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Cop 27 e lo SHARM EL-SHEIKH
climate implementation summit
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di Anna PAPARO
Novembre è il mese dedicato ai negoziati della ventisettesima conferenza delle parti sul clima dell’ONU. Precisamente il sette e l’otto novembre si è tenuto lo “Sharm El-Sheikh Climate Implementation Summit” con la presenza di molti leader politici, fra cui il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il Presidente egiziano, nonché presidente della conferenza annuale dell’Onu sul clima, Abdel Fattah El-Sisi. Il Summit è stato articolato in
sei tavole rotonde seguite da specifici documenti sui temi di giusta transizione, sicurezza alimentare, finanza innovativa per il clima e lo sviluppo, idrogeno verde, sicurezza idrica, cambiamenti climatici e sostenibilità delle comunità vulnerabili. Il Presidente egiziano ha, poi, annunciato l'Agenda di Sharm el-Sheikh per l'adattamento al cambiamento climatico, per migliorare, entro il 2030, la resilienza di ben quattro miliardi di persone che vivono nelle comunità più vulnerabili a causa della crescente crisi climatica. L'Agenda per l'adattamento è il primo piano globale per raccogliere attori statali e non statali intorno a un pacchetto condiviso che vede trenta risultati di adattamento al 2030 su quello che riguarda cibo e agricoltura, acqua e natura, oceani e coste, insediamenti umani e sistemi di infrastrutture, pianificazione e finanza. Nella splendida cornice di Sharm è stato anche diffuso l'Annuario dell'azione globale sul clima 2022, che riferisce ogni anno sui progressi fatti dai soggetti non statali nel raggiungimento dei loro obiettivi legati al clima. Inoltre, l'Annuario mostra che, nonostante gli ostacoli che persistono, il mondo degli affari, gli investitori, le città, gli stati e le regioni stanno costruendo la propria
resilienza e stanno realizzando rapidi cambiamenti nell'economia reale. C’è da dire, poi, che l’operato dei soggetti non statali continua ad aumentare: ben trentaquattro partner provenienti da centotrentanove paesi hanno intrapreso azioni per costruire la resilienza di circa tre miliardi di persone, mentre altri ventisei partner hanno mobilitato più di undicimila attori non statali provenienti da centosedici paesi affinché si adottassero misure per dimezzare le emissioni globali al 2030 e poter, così, arrivare a zero emissioni nette a metà secolo. Dovendo quantificare, l’azione climatica sta diventando più uniforme coinvolgendo varie aree del globo: infatti, l'Annuario registra un aumento del settantotto per cento di attori dell'Asia-Pacifico e del 67% dell'Africa. Un risultato da non sottovalutare in relazione alla lotta ai continui e drastici cambiamenti climatici che sta vivendo la Terra. L’importante è non perdere di vista l’obiettivo, quello di salvaguardare il nostro pianeta che sta vivendo un momento particolarmente difficile. A quanto pare si stanno raggiungendo buoni risultati e queste percentuali evidenziate in Egitto lasciano ben sperare.
COP 27, confermati gli impegni di riduzione delle emissioni
Nasce il Fondo "LOSS AND DAMAGE"
di Giovanni ESPOSITO
Si è conclusa lo scorso 20 novembre l’annuale conferenza sul clima organizzata dall’ONU e cui prendono parte i paesi che hanno sottoscritto la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Riunitasi quest’anno a Sharm el Sheikh, in Egitto, la COP27 ha visto 196 paesi del mondo confrontarsi con l'obiettivo di individuare strategie comuni volte a contrastare gli effetti del cambiamento climatico, e scongiurarne le più gravi conseguenze sull'intero pianeta e la sua popolazione. A differenza di quanto avvenuto a Parigi con la COP 21 del 2015, anno nel quale venne sottoscritto lo storico accordo con cui tutti i paesi partecipanti si impegnavano a ridurre le emissioni inquinanti e a mantenere l'aumento di temperatura inferiore ai 2 gradi, la COP27 di Sharm el Sheikh non si è conclusa con un successo diplomatico. E in verità, le aspettative degli esperti, ancora prima che la conferenza iniziasse, erano piuttosto basse. Già lo scorso anno a Glasgow, durante la Cop26, erano emerse differenze sostanziali tra le posizioni dei paesi occidentali, Stati Uniti ed Unione Europea, e i paesi in via di sviluppo. Distanze che avevano fatto saltare l'accordo sul fondo per le perdite e i danni subiti dai paesi vulnerabili per i cambiamenti climatici (a causa, soprattutto, della paura dei paesi industrializzati di dover pagare un conto troppo salato). Un nodo che la conferenza di quest'anno è riuscita, in extremis, a risolvere, grazie ad uno sforzo che ha portato all’istituzione del Fondo “Loss and Damage”. Tuttavia, sul fronte della riduzione delle emissioni inquinanti, non si è andati oltre la conferma di impegni assunti in precedenza. Viene infatti ribadito il raddoppio a 40 miliardi di dollari entro il 2025 di finanziamenti da dedicare all'adattamento, l'adozione cioè di misure volte a contrastare gli effetti e le vulnerabilità del cambiamento climatico, mentre per le politiche di riduzione dell'impatto dei cambiamenti climatici – la cosiddetta "mitigazione" – resta l'impegno a perseguire l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 2°C, e di tenere “a portata di mano” il target di 1,5, attraverso programmi di riduzione delle emissioni di gas serra. Un punto sul quale è anche emerso, nel documento finale, un severo rimprovero rivolto ai paesi sviluppati i quali, nonostante l’evidente maggiore disponibilità di risorse finanziarie e tecnologiche, continuano a fallire nell’obiettivo di ridurre le proprie emissioni. E l’Italia? Rappresentata in Egitto dal Presidente Giorgia Meloni e dal Ministro Gilberto Pichetto Fratin, ha annunciato un investimento di 1,4 miliardi di euro in cinque anni, con un finanziamento di 840 milioni per il nuovo Fondo Italiano per il Clima. Gestito da Cassa Depositi e Prestiti, rappresenterà un'evoluzione della strategia italiana sulla sostenibilità ambientale, con lo scopo di accelerare i tempi verso il pieno raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, sia pure al netto delle conseguenze della crisi legata all’approvvigionamento energetico.