Gastone Biggi - Attraversamenti

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Gastone Biggi Attraversamenti 24 settembre - 5 novembre 2010 A cura di Francesco Gallo

Testi Francesco Gallo Gianluca Ranzi Francesco Boni Gastone Biggi

Provincia Regionale di Palermo

Organizzazione Art Time srl Brescia

Presidente Giovanni Avanti

Luogo espositivo Palazzo Sant’Elia, Palermo

Assessore alla Cultura Eusebio Dalì

Periodo espositivo dal 25 settembre al 5 novembre 2010

Direttore Ufficio Autonomo Grandi Eventi Spettacolo e Cultura Marianna Mirto

Direttore artistico Marzia Spatafora

Responsabile dell’Ufficio Attività Culturali Rosa Saladino

Allestimento Marzia Spatafora General Service srl

Consulente per la Cultura Francesco Gallo

Comunicazioni Hypeves Square di Anna Burgio delle Gazzere

Ufficio Stampa Angelo Scuderi Federica Certa

Fabio Piedimonte Accoglienza Federica Curatolo Foto Bernardo Ricci Le fotografie alle pagine 33, 34, 35, 36, 37, 43, 47, 291, 293, 295, 298, 305, sono di Giorgio Kiaris Supervisione editoriale Maria Paola Poponi Progetto grafico Lisa Camporesi Traduzione testi Natalia Paparelli Trasporti Art Service, Verona Si ringrazia per la gentile concessione delle opere Art Time Brescia www.arttimebrescia.com


Gastone Biggi Attraversamenti 25 settembre - 5 novembre 2010


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Provincia Regionale di Palermo

Non poteva che essere la prestigiosa cornice di Palazzo S. Elia ad ospitare la mostra di un grande dell’arte astratta come Gastone Biggi. Le sale del settecentesco edificio di via Maqueda aprono le porte ad un maestro che nel corso della sua lunga carriera, oltre mezzo secolo, ha mantenuto una coerenza artistica forse unica nel panorama nazionale, non lasciandosi mai trascinare da mode e tendenze, ma perseguendo con lucida ostinazione un suo percorso che ha lasciato una traccia importante nel mondo dell’arte contemporanea. Il pubblico palermitano avrà così modo di ammirare da vicino una rassegna completa dell’artista romano e seguire passo per passo il suo cammino durante oltre cinquant’anni di produzione e di presenza sulle più importanti ribalte nazionali e internazionali, non ultima la Biennale di Venezia del 2009. La sua arte, mai scontata, è un intreccio di sensazioni e percezioni che si fondano su forti sollecitazioni sensoriali e ottiche, e dove lo spettatore è condotto per mano lungo un sentiero di partecipazione attiva e di attenta riflessione. Rigoroso ma rivoluzionario nello stesso tempo, Biggi si propone al pubblico palermitano con la forza della sua astrazione e la sua ritmica del segno, in una ricerca continua di nuove sperimentazioni. Accogliamo la mostra di Gastone Biggi come uno degli eventi culturali più significativi del 2010 a Palermo, per dare il giusto riconoscimento ad una figura di primo piano dell’arte internazionale e per offrire l’opportunità alla nostra città di apprezzarne l’alta cifra espressiva.

No place but the wonderful scenery of Palazzo S. Elia could host the exhibition of a maestro of abstract art such as Gastone Biggi. The rooms in the XVIII century building in via Maqueda open up for a maestro who, throughout his long and fruitful career, lasting more than five decades, has maintained an artistic coherence which remains an unicum in the Italian panorama, never falling prey to modes and trends, yet always pursuing, with lucid stubbornness, his own path, that has left an important trace in contemporary art. The audience in Palermo will thus have the opportunity of admiring at a close distance a complete show of the Roman artist, following step by step his evolution in fifty years’ production and presence on the most important national and international stages, last but not least 2009 Venice Biennial Exhibition. His art, never predictable, is an intermingling of sensations and perceptions based on strong sensorial and optical stimuli, where the viewer is led hand in hand along a pathway of active participation and attentive reflection. Rigorous and revolutionary at the same time, Biggi offers himself to the audience in Palermo with the strength of his abstraction and the rhythm of his signs, in a continuous research for new experimentations. We therefore welcome the exhibition of Gastone Biggi’s artworks as one of the most significant 2010 cultural events in Palermo, so as to show the deserved appreciation to a foremost figure in international art, and to offer our city the opportunity of savouring his high stylistic code.

Giovanni Avanti, Presidente Provincia Regionale di Palermo

Giovanni Avanti, Presidente Provincia Regionale di Palermo

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Cromatiche Meccaniche Luminose

Chromatism Mechanic Luminous

Francesco Gallo Mazzeo

Francesco Gallo Mazzeo

Gastone Biggi nel suo lungo, ricco, articolato itine-

Gastone Biggi, in his long, rich and articulated itinerary as an artist, as creator of imagination, rarefaction, lightness and metaphysics, crossed multiplicity, diachrony, stylistics, heresy, conquering his own contamination method, able to lift up the heavy sign of matter, of every matter, of poetry so as to become a means of penetration and absorption, instead of magic and enchantment. Along a coiled, contorted way, sometimes abysmal, sometimes sidereal, has Biggi unfolded his story, coming from sublime, from the twisting of mimesis and similarities, in metaphors of absolute, of the free interplay of the senses, in the mathematical roads of intellect that are, for their own sake, impregnable, fleeting articulations of an endless dream, which starts wherever there is attraction, diving into torment, without any precise formal chimes, but following the progressive grades of a tonalism satisfying itself, its own light and shadow. Thus, giving shape to an everlasting ghost, liquid, magmatic, also solid, recalling humoral traces crossing it with invisible “paradoxes”, “absurd” spatialism, in the fabric of imaginary life, knitted in a double mirror play, from a dark event of thought, from search for light, never ceasing to seek, to experiment, to read inside personal uneven starry events, to write gorgeous pages of secret codes, enacting endless actuality, where chaos coexists with necessity, where wandering overcomes and goes beyond the anthropological details of Eden. In this, going on a path of optical, points of view shifting, paraphrasing the syntactic sonar of an

rario di artista, di creativo dell’immaginario,della rarefazione, della leggerezza e della metafisica, ha attraversato la molteplicità, la diacronia, la stilistica, l’eresia, conquistando un suo speciale metodo di contaminazione, capace di sollevare il tratto grave della materia, di ogni materia, della poetica, di ogni poetica, in strumento di penetrazione e assorbimento, in luogo di magia e incantamento. Lungo una via, aggrovigliata, contorta, a volte abissale, a volte siderale, è andata svolgendosi la sua storia che viene dal sublime, dallo stravolgimento delle mimesi e delle somiglianze, in

Gastone Biggi, Milano 1948

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Gastone Biggi con il gruppo 56, Roma 1957

metafore dell’assoluto, del libero muoversi dei sensi, nelle contrade matematiche dell’intelletto, che sono, per propria intrinseca virtù, imprendibili, sfuggenti articolazioni di un sogno senza fine, che comincia dove c’è un piacimento e s’immerge nel tormento, senza rintocchi formali precisi, bensì seguendo le gradazioni progressive di un tonalismo, che asseconda se stesso, la propria luce e la propria ombra. Così, dando corpo ad un eterno fantasma, che è liquido, che è magmatico, che è anche solido, a ricordo delle tracce umorali che lo attraversano, con una “paradossalità” invisibile, da una spazialità “assurda”, nel tessuto della vita immaginaria che si va tracciando, in una alterità da gioco da specchio, da oscuro accadimento del pensiero, da ricerca della luce che non smette mai di cercare, di sperimentare, di leggere nelle sconnesse astralità personali, di scrivere formidabili pagine di codici segreti, ponendo così in essere un’infinita attualità, dove il caos convive con la necessità, dove l’erraticità supera, sconfina con i dettagli antropologici dell’eden. In ciò, operando un itinerario di trasferimento di ottiche, di punti di vista, parafrasando gli scandagli sintattici di un caleidoscopio sensoriale emotivo, che è l’espressione della sua emozionalità, sempre coinvolta da una dialettica tra spiri-

emotive sense kaleidoscope, which is the expression of its own emotions, always involved in a dialogue between Olympic spirit characterising its depths, undergrounds and memory stratifications and carnal Dionysian tactile surfaces, on a mission impossible to hide, just like charms invading the rhapsody of reasoning, and spell, nourishing the mystic rapture and specular orgiastic orgasms. Illusorily configuring a largely analytic interiority, coming from a close look, dispersed, labyrinthically hijacked by toccatas and fugues, by the cheating sign and chromatic seductions, coming from the pleasure of doing, according to which unity seems the synthesis, temporary and mutable of hic et nunc visibility, as an odyssey named desperation and answered desire. To it corresponds an external quality, which is nothing but the optics of faraway, matched with a peculiarity that is the continuation of the detection on the clue so close and so faraway, which it is so difficult to stay away from, pretending to be strangers, always teetering on the brink between difference, beginning and end of every phenomenon, and obstacle as boundary of the enchantment that prolongs the sight, enlarges it and makes it able to capture the synthesis, at least that unity describing the horizon, that one

Gastone Biggi nello studio di via del Babuino, Roma 1960

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M.Calvesi e Biggi, Roma Galleria Il Triangolo, 1961

to olimpico che caratterizza le sue profondità, i suoi sottosuoli e le sue trasversalità mnemoniche e la dionisiacità carnale delle sue superfici tattili, in missione impossibile da tacitare, come lo sono le fascinosità che sconfinano nella rapsodia dei ragionamenti, degli incantamenti, dando linfa ai rapimenti mistici e alle speculari orgasmicità orgiastiche. Configurando illusivamente un interno ampiamente analitico, dato dallo sguardo ravvicinato, disperso, dirottato labirinticamente dalle toccate dalle fughe, dalle ingannevoli seduzioni segniche e cromatiche, dettate dal piacere del fare, per cui l’unità appare come la sintesi, provvisoria e cangiante della visibilità dell’hic et nunc, come un’odissea, che si chiama disperazione e si risponde desiderio. Ad esso corrisponde un’esternalità, che non è altro se non l’ottica della lontananza, a cui corrisponde una peculiarità che è la continuazione dell’indagine sull’incognita sempre prossima e sempre lontana, da cui è difficile scostarsi, fingere l’estraneità, sempre in bilico tra differenza, principio e fine di ogni fenomeno, e barriera, come termine dell’incantamento che allunga lo sguardo, lo allarga e lo rende capace di accoglie-

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you can even touch, but you cannot, because it skips, as Camus said in Sisyphus, talking about that one dwelling inside us. For this reason we cannot but consider a trace starting from the deep intuition, so as to appear automatic, immediate, for a sort of mirror distortion, that is that very art, in this subliminal mechanism mixing with reason, alchemically fusing it in vision technique, creating every possible interpretation crossing, karsts rivers of mind, above all when the creation obsession of originality prevails, of being oneself and being like no one else. So his departure from objectivity happens, through thousands of trials, in a pictorial flux always based on the punto, prologue and epilogue that never meet, because they are identities in difference, different forms tending to be one, in a game made of purity and singularity manipulated by a smart and rational intelligence. A new itinerary is thus born, belonging to the same branch of life, going throughout the mazy track of painting, in its alternating analysis and decomposition with synthesis and intuition, explaining abstraction images, with perceptions of essence, talking about an anxious theme, an alteration of naturalistic concepts, in so different directions, beating the scores of being, as timbre

Biennale di San Marino, 1963, da sinistra: Frascà, Francastel, Carrino, Biggi


re la sintesi, almeno quell’unità che si presenta a descrivere l’orizzonte che lì, lo puoi quasi toccare, ma non ci riesci mai perché sfugge, come in Camus, nel suo Sisifo e in quello che abita tutti noi. Per questo non ci possiamo scostare da una traccia che parte dall’intuizione profonda, tanto da apparire automatica, immediata, per una sorta di specchiamento distorsivo, che è proprio dell’arte quanto tale, in questo meccanismo subliminale che si mescola con la ragione, fondendola alchemicamente in tecnica della visibilità, dando vita a tutti gli attraversamenti dell’interpretazione, che sono i fiumi carsici della mente, soprattutto quando prevale l’ossessione creativa dell’originalità, dell’essere se stesso e non somigliare a nessuno. Avviene così il suo lungo allontanarsi dall’oggettività, per mille e mille prove e riprove, in un flusso pittorico basato sempre sul punto, come prologo ed epilogo che non s’incontrano mai, in quanto identità dislocate nella differenza, difformità che tendono all’unità in un gioco che in fatto di purezza e singolarità manipolata da un’intelligenza perspicace e razionalizzante. Si delinea così un itinerario che appartiene allo stesso binario della vita, che percorre tutto un circuito arterioso della pittura, nel suo alternare di analisi e scomposizioni con sintesi ed intuizioni, nell’esplicazione di un immaginario dell’astrazione, con percezioni dell’essenziale, pur trattandosi spesso di una trattazione smaniosa, di una alterazione della concettualità naturalistica, in direzioni le più diversificate, scandendo i motivi dell’essere, come timbricità dell’essenziale, in modulazioni timbriche e tonali di tutta fantasia, pur conservando l’imprinting fondamentale della riconoscibilità, come ampiezza e come limite antropologico. Questa dilatazione, che è cromatica, luministica e conserva le tracce di una intuizione della natura, è una ricchezza che rivela modularmente

Convegno di Verucchio, Rimini, Biggi legge la dichiarazione di poetica del Gruppo Uno, a seguire: Fontana, Morpurgo, Argan

of essential, in modulations of timbre and fantastic tonal ones, always saving the basic imprinting of recognisability, as amplitude and anthropological limit. This chromatic and luminal dilatation keeps the traces of an intuition of nature, it is a richness that progressively reveals the potentiality of a complex and stratified intelligence, ready for modifications, for earthquakes changing morphologies, determining a shifting and a different location of pleasure. Undoubtedly, among all possible doubts, because to suggest is typical of art, sensual slides to erotic and orgasmic limit, an oscillating pendulum between seeing and manipulating, between manipulating and seeing, the same happens in the stages of a sentimental, emotional, passion journey, made of streams of consciousness and emotion, one by one, in an unpredictable, notsystematic originality. Before these exuberant phenomena, organising and cosmic, disorganising and chaotic, to the exhaustion of sensationalism is matched the growing intensity of novelty, in a continuum skipping from artwork to artwork, to the happening as ecstasy, as contemplation and then detour, where the effort and time exuding from the works gets back into them, becoming space and time, moment and infiniteness, of consciousness elongat-

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e progressivamente le potenzialità di una intelligenza complessa e stratificata, disponibile alle modifiche, alle telluriche che cambiano le morfologie, determinando uno spostamento e una diversa dislocazione del piacere. Perché non c’è dubbio, tra i tanti dubbi possibili, che è nell’etimologia dell’arte far intuire, che di questo si tratta, di spostamenti sensuali al limite dell’erotico e dell’orgasmico, a pendolo oscillante tra il vedere ed il manipolare, tra il manipolare e il vedere, come accade nelle tappe di un viaggio sentimentale, emotivo, passionale, fatto di flussi di coscienza e di emozione, con un susseguirsi dell’uno e dell’altro, in una imprevedibile, asistematica originalità. In presenza di una fenomenica esuberante, ora ordinante e cosmica, ora disordinante e caotica, all’esaurirsi di una sensazionalità, si associa l’intensità crescente della novità, in un continuum che porta da un’opera all’altra, all’accadimento come estasi, come contemplazione e poi come deviazione, in cui lo sforzo e il tempo che emana dalle opere e poi su di esse rifluisce, diventa

Biggi, 1964

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ing so much as to look like an eternal pondering upon the motives of harmony and digression. Everything happens in close succession, as if it were linked, in so many changing moments, to a reflection upon matter and immovable, getting a backward reference of the applicant, projected as if virtual, as metaphysics, in a continuous exchange between first subject and derived subject, provided that you can always tell the stream of consciousness and the objectivity of the object itself. To a falling point, to a rising point correspond standard formal concepts of a priori shapes, of ideas as mimesis of mimesis, i.e. daydreams, fair places of instinctive fluxes, to aesthetic spatiality, as conquest of the rhythm of invisible and milestone of the technique of making possible and actual what is visible. In the middle there are formal troubles, the continuation of lessons of the past, one’s own and others’, in the indefinable dialectic between the classic spirit talking about the great models of the past, about the origins and the continuous crisis of modern times, pushing us to unilateral fecundity, unredeemable, mysteriously lifting themselves from the entropy of contradictory stresses, favouring the foundation of the plurality of informal “shapes”, towards a sparkling graphic of illusion. Gastone Biggi thus elaborates and shapes the traits of cultivated memory, mixing with artisan, factural knowledge artworks of foreign linguistic and cultural worlds, with those of his living and rooted experience, from the Sixties to nowadays, about his past and it is his own history and his own present, and today it is his own actuality, made of many outcoming and some incoming journeys. Altogether, everything conjures up to a tormented richness of symbols, which are personal, secret, like seals, with which to broaden the charm of a calligraphy, now of the cosmic border, now of the darkness of the underground, sedimenta-


1964, Mostra del Gruppo Uno al Cavallino di Venezia, da sinistra: Frascà, Biggi, Carrino, Uncini

spazio e tempo, istante ed infinito, di coscienza che si prolunga di tanto, da sembrare una lunghissima riflessione sulle ragioni dell’armonia e della digressione. Tutto questo avviene sempre in concatenazione, come collegato, in tanti cangianti momenti ad una riflessione sul materiale e sull’immobile, ottenendo un rimando all’indietro del desiderante, proiettato come virtuale, come metafisica, in continuo scambio tra soggetto originario e oggetto originato, ammesso che possa essere sempre distinguibile ciò che è flusso di coscienza e ciò che è l’oggettivo dell’oggetto stesso. Ad un punto di caduta, ad un punto di innalzamento, corrispondono concettualità formali canoniche delle forme a priori, delle idee che sono mimesi della mimesi, quindi sogni ad occhi aper-

tions of an impregnable personality, decoding as a heretic orthodoxy, changeable in orthodox heresy, into the call of paradox, of illusion, made of impregnable matter, wrapped in the spirals of a fantastic thought. A coiling where stratifications are made immortal, forcibly made of non-homogeneous materials, in order to have high visibility, interrupted by diverse densities represented with rapid touches, both when seeking some temporary syntheses, and when keeping the dialogue open, for some theoretical intention, always present in him. The same can be said for the stratifications never realistic or materialistic, in compliance with an idea of expression which, if it is not sign of absolute tautology, is surely proof of autonomous qualification of the sign verifying its own features, without undergoing the automatic law of the relation between form and content that, if prevailing, drives to the death of art, to its merchandising, literally speaking. It is also, for the superimpositions here made as continuous verbal and horizontal tension, leaving transversal trips the duty to connect what flows with the being, the parts of a legend that wants to saturate the eternal myth of revelation, in discarding abysses that science opens everyday into the basic needs of seeing, beyond immediacy, in the folds of open opera following the overtaking

ti, come luogo privilegiato di flussi istintuali, ad una spazialità estetizzante, come conquista del ritmo dell’invisibile e riferimento della tecnica che rende possibile, attuale il visibile. In mezzo, stanno i turbamenti formali, la continuazione delle lezioni del passato, del proprio e di quello degli altri, nella dialettica indefinibile tra lo spirito classico riferibile ai grandi modelli del passato, all’originario e quello della continua crisi moderna che spinge verso le unilateralità feconde, irreparabili, che enigmaticamente riescono a sollevarsi dall’entropia delle sollecitazioni

Biennale di Venezia 1964, da sinistra Biggi, Bargoni, Louise Nevelsen, Rinaldo Rotta, Guarneri

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contraddittorie, favorendo il consolidarsi della molteplicità delle “forme” dell’informe, verso una sfavillante grafica dell’illusione. Gastone Biggi, così, elabora e modella i tratti della memoria colta, mescolando con sapienza laboratoriale, facturale, opere d’arte di altri mondi linguistici e culturali, con quelli della sua viva esperienza sedimentata, dagli anni sessanta ai nostri giorni, di quello che è il suo passato e in atto è la sua storia e di quello che è il suo presente ed oggi è la sua attualità, fatta di tante andate e di alcuni significativi ritorni. E insieme, tutto concorre ad una tormentata ricchezza di simboli, che sono personali, segreti, come sigilli, con cui prolungare il fascino di una calligrafia, ora dell’orlo astrale ora del nero del sottosuolo, sedimentazioni di una personalità inafferrabile, cifrabili come ortodossia eretica, ribaltabile in eresia ortodossa, nel richiamo della paradossalità, dell’illusione, fatta di inafferrabili materialità, avvolta nelle spirali di un pensiero fantastico. Un avvolgimento in cui sono immortalate le stratificazioni, fatte volutamente da materiali disomogenei, in modo da poter mantenere un alto grado di visibilità scandita dalle diverse densità che vengono rappresentate con tocchi rapidi, sia quando si cerca una qualche sintesi provvisoria, sia quando si vuole mantenere aperto il discorso, per una intenzione teorica, che in lui è sempre presente. Lo stesso si può dire per le stratificazioni che non sono mai realistiche o materialistiche, in assonanza con una ideologia dell’espressione che, se non è spia di tautologia assoluta è certamente attestazioni di una qualificazione autonoma del segno che sortisce la propria qualità, senza sottomettersi ad una meccanica legge del rapporto tra forma e contenuto, che quando prevale porta alla morte dell’arte, alla sua mercificazione in termini etimologici e fenomenologici. Così è, anche, per le sovrapposizioni che qui sono fatte come tensione continua di tipo verbale e di

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Il Gruppo Uno, Roma 1964, da sinistra Biggi, Frascà, Carrino, Uncini

of iconology, made unmatchable by endemic and emotional baroque, living with us, on us, for us. And Biggi is a valid maker of it, evoker of a thought reduced to things, inside them, made of their emotional representation, as literary unavoidable datum (for this the whole XX century has been a period of manifestos and conflicts) as genuine basis of whatever notion, whatever dawning idea. The same visible way every theme identifies with the past, with the pattern of a fantastic fabric connoting the history of styles and now, on the death of style itself (what can be fused with history or tradition) while every invention swims into the magma of fluidity, can be identified with the new rising states, marking his work. The difference between natural, which is the way everything appears on which the patina of common sense and perceptive automatisms and artificial, which is the way news shows, does not equal already-seen, belongs to a Babel code, of body and mind, does not live in any real place, nonetheless it has small importance for non-material and material world. Thought, language, expression, implicit form of communication, whose decoding coincides to a high degree of entropy,


tipo orizzontale, lasciando alle escursioni trasversali il compito di collegare quello che fluisce con l’essere, gli organi di una leggenda che vuole saturare il mito eterno dello svelamento, nello scartamento delle voragini che la scienza apre ogni giorno nei bisogni radicali del vedere, oltre l’immediatezza, nei ranghi dell’opera aperta che segue il superamento dell’iconologia, resa incompatibile dal barocco endemico ed emozionale, che vive con noi, di noi, per noi. E di esso Biggi è un costruttore sapiente, evocatore di un pensiero ridotto alle cose, intrinseco ad esse, fatto della loro rappresentatività emotiva, come dato letterario imprescindibile (non a caso tutto il novecento è stato secolo di manifesti e di conflitti) come vera e propria fondazione di ogni nozione, di ogni idea aurorale. Allo stesso modo apparente, con cui ogni tematica si identifica col passato, con le linee di un tessuto fantasioso che ha connotato la storia degli stili e che oggi in morte dello stile stesso (quello che si può fondere con la tradizione o la storia) mentre ogni invenzione nuota nel magma della fluidità, s’identifica con la novità degli stati nascenti, di cui tutto il suo lavoro è costellato. La differenza tra naturalezza, che è il modo di apparire di tutte le cose su cui s’è depositata la patina del senso comune e degli automatismi percettivi ed artificialità, che è il modo di mo-

Biggi, Venezia 1967

Biggi, M. Bortolotti, A. Clementi, mostra alla Galleria Il Foglio, Roma 1969

the maximum tolerated by a memory system, even the most flexible, over which everything is panic, the suspension itself of life in a waiting as long as death and its infinite decomposition versus everything, in company, cum, nothing. The synthesis lies in the attitude enacted for the prolongation of the self, towards another entity, i.e. towards that bulk of references allowing exchanges, communication, for which the others are not only our idol need, against loneliness, but parts of an existent reality. Even if it is now clear that every form of art, overall Biggi’s, can exist in two fundamental ways: the transmission of aesthetic pulses, now referable to order and rigour, now to passion collapse with the supremacy of automatism and action, the prologue, the intuition asking for a common level of continuity, for which every operation perceived as artistic and non-utilitarian, can be accepted, also in terms of a seal, hermetically, therefore not for what it says, but for what is presented, able to increase time, more than communication, narration, once opened they are not useful anymore, overtaken, they are thrown away as old. Clearly enough, the themes of Biggi’s pictorial adventure are involved in this widerange querelle including lots of variables: from the rationality of analytic spirit, to the sensorialness of synthetic gestures, taking at least two

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Biggi con Fausto Melotti alla personale alla Galleria Editalia, Roma 1980

strarsi della novità, non collima col già visto, con ciò che appartiene al codice di una Babele, della mente e del corpo, non abita in nessun luogo reale, ma non per questo è meno importante per il mondo immateriale e materiale. Il pensiero, il linguaggio, l’espressione, quindi anche forma implicita di comunicazione, la cui decodificazione coincide con un elevato tasso di entropia, il massimo sopportabile da un sistema memoriale, anche il più elastico, oltre al quale é il panico, la sospensione stessa della vita in un’attesa lunga come la morte e la sua infinita disgregazione versus il tutto, in compagnia, cum, nulla. La sintesi è tutta nell’atteggiamento, messo in atto, per il prolungamento del sé, verso un altro da sé, cioè verso quel complesso di riferimenti che permette lo scambio, la comunicazione, per cui gli altri non sono solo un nostro bisogno idolatrico, contro la solitudine, ma sono parti di un’esistente, di una realtà. Anche se è ormai chiaro che ogni forma d’arte, e in maniera preminente questa di Biggi, può esistere in due modi fondamentali, quello di trasmettere impulsi estetizzanti, ora riconducibili all’ordine e al rigore, ora allo schianto passionale con supremazia dell’automatismo e della gestualità, quello del prologo, dell’intuizione che

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fundamental directions that are the described one, but with many variables as to compose a map of visible, where visible facts, even in opposition between them, witnesses of an inexplicable, unpredictable emotional spirit which, despite its theoretical gauging, often is out of its own author’s control and gives back what was not given to me, while it holds tight what had to be transformed, in a fragmented mirror of its mythical vanity, in unexplainable tonalism and plasticism typical of ripe modern times, and Biggi is a direct confirmation, a sign and morphic answer. In terms of abstract nomenclature, you can speak about love serenity, constancy of dramatic loving impetus, giving over to a slightly ironic tangent the duty to carry on a conspiratio oppositorum. In the parables of seduction, let down as rites from the deep, close to schisms, to the ordinary ostentation of society, of shows, are infiltrated as viruses of temptation, as effects of orbital proximities (starting from Carrino, Pace, Santoro, Uncini, Frascà, proceeding with big meetings with Francastel, Fontana, Nevelson, Ponente, D’Arrigo, Brandi, Vivaldi, Scialoja, Turcato, Melotti, Dorazio, without setting criteria of importance or chronology and without underestimating the current notes by Luciano Caramel, Claudio Cerritelli and Elena Pontiggia, fed on so many milestones, images and words as to write

Murilo Mendes e Biggi alla personale alla Galleria Il Foglio, Roma 1969


richiede un tasso comune di continuità, per cui ogni operazione percepita come artistica e non utilitaristica, venga così accolta, anche in termini di un sigillo, di un ermetismo, quindi non per ciò che dice, ma per ciò che si presenta, capace di accumulare tempo, molto più della comunicazione, della narrazione, che una volte aperte non servono più, superata, vengono gettate via perché vecchie. Chiaramente, i temi dell’avventura pittorica di Biggi sono coinvolti in questa querelle a largo spettro che contiene moltissime variabili: dalla razionalità dello spirito analitico, alla sensorialità della gestualità sintetica, prendendo almeno due direzioni fondamentali che sono quelle descritte, ma con tante variabili da comporre una cartografia del visibile, dove avvengono fatti visivi anche oppositivi tra di loro, a testimonianza di un inesplicabile, imprevedibile spirito emotivo che, nonostante le sue calibrature teoriche, spesso sfugge al controllo del suo stesso autore e restituisce ciò che non gli è stato dato, mentre si tiene stretto forte quello che doveva trasformare, in specchio frammentario di una sua vanità mitica, in una inesplicabilità di tonalismo e plasticismo tipica della modernità matura e Biggi ne è una diretta conferma, una risposta segnica e morfica. In termini di nomenclatura astratta, si può parlare di serenità d’amore, in costanza di impeti drammatici d’innamoramento, affidando alla tangente di un pizzico d’ironia il compito di una conspiratio oppositorum. Nelle parabole della seduzione, calate come riti della profondità, attigue alle scissioni, alle sistematiche ostentazioni della società, dello spettacolo, si insinuano come virus delle tentazioni, come effetti di vicinanze orbitanti (a partire da quella con Carrino, Pace, Santoro, Uncini, Frascà, a proseguire i grandi incontri con Francastel, Fontana, Nevelson, Ponente, D’Arrigo, Brandi, Vivaldi, Scialoja, Turcato, Melotti, Dorazio senza

Nello Ponente e Biggi, Roma 1969

a poliedric totalitarian construction, Romanic, Gothic, Baroque, classic, modern, with everything and its opposite, to define what cannot be defined and confirm the trails of a great protagonist). The contiguity of systematic schisms, proud hiding places, public ostentations, as is frequent with all diary-like and self-portraying works, in charming contaminations of temps retrouvé, in the fundamental supremacy of creative empires, of divina mania, of codification in abstract/informal terms and in informal/abstract ones, of decomposition of image as summa among images, highlighting veneers and ribs, i.e. the vital promises of existence, in terms of material evolution and non-material inventions. As if you pretend to show, in a continuous work of digging, upheaval, melting, what lies beneath, with the same convenience through which the skin can be shown, an operation where the author finds himself as reader of modes and scholar of styles and fashions, ranging from ephemeral and temporary behaviours to persistency, to durances, connoting costumes and civilization, proving mechanisms and complementarities of an elapsed time, of a representation, of an active impetus, now tempted by destiny, by the uncertainty of outcome, now of regularity, synthesis, emotion, sensation. From this derive the real fe-

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voler stabilire criteri di importanza o cronologici e senza sottovalutare le puntualizzazioni attuali di Luciano Caramel, di Claudio Cerritelli, e di Elena Pontiggia che si sono giovati di tante pietre miliari, di immagini e di parole per redigere una poliedrica costruzione totalitaria, romanica, gotica, barocca, classica, moderna, con tutto e il contrario di tutto, per definire l’indefinibile e confermare le impronte di un grande protagonista). L’attiguità delle scissioni sistematiche, dei nascondimenti orgogliosi, delle ostentazioni in pubblico, come avviene per tutte le opere fortemente diaristiche e auto ritrattistiche, nelle contaminazioni ammalianti del tempo ritrovato, nel sostanziale dominio dei propri imperi creativi, nella divina mania, della codificazione in termini astratti/informali e informali/astratti, di scomposizioni dell’immagine come summa delle immagini, mettendone in luce le venature e le nervature, cioè le promesse vitalistiche dell’esistenza, in termini di evoluzioni materiali e di invenzioni immateriali. Come a dire che si pretende di mostrare, con un continuo lavoro di scavazione, di rivolgimento, di mescolamento, ciò che sta sotto, con la stessa convenienza con cui si può mostrare la pelle, un’operazione in cui l’autore ritrova se stesso come lettore di modi e studioso di mode e di stili, da quelle dell’effimero comportamentale e

Biggi e Achille Perilli, Roma 1969

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cundations of diversity, moments of apparent or substantial multiplicity, exploding, determining irreversible formal earthquakes. Biggi has always worked on pictorial borders of imaginary experimentation, with so high linguistic level of concentration, making them work as tests of frailty and hardness, on the expression medium, bearing in mind the issue of our insecurities and troubles, before the abysses created by science doubting on our origins and even more on our destiny, spotting the friction point, of clash in the decomposition, that does not mean deletion by impoverishing, but assault to the sum of languages, public and private, religious and laic, philosophical and common, determining an inflation and a multiplying typical of year zero, not of year zed, locking a twilight leading to dawn, instead of darkness. So is recorded a strong inclination to fall down into the precipices of avant-gardes that, from the show of their historic quality, have passed to the molecule-making of this actuality, because it is true that today you cannot sense any avantgarde, because it has spread out over every creative artist, even on those looking at traditions more than innovation. The truth is that both terms are out of the game, made mythical by a long and heavy belonging to meanings that are now just perceivable as past ontology and archaeology, near and far, marked by the end of utopias, the exhaustion of history as past chain and future theology, to give passions and fantasies over to an everlasting present, where it is not certain that everything might be wearily and predictably repeated, but everything shakes with no direction, with many whys, never ever answered. This ferments neuroses, exalts emotions, burns passions out in a huge desperation denying every truth, that much to dress up for an endless party, while using up all the coordinates of visual and verbal and theatrical poetry, in the hybris of diversity, helpless


Giulio Turcato, Biggi e Ario, alla personale alla Galleria Editalia, Roma 1980

temporali, a quelle delle persistenze, delle durevolezze connotative di costume e civiltà, provando meccanismi e complementarietà di un tempo dilungato, di una rappresentazione, di un impeto attivo, ora tentato dalla sorte, dall’incertezza dell’ esito, ora della regolarità, della sintesi, dell’emozione, della sensazione. Nasce da ciò la messa in circuito delle fecondazioni della diversità, momenti d’apparente o anche sostanziale molteplicità, che reagiscono in modo esplosivo, determinando irreversibili terremoti formali. Biggi ha sempre lavorato su versanti pittorici di sperimentazione immaginaria, con un tasso linguistico di elevata concentrazione, facendoli funzionare come verifiche, della fragilità e della durezza, del mezzo espressivo, avendo ben

before an increasingly autonomous and alienating language, often preventing the dialogues and the very interior monologues. Biggi, smart and acute agent of imagination, draws up the phases of the sun and the moon, the wish for wisdom and folly, the novice desire for reasoning and saturnine divination, as Foucault teaches in his titanic action for the abolition of borders and boundaries, between creation and discovery. In fact, closely observing his works, we have the clear vision of the cultural danger of boundaries, never belonged to Aristotle, nor to Leonardo, nor to Goethe, but are important part of our positivistic curse that, paradoxically, even dead is die-hard. Boundaries are arbitrary, protecting little maestros and careless students, serving “notemongers”, non-brilliant critics, shy observers of reassuring rituals, never defying the unknown, never tracing new maps, new paths, but just tricks and traps. Biggi is all opposition, an artist against, in love with the impetuses and tempests that are lived as dreams, huge in themselves, invisible to others, while the circularity of his poly-graphics is exalted by all this quickly, in wandering and restlessness, with the defiance typical of the poet pushed to the limit of temptation, never saying whatever comes to his mind, just what is intrinsically convenient to him, to give a shadow of or-

presente il problema della nostra insicurezza e della nostra problematicità, davanti alle voragini aperte della scienza che ha dubitato sulle nostre origini e dubita ancore di più sul nostro destino, individuando il punto di frizione, di scontro nella decostruzione, che non significa eliminazione per impoverimento, ma assalto alla sommatoria di linguaggi pubblici e privati, religiosi e laici, filosofici e ordinari, determinando una lievitazione e una moltiplicazione che sono da anno zero e non da anno zeta, individuando un crepuscolo che porta ad aurora piuttosto, che un crepuscolo

Lorenzo Guerrini, Biggi e Ario Roma 1980

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che porta a notte. Si registra, bensì, una forte inclinazione a squilibrarsi nei precipizi delle avanguardie che, dalla spettacolarizzazione della loro storicità, sono passate alla molecolarizzazione di questa attualità tanto è vero che oggi non si percepisce più nessuna avanguardia, perché s’è spalmata su tutti i creativi, su tutti gli artisti, anche su quelli che guardano alle tradizioni più che all’innovazione. La verità è che sia l’un termine che l’altro sono fuori gioco, mitizzati da una lunga e onerosa appartenenza a significati che oramai sono solo percepibili come ontologia e archeologia di un tempo, tanto vicino quanto lontano, segnato dalla fine delle utopie, dall’esaurirsi della storia in quanto catena del passato e teologia del futuro, per consegnare passioni e fantasie ad un eterno presente, dove non è che tutto si ripeta stancamente e prevedibilmente, ma tutto si dibatte senza prospettiva, con tanti perché, che non hanno mai risposta e forse non l’avranno mai. Questo fa fermentare le nevrosi, esalta le emotività, brucia le passioni, in una grande disperazione che si nega ogni verità, tanto da travestirsi da festa infinita, mentre consuma tutte le coordinate delle poesie visive e verbali, teatrali, nell’hibris della diversità, senza premunirsi nei confronti del linguaggio che si rende sempre più autonomo e alienante, impedendo spesso i dialoghi e rendendo difficili gli stessi monologhi interiori. Biggi da intelligente e acuto agente della fantasia, mette in campo i momenti della solarità e quelli della lunarità, la voglia di saggezza e quella di follia, la voglia iniziatica del ragionamento e quella saturnina del vaticinio, come ci ha insegnato Foucault nella sua azione titanica per l’abolizione delle demarcazioni e dei confini, tra la creatività e la scoperta. Infatti, nell’osservare attentamente le sue opere si ha la netta visione della dannosità culturale dei confini, che non sono appartenuti né ad Aristotele, né a Leonardo, né a Goethe, ma fanno parte della nostra ma-

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Cesare Vivaldi, Biggi, Palma Bucarelli e Pierelli, Galleria Editalia, Roma 1982

dered speech, effectively leaving in its own chaos. It is, in any case, a metamorphic circularity, with no smoothness and no manner decoration, and there is no withdrawal, no going back towards a happy season and no occasion is lost in finding a motive for doing, a series of complexities including every automatism, tic, mood and aspect, typical of the Zeitgeist, a scanty and contaminating reason next to biography, chronology and lifeworks, entrusting every time the rivers of ideas and the project rests to the tactile skills and fluent dexterity. So is translated the symbol of sign panels, invisible, dream, mind ghost, idea, and is caught the shadow coming from fear, darkness, nihilism, cutting from the afternoon, belonging to everyone and to no-one, that quantum of light, colour, sign, that every time allows every ecstasy, even though for the everlasting span of the moment. All works by Biggi constitute a great monologue, hidden and shown, starting form the punto that is his way to protest against informal, in the name of a vitalism acknowledging its academy faint, through a tiny sign, just the interruption of nothing, in order to fall over the Continui, Campi, Canti, Luci, on a trip between the heights of exaltation and depths of saturnalia, between arcadia and rococo, throwing all himself inside, from


ledizione positivistica che, paradossalmente, per quanto sia morta è proprio dura a morire. I confini sono arbitrii, difensivi per i piccoli maestri e per gli allievi distratti, che possono servire ai costruttori di chiose, ai commentatori senza genio, ai timorosi osservanti dei rituali rassicuranti, che non sfidano mai l’ignoto, che non delineano, né nuove mappe né nuovi tragitti, ma solo buchi e trabocchetti. Biggi è tutto in opposizione, un artista contro, innamorato degli impeti e delle tempeste che vengono vissuti, come sogni, giganti per sé, invisibili agli altri, mentre la circolarità delle sue poligrafie viene esaltata da tutto ciò con pronto spirito, erraticità ed irrequietezza, con la spregiudicatezza del poeta che si porta al limite delle tentazioni, ma non dice mai tutto quello che gli viene in mente, bensì solo quello che gli conviene intrinsecamente, per dare parvenza di ordine al suo discorso, che effettivamente vive in un suo disordine. Si tratta, in ogni caso, di una circolarità metamorfica, senza levigatezze e senza decorativismi di maniera, eppure non c’è mai un tirarsi indietro, un retrocedere verso una stagione felice e nessuna occasione viene perduta nel darsi una motivazione del fare, una serie di complessità che comprendono tutti gli automatismi, i tic, i

Biggi nello studio di Genzano di Roma, 1989

1982, foto pubblicata su “L’Espresso”, dove si vede il restauro del Continuo 62, conservato alla GNAM, e danneggiato da una scolaresca

mind to substance, never caring for label coherency, as it is done in one’s own secretum when both are lost and continuously found illusions, in order to resume afternoon harvest, a flower universe, that is just like the metaphor of Borges seeing again, by himself, left in the acute angle of his own life, an acute angle hanging over every and each one, but only for somebody shines the ray of light indicating the exact position and gesture to do e pluribus unum. Biggi’s whole artistic life is constellated and continuously enriched by autonomous personal and group reflections, inserting him in the concert of a relation between analysis and synthesis, theory and poetics, narrative and poetry, in an always open interlocution, upon dialogue and confrontation with artists and critics, because there can be no form of culture stemming from a genealogy, matching a theology with no consciousness of the self, of its own malaise and desperation, but also of ecstatic moments, although quick and rapid, yet necessary. For this are also useful the great illusions, unexpected constructions, able to defy the very forces of thought gravity and making it move in an artistically decomposed way, only perceivable starting from a memory of order, a souvenir of lost things, at best fallen down into myth, at worst into scandal, leaving aside

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modi d’essere e d’apparire, propri dello spirito del tempo, una ragione, insomma, che confina in maniera porosa e contaminante con la biografia, con la cronologia e le opere della vita, affidando ogni volta alle capacità tattili e alla fluenza della manualità i fiumi delle idee, le distensioni del progetto. Così si traduce il simbolo dell’ indicabile, l’invisibile, il sogno, il fantasma della mente, l’idea e si cattura l’ombra che viene dalla paura, dal buio, dall’annullamento, ritagliando dalla fascia meridiana che è di tutti e di nessuno, quel tanto di luce, di colore di segno che ogni volta rendono possibile ogni estasi, seppure per la durata eterna dell’attimo. Tutta la pittura di Biggi è un grande monologo, segreto ed esibito, a partire dal punto che è il suo modo specifico di contestare l’informale, in nome di un vitalismo che prende atto del suo sfinimento accademistico, attraverso un segno minimo, che intende solo l’interruzione di un nulla, per distendersi sui continui, nei campi, nei canti, nelle luci, in una escursione tra massimi di una esaltazione e minimi da saturnali, tra arcadia e rococò, mettendoci dentro tutto se stesso, dal mentale al sostanziale, non preoccupandosi mai della coerenza dell’etichetta, come si fa nel proprio secretum quando l’uno e l’altro sono illusioni perdute e continuamente ritrovate, per ritornare alla raccolta del pieno pomeriggio, un universo floreale, che è come la metafora di un Borges che avesse ritrovato la vista,da se stesso, lasciata in un angolo acuto della propria vita, un angolo acuto che è incombente, su tutti e su ciascuno, ma solo per qualcuno c’è il raggio di luce che indica la posizione esatta e inclina al gesto per fare e pluribus unum. Tutta la vita artistica di Biggi è costellata e continuamente arricchita, da riflessioni autonome personali e di gruppo, che lo mettono nel concerto di un rapporto tra analisi e sintesi, tra teoria e poetica, tra narrativa e lirica, con una interlo-

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this case and several other tertia data, without which you may reach the shadow line, oblivion. It is not sure that in oblivion end up those things deserving it, because there is no moral in events, a self-consistency, because there is no moral in events, because we are the life of everything, or better our consciousness, and we have never found it out of us, nor do we know that somebody has ever looked for us, at least since the days of Christ, Simon Magus, Apollonius of Tiana or of Milarepa: no one was as lucky as Jonas, spat out into a pumpkin field from the whale stomach (and after three days…) or as lucky as Elijah, abducted with a fire chariot, having fun rambling round the stars since thousands of years, ready to come back at the first flourishing of the judgement trumpets. I am saying this without any easy irony, or better with no irony, in the sense that everything around us is silent, and nothing extraordinary happens, that could not be archived as either folly or hallucination and if there were not the ancient we would not have but stock exchange fluctuations and market paroxysm to pump up GMO foods, murders of the innocents and poverty, real TV manipulations. We find only in art the time and place of being, becoming, remembering, in a magical, alchemic transfiguration of poor materials we attribute saving powers to, like finding doses of metaphor, allegory and even symbolical coves. For this is

Il gruppo uno 36 anni dopo, Galleria Comunale d’arte Moderna, da sinistra: Carrino, Pace, Biggi, Uncini, Santoro, Frascà, Roma 1998


cuzione sempre aperta, di dialogo e di confronto con artisti e critici, perché non può esistere nessuna forma di cultura che sappia derivare da una genealogia e corrispondere ad una teologia che non abbia coscienza di sé, del proprio malessere, della propria disperazione, ma anche di momenti di estasi, bensì veloci,fugaci ma necessarie. A questo servono anche le grandi illusioni, che sono costruzioni inaspettate, capaci di sfidare le stesse forze di gravità del pensiero e farlo muovere artisticamente scomposta, che può essere percepita solo a partire da una memoria dell’ordine, di un ricordo di cose perdute, precipitate nel mito, nella migliore delle ipotesi e nello scandalo, nella peggiore, senza contare in questo caso e in tanti altri tertia data, senza di cui si può finire nella linea d’ombra, dell’oblio. E non è scritto nell’oblio finiscano quelle cose che meritano di finirci, perché non c’è una morale degli avvenimenti, una consistenza in sé, perché non c’è una morale degli avvenimenti, perché la vita di tutto siamo noi, o meglio, è la coscienza e noi fino a questo momento non l’abbiamo mai trovata fuori di noi, né abbiamo notizia che qualcuno ci abbia cercato, perlomeno dai tempi di Cristo, di Simon Mago, di Apollonio di Tiana o di Milarepa, nessuno che abbia avuto la fortuna di Giona, di essere sputato in un campo di zucche dal ventre della balena (e poi dopo tre giorni…) o la fortuna di essere rapito da un carro di fuoco, come Elia, che si diverte a girar per stelle da migliaia e migliaia di anni, pronto a tornare al primo squillo di trombe del giudizio. Dico questo senza facile ironia, anzi senza nessuna ironia, nel senso che da tempo tutto intorno a noi tace, non accade nessun evento straordinario, che non sia catalogato o come follia o come allucinazione e se non ci fossero gli antichi non ci resterebbero che i sobbalzi di borsa e i parossismi dei mercati a tonificare cibi geneticamente modificati, stragi dell’innocenza e della povertà, manipolazioni da real tv.

Biggi e A.C. Quintavalle nello studio di Langhirano PR, 2004

utmost interesting all the path of parallels and intersections that critics and scholars have done and still do with Biggi’s work (I join them only now, yet most happy to spread my short sight, like the corrective glasses made by decades of molecular transformations and path lexical, of terminology, hermeneutic of star thinkers like the above-quoted, Nello Ponente or Emilio Villa or bright scholars like Claudio Cerritelli or Elena Pontiggia whom I have been fed by, through readings and re-readings, and I hope I have taken advantage and added some “commas” or marginalia, that to me were odd and funny). I want to start just with Nello Ponente, a systematic and arbitrary long- distance conversation that allows me to better explain the most complex aspects of Gastone Biggi’s creative itinerary, whose revelation is not given once for all, but it turns bright time after time, just like it gets dark, showing itself as open work, with a dynamic transposition of the concept of fruition, contemplation, action and reaction, in the sense that the spectator has to be a bit of an artist and the artist a bit of a spectator. In an important writing of 1969, Biggi stops by the punto everyone talks about, but with his peculiar acumen, his famous archetypes, concrete, optical, seen as interiority and exteriority of pic-

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Troviamo solo nell’arte il tempo e il luogo dell’essere, del divenire, del ricordare, nella trasfigurazione magica, alchemica di materiali poveri a cui affidiamo poteri salvifici, come trovare dosi di metafora, di allegoria e persino di approdi simbolici. Per questo è interessante, tutto il percorso di paralleli e di intersecazioni che critici e studiosi hanno tenuto e tengono con il lavoro di Biggi (a cui mi aggiungo, solo adesso, ma ben lieto di distendere la mia vista miope, come le lenti correttive di decenni di trasformazioni molecolari e di cammino lessicale, terminologico, ermeneutico di grandi del pensiero come i citati, Nello Ponente o Emilio Villa o di intelligenti studiosi come Claudio Cerritelli o Elena Pontiggia di cui mi sono nutrito, con letture e riletture, di cui spero d’avere colto insegnamento e avere aggiunto delle “virgole” o dei marginalia, che a me sono sembrati curiosi e divertenti). Voglio cominciare proprio da Nello Ponente, una sistematica ed arbitraria conversazione a distanza, che mi permette meglio di chiarire gli aspetti più complessi dell’itinerario creativo di Gastone Biggi, la cui rivelazione non è data una volta per tutte, ma si illumina di volta in volta così come s’adombra, ponendosi come opera aperta, con una trasposizione dinamica del concetto di fruizione, di contemplazione, di azione e di reazione, nel senso che lo spettatore deve essere un po’ artista e l’artista un po’ spettatore. In un suo importante scritto del 1969, si sofferma sul punto di cui si occupano un po’ tutti, ma con il suo particolare acume, nota la sua archetipicità, concreta, ottica, vista come interiorità ed esteriorità del rapporto pittorico, quindi generatrice di altro, di qualche cosa che è oltre il dipinto, accreditandogli la qualità di uno spazio virtuale gremito, pieno, in cui i pieni non sono soltanto pieni ed i vuoti non sono soltanto vuoti, risultante di una geometria non statica ma evolutiva, cangiante, le discontinuità sono dei quid da comprendere, assumere in proprio, metabolizza-

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Biggi davanti al suo quadro “Il Cristo lavoratore”, conservato nella Pinacoteca della Procivitate Cristiana, Assisi 2005

torial relation, therefore generating something else, beyond the painting, giving it the quality of a full virtual space, where full areas are not only full, and empty ones are not only empty, outcome of a non-static geometry but evolutionary, changing, discontinuities are some quid to be understood, taken in total, digested. Because Biggi “creates an order that is necessary, for the eye, for his freedom to compose it according to his wishes. Even if his technique is simple enough, the result is otherwise complex”. And then, concerning his technique: “the essential theory and media, the ferocious reduction of whatever chronic complacency derives from a modern logic according to which is true not only what you can see, but also what is created in order to be seen”. We could say, the creation of a reading method, a way of seeing, always valid, not only in a specific application, as we can find in a text by Cesare Vivaldi, about vibrating tissues, microscopic visibilities, essential architectures, because Biggi is not satisfied by building every glance as a network of vibrations, but he aims at infinite and always different geometrical combinations, matching, juxtapositions, interruptions, where his speech, although always open to new perspectives, never missed that sense of spatial continuity that is its very heart, its content, its essence.


re. Perché Biggi “crea un ordine che è necessario, per l’occhio, per la sua libertà di ricomporlo a suo piacimento. Anche se la tecnica è semplice, il risultato è altrimenti complesso”. E poi riguardo alla tecnica: “l’essenzialità della teoria e dei mezzi, la feroce riduzione di ogni compiacimento cronico nasce da una logica moderna secondo cui è vero non solo quello che si vede, ma anche quello che si costruisce perché sia visto”. Come dire, l’istituzione di un metodo di lettura, di un saper vedere, che vale in generale e non solo nell’applicazione specifica, come si può rilevare da un testo di Cesare Vivaldi, che parla di tessuti vibranti, di visibilità microscopiche, di architettonicità essenziali, in quanto Biggi non si accontenta di costruire ogni suo sguardo come una rete di vibrazioni, ma punta sulla possibilità di infinite e sempre diverse combinazioni geometriche, accostamenti, giustapposizioni, interruzioni, per cui il suo discorso, pur restando sempre aperto a nuove prospettive, non si è mai fatto sfuggire quel senso di continuità spaziale che è il suo cuore, il suo contenuto, l’essenziale. In note aggiuntive, del 1973 e del 1980, Vivaldi accentua la sua presa critica poetica sostenendo che c’è un Biggi matematico riflessivo che coesiste con un Biggi poetico e sublimante, comprendendo così l’approdo alla policromia, esaltando tutto il lavoro monocromico e poi oligocromico, come un’analisi, un raggiungimento della fantasia che si fa schermo del visibile ed esaltazione della ragione che va oltre i propri limiti narrativi. È quella che Nello Ponente chiama “la costruzione di un’armonia che non è di toni ma di più complessi timbri, affinati da una lunga esperienza…, realizzati con una sapienza che ogni volta dubita di sé stessa e ripropone le proprie motivazioni”, in simboli paradossali perché non nascondono e non palesano nulla, nelle trame di un malessere fecondo, di una trascuratezza odissea, di un desiderio magico d’assurdo.

Biggi nel suo giardino della Casa Rossa, Tordenaso 2010

In other notes, dating 1973 and 1980, Vivaldi accentuates his critical poetry saying that there is a Biggi who is a introspective mathematician coexisting with another one who is a sublime poet, understanding this way the landing onto polychrome, exalting all his monochromatic and then oligo-chromatic work as an analysis, the conquest of fantasy being a screen of the visible and exaltation of reason going beyond its own narrative limits. This is what Nello Ponente calls “the building of harmony which is not made of tones, but of more complex timbres, refined by a long experience..., realized with a capacity which each time has doubts upon itself, proposing, experimentally, its own reasons” in paradoxical symbols because they do not conceal nor show anything, in the plots of a fertile malaise, a neglected odyssey, a magical wish for absurdity. Elena Pontiggia, going through Biggi’s artistic biography, states that very few studies in Italy have been carried on keeping in mind the reasons of colour and geometry, despite its not being Euclidean nor orthodox; we owe Biggi a strong pictorial synthesis, able to cut down the automatic wanderings of informal, conceiving a path capable of continuity, both during destruens and construens phase, agreeing with Luciano Caramel, according to whom “the deepest sense of his painting becomes clear, in the impossibility of

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Elena Pontiggia, percorrendo la biografia artistica di Biggi, conferma che poche ricerche in Italia si sono mosse tenendo presenti le ragioni del colore e della geometria, seppur non euclidea e assolutamente non ortodossa, per cui si deve proprio a lui una decisa sintesi pittorica capace di dare un taglio alle derive automatistiche dell’informale, concependo un percorso capace di continuità, sia in fase destruens che in fase construens, concordando con la posizione di Luciano Caramel, secondo cui “il senso della sua pittura diventa chiarissimo, nell’impossibilità dell’informe, sia concettuale che immaginario, a patto che non si cada nella gestualità, che di fatto sarebbe il sincronismo dell’informe, del piatto dell’inespressivo, sia concettuale che immaginario, che di fatto sarebbe il sincronismo dell’informe, del piatto, dell’inespressivo, il contrario di ogni idea dell’estremamente piccolo come mattone dell’universo, del misterioso, ma il tutto è a misura d’uomo, con gli strumenti antropologici che noi abbiamo per realizzare le cose: sguardo, ragione, geometria, che anche dove non compare esplicitamente, è l’unica misura implicita per misurare terra e cielo, per misurare tutto. Senza misura non c’è nulla, così come senza ragione, perché in loro assenza non c’è neanche il linguaggio, non c’è la lingua, non c’è la possibilità di codici e quindi di trasferimento dall’uno all’altro, c’è il bilinguismo assoluto, l’annullamento dei sentimenti e delle azioni, la cancellazione del senso del reale e quindi la possibilità che la fantasia si metta in moto per dirimere il disagio mentale senza il quale quello sensoriale diventerebbe ineffabile, riproponendo una sorta di Eden di ritorno, con l’abolizione stessa dell’umanità, che è alla base di tutto, e quindi dei processi d’invenzione, di cui l’arte, le arti tutte e la pittura come summa del dare corpo senza dare corpo, del fondare un virtuale visibile, come scaturigini di un virtuale invisibile. Da questa personale rassegna di opinioni criti-

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uniformity, both conceptual and imaginary, provided that there is no surrender to action, that should be the synchronicity of informal, steady, non-expressive, the opposite of every idea of extremely little as founding brick of the universe, of mystery”, yet everything is man-shaped, with the anthropological instruments that we have to make things: look, reason, geometry that, although it does not explicitly appear, is the only implicit measure to measure earth and sky, to measure everything. Without measure you do not have anything, and the same happens with reason, because without them there is no communication, no language, no codes, no transfer from one to the other, there is absolute bilingualism indeed, the deletion of feelings and actions, the voiding of the sense of reality and the capacity of imagination to solve the mental malaise, without which the sense one would become unspeakable, proposing a sort of reloaded Eden, with the abolition of humankind itself, which is at the basis of everything, and so of the invention processes, among which art, all the arts, and painting as summa of giving shape without giving body, of founding a visible virtuality, as source of an invisible virtuality. From this personal selection of critical opinions and interpretation hypotheses, mirroring what I affirmed in my prologue, not necessarily to confirm or deny, but to widen the horizon, making

Biggi con G.C. Argan, Roma 1969


che e ipotesi interpretative, che fanno da specchio a quanto da me sostenuto in premessa, non necessariamente per confermare o smentire, ma per ampliare il giro dell’orizzonte e renderlo più adatto a confrontarsi, con la dimensione sfuggente della mutevolezza dell’accadimento, della recente storia dell’arte italiana, la lettura del testo di Arturo Carlo Quintavalle, fa poggiare i piedi a terra, facendoli scendere dalle nuvole, facendo comprendere la concretezza degli avvenimenti, le inclusioni e le esclusioni che hanno determinato le fortune o le sfortune mediatiche e quelle di mercato, delineando le cronache di un potere (quello di Argan) e di tanti contropoteri, per determinare effetti di dominanza, comunque all’interno di una comune debolezza, quella italiana che, strutturalmente, è in difficoltà nei confronti di concorrenti stranieri più forti e agguerriti. Quintavalle ascrive a questa situazione, la motivazione per cui un artista come Biggi, del suo calibro, è in gran parte inedito, in ragione speculare ad una sua enorme produzione, che è la testimonianza di un protagonismo a cui abbiamo il dovere di dare attenzione, con un posizionamento a cui questa pubblicazione vuole contribuire, ampliando i punti di vista, in una visione eclettica che è maturata senza la certezza che sarebbero arrivati questi giorni di luce e di sole, diradando nebbie ed oscurità che non avevano altra motivazione se non nel pregiudizio che non vede quello che vede, ma vede solo quello che vuole, mettendo il velo ad altro o ad altri. Biggi in questi anni sta recuperando un tempo perduto, proponendo la sua opera e la sua biografia in una sincronia che richiama alla mente reperti di un ‘900 che può ancora parlare e farsi ascoltare, scomponendo i messaggi nascosti della Bauhaus, della sua linea galileiana, delle ricerche di Max Bill, di Moholy Nagy, inseminati

Biggi nel suo studio di Langhirano PR, davanti al quadro “Siciliana”, 2008

it open to confrontation, with the impregnable dimension of mutability of happenings, of the history of contemporary Italian art, the reading of Arturo Carlo Quintavalle’s text makes us fall down from the sky and touch the ground, letting us understand concrete events, the inclusions and the exclusions that have determined media and market fortunes and misfortunes, delineating the chronicles of an empire (notably Argan’s) and of many counter forces, to determine effect of dominance, inside a common frailty; Italy is always in trouble when facing stronger and belligerent foreign competitors. Quintavalle attributes to this situation the reason why an artist like Biggi, one so endowed, is still mostly new, if compared to his huge output, witnessing a protagonist attitude we have to give credit to; the present publication wishes to enlarge and enrich the viewpoints, in an eclectic vision that has ripened without having the certitude that bright and sunny days were just around the corner, dispelling fogs and darkness whose sole motive was in a prejudice that does not see what it sees, but only sees what it wishes, veiling some subjects. In those years Biggi has been trying to resume lost time, proposing his works and his biography

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con le suggestioni di Piet Mondrian e Paul Klee e poi con le fabule dell’espressionismo astratto, soprattutto di de Kooning. A Claudio Cerritelli è toccato fare una lettura tematica e coloristica a partire dal ciclo New York New York, testimonianza di Biggi di appropriarsi di una città è farla diventare metafora di natura e artificio e farla diventare metafora di natura e artificio in un inestricabile conteggio della molteplicità, che può essere contenuto in una verità in una unità capiente, dando ragione di una restituzione di ricchezza che viene liberamente evocata dall’intrecciarsi di valori plastici con valori viscerali, umorali, olfattivi, tattili, uditivi, sonori, che insieme fanno metropoli, che insieme fanno mondo, facendo volare la fantasia libera, al di là di ogni orizzonte reale, in un continuo farsi e disfarsi, mutare a contatto con l’ignoto, con l’impulsivo, sapendo che tutto quanto è vita del pensiero e delle sue opere. Comunque, al di là delle singole angolazioni e perimetrazioni, che fanno di queste argomentazioni una metacritica, aperta al confronto e alla sua stessa negazione, nell’ambito della fenomenologia del contemporaneo che assorbe la ultime propaggini della modernità matura e le prime forti scansioni di una attualità da cultura di crisi, da continua messa in questione degli strumenti della conoscenza, resi inadeguati dalla deflagrazione degli spazi e dei tempi che distinguevano l’ordinario dallo straordinario e che oggi configurano le sembianze di un disordine di cui venire a capo in qualche modo. Resta tutta intatta l’attrazione, la sensualità, mi viene da dire, delle asimmetrie che scommettono sul futuro reso al condizionale in lunghe e larghe escursioni di disagio mentale, da eclissi d’essere e di spiritualità, a cui soccorre l’ereticità di Biggi uno, di Biggi tanti, di Biggi molti…

in a synchrony that recalls XX century finds, a century that still has something to say, decomposing Bauhaus hidden messages, its Galilei line, Max Bill and Moholy Nagy’s researches, inseminated with Piet Mondrian and Paul Klee’s suggestions, and then with the fabulae of abstract Expressionism, above all de Kooning’s. Claudio Cerritelli has chosen a theme and colour reading starting from the New York New York cycle, witnessing Biggi’s attempt to put his hands on a city, making it a metaphor of nature and artifice in an inextricable counting of multiplicity, which can be contained in a truth in a capable unity, giving reason for having richness back, freely evoked by the interplay of plastic values with visceral, humoral, olfactory, tactile, auditory, sonorous ones, that together form a metropolis, a world, letting imagination fly free, beyond every real horizon, in a continuous making and unmaking, changing in contact with the unknown, with impulses, knowing that everything is life for thought and its operas. Anyway, beyond single angles and perimeters that turn these arguments into meta-criticism, open to confrontation and its own opposite, in the field of phenomenology of contemporarity absorbing the last tails of a ripe modernity and the first strong scans of an actuality where culture is in crisis, because of a continuous questioning on the instruments of knowledge, now made inadequate by the deflagration of spaces and times distinguishing the ordinary from the extraordinary and presently configuring features of a disorder it is necessary to tame somehow. It is wholly intact the attraction, the sensuality, I dare say, of the asymmetries betting on the future made conditional in long and large trips of a mental pain, by eclipses of being and spirituality, which takes care of the heresy of Biggi one, Biggi several, Biggi many…

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Fiori, figure, figurabile

Flowers, figures, figurative

Gianluca Ranzi

Gianluca Ranzi

Se in principio fu il verbo poi vennero i fiori. Corolle di fiori, bouquets vertiginosi stillanti lampi di luce rugiadosa e agglomerati di materia purissima, cascate di fiori, muri di colore come fuochi d’artificio, assorbenti, folgoranti, detonanti. L’ultima serie uscita dallo studio di Gastone Biggi è un riverbero continuo di forme e di emozioni, un genere abusato che ritrova limpidità e necessità in una serie si direbbe potenzialmente infinita di variazioni, di angoli di visuale, di registri

In the beginning was the word, and then came the flower. Flower corollas, dizzy bouquets exuding flashes of dewy light and conglomerates of purest matter, cascades of flowers, walls of colour exploding like fireworks, absorbing, dazzling, detonating. The latest series born in Gastone Biggi’s atelier is an endless reverberation of shapes and emotions, an over-used genre that recovers limpidity and necessity in a potentially infinite series of varia-

Biggi con Gianluca Ranzi, in occasione dell’intervista televisiva, Brescia 2010

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molteplici: Biggi dispiega fiori elegiaci, tragici, arcadici, talvolta persino comici, solitari o comunitari, melanconici o festosi. Sono a ben guardare fiori che lasciano di buon grado cadere il loro nome botanico e la loro riconoscibilità scientifica di specie per assurgere a un tema più alto: il genere umano e l’infinito nelle sue gradazioni. Di primo acchito, con l’occhio abbagliato da tanto roteare di gamme cromatiche e di luce, potrebbe sembrare che questi ultimi lavori appaiano ancorati a un formalismo talmente semplice da sfiorare una sorta di riduttivismo tematico, soprattutto se confrontati con l’imponente e multiforme ricerca artistica che ha contraddistinto il percorso di Biggi dagli anni cinquanta a oggi, ma la banalità del genere, con cui indubbiamente l’occhio lungo dell’artista gioca e si diverte, non sfiora neppure il senso profondo del risultato finale. Ad un esame più attento diviene chiaro che questo richiamo iniziale all’iper-frequentazione del genere della natura morta con fiori funge solo da introduzione per farci addentrare in un corpus di opere che, particolarmente quando considerate come serie, costituiscono un complesso tentativo di reinterpretazione e di nuova locazione sia del genere stesso che del principio generale della rappresentazione, che è il modo con cui abitualmente Gastone Biggi ha impostato il suo procedere artistico. In particolare lo spostamento operato da Biggi avviene secondo due traiettorie opposte: da una parte egli si appella a una sorta di magica, spontanea, primordiale meraviglia che trattiene sulla tela una traccia emotiva ma non l’oggetto in sé, dall’altra si muove espandendo i confini della pittura oltre la sua funzione nostalgico-rievocativa di ricordo o di still della natura, come del resto era già avvenuto nelle serie dei Cieli (19791984) e dei Campi (1985-1987), verso un territorio più ampio per spazio, tempo e memoria. In un mondo di immagini che si consumano e digeriscono con un ritmo da fast-food, che rilascia-

Gillo Dorfles e Biggi all’Atrefiera, Bologna 2008

tions, visual angles and manifold registers: Biggi unfolds elegiac flowers, tragic, Arcadian, sometimes even comic, solitary or collective, melancholic or joyful. On a closer look, they are flowers that willingly set aside their botanic name and their scientific species status to reach a higher theme: humankind and infiniteness in its levels. At first, our eyes glazed by rotating chromatic and light gamut, we could think that these latest artworks stick to such a simple formalism as to almost touch a sort of theme reduction, over all if compared to the imposing and manifold artistic quest that has characterised Biggi’s pathway from the Fifties to nowadays; yet the genre banality, with which the savvy artist’s eye plays and enjoys, does not even be close to the deep sense of final outcome. At a closer examination it becomes evident that this initial reference to hyper-frequentation of still-life-with-flowers genre is a mere introduction to make us enter a corpus of works that, especially when taken as a series, make up a complex attempt to reinterpret and relocate both the genre itself and the general principle of representation, which is the ordinary pathway of Gastone Biggi’s. In particular, the shifting operated by Biggi occurs following two opposite trajectories: on the one hand he summons a sort of magical, spontaneous, primeval wonder that holds an emotional trace on the canvas, yet not the object itself; on

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no le loro informazioni in un flash momentaneo che altrettanto rapidamente si estingue, che sono assorbite e riconfigurate con voracità consumistica e che a breve scadenza non possono più essere considerate affidabili, i fiori di Biggi hanno il potere di frenare il nostro scivolamento lungo la china dell’oblio e del disinteresse. Biggi non tenta, infatti, di appropriarsi del mondo attraverso la sua trascrizione letterale, ma piuttosto cerca di svelarlo a poco a poco (e si vorrebbe riferire questa espressione temporale e relativa osservazione non alla sola serie dei Fiori, ma all’arco complessivo della sua produzione) attraverso la sua paziente osservazione e la sua intensa percezione emotiva. Da questo punto di vista i Fiori non sono semplicemente il più recente lavoro dell’artista, ma appaiono come un episodio altamente significativo che riassume, invera e conferma la sua intera ricerca precedente. Nonostante la loro apparente e disarmante semplicità essi ci invitano a guardare, ponderare, rievocare oltre il vuoto carnevale mediatico che ci circonda, introducendoci su un terreno metaforico che richiama piuttosto certi canestri di frutta del Caravaggio, capaci di riassumere e di alludere, nelle evoluzioni della natura, all’intero ciclo biologico dell’uomo e al suo essere-al-mondo. Questo è reso possibile dal trattamento sostanzialmente anti-figurativo attraverso cui vengono filtrati i dati naturali, tale per cui foglie, petali, gambi, pistilli, e corolle vengono sostituiti dalle parole in libertà della materia cromatica, dai contrappunti tonali che fanno vibrare le forme, da un horror vacui che dissemina le presenze su più dimensioni e non si lascia intrappolare da una verticalità o da un’orizzontalità limitante. Come lo stesso Biggi ha scritto, la preoccupazione non sta nel cosa dipingere ma nel come, nel porsi in una condizione dove l’elemento fondante non è la rappresentazione ma la forza creativa della materia pittorica una volta a contatto con l’energia psicodinamica e la spontaneità non co-

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1992, Cassonetto di Verona decorato da una classe di Scuola Media, con motivi ripresi dai quadri di Biggi

the other he operates expanding the painting boundaries beyond its nostalgia, the memory evoking nature, as had already happened with the series of Cieli (1979-1984) and of Campi (1985-1987), towards a larger territory as far as space, time and memory are concerned. In a world of images consumed and digested in a fast-food rhythm, releasing information in a momentary flash equally rapidly extinguished, images that are absorbed and reconstituted with consumerism voraciousness, whose reliability is short-termed, Biggi’s flowers have the strength to restrain our sliding along the slope of oblivion and carelessness. Biggi does not try to take possession of the world by means of its literal transcription, on the contrary he tries to unveil it little by little (and this temporal expression and relative observation can not only be referred to the Fiori series, but to his global artistic output) through patient observation and intense emotional perception. From this viewpoint the Fiori are not simply the artist’s most recent work, they appear like a most significant episode that sums up, makes true and confirms the Maestro’s whole artistic quest. Despite their seemingly disarming simplicity, these artworks invite us to look, ponder, evoke beyond the empty media carnival that surrounds us, introducing us into a metaphoric field that recalls certain fruit baskets painted by Caravaggio, capable of summarising and alluding, in nature’s


ercizzata della capacità rievocativa dell’autore: “Quando lavoro, spargo la cromatica materia sul piano della tela in attesa che qualcosa avvenga; quando poi mi si configuri un dato interessante da registrare o un cromatico avvertimento di opera compiuta, senza che il mio pennello abbia avuto il minimo riguardo per il nuovo spazio che andava a conquistare, allora e solo in quel caso riterrò l’opera compiuta. Un verde, un rosso, un rosa installatosi nella mia retina magari qualche anno prima, è ritornato in circolo senza che io me ne accorgessi, e ritrovandolo sulla tela mi accorgo, e solo allora, che quel colore mi aveva già colpito, magari osservando un fiore, un mare, una foglia in un lontano giorno sepolto dalla memoria”. La verità dell’arte di Biggi sta quindi nel farsi presenza lampante e irrefutabile del distillato memoriale di una figura, nel coagularsi cromatico di una forma plastica e sciolta che chiameremo figurabile. I simulacri delle figure della realtà fondano l’esistenza dell’arte e producono l’identità dell’artista che ha accettato di farsi tramite con quel movimento interiore che altrimenti resterebbe precluso allo sguardo del mondo. Dunque anche a Biggi spetta il compito di questa mediazione, attraverso il suo tramite con la memoria, che non significa certamente riduzione a un puro lavoro esecutivo, ma condizione di maggior apertura e libertà espressiva, fuori da qualsivoglia

Biggi al lavoro nel suo studio di Tordenaso PR, 2010

Giorgio Kiaris e Biggi nella Biblioteca della Casa Rossa, Tordenaso PR, 2010

multifaceted evolutions, to man’s entire biological cycle and life. This is made possible by the fundamentally nonfigurative treatment through which the natural data are filtered: thus leaves, petals, stalks, stems, pistils and corollas are substituted by the free flowing of chromatic matter, of tone counterpoints that let shapes vibrate, by a horror vacui that scatters objects on various dimensions and cannot be trapped in vertical or horizontal limits. As Biggi himself once wrote, what is more important is not what to paint, but how to paint it, taking a stance where the primary element is not representation, but the creative force of painting, coming into contact with the psycho-dynamic and the spontaneity not forced by the Maestro’s evoking quality, ‘When I paint, I scatter the chromatic matter on the canvas surface, waiting for something to happen; when an interesting datum to be recorded or a chromatic warning of finished artwork comes to me, and my brush does not falter while conquering its space, only at that point is my work accomplished. A green, red or pink hue, set on my retina years before, has come back to me without my noticing; recognizing it on the canvas, I realize that that colour had already struck me, while observing a flower, the sea, a leaf on a day buried in my memory’. The truth concerning Biggi’s art rests in its being flashing and undeniable statement of the distilled memory of a figure, in the chromatic coagulation

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Lo studio dell’artista, la Casa Rossa, Tordenaso PR, 2008

inibizione e progetto a tavolino. Per Biggi tutto ciò non è effetto di una peripezia esclusivamente mentale, di un sapere razionale e trasmissibile, ma è il risultato di una catena di associazioni, tra la condizione di lucidità e abbandono che ha così efficacemente espressa nelle parole sopra citate e che echeggia anche in Platone: “E con ragione chiameremo divini quei tali che or ora dicevamo indovini o vati, come tutti i poeti, poiché ispirati e posseduti dalle divinità, allorché riescono a dire e a fare grandi cose, senza nulla sapere di quello che affermano”. (Menone, 99, XLI, d) Che poi i lavori di Biggi, pur essendo ciascuno di essi dotato di piena autonomia, nascano da sempre in serie tematiche non è a questo proposito un elemento di secondaria importanza. È certo che ogni opera appartenente a una serie è anche unica, indipendente e irripetibile poiché non è mai ripetibile il movimento che porta alla sua definizione. Diviene così possibile riconoscere un tema che si declina nelle sue modulazioni, ma soltanto per indicare la fonte da cui proviene il suo passaggio: Biggi stesso e la natura sopra di lui. Guardare intensamente una singola opera permette infatti di apprezzarne la composizione, le gradazioni cromatiche e tonali, la chiarezza dei dettagli come la potenza grandiosa dell’insieme; ma esaminarne più d’una nella cornice generale della serie, comparandola e mettendola

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of a plastic and loose form that we could name ‘figurative’. The simulacra of the figures of reality truly found the existence of art and produce the artist’s identity that has accepted his role of intermediary with that interior motion that would otherwise be precluded to world’s eye. Biggi himself has to be a mediator, thanks to his link with memory, that surely does not equate the reduction to mere execution, but that does involve greater openness and freedom of expression, out of whatever inhibition and theoretical project. In Biggi’s art all this is not the product of solely mental adventure, of rational and transmittable knowledge, but it is the result of a chain of associations, caught between the conditions of lucidity and abandonment, so well expressed in the above-quoted words and echoed in Plato’s conception, ‘And with reason we shall call divine those who we just now have called seers or bards, like all poets, since they are inspired and possessed by divinities, as when they succeed in telling and doing great things, without their knowing about their statements’ (Menone, 99, XLI, d). And every work by Biggi, having full autonomy, is always born in a thematic series is a topic we are not here to talk about. It is evident that every artwork belonging to a series is also unique, independent and unrepeatable, since the motion leading to its definition could never be repeated. Thence it is possible to isolate a theme declined in its various modulations, but only to hint at the source of its own passage: Biggi himself and the nature above him. Looking closely at a single painting lets us appreciate its composition, its tone and chromatic nuances, its clear-cut details as well as the grandiose strength of the ensemble; examining more than a single painting in the general series frame, comparing and relating it to the others allows us to isolate in them all a deeper meaning. As a matter of fact, if considered in their succes-


in relazione alle altre, permette di rilevare in esse una ben più profonda significanza. In effetti, se considerati nella loro successione, anche i Fiori, così come del resto le altre opere di Biggi, sembrano spostare il fuoco dell’attenzione dal tema complessivo (i fiori, i cieli, i campi, la follia, le cancellate…) alla miriade di notazioni e di nuances che li separano e distinguono l’uno dall’altro: la densità dell’aria, la texture del mare e delle foglie, la qualità della luce, il ritmo e le consonanze armoniche della natura, così come le sue dissonanze. Dotandosi di uno sguardo complessivo che allaccia i singoli episodi al tronco narrativo principale, ci si può permettere di concentrarsi non tanto sulle singole figure “citate” (fiori o campi o cieli che siano), quanto sui loro elementi costitutivi, la loro grammatica più elementare: luce, colore, atmosfera, densità, ariosità, così come vengono

sion, even the Fiori, as well as other works by Biggi, apparently shift focus from the general theme (the flowers, the skies, the fields, the folly, the railings…) to a myriad notes and nuances which separate and set apart one from the other: the air density, the sea and leaves texture, the light quality, nature’s rhythms and harmonious consonances, and her dissonances as well. Performing a global glance that ties the single episodes to the main plot, one can concentrate not on the single ‘quoted’ figures (be they flowers or fields or skies), but on their founding elements, their most basic grammar: light, colour, atmosphere, density, air, as recalled by the artist’s memory. This shifting of the figure from reality to its essential qualities represents an access to ‘figurable’, to what that very reality has fixated in the artist’s mind. As Biggi himself has recently written about a little 1948 artwork, endowed

Biggi a Portivy, Bretagna 2009

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richiamati dalla memoria dell’artista. Costituisce un accesso al figurabile questo slittamento dalla figura della realtà alle componenti essenziali che quella stessa realtà ha impresso nella mente dell’artista. Come Biggi stesso ha scritto recentemente a proposito di un’opera di piccolo formato ma dall’importanza seminale realizzata nel 1948 e intitolata Gli ignoti: “Già da allora prefigurava nella sua ambiguità cromatica e formale gli aspetti di una figuratività dove le pennellate trasfiguravano una figurazione in fieri e dove le poche opere di quel brevissimo periodo precedevano di almeno vent’anni le furiose pennelleggiature dei più noti artisti degli anni Sessanta e Settanta”. Anche “Gli ignoti” quindi, che si pone agli albori del percorso artistico di Gastone Biggi, permette di identificare con limpidità quel filo rosso che lega quest’opera alla recentissima serie dei Fiori, abbracciando con continuità e coerenza tutta la produzione intermedia. Fin dal 1948 la pittura di Biggi aveva quindi precocemente trovato una via d’uscita alla polemica tra astrattisti e realisti che si dimostrerà anche profetica per molti degli sviluppi che la pittura italiana avrebbe assunto nei decenni a venire. Il 1948 era proprio l’anno in cui dalle pagine del mensile Rinascita, fondato da Palmiro Togliatti quattro anni prima, infuriava la polemica tra gli astrattisti guidati da Renato Birolli e i realisti che si identificavano nella figura di Renato Guttuso, tanto che alla fine dello stesso anno il gruppo di artisti che si era riunito nel 1946 sotto il nome di Fronte Nuovo delle Arti si coagulava sempre più intorno alle due figure contrapposte di Birolli e di Guttuso. In questa congerie di posizioni, proclami, articoli polemici, scissioni e rifondazioni, Gli Ignoti rimane programmaticamente lampante di una posizione che si rifiutava già da allora di contrapporre astrazione e figurazione, ma già cercava una terza via in cui l’aspetto narrativo coniugasse emozionalità e ragione per creare un nuovo lessico pittorico.

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with greatest seminal importance, entitled “Gli ignoti”, ‘Even then, in its chromatic and formal ambiguity, this work prefigured the aspects of a figurative art where the brush strokes transfigured an in fieri figuration and where the few artworks of that shortest epoch came at least two decades ahead of the furious strokes of the brush of most famous artists of the Sixties and Seventies’. Even “Gli ignoti”, located at the dawn of Biggi’s artistic pathway, lets us clearly identify the fil rouge that links it to the most recent series of Fiori, coherently enclosing all the intermediate works. Since 1948, Biggi’s painting had precociously found an exit way to the debate opposing abstract and naturalistic painters, a debate bound to characterise the developments of Italian painting in the decades to come. 1948 was the year when, in the pages of monthly magazine Rinascita, founded by Palmiro Togliatti four years before, raged the controversy between abstract painters led by Renato Birolli and naturalists identifying in the figure of Renato Guttuso; at the end of 1948, the group of artists gath-

Biggi nella Biblioteca della Casa Rossa, Tordenaso PR, 2010


Che tutto questo venga chiamato Realismo Astratto secondo la definizione di Biggi stesso, o che si definisca accesso al figurabile, certo è che non può essere considerato frutto di studio accademico, come lo può invece essere la figura. Il processo che sta alla base della poetica di Biggi avviene infatti naturalmente, attraverso una fase di condensazione e di abbreviazione che porta poi all’elaborazione finale che moltiplica il teatro del mondo della figura nelle infinite varianti della sua figurabilità. Dopo quella folgorante prova del 1948, troppo estrema e radicale per i tempi in cui veniva alla luce, Biggi segue infatti un processo di condensazione figurale che lo porterà via via verso una rarefazione del lessico pittorico sempre più accentuata. Come un codice genetico latente che trova la sua strada e si potenzia per via di adattamenti successivi, il cammino di Biggi verso quello che lui stesso nel 2005 definirà Realismo Astratto parte infatti da una serie di opere figurative del 1956/57; attraverso il recupero della limpidità sognante di Giotto e dell’astrazione matematico-geometrica di Piero della Francesca, esse si allontanano sia da una figurazione realistica di tipo guttusiano, che dal tonalismo mafaiano in quegli anni tanto acclamato dal milieu artistico romano. Sono opere rarefatte e silenti in cui spira una brezza di metafisica astrazione che avvolge le figure dei personaggi trasportandole in un mondo di forme pure e di limpida luce zenitale. I quadri figurativi di quegli anni contengono insomma già in nuce i germi della svolta astratta che arriverà nello stesso 1957 con le Cancellate e deflagrerà nel 1958 con la serie dei Racconti, che vedono per la prima volta la compresenza sinergica di riferimenti realistici e scomposizione astratta, fusi in una koiné linguistica che si lascia definitivamente alle spalle la figurazione più letterale e che continua con i cicli successivi delle Lettere e delle Colature (1960). È con le Colature che si affaccia anche l’altro motivo già accennato dell’assoluta libertà espres-

L’opera “Klingsor” nello studio di Biggi

ered in 1946 under the name of Fronte Nuovo delle Arti, coagulated more and more around the opposing personalities of Birolli and Guttuso. In this congeries of stances, proclamations, polemical articles, splits and refoundings, Gli Ignoti is positive proof of the refusal of the opposition between abstract and figurative painting, looking for a third position where the narrative aspect could conjugate emotion and reason in order to create a new pictorial lexicon. Be it called Abstract Realism according to Biggi’s definition, be it named access to figurable, sure it cannot be considered a product of academic study. The process at the very basis of Biggi’s poetic conception happens quite naturally, through a phase of condensation and abbreviation, which leads to the final elaboration multiplying the theatre where figures move in the infinite variables of figuration. After this tantalising experiment dating 1948, too extreme and too radical for those times, Biggi pursues the path of figurative condensation, leading him to a more and more accentuated rarefaction of painting lexicon. Like a latent genetic code finding its own way, strengthening by means of successive adaptations, Biggi’s pathway towards what he in 2005 would call Abstract Realism starts with a series of figurative artworks back in 1956/57; through the recovery of Giotto’s dreamy clarity and Piero della Francesca’s mathematic and geometrical abstraction, he es-

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siva del metodo compositivo di Biggi, che non teme di lasciare un margine di intervento legato a una forma di casualità controllata, ed anzi ne sfrutta le possibilità a suo favore. Le Colature mettono in scena la diarchia tra emozione e ragione, autonomia del colore e controllo tecnico, natura e azione individuale. Lasciando fluire il colore in modo da formare racemi sottilissimi e reticolati finissimi che ricoprono interamente la superficie fluendo in ogni direzione, Biggi dichiara apertamente in questa serie di opere quanto per lui i due estremi dell’istintualità emozionale e della ricomposizione delle forze della natura in un progetto espressivo non si perdano mai di vista, ma continuino a giocare insieme variando i loro rapporti di forze. Nei successivi cicli dei Continui e delle Variabili, ad esempio, la composizione rimane tesa tra ur-

Biggi al lavoro nello studio di Tordenaso PR 2010

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tranges himself both from Guttuso’s naturalistic figuration and from Mafai’s tonalism, in those years applauded by Roman artistic milieu. These are silent and rarefied artworks where you can feel a breeze of metaphysical abstraction that wraps the figures, bringing the characters in a world of pure forms and clear zenith light. The figurative paintings painted in those years contain in nuce the germs of the abstract turn dated 1957 with the Cancellate - Railings, deflagrating in 1958 with the series of Racconti Tales, that for the first time present the synergic co-presence of realistic references and abstract decomposition, fused in a linguistic koiné that definitively leaves behind the most extreme figuration, which will be carried on with the cycles of Lettere - Letters and Colature - Drippings (1960).


genza emozionale e controllo razionale, ma l’ago

della bussola che segna l’evoluzione del percorso dell’artista si sposta con decisione verso quest’ultimo e punta verso una ricomposizione analitica della forma secondo un crescendo che va dallo spazio percorso unilateralmente dai punti dei Continui, il cui ritmo puntiforme erompe dai confini stessi del quadro e richiama consonanze di musicale limpidità, fino al massimo vertice della ricerca gestaltica e razionale della pittura di Biggi rappresentato dalle griglie di luce mutevole delle Variabili, che svelano il ripensamento effettuato dal loro autore sui temi di grande interesse per quegli anni innestati dalla cultura progettuale del Bauhaus e dalla psicologia della forma. Eppure, anche con le Variabili, Biggi non

With the Colature appears another motive already hinted at, the absolute freedom of expression of Biggi’s composition method, which does not fear the presence of a form of controlled casualness, and which exploits its possibilities. The Colature enact the diarchy between emotion and reason, independence of colour and technical control, nature and individual action. Letting the colour flow so as to form very thin branches and extra-fine reticules covering the entire surface, scattering in every direction, Biggi openly declares that the two extremes of emotional instinctuality and the re-composition of natural forces in an artistic plan cannot be separated, on the contrary they interplay, varying their force relations. In the following cycles of Continui - Continuums and Variabili - Variables, for instance, the composition is suspended between emotional urgency and rational control, yet the magnetic needle indicating the artist’s evolution decisively moves towards the latter, heading towards an analytical composition of form, according to a crescendo going from the one-way space of the dots in the Continui, whose dot-like rhythm breaks out of the frame of the painting itself, recalling consonances of musical limpidity, up to the top of Gestalt and rational quest of Biggi’s art, represented by the grids of mutable light of Variabili, unveiling the reconsideration made by their author on themes of great interest for those years rooted upon Bauhaus project-oriented culture and psychology of form. Yet, even with the Variabili, Biggi never surrenders to optical game for its own sake, nor in a cold formal mechanism, but he erupts onto the artistic stage with works animated by the breath of nature, vibrating with musical rhythm: tone on tone, colour on colour, note on note in a polyphony of chromatic voices combining and matching diverse melodies. Hence it is clear that the relation between the artist and his artistic creation is never made barren by conceptualism, nor is it stranded in the shal-

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cade mai nel gioco optical fine a se stesso o in un freddo meccanicismo formale, ma irrompe sulla scena artistica con opere animate dal soffio della natura e vibranti di ritmica musicale: tono su tono, colore sopra a colore, nota sopra a nota in una polifonia di voci cromatiche che intersecano e confrontano diverse linee melodiche. Da tutte queste prove risulta quanto mai evidente come il rapporto tra Biggi e la creazione artistica non si sia mai inaridito nel concettualismo o arenato nelle secche dello stile, proprio per la sua potente capacità di restare in ascolto degli stimoli offertigli dalla natura, sia essa quella introspettiva delle proprie emozioni, che quella legata al mutamento del mondo esterno in rapporto al tempo e allo spazio da lui condivisi. In questo modo l’opera diviene il modo per mantenere un legame di verità forte con la storia, che evidentemente comprende dentro di sé anche l’idea della natura. Questa fluidità natura-storia è effetto di un procedere che non si mette in una situazione di conflitto formale col mondo, ma cerca invece di coinvolgerlo in una situazione di interagenza culturale, senza distinzione tra codice figurativo e astratto. L’ascolto su banda larga dei ritmi e del tempo della natura, anche attraverso il ricorso al ricordo e alla rievocazione, permette a Biggi di raggiungere il momento di un’intensità visiva richiamabile solo attraverso l’arte. È sempre una tensione verso un’idea di totalità e completezza raggiunta attraverso l’opera, che innesta la frammentarietà emozionale del soggetto sulla sua relazione col mondo esterno, e attraverso di esso con la natura. E’ quanto avviene nella serie delle Icone del 1995-1996, che resta saldamente legata a una modalità creativa dell’artista che vede nella percezione dei ritmi e delle dinamiche della natura una indubbia fonte di riferimento. La ripresa dell’uso della sabbia e della segatura e il tipico formato verticale e slanciato dato alle opere, conferiscono alla serie un’asciuttezza e una ieratica solennità che vanno di pari passo con una attenzione che si sposta da impressio-

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Biggi con Gianluca Ranzi, in occasione dell’intervista televisiva, Brescia 2010

lows of style, thanks to his capacity to listen to the stimuli offered by nature, be it the introspection deriving from his own emotions, be it linked to changing external world, to the time and space he shares. This way the artwork establishes and maintains a strong link of truth/bond of truth with history, which obviously also encloses the idea of nature. This fluidity nature-history stems from a process that never formally contrasts the world; on the contrary it tries to involve it in cultural interaction, without distinguishing between figurative and abstract code. The broadband listening to the rhythms and times of nature, also thanks to memories and evocations, allows Biggi to reach the momentum of visual intensity possible only by means of art. It is always the tension towards an idea of wholeness and completeness reached through the artwork, which roots the emotional fragmentation of the subject on its relation to the external world, and with nature. It is what happens with the series of Icone of 1995-1996, closely connected to artist’s creation mode, who finds in the perception of nature’s rhythms and dynamisms a certain source of references. The use of sand and sawdust and the typical vertical and lean shape of the artworks give the series a hieratic and dry solemnity that equals the attention shifted from momentary im-


ni momentanee al rilevamento di fenomeni più complessi, globali e strutturali come le eclissi, le stagioni, il movimento dell’universo. Con il ciclo Guerra e Pace del 2005-2006 ad esempio Biggi si muove a partire da macro e micro eventi che hanno a che fare con lo stato del vivere contemporaneo, tra gli orrori della storia e il loro riassorbimento nel corso lungo della natura. Essi si raccolgono e si confrontano intorno al tema della guerra e della pace: il dramma recente delle immagini dei bombardamenti statunitensi su Baghdad si ricollega al passato con la rievocazione della battaglia di Verdun del 1916, con l’inverno russo della seconda guerra mondiale, fino a una drammatica fucilazione sotto la neve che preannuncia un ipotetico giorno H che segnerebbe la fine di tutto l’esistente. A tutto ciò si oppone il tempo della pace, sentito come una liberazione salvifica che trova nella poesia della natura e della vita stessa il mezzo per recuperare la bellezza e l’amore, che si distendono nei ritmi placidi e sereni del grande fiume, nelle impressioni dei gatti al sole, nei colori della vendemmia. Il potente affresco che ne deriva richiama alla mente le parole di Friedrich Schlegel: “Che cosa è il divino della natura? Non la vita e la forza soltanto, bensì l’unità e l’incomprensibilità, lo spirito, il significante, la singolarità. E questa, a nostro avviso, è la sfera caratteristica della pittura”. Ecco quindi come le venti grandi tele che compongono il ciclo richiamino alla mente rimandi letterari, storici, filosofici, circostanze attuali, episodi specifici e impressioni dello scorrere della vita che sono radicate nella memoria particolare dell’artista, ed eppure la serie, vista nella sua interezza, spicca anche per la tensione dinergica tra astrazione del gesto e movimento delle forme, tra spinte e contrafforti laterali, trattenimento orizzontale e rilascio in verticale, strutturando il campo interno della pittura come un dinamismo pulsante di forze in azione. Come avviene per i Fiori, esiste un momento in cui l’opera sfugge dalle mani del

Dedica e auguri di Igor Strawinsky a Gastone Biggi, Roma 1951

pressions to the investigation on more complex, global and structural phenomena such as eclipses, seasons, universal motion. With the cycle Guerra e Pace of 2005-2006, for example, Biggi operates from macro and micro events that refer to contemporary living, caught between the horrors of history and their absorption in the long course of nature. They gather and confront themselves along the theme of war and peace: the recent tragedy of US bombing over Baghdad recalls 1916 battle of Verdun, the Russian winter of World War II, up to a dramatic shooting under the snow, announcing a hypothetical H-Day signalling the end of all existence. The time of peace is its opposite, felt as a saving liberation, which finds in poetic life and nature the very means to recover beauty and love, lying in the placid and serene rhythms of the great river, in the impressions of cats lying in the sun, in the colours of vintage time. The deriving powerful fresco calls to mind Friedrich Schlegel’s words: ‘What is the divine in nature? Not life and

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Puntino davanti al Continuo 63 pubblicato nella prima edizione della Storia dell’Arte Moderna di G.C. Argan

suo creatore e dall’orizzonte dei suoi riferimenti specifici per affrancarsi in una dimensione totale che lascia cadere le inflessioni per parlare una lingua universale, andando in questo modo al di là delle occasioni che l’hanno prodotta. L’opera di Biggi assume così valore universale poiché diviene il risultato di questa manipolazione, di un lavoro che procede a balzi attraverso l’incontro presente di vari elementi e condizioni che spaziano dalla rievocazione della memoria a episodi di cronaca e momenti di vita colti in flagranza, senza che tutto ciò debba essere necessariamente promosso dall’artista stesso e dalla sua strategia creativa. Altri fattori entrano nella creazione, solcano l’attività e la sua messa in opera, che rappresenta il punto di coagulo della tensione artistica tra i frammenti dell’immaginario e la loro trascrizione in forma pittorica. Potremmo dire, rovesciando la tesi di Maurice Blanchot, che Biggi fa della sua ispirazione non più un cammino verso l’opera ma fa dell’opera un cammino verso l’ispirazione, essendo l’opera (come si è visto nel caso dei Fiori o di Guerra e Pace) comunque a monte del suo stesso tema o delle circostanze occasionali o accidentali che possono averla in qualche modo sollecitata. Questo non significa perdita della spontaneità o della vitalità espressiva, quanto piuttosto comporta da parte di Biggi la capacità di rinnovare lo stupore e la meraviglia di fronte all’affiorare in ordine

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strength alone, but the unity and the incomprehensibility, the spirit, the significant, the singularity. And this, in our opinion, is the characteristic field of painting’. This is how the twenty great canvases making up the cycle recall literary, historical, philosophical references, contemporary events, all rooted in the artist’s peculiar memory; yet the series, contemplated as a whole, stands out also for its dinergic tension between abstract gesture and moving shapes, between thrusts and side buttresses, horizontal tie-rods and vertical release, structuring the inner field of painting as a dynamic pulse of acting forces. As it happens with the Fiori, there is a moment when the artwork leaves the hands of its creator and the horizon of its specific references to be free in a total dimension that leaves inflections apart in order to speak a universal language, thus going beyond the very occasions that generated it. Biggi’s work therefore assumes a universal value, because it is the result of such a manipulation, a work which rapidly progresses through the simultaneous presence of various elements and conditions, ranging from evocations caused by memory to news items and moments in life caught red-handed, even if all this does not need to be promoted by the artist himself and his own creative strategy. Other elements enter creation, sailing on the activity and its enactment, which represents the coagulating point of artistic tension among the fragments of imagination and their pictorial transcription. We could well say, confuting Maurice Blanchot’s thesis, that Biggi does not turn his inspiration into a path towards the artwork, but that he makes the artwork a path towards inspiration, staying the opera (as it happens with the Fiori or with the cycle of Guerra e Pace) at the origin of its own theme or occasional and accidental circumstances maybe causing it. This does not imply the loss of spontaneity or of expression vitality, but it implies by Biggi the ability to reno-


sparso dei sedimenti di memoria, e nello stesso tempo la sua abilità di trattenere e indirizzare l’energia gestuale che ne deriva nell’alveo della realizzazione formale dell’opera. Dallo stupore di quel momento in cui davanti alla materia cromatica ancora informe fioriscono i ricordi e affiorano le emozioni, nasce la possibilità per Biggi di non opporre resistenze, di accettare tra le mani elementi e frammenti che provengono da recessi luminosi, come nel caso dei limpidissimi Cieli (1979/1984), o oscuri e drammatici, come nel Ciclo della Follia del 1988, in cui la ricerca di Biggi tocca uno dei suoi punti più alti nella rappresentazione del tragico. Queste ultime sono tele che riflettono uno stato angoscioso e imploso in cui tutto sembra venir messo in discussione tranne l’affermazione potente e irrefrenabile del farsi pittura di una con-

vate the amazement and the wonder before the random rising of memory sediments, and at the same time his ability to keep and channel deriving gesture energy into the track of the formal realization of the opera. From the amazing moment when in front of still unshaped chromatic matter blossom memories and emotions is born for Biggi the ability of not making resistance, of accepting in his on hands elements and fragments coming either from luminous abysses, as in the case of clearest Cieli (1979/1984), or obscure and dramatic, as in the 1988 Ciclo della Follia, where Biggi’s research reaches one of his climaxes in the representation of tragic. These last canvases reflect an anguished and imploded mood where everything seems to be questioned but the powerful and uncontrollable statement of becoming painting

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dizione esistenziale che si esprime in segni energici, improvvisi bagliori e gorghi d’ombra. Il Ciclo della Follia dispiega infatti neri specchianti da cui emergono repentine sciabolate di colori caldi e affocati, o improvvisi rialzi di bianchi purissimi, aggrovigliati alla materia pittorica filiforme e sfratta. La superficie pittorica, che sembra trattenere frammenti di memoria che cercano di scappare oltre il quadro come fossero intrappolati da una rete, diviene anche in questo caso un campo dinamico di ripetuti scontri, d’improvvise accensioni e subitanee prostrazioni. Settembre 2010. Biggi dimostra coi suoi Fiori di essere ancora pienamente attivo e di proseguire con coerenza, sul solco della sua ricerca, quell’avventura fortunata e profetica che a partire dal piccolo quadro incompreso del 1948, si vede oggi riconosciuta l’importanza che merita. Intanto Biggi non ha cessato di essere mordace, ironico, istrionesco e geniale, ha affinato una salace capacità di guardare le cose con un distacco, si direbbe col Winckelmann, fatto di “nobile semplicità e quieta grandezza”, frutto degli ammaestramenti di una vita; un percorso talvolta anche duro, tutto speso a immergersi con passione e determinazione nel proprio mondo espressivo, secondo quella traiettoria delineata della sua immaginazione in contatto col valore supremo della pittura, irrobustita da una coerenza cristallina. E pur tuttavia Biggi è sempre pronto a scendere nell’agone e a raccogliere nuove sfide, mettendosi giornalmente in discussione, con l’entusiasmo mai sopito per Gogol e Kafka, Giotto e Matisse, per l’energica vitalità del colore, per l’esperienza della scrittura e l’amore inquestionabile per la musica. Sono tutte le passioni di una vita che convergono oggi in un risultato unico e inimitabile. E promettono ancora novità.

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of an existential condition expressed by strong signs, sudden lightning and shadow eddies. The Ciclo della Follia indeed shows mirror-like blacks from which emerge quick slashes of warm and fire colours, or sudden risings of pure whites, twisted around thin and separated pictorial matter. The painting surface, which seemingly holds fragments of memory trying to get away beyond the painting as if they were trapped in a net, becomes also in this case a dynamic field of continuous wrecks, sudden sparkling and immediate prostrations. September 2010. With his Fiori Biggi reveals his full and coherent activity, the prosecution, on the plough line of his quest, of his lucky and prophetic adventure that, starting from that small 1948 painting, has nowadays gained the importance it deserves. Meanwhile Biggi has not given up his sagacity, his genial and histrionic irony, he has refined a salacious ability to look at things with a certain detachment, made up, as Winckelmann would say, of “noble simplicity and calm greatness”, result of the lifelong teaching; a sometimes even hard path, spent in the passionate and strong-willed immersion in his own creative world, along the trajectory drawn by his imagination, in contact with painting’s supreme value, strengthened by crystal-clear coherence. Yet Biggi is always ready to go down on the battlefield and take new challenges, accepting to discuss himself, with his never asleep enthusiasm for Gogol and Kafka, Giotto and Matisse, for the energetic vitality of colour, for the experience of writing and the unquestionable love for music. They are all passions of a life that today converge in a unique and inimitable result. And news is yet to come.



Figurativi 1947-1957 Gastone Biggi

Il mio primo quadro “Impressione in corsa” è stato da me dipinto quando ero ricoverato in ospedale nei pressi di Sondrio nel 1947. Fui sollecitato a farlo perché un mio amico di allora, non so come, aveva individuato in me doti di artista. Debbo con sincerità ammettere che tuttora lo considero un bel quadro, nonostante la mia poca voglia di dipingerlo, anche perché allora mi interessava molto di più lo scrivere, piuttosto che il dipingere. Poi seguirono altre piccole opere a soggetto sociale ora disperse a Roma in varie collezioni. Tornato a Roma ebbi l’ispirazione di avviarmi subito nel campo dell’astrazione, dipinsi perciò tre quadri del tutto astratti, dei quali uno “GIi Ignoti”, è presente in questa Mostra. Lascio alla vostra immaginazione quanto già precedevo di anni i pittori degli anni 60 e 70! Successe però che il mio primo ed unico estimatore condannò con asprezza quelle tre “sgorberie”, così le chiamò e mi minacciò di non comprare più miei quadri. Il momento era durissimo allora in quella Roma del tempo, dovetti perciò in fretta e furia rientrare nei ranghi del figurativo dove stazionai fino al 1957. Furono anni di intenso lavoro rivolto ad opere di carattere sociale come “La baracca” del 1953 qui esposta e altre opere dal 1949 in poi, opere fortemente avversate allora perché considerate “troppo pittoriche” al confronto del “realismo guttusiano” imperante nella Roma di allora. In queste opere come in alcune qui presenti erano però già allora premonitrici di quel “Realismo astratto” da me teorizzato molti anni dopo. Indubbiamente non ero indifferente a quell’espressionismo che da Van Gogh a Munch del quale ero al tempo un fervido ammiratore. Però in quelle mie opere, alcune qui esposte, già vedevo le forme della rappresentazione e del “Racconto” già rivolte in qualche modo ad una evasione dal figurativo come servo della realtà per andare oltre i ristretti limiti della stessa per volare tra i cieli della futura astrazione, cosa che avverrà nel 1957.

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La strada 1, 1947, olio su cartone telato, cm 30x25 50


Gli ignoti, 1948, olio su tavola, cm 30x25 51


Ultima alba, 1949, olio su tela, cm 75x60 52


Il cortile, 1950, olio su tela, cm 55x45 53


Lotta di tori, 1953, olio su tela, cm 50x65 54


Bufali, 1953, olio su tela, cm 50x65 55


La baracca, 1954, olio su tela, cm 45x65 56


Deposizione 2, 1956, olio su tela, cm 60x40 57


Deposizione 1, 1956, olio su tela, cm 75x100 58


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Cancellata 10, 1957, olio su tela sabbiata, cm 60x90 60


Cancellata 13, 1957, olio su tela sabbiata, cm 45x70 61



Racconti, cancellate, lettere, colature, continui, variabili, tangenziali, 1958-1977 Gastone Biggi

Dal 1957 in poi nasceranno i vari cicli che dai Racconti di dipinti già allora su sabbia, cera e materiali altri, alle Cancellate così impropriamente chiamate dalla Critica figurativa di allora così incline a trasformare un qualsiasi oggetto dipinto in simbolo di figurazione. Infatti quelle che erano chiamate Cancellate erano per me Storie di ferro e non certo addette alla recinzione degli antichi manieri. Seguirono poi alcune opere gestuali, molte delle quali ora distrutte: sono stato sempre molto severo con i miei quadri non esitando mai, così posso dire di avere distrutto finora circa 1600 opere. Una cosa ho tenuto sempre in somma considerazione, cioè il coniugare l’istinto con la ragione, per la qual cosa in tutte le mie opere da allora in poi i simboli della ragione ortogonalmente o no si intersecheranno sempre con i simboli della psiche, dell’istinto. L’informale stava diluviando su tutta l’Europa e in America con “L’Action Painting, non tardò perciò ad investire l’area Italiana in vari modi e non tutti accettabili. Purtroppo spesso l’Informale fu trasformato da abili e dilettanteschi manovratori del pennello in una operazione spaziale dove nulla rappresentava nulla. Dal 1956 dipinsi le prime Colature dove facevo colare il colore guidandone la caduta, fui anzi il primo e forse l’unico a dare una struttura al gesto: altri useranno la sgocciolatura o il dripping che nulla hanno a che fare con le mie Colature. Con gli anni a seguire farò del punto la mia monade creativa attraverso i Continui dove il punto registra gli attimi del nostro vivere scorrendo all’infinito sullo spazio poi seguiranno Le Variabili dove la mia operazione da centrifuga diventerà centripeta, perciò come se lo spazio interno della ratio dialogasse con lo spazio che lo circonda. A seguire Le Tangenziali, dove il punto verrà trasferito, e quasi sloggiato dal suo campo d’azione per sopravvivere lungo i bordi della tela.

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Racconto nero azzurro, 1958, olio su tela, cm 60x80 64


Il grande astro, 1958, olio su tela, cm 70x100 65


Racconto in due tempi, 1958, olio su tela, cm 70x100 66


Racconto d’autunno, 1958, olio su tela, cm 70x100 67


Pittura per un mattino d’inverno, 1958, olio e cera su tela, cm 50x70 68


Tracce ignote, 1958, tempera tec mista su tela sabbiata, cm 96X39 69


Racconto del fuoco, 1959, olio su tela sabbiata, cm 100x70 70


Lettera berlinese, 1960, olio e collage su tela, cm 70x100 71


Lettera incognita, 1960, olio e collage su tela, cm 40x50 72


Tempo sestuplo, 1960, industrial paint su masonite, cm 55X76 73


Il grande momento, 1961, industrial paint su tela, cm 130x150 74


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Continuo ‘77, 1962, industrial paint su tela, cm 50x90 76


Continuo stradivarico, 1963, industrial paint su tela, cm 60x90 77


Impaginato Gastone Biggi corretto.qxp:Layout 1

15-01-2010

10:36

Pagina 35

Gastone Biggi, Continuo battente, Morgan paint, cm 60x90, 1962 Continuo battente, 1962, morgan paint, cm 60x90 78

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Impaginato Gastone Biggi corretto.qxp:Layout 1

15-01-2010

10:36

Pagina 34

Gastone Biggi, Continuo fonico, Morgan paint, cm 60x90, 1962 Continuo fonico, 1962, morgan paint, cm 60x90 34

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Continuo 85, 1963, morgan paint, cm 100x150


Variabile CH, 1970, morgan paint su tela, cm 130x130 82


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Variabile Romano CU, 1971, morgan paint su tela, cm 130x130 85


Variabile Azzurro, 1972, vinilici su tela, cm 130x130 86


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Grey-yo, 1975, vinilici su tela, cm 115x115 89


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Cieli e campi 1978- 19 88 Gastone Biggi

La ripresa del colore, già iniziata nelle Variabili policrome, si svilupperà nei Cieli degli anni 70-80. Il punto brillerà come una stella nello spazio con una libertà sempre controllata dalla ragione; nulla a che fare con le operazioni Op che io ho sempre combattuto e che spesso mi sono state attribuite da una Critica frettolosa e male informata. Con il mio trasferimento, sia pure temporaneo nel Senese iniziai la serie dei Campi dove una specie di scrittura ritmica scorre sulla tela obbedendo quasi alle leggi ed ai ritmi delle stagioni.

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Il cielo della notte di Assuan, 1979, vinilici su tela, cm 60x150 92



Cielo del sole, 1981, vinilici su tela, cm 44x100 94


Cielo di Mies, 1981, vinilici su tela, cm 45x100 95



Il cielo del Re di Francia, 1982, vinilici su tela, cm 80x120 97


Giorno antico, 1982, vinilici su tela, cm 100x60 98


Cielo di Pericle, 1983, vinilici su tela, cm 60x100 99


Campo della grande sera, 1987, vinilici su tela, cm 60x100 100


Campo ardente, 1986, vinilici su tela, cm 60x100 101


Campo della notte siciliana, 1987, vinilici su tela, cm 70x200 102



Campo del profondo mezzogiorno, 1987, vinilici su tela, cm 70x200 104



Campo grano, 1986, vinilici su tela, cm 60x100 106


Campo oscuro, 1986, vinilici su tela, cm 60x100 107


Campo radioso, 1987, vinilici su tela, cm 60x150 108



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Canti della Memoria: “Ciclo della Follia” 1988 Gastone Biggi

Una serie dipinta in un particolare momento della mia esistenza, perciò intriso di una gestualità ribelle e di una cromia quasi violenta. Io credo di aver trasferito nello spazio una inquietudine nuova, ma anche in questo caso tenuta a bada dalla mia vigile razionalità, impedendole perciò di sciabordare in quel mare di cromatiche facezie che da quegli anni in poi continuano tuttora a sporcare la ingenua virginità degli spazi.

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Il vento della foresta di Nottingham, 1988, vinilici su tela, cm 115x115 113


Nascita di un temporale ad Elsinore, 1988, vinilici su tela, cm 115x115 114


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Il bianco enigma, 1988, vinilici su tela, cm 130x130 117


Caduta degli angeli ribelli atto II, 1988, vinilici su tela, cm 115x115 118


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La cattedrale imapazzita, 1988, vinilici su tela, cm 115x115 121


La notte dell’ira, 1988, vinilici su tela, cm 115x115 122


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L’eclisse, 1988, vinilici su tela, cm 115x115 125


La festa della luna, 1988, vinilici su tela, cm 115x115 126


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Canto della periferia, 1988, vinilici su tela, cm 90x60 128


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La Biennale di Venezia 2009

Dal testo

From the text

Quel filo immaginario...

That imaginary thread...

di Marzia Spatafora, curatore del padiglione arabo siriano della 53a Biennale di Venezia

by Marzia Spatafora, trustee of the Arabian-Syrian pavilion of 53a Biennale di Venezia

... “Datemi un punto e vi dipingerò il mondo”, è questo il titolo scelto dal maestro per la mostra avvenuta alla Biennale di Venezia. Dopo 50 anni Biggi riprende la sua infaticabile ricerca sul punto, monade che lo rese noto negli anni sessanta con le sue tele rigorose, quasi matematiche a prima vista, ma in realtà propositive di un “punto” di partenza per tutta una serie infinita di cicli sempre più aperti e generosi di felici intuizioni. Ma la cosa che ha sorpreso di più lo spettatore è l’energia vitale che straripa dalle sei immense tele che coprono le pareti di una magnfica sala del palazzo. Entrando si rimane folgorati e commossi da tanta bellezza. I colori sono dirompenti e trasportano l’interlocutore in atmosfere e dimensioni fuori dalla realtà. Il punto rigoroso, pulsante, ossessivo ha lasciato spazio a un turbinio di luci e colori che sconvolge l’anima: siamo di fronte a sei opere eccelse. Chapeau!

... “Give me a point and I will paint you the world,” this is the title the maestro for the exhibition in the Biennale di Venezia. After fifty years Biggi resumes his tireless quest on the point, the spot, the monad that made him famous in the Sixties, thanks to his rigorous canvases, almost mathematical at first sight, but as a matter of fact proposing a starting “point” for an infinite series of cycles more and more open and full of generous intuitions. But what most of all surprised spectators is the vital energy that floods from the six huge paintings that cover the walls of this wonderful hall of the palace. Entering the hall, one is struck and moved by such a beauty. Colours are disruptive and they take the spectator to atmospheres and dimensions outside reality. The rigorous, throbbing, obsessive point has saved room for a tourbillon of lights and colours that upsets our souls: we are facing six sublime works of art. Chapeau!

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Canto di Odessa, 2009, industrial paint su tela, cm 200x200 133


Canto Doganale, 2009, industrial paint su tela, cm 200x200 134


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Canto del deserto, 2009, industrial paint su tela, cm 200x200 137


Canto rosso, 2009, industrial paint su tela, cm 200x200 138


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DIDA 140


Canto del mare, 2009, industrial paint su tela, cm 240x240 141


Canto della Genesi (dal Magnificat di Bach), 2009, industrial paint su tela, cm 240x240 142


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Punto e basta

Dot and Stop

Francesco Boni

Francesco Boni

Quando si propone una mostra, soprattutto quando a proporla è un ente pubblico - in questo caso la Provincia di Palermo - si deve poter rispondere a una inevitabile domanda: è necessaria? Quale contributo è in grado di offrire questa mostra ai processi di conoscenza che hanno portato alla contemporaneità? Per il visitatore è una provocazione di interrogativi? E soprattutto: può stimolare un nuovo approccio alla conoscenza delle arti visive? Se la risposta è affermativa la mostra ha una ragione di essere, altrimenti diventa una retorica celebrazione di artisti probabilmente di successo, in determinati momenti storici, ma che nulla hanno da aggiungere a quanto già conosciuto nello sviluppo della storia dell’arte.

When an exhibition is up, especially when a public institution organizes it - in this case Provincia di Palermo - there is an inevitable question: is it necessary? What sort of contribution can it offer to the knowledge processes leading to contemporaneity? Is the spectator filled with many provoking questions? Over all, can it foster a new approach to the knowledge of visual arts? If the answer is affirmative the exhibition has reason to be, otherwise it is but a rhetoric celebration of likely successful artists, in distinguished historical moments, who nonetheless do not have anything more to tell about what is al-

Francesco Boni e Gastone Biggi, Brescia 2006

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Non amo l’ovvio, non amo il déja vu e tantomeno la celebrazione di glorie che appartengono allo star system in atto ma che non hanno nulla di intellettualmente proponibile nelle problematiche del pensiero contemporaneo. Qualcuno mi chiederà: «Non reputi più opportuna una mostra di Giotto, Caravaggio, Cézanne o Lucian Freud?». Certamente sì, artisti del genere sono eterni! Parlano la lingua dell’umanità intera e non hanno tempo. La loro opera è immersa nello sviluppo del pensiero umano e la loro attualità è indiscutibile. E a questo genere di artisti si legano le scoperte e il percorso di Gastone Biggi. Un personaggio non più giovanissimo del quale il grande pubblico conosce ancora molto poco nonostante sia storicamente uno dei pilastri dell’arte astratta internazionale. Gli addetti ai lavori possono confermare che non c’è stato grande critico e storico dell’arte nelle ultime tre generazioni, da Murilo Mendes a Nello Ponente, da Argan a Palma Bucarelli, da Quintavalle a Elena Pontiggia, che non abbia parlato in maniera esaustiva di Gastone Biggi. Ma sappiamo bene quanto i testi degli specialisti abbiano ben poca diffusione nel grande pubblico, sicuramente più sensibile alla pubblicizzazione di mercato che a quella storica e culturale. Voglio quindi ringraziare il presidente della Provincia di Palermo Giovanni Avanti, che nel promuovere questa mostra ha dimostrato una sensibilità artistica e storica di livello, facendosi in prima persona da portavoce nel processo di frantumazione di questa imbarazzante consuetudine di massa volta a seguire mode effimere invece di cercare nella storia le ragioni della contemporaneità. Gastone Biggi, uomo in apparenza burbero ed egoista, in realtà portatore di una sensibilità senza fine e di un amore profondo dimostrati in 60 anni di straordinaria pittura - in questa mostra meticolosamente documentati dalle origini ai giorni nostri - ha scardinato il tradizionale processo storico che siamo abituati a leggere dagli anni ‘50 fino al primo decennio del XXI secolo. Negli anni ‘50 la critica e il mercato italiano, mentre nel resto del

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ready known in the development of art history. I do not fancy what is obvious, do not love déja vu, least of all the celebration of old glories of the current star system, those who cannot intellectually relate to contemporary issues. If somebody asks me, ‘Don’t you think more important an exhibition on Giotto, Caravaggio, Cézanne or Lucian Freud?’ So it is, such artists are everlasting! They speak the language of all humankind and they are timeless. Their work is immersed in the development of human thought and their up-todateness is out of question. To this kind of artists are linked the intuitions and the artistic pathway of Gastone Biggi. Not so young an artist, he is still scarcely known by great audiences, although he is historically one of the pillars of international abstract art. Connoisseurs may confirm that every critic and art historian of the last three generations, from Murilo Mendes to Nello Ponente, from Argan to Palma Bucarelli, from Quintavalle to Elena Pontiggia, has exhaustively written about Gastone Biggi. We know very well what small hold specialised writings have on great audiences, above all if compared to market promotion and historical diffusion. I would therefore like to thank Giovanni Avanti, President of Provincia di Palermo who, promoting this exhibition, has showed toplevel historical and artistic sensitiveness, making himself speaker of the fragmentation process of this massively embarrassing use of following fleeting trends instead of searching in history the reasons of contemporaneity. Gastone Biggi, at first glance a surly egotist, is really a man of endless sensitiveness and unshakable passion, so well displayed in 60-year extraordinary painting. In this exhibition, from the origins to nowadays, Biggi has overthrown the traditional historical process we are used to, from the Fifties until the beginning of the XXI


mondo esplodeva un nuovo corso culturale dettato dalle scoperte della scuola di New York, non trovavano di meglio che dibattere sul primato della figurazione o dell’astratto. Guttuso e il Neorealismo da una parte, il “gruppo degli otto” di Venturi dall’altra, senza rendersi conto della sterilità intellettuale di questa discussione alimentata solo a fini di mercato, tralasciando di approfondire i grandi eventi culturali dell’epoca quali la fine dell’informale, il sorgere del fenomeno della Pop Art e dell’arte concettuale e soprattutto la frattura antropologica con la cultura della prima metà del XX secolo. Tutti argomenti cari alla sensibilità di Gastone Biggi, perfettamente cosciente di vivere il più significativo dei momenti di trasformazione ideologica e materiale del XX secolo. Parlare in quegli anni di Neorealismo aveva un senso solo nelle vicende sociologiche italiane, non certo internazionali, come le performance astratte di Vedova e Afro, a volte sublimi più spesso di maniera, che descrivevano solo la storia della gestualità. Biggi entra invece nel vivo del discorso ideologico alla base dello sviluppo della cultura di quegli anni: fa suoi i principi della scuola di New York, nell’essenzialità delle sue scoperte, non certo nella maniera formale di Dorazio. Supera il dibattito tra il realismo e la pittura astratta inventando e pubblicando il manifesto del “realismo astratto” con il quale disintegra il dibattito Guttuso-Vedova e traccia un sentiero essenziale di speranza e di bellezza essenziali per lo sviluppo della cultura del XX secolo. L’itinerario della mostra ci evidenzia il percorso di questo geniale artista che già nelle sue opere figurative giovanili conteneva il germe dell’astrazione. Mi piace citare un piccolo dipinto del ‘48 esposto e pubblicato, in cui ci dimostra che concettualmente in quel periodo era già andato oltre alle scoperte di Matisse e aveva anticipato le mode degli anni ‘70-’80, dalla Transavanguardia alle opere ultime di Mario Schifano. È significativa

century. In the Fifties critics and art dealers, while in the rest of the world the New York school was tracing a new cultural trend, did not find anything better than arguing over the supremacy of figurative or abstract. Guttuso and Nouveau Réalisme and on the other hand the “Gruppo degli Otto” by Venturi, without acknowledging this barren, market-oriented intellectual debate, neglected the great cultural events, such as the end of informal and the birth of Pop Art, conceptual art, and above all the anthropological fault with the culture of the first half of the last century, themes close to Biggi’s sensitiveness, who is aware he is living in the most significant moment of ideological and material change. In the Fifties speaking of Nouveau Réalisme had sense just for Italian events, and not for the great international ones, the abstract performances by Vedova and Afro, sublime in tone, describing the history of action painting. Biggi enters the ideological speech at the beginning of cultural development of those years, getting the true principles of New York school, not as formal as Dorazio was. Biggi gets over the debate between naturalism and abstract painting, making up and publishing the manifesto of “abstract realism”, with which he destroys the dialogue Guttuso vs. Vedova, tracing an essential path of hope and beauty, both necessary for the development of culture from the last century. This very path highlights the steps of this genial artist who, in his first figurative works, already possessed the seed of abstraction. I like to recall a small painting dating 1948 shown and published, where it is clear that in those years he had already gone beyond Matisse’s discoveries and anticipated both the Seventies and Eighties trends, from Trans-Avant-garde until Mario Schifano’s last artworks. A confession in the Maestro’s memories on this painting reads that,

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una confessione nelle memorie del maestro su

when proudly showing it to his patron, the latter

questo quadro, quando lo mostrò con orgoglio al

rejected it, telling Biggi if he had kept on paint-

suo mecenate dell’epoca, questi non solo lo rifiu-

ing that way, he would not have bought anything

tò ma minacciò l’artista che se avesse continuato

else! This episode clearly shows the formal con-

su quella strada non avrebbe più comprato un

victions of those years. This is a turning point

suo quadro! Atteggiamento che ci esplicita quelle che erano le convinzioni formali di quegli anni. Siamo in un momento storico determinante in cui Biggi è vicino alle ricerche sulla materia di Burri e vive le problematiche estetiche che porteranno Fontana allo spazialismo. Propone con le colature l’ultimo atto della pittura informale internazionale, qui ancora autentica espressione emozionale dell’interiorità. E in questa sua capacità di esprimere l’essenziale nascosto nella nostra psiche sfugge alla decadenza dell’informale che sta diventando maniera: gesto pittorico fine a sé stesso capace solo di celebrare la bellezza di un

Francesco Boni, Gastone Biggi e Marzia Spatafora, Milano 2006

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where Biggi is close to Burri’s research on matter, living the aesthetic themes that are leading Fontana to spatial art. His drippings tell the final act of international informal painting, still true emotional expression of deep-soul. His quality of telling the essential hidden down in our mind runs out of the informal decadence becoming mannerism: painting gesture for its own sake, just able to celebrate the beauty of an act no longer in relationship with the need to express its true interiority. It becomes mere decoration, sometimes excellent, yet only decoration. It is the moment


gesto che non ha più nessuna relazione con la necessità di esprimere la propria interiorità. Diventa decorazione, a volte eccelsa ma solo decorazione. È il momento della grande intuizione che lo guiderà in mille varianti per tutto il corso della sua storia: il Punto. «Datemi un punto e vi dipingerò il mondo» è la richiesta di Biggi in occasione dell’ultima Biennale di Venezia. E il bello è che ci è riuscito al cento per cento. Dai mitici Continui degli anni ‘60, già allora oggetto dell’ammirazione della critica mondiale, che però li interpretò come affermazione finale dell’Optical Art sbagliando in maniera clamorosa perché il loro significato è esattamente l’opposto: rappresentano l’umanizzazione dell’Optical art! Cos’è il Continuo? Altro non è che il ritmo continuo del divenire del nostro essere, della nostra ragione e della nostra anima. L’inarrestabile cammino del nostro io razionale indissolubilmente legato all’evoluzione del nostro sentire. Il pulsare delle nostre tempie all’unisono del ritmo inarrestabile del tempo che scandisce la nostra crescita razionale e al tempo stesso le nostre emozioni. Sintesi dell’esistere, la conoscenza e la ragione che sottolineano il processo evolutivo della vita. Da questo momento in poi un instancabile cammino evolutivo: le Variabili dove al concetto di continuo si affianca la coscienza di uno spazio universale in cui la conoscenza sensibile non è più sufficiente e dove l’intuizione, la matematica, la capacità di correlazione, ci danno la possibilità di visitare spazi mentali e materiali ben lontani dalla concretezza della conoscenza sensoriale. In sintonia con il crescere della sensibilità artistica del maestro si aggiungono le Cromie (come vestire il punto iniziale, nudo ed essenziale, con il colore), le tangenziali dove il punto viene emarginato al limite della superficie del dipinto così come l’informazione di massa emargina la convinzione individuale al limite del non esistere. La rappresentazione grafica attraverso quello spazio centrale assolutamente vuoto del fallimento della ragione dinnanzi allo strapotere delle ideologie di massa. Il doloroso abbandono delle necessi-

of the great intuition that will guide throughout thousands variations his whole story: the Punto, the dot. ‘Give me a dot and I shall paint the world up,’ asks Biggi during his latest Venice Biennial Exhibition. He struck the point, indeed. A long time has passed since the Continui of the Sixties, admired by critics worldwide, who nonetheless mistook them for the final triumph of Op Art; their meaning is exactly the opposite: humanisation of Op Art. What is a Continuo? Nothing but the continuous rhythm of our own being, mind and soul. The inexorable progress of our rational self, closely connected to the evolution of our sensations. The pulses of our temples, beating with the unstoppable time scanning both our rational and emotional growth. Synthesis of existence, knowledge and reason underlining life’s evolution process. Thence a tireless evolution path: the Variabili, where the concept of Continui is brought close to the consciousness of a universal space in which sense knowledge is not enough and intuition, maths, correlation give us the chance of visiting mind spaces and materials faraway from concrete sense knowledge. In compliance with the growing artistic sensitiveness of the M°, we can find the Cromie (how to dress up with colour the seminal point, bare and essential) the tangents

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tà individuali, la rinuncia ad ogni osservazione critica caratteristica del quotidiano contemporaneo non hanno mai condizionato l’opera di Gastone Biggi, forse il solo tra gli artisti italiani che non si sia lasciato condizionare dalle mode di regime, dall’ovvietà, dalle necessità del mercato, dall’avidità di fama e ricchezza. Mai contaminato dal desiderio di apparire in un mondo in cui se non sali sul palcoscenico della vita non esisti, l’unico spirito veramente libero che ha creduto nell’arte come l’espressione più alta dell’esistenza umana, nella bellezza come aspirazione alla perfezione divina, nel sublime come capacità di intendere il superiore. L’arte ha sicuramente bisogno di essere rinnovata ma ha bisogno di voci che non siano quelle di vecchi tenori in una casa di riposo che pensano che sia sufficiente la “forma o il materiale” per rappresentare il nuovo e in realtà non sanno andare al di là di una stanchissima rievocazione dell’astratto, dell’informale, delle graffiature, tutte cose ormai vecchie di cento anni. Peggio ancora quando confondono per arte il giocherellare con i colori sulle strade e nei cortili dimenticando il dramma di chi ha vissuto quarant’anni fa sulla propria pelle questa rivoluzione intellettuale. Questo è Gastone Biggi, l’artista che ama far sua la frase di Klee «i quadri ci guardano». È vero, la storia ci guarda. Il passato e il futuro ci guardano con accondiscendenza e apprensione reciprocamente. Siamo di fronte a un colosso della storia della pittura e oggi la critica ha il dovere di leggere il percorso completo della sua opera, attraverso il quale è evidente che Biggi ha saputo affrontare il significato essenziale dello sviluppo dell’arte moderna nella seconda metà del XX secolo. E ha individuato una sua strada per cui la sua pittura non è cronaca italiana ma storia dell’umanità. Biggi con il suo dipingere regala al mondo non la coscienza di antichi o nuovi dolori ma piuttosto nuova serenità e nuova bellezza.

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where the dot is confined to the limit of the painting top, just as mass information relegates individual conviction to the limits of non-existence. The graphic representation of the failure of reason facing overwhelming power of mass ideology gets its climax by means of that completely empty central space. The painful desertion of individual needs, the renunciation to whatever critical observation typical of present-day life have never tainted Biggi’s production, maybe the only one among Italian artists never conditioned by regime trends, obviousness, market claims, greed for fame and fortunes, never spoilt by the wish to appear in a world where, if you don’t step on the stage of life, you don’t exist. He still is a truly free spirit, believing in art as the highest expression of human existence, in beauty as aspiration to divine perfection, in sublime as opportunity of reaching what is beyond. Art surely needs to be renovated, but it also needs for voices not to be old tenors in a hospice, deeming ‘form or material’ enough to portray what is new, but cannot really go beyond an ancient recalling of already old abstract, informal, graffiti. They also mix up art with playing with colours in the streets and in the yards forgetting the tragedy of one who, forty years ago, experienced on his skin this intellectual revolution. This is Gastone Biggi, the artist who loves Klee’s ‘painting look at us’. It is true, history looks at us. Past and future are looking at us, sadly smiling. We are now facing a paradigm of painting history and nowadays critics have to read the whole path of Biggi’s works, through which Biggi confronted the essential meaning of modern art development in the second half of last century, finding a trail where his paintings are not simply Italian news, but human history. Gastone Biggi, by painting, gives the entire world not the consciousness of old and new sorrows, but new serenity and new beauty.


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Le icone: le quattro stagioni 1995-1998 Gastone Biggi

Ho voluto in questa nuova serie di opere, dipinte su spazi sabbiati, fissare i segni delle Stagioni con dei punti rari ma estremamente vivi, giacenti su cromaticissimi tappeti materici. In sintesi ho voluto coscientemente iconizzare i pittorici accadimenti, quasi a voler loro attribuire quella sacra lite fissa e quasi immobile, come quella che emana dalle antiche icone, sacralizzando perciò il mio gesto, cercando di carpire alle Stagioni tutto il piÚ profondo loro significato.

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Eclissi di luce, 1995, industrial paint su masonite sabbiata, cm 47x32 152


L’ancora di Nettuno, 1995, industrial paint su masonite sabbiata, cm 47x32 153


Il dubbio delle U, 1995, industrial paint su masonite sabbiata, cm 47x32 154


Perplesso rosso, 1995, industrial paint su masonite sabbiata, cm 47x32 155


Trilux, 1995, industrial paint su masonite sabbiata, cm 47x32 156


Segnali di vento, 1996, industrial paint su masonite sabbiata, cm 47x32 157


Ocra fugato, 1996, vinilici su tela, cm 200x65 158


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Icona d’estate, 1997, industrial paint su tela sabbiata, cm 200x200 161


Icona dell’inverno, 1997, industrial paint su tela sabbiata, cm 200x200 162


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Icona d’autunno, 1997, industrial paint su tela sabbiata, cm 200x200 165


Icona della primavera, 1997, industrial paint su tela sabbiata, cm 200x200 166


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La guerra e la pace 2005-2006 Gastone Biggi

Ho voluto realizzare in questa grande serie divisa in due settori: “La guerra e la pace”, una pittorica epopea tutta intesa a rappresentare gli orrori della guerra e la serenità della pace. Alcune opere della serie della guerra sono ispirate alla guerra irachena, altre alla seconda guerra mondiale con l’atomico e mai augurabile finale; un’opera racconta lo strazio di Verdun dove terra e cadaveri formeranno un unica materia. Altro discorso per la serie della pace dove ho voluto raccontare il fluire dei fiumi, l’amore dei corpi, la girandoliana vivacità delle feste, il gioire dei tifosi, lo splendore dei grani e dei gatti.

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Gli angeli della guerra, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 171


Irak day 2, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 172


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L’agguato, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 175


Ex terra (Verdun), 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 176


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L’attacco, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 179


Il generale inverno, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 180


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Il cielo rosso, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 183


L’ultima neve, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 184


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La notte di Bagdad, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 187


Il giorno H, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 188


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L’ottobre giusto, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 191


La festa, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 192


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Grano grande, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 195


Il pane del mare, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 196


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I gatti del sole, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 199


L’amore, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 200


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Il respiro del fiume, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 203


Giorno Giro, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 204


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Idillio lunare, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 207


Giorno Stadio, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 208


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Luci, tabule, costellazioni 1989-1994 Gastone Biggi

Esauritasi la serie dei Canti della Memoria, riprendo a dipingere degli spazi interpuntati Le Luci, dove la ortogonalità delle cromie tende a diffondersi di una luce determinata anche dall’intensità dei rapporti cromatici. Nel periodo di tempo che segue, mi sono trasferito a Milano dove ho dipinto ancora delle opere sulla luce e subito dopo a seguire dipingo la serie delle Tabule, dove lo spazio viene colmato da serie di punti che nell’insieme sembrano avere il severo aspetto dei Romani tabulati. Sempre a Milano inizio una nuova serie dove gli spazi vengono riempiti da un punteggiare libero e non più sorretto dalle geometrie preesistenti. Chiamerò questa serie Le Costellazioni, perlopiù ispirate dal mio viaggio in Irlanda e dal mio soggiorno nella Padania.

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La luce del persiano Ciro, 1989, vinilici su tela, cm 100x150 213


La luce ignota, 1989, vinilici su tela, cm 130x130 214


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La luce dell’emisfero, 1989, vinilici su tela, cm 130x130 217


La luce inglese, 1989, vinilici su tela, cm 130x130 218


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Tabula palatina, 1991, vinilici su tela, cm 100x100 221


Tabula gaelica secunda, 1991, vinilici su tela, cm 130x130 222


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Tabula longobarda, 1991, vinilici su tela, cm 130x130 225


Tabula averroica, 1991, vinilici su tela, cm 130x130 226


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Costellazione bruma, 1991, vinilici su tela, cm 130x130 229


Canto padana sesta, 1993, vinilici su tela, cm 130x130 230


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Canto del flauto celeste, 1993, vinilici su tela, cm 100x100 233


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New York 1990-2006 Gastone Biggi

Molte mie opere sono nate dalle suggestioni di una New York piÚ volte visitata dove ho voluto principalmente cantare i negletti ed i neri rifiuti umani e non della grande mela. Trovai il mio realismo astratto in queste opere, il massimo del mio intendimento. Le luci abbaglianti e formicolanti vanno anche qui a mescolarsi con le oscure tenebrosità dell’americana metropoli. Qui il realismo degli uomini, degli oggetti, dei grattacieli, delle baraccopoli tutto si azzera e si costituisce in astratta placenta, atta a redimere persino i neri violenti della piÚ emarginata sussistenza.

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Station light, 1990, vinilici su tela, cm 130x130 237


N.Y. Rayn and stars, 2006, industrial paint e collage su tela, cm 220x160 238


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N.Y. New York school, 2006, industrial paint e collage su tela, cm 220x160 241


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Gli eventi, le puntocromie 2005-2009 Gastone Biggi

Anche gli Eventi sono un esempio della mia volontà di partire da una originaria figurazione per tradurla poi, per modificarla perciò in pura astrazione. Un hinterland una rotonda urbana, una discoteca e persino una discarica può attraverso la pittura diventare suggestiva ed attraente astrazione. Specialmente negli Eventi ho voluto significare con l’inserimento di due fasce verticali ai lati dell’opera la presenza di una ragione che in ogni modo vuole o perlomeno vorrebbe controllare e migliorare persino la variabilità del rappresentato. Così nelle Puntocromie che indicano la persistenza del punto come ad indicare un ripetuto segnale di chiarezza e di razionalità, elementi questi che ortogonalmente incrociandosi accendono nel mio significarsi la giustezza di una pittorica operazione.

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Crocifissione al cinema, 2005, industrial paint su tela, cm 140x100 245


La neve metropolitana, 2005, industrial paint su tela, cm 180x140 246


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Siciliana secunda, 2005, industrial paint su tela, cm 220x160 249


Il siciliano, 1995, industrial paint su tela, cm 80x60 250


Sicily flash, 2009, industrial paint su tela, cm 70x140 251



Il Realismo astratto, genesi e compimento

Abstract Realism, birth and accomplishment

Gastone Biggi

Gastone Biggi

Il manifesto del Realismo Astratto è stato da me compilato nel 2005 ma la sua genesi si genera già agli albori della mia pittura negli anni Quaranta. Infatti nel 1948 dipinsi un’opera: Gli ignoti, che già da allora prefigurava nella sua ambiguità cromatica e formale gli aspetti di una figuratività dove le pennellate trasfiguravano una figurazione in fieri e dove le poche opere di quel brevissimo periodo precedevano di almeno vent’anni le furiose pennelleggiature dei più noti artisti degli anni ‘60 e ‘70. Quelle mie profetiche anticipazioni furono bruscamente interrotte dalla inconsapevole ma unica committenza di quei grami anni, nei quali Roma primeggiava con la sua totale ostilità verso una qualsiasi promessa d’avanguardia.

I wrote the manifesto of Abstract Realism in 2005 but its genesis was generated at the dawn of my painting back in the Forties. In fact in 1948 I painted an artwork: Gli ignoti which, in those very days, already anticipated in its formal and chromatic ambiguity the aspects of a figurativity where the brushstrokes transfigured an in fieri figuration and where the few works of that very short period came at least twenty years ahead of the furious brushstrokes of most famous Sixties and Seventies artists. My prophetic anticipations were suddenly interrupted by the unconscious yet only patronage I could count upon in those sad years, when Rome

Come Giotto, Tordenaso 2008

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Ripresi perciò quell’amara esperienza: il fornaio voleva in ogni caso essere pagato, e mi dovetti reimbarcarmi nel figurativo. Forse però solo ora, a distanza di anni e ben riosservando le opere di quel tempo mi rendo conto che già da allora la mia figurazione aveva poco a che fare, sia con il Realismo guttusiano, allora imperante, sia con il tonalismo Mafaiano che in quei tempi, entrambi a Roma facevano il bello ed il cattivo tempo. Il mio figurativo, sia nelle Cancellate del 1957, sia nei Racconti dello stesso anno, già da allora, trasformava la realtà osservata in una cromatica conglomeranza, dove il segno si pasceva con la cromia dando alle cose reali una irreale solvenza, traslando le surrealtà ai limiti dell’astrazione. Ciò mi chiuse le porte di quegli opposti schieramenti relegandomi nel limbo degli esclusi. Nessuno o pochi avevano letto in quelle mie opere i segni di una profonda trasformazione della pittura. Solo A. C. Quintavalle molto più tardi ne comprese e si pose il problema. L’America negli anni ‘50 presentava le sue carte di credito dell’Action Painting, l’Europa stava infettando con il suo Informale le vite e le tele dei suoi pittori, mentre l’Italietta artistica d’allora s’andava ancora baloccando con le chiappe di Guttuso, con gli appassiti garofani di Mafai e con le celluliti di Cantatore e di Fiume. Fui anche accusato da certa stampa di sinistra di “pittoricità acuta”, anche perché le mie fatiscenti “baracche”, pur nella cruda realtà, nonostante tutto non rinunciavano ad una possibile poesia di toni e di cromie, così i miei “fucilati” il cui sangue usciva dai tubetti del colore e non dalle ferite. Solo ora mi accorgo che già il mio figurativo di allora nascondeva nelle sue viscere del reale i germi luminosi dell’astrazione. Andavo perciò già da allora verso una rappresentazione del reale che già aveva saldato i suoi conti con il “vero” e che come un bruco in farfalla s’andava trasformando in una realtà di sesso diverso. D’altronde non fu certo un caso il mio innamoramento di allora verso Giotto, per me il maestro dei maestri della pittura italiana, la cui pittura si mostrava già al suo tempo con una realtà del tutto trasformata, non certo in quel “vero”, autentico cancro della lettura dell’opera d’arte per i secoli a

ruled with her total hostility towards whatever form of avant-garde. I took back that bitter experience: the baker wanted to be paid, so I slid back into figurative art. Now, perhaps, far from those years, when I watch back those artworks, I realize that even then my figuration had nothing to do with Guttuso’s Naturalism then in fashion, and with Mafai’s tonalism, both in that period, in Rome, were the top. My figurative art, both in 1957 Cancellate Railings and Racconti - Tales, even at that epoch, transformed the reality I observed into a chromatic conglomeration, where the sign was fed with colours, giving an unreal fading to real objects, pushing surreal-realities to the limits of abstraction. This locked me out from those opposite lines, leaving me in the limbo of excluded. No one, very few people at best, had recognised in those works that I had painted the traces of a deep pictorial transformation. Only A. C. Quintavalle, after a long time, wondered why and understood. In the 1950s, America offered the credit cards of Action Painting; European Informal art was infecting the painters’ lives and canvases; in the meanwhile, the provincial artistic Italy was still playing with Guttuso’s butts, with Mafai’s faded carnations and with Cantatore and Fiume’s cellulites. Certain left-winged journalists even accused me of “acute pictoricity”, simply because my decaying “slums”, in their brutal reality, against all odds never gave up the possibility of a tone and colour poetry, and the blood of the shot I painted flowed from the colour tubes, not from their wounds. Only now, I do realize that my figurative painting hid in its naturalistic bowels the bright germs of abstraction. Even then, I was heading for a representation of reality that had already paid its dues to “truth”, and just like a caterpillar turns into a butterfly, it was transforming into a reality of different sex. As a matter of fact, my infatuation with Giotto did not happen by chance; Giotto is the maestro of the maestros of Italian painting whose art, back in his days, already showed

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venire, ma come una realtà tesa a rappresentare se stessa con le vesti del sogno. Giotto, il primo e forse il più grande “metafisico” d’ogni tempo, con la rappresentazione di un qualcosa che “è” pur non essendo, dove una figurante del racconto narrato, come in Padova o in Assisi può tranquillamente nella nostra rètina varcare un ingresso di altezza del tutto ridotta e dove un asino può galleggiare con le sue zampe in aria, pur essendo saldamente ancorato alla terra, ed in più ridotto alla sua metà, e dove l’intera città di Arezzo può essere tranquillamente contenuta in un cesto d’azzurro con tutti i suoi diavoli. Come quando sogniamo, dove il fantastico ci appare plausibile ed il volare probabile. Nulla perciò a che fare con quella “metafisicuccia” inventata da una Critica ancora corrente, purtroppo, che ancora scambia per metafisica la vuota piazza o la solitudine di una pera. Penoso equivoco che ha portato alcuni furbastri pennellanti nei lidi del mito. Basterebbe meglio osservare quella metafisica Flagellazione di Piero nella quale il sommo Aretino ci presenta una scena reale ma del tutto trasfigurata, dove l’assoluta improbabilità delle figurazioni, delle distanze, delle architetture, nulla hanno a che fare con la somatica del racconto. Mi accorgo ora che con la pittura mia di quel tempo volevo già allora dimostrare che la diarchia “figurativo-astratto” era solo archivistica definizione, ma che in fieri sottintendeva le due gerarchie del capito e del non capito. Sempre ho sentito il desiderio di “raccontare”, ma con una pittura che in ogni caso nulla avesse avuto a che fare con il noioso erotismo di un Realismo servo del Potere, né con le decadenti patinature di un tonalismo ad usum di una poetica inguaribilmente borghese, due tipici aspetti di una romana cultura fatta di chiacchiere e di tramonti. Verso la metà degli anni ‘50 si rovesciò su Roma la Pollockiana valanga e ciò determinò una specie di artistico autodafé in molti artisti romani ed anche per me fu un esemplare momento di riflessione ma non di acquiescenza verso la pittura americana, come ancora qualcuno ha detto o scritto inscrivendosi di diritto nella lunga schiera di tutti coloro, e non sono pochi, vista la mia posizione di

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itself as a totally transformed reality, not to represent “truth”, true cancer of artwork reading for the years to come, but as a reality tending to represent itself dream-clad. Giotto, the first and maybe the greatest “metaphysical” painter ever, with the representation of something that “is” not being, where a character of the told tale, in our retina like in Padua or in Assisi, can easily step in a narrow entrance and where a donkey can float head over heels, even if deeply rooted in the ground and shrunk by half, and where the whole city of Arezzo can be easily contained in a blue bowl with all its devils. Just like when we dream, where fantastic seems plausible and flying possible. Nothing to do with that “little metaphysics” created by current Critics, unfortunately still mistaking as metaphysics the empty square or the loneliness of a pear. Miserable misunderstanding that led some sleek whitewashers to the shores of myth. It could be enough to observe that metaphysic Scourging by Piero where the immense Aretino offers us a real yet completely transfigured scene, where the absolute improbability of figurations, distances, architectures, has nothing to do with the tale structure. I know now that with my painting of that period I wanted to tell that the diarchy “figurativeabstract” was only archive definition, in fieri alluding to the two hierarchies of understood and not understood. I have always felt the need of “telling”, but by a painting that in any case had nothing to share with the boring eroticism of a Realism slave to Power, nor with the decadent patinations of an ad usum tonalism of a hopelessly bourgeois poetry, two typical aspects of a Roman culture made of chats and sunsets. In the mid 1950s Pollock’s avalanche rained down on Rome and this caused a sort of artistic auto-da-fé in many Roman artists, and even for me it was a fixed moment of pondering but not of knowledge of American painting, the same way someone as well said or wrote, enrolling in the big number, they are still more, seen my old


allora di “noto ignoto”, che hanno sempre letto la mia pittura col rovescio del binocolo. Intanto anche l’Informale diluvio, che sia pure con giusta causa s’era abbattuto sull’Europa e sul Mondo aveva aperto le porte ad una segnica e cromatica anarchia per la quale e nella quale convivevano più o meno allegramente il tutto ed il suo contrario. Abbandonata la figurazione, pur nei suoi termini più acconci, e navigando verso altri lidi culminanti nelle grandi Colature degli anni ‘60, nelle quali fui l’unico, ma ciò non fu mai compreso, a fare un informale strutturato e sorvegliato in ogni caso dalla “ratio”, come sempre avverrà nei miei futuri artistici accadimenti. Tutto ciò ancora una volta a dimostrare che il mio operato artistico è stato pur sempre il risultato di un ortogonale incrocio di emozionalità e ragione. Si rese perciò necessario in quel momento l’intento di opporsi alla anarchica valanga di neofigurazioni stantie, di opticali deliri (nei quali a mia insaputa fui aggregato anch’io), sempre a merito di quella critica ottusità che insonne veglia sul nostro artistico operare. Il Gruppo Uno, del quale fui uno dei fondatori, fu proprio per questo ferocemente avversato. La Op-Art, un certo Informale logoro e stantio, la mercantilistica volgarità della Americana Pop-Art (quella Romana fu solo un’operazione di furbo reimbarco) ed un Concettualismo spesso solamente nominalistico non potevano certo concedere passaporto a chi non volesse riconoscere i loro domini. Io sentii l’esigenza di ribagnare i miei panni nel fiume della Ragione e concepii una artistica operazione partendo da una monade: il “punto”, che da allora fu il compagno di viaggio della mia pittura. Fu un’operazione quasi calvinistica tesa a creare un nuovo lessico, e come tutte le operazioni rivoluzionarie fu perseguita con gli ortodossi rigori del bianco e del nero, solo più tardi avvenne la mediazione del grigio e degli altri colori. I miei punti scorrevano sulla tela nell’ordine dettato dalle ritmiche e psichiche pulsazioni, perciò nulla avevano a che fare con la luterana rigidità delle Vasareliane icone. Anzi volevano semmai dimostrare la differenza visibile di uno specchio da un’anima. In qualche modo anche allora non s’era spenta in me la vo-

position of “known unknown”, that have always read my painting from the wrong side of the binoculars. Meanwhile the Informal flood, justly raging in Europe and in the World, had opened up the doors to a sign and chromatic anarchy for and in which stayed together more or less happily the whole and its opposite. Once figuration was forsaken, even in its most proper terms, and sailing towards other shores ending in the great Colature - Drippings of the Sixties, where I was the only one, but this was never understood, to make an informal structured and surveilled in any case by “ratio”, as will always happen in my future happenings. All this, once more, to show that my artistic works has always been the result of an orthogonal crossing of emotion and mind. At that moment it was strongly necessary the intention to contrast the anarchic avalanche of rotten neo-figurations, of op-deliria (in which, but I did not know, I was counted), deserved by that critical obtuseness that awake watches over our artistic operation. The Gruppo Uno, which I was one of the founders of, for this reason was furiously opposed. OpArt, a certain worn-out and stale Informal, commercial vulgarity of American Pop-Art (the one in Rome was but an operation of sleek boarding-backwards) and a Conceptualism often just nominalistic could not obviously offer citizenship to those unwilling to acknowledge their boundaries. I felt the need to wash my clothes again in the river of Reason and I thought up an artistic operation starting with a monad: the “dot”, from that moment on the travelling companion of my painting. It was an almost Calvinistic operation trying to create a new lexicon and, just like all revolutionary operations, it was carried on with the orthodox rigour of black and white, and only later on gray and other colours came in for mediating. My dots flowed on the canvas in the pattern decided by rhythmic and psychic pulses, and therefore they had nothing to do with the Lutheran rigidity of Vasarely’s icons. Instead, they wanted

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glia di raccontare, anche con i “punti”, ciò che la realtà ogni giorno mi offriva. Fu proprio questa mia inflessibile volontà di non allontanarmi dalle motivazioni che avevano spinto il Gruppo Uno a costituirsi, a creare in me il desiderio di dissociarmi, dopo quattro anni di appartenenza, da un Gruppo che forse occhieggiava, dopo anni di viva ed avanguardistica operatività verso altri lidi, con un Uncini, prima nemico, poi alleato dell’Arte Povera. L’appoggio di un Argan, della Bucarelli e di altri giovani e valorosi Critici non bastò a disincagliare un veliero le cui vele conoscevano e si giovavano solo del vento della giovinezza e dell’impegno. Seguirono, dopo l’esperienza di Gruppo, altri lavori sempre figli di una monade che da allora costituirà l’asse portante della mia artistica vicenda, così le Luci, i Campi, le Serie uscite dalle Americane esperienze, le Lettere, la Serie della follia dove un moto psichico originato da personali vicende, aveva per un certo tempo interrotto il mio luministico punteggiare e che però faceva già presagire ciò che più tardi avverrà con la Serie della Guerra e della Pace e con le Icone e gli Eventi dove il punto appare non più come conduttore ma come coaudiuvatore. Poi con gli Ayron e le Puntocromie il punto ancora si renderà protagonista, non più come nei Continui degli anni ‘60, dove si andavano tracciando le mie emotive e razionali coordinate, ma come cromatica conglomerazione al servizio degli umani eventi. Nel 2005 formulerò il mio Manifesto del Realismo astratto alla cui lettura rimando per precisare meglio le ragioni che mi hanno spinto a scriverlo. Allo stesso tempo non ho alcuna esitazione a dichiarare che la mia lunga operazione sul “punto” altro non sia stata che la poetica costruzione di un lessico, di una grammatica che mi è servita per scrivere il lungo romanzo della mia pittura, per la qual cosa un “punto” può apparire mela e così il suo contrario. Le Puntocromie non sono la riedizione di trascorse partiture ma, anzi, la dimostrazione che il “punto” in questi casi passa da una funzione che chiamerei quasi didattica a quella funzione narrativa che sempre ha costituito la base della mia artistica operatività. Una Critica spesso “enciclopedicamente” non comprensiva,

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to demonstrate the visible difference between a mirror and a soul. Somehow, even then I still nourished the desire to tell, with “dots” as well, what reality offered to me day by day. My inflexible will not to go away from the purposes that made Gruppo Uno be founded, got me to forsake, after four years, a Gruppo that maybe glanced, after years of alive avant-garde, towards other shores, with Uncini, at first enemy, then ally of Arte Povera. The support of Argan, Bucarelli and other young and gallant Critics was not enough to refloat a vessel whose sails knew and only took advantage of the wind of youth and commitment. After the experience with the Gruppo, other works followed, all imbued with the monad concept, since that very moment the axle of my artistic parable, just like the Luci - Lights, the Campi - Fields, the series born out of the American experiences, the Lettere - Letters, the Series of folly, where a psychic instinct sparkled by personal vicissitudes had for some time interrupted my dot-like lighting technique, even though it anticipated what was to come with the Series of War and Peace and with the Icone - Icons and the Eventi - Events where the dot no longer appears as conductor but as coadjutor. Later on, with the Ayron and the Puntocromie - Puntochromies, the dot will be protagonist again, not as in the 1960s Continui, where my emotional and rational coordinates were traced, now as chromatic conglomeration serving human events. In 2005, I composed my Manifesto of Abstract Realism, to read I invite you, in order to better understand the reasons why I wrote it. At the same time I certainly say that my long operation upon the “dot” has been nothing but the poetic building of a lexicon, a grammar useful to write down the long novel of my painting, according to which a “dot” may seem an apple and its opposite. The Puntocromie are not the reprinting of past scores, but the demonstration that the “dot” now passes from a function, I would dare say didactic, to the narrative one that was the basis of my artistic operation ever. An often “encyclopaedic” not tol-


quasi sempre ha confuso le normali evoluzioni di un linguaggio, pur figlio della Storia, come capricciose involuzioni. D’altronde in me sempre è stato vivo l’aureo insegnamento di un Kafka che nei suoi Diari scrive: “Lascia dormire il futuro come merita, se lo sveglierai anzitempo ti ritroverai davanti un presente stanco ed appassito”. Fermamente credo che non si possa inconsciamente, tornare al passato, ma altrettanto credo che il nostro futuro sia già scritto nel nostro presente. La mia volontà di meglio far comprendere questa mia idea del Realismo Astratto nasce perciò dall’esigenza di far comprendere ancor più come una mela, una casa, una rosa, comprenda in sé tutti i germi dell’Astrazione, anche per quel bisogno insito in noi di conservare o ravvivare le immagini di un quotidiano del quale spesso non comprendiamo la sottointesa bellezza. Il mio intento, pur spesso equivocato, è stato sempre quello di non cedere ai dettami di una operatività, solo e spesso intenta a riversare su di noi le brutalità, le violenze, gli squallori di una quotidianità che attraverso la Televisione, la Radio, la Stampa, il Teatro, il Cinema e l’estenuante rockeggiare che più non smonta, hanno precluso ai nostri occhi la bellezza, gli alberi, i fiori, le opere dei grandi Artisti solo ora passati in frettolosa rassegna da torme di voraci ingurgitatori di artistici tesori. L’Arte si è fatta anche documento visibile della Storia e degli umani accadimenti ma mai, in ogni caso, si è prestata, al contrario di ora, a lugubre mercificatrice delle umane orribilità e sconcezze e mai ha fatto da palo a malfattori, solo intenti a vieppiù avvilire i nostri affranti sensi. Ogni avvenimento, pur crudele, ogni cruenta vicenda è stata pur sempre redenta da una rappresentazione vestita di bellezza: valore questo che non conosce sosia. La mia ultima serie di dipinti, volutamente banale ed ovvia, è dedicata ai fiori, sia pur borghesi simboli di grazia e di bellezza. Su tutto però il supremo diritto della scelta, che se per caso a ben diverse méte fosse diretta, più non avrebbero senso i fiori, le lune, gli animali e Monet, Goya e Van Gogh che hanno tradotto il loro sangue nel rosso fulgente dei papaveri potrebbero deporre i loro pennelli lasciandosi in cambio l’artistica “merda”.

erating Criticism has almost always mistaken the common evolutions of a language, although son of History, for fanciful involutions. I have always followed Kafka’s golden teaching: his Diaries read, ‘Let the future slumber as it deserves, if you wake it up too early you will face a tired and faded present’. I firmly believe that it is impossible to unconsciously go back to past and also that our future is already written in our present. My will to make people grasp my idea of Abstract Realism comes from the need to explain that an apple, a house, a rose contains in itself all the germs of Abstraction, also for that inner need to keep in ourselves and make clearer the images of a daily routine whose underlying beauty we could not understand. My aim, often misunderstood, has always been not to believe in those rules of an operativity, only and frequently pouring out on us brutality, violence, the squalor of a routine that, by means of Television, Radio, Press, Theatre, Cinema and the hammering never-fading rock, did not let our eyes see beauty, trees, flowers, great artists’ masterpieces, only now hastily watched by starving eaters of artistic treasures. Art is now visible record of History and human facts but, in any case, has never got close to be the gloomy merchandiser of human horrors and obscenities and has never been the accomplice of malefactors, intent on humiliating our broken senses. Every event, although cruel, every bloody fact has always been redeemed by a beautiful representation: this value has no equals. My latest series of paintings, intentionally trivial and obvious, is dedicated to flowers, bourgeois symbols of grace and beauty. Above all the supreme right to choose, if by chance heading towards other destinations, then would the flowers no longer have sense, nor the moons and the animals; Monet, Goya and Van Gogh, who have translated their blood in the bright red of poppies, could well drop their brushes, changing them for artist’s “shit”.

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I fiori Gastone Biggi

In questa serie quasi ovvia e banale ho voluto però rappresentare la per me insopprimibile esigenza dell’uomo di ritrovare una bellezza perduta, il profumo di un fiore, la sua ritmica presenzialità, la sua non violenza, il suo offrirsi alla umana specie all’inizio di ogni nuova stagione come rassicurazione che il sole continuerà a sorgere, la luna ad imbandirci la chiarezza della notte, gli animali che certamente non cesseranno di contrappuntare con la giustezza infallibile del loro istinto la precarietà bisognosa del nostro vivere.

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Fleurs 2, “Printemps�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 262


Fleurs 4 “Rosis�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 263


Fleurs 5 “Ventus�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 264


Fleurs 6 “Flammas�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 265


Fleurs 8 “Crisalis�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 266


Fleurs 9 “Rosblanchs”, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 267


Fleurs 10 “Ninpheas”, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 268


Fleurs 11 “Multiflor�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 269


Fleurs 12 “Blancos�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 270


Fleurs 14 “Bouquet”, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 271


Fleurs 16 “Milux�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 272


Fleurs 17 “Bianchis�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 273


Fleurs 18 “Fleurmer�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 274


Fleurs 19 “Elenis�, 2009, industrial paint su tela, cm 100x80 275


Fleurs 20 “Rosselles�, 2010, industrial paint su tela, cm 100x80 276


Fleurs 21 “Lovettes�, 2010, industrial paint su tela, cm 100x80 277


Fleurs 22 “Le Parc�, 2010, industrial paint su tela, cm 100x80 278


Fleurs 23 “Nouitenne”, 2010, industrial paint su tela, cm 100x80 279


Fleurs 98 “Roseos”, 2010, industrial paint su tela, cm 100x80 280


Fleurs 99 “Auroren�, 2010, industrial paint su tela, cm 100x80 281


Fleurs 100 “Filios”, 2010, industrial paint su tela, cm 100x80 282


Fleurs 101 “Noctur”, 2010, industrial paint su tela, cm 100x80 283


Fleurs 122 “Orias�, 2010, industrial paint su tela, cm 100x80 284


Fleurs 125 “Lius”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 124 “Maronier”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 285



Fleurs 123 “Klingsor�, 2010, industrial paint su tela, cm 200x300 287


Fleurs 127 “Eutienne, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 126 “Fylis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 288


Fleurs 129 “Buenis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 128 “Asilclair”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 289


Fleurs 131 “Flieres”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 130 “Optynos”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 290


Fleurs 134 “Jolis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 132 “Mannions”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 291


Fleurs 136 “Pelleas”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 135 “Frines”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 292


Fleurs 139 “Beonias”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 137 “Melis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 293


Fleurs 140 “Gottins”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 140 “Gottins”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 294


Fleurs 143 “Otoberis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 142 “Aretusis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 295


Fleurs 146 “Rajons”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 144 “Vetustae”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 296


Fleurs 149 “Otystys”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 148 “Fortitias”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 297


Fleurs 151 “Raununch”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 150 “Selinte”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 298


Fleurs 154 “Geos”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 153 “Lunedis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 299


Fleurs 157 “Liaben”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 156 “Aromas”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 300


Fleurs 159 “Mylotis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 158 “Loven”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 301


Fleurs 162 “Pelipelis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 161 “Orgland”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 302


Fleurs 165 “Castae”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 164 “Otania”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 303


Fleurs 168 “Rucolis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 166 “Arabis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 304


Fleurs 170 “Tellen”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 169 “Genesys”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 305


Fleurs 172 “Vulvotis”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20

Fleurs 171 “Zias”, 2010, industrial paint su tela, cm 25x20 306


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Biografia

Biography

Gastone Biggi è nato a Roma nel 1925. Diplomatosi al Liceo Artistico di Roma ha insegnato materie artistiche nello stesso Liceo fino al 1984. Inizia la sua attività di pittore nel 1947 e da allora ha tenuto mostre personali nelle maggiori città italiane. Ha tenuto mostre personali in Olanda ed in Svezia e a partecipato, invitato, alle più importanti Biennali e Quadriennali, oltre che alle grandi mostre dell’arte italiana a Montreal, Mosca, New Delhi, Stoccolma, New York, Boston, Nijgata, Londra, Madrid, Banja Luka, Ciudad Bolivar. Ha ottenuto diversi Premi Nazionali ed Internazionali e le sue opere si trovano nelle maggiori Gallerie d’Arte Moderna nazionali ed internazionali. Nel 1962 ha fondato insieme con Carrino, Frascà, Pace, Santoro e Uncini, il GRUPPO UNO redigendone le due dichiarazioni di poetica con Nato Frascà. Alla pittura affianca l’attività di scrittore d’arte. Ha collaborato dal 1970 al 1980 con il quotidiano “L’Umanità” curando la rubrica “Azzerando”, recentemente con la rivista d’arte “Art Leader” con la rubrica “Dibattiti” e con la rivista “Terzocchio” con la rubrica “Parole d’artista”. Nel 1975 tiene tre mostre antologiche a Torino, Roma e Milano, e nel 1988, una mostra antologica a Palazzo Ruspoli di Nemi (Roma), “Biggi: Percoso d’artista 1958-1988”. Numerosi i viaggi di studio in tutta Europa, in Africa e negli Stati Uniti. Nel 1992 pubblica “BISNY da Bisanzio a New York” (riflessioni critiche di un artista sull’arte antica, moderna e contemporanea) per le Edizioni BORA di Bologna. Con lo stesso Editore pubblica nel 1994 “Io, gli anni Sessanta e il Grup-

Gastone Biggi was born in Rome in 1925. After the Diploma in Rome’s Art Lycée, he taught Art in the same School until 1984. He has been at the head of P.L. Nervi Art Lycée in Ravenna from 1977 to 1980. He starts his painting activity in 1947: from then on he has put his works on show in Rome, Venice, Milan, Florence, Bologna, Verona, Palermo, Genoa, Naples, Turin, Cagliari, Brescia and in other Italian cities. In 1975 three anthological exhibitions in Turin, Rome and Milan; in 1988 an anthological exhibition in Palazzo Ruspoli in Nemi (Roma). He held exhibitions in Netherlands and in Sweden, and has taken part, as a guest, in the most important Biennial and Quadrennial collective exhibitions both in Italy and abroad. He has received many National and International Awards, and his works can be found in Rome Modern Art Gallery, in National and City Galleries and Picture-Galleries in Turin, Milan, Cagliari, Sulmona, Messina, Termoli, Assisi, Spina, Lovere, Genzano di Roma, Parma, Cavriago, Reggio Emilia, Sarzana, Calasetta, and also in Museums and Foundation of Stockholm, Ciudad Bolivar, London, New York, Niigata, Banja Luka, Madrid. Together with Carrino, Frascà, Pace, Santoro and Uncini, in 1962 he founded the GRUPPO UNO, writing its two poetic manifestos with Nato Frascà. At that time he is both painter and art writer. He takes many journeys across Europe, in Africa and in the United States. From 1970 to 1980 he has collaborated with the daily paper “L’Umanità”, with his page “Azzerando”; recently he has written for art

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po Uno” una personale testimonianza dei mitici anni 60. Nel 1999 pubblica un ampia monografia dal titolo “Autoritratto 1947-1999”, ed inaugura una grande Antologica nel Palazzo Ducale di Colorno sotto l’egida dell’Amministrazione Provinciale di Parma e con il Patrocinio dei Comuni di Colorno e di Langhirano. Nel 2001 pubblica il volume “Oltre l’orizzonte”, “Le cosmocromie” a cura di Elena Pontiggia. Nel 2004 inaugura una grande mostra antologica di opere grafiche e di pittura, presso le Scuderie della Pilotta di Parma che verranno presentate nel libro “Gastone Biggi”, Skira editore, da A.C. Quintavalle. Nello stesso anno espone con una mostra Antologica alla Galleria Art Time a Brescia, che pubblica per l’occasione il libro “Testimoni a favore”. Nel 2005 con l’Editore Maretti pubblica il volume “Incursioni d’artista”, esponendo le sue opere a Monte Carlo (Monaco) ed alla GAM di Faenza, in collaborazione con la Galleria Art Time di Brescia. Nel 2006 inaugura a Venezia presso la Fondazione Riva, la mostra “New York-New York 19902006”, catalogo Christian Maretti Editore. Nel 2007 presentazione del volume di Venezia all’Arte Fiera di Bologna e mostra alla Galleria Art Time di Brescia. Nel 2008 inaugura una grande antologica in occasione dei suoi 60 anni di pittura, “Biggi 19482008”, alla Casa del Pane di Milano, catalogo Christian Maretti Editore. Nello stesso anno pubblica il libro d’artista “Minimilano”, un taccuino di poesie e gouaches su Milano e il romanzo “Anelio”, entrambi con la Silvia Editrice. Nel 2009, partecipa invitato, alla Biennale di Venezia. Attualmente vive ed opera a Tordenaso (Parma).

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magazine “ART LEADER” – the page “Dibattiti”, and for magazine “TERZOCCHIO”, with the page “Parole d’artista”. In 1992 he publishes “BISNY from Byzantium to New York” (critical considerations of an artist on ancient, modern and contemporary art) for Edizioni BORA (Bologna). With the same Editor, he publishes in 1994 “Me, the Sixties and the Gruppo Uno”, personal evidence of the fabulous Sixties. In 1999 he begins a number of Conferences on Art for the cycle “I Mercoledì dell’Arte”, in Langhirano Cultural Centre. In the same year he publishes a vast Monograph entitled “Self-Portrait 1947-1999”, and he opens a great Anthological Exhibition in Colorno Palazzo Ducale, under the aegis of Parma Province, with the sponsorship by Colorno and Langhirano Municipalities. In 2000 he starts painting the “Cosmochromies”. In 2001 he publishes the essay “Beyond the Horizon”, “The Cosmochromies”, edited by Elena Pontiggia. In 2002 he opens the exhibition “The Nature of Being, the Being of Nature” in Langhirano Cultural Centre. In 2004, the encounter with Arturo Carlo Quintavalle marks the beginning of a fecund critical and work relationship, giving the CSAC of Parma University a number of graphic works and paintings, exhibited in the Scuderie della Pilotta, in September 2004, and presented in the volume “Gastone Biggi”, Skira editions, by A.C. Quintavalle. In December 2004, with an anthological exhibition, he opens Art Time Gallery in Brescia, which also edits his book “Witnesses for my defence”. In 2005, with Editor Maretti, he releases the book “Artist Incursions”, showing his works in Monte- Carlo (Monaco) and in Faenza GAM, in collaboration with Art Time Gallery in Brescia. Presently, he lives and works in Tordenaso (Parma).


Mostre Personali

1971

Galleria Contini - Roma “Variabili Monocrome” Galleria A L 2 - Roma “Variabili Monocrome” Galleria Morone 6 - Milano “Variabili Monocrome”

1973

Galleria Ferrari - Verona “Variabili Monocrome” Galleria Morone 6 - Milano “Variabili Policrome” Centro d’Arte Santelmo - Salò “Variabili Policrome”

1974

Galleria Bologna 2 - Bologna “Variabili Policrome” Galleria Spriano - Omegna “Variabili Policrome” Studio Rotelli Finalborgo - Savona “Variabili Policrome”

1975

Galleria Mantra - Torino - Antologica

1949

Galleria Fiorani - Roma

1951

Galleria Fiorani - Roma

1953

Galleria La Finestra - Roma

1955

Galleria Il Pincio - Roma

1957

Galleria Il Pincio - Roma Galleria La Finestra - Roma (con il Gruppo Cinquantasei) Galleria Il camino - Roma “Cancellate”

1959

Galleria Discothèque - Roma “Le Sabbie”

1961

Galleria il Triangolo - Roma “Le Colature”

1962

Galleria S.Matteo - Genova (I Continui con il GRUPPO UNO)

1963

Galleria Il Quadrante - Firenze (I Continui con il GRUPPO UNO) Galleria Rotta - Genova (I Continui con il GRUPPO UNO) Castello Cinquecentesco - L’Aquila (I Continui con il GRUPPO UNO) Galleria La Medusa - Roma (I Continui con il GRUPPO UNO)

1958-75 Galleria Rondanini - Roma - Antologica

1964

Galleria Il Cavallino - Venezia (I Continui con il GRUPPO UNO)

1966

Galleria Il Paladino - Palermo “I Continui”

1967

1969

1958-75 Galleria Morone 6 Milano Antologica 1958-75 Galleria Grafica dei Greci - Roma “I Contrappunti acqueforti e poesie” 1977

Galleria Weber - Torino “Tangenziali”

1979

Galleria Falchi - Milano “I Ritmi”

1980

Galleria Editalia - Roma “I Ritmi - I Cieli”

1981

Galleria Spatia - Bolzano “I Cieli”

1982

Galleria Lo Spazio - Napoli “I Cieli”

1983

Galleria Meta - Bolzano “I Giorni” EXPO BARI 83 - Galleria Lo Spazio Napoli “I Giorni”

Galleria Il Bilico - Roma “Variabili monocrome” Galleria La Carabaga - Genova “Variabili Monocrome” Circolo Artistico - Cortina d’Ampezzo “Variabili Monocrome” Centro Democratico di Cultura - Cagliari “Variabili Monocrome”

1984

Galerie Tardy - Eschede (Olanda) - “I Cieli”

Galleria Il Foglio - Roma “Variabili Monocrome”

1985

Galleria Porto di Ripetta - Roma “I Cieli”

1986

Galleria La Piramide - Firenze “I Cieli” Galleria Rotta - Genova “I Cieli”

1988

Galleria Comunale - Genzano “I Campi” Palazzo Ruspoli - Nemi - Percorso d’Artista 1957-1987

1989

Galleria Forzani - Terni “Le Luci”

1990

Galleria Spazio Temporaneo - Milano

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“Le Luci” Galleria Comunale - Cavriago (RE) “Suite Americana” 1991

Galleria Spazio Temporaneo - Milano “I Continui degli anni 60” (1962-1965) Galleria Cinquetti - Verona “New York New York”

1992

Contemporanea Art Galerie - Stoccolma (Svezia) “I Canti della Memoria”

1993

Galleria Centro Steccata - Parma “Le Costellazioni” Galleria Cinquetti - Verona “Le Costellazioni” Galleria Centro Steccata 2 - Milano “Le Costellazioni”

1994

1995

ARTEFIERA 94 - Bologna - Galleria Centro Steccata - Parma “Le Costellazioni” ARTEFIERA 94 - Bologna - Galleria Cinquetti - Verona “Le Costellazioni” Galleria Sorrenti - Novara “Le Costellazioni” ARTEFIERA 95 - Bologna - Galleria Centro Steccata - Parma “Storici 1958-1962” “Le Costellazioni seconde”

Archivio della Comunicazione, Scuderie Della Pilotta, Parma Show Room Telemaket Roma, “Gastone Biggi, solo pittura… please” Galleria Centro Steccata, Gastone Biggi Antologica, Parma Art Time, Antologica, Brescia

2005

Show Room Telemaket Bologna, “Gastone Biggi, solo pittura… please” Show Room Telemaket Napoli, “Gastone Biggi, solo pittura… please” Maretti Arte Monaco, “incursioni d’artista”, Montecarlo GAM, Faenza, “incursioni d’artista”.

2006

Show Room Telemaket Milano, “Gastone Biggi, Gli Eventi” Show Room Telemaket Roma, “Gastone Biggi, Gli Eventi” Fondazione Riva, Venezia, “New York-New York 1989-2006”

2007

Show Room Telemaket Bologna, “Gastone Biggi, Gli Eventi” Art Time, “New York-New York 1989-2006”, Brescia

2008

Art Time, “E LA PITTURA CONTINUA…”, Brescia Casa del Pane, “E LA PITTURA CONTINUA…”, Milano

1997

Galleria Edieuropa - Roma “Le Icone 1995-1997”

1998

Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Termoli -Termoli “GRUPPO UNO 1962-1967”

2009

53a Esposizione Internazionale d’Arte, La Biennale di Venezia Ca’ Zenobio, Venezia

1999

Palazzo Ducale di Colorno (Parma) “AUTORITRATTO” Mostra Antologica di Pittura e Grafica dal 1947 al 1998

2010

2000

Galleria Piazza delle Erbe Montecassiano (Macerata) “Le Cosmocromie”

Corbelli & Arte, “Gastone Biggi” Cortina d’Ampezzo, (BL) Palazzo Sant’Elia, “Gastone Biggi - Attraversamenti”, Palermo

2001

Galleria Vinciana, Milano, “Le Cosmocromie”

2002

Centro Culturale di Langhirano, (Parma), “Le Cosmocromie”

2004

Antologica Donazione Biggi, Centro

311


Mostre collettive

1949

Salone Internazionale dell’Architettura, Roma

1950

Artisti Italiani, Galleria-libreria Flaccovio, Palermo IV° PREMIO MICHETTI - Francavilla a Mare (PS)

1952

III° PREMIO ACITREZZA - Acitrezza (CT) IV° PREMIO LA SPEZIA - Lerici

1956

Rassegna d’Arte Contemporanea “La Barcaccia” - Roma XXI° PREMIO CIVITAVECCHIA Civitavecchia (RM) VI°Maggio Romano Palazzo del CIM Roma

1957

XI° PREMIO MICHETTI - Francavilla a Mare (PS) VII° Maggio Romano Palazzo del CIM Roma PREMIO NAZIONALE AVEZZANO Palazzo Torlonia Avezzano (AQ)

1958

PREMIO NAZIONALE CITTA’DI VITERBO Palazzo dei Priori Viterbo II° Concorso Internazionale per il Disegno Industriale Centro Battistoni - Roma VIII° Maggio Romano Palazzo del CIM Roma II° PREMIO NAZIONALE “ Taccuino delle Arti “ Palazzo Strozzi - Firenze Mostra del Divino Lavoratore Pinacoteca Procivitate - Assisi

1959

“Per una nuova Fiera di Via Margutta” X° Edizione - Roma Salone d’estate Galleria S.Marco - Roma

1960

V° PREMIO Castello Svevo - Termoli (CB) “Pittori e Scultori all’Agostiniana”- Roma

Mostra del Piccolo Formato Galleria Numero - Firenze 1961

“18 Artisti Contemporanei” Galleria del Triangolo - Roma Premio Giovani Artisti Ministero Pubblica Istruzione Galleria Nazionale d’Arte Moderna - Roma Premio G.B.Salvi - Sassoferrato (AN) VI°Premio Castello Svevo - Termoli “Pittura Contemporanea in Italia “Palazzo Comunale-Lucca “30 Pittori 60 Disegni “ Galleria Il Triangolo - Roma Salone d’Autunno Galleria S. Marco Roma

1962

Premio Giovani Artisti Ministero Pubblica Istruzione Galleria Nazionale Arte Moderna - Roma VII° Premio Castello Svevo - Termoli (CB) Salone d’Estate Galleria Rotta - Genova Biggi Bargoni Guarneri Venturi Palazzo Pretorio - Prato “Pittori Italiani” Libreria Flaccovio Palermo

1963

“Per la libertà della Spagna” Galleria Penelope - Roma VIII° Premio Castello Svevo - Termoli (CB) Premio Giovani Artisti Ministero Pubblica Istruzione Galleria Nazionale d’Arte Moderna - Roma IV° Rassegna d’Arti Figurative di Roma e del Lazio Palazzo delle Esposizioni - Roma “Pittori Italiani” Galleria Taras - Taranto Mostra del Museo d’Arte Contemporanea di Genova Teatro Falcone - Genova Premio Anagni Palazzo Comunale Anagni (FR)

1963

Mostra Mercato Palazzo Strozzi - Firenze (Con il GRUPPO UNO Biggi Carrino Frascà Pace Santoro Uncini) IV° Biennale Internazionale di S.Marino “Oltre l’Informale” Palazzo del Kursaal - S.Marino (Con il GRUPPO UNO: Biggi Carrino Frasca’ Pace Santoro Uncini)

312


1964

“Strutture di Visione” Palazzo Comunale - Avezzano (AQ) “Arche 12” Kustkreisstudio - Hameln (Germania) con il GRUPPO UNO “Arche 12” Wolkswagen Center Wolsburg (Germania) con il GRUPPO UNO

1965

“Italienische Malerei Heute” Stadtische Galerie - Munchen (Germania) con il GRUPPO UNO, Dorazio, Capogrossi, Fontana e Castellani. “The exibition of works by contemporany italian artists” BSN Niigata Art Museum (Giappone) Abe Biggi Capogrossi Crippa Castellani De Luigi Dova Dorazio Fontana Frasca’ Mack Music Marca-Relli Piene Santoro Ueker Uncini Virduzzo. “L’uomo e il lavoro” Rassegna Arti Figurative ACLI Palazzo delle Esposizioni Roma I° Triennale dell’Adriatico - Civitanova Marche (AN) V° Rassegna Arti Figurative di Roma e del Lazio Palazzo delle Esposizioni Roma IX° QUADRIENNALE NAZIONALE Palazzo delle Esposizioni - Roma V° BIENNALE INTERNAZIONALE di Nuova Delhy, (Biggi, Fontana, Burri, Dorazio Turcato, Perilli e Capogrossi), India. Fiera del Disegno e del Colore Galleria 3 Pescara

1966

1967

Rassegna Internazionale d’Arti Visive Marsala (TP) XVII° PREMIO AVEZZANO Palazzo Torlonia - Avezzano (AQ) “Italian Art of XX Century” at the Baltimore Museum Art - Baltimora (USA) Rassegna Collezioni Cegna e Graia Macerata “ITALIAN ABSTRACT ART” Gibson Foundation - Chesterthow (USA) Invitato con il Gruppo UNO alla Biennale di Venezia del 1966 (non partecipa perché dissociatosi dal Gruppo) Premio Arte Oggi - Firenze

313

Mostra Internazionale Centro Proposte Firenze - Bologna - Lecce - Livorno - Termoli “EXPO 67” Esposizione Universale Padiglione Italia (Biggi, Capogrossi, Fontana Burri, Castellani, Dorazio) Montreal (Canada) Rassegna Grafica Italiana - Macerata Premio Silvestro Lega Palazzo Re Enzo Bologna XXI° PREMIO MICHETTI - Francavilla a Mare (PS) “Ipotesi Linguistiche” Castello Svevo Termoli (CB) Rassegna Arte Contemporanea Galleria Il Centro - Iesi Mostra del Museo Sperimentale di Torino - Galleria Comunale d’Arte Moderna Torino 1968

Biennale Nazionale di Passignano sul Trasimeno Mostra del Museo Agra-Foglio - Macerata VI° BIENNALE ROMANA Palazzo delle Esposizioni - Roma

1969

Mostra Mercato delle opere donate ai terremotati del Perù - Tuscania (VT) Mostra Internazionale della Grafica Sarnano (MC) Mostra delle opere donate alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna Galleria Nazionale d’Arte Moderna Roma Rassegna Arte Contemporanea di Massafra “Coincidenze” Massafra - Firenze - Torino “ASTRATTO CONCRETO “Centro Técne - Firenze II° Triennale Internazionale dell’Adriatico “Panoramica Grafica Italiana 1966 - 1969 - Porto Civitanova (AN)

1970

XV° Premio Castello Svevo - Termoli (CB) “Grafica Club” Galleria Foglio - Roma Macerata Rassegna Pittori Contemporanei Italiani nei Musei d’Arte Contemporanea di Madrid - Barcellona -Valencia -Siviglia (Spagna)


Premio Villa S.Giovanni (RC) “ARTEFIERA 75” Bologna - Padiglione Galleria Mantra - Torino “Materiali per un Centro Pubblico d’Arte Contemporanea - Galleria Comunale di Cagliari I° BIENNALE NAZIONALE ARTI FIGURATIVE - Cassa Risparmio di Piacenza “Polivalenza” Rasssegna Internazionale d’Arte Droschl Galerie Graz (Austria)

Rassegna Nazionale Galleria AL2 - Roma 1971

“24 PRESENZE” Istituto Latino Americano - Roma Fiera Internazionale di Genova Rassegna Grafica Italiana Museo di Ciudad e Palacio de la Industrias Sabana Grande (Venezuela) “Grafica Italiana” Galleria Inciba Monti Avila Caracas (Venezuela) “Scrittura Pittura “Galleria Contini - Roma - Biggi Festa Novelli Perilli Schifano Kounnellis Twombly

1972

1973

1974

1975

“50 Pittori Italiani a Palazzo Braschi” Roma “Pittori Italiani al Museo di Ciudad Bolivar (Venezuela) Premio Pasquini Massa Cozzile “Bertrand Rassel Centenary International Exibition and Sale Rotunde Gallery Londra (Inghilterra) Salon di Grabado Contemporaneo y sistemas de espacion de Madrid (Spagna) X° QUADRIENNALE NAZIONALE D’ARTE II° Sezione Palazzo delle Esposizioni (sala personale con Guido Strazza) - Roma Biggi Calò Pace Mannucci - Galleria Delta - Roma Biggi Cannilla Carlucci Genovese Morales - Galleria Centrarte Falanto - Brindisi Galleria Esagono - Lecce “ Biggi, Cannilla, Carlucci, Genovese, Morales” Galleria 3A -Torino “Biggi, Melotti, Madella, Raciti” “Roma 2726 anni dopo” Palazzo Braschi - Roma “Poesie ad Artisti di Cesare Vivaldi” Galleria il Pictogramma - Roma “Presenze” Studio Rotelli - Finalborgo Savona “Artisti Democratici” Galleria Unione Bari “L’avanguardia Romana negli anni 60 “Biggi, Carrino, Di Vito, Di Luciano, Pace, Pizzo - Galleria Spazio Alternativo - Roma

1976

“ARTEFIERA 76” Bologna - Padiglione Galleria Mantra - Torino “Documentazioni” Galleria Rondanini Roma: Biggi, Carrino, Castellani, Dorazio, Del Pezzo, Melotti, Nevelson, Paolini, Pistoletto, Tadini, Veronesi, Strazza, Uncini.

1977

Rassegna del Disegno Italiano-Galleria Rondanini - Roma Rassegna d’Arte Contemporanea Galleria Spriano - Omegna

1981

“Le linee della ricerca artistica Italiana” Palazzo delle Esposizioni - Roma “Presenza” Rassegna d’Arte a Villa Bonelli - Roma

1982

“Arte der 82” Mostra Internazionale d’Arti Figurative - Bilbao (Spagna) VII° Biennale Nazionale “Le vie dello sguardo” - Cassa di Risparmio di Piacenza “EXPO ARTE 82 BARI” Fiera del Levante - Galleria Editalia - Roma “EXPO ARTE 82 BARI” Fiera del Levante - Galleria Lo Spazio - Napoli

1983

“Il GRUPPO UNO 20 ANNI DOPO” Galleria Meta - Bolzano

1984

“Proposte EDITALIA” Galleria EDITALIA - Roma

1985

“Mostra del Museo Sperimentale di Torino” - Castello di Rivoli (TO) Arte Italiana degli anni 60 nelle collezioni della Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino

1986

“EXPO BARI 86 “Galleria La Piramide -

314


Firenze “ARCO 86” Fiera Internazionale di Madrid Palacio de Cristal - Madrid (Spagna) “L’Inattuale Pittorico “Palazzo Comunale -Vasto (PS) Premio Città di Campobello - Mazara del Vallo (TP) “Qui Arte Contemporanea venti anni dopo” Galleria Editalia - Roma 1988

“Artisti verso l’Europa” Sala dei Lavatoi S. Michele - Roma “La struttura del gesto” Galleria Spazia Bologna “Intorno al 60” Aspetti dell’Arte Italiana dopo l’informale - Chiostri di S.Domenico - Imola (BO) I° Rassegna di Pittura e Scultura - Atelier d’Arte di Rosario Bruno - Sciacca “Natale a Genzano” Galleria Comunale Genzano - Roma

1989

“ORIENTAMENTI DELL’ARTE ITALIANA 1947-1982, (Biggi, Dorazio Burri, Castellani, Fontana, Crippa) Mosca - Leningrado - Novosibirsk Togliattigrad - (U.R.S.S.) “Nella Luce dei Castelli” Galleria Comunale di Genzano - Roma Permanente di Milano - Galleria Spazio Temporaneo - Milano

1990

Opere del Museo della Bassa Lunigiana Fortezza di Sarzanello (SP) “ROMA ANNI 60” Palazzo delle Esposizioni - Roma.

1991

“ARTEFIERA 91” Bologna - Galleria Cinquetti - Verona “Nove Artisti Italiani” Galerie R. Verle Strasburgo (Francia):Biggi, Benedini, Berardinone, Blank, Magrini, Mangili, Rosa, Varale, Valentini. Sede Comunale Castelsanpietro Bologna “Mostra delle Gallerie Italiane” - Galleria Cinquetti -Verona - Biggi, Maraniello, Rotella, Sassi. Galleria Cinquetti - Verona - Castel S. Pierto Terme (BO), Autoritratto

315

di Galleria, Arman, Biggi, D’Angelo, Maraniello, Sassi. 1992

“Il Miraggio della liricità” Arte Italiana dal 1945 ad oggi - Liljevalhs Kousthall Museum - Stoccolma - (Svezia) “ARTEFIERA 92” Bologna - Centro Steccata - Parma “ARTEFIERA 92” Bologna - Galleria Cinquetti - Verona Fiera Internazionale di Stoccolma Galleria Cinquetti - Verona Fiera Permanente - Milano - Gall.Spazio Temporaneo - MI Fiera Permanente - Milano - Galleria Cinquetti - Verona

1993

“ARTEFIERA 93” Bologna - Galleria Edizioni Bora - Bologna 4° Fiera Mercato di Padova - Galleria Cinquetti - Verona Fiera di Montichiari - (BS) - Galleria Cinquetti - Verona Fiera Internazionale di Stoccolma Galleria Cinquetti Mostra Apertura della Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino “Le Nuove Acquisizioni” - Torino “Da De Chirico a Warhol” - Galleria Centro Steccata - Parma “Gli Artisti di Silvano Falchi” Palazzo Albertini - Forlì

1994

“ARTEFIERA 94” Bologna - Galleria Edizioni Bora - Bologna Bandiere d’Artista “Ad ognuno la sua bandiera” Galleria Civica - Padova Piccolo Formato “Opere uniche scelte” Galleria Centro Steccata - Parma “ Percorsi dell’immaginario “Galleria Sorrenti - Novara “L’infinito spazio della mente” Galleria Centro Steccata - Parma

1995

“ARTEFIERA 95” Bologna - Gall. Edizioni Bora - Bologna “ARTEFIERA 95” Bologna - Gall. Centro Steccata “Insieme con il blu” Galleria Grafica dei Greci - Roma


XXVI° PREMIO SULMONA - Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea Palazzo dell’Annunziata Sulmona (AQ) Mostra Civico Museo d’Arte Contemporanea di Calasetta (CA)

“Lo Spazio e la Materia” Galleria Centro Steccata - Parma “Carte e segno” Galleria Poduie - Trieste “ANNI 60 ITALIA” Guggenheim Museum Art New York (USA) 1996

1997

“ARTEFIERA 96” Bologna - Galleria Centro Steccata - Parma “ARTEFIERA 96” Bologna - Gall. Edizioni Bora - Bologna “L’atmosfera del colore” - Galleria Centro Steccata - Parma FIERA DI MILANO - Galleria Centro Steccata - Parma PADOVA ARTE - Galleria Centro Steccata - Parma FIERA DI VICENZA- Galleria Centro Steccata - Parma FIERA DI PORDENONE - Galleria Centro Steccata - Parma “Gli ovali Rotariani” Galleria S. Carlo Milano “Protagonisti dell’arte contemporanea “Biggi, Ferrari, Olivieri, Ruggeri Galleria Centro Steccata- Parma XXIII° PREMIO SULMONA - Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea Palazzo dell’Annunziata - Sulmona (AQ) Artisti Contemporanei Internazionali Galleria Centro Steccata - Parma Qui arte contemporanea - trenta anni Galleria Edieuropa - Roma XXIV° PREMIO SULMONA - Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea Palazzo dell’Annunziata Sulmona (AQ)

1998

“ARTEFIERA 98” Bologna - Galleria Edieuropa - Roma “Proposte per una Collezione” - Galleria Edieuropa - Roma

1999

“Ad ognuno la sua” Bandiere d’artista, Castello di Orzinuovi (Brescia) XXV° PREMIO SULMONA - Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea Palazzo dell’Annunziata Sulmona (AQ)

2000

2001

VENTI (e anche quaranta) ANNI DI PITTURA INSIEME, Circolo Culturale Bertolt Brecht, Milano XXVI° PREMIO SULMONA - Rassegna Internazionale d’Arte Contemporanea Palazzo dell’Annunziata Sulmona (AQ) XVl° RASSEGNA NAZIONALE D’ARTE CONTEMPORANEA Città di Campomarino (CB) MAIL ART, Rassegna Internazionale, Galleria Civica D’Arte Contemporanea Termoli (CB) Casa della Cultura, Roma, Omaggio a Murilo Mendes

2002

Palazzetto dei Nobili, L’Aquila, Museo Internazionale di Mail Art, “Operazione Controguerra”

2003

“ARTEFIERA 98” Bologna - Rino Costa Arte Contemporanea, Valenza (AL) “Il Mito di Eva”, Teatrante 2003, Teatro Monumento d’Annunzio di Pescara XXX PREMIO SULMONA, Sulmona, L’Aquila Paesaggio & Paesaggio, Castell’Arquato, Piacenza “Collettiva”, Galleria Stamperia d’Arte IL BULINO, Roma

2004

L’INCANTO DELLA PITTURA, Percorsi dell’arte italiana del novecento, Mantova Arte Fiera, Galleria Cafiso, Fiere di Padova VEDO ROSSO, il rosso nell’arte contemporanea, Galleria Edieuropa, Roma

2005

MAESTRI PER SPILIMBERGO, 110 Artisti dipingono Spilimbergo e la sua pedemontana. ARTE PADOVA 2005, Galleria ART Time, Fiere di Padova. ARTE GENOVA 2005, Galleria ART Time, Fiere di Genova.

“Ad ognuno la sua” Bandiere d’artista Castello di Torrechiara, Langhirano (Parma)

316


2006

ARTE VICENZA 2006, Fiere di Vicenza, Galleria Palestro Arte Achille Pace e il “Gruppo Uno”, Palestro Arte, Ferrara MIART 2006, Milano, Spaziotemporaneo ARTE PARMA 2006, Fiere di Parma, Galleria Palestro Arte ARTE PARMA 2006, Fiere di Parma, Galleria Palestro Arte Debutto d’artista. I Premi d’incoraggiamento 1942-1964. (Angeli, Biggi, Ceroli, Dorazio, Festa, Frascà, Maselli, Novelli, Rotella, Sanfilippo, Schifano, Uncini) Opere dalla collezione della GNAM (Roma). GAMEC, Bergamo. ARTE FIRENZE 2006, Galleria ART Time, Fiere di Firenze ARTE VERONA 2006, Galleria Bonioni, Fiere di Verona ARTE PADOVA 2006, Galleria ART Time, Fiere di Padova

2007

MIART 2007, Galleria Centrosteccata, Fiera di Milano

2008

Casa del Mantegna, Pittura Aniconica, “Percorsi tra arte e critica in Italia 19682007”, Mantova

2009

Piazza delle Erbe-Private Art Gallery, “Galleria Vinciana” Montecassiano (Mc) Maniero Art Club, “MAESTRI DEL 900”, Loro Piceno, (Mc) Galleria Ricerca d’Arte, “ITINERARI DI ARTE ASTRATTA, Roma Comune di Brolo “CONFRONTI”, Brolo (Me)

2010

Novecento, Palazzo del Governatore, Parma

317


Hanno scritto della sua opera

Enrico Accattino, Mariano Apa, Umbro Apollonio, Vito Apuleo, Giulio Carlo Argan, Giovanni Artieri, Rosario Assunto, Jolena Baldini, Guido Ballo, Antonio Bandera, Mirella Bandini, Andrea Barbato, Renato Barilli, Eugenio Battisti, Ferruccio Battolini, Carlo Belloli, Albrect Bergman, Germano Beringheli, Giovanni Bernardi, Marziano Bernardi, Alberto Bevilacqua, Michele Biancale, Carlo Vittorio Bianchi, Gloria Bianchino, Antonietta Bicci, Zeno Birolli, Alberto Boatto, Toni Bonavita, Francesco Boni, Gabriele Boni, Adelina Botturi, Arturo Bovi, Cesare Brandi, Enzo Brunori, Palma Bucarelli, Alberto Busignani, Dino Buzzati, Luigi Cabutti, Luciano Caprile, Antonio Caputo, Domenico Cara, Luciano Caramel, Francesco Carbone, Luigi Carluccio, Tullio Catalano, Giovanni Cavazzini, Claudio Cerritelli, Gino Cesaroni, Umberto Cesaroni Pietro Cimatti, Aldo Clementi, Rene’ Clermont, Vittoria Coen, Andrea Consalvo, Martina Corgnati, Enrico Crispolti, Stefano D’arrigo, Gualtiero Da’ Via Giovanna Dalla Chiesa, Herman Dannecker, Gerardo Filiberto Dasi, Antonio De Angelis, Mario De Candia, Giorgio De Marchis, Floriano De Santi, Gerardo De Simone, Franco Desideri, Maria Di Domenico, Giorgio Di Genova, Piero Dorazio, Gillo Dorfles, Francesco Dragone, Gino Ersoch, Vittorio Esposito, Giacomo Etna, Maurizio Fagiolo, Giovanni Fallani, Franco Fano, Hans Otto Fehr, Oria Fellini, Patrizia Ferri, Curzia Ferrari, Claudio Ferroni, Luigi Paolo Finizio, Louis Flaret, Lucio Fontana, Daniela Fonti, Paolo Fossati, Ennio Francia, Gia Battista Froggio Giancarlo Fusco, Ulla Gamberini, Francesco Gallo Mazzeo, Emilio Garroni, Giuseppe Gatt, Renato Giani, Sandra Giannattasio, Edoardo Giannini, Giorgio Girotto, Giulio Giuffre’, Gino Grassi, Franco Grasso, Flaminio Gualdoni, Francesco Guerrieri, Virgilio Guzzi, Luciano Inga-Pin, Arturo Jannace, Giorgio Kiaris, Amanda Knering, Barbara Korn, Luigi Lambertini, Luciano Lattanzi, Vittorio

Lazzari, Mario Lepore, Paolo Levi, Corrado Maltese, Anna Maria Marchesini, Valerio Mariani, Piero Marino, Corrado Marsan, Nino Martire, Luciano Marziano, Giorgio Mascherpa, Guido Massarelli, Enotrio Mastrolonardo, Luigi Mattei, Murilio Mendes, Filiberto Menna, Marino Mercuri, Dario Micacci, Eugenio Miccini, Franco Miele, Riccardo Milano, Augusto Minucci, Nerio Minuzzo, Guido Montana, Ugo Moretti, Giorgio Morpurgo, Berto Morucchio, Carlo Munari, Nalda Mura, Mario Musciacchio, Italo Mussa, F. Nimitz, Sandra Orienti, Achille Pace, Antonello Palieri, Tommaso Paloscia, Sandro Parmiggiani, Aldo Passoni, Clotilde Paternostro, Giuseppe Pedercini, Aldo Pellegrini, Giuseppe Pensabene, Giulio Picciotti, Rafael Pineda, Antonio Pinelli, Sandra Pinto, Giancarlo Politi, Nello Ponente, Elena Pontiggia, Franco Prestipino, Loredana Primozic, Stefania Provinciali, Derna Querel, A. C. Quintavalle, V. Quitzov, Gianluca Ranzi, Sandro Ricaldone, Paolo Rizzi, Maria Teresa Roberto, Antonino Ronco, Andrea Romoli, Julian Roth, Giorgio Ruggeri, Vittorio Russo, Paul Sanchez, Vinicio Saviantoni, Renato Savini, Tonino Scaroni, Piero Scarpa, Edith Schloss, Vittorio Scorza, Miki Scuderi, Ulbrich Seelmann Eggbert, Ingrid Seldeufaden, Patrizia Serra, Paola Sega, Luigi Serravalli, Franco Simongini, Mario Michele Sinibaldi, Franco Sossi, Claudio Spadoni, Marzia Spatafora, S. Spedicato, Fides Stagni, Wolfang Stauch, Ugo Sterpini, Leo Strozzieri, Luigi Tallarico, Nerio Tebano, Francesco Tedeschi, Luciano Tempesta, Giorgio Tempesti, Claudia Terenzi, Italo Tommasoni, Marco Tonelli, Walter Tortoreto, Giorgio Trevisan, Lorenza Trucchi, Kudo Ultermann, Giovanni Urbani, Erasmo Valente, Gino Valentini, Marco Valsecchi, Marcello Venturoli, Lea Vergine, Lea Vezzana, Maria Grazia Villa, Lara Vinca Masini, Franco Vincitorio, Rodolfo Vitone, Cesare Vivaldi, Marisa Volpi, K. Wlaschin, Adachiara Zevi

318


Opere in collezioni pubbliche

Premi

Galleria Nazionale d’Arte Moderna Roma Museo Comunale d’Arte Moderna Roma B.S.N. Niigata Art Museum - Niigata -(Giappone) Gibson Foundation - New York -(Usa) Russel Foundation - Londra -(Inghilterra) Jmjetnicka Galerija -Banjaluka -(Jugoslavia) Museo di Ciudad Bolivar - Ciudad Bolivar (Venezuela) Museo Nacional de Grabado Contemporaneo Madrid - (Spagna) Università di Messina Facoltà di Magistero CSAC, Università di Parma Galleria Comunale d’Arte Moderna di Torino Regione Sarda - Cagliari Museo Comunale d’Arte Contemporanea -Cagliari Pinacoteca Comunale di Termoli Museo Remo Brindisi -Lido di Spina (FE) Chiesa del Santuario di Collevalenza Todi (PG) Pinacoteca della Pro Civitate Cristiana di Assisi Pinacoteca Comunale di Genzano di Roma Fondazione Parisi - Lovere Collezione Banca Commerciale Italiana Collezione Cassa Risparmio di Parma e Piacenza Pinacoteca Comunale di Cavriago (RE) Fondazione Culturale Italo-Svedese - Stoccolma -(Svezia) Fondazione Bonomi Lumeggiana Museo della Bassa Lunigiana Fortezza di Sarzanello - Sarzana Pinacoteca Comunale Sulmona (AQ) Museo Cervi - Gattatico (RE) Sala del Consiglio della Comunità Montana e del Comune di Langhirano (PR) Civico Museo d’Arte Contemporanea - Calasetta (CA) Epicentro Museo delle Mattonelle d’Arte - Gala di Barcellona (ME)

1961

Premio Gian Battista Salvi - Sassoferrato

1963

Premio Ministero Pubblica Istruzione Galleria Nazionale d’Arte Moderna -Roma 2° Premio Biennale Internazionale San Marino - San Marino (con il GRUPPO UNO)

1966

Premio Presidente Regione Sicilia Rassegna Internazionale Arti Visive Marsala

1967

Premio FINMARE - XXI° Premio Michetti - Francavilla a Mare Premio del Senato - XI° Premio Silvestro Lega - Modigliano - Bologna

1970

1° Premio - XV° Premio Termoli - Termoli

1972

Premio Pasquini - Massa Cozzile

1973

Premio Acquisto - XVIII° Premio Termoli - Termoli

1996

1° Premio - XXIII ° Premio Sulmona Sulmona

1997

Premio Acquisto del Quadrivio - XXIV° Premio Sulmona - Sulmona

1998

1° Premio - XXIV ° Premio Sulmona della Critica d’Arte - Sulmona

319


© CHRISTIAN MARETTI EDITORE www.marettieditore.com info@marettieditore.com

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

Copyright © 2010 Christian Maretti Editore Tutti i diritti riservati - All rights reserved Finito di stampare nel mese di settembre 2010 ISBN 978-88-89965-99-3



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