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La fiaba dell’artigianato
La Londra della regina Vittoria divenne il luogo metropolitano del primo grande esperimento di semplificazione, “giocattolizzazione” e “ludicizzazione” universale. Al confronto, il sistema di oggetti moda-design della “Milano da bere”, l’ultimo Novecento è una “pazziellart”. Ma tutto ha un costo. A Londra, nel 1851, ne fece le spese innanzitutto l’architettura, la madre delle arti, che venne messa da parte: il gran principe Alberto, mente universale, le preferì infatti l’arte pratica del suo giardiniere che chiamò a progettare il contenitore-espositore delle merci globali di sua Maestà Britannica, il Crystal Palace. E non solo. Le serre botaniche del giardiniere regale sono quindi il modello esemplare concettuale e fabbrile di una semplificazione universale efficace, rapida, facilmente montabile e smontabile. Una genialità, in corso.
Seguono a ruota i mobili e le pratiche cose dei pionieri americani viaggianti che sono la gran novità di quella modernità. Poi, sempre a Parigi, nel 1889 si innalzerà la torre d’acciaio dell’ingegner Eiffel che supererà in altezza le guglie di Notre Dame. Assalto al cielo, Dio è morto e con lui moribondo pare anche San Giuseppe artigiano: da quel KO il sacro non si rialzerà più. Tutto è merce veloce, usa e getta. Naturalmente e giustamente c’è resistenza, di gran qualità e di gusto British, come quella assoluta dei controcorrenti Ruskin e Morris. Ma il grande frullatore schiaccia tutto universale s’era messo beneficamente in moto, mischiando usi e costumi, gusti e disgusti, nord e sud, polentoni e maccheroni, genti e tradizioni diverse e talora opposte. Da tradire, da tradurre e aggiornare.
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È per questa via spettacolare e profonda che si giunge alle ninfee giapponesi di Monet; poi al floreale, all’onirico di Freud, alla scoperta del primitivo e alla realtà potenziata dell’oggetto surreale applicato da subito alla comunicazione e alla propaganda politica e commerciale. Ullallà è una cuccagna! In Italia l’arte applicata che coglie meglio questo passaggio epocale è forse il libro, la letteratura per l’infanzia, la fiaba, erede del lungo mix orale-fabbrile est-ovest, oriente-occidente: dai tappeti volanti alle lampade di Aladino delle mille e una notte favolose manifatturiere. Arti applicate extralusso per far sognare, per farci volare, come sempre. Si pensi, ad esempio, che Augusto imperatore trionfante ad Azio pretese per sé – a norma di legge – solo «una schodella di sardonio et chalcidonio et agatha, entrovi più figure et di fuori una testa di Medusa,» cioè la magica Tazza Farnese, capolavoro della glittica ellenistica, che ora sta al MANN. Un incanto, meglio di Cleopatra!
E proprio in questa connessione incantevole e fiabesca, si situa il geniale Carlo Lorenzini detto il Collodi: egli s’inventa Mastro Geppetto artigiano e il suo discolo figlio-burattino di legno Pinocchio, fondante per l’idea stessa d’artigianato nel grande pubblico, ancor oggi. LorenziniCollodi conosceva molto bene – per vie fraterne – le manifatture artistiche, soprattutto quelle ceramiche della Ginori, che il fratello Paolo dirigeva. Per tal via egli partecipa al clima rivoluzionario delle grandi esposizioni universali in prima persona, a Parigi, nel 1867, per esempio: vede, sente, capisce e scriverà da par suo fiorentino la fiaba dell’artigianato, riconfezionandolo e reinventandolo ad arte per i bambini (e non solo, anzi) innestando in esso un oggetto artigiano magico e favoloso, solitario e geniale, miracoloso, assolutamente inedito. Bingo!
Ma quella fiaba di gran successo è talmente bella e convincente che convince e vince ancor oggi. Per chi ci crede, naturalmente. •