Eva Sauer

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A MEDITATION ON VIOLENCE _________________________________________________________________________


























A MEDITATION ON VIOLENCE (ON THESE PAGES YOU TRAVEL BY): A description without place, and a place without description. The very heart of the city of Belfast, "playside play park", Belfast’s children’s cage - another cage, for adults

... ... Some people live in the walls of Mamoiada, others construct houses to hide in Poland, ...destroy in Toulouse what is left from 21 September. … ...build centers for unemployed without having money to pay personnel. A creep, a wall, …. stiches on nature’s skin, men's swill swelling under. A war fabrication like an rabbit hole, gunpowder factories in the middle of the woods, like little witch’s houses. Costanzo Ciano left his head on Maddalena Finally the green reconquers men's warfactories Nature pushes living creatures to dance a neverendig walzer. As mankind dances out of tune, it has to dance with it's concience.



IMMAGINI IN TENSIONE Eva Sauer sviluppa un lavoro che si sofferma con convinzione sulle questioni legate al tema della tensione, interpretata nelle sue multiple declinazioni, da quelle prettamente estetiche a quelle più sociali e politiche. Optando per un linguaggio di stampo “meditativo”, che si accorda con una certa visione della contemplazione, mette in mostra scenari architettonici che annullano volontariamente ogni traccia di presenza umana, mostrando allo spettatore spazi emblematici e silenti. La presunta fissità della rappresentazione svanisce con l’attenta osservazione dell’immagine che, sottolineando meticolosamente le linee delle costruzioni, stimola ad un’interrogazione continua. La forza del lavoro risiede in questa tensione interrogativa, prova tangibile di una ricerca che non è semplicemente fotografica, ma piuttosto socio-politica e antropologica. L’immagine è dunque il frutto di una riflessione che pur partendo dalle più intime convinzioni dell’artista, tocca inesorabilmente tematiche care a tutta l’opinione pubblica. Non va dimenticato infatti che le rappresentazioni di postazioni sensibili quali bunker, discariche, la tomba di Costanzo Ciano e le fabbriche di materiale bellico S.I.P.E. Nobel stimolano la riflessione e invitano ad un presa di coscienza collettiva. Questa visione è però quasi sempre filtrata da uno sguardo che predilige non tanto i fatti di cronaca ma piuttosto le dinamiche interattive tra architettura (come residuo di un atto sociale) e natura. Questi due elementi, sempre presenti nelle opere della Sauer, sono fondamentali per la comprensione di un discorso visivo che tenta di sviscerare le forze e le tensioni alla base delle quali si modella la realtà che ci circonda. Il percorso iconografico che l’artista propone è traccia fotografica di un’esperienza di ricerca profonda, che si compone di due fasi: una più documentativa e una prettamente territoriale. Risulta dunque interessante non solo fare accenno alle macrotematiche affrontate – si veda, ad esempio, il problema ecologico, l’ideologia politica e la guerra – ma anche ai luoghi che si sono fatti carico di queste tensioni, poiché ogni soggetto trattato è estremamente legato al contesto territoriale di riferimento. Tale sforzo serve ad orientare lo spettatore che, essendo con tutta probabilità estraneo alle problematiche specifiche di località quali Belfast, Tolosa, la Polonia e alcune zone dell’Italia, necessita di alcune sommarie ma fondamentali indicazioni geografiche. L’ecletticità della scelta dei siti dimostra quanto Eva Sauer rivolga la sua attenzione a casi apparentemente isolati piuttosto che a vicende dalle forti e connotate ramificazioni internazionali. Questa poetica rispecchia un modo d’agire personale che fa leva sugli interessi micro-geografici dell’artista e su un approccio empatico alle questioni legate all’architettura e alla natura. La tessitura di un complesso e variegato panorama di “situazioni di crisi” mostra con ancora più forza quanto la critica estetica dell’artista sia rivolta più che altro ad un modus pensandi che, pur nella specificità dei soggetti e dei luoghi, mostra dei punti comuni sorprendenti. L’intento della Sauer non è affatto quello di svolgere uno studio programmatico e sistematico, ma al contrario quello di andare alla radice dei motti di tensione che generano abusi. La ricca frammentarietà che contraddistingue l’insieme del progetto diviene valore aggiunto e mostra con estrema chiarezza quanto la libera associazione di eventi possa offrire opportunità di critica e dibattito di carattere globale. È quindi “navigando” con occhio attento all’interno dell’Ebook che è possibile fruire di questa esperienza critico-estetica.


Nelle immagini che ritraggono Belfast, ad esempio, è inevitabile non risentire un forte sentimento di avversità. L’interesse che la Sauer accorda a tutti gli apparati di controllo che fanno uso della rete metallica dispiegati in diverse aree cittadine rimanda alle strutture dei campi di sterminio o ai muri divisori delle zone di conflitto. Le strisce che dividono il quartiere cattolico da quello protestante sono effettivamente degli accumulatori di tensione nei quali si concentrano tutte le avversità politico-religiose che marcano questa zona. L’artista decide dunque di soffermarsi sui dettagli delle recinzioni attraverso uno sguardo penetrante che rimanda a un sentimento di confine, tramutato in barriera. Tale claustrofobia architettonica si ritrova nelle immagini che ritraggono alcune abitazioni polacche: le case, completamente barricate, sono in realtà degli incompiuti che, immortalati alla maniera dei coniugi Becher (si pensi al loro interesse nei confronti delle vestigia della cultura industriale in via d’estinzione), si caratterizzano per una sorta di censura spaziale. Le travi che coprono le finestre e le porte sono simbolo visivo di un’interdizione che deviene elemento centrale della rappresentazione e che fa riferimento ad un universo simbolico nel quale si possono rintracciare scenari di abuso edilizio. La stessa tipologia di edificio è stato ritratto a Mamoiada, un comune in provincia di Nuoro, tappa fondamentale di un percorso che, partendo da Belfast e passando per la Polonia, prende in considerazione anche delle linee di frattura naturali. Queste linee rimandano ancora ai claustrofobici piani urbanistici del piccolo paese e ai già citati confini di Belfast, nonché alle dimore incendiate del sud della Francia (Tolosa), dove la demarcazione tra architettura aggredita e ambiente circostante intatto è lampante. L’artista decide dunque di mettere in risalto questo doppio aspetto architettonico/naturale tentando di sviluppare un discorso che tiene conto delle interazioni e del dialogo continuo tra di esse. Se fino a qui si è però analizzato il fenomeno separatamente, è a partire dalle fotografie scattate alla fabbrica di esplosivi S.I.P.E. Nobel che è possibile avere una prima e reale visione di quanto la natura interagisca direttamente con queste costruzioni. La vita biologica si mostra irriverente e ignara alle problematiche sociali e politiche che contraddistinguono questo luogo e prende il sopravvento facendo rivivere l’edificio e modificandone il suo significato simbolico. A partire da questo momento diviene dunque centrale il tema della natura come forza primaria e inarrestabile ma soprattutto come unico e vero contesto all’interno del quale l’uomo “animale” è adatto a vivere. L’immagine che ritrae un bunker privato di ogni funzione poiché immerso e invaso da un paesaggio idilliaco è dimostrazione chiara di questo processo. Così come la fotografia che mostra un deposito di rifiuti completamente ricoperto da un verde rigoglioso. Tutta la mise en valeur di tale energia rigenerativa va certamente letta alla luce di una fascinazione dell’artista per l’ecologia ma va contestualizzata all’interno di una posizione estremamente critica che fa leva sul questionamento degli interventi umani a scopo di lucro e a fini abusivi. La posizione di Eva Sauer è quindi esplicita: contro un sistema di controllo e abusi per un vero senso della natura. Questo “senso” va però interpretato a partire dalla convinzione che l’uomo, elemento dell’universo naturale, è “per natura” violento e bestiale a causa di un innato istinto di sopravvivenza e una predisposizione alla disseminazione del proprio DNA. Gli ultimi secoli di storia hanno invece proposto un sistema sociale di stampo protettivo che, nell’illusione di tutelare tutta la specie umana, ha, secondo l’artista, annullato ogni forma istintuale. Tale sistema, che può essere definito un sistema di equilibri innaturali, si scontra talvolta contro la


natura stessa delle cose e provoca un cortocircuito comportamentale che porta ad una perdita di tutti i punti di riferimento. Alla luce di questa complessa galassia, l’artista ritiene che la soluzione per il raggiungimento della felicità possa risedere nell’accettazione di un sistema sociale imposto solo se esso è guidato da una coscienza - poiché è ciò che tiene a freno i nostri eccessi.

Alessandro Gallicchio


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