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Dipinti del Seicento Influssi caravaggeschi tra Lombardia e Napoli galleria canesso lugano 2013
Dipinti del Seicento Influssi caravaggeschi tra Lombardia e Napoli
Dipinti del Seicento Influssi caravaggeschi tra Lombardia e Napoli
catalogo a cura di
C hiara N aldi
Coordinamento editoriale Chiara Naldi Traduzioni in italiano Chiara Naldi Traduzioni in inglese Frank Dabell Crediti fotografici Thomas Hennocque e Guillaume Benoit Concezione grafica Grafiche dell’Artiere – Italia e Chiara Naldi Fotolito e stampa Grafiche dell’Artiere – Italia Stampato in Aprile 2013 © Galleria Canesso Sagl
Piazza Riforma 2 . 6900 Lugano . Svizzera Tel. +41 91 682 89 80 . Fax +41 91 682 89 81 info@galleriacanesso.ch . www.galleriacanesso.ch
Sommario Contents Premessa Foreword
p. 7
Chiara Naldi
c ata lo g o Véronique Damian Chiara Naldi
1. Giulio Cesare Procaccini
p. 12
Sacra Famiglia con San Giovannino The Holy Family with the Young Saint John the Baptist
2. Giuseppe Vermiglio
p. 18
Davide con la testa di Golia David Holding Goliath’s Head
3. Francesco Fracanzano
p. 24
Sant’Andrea Apostolo Saint Andrew the Apostle
4. Jusepe de Ribera
p. 30
San Giacomo Maggiore Saint James the Greater
5. Pietro Ricchi
p. 34
I giocatori di morra Morra Players
6. Francesco Cairo Il martirio di Sant’Eufemia The Martyrdom of Saint Euphemia
p. 40
Premessa Chiara Naldi
Questo secondo catalogo della Galleria Canesso Lugano, che accompagna un nuovo evento espositivo, è un ulteriore tassello nella costruzione di un percorso, che ha fra i suoi principali intenti programmatici quello di dialogare con il territorio ticinese che ci ha accolti. A quasi un anno dall’apertura della galleria luganese, abbiamo quindi voluto presentare una selezione di dipinti del Seicento italiano che fosse incentrata principalmente sulla pittura lombarda, nel segno della continuità con l’arte legata a queste “terre dei laghi”. Il catalogo si apre dunque con Giulio Cesare Procaccini, uno dei maggiori artisti nella Lombardia del primo Seicento e figura chiave della pittura della Controriforma nella Milano del Cardinale Federico Borromeo. In mostra presentiamo un’opera della sua maturità, nella quale prevalgono i forti echi rubensiani, genovesi ed emiliani, a sottolineare la ricchezza dello stile dell’artista. Seguono diverse opere che manifestano il legame con la lezione e le suggestioni caravaggesche, reinterpretate però in linguaggi personali di grande originalità, come nel Davide e Golia di Giuseppe Vermiglio o nei Giocatori di Morra di Pietro Ricchi. Con Francesco Cairo, poi, altro grande protagonista del Seicento lombardo, permangono le atmosfere tenebrose e i forti contrasti chiaroscurali, ma il segno pittorico si è già pienamente evoluto nel Barocco. Analizzando gli influssi caravaggeschi abbiamo poi ritenuto stimolante un confronto fra gli esiti pittorici lombardi e un paio di significativi esempi dell’arte napoletana coeva, che comunicano la medesima forza espressiva: il Sant’Andrea Apostolo di Francesco Fracanzano, ancora potentemente naturalista e il San Giacomo Maggiore di Jusepe de Ribera, che sposa il vigore espressivo ad un’indagine psicologica del personaggio aperta alla nuova maniera neoveneta e barocca.
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Foreword Chiara Naldi
This second catalogue of the Galleria Canesso Lugano, accompanying a new exhibition, offers a further step on the path towards one of our principal goals: a dialogue with the Ticino territory that has so warmly welcomed us. Nearly a year after the opening of our Lugano gallery we present a selection of seventeenthcentury Italian paintings with a deliberate focus on Lombardy, thus celebrating the art of this “land of lakes”. The catalogue opens with Giulio Cesare Procaccini, one of the great artists of early Seicento Lombardy and a key figure of the Counter-Reformation movement in the Milan of Cardinal Federico Borromeo. The exhibition includes one of his mature works, a painting with strong echoes of Rubens and the art of Genoa and Emilia, underlining the wealth of the artist’s stylistic inspiration. There follow a number of works that display ties with the lessons of Caravaggio and his legacy, but reinterpreted through highly original individual idioms, as in the David and Goliath by Giuseppe Vermiglio or the Morra Players by Pietro Ricchi. Then comes Francesco Cairo, another protagonist of Seicento Lombard painting, defined by tenebrist atmospheres and dynamic chiaroscuro contrasts but with brushwork that has already fully evolved into a Baroque mode. With Caravaggesque influences in mind, we believed it would be stimulating to compare Lombard painting with a couple of significant examples of contemporary Neapolitan art that share the same expressive energy: the Saint Andrew the Apostle by Francesco Fracanzano, still powerfully naturalist, and the Saint James the Greater by Jusepe de Ribera, who combines pictorial vigour with psychological analysis, looking forward to the new neo-Venetian and Baroque style.
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Catalogo Catalogue
VĂŠronique Damian (V.D.) Chiara Naldi (C.N.)
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Giulio Cesare Procaccini (Bologna, 1574 – Milano, 1625) (Bologna, 1574 – Milan, 1625)
Sacra Famiglia con San Giovannino Olio su un'unica tavola di noce, 97 × 64,5 cm
The Holy Family with the Young Saint John the Baptist
Oil on a single panel of walnut wood, 38 ³∕₁₆ × 25 ⅜ in
Sul retro « No 3 » con inchiostro nero e « 61 » con inchiostro rosso
Inscribed on the back of the panel, “No 3” in black ink and “61” in red ink
provenienza
provenance
New York, Sotheby’s, 11 Gennaio 1996, Lotto 113 (G. C. Procaccini); collezione privata.
New York, Sotheby’s sale, 11 January 1996, lot 113 (G. C. Procaccini); private collection.
bibliografia
literature
Véronique Damian, Paysages et nocturnes d’Agostino Tassi. Deux tableaux inédits de Cornelis C. Van Haarlem et Giulio Cesare Procaccini, Parigi, Galerie Canesso, 2010, pp. 12-15.
Véronique Damian, Paysages et nocturnes d’Agostino Tassi. Deux tableaux inédits de Cornelis C. Van Haarlem et Giulio Cesare Procaccini, Paris, Galerie Canesso, 2010, pp. 12-15.
La notevole qualità di questa tavola, recentemente riapparsa, è ravvisabile tanto nell’esecuzione meticolosa e curata, quanto nell’eccellente stato di conservazione. È rilevante che l’opera sia stata dipinta su un unico pannello di noce, cosa ancor più sorprendente se teniamo conto delle dimensioni piuttosto ambiziose. Nonostante il gruppo sia collocato in un esterno, come possiamo intuire dal tronco d’albero e dal cielo sullo sfondo a sinistra, l’artista privilegia la descrizione di un’atmosfera calda e avvolgente data dalle braccia della Vergine, che, da un lato, solleva delicatamente la mano del San Giovannino, per mostrare un libro il cui testo inizia con la lettera « P ». I giochi di sguardi e di contatti fra le mani sono come fili che congiungono le figure, conferendo all’insieme un tono di dolce intimità. Riferimenti stilistici a Rubens, anche nella struttura, si combinano ad accenti pittorici che testimoniano la perdurante influenza della tradizione lombarda ed emiliana del XVI secolo. Se la testa di San Giuseppe, colto in un’espressione attenta, è la più solida ed enfatizzata,
The quality of this recently rediscovered painting can be seen in its meticulous brushwork and remarkable state of preservation. Giulio Cesare Procaccini painted this on a single panel of walnut, which is surprising given its rather ambitious dimensions. Although the group is placed outdoors, as one can intuit from the tree trunk and patch of sky in the left background, the artist’s focus is on the creation of a warm, enveloping atmosphere; this is expressed through the arms of the Virgin, who delicately lifts the young Baptist’s hand to reveal the text of the book he holds, beginning with the letter P. The play of gazes and hands become the threads that connect the figures in a sweet and intimate grouping. Stylistic similarities with the work of Rubens, including the compositional structure, are combined with pictorial touches that reflect the enduring influence of the Lombard and Emilian
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lo sfumato della figura della Vergine pare evocare una memoria leonardesca, mentre i volti del piccolo Gesù e di San Giovannino risentono ancora dei modelli del Correggio (c.1489-1534) e del Parmigianino (15031540). Tali elementi fanno parte di uno stile personale, che l’artista seppe arricchire grazie ai diversi apporti, come l’adesione al linguaggio rubensiano contemporaneo, tanto nella forma, quanto nella delicatezza dei passaggi tonali. Questa è una delle caratteristiche della produzione del pittore fra il 1610 e il 1620, ravvisabile nella Circoncisione (Modena, Galleria Nazionale, 1613 – completata nel 1616) o nella Madonna col Bambino e Santi (Brescia, Chiesa di Sant’Afra; fig. 1), quasi contemporanea alla precedente. Con quest’ultima, il nostro dipinto condivide l’espressione di una fusione materna tra la Madonna e il Bambino. Simile è anche il modo di disporre le teste: molto vicine le une alle altre, pressoché sullo stesso livello. Francesco Frangi individua ulteriori affinità con la Madonna col Bambino e Santi conservata presso la chiesa par-
traditions of the sixteenth century. While the head of Joseph, with its attentive expression, is the most solid and emphatic in structure, the sfumato of the Virgin’s figure evokes memories of Leonardo, and the tender faces of the Christ Child and young Baptist recall models by Correggio (c. 1489-1534) and Parmigianino (1503-1540). These elements are all part of a style that was nourished by different sources, like the adhesion to the contemporary language of Rubens, both in form and in the smooth passages of colour. This is one of the qualities that defines the painter’s output between 1610 et 1620, as one can see in the Circumcision (1613, completed in 1616; Modena, Galleria Nazionale) or the near-contemporary Virgin and Child and Saints (Brescia, church of Sant’Afra; fig. 1). These paintings both express a maternal fusion of the Virgin and Child, and share a similar placement of the heads, which are set very close to one another, almost on the
Fig. 1 Giulio Cesare Procaccini, Madonna col Bambino, i Santi Carlo e Latino e angeli, Brescia, Chiesa di Sant’Afra. Giulio Cesare Procaccini, The Virgin and Child with Saint Charles Borromeo, Saint Latino and Angels, Brescia, church of Sant’Afra.
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rocchiale di Domaso, sul Lago di Como, che risale ai primi anni dieci. Là, il solido gruppo della Madonna col Bambino, con il piccolo Gesù in piedi e ben saldo sulle ginocchia della madre, mentre accenna un gesto con la mano destra, è alquanto simile al nostro, così come lo è il sorriso lontano della madre. La vicinanza stilistica con queste tre opere, databili tra il 1610 e il 1616, ci permette di situare la nostra tavola entro gli stessi termini cronologici. Procaccini dispiega qui le sottigliezze della sua tavolozza nel gioco sapiente dei bruni, adottati in tutte le loro gradazioni. Grazie ai recenti studi di Hugh Brigstocke (2002) e di Viviana Farina (2002), è oggi appurato che l’artista ebbe come principale committente il genovese Gian Carlo Doria (1576-1625), per il quale dipinse numerose opere in un arco di tempo abbastanza lungo, che si estende dal 1611 al 16221. Tra gli artisti annoverati all’interno della sua magnifica collezione, il nome di Giulio Cesare Procaccini è quello che, in assoluto, ricorre con maggiore frequenza. Tre diversi inventari della collezione Doria sono stati redatti a breve distanza di tempo e tutti fotografano
same level. Francesco Frangi sees further affinities with the Virgin and Child and Saints in the parish church at Domaso on Lake Como, which dates back to the early 1610s. There, the tight grouping of the Virgin and Child, with the infant Christ standing firmly on his mother’s knees and gesturing with his right hand, is quite close to our painting, as is the distant smile of his mother. The stylistic resemblance of these three works, datable to between 1610 and 1616, enables us to place our panel within the same period. In the painting presented here, Procaccini displays the subtleties of his palette in the talented play of browns. It is now well known from the recent studies by Hugh Brigstocke (2002) and Viviana Farina (2002) that the artist’s principal patron was the Genoese nobleman Gian Carlo Doria (15761625), for whom he created numerous paintings over an extensive period, from 1611 to 1622.1 Among the names of artists in this magnificent collection, that of Giulio Cesare Procaccini occurs the most frequently, by far. Several inventories of
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la collezione in uno stato diverso. Come suggerito da Francesco Frangi – con le dovute cautele, poiché non abbiamo indicazioni sulle dimensioni, né tantomeno sul supporto – saremmo tentati di collegare la nostra opera con una di quelle ricordate nelle seguenti citazioni tratte dall’inventario redatto fra il 1617 e il 1621: al numero «217 una Madona con Sto gio batt(ist)a e Sto giosepe del prono» e al numero «438 una Madona con Sto Giosepe e Sto gio batta del procasino». Si dovrebbe però tenere in considerazione, come ci è stato ricordato da Viviana Farina, che esiste un inventario anteriore, il quale prende in considerazione i dipinti entrati nella collezione prima del 1617; lì dovrebbe figurare la nostra tavola, se la situassimo tra il 1610 e il 16152. Eppure in questo primo inventario, non è menzionata alcuna opera con tale soggetto, il che non esclude completamente la possibilità che, per una ragione che oggi ci sfugge, il dipinto abbia potuto fare il suo ingresso nella collezione a una data più tarda. In ogni caso l’opera che abbiamo davanti agli occhi è un saggio di bravura da parte dell’artista, bolognese d’origine, ma trasferitosi ben presto a Milano, dove, con Morazzone (1573-1626) e Cerano (1573-1632), si fece portavoce della nuova cultura artistica della Controriforma, iniziata dal cardinale Federico Borromeo. V.D.
this Doria collection were drawn up over a relatively short time, and each of the three reflects the collection in a different state. As Francesco Frangi has suggested – with caution in mind, as we have no indications of dimensions or support – it may be tempting to connect our work with one of two citations, under numbers “217 una Madona con Sto gio batt(ist)a e Sto giosepe del prono” and “438 una Madona con Sto Giosepe e Sto gio batta del procasino” as they appear in the inventory made between 1617 and 1621; but as Viviana Farina has reminded us, we should also note the existence of an earlier inventory which includes works that entered the collection before 1617, and in which ours might appear, if we agree on a dating to between 1610 and 1615.2 Yet this first inventory contains no mention of a painting of this subject, which does not totally rule out that for some reason it may have entered the collection at a later point. The picture before us is a true piece of bravura work by our painter, Bolognese by birth but very soon a resident of Milan, where together with Morazzone (1573-1626) and Cerano (15731632) he became the herald of the new artistic culture of the Counter Reformation initiated by Cardinal Federico Borromeo. V.D.
1. Hugh Brigstocke, Procaccini in America, catalogo della mostra Londra-New York, Hall & Knight, 2002; Viviana Farina, Giovan Carlo Doria promotore delle arti nel primo Seicento, Firenze, 2002; Id., in L’età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi, Piero Boccardo (a cura di), catalogo della mostra, Genova, Palazzo Ducale, Galleria di Palazzo Rosso, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, 20 Marzo 11 Luglio 2004, pp. 189-195 (alla voce Gio. Carlo Doria).
1. Hugh Brigstocke, Procaccini in America, exh. cat., London and New York, Hall & Knight, 2002; Viviana Farina, Giovan Carlo Doria promotore delle arti nel primo Seicento, Florence, 2002; eadem, in Piero Boccardo, ed., L’età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti genovesi, exh. cat., Genoa, Palazzo Ducale, Galleria di Palazzo Rosso, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, 20 March - 11 July 2004, pp. 189-195 (on. G. C. Doria).
2. Hugh Brigstocke, Ivi, 2002, pp. 130-131, n° 217 e 438; Viviana Farina, Ivi, 2002, p. 205, n° 666. Solo uno dei due dipinti riappare nell’inventario redatto dopo la morte, nel 1625, di G. C. Doria, o forse dopo la morte della moglie nel 1636, al numero «225. Una Madonna, San Giovanni e San Giuseppe del Procaccino» (Brigstocke, 2002, p. 137, n° 71; Farina, 2002, p. 209, n° 225). Viviana Farina, che ringraziamo, ci segnala che in questo stesso inventario appare un nuovo dipinto con tale soggetto dove, se si fa affidamento alla descrizione che ritrascriviamo a titolo indicativo, il San Giovannino è stato rimpiazzato da un putto: «una Madonna del Procaccino con san Giuseppe e il Putto» (Farina, 2002, p. 207, n° 147; Brigstocke, 2002, p. 138, n° 92).
2. Hugh Brigstocke, op. cit., 2002, pp. 130-131, nos. 217, 438; Viviana Farina, op. cit., 2002, p. 205, no. 666. Only one of these paintings reappears in an inventory made after G. C. Doria’s death in 1625 (or possibly after the death of his wife in 1634), under the number “225. Una Madonna, San Giovanni e San Giuseppe del Procaccino” (Farina, 2002, p. 209, no. 225; Brigstocke, 2002, p. 137, no. 71). We are grateful to Viviana Farina, who points out that the same inventory lists a new painting of the subject, with – if we can rely on the description – the Saint John the Baptist replaced by a Christ Child: “una Madonna del Procaccino con san Giuseppe e il Putto” (Farina, 2002, p. 207, no. 147; Brigstocke, 2002, p. 138, no. 92).
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Giuseppe Vermiglio
(Milano, 1587 (?) – dopo il 1635) (Milan, 1587 (?) – after 1635)
Davide con la testa di Golia
David Holding Goliath’s Head
provenienza
provenance
Bologna, collezione Publio Podio (secondo un’iscrizione stampata sul retro della tela, il dipinto era attribuito a Carlo Saraceni [Pulini, 2001]); Collezione privata. bibliografia
Bologna, Publio Podio collection (according to an inscription stamped on the back of the canvas the picture was attributed to Carlo Saraceni [Massimo Pulini, 2001]); private collection.
. Massimo Pulini, San Matteo e l’angelo di Giuseppe Vermiglio,
literature
Olio su tela, 135,5 × 96,5 cm
collezione Museo diocesano di Pienza, n° 3, pubblicato in occasione della mostra Tesori nascosti. Opere d’arte dalle collezioni private al Museo Diocesano di Pienza, 15 Settembre - 1 Novembre 2001, pp. 18-19, fig. 15, p. 22, nota 30; . Alessandro Morandotti, in Dipinti lombardi del Seicento, collezione Koelliker, Milano, 2004, p. 70; . Maria Cristina Terzaghi, in Musei e Gallerie di Milano. Pinacoteca Ambrosiana. II, Milano, 2006, pp. 262-264, al n° 321; . Laura Laureati, Un «Davide e Golia» di Giuseppe Vermiglio, in Alessandra Costantini (a cura di) In ricordo di Enzo Costantini, Torino, 2006, pp. 54-61; . Véronique Damian, Reni, Vermiglio et Cairo, trois figures caravagesques. Tableaux italiens du XVI e au XVIII e siècle, Paris, Galerie Canesso, 2012, pp. 24-29. O pere di confronto Si conoscono altre due versioni autografe di questa composizione: . Davide e Golia, olio su tela, 130 x 100 cm, Milano, collezione Koelliker (cfr. Alessandro Morandotti, op. cit. in bibliografia, 2004, pp. 70-71). . Davide e Golia, olio su tela, 140 x 107 cm, collezione privata (cfr. Laura Damiani Cabrini, in Giuseppe Vermiglio. Un pittore caravaggesco tra Roma e la Lombardia, catalogo della mostra, Campione d’Italia, Galleria Civica, 10 Settembre 3 Dicembre 2000, pp. 120-121, n° 20).
Pubblicato da Pulini nel 2001, il nostro Davide con la testa di Golia rappresenta un nuovo tassello nella riscoperta dell’opera dell’artista lombardo rimesso in
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Oil on canvas, 53 ⅜ × 38 in
. Massimo Pulini, San Matteo e l’angelo di Giuseppe Vermiglio, collection of the Pienza Diocesan Museum, no. 3, published as part of the exhibition Tesori nascosti. Opere d’arte dalle collezioni private al Museo Diocesano di Pienza, 15 September - 1 November 2001, pp. 18-19, fig. 15 and p. 22 note 30; . Alessandro Morandotti, in Dipinti lombardi del Seicento, collezione Koelliker, Milan, 2004, p. 70; . Maria Cristina Terzaghi, in Musei e Gallerie di Milano. Pinacoteca Ambrosiana. I I, Milan, 2006, pp. 262-264, under no. 321; . Laura Laureati, «Un ‘David e Golia’ di Giuseppe Vermiglio », in Alessandra Costantini, ed. In ricordo di Enzo Costantini, Turin, 2006, pp. 54-61; . Véronique Damian, Reni, Vermiglio et Cairo, trois figures caravagesques. Tableaux italiens du XVI e au XVIII e siècle, Paris, Galerie Canesso, 2012, pp. 24-29.
R elated works Two other autograph versions of the composition are known: . David and Goliath, oil on canvas, 130 x 100 cm, Milan, Koelliker collection (see Alessandro Morandotti, op. cit. above, 2004, pp. 70-71). . David and Goliath, oil on canvas, 140 x 107 cm, private collection (see Laura Damiani Cabrini, in Giuseppe Vermiglio. Un pittore caravaggesco tra Roma e la Lombardia, exh. cat., Campione d’Italia, Galleria Civica, 10 September 3 December 2000, pp. 120-121, no. 20).
Published by Massimo Pulini in 2001, our David Holding Goliath’s Head marks new progress in the rediscovery of this Lombard artist’s oeuvre, which
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Fig. 1 Caravaggio, Davide e Golia, Roma, Galleria Borghese. Caravaggio, David and Goliath, Rome, Borghese Gallery.
was initially brought to light by Roberto Longhi, who identified the Doubting Thomas, signed and dated 1612, in the Roman church of San Tommaso ai Cenci. 1 Vermiglio’s body of work has grown significantly since then, and in 2000 he was the subject of a monographic exhibition in Campione d’Italia, which assembled the research carried out during preceding decades.2 Our composition recalls the celebrated precedent by Caravaggio (1571-1610), also a Lombard artist who like Vermiglio came to Rome in his youth, and by whom we know two versions of the subject, one in the Borghese Gallery, Rome (fig. 1), the other in the Kunsthistorisches Museum, Vienna. When Vermiglio arrived in the Eternal City – at least by 20 February 1604, when he was residing with a mysterious master, the Perugian painter Adriano da Monteleone – Caravaggio was already active there, and the latter’s Borghese David and Goliath may be dated between May 1605, when his patron Scipione Borghese arrived in Rome, and May 1606, when he had to flee the city to avoid being arrested for murder. No doubt Vermiglio had the occasion to study these innovative works, and to reconsider and appropriate them, thus also confirming the success of Caravaggio’s approach; the inspiration continued after his return north, probably towards the end of 1620, since he married Violante Zerbi in Milan in 1621.3 The basic composition uses Caravaggio’s canvas in the Borghese Gallery as its starting-point: the young Biblical hero is shown half-length, holding the enormous sword – a scimitar – with which he had decapitated the giant Goliath, whose head he holds up in his left hand, grasping it by the hair. While Caravaggio portrayed himself in the features of Goliath, with open eyes and a realistic face,
1. Roberto Longhi, Ultimi studi su Caravaggio e la sua cerchia, in «Proporzioni», I, 1943, pp. 5-63.
1. Roberto Longhi, “Ultimi studi su caravaggio e la sua cerchia”, Proporzioni, I, 1943, pp. 5-63.
2. Daniele Pescarmona (a cura di), testi di Francesco Frangi, Alessandro Morandotti, Daniele Pescarmona e Maria Cristina Terzaghi, Giuseppe Vermiglio. Un pittore caravaggesco tra Roma e la Lombardia, catalogo della mostra, Campione d’Italia, Galleria Civica, 10 Settembre 3 Dicembre 2000 (con bibliografia precedente).
2. Daniele Pescarmona, ed., Giuseppe Vermiglio. Un pittore caravaggesco tra Roma e la Lombardia, with texts by Francesco Frangi, Alessandro Morandotti, Daniele Pescarmona and Maria Cristina Terzaghi, exh. cat., Campione d’Italia, Galleria Civica, 10 September - 3 December 2000 (with earlier literature).
luce da Roberto Longhi, il quale, per primo, individuò uno dei suoi dipinti: l’Incredulità di San Tommaso, firmato, datato 1612 e conservato nella chiesa di San Tommaso ai Cenci a Roma1. Da quel momento, il corpus di Vermiglio è andato progressivamente ampliandosi, tanto che la critica ha potuto dedicare all’artista una mostra monografica a Campione d’Italia nel 2000, sintetizzando gli apporti degli studi dei decenni precedenti2. La nostra composizione evoca il celebre precedente di
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Caravaggio (1571-1610), anch’egli lombardo e giunto, come lui, ancora giovane a Roma. Del Caravaggio si conoscono due versioni di questo soggetto: una a Roma, alla Galleria Borghese (fig. 1), l’altra a Vienna, al Kunsthistorisches Museum. Quando Vermiglio giunse nella città eterna – dal 20 Febbraio 1604 abitava in casa di un misterioso maestro: il perugino Adriano da Monteleone – Caravaggio si trovava già lì. Fu a Roma che Caravaggio dipinse il Davide e Golia oggi alla Galleria Borghese: tra il Maggio del 1605 – data alla quale il committente, Scipione Borghese, giunse a Roma – e il Maggio del 1606, quando Caravaggio dovette fuggire sotto minaccia di arresto per omicidio. Senza dubbio il nostro artista ebbe occasione di studiare tali opere innovative per poi ripensarle e appropriarsene, confermando allo stesso tempo il successo della formula caravaggesca. Ciò anche dopo il ritorno in Lombardia – momento al quale possiamo far risalire il nostro dipinto – che avvenne probabilmente già alla fine del 1620, dato che nel 1621 si sposò a Milano con Violante Zerbi3. La composizione evoca quella del dipinto di Caravaggio della Galleria Borghese: il giovane eroe biblico è colto a mezzo busto, nella mano destra impugna un'enorme spada – una scimitarra – mentre nella sinistra brandisce la testa del gigante Golia, tenendola fermamente per i capelli. Laddove Caravaggio si era autoritratto nelle sembianze di Golia, con gli occhi aperti e un’espressione realistica, Vermiglio mostra una testa di gigante dagli occhi semichiusi, privi di sguardo, tenuta quasi all’altezza del volto di Davide per dare maggiore enfasi alla vittoria, senza insistere troppo sull’aspetto dello scontro. Nessuno sguardo dominatore del vincitore sul vinto. Le braccia forti e muscolose del giovane Davide, che gli occorrono tanto per sostenere la scimitarra, quanto per sollevare la testa del gigante, contrastano con il suo viso imberbe, su cui possiamo ancora leggere, malgrado lo sforzo appena compiuto, la soddisfazione e l’innocenza della giovinezza.
Vermiglio shows us a giant’s head with half-closed, unseeing eyes, placed nearly at the level of David’s head so as to give emphasis to the achievement without insisting too much on the aspect of combat. There is no victor’s gaze over the vanquished, and the young David’s powerfully-muscled arms, needed to hold both head and scimitar, contrast with his clean-shaven face in which one can still see the
3. Un altro esempio dell’impatto provocato dalle composizioni romane di Caravaggio è ravvisabile nel San Giovanni Battista nel deserto (Roma, Galleria Borghese), composizione che Vermiglio rielaborò due volte (Milano, Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza; Pavia, Museo della Certosa); cfr. Federico Cavalieri, Giuseppe Vermiglio e il San Giovanni Borghese di Caravaggio, in «Nuovi Studi», 3, 1997, pp. 53-57.
3. Another example of the impact made by Caravaggio’s Roman paintings is the Saint John the Baptist in the Wildernesss (Rome, Borghese Gallery), a composition Vermiglio reworked on two occasions (Milan, Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza and Pavia, Museo della Certosa); see Federico Cavalieri, “Giuseppe Vermiglio e il San Giovanni Borghese di Caravaggio”, Nuovi Studi, 3, 1997, pp. 53-57.
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Il nostro artista ha fermamente orientato la composizione verso una drammaticità più contenuta, privilegiandone piuttosto il decoro. Il pittore indugia con grande attenzione sul disegno della fionda a tracolla e dell’impugnatura lavorata della scimitarra, che sbarra il primo piano in una linea orizzontale. Lo sfondo è definito da una netta diagonale che separa la zona in luce da quella in ombra, rivelando la fedeltà dell’artista al vocabolario caravaggesco, rintracciabile anche nella scelta delle tonalità cremisi del sangue, che conferiscono alla scena un tono realistico. Una luminosità soffusa e i toni bronzati, modulati tra i bruni e le tinte cammello più o meno chiare, avvolgono i due protagonisti in note di colori caldi. Si conoscono altre due versioni autografe di questa composizione, entrambe datate dalla critica posteriormente al ritorno in Lombardia, dove l’artista svilupperà con successo sui modi caravaggeschi la formula dei «quadri da stanza», destinati tanto agli ordini religiosi, quanto ai committenti privati, come attestato dalla presenza di tre grandi dipinti di Vermiglio alla Pinacoteca Ambrosiana a Milano4. I documenti biografici ritrovati su Vermiglio, ritrascritti e commentati da Maria Cristina Terzaghi nel 2000 in occasione della mostra, ci offrono uno spaccato sull’ambiente artistico romano del primo decennio del XVII secolo: nel 1605 Vermiglio venne arrestato per porto d’armi illegale, nel 1606 fu coinvolto in una rissa, al 1611 risale una nuova testimonianza di rissa. Insomma un terreno fertile e un contesto vivace e realistico sul quale venne ad innestarsi la rivoluzione pittorica iniziata da Caravaggio5. V.D.
contentment and innocence of youth, in spite of his great tour de force. Our painter has resolutely aimed for a restrained level of drama, putting the accent on decorum. Attention is given to the descriptive details of the sling and the decorated pommel and handguard of the scimitar that crosses the foreground. The background is defined by a distinct diagonal line of shadow, revealing fidelity to the language of Caravaggio, also visible in the crimson blood-streaks that lend the scene its naturalism. Soft lighting and bronze tonalities, modulated by lighter tawny browns, surround the protagonists with warm colour. We know of two other autograph versions of this composition , both dated by scholars to the period after Vermiglio’s return to Lombardy, where he was a successful practitioner of “quadri da stanza” in the Caravaggesque mode, painting both for religious orders and private patrons, as we may see in his three large canvases in the Pinacoteca Ambrosiana, Milan.4 Biographical data on Vermiglio, discovered, transcribed and commented by Maria Cristina Terzaghi for the exhibition in 2000, offer a vivid sense of an early seventeenth-century artist’s life in Rome: in 1605, Vermiglio was arrested for illegal possession of a weapon, in 1606 he was involved in a street brawl, and once again in 1611 – in short, a fertile and realistic context for the pictorial revolution begun by Caravaggio. 5 V.D.
4. La Pinacoteca Ambrosiana possiede inoltre una versione ridotta del Davide e Golia (84 × 70 cm); cfr. M. C. Terzaghi, op. cit. in bibliografia, 2006, pp. 262-264, no 321.
4. The Pinacoteca Ambrosiana also owns a reduced version of the David and Goliath (84 × 70 cm); see Maria Cristina Terzaghi, op. cit. in Literature, above, 2006, pp. 262-264, no. 321.
5. M. C. Terzaghi, “Io Gioseppe Vermiglio”: vita, opere e incontri attraverso i documenti, in D. Pescarmona (a cura di), op. cit. nota 2, 2000, pp. 17-40 e 131-134.
5. Maria Cristina Terzaghi, “‘Io Gioseppe Vermiglio’: vita, opere e incontri attraverso i documenti”, in Daniele Pescarmona, ed., op. cit. in note 2, 2000, pp. 17-40, 131-134.
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Francesco Fracanzano
(Monopoli, 1612 – Napoli, 1656 ca.) (Monopoli 1612 – Naples, c. 1656)
Sant’Andrea Apostolo
Saint Andrew the Apostle
provenienza
provenance
Sud America, collezione privata.
South America, private collection.
bibliografia
literature
Nicola Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli da Caravaggio a Massimo Stanzione, Napoli, arte’m, 2010, p. 279, n° 107.
Nicola Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli da Caravaggio a Massimo Stanzione, Naples: arte’m, 2010, p. 279, no. 107.
La figura a mezzo busto del Sant’Andrea Apostolo occupa la tela nella sua interezza e si staglia potentemente sullo sfondo scuro, saturo di ombre; possiamo scorgere appena il profilo di una parete rocciosa. L’espressione del volto è rapita in un’intensa e commossa tensione mistica, tradotta anche nel movimento ascensionale lungo la diagonale che conduce lo sguardo dell’osservatore dall’angolo in basso a sinistra, salendo lungo il braccio destro teso, fino agli occhi inumiditi e rivolti alla fonte luminosa. L’Apostolo non è rappresentato con il classico attributo della croce a X, considerata dalla tradizione popolare lo strumento del suo martirio, bensì ritratto nella sua veste di pescatore. L’artista sceglie quindi il momento della vocazione, della chiamata di Gesù a divenire un pescatore di uomini. Il pesce, infatti, oltre ad essere un chiaro riferimento al suo mestiere e a diversi episodi evangelici che lo vedono protagonista – come la pesca miracolosa e la moltiplicazione dei pani e dei pesci – è anche simbolo cristologico. Il marcato contrasto chiaroscurale mette in risalto la descrizione lenticolare del volto e dell’epidermide del Sant’Andrea, attraverso una tavolozza ristretta giocata sui bruni e sui bianchi e ravvivata solo dai vermigli accesi nell’occhio e nelle branchie del pesce. Ma il carminio è utilizzato anche per marcare i passaggi tonali sul viso e sul torso del Santo, mentre la materia si
The half-length figure of Saint Andrew the Apostle entirely fills the canvas, standing out powerfully against the dark, shadow-filled background. We can just make out the edge of a wall of rock. The saint’s rapt expression reveals his intense, emotional mysticism, and tension is also conveyed by the diagonal upward movement that leads the viewer’s gaze from the lower left corner through the figure’s outstretched right arm up to the moist eyes, which are directed to the source of light. The Apostle is not represented with his classic attribute, the X-shaped cross, regarded by popular tradition as the instrument of his martyrdom, but rather as a fisherman. The artist has thus chosen the moment of Andrew’s vocation, called by Christ to be a fisher of men. Indeed the fish, apart from making clear reference to his profession and to various Gospel episodes in which he played a leading part – such as the Miraculous Catch of Fish and the Miracles of the Loaves and Fishes – is also a Christological symbol. The marked contrast of light and dark emphasizes the painstaking description of the face and flesh of Saint Andrew, crested by a restrained palette of browns and whites and only enlivened by the bright touches of vermilion on the eye and gills of the fish. But carmine red is also used to mark tonal passages on the saint’s
Olio su tela, 124,5 × 97,5 cm
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Oil on canvas, 49 × 38 ⅜ in
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raggruma pastosa nei tocchi di luce concentrati sulla fronte, sotto gli occhi e sulle scaglie argentee del pesce, splendido brano di natura morta. Nicola Spinosa – che ha pubblicato per la prima volta il dipinto1 – e Riccardo Lattuada concordano nell’attribuire l’opera alla mano di Francesco Fracanzano2, fratello minore di Cesare. Il pittore, pugliese di origine, lavorò a Napoli a partire dal 16223, nel momento di massima fioritura della corrente del naturalismo caravaggesco. Il nostro Sant’Andrea è da collocare
face and torso, while pigment is applied with a generous impasto to the forehead, eyes and silvery scales of the fish – a splendid passage of still life. Nicola Spinosa – who first published this painting1 – and Riccardo Lattuada agree in attributing it to Francesco Fracanzano,2 the younger brother of Cesare. The painter, born in Puglia, worked in Naples from 1622 onwards,3 in the period when Caravaggesque naturalism was at its zenith. Our Saint Andrew should be dated precisely to his
1. Cfr. Bibliografia.
1. See Literature, above.
2. Su Francesco Fracanzano vedere: Civiltà del Seicento a Napoli, catalogo della mostra, Napoli, Museo di Capodimonte, 6 Dicembre 1984 -14 Aprile 1985, pp. 285 - 289; Giuseppe De Vito, Perifrasi Fracanzaniane in Ricerche sul ‘600 Napoletano. Saggi e documenti, 2003/2004, pp. 93-122; G. de Vito, Ritrovamenti e precisazioni a seguito della prima edizione della mostra del '600 napoletano, in Ricerche sul '600 Napoletano, Milano, 1984, p. 7.
2. On Francesco Fracanzano see Civiltà del Seicento a Napoli, exhibition catalogue, Naples, Museo di Capodimonte, 6 December 1984 -14 April 1985, pp. 285-289; Giuseppe De Vito, “Ritrovamenti e precisazioni a seguito della prima edizione della mostra del ’600 napoletano”, in Ricerche sul ’600 Napoletano, Milan, 1984, p. 7; and G. de Vito, “Perifrasi Fracanzaniane”, in Ricerche sul ’600 Napoletano. Saggi e documenti, 2003-2004, pp. 93-122.
3. Cfr. De Dominici, 1742- 45, III, p. 82.
3. See De Dominici, 1742-1745, III, p. 82.
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proprio nella fase giovanile del pittore, quando ancora netta e rigorosa era l’adesione allo stile realistico e veemente del pittore spagnolo Jusepe de Ribera (1591 -1652), di cui fu allievo. Fracanzano è qui chiaramente influenzato dalle figure di Santi e Filosofi a mezzo busto, realizzate dal maestro spagnolo tra la fine degli anni Venti e l’inizio del decennio successivo. In particolare i due studiosi pongono in relazione la nostra opera con un presunto prototipo di Ribera – probabilmente parte di un Apostolado poi disperso – non identificato, di cui però si conoscono diverse copie anonime e di più modesta qualità4. Nei dipinti di Fracanzano fino ai primi anni Trenta prevale una
early years, when he most rigorously adhered to the realist, vehement style of the Spanish painter Jusepe de Ribera (1591-1652), whose pupil he was. Fracanzano is clearly influenced here by the halflength figures of saints and philosophers painted by the Spanish master between the late 1620s and early 1630s. The two scholars make a point of relating our picture to a presumed prototype by Ribera – probably part of a dispersed, unidentified Apostolado – which is nonetheless reflected in a number of modest copies.4 Fracanzano’s paintings until the early 1630s are characterised by a dense use of pigment and dramatically luminous
4. La nostra opera è da rapportare in particolare all’omonimo dipinto conservato a Narbonne, Musée d’Art et d’Histoire, cfr. N. Spinosa, L’opera completa di Ribera, Milano, Rizzoli, 1978, p. 135, fig. 359; p. 136, n° 359; Id., Ribera. L’opera completa, Napoli, Electa Napoli, 2003, p. 348, B10.
4. Our work should be compared in particular to the canvas with the same subject in the Musée d’Art et d’Histoire, Narbonne: see N. Spinosa, L’opera completa di Ribera, Milan: Rizzoli, 1978, p. 135, fig. 359 and p. 136, no. 359; idem, Ribera. L’opera completa, Naples: Electa Napoli, 2003, p. 348, no. B10.
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materia spessa e atmosfere di un luminismo drammatico, che andranno progressivamente rischiarandosi a partire dal 1635, quando un buon numero di artisti napoletani, tanto quelli più legati al naturalismo, come il Maestro dell’Annuncio ai pastori, Aniello Falcone, Francesco Guarino, i giovani Bernardo Cavallino e Antonio de Bellis, ma anche gli artisti legati ad istanze più classiciste come Massimo Stanzione, Pacecco de Rosa e Andrea Vaccaro, vennero influenzati da una nuova tendenza “neoveneta” di provenienza romana ed emiliana. L’opera è quindi da datare plausibilmente ai primi anni Trenta: Lattuada pone come termine ante quem le due Storie di San Gregorio Armeno nella omonima chiesa napoletana, datate 1635, nelle quali Fracanzano adotta definitivamente la “maniera chiara”. Il dipinto rappresenta quindi un’importante acquisizione per il corpus più antico del pittore e va anzi annoverato tra i primi lavori dell’artista. C.N.
atmosphere which then become increasingly clearer after 1635; this was when a good number of Neapolitan painters – especially those wedded to naturalism, such as the Master of the Annunciation to the Shepherds, Aniello Falcone, Francesco Guarino, the young Bernardo Cavallino and Antonio de Bellis – but also those with a more Classicising manner, like Massimo Stanzione, Pacecco de Rosa and Andrea Vaccaro, became influenced by the new “Neo-Venetian” tendency that came from Rome and Emilia. A plausible date for the work should thus be the early 1630s. Lattuada believes our picture must have been painted before the two Stories of Saint Gregory the Armenian in the church of San Gregorio Armeno, Naples, which are dated 1635 and in which Fracanzano definitively adopted his “maniera chiara”. The painting can thus be considered an important rediscovery from the painter’s earliest period, and can claim to be among his first works. C.N.
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Jusepe De Ribera
(Játiva, 1591 – Napoli, 1652) (Játiva, 1591 – Naples, 1652)
San Giacomo Maggiore
Saint James the Greater
provenienza
provenance
Londra, Galleria Helikon; collezione privata.
London, Helikon Gallery; private collection.
bibliografia
literature
. Nicola Spinosa, Ribera. L’opera completa, Napoli, 2003, p.
278, n° A88; 2 a edizione, 2006, p. 302, n° A106; . Nicola Spinosa, Ribera. L’opera completa, Madrid, Fundación Arte Hispánico, 2008, p. 377, n° A127; . Véronique Damian, Sweerts, Tanzio, Magnasco et autres protagonistes du Seicento italien, Parigi, Galerie Canesso, 2009, pp. 26-29.
. Nicola Spinosa, Ribera. L’opera completa, Naples, 2003, p. 278, under no. A88; 2nd ed., 2006, p. 302, under no. A106; 3rd ed., Madrid, Fundación Arte Hispánico, 2008, p. 377, under no. A127. . Véronique Damian, Sweerts, Tanzio, Magnasco et autres protagonistes du Seicento italien, Paris, Galerie Canesso, 2009, pp. 26-29.
San Giacomo Maggiore, raffigurato a mezzo busto, leggermente di tre quarti, lo sguardo fisso e puntato sull’osservatore, ci viene presentato nelle vesti di pellegrino: lo indicano l’emblematica conchiglia attaccata discretamente vicino alla spalla destra e il solido bastone a cui si appoggia. Quest’ultimo attraversa la parte sinistra del dipinto per tutta la sua altezza: pretesto compositivo per sottolineare la bella diagonale in fuga verso l’alto. In Spagna la popolarità di questo santo si fonda sul pellegrinaggio a Compostela, luogo in cui si ritiene sia sepolto il suo corpo. Nicola Spinosa, nella monografia spagnola dedicata al pittore (2008), ha riprodotto il nostro dipinto, fino ad allora conosciuto solo per il precedente passaggio alla Galleria Helikon di Londra. Il soggetto fu spesso ripetuto dall’artista sul modello di una tela raffigurante San Giacomo Maggiore (Madrid, Museo del Prado), che appartiene ad una serie rappresentante gli Apostoli, eseguita intorno al 1630 per il Duca di Alcalá, viceré di Napoli tra il 1629 e il 1631. Questo Apostolado conobbe un'immensa fortuna e, per quanto riguarda la nostra composizione, Nicola Spinosa cataloga un’altra replica – anch’essa autografa – oggi a Genova, a Palazzo Durazzo Pallavicini. Il nostro
Saint James the Greater, shown half-length and tending to a three-quarter profile, but with his gaze fixed decisively at the beholder, is here presented as a pilgrim, as indicated by his emblematic cockle shell – almost unobtrusively attached near his right shoulder – and by the solid staff on which he leans. The wooden staff crosses the whole composition on the left, creating a fine diagonal line that leads the eye upwards. In Spain, this saint’s popularity endures through pilgrimage to Santiago de Compostella, where his body is buried. The latest Spanish edition of Nicola Spinosa’s Ribera catalogue (2008) reproduces our canvas, only known until last year by its former presence in the Helikon Gallery, London. The subject was often treated by the artist, and the model for this composition is the painting of Saint James the Greater (Madrid, Prado Museum), part of a series of apostles executed in about 1630 for the Duke of Alcalá, Viceroy of Naples between 1629 and 1631. This Apostolado had an extensive legacy, and as regards our composition alone, Nicola Spinosa lists another replica, also painted by Ribera, now in Genoa in the Palazzo Durazzo
Olio su tela, 74 × 64 cm
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Oil on canvas, 29 ⅛ × 25 ³∕₁₆ in
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San Giacomo ha in comune con questa serie anche le dimensioni, pressoché identiche. Le somiglianze, però, si fermano qui. L’artista spagnolo, infatti, trasferitosi a Napoli già dal 1616, all’apice del suo successo e nel pieno possesso delle sue capacità tecniche, reinterpreta questa icona religiosa in una nuova maniera, più chiara, modulando il tenebrismo che gli era stato così caro. Una diagonale di luce crea un fondo bruno-verde che consente di mettere particolarmente in evidenza l’espressione dell’Apostolo: cordiale e dolce, ma allo stesso tempo grave e intensa. Questa nuova dimensione psicologica nell’opera di Ribera è subito bilanciata dalle forme quasi architettoniche della tunica rossa, che drappeggia mezzo busto del Santo. Essa diviene una sorta di barriera che lo separa dall’osservatore, ma è anche elemento chiave per conferire volume e peso alla figura. L’artista, già in questo dipinto, muove i primi passi verso nuove sperimentazioni che sfoceranno, intorno al 1635, nella sua adesione alla “maniera chiara” in arrivo a Napoli da Roma, la cosiddetta maniera “neoveneta”. Ci sembra che il volto, reso con tocchi materici di rosa e di bianchi chiari, sia già un’apertura in questo senso. Jusepe de Ribera, spagnolo d’origine, ma trasferitosi giovanissimo in Italia, è uno dei più attenti ed originali seguaci di Caravaggio. Nel solco del pittore lombardo, perseguì la via del naturalismo puntando su una vigorosa ricerca espressiva e su una penetrante drammaticità. Nella maturità la sua ricerca puntò ad una sempre maggiore introspezione psicologia e ad una più essenziale monumentalità, attraverso l’uso di una materia rischiarata e brillante, in sintonia con le novità della maniera neoveneta e barocca. V.D.
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Pallavicini. Furthermore, our Saint James shares almost identical dimensions with the paintings in this series. But the resemblances stop there. In our canvas, the Spanish painter, who had resided in Naples since 1616 and was at the summit of his technical brilliance and fame, lends a new, brighter tone to this religious icon by modulating the tenebrist manner that was so dear to him. A diagonal of light creates a brown-green background that serves particularly well to set off the apostle’s expression, cordial and gentle but no less full of conviction. This new psychological dimension in Ribera’s oeuvre is simultaneously balanced by the strong architectural form of the red robe that half-clothes the saint, providing a strong illusion of his mass. We can already sense the artist’s evolution towards what would culminate around 1635 in his espousing the light-filled trend in Neapolitan painting – a “neo-Venetian” manner, as it has been defined – that emanated from Rome. It seems to us that the face, described with a loaded brush in pinks and bright whites, already testifies to that evolution. Jusepe de Ribera, a native of Spain who moved to Italy as a very young man, was one of the first and most attentive followers of Caravaggio. In the footsteps of the Lombard painter, he followed the path of naturalism with an emphasis on vivid expressiveness and a penetrating sense of drama. In his mature years, he sought ever greater psychological introspection and a more essential monumentality through the adoption of clear, brilliant pigment, thus running parallel to the novel elements of neo-Venetian and Baroque painting. V.D.
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Pietro Ricchi
(Lucca, 1606 – Udine, 1675) (Lucca, 1606 – Udine, 1675)
I giocatori di morra
Morra Players
provenienza
provenance
Italia, collezione privata.
Italy, private collection
bibliografia
literature
Véronique Damian, Galerie Canesso, Parigi, 2008, pp. 26-31.
Véronique Damian, Galerie Canesso, Paris, 2008, pp. 26-31.
Nato a Lucca, l’artista non si trattenne a lungo nella città natale e si ritrovò molto presto a Firenze. Lì tra il 1620 e il 1623 divenne apprendista presso Domenico Passignano (1559-1638), poi si spostò a Bologna (tra il 1624 e il 1627 circa), dove è segnalato da Baldinucci presso Guido Reni (1575-1642); in seguito fu a Roma per due anni. La Fortuna lo sospinse poi alla volta della Francia, in un percorso che da sud lo condusse verso nord: Aix-en-Provence, Arles, Lione, Parigi. Importante per la sua opera fu l’incontro con i contemporanei francesi, in particolare con Claude Vignon (1593-1670). Intorno al 1634-1635 ritornò a Milano, poi si recò a Bergamo e Brescia; lì rimase fino al 1652. Dal 1652 circa fino alla fine degli anni sessanta – e ancora nel 1672 – fu a Venezia e infine si trasferì a Udine, dove morì. Fra Veneto e Lombardia permangono, infatti, ancora oggi numerose testimonianze della sua arte. Tali peregrinazioni spiegano l’estrema varietà delle suggestioni culturali presenti nell’opera di Ricchi riguardo al quale, malgrado studi monografici recenti, restano ancora diverse perplessità quanto alla datazione delle sue opere, ma anche alla loro definizione stilistica1. Tuttavia è
Pietro Ricchi left his native Lucca early on for Florence, where in 1620-1623 he became a young apprentice to Domenico Passignano (1559-1638), before moving on to Bologna (between 1624 and about 1627). Baldinucci states he was trained there by Guido Reni (1575-1642), and then in Rome for two years. Subsequently, he travelled to France, where opportunity drew him from south to north: Aix-en-Provence, Arles, Lyon, and Paris. His acquaintance with contemporary French art, and in particular that of Claude Vignon (15931670), was important for his work. In about 1634-1635, he returned to Italy, sojourning in Milan, then Bergamo and Brescia (until 1652), followed by Venice (from about 1652 to the late 1660s, and once again in 1672), and finally Udine, where he died. In fact numerous works by him survive in the Veneto and Lombardy. These peregrinations explain the extreme variety of cultural influences in Ricchi’s oeuvre, yet in spite of recent monographic studies, the dating of his work, and even some stylistic definition, remains perplexing. 1 However, it is likely that
1. Paolo Dal Poggetto, Pietro Ricchi 1606-1675, Rimini, 1996; Pietro Ricchi 1606-1675, catalogo della mostra Riva del Garda, Museo Civico, Chiesa dell’Inviolata, 5 Ottobre 1996 - 15 Gennaio 1997.
1. Paolo Dal Poggetto, Pietro Ricchi 1606-1675, Rimini, 1996; Pietro Ricchi 1606-1675, exh. cat., Riva del Garda, Museo Civico, Chiesa dell’Inviolata, 5 October 1996 - 15 January 1997.
Olio su tela, 76 × 111 cm
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Oil on canvas, 29 ¹⁵∕₁₆ × 43 ¹¹∕₁₆ in
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probabile che i Giocatori di morra siano stati eseguiti al momento del suo soggiorno a Bergamo e, in ogni caso, al ritorno dalla Francia. Come nota giustamente Mariolina Olivari, esiste in quel momento una produzione di Ricchi nella quale i personaggi, presentati in forte contrasto chiaroscurale, sembrano emergere dallo sfondo con effetti molto marcati, influenzati dalla corrente caravaggesca francese, che utilizza il lume di candela quale fonte luminosa, ma anche dall’opera del pittore milanese Morazzone (1573-1626)2. Il colore astratto di quest’ultimo ravviva e rinnova la gamma cromatica molto scura attraverso cui Ricchi sceglie di esprimersi dopo il suo ritorno dalla Francia. È qui il caso del cappello rosso del giocatore di destra, colore inaspettato nella tavolozza bruna – quasi monocroma – del dipinto, che cattura l’attenzione dello spettatore. Fu in quel momento che Ricchi entrò in contatto con i pittori che lavoravano a sud di Cremona e Crema, tra i quali è da menzionare Giacomo Barbelli (16041656), che prediligeva similmente nei suoi notturni forti contrasti chiaroscurali, come nella Adorazione dei pastori del santuario della Madonna della Brughiera a Trivero3. La composizione dei Giocatori di morra e l’utilizzo enfatico del chiaroscuro, che descrive i profili e i tratti salienti delle fisionomie, trovano diversi punti di contatto con i dipinti del periodo bergamasco. A cominciare dalla scelta dei tipi fisici: i personaggi anziani e umili sono rappresentati con dita allungate, un mento molto pronunciato, gli occhi parzialmente assorbiti dalla penombra, mentre i volti dei giovani, più agiati socialmente, mostrano lineamenti regolari e quasi soavi. Tali elementi espressivi si ritrovano nell’Adorazione dei pastori di una collezione privata lombarda, che presenta lo stesso formato orizzontale4. Senza rischio di parere blasfemi, i pastori del dipinto di collezione privata potrebbero far parte della stessa famiglia del giocatore di sinistra, mentre la Vergine può essere accostata al nostro giovane giocatore di destra. Volti simili, soprattutto per i personaggi più
the Morra Players was painted during his time in Bergamo, and in any case after his return from France. As Mariolina Olivari has justly noted, Ricchi’s output at this moment was defined by figures presented in strong chiaroscuro that seem to stand out markedly from the background, at once influenced by French Caravaggism, which typically used candles as a source of light, and by the work of the Milanese painter Morazzone (1573-1626). 2 The abstract colour of the latter revived and renewed the sombre range of colours chosen by Ricchi after his return from France; thus the spectator’s attention is caught by the red hat of the player on the right – an unexpected tonality in the painting’s brown, almost monochrome palette. It was at this point that Ricchi had contact with the painters working south of Cremona and Crema, among whom we should mention Giacomo Barbelli (1604-1656), who also favoured dynamic contrasts of light in his nocturnal scenes – as in his Adoration of the Shepherds in the sanctuary of the Madonna della Brughiera in Trivero. 3 The composition of the Morra Players and its emphatic use of chiaroscuro to describe profiles and salient points of physiognomy, finds a number of echoes in paintings from the artist’s Bergamo period. One parallel lies in his choice of physical types: aged, humble figures are shown with very long fingers, highly prominent chins, and eyes half-absorbed by the penumbra, while the faces of the young people – more well-to-do – have more regular, almost suave features. These expressive elements appear in the Adoration of the Shepherds in a private collection in Lombardy, which has the same horizontal format. 4 Without a trace of blasphemy, the shepherds could be members of the same family as our left-hand player, while the Virgin may be compared with our young right-hand player. Moreover, similar faces –
2. Mariolina Olivari, Sulle tracce bergamasche di un eccentrico, in catalogo della mostra, Ivi, pp. 93-104.
2. Mariolina Olivari, “Sulle tracce bergamasche di un eccentrico”, in Pietro Ricchi, exh. cat. 1996-1997, cited in note 1, pp. 93-104.
3. Ivi, p. 99, fig. 81.
3. Eadem, p. 99, fig. 81.
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attempati, si ritrovano nella Cena del Museo Civico di Riva del Garda, dipinta intorno al 1644. A questa fase appartengono anche le due versioni della Giuditta del Museo di Castelvecchio a Verona e del Castello del Buonconsiglio a Trento e, probabilmente, I giocatori di carte, in collezione privata a Forlì5. Ma altri dipinti
especially as regards the older figures – recur in the Last Supper in the Museo Civico in Riva del Garda, painted in about 1644. This period also saw the two versions of the artist’s Judith – one in the Museo di Castelvecchio in Verona and the other in the Castello del Buonconsiglio in Trento –
4. Ivi, p. 99, fig. 80.
4. Eadem, p. 99, fig. 80.
5. Catalogo della mostra 1996-1997, Ivi, pp. 316-317, n° 41, pp. 328329, n° 47, pp. 326-327, n°46.
5. Pietro Ricchi, exh. cat. 1996-1997, cited in note 1, pp. 316-317, no. 41; 328-329, no. 47; 326-327, no. 46.
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di Ricchi mostrano analogie formali con il nostro: ad esempio le due tele di collezione privata raffiguranti, con minime varianti tra loro, una Coppia con fiasco e candela. I personaggi, abbastanza simili al giovane giocatore di destra, sono rappresentati in una maniera astratta e pittoresca e sono illuminati da sotto in su, come I giocatori di morra; questo espediente li isola in un mondo a parte, quasi fiabesco. V.D.
and probably the Card Players in ForlĂŹ (private collection) as well. 5 But other paintings by Ricchi reveal formal elements that connect them to ours, such as the two canvases of a Couple with a Flask and a Candle (with only a few variant passages between them) in private collections. Very much like our young man on the right, these figures are depicted in an abstract, picturesque manner, and like the Morra players, they are lit di sotto in sĂš, which sets them apart in an isolated, magical world. V.D.
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Francesco Cairo (Milano, 1607-1665) (Milan, 1607-1665)
Il martirio di Sant’Eufemia
The Martyrdom of Saint Euphemia
provenienza
provenance
Probabilmente si tratta del dipinto menzionato nell’inventario post mortem dell’artista: «Un Martirio di S. Eufemia entro a Leoni alto Br. 4. largo Br. 4. opra del Cavagl.e.» (n° 252 dell’inventario postumo del 29 Luglio 1665); Inghilterra, collezione privata.
Probably the painting mentioned in the inventory made after the artist’s death: “Un Martirio di S. Eufemia entro a Leoni alto Br. 4. largo Br. 4. opra del Cavagl.e.” (item no. 252 in the posthumous inventory of 29 July 1665); England, private collection.
bibliografia
literature
. Francesco Frangi, Francesco Cairo, Alessandro Tiarini e la
strana storia delle ante di Sant’Eufemia a Milano, in “Nuovi Studi”, 2005, 11, pp. 249-263; . Véronique Damian, Deux tableaux de la collection Sannesi. Tableaux des écoles émilienne et lombarde, Parigi, Galerie Canesso, 2006, pp. 50-55.
. Francesco Frangi, “Francesco Cairo, Alessandro Tiarini e la strana storia delle ante di Sant’Eufemia a Milano”, Nuovi Studi, 2005, 11, pp. 249-263. . Véronique Damian, Deux tableaux de la collection Sannesi. Tableaux des écoles émilienne et lombarde, Parigi, Galerie Canesso, 2006, pp. 50-55.
Il lungo inventario di dipinti appartenenti a Francesco Cairo – 294 voci – redatto il 29 Luglio 1665 al momento della sua morte, include al numero 252 un Martirio di Sant’Eufemia con i leoni 1. Tale menzione ha una duplice rilevanza: in primo luogo attesta che l'artista trattò questo tema, inoltre, ancor più significativamente, riporta formato e dimensioni simili, seppur superiori, alla nostra tela: l'opera citata appariva infatti quadrata e di grandi dimensioni 4 × 4 braccia, ovvero approssimativamente 2,40 × 2,40 m, forse intendendosi compresa la cornice2. Questi due elementi portano a credere verosimilmente che l’opera citata in inventario possa essere identificata con il nostro
The lengthy inventory of paintings belonging to Francesco Cairo – 294 items – drawn up on 29 July 1665 just after his death, includes a Martyrdom of Saint Euphemia with Lions (no. 252). 1 This record has a twofold relevance: firstly it attests that the painter did indeed treat this subject, but more significantly, given its large-scale dimensions (4 × 4 braccia, 2 or approximately 240 × 240 cm, perhaps including the frame) and square format (or apparently so), it closely resembles those of our canvas. These two elements strongly suggest that the work cited in the inventory may be identified with the present painting, only recently published
1. Il dipinto, che passava per un’opera di Francesco Maffei (1605 ca.1665) è stato attribuito a Cairo da Francesco Frangi quando lo vide in corso di restauro. Lo ringraziamo per averci segnalato la menzione dell’inventario post mortem dell’artista. Un ringraziamento speciale a Ottorino Nonfarmale per il restauro del dipinto in Italia.
1. The painting, formerly believed to be by Francesco Maffei (c. 1605-1665), was attributed to Cairo by Francesco Frangi when he saw it during conservation; we are grateful to him for pointing out the existence of the artist’s posthumous inventory. Special thanks go to Ottorino Nonfarmale for having restored the painting in Italy.
Olio su tela, 192,5 × 223 cm
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Oil on canvas, 75 ¾ × 87 ¹³∕₁₆ in
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dipinto, pubblicato nel 2005 da Francesco Frangi su Nuovi Studi (n° 11). Il tema è trattato raramente in pittura. Illustra il martirio di Sant’Eufemia, descritto con dovizia di particolari nel racconto di Jacopo da Varazze nella Legenda Aurea. La vicenda si svolge al tempo di Diocleziano e dei primi martiri cristiani. Dopo diversi tentativi infruttuosi di eliminare Eufemia, che non voleva abdicare alla sua fede cristiana, la santa fu gettata «in una fossa in cui si trovavano tre belve ferocissime, che si sarebbero inghiottite qualsiasi uomo». Contro ogni aspettativa queste non le fecero però alcun male. Fu quindi inviato un boia che «piantò la spada nel fianco di Eufemia e la fece martire di Cristo. Il giudice in cambio lo rivestì d’una veste di seta, ponendogli anche al collo una collana d’oro: non appena uscì fu aggredito da un leone che lo divorò quasi intero»3. Nel dipinto vediamo infatti l’aguzzino colto di spalle, con le braccia aperte e sollevate in segno di sorpresa per l’attacco improvviso. Dal fodero vuoto, legato alla cintura dell’uomo e vedendo la spada conficcata nel fianco di Eufemia, non è difficile dedurre che l’atto crudele sia appena stato compiuto. Le storie dei martiri si prestano alla rappresentazione spettacolare; l’artista ha qui infatti largamente utilizzato l’effetto scenografico, concentrandosi sull’azione piuttosto che sul decoro. Lo sfondo scuro fa emergere in primo piano i due personaggi, che sono posizionati su diagonali opposte: verticale e orizzontale. Due elementi stravaganti dell’abito del carnefice – i bizzarri calzoni rossi corti e il panneggio beige svolazzante della giacca – potrebbero evocare la veste di seta donata dal magistrato, come riportato nella Legenda Aurea. Da un recente studio di Francesco Frangi si evince che Cairo riprese qui una tela con il medesimo soggetto: Il Martirio di Sant’Eufemia, oggi conservata nella prima cappella di sinistra della chiesa di San Paolo Converso
by Francesco Frangi in the journal Nuovi Studi, no. 11. The subject is rarely treated in painting. It illustrates the martyrdom of Saint Euphemia, described in detail by Jacopo da Voragine in the Golden Legend. The episode takes place at the time of Diocletian and the early Christian martyrs. After several unsuccessful attempts to eliminate Euphemia, who did not wish to abjure her Christian faith, she was thrown “into a pit where there were three wild beasts so ferocious that they would swallow any man”, but amazingly they did her no harm. An executioner was then sent to drive “his sword into Euphemia’s side, thus making her a martyr for Christ. To reward the headsman for his service, the judge draped him in a silk garment and girded him with a gold belt, but as the man went out, he was snatched by a lion and devoured by the same”. 3 Indeed our painting shows this man seen from behind, his arms raised in surprise at the sudden attack, and an empty scabbard on his waist; given the presence of the sword in the saint’s side, it is not difficult to deduce that he has just committed the cruel act himself. Stories about martyrs naturally lend themselves to the spectacular, and here the artist has taken advantage of the theatrical element, concentrating more on action than decorum. The dark background thrusts the two figures into the immediate foreground, arranged along two contrasting horizontal and vertical diagonals. Two of the pieces of clothing worn by the richly-dressed executioner – the strange short red breeches and twirling beige doublet – evoke the gift of the “silk garment” mentioned in the Golden Legend. A recent study by Francesco Frangi shows that Cairo was here responding to a canvas with the
2. Il braccio equivale a 0,60 m, quindi corrisponderebbe ad un dipinto di 2,40 × 2,40 m. Cfr. Francesco Frangi, Francesco Cairo, Milano, 1998, doc. 18, p. 341, n° 252.
2. Taking one Milanese braccio as 60 cm, the picture would measure 240 × 240 cm (94 ½ inches square). See Francesco Frangi, Francesco Cairo, Milan, 1998, doc. 18, p. 341, no. 252.
3. Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, Torino, Einaudi Editore, 1995, CXXXIX Sant’Eufemia, pp. 767-769.
3. Jacobus de Voragine, The Golden Legend, transl. W. G. Ryan, Princeton, 1993, vol. I, pp. 181-183.
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a Milano, ma che, all’origine, decorava le ante dell’organo nella stessa chiesa (Fig. 1). Il dipinto milanese ha sofferto molto: diviso in due parti, come esigeva questo specifico impiego, fu ritrovato più tardi tagliato in quattro pezzi. Dopo aver subito un indispensabile restauro tra il 1932 e il 1935, fu ricomposto ed è oggi visibile nella sua integrità, nonostante le condizioni di conservazione ne rendano difficoltosa la lettura. Non riprendiamo in dettaglio in questa sede le complesse vicissitudini dell’opera milanese, lungamente sviluppate nell’argomentazione di Frangi, al cui articolo rinviamo in bibliografia, ma ci limitiamo a citarne lo sviluppo. È infatti ad una data abbastanza tarda, a partire dal 1674, che le guide locali iniziano a menzionare il dipinto come opera di Tiziano o Veronese e queste attribuzioni antiche furono ripetute con continuità fino all’inizio del XIX secolo. In seguito, giustamente, non vennero più prese in considerazione4. I contributi recenti hanno tuttavia evidenziato nel dipinto di San Paolo Converso delle reali consonanze stilistiche con l’arte veneta e c’è un generale consenso nel proporne la datazione nella seconda metà del Cinquecento 5. Frangi vi legge una cultura che fa da ponte fra il Veneto e la Lombardia e propone, con prudenza, il nome di un artista originario di Crema: Giovanni
same subject – The Martyrdom of Saint Euphemia – now in the first chapel on the left in San Paolo Converso, Milan, but which originally decorated the organ shutters in that church (Fig. 1). The Milanese painting has suffered a good deal: having been divided into two sections, as appropriate to its function, it was later found cut into four pieces. After a radical restoration between 1932 and 1935, it was reframed and is now visible as a single piece, even if its state of preservation hinders close reading of the composition. This work and its complex vicissitudes are given lengthy analysis by Francesco Frangi, but we will refrain from quoting this in detail, referring the reader to his article (see Literature). It was not until 1674 that local guides list the painting as a work by Titian or Veronese, and these early attributions were constantly repeated until the beginning of the nineteenth century, after which they were understandably no longer taken into consideration.4 Recent contributions have noted that the picture in San Paolo Converso has striking parallels with Venetian art, and there is general agreement in dating it to the second half of the Cinquecento. 5 Frangi himself sees it as the work of a painter representing a link between the Veneto
Fig. 1 Pittore attivo a Milano intorno al 1570, Il Martirio di Sant’Eufemia, Milano, chiesa di San Paolo Converso. Painter active in Milan around 1570, The Martyrdom of Saint Euphemia, Milan, Church of San Paolo Converso.
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da Monte (1525/1530 - 1585/1590), presente molto giovane a Venezia e con ogni probabilità allievo di Tiziano. L’opera conserva ancor’oggi immutato il suo mistero e, in assenza di documenti d’archivio che vengano a precisarne committenza e funzione, la sua attribuzione può basarsi solo su delle ipotesi. Cairo fu grande ammiratore del pittore di Cadore: lo
and Lombardy, and cautiously proposes an artist from Crema, Giovanni da Monte (1525/15301585/1590), who was in Venice as a young man and was likely to have been a pupil of Titian. The work is still mysterious today, and in the absence of archival documents relating to its commission and function, its authorship must remain hypothetical.
4. Carlo Torre, Il ritratto di Milano, 1674, ed. 1714, p. 62; ma già menzionato nel 1671 in A. Santagostino, L’Immortalità e la gloria del pennello. Catalogo delle pitture insigni che stanno esposte al publico nella città di Milano, 1671, Marco Bona Castellotti (a cura di), Milano, 1980, p. 335, n° 372.
4. Carlo Torre, Il ritratto di Milano (1674), 1714, p. 62; but already mentioned in 1671 in A. Santagostino, L’Immortalità e la gloria del pennello. Catalogo delle pitture insigni che stanno esposte al publico nella città di Milano, 1671, ed. Marco Bona Castellotti, Milan, 1980, p. 335, no. 372.
5. M. Bona Castellotti, op. cit., 1980, p. 335, n° 372; Maria Teresa Fiorio, Sant’Eufemia, in Le chiese di Milano, Milano, 1984, p. 252; Alessandro Morandotti, San Paolo Converso in Milano, Milano, s.d. [1984], pp. 46-47.
5. M. Bona Castellotti, as in note 4, p. 335, no. 372; Maria Teresa Fiorio, “Sant’Eufemia”, in Le chiese di Milano, Milan, 1984, p. 252; Alessandro Morandotti, San Paolo Converso in Milano, Milan, nd [1984], pp. 46-47.
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collezionò e lo copiò a più riprese. Credette quindi egli a questa attribuzione prestigiosa o al contrario replicò il dipinto basandosi su una reale conoscenza dell’autore?6 Siamo costretti ad ammettere che ci sfugge la vera ragione per la quale Cairo eseguì quest’opera. Se fosse stato su commissione, parrebbe strano il ritrovamento nella casa del pittore al momento della morte nel 1665. Saremmo quindi tentati a credere che lo realizzò per se stesso avendo, come ultimo scopo, quello dello studio. Senza alcun dubbio l’impatto visivo delle ante dell’organo non lo lasciò insensibile e provò il bisogno di dare la propria interpretazione della tensione drammatica contenuta nella descrizione del racconto. In ogni caso l’opera non presenta varianti significative nella composizione. Numerosi dettagli, invece, differiscono: soprattutto per l’uso di una tecnica pittorica molto più fluida, caratteristica di colui che fu soprannominato da Carlo Torre il “Tiziano lombardo”. Al carattere compatto della forma, in particolare nella figura della Santa, Cairo apporta una forte componente emotiva, utilizzando accordi tonali più sordi. Il blu, il bruno, il rosso e soprattutto il bianco della camicia del boia sono lavorati, in maniera più audace, attraverso una pennellata energica, stesa a larghi tocchi corposi. Queste sono le caratteristiche che ci suggeriscono una datazione tarda nella sua carriera, nel periodo della maturità avanzata, verso la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta del Seicento. Frangi sottolinea anche i punti di contatto del nostro dipinto con le toccanti atmosfere tinte di malinconia delle opere tarde dell’artista, quali L’ Apparizione della Madonna col Bambino a Sant’Antonio di Padova (Piacenza, Santa Teresa), e L’ Addio di San Giovanni Battista ai suoi genitori (Aicurzio, Sant’Andrea)7. È interessante notare che l’artista riutilizzerà la figura maschile del boia di spalle entrante in scena nel Martirio di Santo Stefano
Did Cairo himself – a true admirer of the great Venetian painter, whose works he copied and owned – believe this prestigious attribution, or was his response based on a correct knowledge of the work’s author? 6 We must admit that the reason for Cairo’s execution of our painting eludes us: if it had been regularly commissioned it would be odd to find it in his home at his death in 1665. One might be tempted to believe that he painted it for himself, with the ultimate aim of study. There is no doubt that the visual impact of the organ shutters impressed him enough to lead him to create his own interpretation of this dramatic narrative. In any case, our painting does not present significant variants; rather, these are to be found in numerous details, due especially to a highly fluid pictorial technique that was characteristic of the painter dubbed “the Lombard Titian” by Carlo Torre. Cairo lends the compact forms – notably that of the saint – a strong emotional content by using muted tonal harmonies. The handling of blue, brown, and red, and especially the white of the executioner, is bold and energetic, with broad, thick brushstrokes. It is these qualities that suggest a moment late in his career, during the mature period between the late 1650s and early 1660s. Frangi also notes how our picture displays stylistic parallels to the melancholy-tinged atmosphere of late masterpieces by the painter such as The Apparition of the Virgin and Child to Saint Anthony of Padua (Piacenza, Santa Teresa) or Saint John the Baptist Taking Leave of His Parents (Aicurzio, Sant’Andrea).7 It is interesting to see that Cairo once again adopted the male figure of the executioner, seen from behind as he enters the composition, in his Martyrdom of Saint Stephen
6. Francesco Frangi (op.cit., pp. 127-129) rileva la predilezione che aveva l’artista per i maestri veneziani del XVI secolo, testimoniata anche dall’inventario dei suoi dipinti stilato al momento della sua morte, avvenuta nel 1665. Tale documento è ancora più appassionante perché attesta di fatto che Cairo non si accontentava di copiare Tiziano o Veronese, ma che era lui stesso in possesso di dipinti del Cinquecento veneziano e, in particolare, di diversi dipinti di Tiziano.
6. Francesco Frangi (as in note 1, pp. 127-129) notes the artist’s predilection for the Venetian masters of the sixteenth century, as reflected in the posthumous inventory of painting made at his death in 1665. The document is fascinating as it attests to the fact that Cairo was not content solely to copy Titian or Veronese but that he himself owned Venetian Cinquecento paintings, including several by Titian.
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(Milano, Chiesa di Santo Stefano; Fig. 2)8. Con tutta evidenza il tono retorico della scena piacque all’artista, che, per meglio svilupparlo, ingrandì la sua composizione di trentacinque centimetri in lunghezza rispetto al dipinto di San Paolo Converso il quale, invece, misura 180 × 188 cm. Abbiamo quindi davanti ai nostri occhi un’immagine che, con grande efficacia, fonde soprannaturale, orrifico e meraviglioso in una visione dilatata e spettacolare.
(Milan, Santo Stefano; Fig. 2). 8 As far as we can tell, the rhetorical tone of the scene pleased Cairo, and to develop it further he extended his composition by 35 cm in width compared to the painting in San Paolo Converso, which measures 180 × 188 cm. The image before us is a highly effective blend of the supernatural, horrific, and wonderful, all seen through an expansive and spectacular lens.
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Fig. 2 Francesco Cairo, Il Martirio di Santo Stefano, Milano, chiesa di Santo Stefano. Francesco Cairo, The Martyrdom of Saint Stephan, Milan, Church of Saint Stephan.
7. F. Frangi, Ivi, nota 1, n° 90 e 100, pp. 277, 285.
7. F. Frangi, as in note 1, nos. 90 and 100, pp. 277, 285.
8. F. Frangi, Ivi, nota 1, n° 121, p. 289.
8. F. Frangi, as in note 1, no. 121, p. 289.
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Dipinti del Seicento Influssi caravaggeschi tra Lombardia e Napoli galleria canesso lugano 2013