessò al cardinale Virgilio Spada che il palazzo era in gran parte progetto di Borromini. Anche gli stili diversi dei due artisti sono visibili nello stesso palazzo: Borromini ideò una scalinata a spirale ovale con coppie di colonne doriche che porta lo spettatore a non accorgersi della salita intrapresa tanta è la meraviglia ispirata dalla dolcezza delle linee; decisamente opposta alla grandiosa scalinata di Bernini, molto più istituzionale e massiccia. Ma il merito finale andò anche in questo caso a Bernini. Chiaro è stato l'intento di Gian Lorenzo di tenere a freno il suo rivale legandolo a sé in queste commissioni, sfruttando le sue capacità ed il suo estro creativo - cosa che aveva già compiuto in precedenza con lo scultore Giuliano Finelli nel gruppo scultoreo dell'Apollo e Dafne, il quale abbandonò il suo posto accanto a Bernini per la mancata attribuzione della sua esecuzione riguardo la gran parte delle metamorfosi in radici e ramoscelli, compresi i fluenti capelli della ninfa. Oltre alla mancanza di merito Borromini sperimentò anche la disonestà di Bernini. Dato lo scarso salario ottenuto dai lavori al baldacchino - Borromini ricevette un decimo rispetto al compenso di Bernini - Francesco tentò di mettersi in società con Agostino Radi, cognato di Bernini, per fornire allo stesso Gian Lorenzo il marmo e la pietra necessarie alla basilica vaticana. I vantaggi però non arrivarono mai, tanto che Borromini, indagando sulle perdite, scoprì un secondo accordo del quale non era al corrente: Radi concedeva una quota dei profitti a Bernini per mantenere l'incarico di fornire i marmi all'architetto capo. La rabbia ed il disgusto di Borromini furono tali che abbandonò per sempre i lavori a Palazzo Barberini e a San Pietro, rompendo definitivamente ogni rapporto con Bernini. Così iniziò l'acerrima rivalità tra i due geni creatori della Roma barocca. L.C.
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L’IMBRATTAC-ARTE Copywriter, blogger e web marketer con una grande passione per l'arte e per il suo mercato. Quando lavoro scrivo, quando non lavoro scrivo, leggo, viaggio e giro per mostre, musei e fiere cercando di divertirmi: perché l'arte è una cosa seria, come la vita, per questo va presa con il sorriso. www.emettiladaparte.com
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Arte e denaro, le verità che spesso non si dicono È inutile negarlo e continuare a far finta che non sia vero: se oggi ogni tanto l’arte ottiene ancora i riflettori del palco mediatico, non è certo per il genio di un’artista o di un astro nascente, quanto per le quotazioni che le sue opere raggiungono. Tanto è vero che quando c’è un record d’asta, si parla sempre e solo del prezzo, mai dell’opera e del suo significato, indipendentemente dal fatto che l’autore sia Monet,Picasso, Francis Bacon o Jeff Koons. Per capire le cifre astronomiche che girano attorno al mondo dell’arte e che fanno tanto scalpore, non dobbiamo dimenticare due cose: 1.
I bravi artisti si sono sempre fatti pagare e anche tanto
2.
Viviamo in un’epoca in cui l’economia ha vinto e si è impossessata di tutto
1. Arte e denaro un connubio vecchio secoli Arte e denaro hanno sempre camminato fianco a fianco. L’arte dell’epoca moderna si è sviluppata con più forza in quei paesi in cui non era solo il fermento culturale a essere ricco, ma anche il denaro vero e proprio girava in abbondanza. Nell’Italia del Rinascimento, nell’Olanda della seconda metà del 1600, nella Francia della Belle Époque e nell’America del dopoguerra, agli artisti, oltre a grandi commissioni e riconoscimenti, erano assicurati anche lauti compensi. Stati ricchi quindi, che diventavano direttamente o indirettamente mecenati e protettori delle arti tutte. Non poteva essere diversamente d’altronde, dato che il prodotto del fare artistico è un bene superfluo, non necessario, e solo classi dirigenti di società nelle quali tutti gli altri bisogni erano per lo più soddisfatti potevano permettersi di sostenere una classe “non produttiva” come quella degli artisti. Tanto è vero che l’arte è sempre stata un’attività per ricchi (papi, imperatore, re, aristocratici) che solo di riflesso si volgeva al resto della popolazione. Anche vederla come forma di investimento non è cosa nuova se, come citato da Nicola Maggi in un articolo del suo blog, già nel 1200 il critico Ts’ai Taoscriveva: «L’amore e la gioia per l’arte sono diventati una moda e le opere d’arte sono ovunque considerate alla stregua di merci e investimenti. Questo il diavolo della nostra epoca».
Cambiano gli artisti, cambia il pubblico ma… Nulla è cambiato quindi, oggi come allora il denaro associato al mondo dell’arte è visto come un male. Gli artisti devono essere poveri e maledetti e lavorare per la gloria che arriverà solo a morte giunta. Peccato che questo sia vero solo per una percentuale piccolissima di protagonisti della storia dell’arte. Tiziano era così ricco, famoso e rispettato che addirittura l’imperatore Carlo V in persona (l’uomo che regnava su un impero in cui non sorgeva mai il sole, per intenderci) si inchinò per raccogliere un pennello caduto al maestro. (continua nella pagina seguente)
Arte e denaro hanno sempre camminato fianco a fianco
Andrea Mantegna il giorno in cui morì possedeva case e terreni di gran valore. Per non parlare di Michelangelo, uno degli artisti più ricchi del suo tempo, grande nel creare arte quanto nell’accumulare denari come è stato dimostrato dalla ricerca svolta dallo studiosoRab Hatfield pubblicata con il titolo “The wealth of Michelangelo” (un ottimo libro che racchiude tante curiosità sui pittori italiani del Rinascimento e sul loro rapporto con il denaro). Per tornare agli artisti, se Caravaggio non ha mai vissuto un’esistenza agiata è dovuto solo al suo carattere indocile e aggressivo che lo ha costretto a fuggire in lungo e largo per l’Italia vivendo come un fuggiasco: i suoi lavori, richiesti da grandi e influenti personaggi come il Cardinale Barbierini, erano ben ricompensati.
Avvicinandoci sempre di più ai nostri tempi andiamo incontro a una delle più grandi e false legende relative alla storia dell’arte
Avvicinandoci sempre di più ai nostri tempi andiamo incontro a una delle più grandi e false legende relative alla storia dell’arte, quella che vuole gli impressionisti poveri, incompresi e morti in miseria: a parte il fatto che nessuno di loro è mai stato povero per il semplice fatto che appartenevano tutti, ad eccezione di Renoir, a famiglie benestanti. Comunque sia tutti gli impressionisti sono diventati ricchi e famosi grazie alla loro pittura. Molto probabilmente anche Van Gogh stesso se non fosse morto così giovane avrebbe conosciuto il successo. Se poi pensiamo a Picasso o Dalì, possiamo sicuramente affermare che non morirono certo in disgrazia. Da dove arriva allora questa credenza comune che vuole l’artista povero e maledetto, dedito solo a creare i propri lavori per la gloria e non per alcun guadagno?
Il mito romantico dell’artista maledetto Bastarono pochissimi anni per creare e coltivare un mito che si è poi talmente radicato da giungere inalterato fino ai giorni nostri: quello dell’artista povero e maledetto che vive e si nutre esclusivamente di emozioni e pittura. Nella prima metà dell’800 nasce la figura del genio incompreso, rifiutato dalla società e che della società rifiuta regole e valori, che conduce una vita autodistruttiva e che muore prima che il suo valore venga riconosciuto. È il Romanticismo, un movimento a mio parere mediocre il cui lascito più grande alla storia dell’arte è stato appunto questo stupido e falso retaggio causa delle più grandi incomprensione di oggi verso l’arte contemporanea. D’altronde i numeri parlano chiaro: quanti sarebbero questi artisti maledetti? Così su due piedi mi vengono in mente solo i nomi di Van Gogh e di Modigliani, due artisti importantissimi ma che fanno grande presa sul pubblico più per il fascino delle loro vite “spericolate”, come direbbe il buon vecchio Vasco, che per il pensiero trasmesso dalle loro opere. Eppure questo è un retaggio che ha messo radici talmente profonde che a fatica riusciamo ad accettare che un artista possa guadagnare e diventare ricco vendendo i propri lavori. Di arte si vive e con l’arte si mangia Fare l’artista è un lavoro come un altro, per certi versi forse più affascinate ma è comunque un lavoro. Gli artisti dedicano energia e ore della propria giornata per regalare un po’ di bellezza a questo mondo, perché non dovrebbero essere pagati dato che, come ogni professionista che si rispetta, versano anche i loro bei tributi allo stato?
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Nel rinascimento esistevano tabelle di prezzo che indicavano con certezza quanto sarebbe dovuto essere ricompensato un lavoro: più figure comparivano nel dipinto, più aumentava il prezzo. Gli artisti non producevano spinti dall’ispirazione: tutte le opere che vediamo appese nei vari musei del mondo erano lavori innanzitutto commissionati da qualcuno e che dovevano seguire determinati canoni. Solo in seguito poteva capitare che il talento di un genio ci mettesse del proprio e creasse quei capolavori che ancora oggi possiamo ammirare.
Si lavorava comunque innanzitutto per una retribuzione, non per esclusivo piacere personale. Oggi è uguale. Gli artisti lavorano per esprimere se stessi è vero, ma hanno bisogno di essere pagati anche perché altrimenti sarebbero costretti a procurarsi il sostentamento con altri mezzi e questo toglierebbe tempo alla loro arte. Che poi alcuni artisti abbiamo raggiunto quotazioni astronomiche è un altro discorso. 2. L’economia si è impossessata dell’arte Si, l’economia ha vinto su tutto non possiamo far finta di niente. Mentre nel Medioevo era la religione ad avere la meglio sulla vita e sull’arte, nel Rinascimento tutto era fondato sullo studio dell’Uomo e la parola chiave dell’Illuminismo era “Ragione”, oggi l’Economia è ciò che guida la nostra società. E dato che l’arte riflette sempre se non addirittura anticipa ciò che la società produce, in un mondo in cui non si fa altro che parlare di spread, bilanci, indici, ecc., l’economia non poteva non diventare protagonista anche nell’arte. Questo non vuol dire però che viene meno il valore degli artisti e della loro opera. Bisogna sempre tenere bene in mente che prezzo e valore sono due cose diverse che non sempre combaciano. Ci sono artisti che costano poco e che valgono tanto, come ci sono artisti che hanno raggiunto quotazioni altissime ma le cui opere non hanno un valore poi così grande.
Non dobbiamo giudicare grande un’artista solo per il prezzo che le sue opere raggiungono come non dobbiamo fare l’errore di classificare alla stregua di una speculazione finanziaria un’opera che ha un prezzo esorbitante. Anche là dove i prezzi sono evidentemente gonfiati dal mercato, non ci si dovrebbe far distrarre dall’indignazione ma sforzarsi di comprendere quello che l’opera vuole trasmettere. Lasciati da parte i pregiudizi potremmo trovarci di fronte a piacevoli sorprese sia davanti a un opera valutata poche migliaia di euro, sia davanti a un’altra valutata milioni di dollari. N.S.
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