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"In cammino verso un futuro più sostenibile" PAG

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LA SICUREZZA NASCE DALLA CONSAPEVOLEZZA “IN CAMMINO VERSO UN FUTURO PIÙ SOSTENIBILE”

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L’ARPAC, nell’ambito delle attività di tirocinio ha dato avvio a percorsi di comunicazione, educazione ed informazione sulla sostenibilità ambientale e l’ economia circolare; tale formazione costituisce la base per la comprensione degli obiettivi e gli indicatori dell’ Agenda 2030 dell’ ONU e, pertanto, risulta utile e necessaria per gli studenti di qualsiasi Ateneo universitario. L’ Unità Operativa Comunicazione ed URP dell’ Agenzia ha infatti avviato il progetto di tirocinio “La comunicazione per la sostenibilità”, che ha coinvolto due studentesse del corso di studi in “ Green economy” dell’ Università Suor Orsola Benincasa: Rossana D’ Alterio e Ilaria Cirillo. Il percorso, partito con diverse lezioni sui principi legislativi nazionali ed internazionali in materia ambientale, è proseguito con l’analisi del concetto di sviluppo sostenibile e delle sue applicazioni fino a giungere al collegamento con la green economy e l’economia circolare e si concluderà con un laboratorio di comunicazione giornalistica ambientale grazie al supporto del personale dell’ U.O. Comu-Urp. Proprio per sperimentare sul campo quanto finora appreso, i Tutor del tirocinio: Ester Andreotti (Dirigente del Servizio Comunicazione-Urp di Arpac) e Alberto Grosso (Responsabile sez regionale catasto rifiuti) hanno organizzato una visita presso l’inceneritore di Acerra per approfondire gli aspetti legati ai principi di: “differenziare, riciclare e riutilizzare”. Nel corso della presentazione introduttiva alla visita sono stati illustrati alcuni dei numeri dell’ impianto. In un anno, secondo i dati A2 sono stati prodotti 645 gigawattora di energia grazie al recupero dei rifiuti (pari al fabbisogno di 239mila famiglie). Sempre in un anno, (dati anno 2021) sono state circa 730mila le tonnellate di rifiuti trattati. Il termovalorizzatore si compone di tre linee di combustione indipendenti, ciascuna in grado di trattare ogni ora 27 tonnellate di rifiuti trasformandoli in circa 100Mwh di energia. Nel corso della presentazione è stato evidenziato, inoltre, che il termovalorizzatore di Acerra è un sistema sicuro, controllato e protetto, grazie al sistema di monitoraggio delle emissioni attivo 24h su 24, infatti, queste ultime risultano, infatti, altamente al di sotto dei limiti imposti dalla normativa europea e di quelli ancora più restrittivi imposti dall’ A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale). Differenziare, riciclare e riutilizzare i rifiuti è oggi una necessità, solo così è possibile contribuire a recuperare materie prime evitando di sprecare risorse, ma non tutti i rifiuti sono però riciclabili; come si può fare allora?! Un sistema c’è e non è così complicato! Quello che non tutti sanno è che i rifiuti non riciclabili possono diventare una fonte di energia importante, pulita e sicura che grazie ai termovalorizzatori viene recuperata e trasformata in energia elettrica che permette di illuminare le nostre case. Da tale visita si è compreso che la gestione e lo sviluppo del termovalorizzatore di Acerra rappresentano un’importante opportunità economica e ambientale per il nostro paese, ma un impianto funzionale non basta, per intraprendere la strada della sostenibilità è necessario che tutti adottino comportamenti virtuosi, la sensibilizzazione del cittadino alla raccolta differenziata è alla base del processo. (E. A.)

GUANTI NAPOLETANI, I PIU’ FAMOSI DEL MONDO

Nella capitale, intorno al 1830, si concentra tra il Ponte della Maddalena e il mare il maggior numero di concerie; tra le tante emergevano la Gamen, la De Rosa, quella dei fratelli Buongiorno al Mercato, quella di Gaetano Ingegno "a San Giacomo delle Capre sull'Arenella" ("con la vernice di sua invenzione che non si crepola affatto per le piegature"), di Eugenio Salabelle a Posillipo (con la "sua notevole fabbrica, le incerate per fodera di cappelli militari ed i cappelli impenetrabili"). Si segnalavano anche le produzioni di Grassi a Solofra (zona che successivamente diventerà un vero e proprio polo conciario) e di altre fabbriche del salernitano. Ma oltre alla produzione di suole, tomaie e scarpe in genere, era rilevante la produzione di guanti. Anche in questo caso si trattava di una tradizione antica legata alla corporazione che aveva sede nella capitale nel quartiere San Giuseppe ai cosiddetti Guantai Vecchi e presso i Guantai Nuovi, dove si trovavano ancora numerose botteghe di piccoli imprenditori. La lavorazione si svolgeva quasi esclusivamente a domicilio attraverso una foltissima manodopera femminile residente nei quartieri più popolari e popolosi della città. Il lavoro era estremamente frazionato: dopo la concia, le pelli di agnello o di capretto, provenienti quasi tutte dalle Puglie o dagli Abruzzi, passavano alle tintorie e alle sei fasi successive della lavorazione che prevedeva la raffinazione (omogeneizzazione dello spessore), il primo taglio (suddivisione in grosso), secondo taglio (rifilatura secondo la forma della mano), cucitura (a mano o a macchina, spesso "subappaltata" a ragazze più giovani, quasi sempre a domicilio), rifinitura (con ricami, occhielli, bottoni o contrafforti immessi dalle "finimentiste"), apparecchio finale (in fabbrica). Il numero degli addetti era enorme, la qualità gareggiava con quella dei guanti francesi e furono conquistati i mercati degli altri Stati italiani, della Germania, dell'Inghilterra e dell'America; non erano infrequenti i casi di guanti acquistati in Inghilterra e di lì esportati con il marchio “made in England”. In tutto il Regno si producevano fino a 700.000 dozzine di paia di guanti annualmente (100.000 le dozzine prodotte da tutti gli altri Stati italiani). (Pagina a cura di S. Lanza - G. De Crescenzo)

La tradizione delle concerie napoletane risale all'epoca medievale quando, durante il regno degli Angioini, furono concentrate nella zona del Mercato più vicina al mare (tra le strade della Conceria Vecchia e delle Vacche alla Conceria), trasferendole dal centro storico. Il trasloco si era reso necessario per la disponibilità di acqua corrente utile per sciacquare le pelli, della spiaggia per asciugarle e del mare per scaricare le velenose sostanze di risulta che avevano creato problemi agli artigiani nelle sedi precedenti. Nel corso dei secoli altre concerie artigianali si diffusero in Campania presso Solofra, Sapri, Vibonati e Santa Maria Capua Vetere. Solo nella prima metà dell'Ottocento, però, nacquero a Castellammare le prime concerie con lavorazioni di tipo industriale: alcuni imprenditori francesi, avviarono una produzione con nuove tecniche ed una nuova organizzazione del lavoro anche se sempre grazie al sostegno dello stato e con l'impegno di capitali non elevati (un inconveniente finanziario non di poco conto era che all'acquisto delle pelli potevano seguire anche due anni per i lunghi tempi della macerazione). Le innovazioni principali riguardavano la grandezza degli spazi utilizzati, l'aumento del numero delle fosse per la macerazione delle pelli e degli “spanditoi” per asciugarle, la meccanizzazione con mulini ad acqua della macinazione delle cortecce di querce, castagni o pioppi per ricavare il tannino essenziale per la concia . Nel corso del secolo si formarono così operai specializzati che diffusero tecniche e innovazioni in tutto il Regno di Napoli e anche il governo cominciò a rifornirsi presso queste aziende di selle, gambali, borse, cinture e finimenti vari. Nel 1833 si arrivò a dichiarare che "i nostri fabbricanti erano occupati, affollati, pressati da continue ordinazioni" e la sola marina esportava annualmente merci per un valore di circa 115.000 Ducati. (pagina a cura di S. Lanza - G. De Crescenzo)

Antiche concerie, secoli di tradizione

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