Rivoluzione

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RIVOLUZIONE INGLESE CARLO I STUART OLIVER CROMWELL CARLO II STUART GUGLIELMO III D’ORANGE

RIVOLUZIONE AMERICANA BENJAMIN FRANKLIN GEORGE WASHINGTON

RIVOLUZIONE FRANCESE MAXIMILIEN-FRANÇOIS-ISIDORE DE ROBESPIERRE LUIGI XVI DI BORBONE MARIA ANTONIETTA D’ASBURGO-LORENA

RIVOLUZIONE RUSSA NIKOLAJ LENIN LEV DAVIDOVIČ TROTZKIJ

RIVOLUZIONE CINESE SUN YAT-SEN MAO ZEDONG CHIANG KAI-SHEK


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00 RIVOLUZIONE Il termine rivoluzione indica un sommovimento profondo e ramificato volto alla trasformazione delle istituzioni, delle strutture economiche e dei rapporti sociali esistenti in uno Stato attraverso la presa del potere politico. Le sue fasi di preparazione, attuazione e assestamento non sono mai di breve durata e necessitano di una forte spinta propulsiva dal basso, di un’esasperata conflittualità sociale e di un organismo (che può essere il partito politico) che ne indirizzi le spinte; tuttavia, la rivoluzione non può essere considerata semplicemente come sinonimo di tumulto, moto, sommossa, rivolta, sollevazione ecc., sebbene nella sua fase di attuazione possa assumere le forme di tali fenomeni, poiché questi

non necessariamente portano a un successo. Nondimeno, la rivoluzione va distinta anche dal «colpo di Stato» e dal «processo riformatore». Il primo, infatti, non è preceduto da un vasto movimento di pensiero né è seguito da un nuovo ordinamento politico sociale, ma si limita alla sostituzione di una persona (o un gruppo di persone) con un’altra all’interno della stessa struttura di potere. Il processo riformatore, invece, pur potendo conseguire risultati rivoluzionari, si distingue dalla rivoluzione propriamente detta per il carattere meno drammatico e violento e per il consenso da parte del potere costituito dei mutamenti in atti.


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00/1 RIVOLUZIONE INGLESE La rivoluzione inglese si articolò in due grandi fasi (1642-1658 e 1685-1688) e si configurò come lotta tra il potere monarchico assoluto e il regime parlamentare. La prima fase, nota come «prima rivoluzione inglese», si svolse durante il regno di Carlo I Stuart, salito al trono nel 1625 dopo la morte di Giacomo VI di Scozia. Sovrano intransigente e autoritario, Carlo I inasprì i rapporti col Parlamento, portandoli a un livello di esasperazione mai raggiunto prima. Oltre alla crisi istituzionale, le questioni che dividevano la corona dalla borghesia, rappresentata dalla Camera dei Comuni, erano il problema religioso e la politica fiscale. Il re, appoggiato dalla Chiesa anglicana (di cui era anche capo), condusse tra il 1625 e il 1627 una dura repressione nei confronti dei puritani (che appoggiavano le forze parlamentari). Quando però Carlo I (1628) convocò il Parlamento per far approvare le disposizioni economiche da attuare durante la guerra contro la Francia, i Comuni presentarono al sovrano la Petition of Rights («Petizione dei diritti»); in questo atto, che limitava il potere regio, essi si pronunciavano contro il sistema di imposte ingiuste e la legge marziale in tempo di pace. Il re, che inizialmente aveva accettato il documento, sciolse il Parlamento e avviò una serie di repressioni contro i rivoltosi. Dopo aver regnato per undici anni senza convocare il Parlamento, il conflitto riprese inevitabilmente quando Carlo I tentò di riportare all’ortodossia anglicana anche la Scozia, in larghissima maggioranza puritana presbiteriana. Dopo alterne vicende, nel 1638, sul suolo inglese, le

truppe scozzesi sconfissero pesantemente quelle regie, mettendo in crisi la corona. Con difficoltà Carlo I riuscì nel 1640 a formare un Parlamento piuttosto stabile che rimase in carica fino al 1653 (per questo fu detto «Parlamento lungo», in contrapposizione con il «Parlamento breve», nominato nello stesso 1640 ma durato solo venti giorni). Fino al 1642 il re accettò forzatamente tutti i provvedimenti presi dal Parlamento, anche quelli antimonarchici, ma un fallito colpo di mano tentato proprio in quello stesso anno portò alla guerra civile. Il conflitto si trascinò stancamente fino al 1645, quando alla testa dell’esercito parlamentare si pose Oliver Cromwell, che riuscì nelle due importanti battaglie di Marston Moor (1644) e Naseby (1645) a sconfiggere l’esercito reale. Tuttavia, la vittoria delle forze parlamentari non portò alla pace sperata, poiché fortissimi esplosero i contrasti all’interno dello schieramento puritano. Carlo I, che nel frattempo aveva tentato di riunire nuove truppe, subì un pesante processo e, condannato a morte, nel 1649 fu decapitato. Cromwell, sempre più potente, sciolse il Parlamento e prese in mano il governo inglese in qualità di «lord protettore» (1653), avviando una riforma dello Stato in senso democratico. Dopo aver proclamato la Repubblica (Commonwealth), promosse una straordinaria serie di iniziative: schiacciò i tentativi di restaurazione monarchica, riunificò Inghilterra, Scozia e Irlanda, diede un forte impulso all’economia (specialmente nel settore dei traffici marittimi), fece varare una nuova costituzione e provvedimenti


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anche molto avanzati, come la libertà di stampa. Il suo governo fu però una sorta di dittatura militare, retta soprattutto sul suo prestigio personale. Alla sua morte (1658), la repubblica non gli sopravvisse e il Parlamento richiamò il figlio del decapitato sovrano, Carlo II Stuart. La seconda Rivoluzione inglese, definita «gloriosa», fu indubbiamente meno cruenta della prima ed ebbe inizio con l’avvento sul trono di Giacomo II Stuart (1685). Monarca assolutista e dispotico, cattolico austero, favorì fin da subito i cattolici, facendo insorgere la Chiesa an-

glicana. I suoi oppositori cercarono l’aiuto dello statolder olandese, di provata fede protestante, Guglielmo d’Orange, genero di Giacomo II. Sbarcato in Inghilterra e occupata Londra, Guglielmo d’Orange costrinse il re inglese a scappare in Francia. Il Parlamento, dopo averlo invitato a sottoscrivere una Dichiarazione dei diritti (1689) in cui venivano assicurate garanzie costituzionali e garantita la libertà di culto, lo incoronò infine col titolo di Guglielmo III.


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00/2 CARLO I STUART Carlo I Stuart, nato a Dumferline (Scozia) nel 1600, fu secondogenito di Giacomo I Stuart e di Anna di Danimarca, duca di Albany e di York. In seguito alla morte del fratello maggiore Enrico (1612), divenne principe di Galles ed erede al trono. Nel 1624 sposò Enrichetta Maria, figlia di Enrico IV di Francia. Amante delle arti, riunì una splendida collezione di pitture e sculture antiche, che dopo la morte venne posta in vendita e dispersa. Assunta la corona alla morte del padre (1625), si scontrò con il Parlamento per il favore accordato al duca di Buckingham. Questi nel 1625 strinse una triplice alleanza con Danimarca e Olanda e nel 1627 guidò una spedizione in soccorso dei calvinisti di La Rochelle, che finì con un fallimento. Spinto dal bisogno di fondi e dalle proteste del Parlamento, fu costretto ad accogliere la Petition of Rights (Petizione dei diritti), che vietava atti arbitrari del governo come gli incarceramenti abusivi (1628). Nello stesso anno il Buckingham fu ucciso a pugnalate da John Felton. Sciolto il Parlamento che non riusciva a dominare, Carlo I evitò di convocarlo per 11 anni, governando con tributi eccezionali di vario tipo. Un suo tentativo di imporre l’anglicanesimo ai presbiteriani scozzesi suscitò una reazione armata. Sconfitto a Berwick (1639) e poi a Newburn (1640), fu costretto a convocare il Parlamento, che rimase riunito a lungo così da passare alla storia come il Parlamento Lungo (5 novembre 1640). Di fronte alle richieste di cedere alcune prerogative e di concedere un ministero responsabile (The grand Remonstrance),

si piegò e non tentò nemmeno di salvare un suo ministro favorito, lo Strafford, che era stato processato e condannato a morte. Ormai incapace di tenere in pugno la situazione, nel 1642 Carlo I abbandonò Londra dando inizio alla guerra civile. Sconfitto a Naseby (1645), si rifugiò a Newcastle. Consegnato al Parlamento e condotto ad Hampton Court, si vide presentati gli Heads of proposals (Capi di proposte), in cui si rivendicava il diritto di libertà religiosa per tutte le confessioni e si chiedeva al re l’impegno di non sciogliere il Parlamento senza il consenso dei suoi membri. Dopo aver finto di accettare, Carlo I fuggì nell’isola di Wight e si accordò in segreto con gli Scozzesi (The Engagement). Oliver Cromwell, che era stato favorevole alle trattative con il re, si convinse allora della necessità di una soluzione radicale e, sconfitti gli Scozzesi a Preston (1648), fece dichiarare il sovrano reo di alto tradimento. Processato dall’Alta Corte e riconosciuto colpevole, venne decapitato il 30 gennaio 1649.


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00/3 OLIVER CROMWELL Oliver Cromwell, nato ad Huntingdon nel 1599, fu eletto deputato al Parlamento inglese nel 1628. Scoppiata la guerra civile nel 1642, guidò la Eastern Association, un’unione tra le contee orientali, che evitò la fusione delle armate realiste del Sud e del Nord. Le forze militari, organizzate e animate da Cromwell, vinsero a Marston Moor il 12 giugno 1644. Nonostante i contrasti con i moderati presbiteriani e con gli Scozzesi, il prestigio personale di Cromwell si accrebbe dopo il nuovo successo militare a Naseby e la resa di Oxford (giugno 1645). Quando il Parlamento decise di sciogliere l’esercito, Cromwell marciò su Londra e condusse personalmente le trattative con Carlo I, per una soluzione moderata dei contrasti. La fuga del re, che si accordò separatamente con gli Scozzesi, indusse Cromwell a desistere da ogni politica di accomodamento; superate così anche le innumerevoli difficoltà e i sospetti che il suo piano di restaurazione regia aveva suscitato tra gli altri partiti, ripreso il comando dell’esercito, nella primavera del 1648 Cromwell vinse i realisti nel Galles e gli Scozzesi a Preston e a Warrington. Rientrato a Londra, si oppose energicamente ai tentativi dei monarchici e moderati per salvare il re; epurato il Parlamento e assicurato il trionfo della corrente repubblicana, Carlo I fu processato e condannato (1649). Cromwell continuò le imprese militari, iniziando la campagna

d’Irlanda, sconfiggendo in Scozia A. Leslie e Carlo II (Worcester, 3 settembre 1651). Accolto trionfalmente al suo ritorno a Londra, si accinse al difficile compito della riorganizzazione dello Stato, deciso a liquidare ogni residuo delle antiche strutture parlamentari, ma anche a evitare un’incipiente rivoluzione sociale, minacciata dai cosiddetti levellers. Entrato in conflitto con il Parlamento Lungo, lo sciolse con la forza; lo stesso accadde nel 1653. Secondo un progetto di governo, l’Instrument of government, elaborato da un suo funzionario e da lui approvato, Cromwell prese il titolo di Lord Protettore d’Inghilterra, Scozia e Irlanda; venne affiancato da un consiglio che limitava i suoi poteri esecutivi e da un parlamento non limitato dal suo veto, salvo che non violasse la costituzione. Fino alla convocazione del primo parlamento del Protettorato (settembre 1654), il potere legislativo fu tenuto da Cromwell e dal consiglio. Attiva in questo periodo fu l’opera legislativa sia in campo amministrativo, sia riguardo alla Chiesa puritana, considerata istituzione nazionale. Tuttavia, non ci fu una rigida intolleranza religiosa. L’indirizzo generale della politica cromwelliana mirò soprattutto allo sviluppo della potenza marinara del paese e all’espansione commerciale, sanzionate dal famoso Atto di navigazione del 1651, che colpiva il commercio marittimo olandese, e dall’alleanza con il Portogallo


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(1654), che permetteva alla flotta inglese l’uso del porto di Lisbona, chiave per il Mediterraneo. Altro punto del programma di Cromwell fu sostenere e restaurare la religione protestante: entrò in contrasto con la Francia, che perseguitava duramente gli ugonotti; trattati vennero stipulati, inoltre, con Stati protestanti (Svizzera e Danimarca). In seguito ai successi inglesi, le potenze cattoliche, Spagna e Francia, cercarono di stringere un’alleanza con l’Inghilterra. Cromwell stipulò con Luigi XIV il Trattato di Westminster (1655), con cui il sovrano francese s’impegnò a espellere gli esiliati realisti dal suo Stato e, abbandonato il titolo di re di Francia, contestatogli dai re inglesi, assumeva quello di re dei Francesi; il Trattato militare di Parigi (1657), per attaccare la Spagna nelle Fiandre e in compenso del quale l’Inghilterra ottenne Mardyke e Dunkerque. La politica di Cromwell suscitò tuttavia malcontenti, specie tra quanti erano interessati al commercio con la Spagna, tra i giuristi, che contrastavano la legalità dei suoi decreti e tra i realisti. Si ebbe un attentato alla sua vita, fallito, che inasprì la dittatura militare. Fu avanzato allora un nuovo progetto di governo, e venne offerta a Cromwell la corona (1657), che egli rifiutò. Infine, accettò la Petition, che lo riconosceva Protettore con poteri di sovrano costituzionale; ma, continuando le ostilità del parlamento nei suoi riguardi, lo sciolse nel febbraio

1658. Tutta l’azione politica di Cromwell ebbe carattere personale e fu sostenuta dall’entusiasmo religioso, ritenendosi egli inviato da Dio in difesa della «vera religione». Sul letto di morte (1658) designò come successore il figlio Richard. Sepolto nell’abbazia di Westminster, fu dissotterrato alla Restaurazione, il corpo venne appeso alla forca e decapitato. Nel 1899 gli fu eretta una statua a Westminster.


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00/4 CARLO II STUART Carlo II Stuart, figlio del re d’Inghilterra Carlo I e di Enrichetta Maria, nacque a Londra nel 1630. Durante la guerra civile si rifugiò a Parigi. Cercò invano di salvare il padre, assicurando la propria sottomissione al Parlamento; ma, dopo la morte, ne rivendicò la successione. Incoronato re a Scone (1° gennaio 1651), Cromwell lo scacciò dalla Scozia e fece fallire un colpo di mano su Londra distruggendone l’esercito a Worcester (3 settembre 1651). Rifugiatosi nuovamente in Francia, vi rimase alcuni anni. Dopo la morte del Cromwell, nel 1658, le forze realiste ripresero il comando, e con esse si schierarono anche ex avversari come il generale Monk. Con la Dichiarazione di Breda (14 aprile 1660), Carlo II promise una generale amnistia e larghi poteri al Parlamento. Incoronato a Westminster (8 maggio 1660), entrò

trionfalmente a Londra e, violando le promesse, fece giustiziare gli uccisori del padre. Nel 1662 sposò Caterina di Braganza, che portò in dote Tangeri e Bombay. Una prima guerra con l’Olanda fruttò New Amsterdam (1664-1667). Carlo II si era intanto avvicinato a Luigi XIV, a cui nel 1667 vendette Dunkerque e, stretto il Trattato segreto di Dover (1670), mosse una seconda guerra all’Olanda (1672-1674), finita con una pace separata per l’opposizione del Parlamento. Gli ultimi anni furono dominati dalla questione religiosa e Carlo II sciolse più volte il Parlamento per impedire l’approvazione dell’Exclusion Bill, con cui si voleva escludere il cattolico Giacomo duca di York, fratello di Carlo dalla successione. Morì, riconciliato con la Chiesa cattolica, nel 1658.


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00/5 GUGLIELMO III D’ORANGE Guglielmo III d’Orange, nato a L’Aja nel 1650, fu statolder delle Province Unite dei Paesi Bassi e successivamente re d’Inghilterra, di Scozia e d’Irlanda. Figlio di Guglielmo II d’Orange e di Maria Stuart, crebbe sotto la tutela della nonna Amalia di Solms, che protesse i suoi diritti, dopo la morte del padre, contro gli antiorangisti. Nel 1667 gli Stati olandesi abolirono con l’«editto perpetuo» la carica di statolder, ma il partito orangista acquistò prestigio contro i de Witt, sostenuti dalle pressioni politico-diplomatiche di Luigi XIV. Nel 1672 fu abolito l’editto e Guglielmo ottenne la carica di statolder. Si pose come antagonista di Luigi XIV e cercò di indebolire la Francia con abili manovre diplomatiche. Con la Pace di Nimega concluse nel 1678, onorevolmente per l’Olanda, la lunga guerra franco-olandese. Riuscì anche a trionfare all’interno, dove lo statolderato venne reso ereditario nella sua famiglia. Con la Pace di Augusta coronò la ventennale lotta antifrancese. Avverso agli orientamenti filocattolici del suocero Giacomo II d’Inghilterra, protesse altresì gli ugonotti francesi espulsi con la revoca dell’Editto di Nantes (1685), acquistandosi larga popolarità. A lui si rivolsero i whigs allo scoppio della «pacifica rivoluzione» inglese contro Giacomo II. Sbarcato in Inghilterra il 1° novembre 1688, marciò alla conquista di Londra. Fu, con la moglie Maria, incoronato sovrano nel 1689.

Impegnato di nuovo nella lotta contro la Francia, lasciò il governo alla moglie e, dopo la morte di lei, ai Lords Justices di nomina regia. La sua popolarità declinò. Con le elezioni del 1698, favorevoli ai tories, la sua posizione si indebolì ulteriormente. Cercò di riguadagnare il prestigio perduto, iniziando nel 1702 un’energica rivendicazione dei suoi diritti, ma morì nello stesso anno presso Hampton Court per una caduta da cavallo.


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01 RIVOLUZIONE AMERICANA Alla fine del pleistocene si assiste a radicali e bruschi cambiamenti climatici, iniziati, nel IX millennio a.C., dal repentino ritiro delle coltri glaciali con conseguenti grandi inondazioni. Quando le condizioni di vita divennero più favorevoli, grazie soprattutto a un clima più secco, ebbe inizio il mesolitico. La diminuzione della grossa selvaggina, ritiratasi verso nord, fece sì che l’uomo,

pur continuando a vivere di raccolta e caccia (perfezionata grazie all’introduzione dell’arco), iniziasse la pratica della mietitura di cereali selvatici e desse vita alle prime forme di domesticazione di animali. L’industria litica si arricchì, in questo periodo, di arnesi di dimensioni ridotte, cui si accompagnarono i primi rudimentali tentativi di produzione di vasellame.


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Il neolitico, noto anche come età della pietra levigata, vide una grande esplosione demografica e il sorgere dei primi insediamenti urbani, con relative necropoli che progressivamente sostituirono le sepolture in grotta. La prima pratica dell’agricoltura, iniziata proprio in questo periodo, indurrà gli uomini ad abbandonare la vita nomade per quella sedentaria, determinando la fine dell’età

dei «raccoglitori di cibo» e l’inizio di quella più evoluta degli «agricoltori». Si svilupperanno, al contempo, anche l’allevamento del bestiame, l’arte della filatura e della tessitura e l’industria ceramica, con la produzione di robusti vasi di terracotta adatti alla cottura dei cibi.


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01/2 BENJAMIN FRANKLIN Benjamin Franklin nacque a Boston nel 1706; educato dal padre al più rigido puritanesimo, lavorò, giovanissimo, presso la tipografia del fratello, leggendo contemporaneamente con avidità le opere di D. De Foe, J. Locke, B. Pascal. I principi illuministici, assorbiti dalla lettura di A. Collins e A. A. C. Shaftesbury, determinarono in Franklin il superamento del puritanesimo e l’accettazione di una morale laica. Abbandonato il lavoro, partì per New York (settembre 1723) e successivamente si trasferì a Filadelfia, dove, con spirito intraprendente, riuscì in pochi anni a divenire tipografo ufficiale della provincia (1728); posizione che gli permise di dedicarsi a un’attiva opera di diffusione della cultura, dell’istruzione e di una intensa fede nel lavoro, nel risparmio e nel guadagno. Questa fede era espressione di una nuova etica, la quale riconosceva nel lavoro il fine dell’uomo, la cui onestà e probità dovevano tradursi in abilità negli affari e nel successo dell’attività economica. Da questo tipo di morale, Franklin trasse quell’energia, quel desiderio incessante di azione, dai quali derivò la fondazione di centri culturali, di giornali, di club, che diedero a Filadelfia un nuovo e moderno volto. Membro dell’assemblea provinciale di Pennsylvania (1736), direttore delle poste della corona britannica, difese l’autonomia delle colonie e svolse un ruolo notevole negli avvenimenti che condussero alla loro indipendenza. Inviò senza successo un piano conciliatore ad Albany; rappresentò successivamente la Pennsylvania, il Massachusetts, il Connecticut e il Rhode Island a Londra, perorandone la causa e

difendendone gli interessi. Nel 1764 presentò la protesta per la legge sulla carta da bollo e appoggiò la petizione del I Congresso americano. Tornato a Filadelfia, dopo lo scoppio della guerra, partecipò alla dichiarazione di indipendenza (4 luglio 1776). Inviato a Parigi, la sua figura e la sua personalità furono ammirate ed esaltate: Franklin apparve come l’uomo nuovo di un’epoca nuova, il «Voltaire americano», il degno interprete dell’Illuminismo. Durante la sua missione riuscì a stipulare un conveniente trattato di alleanza e di commercio con la Francia (6 febbraio 1778) e più tardi con la Svezia. Tornato a Filadelfia (14 settembre 1785), presidente dello Stato della Pennsylvania, deputato alla Convenzione del 1787, vide fallire il suo progetto per un sistema bicamerale e per un sistema di istruzione, ispirantesi ai principi della self-education. Tra i suoi scritti economici, si ricordano soprattutto A modest inquiry into the nature and necessity of a paper currency (1729) e Positions to be examined concerning national wealth (1769). In campo scientifico, le ricerche di Franklin vertono sull’elettricità. In un trattato pubblicato nel 1750 enunciò la legge di conservazione dell’elettricità e una teoria dei fenomeni elettrici basata sull’ipotesi dei due fluidi. Scoprì anche le proprietà elettriche delle punte e inventò il parafulmine. Morì a Filadelfia nel 1790.


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02 RIVOLUZIONE FRANCESE La rivoluzione francese costituì il momento più importante degli sconvolgimenti politici e sociali che, tra il XVII e il XIX secolo, posero fine al feudalesimo e determinarono il definitivo trionfo della borghesia sulla nobiltà. Preparata nel corso del XVIII secolo dalla cultura illuministica – che si proponeva di trasformare la società per renderla più libera, più giusta e più progredita – la sua data di inizio viene considerata quella della convocazione, il 5 maggio del 1789, degli Stati Generali (l’assemblea dei tre ordini – clero, nobiltà, terzo Stato – della popolazione francese) a cui il re Luigi XVI venne costretto dalle gravi condizioni di dissesto del bilancio dello Stato, dopo che invano vari ministri avevano tentato di estendere anche ai ceti privilegiati, cioè la nobiltà e il clero, l’onere delle imposte. La questione della votazione per ordine, come avrebbero voluto nobili e clero, o per testa, come avrebbero invece voluto i rappresentanti, più numerosi, del terzo Stato, divise l’assemblea. Trovate chiuse le porte della sala di riunione per ordine del re, i rappresentanti del terzo Stato si riunirono nella Sala della Pallacorda e, proclamandosi Assemblea Nazionale (17 giugno 1789), giurarono di non separarsi prima di aver dato una costituzione alla Francia. Quando il 27 giugno Luigi XVI riconobbe l’Assemblea e invitò il clero e i nobili a parteciparvi, sembrò che la rivoluzione delle istituzioni fosse com-

piuta. Tuttavia, il timore di un complotto aristocratico e la persistente, grave situazione economica provocarono la sollevazione popolare parigina del 14 luglio che dette l’assalto al carcere della Bastiglia, simbolo del dispotismo regio, e determinò il definitivo crollo dell’ancien régime: il 4 agosto l’Assemblea Nazionale, proclamatasi frattanto Costituente, votava l’abolizione dei diritti feudali e il 26 agosto promulgava la famosa Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Ispirata alle dottrine di Montesquieu e di Rousseau, la Costituente affidò il potere legislativo a un’Assemblea Legislativa, eletta dai cittadini, il potere esecutivo al re e ai suoi ministri, responsabili dinanzi all’Assemblea, e il potere giudiziario a giudici elettivi. La Costituzione civile del clero introduceva il principio elettivo nelle nomine dei parroci e dei vescovi e sopprimeva gli ordini religiosi, nell’intento di incamerarne i beni per risolvere il problema del gravissimo deficit delle finanze statali. La Santa Sede rifiutò di accettare tale Costituzione e il clero stesso si divise in «clero costituzionale» e «clero refrattario». Di fronte all’aggravarsi della situazione, il 20 giugno 1791 il re decideva di fuggire da Parigi per raggiungere in Lorena le truppe a lui fedeli e porsi alla loro testa per schiacciare la rivoluzione. Riconosciuto a Varennes, però, fu ricondotto a Parigi e sospeso dalle sue funzioni. Nell’ottobre del 1791 Luigi XVI dette


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vita al primo governo espresso dall’Assemblea Legislativa. A questo, di orientamento moderato, seguì presto un ministero formato dai girondini, un gruppo favorevole a una decisa democrazia politica. Frattanto la Francia entrava in guerra contro Prussia e Austria (agosto 1791). Le prime disastrose vicende dell’esercito francese fecero dichiarare in pericolo la patria: il re venne nuovamente sospeso dalle sue funzioni e furono indette elezioni a suffragio universale per scegliere di una Convenzione Nazionale che avrebbe dovuto dare alla Francia una nuova costituzione. Di fatto, il potere passava nelle mani dei giacobini, un raggruppamento repubblicano, democratico e fortemente progressista, che riuscì a galvanizzare la resistenza del paese e a far affluire al fronte nuove schiere di volontari entusiasti che sconfissero gli austro-prussiani a Valmy (20 settembre 1792). Nello stesso giorno si adunava la Convenzione Nazionale che proclamava l’abolizione della monarchia e l’instaurazione della Repubblica. Nei mesi successivi, gli eserciti rivoluzionari occuparono il Belgio e la Renania. Altri paesi, tra cui Russia e Inghilterra, scesero allora in guerra formando la prima coalizione europea antifrancese. Nonostante il processo e la decapitazione di Luigi XVI (21 gennaio 1793), la guerra e la gravissima situazione finanziaria sembrarono segnare le sorti della rivoluzione. La folla parigina allora

insorse di nuovo e impose la sostituzione del governo moderato dei girondini con la dittatura degli estremisti della Montagna, che decretarono la confisca dei beni degli emigrati e fecero votare dalla Convenzione una nuova Costituzione a carattere accentuatamente democratico. La gran massa dei contadini venne attirata con drastiche misure a danno delle classi abbienti. Alcuni dipartimenti, sobillati dai girondini, si rivoltarono contro la capitale, ma la Convenzione rispose nominando un Comitato di Salute Pubblica, con funzioni di supremo controllo sui ministeri, che, dominato dall’energia del Robespierre, attuò una ferrea dittatura centralista realizzando in primo luogo una leva in massa, eliminando i traditori e gli inetti dall’ufficialità e sostituendoli con le giovani leve rivoluzionarie che provenivano dal popolo, imponendo il blocco dei prezzi e dei salari e il corso forzoso degli assegnati. Iniziava così il periodo del Terrore: un tribunale rivoluzionario mandò alla ghigliottina centinaia di veri o supposti controrivoluzionari, tra cui la regina Maria Antonietta. La paura che si impadronì della Convenzione fece sì che il 9 Termidoro (27 luglio 1794) una congiura si formasse contro Robespierre che, arrestato, fu mandato alla ghigliottina senza processo. La reazione termidoriana vide scatenarsi allora le vendette della borghesia: al Terrore rosso succedeva adesso il Terrore bianco, che si


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dava a perseguitare giacobini e montagnardi. Nel 1795, infine, l’Assemblea votò la Costituzione dell’anno III, intesa a consoli-

dare i risultati della rivoluzione su posizioni conservatrici: il potere legislativo veniva delegato a un Consiglio dei Cinquecento e a un Consiglio degli Anziani


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e distinto dal potere esecutivo affidato a considerata il momento di separazione un Direttorio di cinque membri. tra l’età moderna e l’età contemporanea. Per le conseguenze che ebbe per la storia mondiale, la rivoluzione francese è


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MAXIMILIEN-FRANCOIS ISIDORE DE ROBESPIERRE

Maximilien-François-Isidore de Robespierre nacque ad Arras nel 1758; dopo aver studiato legge a Parigi, tornò nella sua città natale dove esercitò l’avvocatura. Con il programma di «rendere i suoi diritti al popolo» fu eletto deputato agli Stati Generali nel 1789 e nel marzo dell’anno successivo presidente del Club dei giacobini. Pubblico accusatore al Tribunale di Parigi dal 1791, attaccò violentemente i girondini, accusandoli di volere instaurare una dittatura in seno al governo. Eletto anche alla Convenzione (1792), di nuovo si scagliò contro i girondini, riuscendo a sollevare il popolo parigino contro di loro; entrato poi a far parte del Comitato di Salute Pubblica, organo esecutivo dell’Assemblea sovrana, si liberò di Danton e di Hébert, che vennero ghigliottinati. Inflessibile e «incorruttibile», Robespierre instaurò un regime di terrore e di dittatura, mentre il tribunale rivoluzionario pronunciava migliaia di condanne a morte sulla

base di semplici «prove morali» della colpevolezza degli imputati. Vagheggiando una società puritana in cui la piccola proprietà garantisse a tutti l’indipendenza, Robespierre sostenne il culto dell’Ente Supremo, già teorizzato da Rousseau. Allontanato nel frattempo il pericolo dalle frontiere grazie alle vittorie degli eserciti repubblicani, l’attenzione dell’assemblea si volse a giudicare l’operato di Robespierre, che venne imprigionato dopo la drammatica seduta del 9 termidoro 1794, in base alle accuse mossegli dai rappresentanti uniti della «Pianura» e della «Montagna». Liberato dal popolo insorto, fu nuovamente catturato e finì ghigliottinato il giorno successivo. Responsabile dei delitti commessi durante il Terrore e traditore dei valori rivoluzionari, Robespierre è stato variamente giudicato. La sua figura resta legata al periodo più drammatico della rivoluzione francese.


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02/2 LUIGI XVI DI BORBONE Luigi XVI di Borbone, figlio del delfino di Francia Luigi e di Maria Giuseppina di Sassonia, nacque a Versailles nel 1754. Divenuto a sua volta delfino alla morte del padre nel 1765, fu eletto e incoronato a Reims nel 1774, dopo aver sposato, nel 1770, Maria Antonietta d’Austria. Salito al trono, si accinse al tentativo di risanare il bilancio nazionale, avvalendosi in un primo tempo dell’aiuto del ministro Turgot e del ginevrino Necker e poi, ancora, di Calonne e di Necker. Consigliato da entrambi di riunire gli Stati Generali, non più convocati dal 1614, li riunì a Versailles il 9 maggio 1789. Debole e indeciso di fronte ad avvenimenti che avrebbero richiesto energica azione, dominato dalla reazionaria Maria Antonietta, dopo aver invano tentato di far naufragare la costituzione promulgata nel 1791, rimase diviso tra le sempre più pressanti richieste dell’Assemblea e della piazza e i complotti di corte diretti a favorire la nobiltà e il clero, in gran parte emigrati. Il suo contegno apatico e inconcludente deluse La Fayette, che cercava di consolidare una monarchia liberale, e scoraggiò Mirabeau, che tentava di salvare le prerogative regali. Spaventato dal corso degli avvenimenti, decise di fuggire da Parigi e di riparare in Lorena presso le truppe che ancora credeva fedeli al comando del generale Bouillé; ma il 21 giugno 1791, riconosciuto a Varennes, fu arrestato e condotto a Parigi, prigioniero

della rivoluzione. Il 20 settembre 1792 fu deposto della nuova Assemblea, la Convenzione Nazionale, e rinchiuso con tutta la famiglia nella prigione di Parigi (Temple) per l’accusa di aver complottato con gli emigrati contro la libertà pubblica e la patria. Processato dalla Convenzione, allora capeggiata da Robespierre e da Saint-Just, sebbene i girondini dichiarassero l’illegittimità del processo e proponessero l’appello al popolo, venne dichiarato colpevole e condannato a morte. La proposta girondina di rinviare l’esecuzione venne respinta a maggioranza, l’appello alla nazione venne rifiutato e Luigi XVI venne giustiziato il 21 gennaio del 1793.


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02/3 MARIA ANTONIETTA D’ASBURGO-LORENA Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, regina di Francia, nacque a Vienna nel 1755, figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria e di Francesco I di Lorena. Sposato il futuro re di Francia Luigi XVI nel 1770, fu inizialmente popolarissima, specie per l’avversione alla favorita Du Barry, ma dopo l’ascesa al trono (1774) suscitò vivi risentimenti, tra le famiglie nobiliari prima e poi in tutto il paese, per la prodigalità, la superficialità di atteggiamenti e il favoritismo per i Polignac. Scoppiata la rivoluzione, si accanirono contro di lei i nemici della monarchia, alla cui rovina contribuì mancando di senso politico. Imprigionata nel 1792 e processata nel 1793, fu condannata a morte e ghigliottinata.


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03 RIVOLUZIONE RUSSA Processo storico attraverso il quale nel 1917 in Russia fu abbattuto l’impero zarista, creando i presupposti del primo Stato socialista della storia. All’inizio del XX secolo la Russia era ancora un paese fortemente arretrato: l’agricoltura, nonostante il tentativo di modernizzazione avviato dal primo ministro Petr Arkad’evi Stolypin tra il 1906 e il 1911, veniva praticata con mezzi inadatti e antiquati, l’industria era assai limitata, la popolazione viveva in condizioni di estrema indigenza e in continuo peggioramento. Diversi furono dunque i motivi che fecero precipitare gli avvenimenti, all’inizio del 1917, generando una serie di scioperi e scontri di piazza, non ultimo il risentimento nazionale di fronte alle gravi sconfitte subite nel corso della prima guerra mondiale. I primi scontri si verificarono a Pietrogrado l’8 marzo 1917: le rivolte spontanee si trasformarono ben presto in una vera e propria insurrezione politica, che

portò all’abdicazione dello zar Nicola II. Il governo provvisorio di unità nazionale presieduto dal principe L’vov che si formò in seguito alla «rivoluzione di febbraio» (in Russia, infatti, il calendario gregoriano fu adottato solo a partire da quell’anno), decise di tener fede agli impegni presi con gli alleati europei e di continuare a combattere contro gli Imperi centrali. Così, mentre nel paese cresceva il potere dei Soviet, i consigli di operai e soldati, e si evidenziavano le intenzioni rivoluzionarie dei bolscevichi, l’ala sinistra del partito socialdemocratico russo, rinvigorite dal rientro in patria di Lenin e Trotzkij, il potere passò al socialista moderato Aleksandr Kerenskij (maggio 1917) che, indifferente alle critiche, decise di scatenare un’offensiva in Galizia nel luglio 1917, risolta in una pesantissima sconfitta russa. Fu allora che i bolscevichi, di fronte al rifiuto del governo di ritirare le truppe dal fronte, decisero di seguire la via dell’insurrezione


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armata. Il 26 ottobre (in realtà l’8 novembre), dopo che le truppe rivoluzionarie ebbero occupato i punti nevralgici della capitale e Kerenskij abbandonato il Palazzo d’Inverno, tutto il potere fu assunto dal Congresso Panrusso dei Soviet, che nominava un Consiglio dei Commissari del Popolo guidato da Lenin. Tale organismo rivoluzionario emanò tra il 26 ottobre e il 2 novembre una serie di decreti che davano immediatamente il senso e la misura del cambiamento avvenuto con l’affermazione della rivoluzione bolscevica: il ritiro immediato dalla guerra, l’esproprio dei latifondi e delle grandi proprietà (affidati poi ad appositi comitati agrari), la gestione e controllo delle fabbriche assegnato direttamente agli operai. In un secondo momento, invece, il governo rivoluzionario adottò una serie di ulteriori provvedimenti finalizzati alla subordinazione degli interessi privati alle necessità

dello Stato, delineando quello che venne definito «comunismo di guerra»: furono autorizzate la requisizione di derrate alimentari e dei generi di prima necessità, venne abolito il diritto di proprietà, vennero nazionalizzati interi settori industriali. Il nuovo Stato, in cui i Soviet gestivano l’intero potere, assumeva la forma federale e assumeva il nome di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). La rivoluzione realizzata dai bolscevichi smentì in parte le teorie di Marx, per cui l’idea socialista avrebbe dovuto necessariamente affermarsi nei paesi a più maturo sviluppo capitalistico. La correzione della teoria marxista dipese solo parzialmente dalle oggettive condizioni di prostrazione in cui versava la popolazione russa nel momento in cui coincise con la sconfitta militare; essa fu dovuta in gran parte all’abilità strategica e all’intuito politico di Lenin, vero e proprio capo carismatico della rivoluzione.


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03/1 NIKOLAJ LENIN Nikolaj Lenin, pseudonimo di Vladimir Il’i Ul’janov, nacque a Simbirsk (oggi Uljanovsk) nel 1870. Dopo essersi laureato in Giurisprudenza a Pietroburgo, iniziò la propaganda marxista negli ambienti operai. In questo periodo elaborò la critica al populismo sviluppando alcune obiezioni di G. Plechanov che, staccatosi dai populisti intorno al 1880, aveva fondato il primo circolo marxista, il Gruppo dell’Emancipazione del Lavoro. Nell’opera Chi sono gli «amici del popolo» e come lottano contro i socialdemocratici (1894) negava il carattere rivoluzionario delle forze contadine divise dallo sviluppo capitalistico in gruppi contrastanti e sosteneva la necessità di un partito del proletariato. Dopo essersi recato all’estero (1895) per incontrarsi con il gruppo socialdemocratico russo, fondava a Pietroburgo l’Unione di Lotta per l’Emancipazione della Classe Operaia, primo nucleo del futuro partito socialdemocratico. Arrestato, veniva esiliato in Siberia (1897), dove sposava Nadezda Kruspskaia e pubblicava Lo sviluppo del capitalismo in Russia (1897). Stabilitosi a Ginevra (1900), iniziava con il Plechanov la pubblicazione del giornale Iskra (Scintilla), dove polemizzava con i gruppi dei «marxisti legali» e degli «economisti». Le opere Che fare? (1903), Un passo avanti e due indietro (1904) e Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica (1905) approfondivano i motivi del contrasto con i «fratelli maggiori». Lenin criticava la separazione tra rivendicazioni politiche ed economiche, rifiutava la fase ri-

voluzionaria borghese e concepiva il partito di «rivoluzionari di professione», teorici e uomini d’azione. Nel II Congresso delle Organizzazioni Socialiste della Russia tenutosi a Londra nel 1903 divenne capo della frazione di sinistra del Partito socialdemocratico, quella bolscevica, divenuta maggioritaria, in opposizione a quella menscevica (minoranza). Tornato all’estero per la reazione di Stolypin dopo l’esperienza rivoluzionaria del 1905-1907, nell’opera L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916), Lenin rafforzava la sua tesi di una «rivoluzione ininterrotta», per il cui compimento era necessaria l’alleanza tra il proletariato e i contadini poveri e l’appoggio di una rivoluzione socialista in Europa. Rientrato in Russia dopo la rivoluzione di febbraio (1917), nelle «tesi di aprile» su I compiti del proletariato nella rivoluzione attuale indicava il suo programma di sviluppo socialista della rivoluzione; nell’opera Stato e rivoluzione (1917) esponeva la sua teoria sulla dittatura del proletariato e sul suo strumento politico, i Soviet degli operai, dei soldati e dei contadini. Iniziava quindi la lotta contro il governo provvisorio, che conduceva all’assunzione del potere da parte del Congresso dei Soviet. Dopo la Pace di Brest-Litovsk, l’organizzazione e lo sviluppo economico vennero rinviati a causa della lotta contro i generali bianchi (controrivoluzionari) e contro le potenze straniere, e Lenin si dedicò totalmente al problema del consolidamento e dell’ulteriore sviluppo del socialismo sovietico e internazionale.


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L’Internazionale Comunista (Komintern), fondata durante la Conferenza comunista internazionale nel 1919, raccolse tutti i gruppi che al leninismo guardavano per trarne una nuova tattica rivoluzionaria. Lenin in questo periodo elaborava la teoria delle vie nazionali al socialismo, polemizzando contro le manifestazioni di «settarismo». Cessata la lotta internazionale nel 1921, Lenin affrontava i problemi in-

terni con la NEP (Nuova Politica Economica), che rappresentava una «BrestLitovsk sul fronte economico», una «ritirata strategica» di fronte al problema dell’edificazione delle basi materiali del socialismo. Morì colpito da paralisi a Gorki, Mosca, nel 1924. Altre opere particolarmente importanti sono: La dittatura del proletariato e il rinnegato Kautsky (1919), Estremismo, malattia infantile del comunismo (1920).


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03/2 LEV DAVIDOVI TROTZKIJ Lev Davidovi Trotzkij, pseudonimo di Lejba Bronštein, nacque a Janovka, in Ucraina, nel 1879 in una famiglia di origine ebraica. Arrestato nel 1897, fu deportato in Siberia due anni dopo per le sue idee rivoluzionarie. Messosi in contatto con i più importanti esponenti del movimento rivoluzionario (G. V. Plechanov e Lenin), nel 1902 riuscì a fuggire dalla Russia. Di tendenze moderate, al II Congresso socialista russo tenutosi a Londra nel 1903, fece parte della corrente di N. Martov e dei menscevichi e fu in polemica con Lenin la cui concezione gli sembrava finisse con il sottovalutare il proletariato a vantaggio del partito. Nel 1905 fu fautore delle organizzazioni dei Soviet e fu anche a capo del Soviet di Pietroburgo. Nuovamente arrestato, fu in esilio in Danimarca e negli Stati Uniti. Tornato in Russia (1917), fu commissario del popolo per gli Affari Esteri e partecipò alle trattative di Brest-Litovsk con la speranza di portare la rivoluzione in Germania. Fu quindi commissario per la guerra e riorganizzò l’Armata Rossa rendendo così possibile la vittoria dei sovietici nella guerra civile. Nel frattempo, comincia-

rono i primi contrasti ideologici e politici con Stalin, divenuto capo del partito. La sua concezione della rivoluzione permanente e della necessità dell’instaurazione del socialismo in tutti i paesi («il trionfo della rivoluzione socialista comincia sul terreno nazionale, si sviluppa su quello internazionale e giunge al suo termine e coronamento su quello mondiale») era in netto contrasto con la teoria staliniana del «socialismo in un solo paese» e il suo concetto di democrazia interna mal si conciliava con il severo centralismo partitico adottato da Stalin. Trotzkij fu quindi espulso dal partito, esiliato nel 1929 e condannato a morte in contumacia (1936) nel processo Zinov ev come capo dell’«opposizione di destra». Riparò allora in Turchia, in Francia, Norvegia e infine si rifugiò a Città del Messico (1937), dove fu assassinato da un sicario nel 1940. Tra le sue opere: Von der Oktober Revolution bis zum Brester Friedensvertrog (1918), Vojna i Revoljucija (1925), Die Falschung der Geschichte der Russischen Revolution (1928), Permanentnaja Revoljucija (1930), Stalin (1936).


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04 RIVOLUZIONE CINESE Processo storico durato più di un cinquantennio che portò alla caduta della dinastia imperiale manciù e alla formazione della repubblica guidata dai nazionalisti prima e della repubblica comunista in seguito. L’incontro con le civiltà europee alla fine del XIX secolo era risultato assai problematico in una nazione chiusa e arretrata come la Cina. Dopo il fallimento di un tentativo di riforme nel 1898 e un-insurrezione contadina, detta dei Boxers, contro gli invasori stranieri (1900), alcuni esponenti delle classi borghesi formati a contatto con le civiltà europee dettero vita a una serie di movimenti di tendenza repubblicana e nazionalista, che portarono alla fine del 1911 a una rivolta nella Cina centrale, ad Hankou. Nel febbraio 1912 nasceva la Repubblica di Cina e alla sua guida Sun Yat-sen, il principale fautore del movimento rivoluzionario, fondatore nel 1911 del partito nazionalista Kuomintang, poneva come presidente Yuan Shihkai. Nel suo programma politico il Kuomintang prevedeva una completa emancipazione dal dominio straniero e l’avvio di una profonda riforma in senso democratico delle istituzioni politiche e della società, ma il nuovo regime si rivelò privo di basi (i ceti sociali che lo avevano promosso erano assai deboli) e, in breve tempo, il potere effettivo passò nelle mani dei capi militari, i «signori della guerra», che per un decennio aggravarono la già precaria situazione del paese dandosi battaglia l’un l’altro. La situazione si sbloccò con la diffusione delle idee marxiste provenienti dal-

l’Unione Sovietica. Sull’onda dell’influenza russa un gruppo di intellettuali, tra cui Mao Zedong, fondò il Partito Comunista Cinese, il cui programma di base venne a coincidere, in parte, con quello del Kuomintang: raggiungimento dell’indipendenza, attuazione di una profonda riforma agraria, democratizzazione radicale della società. Sulla base di tali principi, i due partiti iniziarono una lotta comune contro «i signori della guerra». Nel 1928, però, l’alleanza fu infranta per il cambiamento avvenuto all’interno del Kuomintang, preoccupato dagli sviluppi della riforma agraria e dalle rivendicazioni operaie. Al governo nazionalista ufficiale, costituito a Nanchino nello stesso 1928 e guidato da Chiang Kai-shek, si contrapposero da allora le forze comuniste che avevano trasferito il loro centro di azione nelle campagne, dove facevano leva sulle aspirazioni delle masse contadine al possesso della terra. La lotta armata proseguì fino al 1936, quando venne stabilita una tregua per far fronte comune alla minaccia del Giappone. I comunisti, che nel frattempo si erano trasferiti nelle zone del nord-est con una marcia di oltre 12.000 chilometri (conosciuta come la «lunga marcia»), organizzarono le forze partigiane in attesa dell’attacco giapponese, che giunse nel 1937. Quando le ostilità tra comunisti e nazionalisti riprese alla fine della seconda guerra mondiale, la guerra civile era ormai inevitabile e nel 1946 scoppiò in tutto il paese. Nonostante il massiccio aiuto degli USA, i nazionalisti furono sconfitti: mentre


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Chiang Kai-shek si rifugiava nell’isola di Taiwan (Formosa), il 1° ottobre 1949 a Pechino Mao Zedong proclamava la costituzione della Repubblica Popolare Cinese. Il primo obiettivo del governo fu la trasformazione della Cina in paese comunista: la terra fu divisa e distribuita ai contadini organizzati in cooperative, le industrie vennero nazionalizzate, si elaborarono, con l’aiuto dell’URSS, i primi piani quinquennali incentrati sull’industria pesante. Nel 1956 la riforma agraria poteva dirsi conclusa e dal 1958 al 1960 si sviluppò l’ambizioso progetto di una rapida trasformazione della società agricola in società industrializzata, noto come il «grande balzo in avanti». Il piano prevedeva la nascita di Comuni del Popolo, comunità in cui era organizzata la popolazione, sorte nell’aprile del 1958. Il «grande balzo in avanti», però, risultò un vero e proprio fallimento. Mao, che era stato l’artefice principale dei grandi cambiamenti del paese, denunciò la tendenza alla burocratizzazione della rivoluzione e nel 1966 lanciò la rivoluzione culturale. Il suo messaggio fu recepito soprattutto dagli studenti, che protestarono contro ogni forma di autorità (burocrati, funzionari, intellettuali), perché considerata ancora lontana dalla lotta comunista. Tra il 1968 e il 1969 il clima politico divenne violento e migliaia furono i morti. Le «guardie rosse» (i giovani che avevano appoggiato Mao) denunciarono dirigenti, intellettuali, militari e impiegati come traditori dello spirito della rivoluzione proletaria, li processarono pubblicamente e gli inflissero pene umilianti. La rivoluzione

culturale, secondo Mao, doveva essere un completamento della rivoluzione socialista, ma finì per essere la rivoluzione dei giovani: essi chiedevano l’opportunità di esprimersi liberamente, di criticare gli apparati del partito ormai troppo lontani, di rimodernare un sistema di studi che impediva il reale avvicinamento tra i diversi ceti della società. Lo Stato impiegò oltre due anni per riportare il paese alla pacificazione.


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04/1 SUN YAT-SEN Sun Yat-sen (o Sun Wen) nacque a Choihang (Kuangtung) nel 1866. Considerato il «Padre della Patria», fondò (1905) il movimento repubblicano detto T’ung Meng Hui (Lega dell’Alleanza Giurata), che in seguito si trasformò in Kuomintang (Partito Nazionalista Cinese). Accusato dal governo imperiale di attività sovversiva, si rifugiò all’estero, rientrando in patria dopo lo scoppio della rivoluzione cinese (1911). Da allora svolse un ruolo di primo piano nella vita

politica fino alla morte (avvenuta a Shangai nel 1925), lottando contro il vecchio mondo feudale in alleanza con i comunisti, che oggi lo considerano un precursore dei loro ideali di rinnovamento. I principi politici di Sun Yat-sen sono noti con il nome di «triplice demismo»: 1) libertà e indipendenza nazionale; 2) democrazia; 3) socialismo.


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04/2 MAO ZEDONG Mao Zedong (o Mao Tse-tung) nacque nel villaggio contadino di Hsiangt’an, da un modesto proprietario terriero, nel 1893. Si diplomò presso l’Istituto normale di Ch’angsha impiegandosi poi come bibliotecario (1918) presso l’Università di Pechino. Quando Ch’en Tuhsiu fondò il Partito Comunista Cinese (PCC, 1921), Mao era presente quale delegato. Egli dedicò quindi la sua attività politica all’organizzazione del movimento comunista contadino nell’Hunan dove, dopo una parentesi di collaborazione con il Kuomintang (1925-1926), conclusasi con l’eccidio di migliaia di comunisti (1927), creò la «comunità sovietica» dei Kiangsi (1931), nell’anno in cui i Giapponesi occupavano la Manciuria. Per quanto perseguitata dalle truppe nazionaliste del Kuomintang, l’Armata Rossa si rafforzò; ma nel 1934, per sfuggire all’accerchiamento, si spostò nelle regioni nord-occidentali, con una memorabile lunga marcia. Finalmente, nel 1937, si ricostituiva il fronte comune tra il PCC

e il Kuomintang, per combattere l’invasione giapponese. Dopo la guerra, risultati vani i tentativi di accordo tra Mao e Chiang Kai-shek, capo del Kuomintang, riprendeva la guerra civile, che terminava con la vittoria comunista (1949) e l’elezione di Mao a presidente della Repubblica Popolare Cinese. Mao ricoprì la carica per 10 anni, spesi per ridare alla Cina il suo posto di prestigio nel mondo. Nel 1959 si dimise per assumere la carica di presidente del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese e dedicarsi esclusivamente all’elaborazione ideologica della linea del partito, compito particolarmente delicato in rapporto alla complessità dei problemi dei movimento comunista internazionale. Mao, oltre che oratore e scrittore acuto, di vastissima cultura, fu anche poeta della migliore tradizione nazionale. La sua eredità politica e culturale, dopo la morte avvenuta nel settembre 1976, diede luogo ad aspri contrasti all’interno del PCC e tra questo e altri partiti comunisti europei.


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04/3 CHIANG KAI-SHEK Chiang Kai-shek, nome con cui è passato alla storia Chiang Chung-cheng (Kai-shek è la pronuncia cantonese del secondo nome Chieshih). Nato a Fenghwa (Chekiang) nel 1887, si diplomò alle accademie militari di Paoting nel 1906 e di Tokyo nel 1907, e nel 1911 prese parte alla rivoluzione. Nel 1923, come capo di Stato Maggiore del Governo di Sun Yat-sen, fu inviato in Unione Sovietica e nel 1924 ottenne l’incarico di comandante dell’accademia militare di Whampoa. Fu a capo della campagna del nord contro i «signori della guerra» e nel 1927, come esponente dell’ala destra del Kuomintang, divenne fautore della rottura con i comunisti; schiacciata l’insurrezione di Shanghai, l’anno seguente costituì il go-

verno nazionalista di Nanchino, in cui ricoprì le massime cariche sia politiche che militari. Nel 1934 dette vita al movimento culturale Vita nuova, di ispirazione neo-confuciana. Nel 1937, dopo anni di guerra civile, firmò l’accordo di collaborazione con i comunisti contro il Giappone e dal 1938 divenne il dirigente incontrastato del Kuomintang. Nel 1943 trattò con W. Churchill e F. D. Roosevelt a Il Cairo la sistemazione della Cina per il dopoguerra e nel 1945 firmò un Trattato di amicizia con l’URSS. Sconfitto nella seconda guerra civile del 19461949, si rifugiò a Taiwan (Formosa), dove si proclamò presidente della Repubblica della Cina Nazionale e dove morì nel 1975.


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