Il prelievo venatorio del muflone sardo

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Il prelievo venatorio del muflone sardo La storia, la situazione reale e le prospettive per una gestione consapevole della specie

Unione Cacciatori di Sardegna


PH. Marco Loi


Simbolo incontrastato della Sardegna più autentica, il muflone sardo è parallelamente l’emblema della Sardegna che non produce, quella che non sa trovare alternative al cadaverico mondo dell’industria, quella che non sa auto-sostenersi. La fauna selvatica è una risorsa in grado di muovere l’economia senza però esaurirsi, un patrimonio rigenerabile, concetto spesso trascurato da chi ha in mano le redini e crede che il miglior modo per tutelare un’entità animale sia il semplice non far niente. Questo volume è nato con l’intento di fornire una giusta ed equilibrata informazione sulle problematiche relative alla gestione del muflone sardo grazie ad una ricca bibliografia composta da normative e testi scientifici di indubbio valore. Il titolo è provocatorio ma crediamo fortemente sia possibile, alla luce del materiale proposto, parlare di prelievo venatorio del muflone sardo, non prima chiaramente di aver svolto alcune insostituibili operazioni. Vediamole nel dettaglio partendo dalle origini di questo affascinante animale. Bonifacio Cuccu Presidente Unione Cacciatori di Sardegna


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• Il muflone sardo Distribuzione pregressa e attuale: L’areale di origine del muflone comprendeva i territori montuosi dell’Asia minore, del Caucaso e dell’Iran Settentrionale. Si ritiene che questo ungulato sia finito nel Mediterraneo occidentale, circa 8000 anni fa, a seguito di popolazioni in migrazione verso Occidente che praticavano gia la pastorizia. Si pensa che il muflone presente in Sardegna e Corsica discenda da esemplari parzialmente addomesticati che poi progressivamente tornarono in natura. Studi condotti su materiale osteologico hanno rivelato l’esistenza di poche differenze morfo- fenotipiche tra gli attuali mufloni delle isole mediterranee e i loro progenitori del Medio Oriente. Queste differenze riguardano principalmente le dimensioni generali e lo sviluppo delle corna. Dopo la sua introduzione in Sardegna e il suo inselvatichimento il muflone si è largamente diffuso nell’isola andando ad occupare un areale molto vasto. Il bracconaggio ha portato però ad una drastica diminuzione del numero di capi, tanto che già nel 1911 Ghigi ne denunciava il declino (Ghigi, 1917); nel 1969 gli individui erano circa 300-360, ma arrivarono a 15001600 nel 1985 (Cassola, 1985). Il minimo storico si ebbe nel 1978 con meno di 300 individui. Da questo periodo in avanti, conseguentemente ad una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica, che ha portato ad una diminuzione del bracconaggio e del pascolo ovino nelle aree interessate, e in seguito alla creazione di numerose aree protette, si è avuta una ripresa nella crescita delle popolazioni. Attualmente il muflone è presente in Sardegna con circa 6000 capi (Apollonio

et al. 2005) che si trovano tra l’Ogliastra, i monti del Gennargentu e del Supramonte; sul Monte Albo e in aree dell’Azienda Foreste Demaniali (Capo Figari, Capo Cesano, Pabarile e l’Asinara, dove sono presenti popolazioni reintrodotte). La specie è presente anche sugli Appennini e sulle Alpi dove è stata introdotta a partire dalla fine del XVIII secolo (Fig 1). Individui provenienti dalle popolazioni autoctone di Sardegna e Corsica sono stati utilizzati anche per la creazione di colonie nell’Europa continentale, queste contano in totale circa 60000 capi. FONTE DIPARTIMENTO DI ZOOLOGIA E GENETICA EVOLUZIONISTICA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI DIRETTORE: PROF. MARCO APOLLONIO

• Contesto normativo Il muflone sardo è inquadrato in un contesto normativo ormai obsoleto che non tiene conto dell’attuale diffusione e consistenza. Sia la Legge regionale sulla caccia che la legge quadro nazionale ne vietano l’uccisione mentre la direttiva comunitaria 92/43/CEE del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche indica procedure volte alla tutela della specie e il primo passo è rappresentato dalla conoscenza dello stato di salute della popolazione attraverso approfonditi censimenti. Inoltre apre la strada a possibili prelievi selettivi in deroga per proteggere la fauna e la flora selvatiche e conservare gli habitat Naturali e per prevenire gravi danni, segnatamente alle colture, all’allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico e alle acque e ad altre forme di proprietà. La Legge Regionale 21 gennaio 2011, n.5 che regola i prelievi in deroga al calendario venatorio apre la


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La distribuzione del muflone sardo in Italia

Alcune introduzioni di muflone condotte in Italia a partire dalla fine del sec. XVIII

Numero di mufloni stimati nelle varie regioni italiane (2010)


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strada ad un possibile controllo numerico della popolazione di muflone sardo per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca ed alle acque e per la protezione della flora e della fauna. Legge 11 febbraio 1992, n.157 Art.18 “Specie cacciabili e periodi di attività venatoria. 1. Ai fini dell’esercizio venatorio è consentito abbattere esemplari di fauna selvatica appartenenti alle seguenti specie e per i periodi sottoindicati: […] c) specie cacciabili dal 1° ottobre al 30 novembre: pernice bianca (Lagopus mutus); fagiano di monte (Tetrao tetrix); francolino di monte (Bonasa bonasia); coturnice (Alectoris graeca); camoscio alpino (Rupicapra rupicapra); capriolo (Capreolus capreolus); cervo (Cervus elaphus); daino (Dama dama); muflone (Ovis musimon); con esclusione della popolazione sarda; lepre bianca (Lepus timidus); d) specie cacciabili dal 1° ottobre al 31 dicembre o dal 1° novembre al 31 gennaio: cinghiale (Sus scrofa). […] Art.30 Sanzioni penali c) l’arresto da tre mesi ad un anno e l’ammenda da lire 2.000.000 a lire 12.000.000 per chi abbatte, cattura o detiene esemplari di orso, stambecco, camoscio d’Abruzzo, muflone sardo; Legge Regionale 29 luglio 1998, n: 23 “ALLEGATO 1 Elenco delle specie di fauna selvatica particolarmente protetta ai sensi dell’articolo 5, comma 3, della presente legge a) MAMMIFERI PRESENTI IN SARDEGNA

E NELLE SUE ACQUE TERRITORIALI: tutte le specie di cetacei (Cetacea) tutte le specie di Pipistrelli (Chiroptera) Ghiro (Glis glis) Martora (Martes martes) Gatto selvatico (Felis silvestris) Foca monaca (Monachus monachus) Cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus) Daino (Dama dama) Muflone (Ovis musimon) Capra selvatica (Capra Sp) limitatamente alle popolazioni presenti nelle isole di Tavolara e Molara” Legge Regionale 21 gennaio 2011, n.5 Disposizioni integrative della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna). LEGGE REGIONALE 21 gennaio 2011, n. 5 Lunedi 14 Gennaio 2013 Disposizioni integrative della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna). Fonte: BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE SARDEGNA N.3 del 29 gennaio 2011. Il Consiglio Regionale ha approvato Il Presidente della Regione promulga la seguente legge: Art. 1 Modifiche all’articolo 41 della legge regionale n. 23 del 1998 (Mezzi per l’esercizio dell’attività venatoria) 1. Nel comma 1 dell’articolo 41 della legge regionale 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna), dopo le parole “anima liscia” sono aggiunte le parole “o a canna rigata”. 2. Alla fine del comma 1 dell’articolo 36


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della legge n. 23 del 1998, dopo le parole “nei giorni e con le limitazioni previste dalla presente legge e dal calendario venatorio” sono aggiunte le seguenti: “in relazione ai limiti di tempo, di specie cacciabili e di numero di capi abbattibili.”. Art. 2 Integrazioni alla legge regionale n. 23 del 1998 1. Al titolo II della legge regionale n. 23 del 1998, dopo l’articolo 59, è aggiunto il seguente capo: “Capo IV bis (Prelievi in deroga in applicazione dell’articolo 9 della direttiva n. 2009/147/CE) Art. 59 bis (Disciplina dei prelievi in deroga) 1. I principi sui prelievi in deroga di cui all’articolo 9 della direttiva n. 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici sono attuati nella Regione in conformità alle disposizioni di cui all’articolo 16 della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), ed in armonia alle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 3 e 4, all’articolo 9 e all’articolo 19 bis, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). 2. La Regione adotta le deroghe di cui al comma 1, di durata non superiore a un mese, e sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, per le seguenti ragioni: a) nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica; b) nell’interesse della sicurezza aerea; c) per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca ed alle acque; d) per la protezione della flora e della fauna;

e) ai fini della ricerca, dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione, nonché per l’allevamento connesso a tali operazioni; f) per consentire, in condizioni rigidamente controllate ed in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità. 3. L’Assessore regionale della difesa dell’ambiente, previa deliberazione della giunta regionale, su proposta dello stesso Assessore d’intesa con l’Assessore regionale dell’agricoltura e riforma agropastorale e con l’Assessore regionale dell’igiene e sanità e dell’assistenza sociale, adotta le deroghe con provvedimento motivato sulle ragioni che ne impongono l’applicazione, sentito l’Istituto regionale per la fauna selvatica (IRFS) ovvero, se non ancora istituito, un comitato tecnicoscientifico composto da un esperto in materia di ambiente e fauna selvatica, un esperto in materia di coltivazioni agricole, un esperto in materia di salute pubblica. Il comitato tecnico-scientifico è istituito con deliberazione della Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale della difesa dell’ambiente, d’intesa con l’Assessore regionale dell’agricoltura e riforma agro-pastorale e l’Assessore regionale dell’igiene e sanità e dell’assistenza sociale. 4. Il parere dell’organo scientifico di cui al comma 3, a supporto della motivazione sui presupposti, sulla necessità e sulle modalità di applicazione della deroga, dà atto delle indagini scientifiche svolte, prendendo in considerazione anche le segnalazioni, se pervenute, degli uffici tecnici degli Assessorati della Regione, degli uffici tecnici degli assessorati della difesa dell’ambiente e dell’agricoltura delle province, nonché del Corpo forestale e di vigilanza ambientale. 5. L’atto di deroga contiene specificamente l’indicazione: a) delle specie che ne formano oggetto;


b) del numero dei capi prelevabili complessivamen¬te nell’intero periodo, in relazione alla consistenza delle popolazioni di ogni singola specie, per le deroghe motivate ai sensi del comma 1, lettere e) ed f); c) dei controlli e delle forme di vigilanza cui il prelievo é assoggettato; d) delle condizioni di rischio e delle circostanze di tempo e di luogo di applicazione delle deroghe; e) dei mezzi, degli impianti e dei metodi di cattura o di abbattimento consentiti nonché dei soggetti a ciò autorizzati, fermo restando quanto previsto dai commi 7 e 8. 6. Le deroghe di cui alla presente legge non possono essere attivate per le specie per le quali sia stata accertata una grave diminuzione della consistenza numerica, durante il periodo di nidificazione degli uccelli o durante la fase di migrazione per ritorno degli stessi al luogo di nidificazione. 7. I prelievi venatori in deroga autorizzati in applicazione del presente articolo sono effettuati esclusivamente da parte dei soggetti individuati nell’atto di deroga o da agenti del Corpo forestale regionale. 8. I prelievi di cui al comma 7 sono realizzati con le modalità ed i mezzi previsti dagli articoli 40 e 41 della presente legge. 9. Il numero di capi prelevati è annotato al termine di ogni giornata venatoria sulla scheda di rilevamento che i soggetti autorizzati a partecipare agli abbattimenti in deroga ritirano presso il proprio comune di residenza. Le schede di rilevamento sono riconsegnate a cura dei soggetti autorizzati, tramite il comune di residenza o avvalendosi delle associazioni venatorie, alla provincia competente la quale, dopo aver estratto dalle schede acquisite i dati di prelievo, provvede a trasmetterli all’Assessorato regionale della difesa dell’ambiente.”. Art. 3 Abrogazioni


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1. É abrogata la legge regionale 13 febbraio 2004, n. 2 (Norme in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio in Sardegna, in attuazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221). Art. 4 Entrata in vigore 1. La presente legge entra in vigore il giorno della sua pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione autonoma della Sardegna (BURAS). La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione. Data a Cagliari, addì 21 gennaio 2011 Cappellaci DIRETTIVA 92/43/CEE DEL CONSIGLIO del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche “SPECIE ANIMALI E VEGETALI D’INTERESSE COMUNITARIO LA CUI CONSERVAZIONE RICHIEDE LA DESIGNAZIONE DI ZONE SPECIALI DI CONSERVAZIONE Interpretazione a) L’allegato II è complementare dell’allegato I per la realizzazione di una rete coerente di zone speciali di conservazione. b) Le specie che figurano nel presente allegato sono indicate: — con il nome della specie o della sottospecie oppure — con l’insieme delle specie appartenenti ad un taxon superiore o ad una parte designata di tale taxon.

L’abbreviazione spp. dopo il nome di una famiglia o di un genere serve a designare tutte le specie che appartengono a tale genere o famiglia. c) Simboli L’asterisco (*) davanti al nome di una specie indica che si tratta di una specie prioritaria. La maggior parte delle specie incluse nel presente allegato sono riprese nell’allegato IV. Quando una specie è inclusa nel presente allegato ma non è ripresa né nell’allegato IV, né nell’allegato V, il suo nome è seguito dal segno (o); quando una specie inclusa nel presente allegato non è ripresa all’allegato IV ma figura all’allegato V, il suo nome è seguito dal segno (V). Allegato II M3 Bovidae * Bison bonasus Capra aegagrus (popolazioni naturali) * Capra pyrenaica pyrenaica Ovis gmelini musimon (Ovis ammon musimon) (popolazioni naturali — Corsica e Sardegna) Ovis orientalis ophion (Ovis gmelini ophion) * Rupicapra pyrenaica ornata (Rupicapra rupicapra ornata) Rupicapra rupicapra balcanica · Rupicapra rupicapra tattica · ALLEGATO IV SPECIE ANIMALI E VEGETALI DI INTERESSE COMUNITARIO CHE RICHIEDONO UNA PROTEZIONE RIGOROSA Le specie che figurano nel presente allegato sono indicate: — con il nome della specie o della sottospecie oppure — con l’insieme delle specie appartenenti ad un taxon superiore o ad una parte indicata di detto taxon. L’abbreviazione «spp». dopo il nome di una


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famiglia o di un genere serve a · designare tutte le specie che appartengono a tale genere o famiglia. ” Bovidae Bison bonasus Capra aegagrus (popolazioni naturali) Capra pyrenaica pyrenaica Ovis gmelini musimon (Ovis ammon musimon) (popolazioni naturali — Corsica e Sardegna) Ovis orientalis ophion (Ovis gmelini ophion) Rupicapra pyrenaica ornata (Rupicapra rupicapra ornata) Rupicapra rupicapra balcanica · Rupicapra rupicapra tattica Articolo 16 1. A condizione che non esista un’altra soluzione valida e che la deroga non pregiudichi il mantenimento, in uno stato di conservazione soddisfacente, delle popolazioni della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale, gli Stati membri possono derogare alle disposizioni previste dagli articoli 12, 13, 14 e 15, lettere a) e b): a) per proteggere la fauna e la flora selvatiche e conservare gli habitat naturali; b) per prevenire gravi danni, segnatamente alle colture, all’allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico e alle acque e ad altre forme di proprietà; c) nell’interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e motivi tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente; d) per finalità didattiche e di ricerca, di ripopolamento e di reintroduzione di tali specie e per operazioni di riproduzione necessarie a tal

fine, compresa la riproduzione artificiale delle piante; ▼B 1992L0043 — IT— 01.01.2007 —005.001 —11 e) per consentire, in condizioni rigorosamente controllate, su base selettiva ed in misura limitata, la cattura o la detenzione di un numero limitato di taluni esemplari delle specie di cui all’allegato IV, specificato dalle autorità nazionali competenti. 2. Gli Stati membri trasmettono alla Commissione ogni due anni una relazione, conforme al modello elaborato dal comitato, sulle deroghe concesse a titolo del paragrafo 1. La Commissione comunica il suo parere su tali deroghe entro il termine massimo di dodici mesi dopo aver ricevuto la relazione e ne informa il comitato. 3. Le informazioni dovranno indicare: a) le specie alle quali si applicano le deroghe e il motivo della deroga, compresa la natura del rischio, con l’indicazione eventuale delle soluzioni alternative non accolte e dei dati scientifici utilizzati; b) i mezzi, sistemi o metodi di cattura o di uccisione di specie animali autorizzati e i motivi della loro utilizzazione; c) le circostanze di tempo e di luogo in cui tali deroghe sono concesse; d) l’autorità abilitata a dichiarare e a controllare che le condizioni richieste sono soddisfatte e a decidere quali mezzi, strutture o metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da quali servizi e quali sono gli addetti all’esecuzione; e) le misure di controllo attuate ed i risultati ottenuti.


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• Lo stato dell’arte sui censimenti Uno degli strumenti chiave che la Regione Sardegna impiega per la pianificazione faunistico-venatoria è la Carta delle Vocazioni Faunistiche. Si tratta di un insieme di studi scientifici che suddividono il territorio regionale in aree faunistiche omogenee. In ciascuna area vengono indicate le specie tipiche presenti, la relativa vocazione faunistica, gli areali di distribuzione, le consistenze, le dinamiche, le idoneità ambientali, gli impatti attuali e potenziali e le indicazioni gestionali riferite alle singole specie alla luce dei dati acquisiti. Recentemente in occasione di un seminario, l’Assessorato regionale all’Ambiente ha presentato gli aggiornamenti della CVF, la cui precedente edizione era ferma al lontano 2005. Veniamo al punto. In linea di massima i nuovi studi hanno evidenziato un buon aumento degli ungulati su tutto il territorio regionale, gli areali di presenza attuali del cervo sardo sono aumentati del 22% rispetto al 2005 (71000 ettari), quelli del daino sono aumentati del 55% (28000 ettari), quelli del muflone sono aumentati dell’11% (137000 ettari). Questi risultati devono essere considerati prudenziali e quindi sottostimati ma sicuramente associabili ad un minimo certo di consistenza. Ebbene, consultando i mappali relativi agli areali di cervo e muflone e ci siamo resi conto che di fatto, i dati sono ancora più incoraggianti di quelli emersi dall’aggiornamento. Infatti, è presente una altissima densità di cervi e mufloni nei loro areali storici con una buona tendenza all’ampliamento delle popolazioni. Gli stessi autori della CVF sostengono che perseguire la gestione corretta delle specie di ungulati implica la necessità di organizzare e realizzare il monitoraggio

continuo delle popolazioni, con l’utilizzo di tecniche di conteggio scientificamente valide. Questa richiesta sembra però non essere nemmeno stata presa in considerazione dalle province. Proprio quelle province che, attraverso corsi per coadiutori nel controllo della fauna selvatica, potrebbero incrementare notevolmente il personale specializzato nei censimenti. Per comprendere la gravità della situazione ed il disinteresse degli Enti in materia, basti pensare che le leggi in materia di caccia (legge 157/92 e Direttiva habitat 92/43/CEE.) fanno riferimento a dati ormai vecchi di decenni, in cui si parla di 1500 capi di muflone sardo quando attualmente potrebbero essere più di 10000. Paradosso tutto italiano. Comunque sia c’è da essere ottimisti, il progressivo abbandono della campagna a seguito della riduzione di agricoltura e pastorizia, consentirà una abbondante diffusione degli ungulati. Conseguentemente, l’intervento della caccia finalizzata alla corretta gestione del territorio sarà sempre più indispensabile. Aggiornamento della Carta delle Vocazioni Faunistiche della Sardegna 2012 Sezione Ungulati Prof. Marco Apollonio Dott. Siriano Luccarini Dott. Antonio Cossu Dott.ssa Roberta Chirichella Università degli Studi di Sassari “2.4 Areali di distribuzione del muflone (Ovis orientalis musimon) L’aggiornamento della distribuzione del muflone in Sardegna è stato condotto mediante


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indagini svolte in maniera analoga alle altre specie, ovvero non solo all’interno dei confini delle aree indicate nella Carta delle Vocazioni Faunistiche del 2005 ma anche nelle aree immediatamente circostanti ad esse. Nell’elenco sottostante vengono riportate le località oggetto di indagine. o Foresta Demaniale di Montes (NU) o Foresta Demaniale Pabarile (OR) o Foresta Demaniale di Monte Lerno (SS) o Monti del Gennargentu (Punta la Marmora, Monte Spada) (NU) o Foresta Demaniale Montalbo (NU) o Foresta Demaniale Monte Olia (OT) o Parco Nazionale dell’Asinara (SS) o Z.T.R.C. Capo Figari, e Donnigheddu (OT) Durante i sopralluoghi, sono stati ricercati tutti quei segni che potessero ricondurre alla presenza certa del muflone: avvistamenti diretti, escrementi, impronte e marcature sicuramente attribuibili alla specie. Inoltre, sono state svolte indagini faunistiche mirate, tramite analisi cartografica che coinvolgevano persone che abitualmente frequentano le aree di interesse (per es. dipendenti E.F.S.), molte delle quali già contattate per la redazione della Carta delle Vocazioni Faunistiche del 2005. […] La distribuzione attuale del muflone, come poco sopra specificato, è stata determinata, partendo da quanto ottenuto nel 2005, realizzando sopralluoghi mirati nelle aree ritenute centrali della distribuzione della specie ma soprattutto

ai margini delle medesime in modo da ottenere dei limiti della distribuzione il più possibile accurati. Quello che resta dell’areale originale del muflone in Sardegna si articola su due subareali: uno di maggiori dimensioni, relativo al Supramonte, al massiccio del Gennargentu ed ai rilievi montuosi dell’Ogliastra, l’altro relativo al Monte Albo. Esistono poi nuclei frutto di operazioni di reintroduzione, più o meno recenti, e di dimensioni differenti collocati sull’isola dell’Asinara, sui Monti Ferru in località Pabarile, a Capo Figari e Donigheddu nel comune di Golfo Aranci e in due zone in prossimità del Monte Genis a Villassalto. Inoltre, debbono essere citati alcuni nuclei originatisi da fughe occasionali o da aperture fortuite di recinti e non da vere e proprie operazioni di reintroduzione. Tali nuclei, essendo spesso limitati a poche decine di individui, rendono difficoltosa la contattabilità degli animali e pertanto non suscettibili di censimento. Tali aree sono localizzate in prossimità di cantieri forestali riportati nelle’elenco sottostante: - F.D Monte Limbara nel versante di Berchidda - F.D Monte Lerno a Pattada - F.D Su Filigosu nel comune di Oschiri - F.D Monte Olia a Monti - F.D. Usinavà a Torpè - F.D. Sos Littos ad Alà dei Sardi - F.D. Alase ad Aritzo - F.D. Montimannu a Villacidro - F.D. Settefratelli a Sinnai. In generale appare evidente come la


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distribuzione relitta della specie sia legata alla presenza di rilievi di quota medioalta con presenza di rocce esposte e forti pendii. I nuclei reintrodotti, invece, hanno una distribuzione che risulta più eterogenea rispetto alle altitudini (due nuclei sono in aree costiere che non superano i 400 metri) pur mantenendo la presenza di aree rocciose come una costante ambientale. L’areale di presenza del muflone su scala regionale, rispetto a quanto ottenuto nel 2005, risulta incrementato complessivamente di circa l’11%, arrivando ad occupare circa 137318 ettari, localizzati principalmente sui massici montuosi del Supramonte e del Gennargentu. 3.9 Stima della consistenza del muflone su scala regionale L’attuale areale di distribuzione del muflone, come riportato nel capitolo 2, risulta articolato su 5 sub-areali, suddivisi fra aree di distribuzione originaria e aree derivate da recenti reintroduzioni. Come si è visto nel paragrafo precedente sono stati aggiornati i dati di censimento per gli areali originari di Pabarile e di Capo Figari, quest’ultima non oggetto di indagine per la stesura della Carta delle Vocazioni Faunistiche del 2005, mentre per si è proseguito il monitoraggio per l’area di Montes. Per quanto riguardano gli altri due comprensori, ovvero Asinara e Monte Albo, nel primo caso non sono stati replicati i censimenti in quanto si tratta di una popolazione che insiste su di un’isola e di conseguenza il suo contributo potenziale allo sviluppo numerico della consistenza regionale della specie può considerarsi nel tempo costante. Inoltre a seguito di sopralluoghi svolti nell’area è emersa una sostanziale stabilità della specie, mentre per la seconda area i sopralluoghi sul Monte Albo, hanno accertato una limitata presenza della

specie con una distribuzione abbastanza circoscritta. Con l’aumento delle aree di indagine dislocate nel Supramonte e nel Gennargentu, è possibile disporre di dati di censimento riferiti a meta-popolazioni presenti all’interno dell’areale di distribuzione principale. In queste aree in cui era stata segnalata anche durante la stesura della Carta delle Vocazioni Faunistiche del 2005 una importante presenza di mufloni, i dati di censimento hanno confermato valori di densità in linea con quelli dell’area storica di Montes. Alla luce di tutte queste considerazioni per la stima della consistenza su scala regionale si sono adottati due differenti parametri di densità in funzione del tipo di areale di distribuzione: per la parte centrale dell’areale principale di presenza storica della specie, caratterizzato spesso dalla presenza di cantieri forestali dove il muflone gode di una discreta protezione dalla competizione con i domestici,, si è adottata una densità analoga a quella riscontrata a Montes ovvero 15 capi/100 ettari, mentre per la parte periferica dell’areale storco e per gli areali di recente costituzione o per i quali era emersa una presenza limitata della specie è stata adottata una densità prudenziale di 3.5 capi/100ha (circa ¼ della densità massima). Nel complesso la consistenza complessiva di questa specie sull’intero territorio regionale si attesta sui 7000 – 7500 capi circa mostrando un contenuto incremento rispetto alla stima del 2005, che si accorda anche con il modesto ampliamento della sua distribuzione spaziale. 5.9 Esecuzioni di censimenti Le considerazioni gestionali contenute nella Carta delle Vocazioni Faunistiche del 2005 ribadivano la fondamentale importanza


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della corretta conoscenza della densità e della consistenza delle diverse popolazioni di Ungulati presenti sull’isola. Di conseguenza, sulla base della consapevolezza che qualsiasi operazione gestionale che si intende intraprendere non può prescindere dalla definizione di vere e proprie stime quantitative (consistenza e densità) di una popolazione, svolge un ruolo di essenziale rilevanza la programmazione e l’applicazione di metodologie standardizzate e scientificamente valide di censimento, che assumono maggior valore se integrate con informazioni relative alla idoneità ambientale che caratterizza le aree che ospitano le diverse popolazioni. 5.10 Tavolo tecnico regionale per la gestione degli ungulati Come più volte ricordato la gestione degli ungulati sardi in una fase come quella attuale, che presenta eccellenti premesse per la ricostituzione di popolamenti vitali ed estesi da un lato ma nel contempo inizia a comportare problematiche di una certa complessità, necessita di strumenti di coordinamento ben organizzati. In questo senso il Tavolo Tecnico a suo tempo costituito dall’Assessorato Ambiente, con la partecipazione di componenti dell’ Assessorato Ambiente, delle Provincie, delle Università sarde, dell’Ente Foreste, del Corpo Forestale Regionale e dell’ ISPRA, può rappresentare un elemento fondamentale per giungere a dei momenti di sintesi a livello regionale delle attività di gestione degli ungulati che necessitano di un ampio respiro temporale e spaziale e che più volte sono stati ricordati nelle pagine precedenti, così come nel definire l’adozione di protocolli di monitoraggio univoci. Sarebbe opportuno definire almeno due riunioni annuali cui dedicare una adeguata preparazione preliminare

per affrontare i diversi aspetti gestionali e poter contare su una regia organizzativa rappresentata, come è stato in origine, dall’Assessorato all’Ambiente. 8. PROPOSTE GESTIONALI PER IL MUFLONE 8.1 Premessa alle proposte gestionali per il muflone Il muflone rappresenta in Sardegna una entità faunistica storicamente autoctona, nel senso che la sua presenza sull’Isola data a circa 6000 anni prima di Cristo ed è il prodotto di una protointroduzione eseguita con esemplari provenienti dal vicino Oriente. La sua attuale distribuzione è la più ampia fra i ruminanti selvatici e nel contempo quella meno lontana ad una distribuzione potenziale indicata dai nuovi modelli elaborati. Nel contempo è interessante notare come la sua consistenza sia stata in passato stimata in modo largamente impreciso con forti sottostime: solo la passata redazione della Carta delle Vocazioni Faunistiche del 2005, confermata dal presente aggiornamento 2012, ha indicato rispettivamente in circa 6000 e 7000 capi la consistenza totale sull’Isola mentre precedenti documenti IUCN la indicavano in 1500. Questo qualifica la specie come molto ben diffusa e relativamente abbondante. Nel contempo giova ricordare come la popolazione sarda goda del medesimo status di protezione del cervo sardo sostanziate sia a livello nazionale (legge 157/92) che europeo con la Direttiva habitat 92/43/CEE. 8.2 Proposte gestionali dei nuclei di muflone Come precedentemente evidenziato appare chiaro come un monitoraggio eseguito con cadenza annuale e svolto con metodi di


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censimento standardizzati risulti una priorità, in particolare tale azione andrebbe condotta su ampia scala. Appare evidente infatti come, a differenza del cervo sardo queste operazioni siano tutt’altro che diffuse sul territorio regionale e che manchi totalmente uno schema di lavoro in questo senso. Nello svolgimento di questa indagine abbiamo voluto ampliare le aree di censimento a zone prive di tutela come quelle del Gennargentu, non inserita in Oasi di Protezione e/o Cantieri Forestali, ottenendo risultati senza dubbio incoraggianti, e tali da far ritenere che la stima complessiva di consistenza totale di questa specie in Sardegna sia ampliamente prudenziale. Un secondo elemento che è emerso con chiarezza dagli studi condotti nel corso di una ricerca finanziata dall’Assessorato Ambiente sulla biologia del muflone è il forte impatto che la pastorizia ha su questa specie. Si rende quindi necessario valutare con una certa attenzione la possibilità di introdurre pratiche di uso dei pascoli in pastorizia che risultino maggiormente compatibili con la biologia della specie, in particolare per quanto concerne le tempistiche di occupazione dei pascoli e la presenza di cani al seguito delle greggi. Una terza iniziativa che andrebbe considerata in aree di compresenza di bestiame ovino e mufloni è quella di un maggiore controllo sanitario degli ovini domestici, in considerazione della evidente trasmissibilità di patologie fra la forma domestica e quella selvatica, rappresentata dal muflone. Infine, in analogia a quanto indicato per il cervo sardo si auspica la rimozione di tutti i recinti posti all’interno o in prossimità di areali storici o derivati da reintroduzioni. Vale la pena di notare come questa condizione esista sia per l’areale storico nell’area Supramonte-Gennargentu con due recinti, sia per il Montalbo con un recinto. Inoltre anche nuclei di recente costituzione come quelli del cagliaritano

hanno una compresenza di recinti contenenti mufloni nella medesima area. 8.3 Reintroduzioni di muflone In seguito alle elaborazioni svolte nell’ambito della precedente stesura della Carte delle Vocazioni Faunistiche della Sardegna erano state formulate delle proposte di reintroduzione (Fig. 8.3.1). Tali proposte non hanno avuto seguito ma, come più volte ricordato in questa relazione, negli ultimi sette anni si sono verificate fughe da recinti che hanno condotto alla presenza di individui nelle prossimità dei recinti stessi in almeno cinque casi, come si può evincere dalla figura 8.3.2 riferita alle proposte di reintroduzione 2012.

• Eco-sostenibilità del territorio La chiave di volta per passare ad una gestione venatoria del muflone sardo è rappresentato dall’impatto che questo animale ha sul terreno che lo ospita. Il muflone infatti non avendo predatori naturali come il lupo, è presente in alcuni areali con densità che vanno oltre la capacità portante del territorio con il conseguente danneggiamento di alcune essenze endemiche che necessitano di una forte protezione.

Intervista prof. Roberto Scotti docente assestamento forestale Università di Nuoro


Il prelievo venatorio del muflone sardo

“Il muflone nel Gennargentu è una risorsa naturale, produce e consuma il territorio. L’esistenza di questa risorsa, la sua possibilità di riprodursi è in competizione con le altre risorse naturali e anche con le risorse di carattere antropico in particolare con l’allevamento zootecnico. I problemi di gestione del muflone non possono essere considerati in isolamento ma vanno visti nel quadro della gestione delle risorse del territorio. Questo quadro si sviluppa oggi con un riferimento abbastanza approfondito: si parla di gestione sostenibile, una gestione che tiene in conto in modo equilibrato sia delle risorse dal punto di vista ecologico, che della economicità dell’ economia delle azioni che si svolgono e degli aspetti socio-culturali che le attività sul territorio comportano. Nel Gennargentu la condizione dal punto di vista ecologico è particolarmente critica. Il sovrapascolamento dovuto al carico di animali domestici è facilmente rilevabile e oramai una costante con un effetto di declino delle capacità del territorio. Il Gennargentu è il cuore del cuore della Sardegna, un territorio che mostra i segni della presenza dell’uomo sia molto antichi che più recenti, con uno squilibrio molto forte del significato che questi segni danno per il futuro. Lo sfruttamento attuale con questa presenza molto importante dell’asfodelo, il fiore bianco che vediamo un po’ dappertutto e un segnale invece di uno sfruttamento eccessivo. Gli strumenti di cui la regione si è dotata in particolare il Piano Ambientale Forestale Regionale prevedono che sia la comunità locale a promuovere e gestire la pianificazione. In questo quadro, lo sviluppo sostenibile include che anche le attività zootecniche trovino una loro collocazione, una loro valorizzazione, facciano parte è dell’economia, è della salvaguardia dell’ambiente.” L’Ente Foreste per la salvaguardia della roverella sul Gennargentu

I risultati di un recente studio condotto da ricercatori dell’Università di Firenze in stretta collaborazione con l’Ente Foreste ed il Corpo Forestale, rivelano una situazione di emergenza per uno degli alberi forestali più rappresentativi del Gennargentu: la roverella. In Sardegna, nella porzione culminale del Gennargentu (NU), cuore montuoso dell’Isola, oltre i 1200 m di quota, una serie di concause hanno progressivamente causato un’alterazione talmente forte delle antiche selve dominate dalla roverella (Quercus pubescens Willd.) che oggi della specie rimangono esclusivamente relitti, spesso monumentali, ormai sull’orlo dell’estinzione. Infatti, come hanno rivelato recenti studi condotti da ricercatori dell’Università di Firenze in stretta collaborazione con l’Ente Foreste della Sardegna ed il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale, attraverso analisi cartografiche multitemporali che hanno analizzato il dinamismo di tali formazioni in particolare nell’ultimo trentennio, boschi e piante vetuste (anche di 500 anni e più) di roverella stanno progressivamente scomparendo. Tale tendenza, se non contrastata al più presto attraverso l’urgente individuazione e applicazione di strategie idonee di conservazione e salvaguardia assoluta, potrebbe portare a scomparsa definitiva alle alte quote del Gennargentu di uno dei suoi alberi forestali più rappresentativi e familiari. FONTE WWW.SARDEGNAAMBIENTE.IT IL GENNARGENTU E LA GESTIONE DEL TERRITORIO Lista rossa IUCN - WWF: “Sono 266 le specie italiane che rischiano di sparire”. Al top squali, razze, cetacei, uccelli palustri, pesci di fiume, tartarughe marine e fiori rarissimi. E perfino pipistrelli. WWF chiede


al nuovo Governo il Piano Nazionale per la Biodiversità e leggi per proteggere fauna e flora. Mentre in Sardegna rischiano di scomparire le due aquilegie del Gennargentu (barbaricina e nuragica), la Poligala sinisica o il raro ribes sardo, il lamyropsis microcephala, una specie di cardo sempre del Gennargentu, e la buglossa sarda, una specie di borragine che cresce sulle dune. FONTE WWW.ENCANTA.IT • INFORMATORE BOTANICO ITALIANO, 43 (2) 381-458, 2011 389 Schede per una Lista Rossa della Flora vascolare e crittogamica Italiana PIANTE VASCOLARI: SPERMATOFITE Aquilegia barbaricina Arrigoni & E. Nardi G. FENU, E. MATTANA, A. CONGIU, J.L. GARRIDO e G. BACCHETTA Tipo corologico e areale globale. Endemismo sardo, esclusivo delle aree montane della Sardegna centro orientale. Minacce. A. barbaricina è considerata una tra le specie più minacciate della Sardegna e, per tale motivo, è stata inserita tra i 50 taxa in maggiore pericolo di estinzione delle Isole del Mediterraneo (MONTMOLLIN DE, STRAHM, 2005). Una delle principali minacce è determinata dal prelievo incontrollato di individui o di parti degli stessi a scopi scientifici o per collezionismo (Minaccia 10.2: Research); informazioni e immagini della specie sono comunemente riportate nelle numerose guide turistiche e su siti internet, divenendo quindi un’attrazione per i collezionisti e i turisti poco sensibili. Per tale motivo non vengono fornite nel presente contributo indicazioni precise circa la localizzazione delle popolazioni. Anche il pascolo brado, in buona parte

legato all’elevato numero di ungulati selvatici (Minaccia 11: Overgrazing) e il calpestio degli stessi, determinano notevoli danni alle popolazioni, in particolare sul Gennargentu. La frammentazione e modificazione dell’habitat, determinata dal pascolo e dalle attività antropiche, costituisce una seria minaccia per il taxon (Minaccia 1: Habitat loss/degradation, in particolare Minaccia 1.2.2: Change of management regime). L’esiguo numero di individui riproduttori per popolazione costituisce una ulteriore seria minaccia (Minaccia 9.5: Low densities), cui si associa il ristretto range ecologico (Minaccia 9.9: Restricted range) che impedisce al taxon di diffondersi in aree limitrofe o in altri habitat ecologicamente similari (Minaccia 9.1: Limited dispersal). Una minaccia potenziale, soprattutto per le popolazioni delle codule del Supramonte, è legata alla naturale evoluzione delle pareti rocciose e degli ambienti glareicoli, oltre che ai frequenti fenomeni alluvionali (Minaccia 7: Natural disasters; Minaccia 7.2: Storms/flooding; Minaccia 7.6: Avalanches/ landslides). Criteri IUCN applicati. L’assegnazione di A. barbaricina a una categoria di rischio è stata realizzata principalmente sulla base del criterio B. • Sinonimi: Cirsium microcephalum Moris; Chamaepeuce microcephala (Moris) Lojac.; Lamyra microcephala (Moris) Sojàk Divisione: Angiospermae Famiglia: Asteraceae Nomi italiani: Cardo del Gennargentu Periodo di fioritura: VII-VIII


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Habitat: luoghi degradati pietrosi Descrizione: pianta perenne cespugliosa alta fino a 80 cm con fusto erettoascendente, striato-solcato e grigiotomentoso, semplice o talvolta ramoso in alto; foglie lanceolate grossamente dentate con lacinie laterali bi-tripartite provviste di robuste spine terminali dorate, pagina superiore verde, glabrescente e coriacea, con evidente nervatura mediana lanoso-biancastra, pagina inferiore grigiotomentosa; capolini terminali subsessili singoli o in fascetto apicale con fiori tubulosi di colore bianco-rosato; brattee involucrali lanceolate, le esterne spinose; frutto achenio con pappo setoloso. Specie estremamente rara endemica della Sardegna presente in pochissime stazioni sui monti del Gennargentu. È una pianta protetta a livello nazionale ed è inserita nelle categorie IUCN (the International Union for Conservation of Nature) come CR (CRITICALLY ENDANGERED) = GRAVEMENTE MINACCIATA, con serio pericolo di estinzione in natura nell’immediato futuro. Fonte sardegnaflora.it

• La situazione attuale Intervista Prof. Marco Apollonio docente Università di Sassari “Il muflone in Sardegna attualmente è in una fase di evidente ripresa se si confrontano i dati che abbiamo recentemente ottenuto con la preparazione della Carta delle Vocazioni Faunistiche della Sardegna con quelli di alcuni anni addietro ottenuti per fare un atlante delle caprine di tutto il mondo e addirittura dalla fine degli anni 70, nelle due occasioni precedenti veniva evidenziata una

fortissima contrazione del muflone e questo era vero sopratutto verso la fine degli anni 70 sia in termini distributivi che in termini numerici. Attualmente il muflone è l’ungulato diffuso sull’areale più ampio di tutta la regione Sardegna e la sua consistenza stimata è di circa 6000 capi, quindi ben superiore alle stime del passato che lo davano in poche centinaia alla fine degli anni 70 e in circa 3000 capi alla metà degli anni 9. Questo non significa che lo stato del muflone sia garantito se alcune misure di tutela non vengono adottate, queste misure di tutela vanno da una maggiore attenzione alla protezione vera e propria in termini di sorveglianza a una politica attiva di reintroduzione nelle aree che storicamente ospitavano questa specie e che hanno mantenuto le potenzialità in questo senso, aree che sono più vaste dell’attuale areale del muflone e che potrebbero ospitare un numero di mufloni più che doppio rispetto all’attuale quindi in buona sostanza ci potremo trovare a veder raddoppiare la popolazione del muflone sardo con delle operazioni opportune di reintroduzione, questa sicuramente è la prima e la più urgente delle opzioni di gestione della specie. A parte questa si tratterà di tutelare l’esistente e a livello sperimentale, previa una verifica molto attenta sia delle condizioni di densità sia delle disponibilità locali in termini umani e in termini politici di una possibile gestione sperimentale attiva che però dovrebbe passare attraverso dei momenti legislativi che prevedano l’istituzione degli ATC e della caccia di selezione propriamente detta quindi l’effettuazione di corsi di abilitazione che siano realmente selettivi, il legame del cacciatore al territorio in piccoli distretti, l’effettuazione di piani di prelievo, la verifica dei piani di prelievo. Questa è una opzione di prelievo che non riveste un carattere di urgenza, nel senso che il muflone può benissimo sopravvivere senza nessun tipo di gestione attiva allo stato attuale però potrebbe rappresentare un


Il prelievo venatorio del muflone sardo

momento di coinvolgimento soprattutto delle popolazioni locali in una idea complessiva di valorizzazione di questa specie sull’Isola. Il caso muflone sardo è particolarmente delicato perché visto le difficoltà del clima, le popolazione sarde di mufloni, hanno una produttività fortemente inferiore a quelle delle popolazioni continentali quindi è chiaro che avendo una popolazione che accresce lentamente, i prelievi ammissibili per tenere la popolazione stabile sono piuttosto modesti. Dopodichè ci vuole la possibilità di effettuare un controllo efficace sul prelievo sempre all’interno dei distretti di caccia con una gestione adattativa anno per anno che abbia come fine la conservazione della densità che si riscontra all’inizio della gestione quand’anche non ci sia come obbiettivo quello di aumentare la popolazione e quindi attuare un prelievo ancora più modesto però è molto importante questo iter perché estremamente pedagogico nel senso che si aiutano i cacciatori ad attuare una forma di caccia moderna ed evoluta che poi diventa benefica per tutte le specie che vengono gestite in questo modo, voglio dire che la caccia di selezione è un modello di gestione venatoria non è semplicemente una tecnica che và adottata per una o poche specie.”

• La situazione agropastorale futura Il principale competitore alimentare del muflone è l’uomo, attraverso l’allevamento zootecnico allo stato brado infatti, diminuiscono le risorse trofiche. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una forte regressione della pastorizia nell’area del Gennargentu a seguito di alcune concause, vediamole nel dettaglio.

Crisi della pastorizia

Secondo la Coldiretti le attività zootecniche allo stato brado che insistono sui rilievi del Gennargentu (areale storico del muflone sardo) sono in costante regressione a causa degli alti costi che gli allevatori devono sostenere per lavorare in aree poco produttive. Inoltre la difficoltà di accesso alle premialità della Comunità Europea mettono a serio rischio le attività pastorali nell’area del Gennargentu e non è surreale pensare che nel giro di qualche anno sul Gennargentu non ci sarà più pastorizia. «Le difficoltà principali – dice Salvatore Loriga (Laore) – arrivano dal rincaro delle materie prime: gasolio, mangimi, semenze hanno raggiunto costi insostenibili». Succede che i contadini hanno una pellaccia dura e molto orgoglio e difficilmente si affidano alle banche. E questa forse è la loro salvezza perché l’indebitamento è basso. Però per sopravvivere sono costretti a tirare la cinghia e dunque a risparmiare sulle colture. Ma meno concimi equivale e produzioni inferiori: «Un ettaro grano – prosegue Loriga – comporta spese di gestione di 600 euro annui. Se uno possiede 50 ettari, quanto dovrebbe anticipare prima della raccolta? Se spingi bene con concimi e arature la resa è di 25 quintali a ettaro, ma da noi, con una gestione al risparmio, la resa media è meno di 15 quintali. Ecco che l’azienda non è competitiva». A questo punto se vendi bene compensi, altrimenti non hai scampo. «Ma un litro di latte viene pagato meno dell’acqua minerale – si lamenta Cualbu – come si fa a rientrare nei costi con 60 centesimi a litro? I mangimi sono rincarati di 5-6 euro al quintale, non parliamo dei medicinali. La Regione non si sobbarca più i costi di irrigazione, i sostegni comunitari arrivano troppo tardi».


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Sviluppo sostenibile delle attività agro – pastorali La tutela e la valorizzazione del Gennargentu sono temi su cui il dibattito è aperto da quasi un secolo, senza però che si sia mai arrivati ad una soluzione tale da garantire l’effettiva tutela necessaria e lo sviluppo sostenibile del territorio. La discussione sul Parco Nazionale del Gennargentu, che a più riprese ha infiammato il dibattito politico in Sardegna, è stata spesso condotta sui binari dello scontro, e frequentemente, è stata oggetto di strumentalizzazione a scopi elettorali. Il risultato è stato che, attualmente, una delle aree più suggestive del Mediterraneo non è tutelata nella maniera opportuna, e contestualmente non sono adeguatamente valorizzate le produzioni agro-silvo-pastorali, né le potenzialità turistico ricreative. Tutto questo in un quadro complessivo di spopolamento ed invecchiamento della popolazione e di mancanza di validi progetti di sviluppo alternativi. Come si evince dal capitolo 2, sull’area gravano una serie di Istituti di Tutela, che hanno però effetto soltanto sulla carta, non avendo alcuna ricaduta sul territorio, se non limitatamente al dragaggio sporadico di qualche fondo Comunitario. Le Amministrazioni locali, che più volte hanno manifestato la contrarietà ad un progetto di sviluppo guidato da un Ente esterno, dimostrano quotidianamente di non aver né i mezzi, né soprattutto le competenze, per poter assolvere alla gestione corretta del proprio territorio. Anche la pianificazione legata all’istituzione dell’Area SIC, si trova attualmente in una fase di stallo, ed il piano, redatto dai Comuni oltre i termini stabiliti, è in fase di approvazione da parte della Regione Autonoma della Sardegna. È auspicabile che, una volta adottato il Piano di Gestione, si verifichino le condizioni per garantire, almeno, la salvaguardia delle fitocenosi a maggior rischio. Un

aspetto molto importante è quello legato al pascolamento, che nonostante la notevole diminuzione numerica degli ultimi 30 anni, rimane un problema, in quanto, in mancanza di una regolamentazione dei carichi, gli animali gravitano senza controllo dando luogo ad una semplificazione delle fitocenosi arbustive ed impedendo la rinnovazione di quelle arboree (Quercus pubescens Willd) . La gestione di una porzione importante dell’area da parte dell’Ente Foreste della Sardegna, non ha in sostanza apportato grandi cambiamenti in termini di tutela e per quanto riguarda la sorveglianza da parte del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale, si assiste sovente al verificarsi di azioni illecite, punibili indipendentemente dal fatto che sull’area gravino vincoli legati alla presenza di un Sito di Importanza Comunitaria (prelievi di legname, caccia di frodo, ecc). La gestione pubblica, improntata sulla selvicoltura naturalistica, dovrebbe contemplare una attenta ed oculata scelta delle operazioni colturali, data la particolare importanza e fragilità dei biotopi gestiti. In questo modo il pubblico potrebbe agire da guida e da volano per gli operatori privati. Non sempre purtroppo, le scelte degli operatori pubblici sono idonee ed assistiamo ancora oggi, a tentativi di rimboschimento oltre il limite della vegetazione arborea, all’utilizzo di postime non autoctono o di provenienza non certificata, o al ricorso all’utilizzo di protezioni individuali in condizioni climatiche estreme (Figura 9.2). Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, il ricorso alla recinzione temporanea dei Querceti cacuminali per piccole superfici (5001000 mq), garantirebbe in modo molto più celere e sicuro la rinnovazione della specie, rispetto agli impianti eseguiti con il costoso ricorso alla protezione individuale con l’utilizzo contemporaneo dello shelter e della gabbia metallica. In questo modo, si potrebbe anche impostare un intervento


Il prelievo venatorio del muflone sardo

di regolamentazione delle aree a pascolo. Non è certo il suggerimento che vuole scaturire da questo lavoro, quello di bandire le attività silvo - pastorali dal Gennargentu, ma una razionalizzazione delle stesse, garantirebbe, oltre la tutela delle fitocenosi a rischio, un miglioramento qualitativo delle produzioni. Inoltre data la particolare situazione congiunturale, il problema che le Amministrazioni pubbliche dovranno porsi nel prossimo futuro, è esattamente inverso, ossia, come far rimanere i pastori sul Gennargentu. Per riuscire a sopravvivere, allevando del bestiame in questo territorio, fuori da un discorso di premialità per numero e tipologie di capi, come è quello attuale, sarà necessario mutare il modo di concepire l’attività e la vita stessa degli addetti. Gli interventi devono riguardare soprattutto la formazione e l’informazione degli, in termini di scelta delle specie (puntare su ovini e caprini anziché sui bovini), qualità e convenienza delle produzioni, vendita e promozione dei prodotti. Il saper vendere il prodotto, che ovviamente qualitativamente è di per sé notevole, deve diventare un concetto portante e fondamentale, e tale vendita deve avvenire in loco in modo da evitare gli elevati costi di trasporto. Per impostare un discorso di questo tipo e necessario che settore pubblico e privati facciano sistema, uscendo definitivamente dalle logiche campanilistiche e sperimentando metodi di gestione del territorio alternativi a quelli conosciuti.

Fonte Dr. Michele Peddes, 2008. Habitat e formazioni forestali nell’Area Sic Monti del Gennargentu. Tesi di Dottorato in: Monitoraggio e controllo degli ecosistemi forestali in ambiente Mediterraneo, Università degli studi di Sassari

• Le soluzioni

Alla luce del materiale bibliografico raccolto, abbiamo individuato due possibili strade per gestire correttamente e attivamente il muflone sardo:

1- Modifica della Legge 157 del 92 e

della 23 del 98 includendo il muflone sardo come specie cacciabile e avviare quindi la normale prassi per la corretta gestione della specie

2- Attivare dei prelievi in deroga ai sensi

della direttiva Comunitaria Habitat e della Legge Regionale 21 gennaio 2011, n.5 Entrambe le soluzioni sono percorribili e necessarie per tutelare l’animale simbolo ed emblema della Sardegna mal-governata.

• Cosa succede oltremare Il muflone è cacciato nella maggior parte delle regioni italiane rappresentando una risorsa economica direttamente prelevabile. La specie in oggetto è inoltre attentamente gestita e il suo status di conservazione può considerarsi più che soddisfacente. Nell’Isola d’Elba è stato avviato un piano di prelievi per arginare i danni che il muflone arrecava alle colture agricole e alla vegetazione naturale. In questo caso si può parlare di corretta gestione della specie e dell’ambiente.


Bibliografia

Ars Venandi, la rivista sulla caccia in Sardegna http://www.arsvenandisardegna.it Il muflone ed il daino, di Paolo Varuzza, Daniela Giustini, Lorenzo Lazzaro, Ranieri Verin La caccia, di Edoardo Mori con la collaborazione dell’avv. Andrea Antolini www.sardegnaambiente.it Aggiornamento della Carta delle Vocazioni Faunistiche della Sardegna 2012 Sezione Ungulati, Prof. ����������������������������������������� Marco Apollonio, Dott. Siriano Luccarini, Dott. Antonio Cossu, Dott.ssa Roberta Chirichella, Università degli Studi di Sassari Informatore botanico italiano prof. Roberto Scotti docente assestamento forestale Università di Nuoro Dr. Michele Peddes, 2008. Habitat e formazioni forestali nell’Area Sic Monti del Gennargentu. Tesi di Dottorato in: Monitoraggio e controllo degli ecosistemi forestali in ambiente Mediterraneo, Università degli studi di Sassari Coldiretti


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