psicogerontologia

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Edoardo Giusti - Federica Murdaca



collana Psicoterapia & Counseling diretta da Edoardo Giusti PSICOTERAPIA�

COUNSELING�

68 Centro Europeo di Ricerche per lo Studio delle Psicoterapie Integrate e Comparate



Edoardo Giusti - Federica Murdaca

PsicoGerontologia Interventi psicologici integrati in tarda etĂ

OVERA EDITORE


Š 2008 SOVERA MULTIMEDIA s.r.l. Via Vincenzo Brunacci, 55/55A - 00146 ROMA www.soveraedizioni.it e-mail: info@soveraedizioni.it I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.


Sommario

Prefazione di GIOVANNI CAPOBIANCO

I

PARTE I: L’INVECCHIAMENTO

11

1.

Il tempo della maturità • La crescita della popolazione anziana nei paesi industrializzati • Le differenze individuali e di genere • Longevi ed anziani fragili • Modificazioni sensoriali e cognitive in tarda età

17

2.

La “qualità della vita” dell’anziano • Premessa • Il lavoro ed il pensionamento • La famiglia • La solitudine e l’emarginazione • L’attività sociale • L’affettività e la sessualità • Il piacere sessuale e l’autoerotismo

37

3.

Le teorie dell’invecchiamento

55

PARTE II: IL MALESSERE

65

1.

67

La depressione • I principali disturbi depressivi in tarda età • La valutazione della depressione nell’anziano • Il trattamento della depressione dell’anziano


2.

Le demenze • Il decadimento cognitivo • Le diverse forme di demenza: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

• • •

85

Malattia di Alzheimer (AD) Demenza multiinfartuale(MID) Demenza a corpi di Lewy (DLB) e demenza frontotemporale (FTP) Demenza alcolica Neoplasie cerebrali Traumi cranici Malattia di Pick

Valutazione delle demenze Diagnosi differenziale Possibili interventi riabilitativi

PARTE III: LA VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE

115

1.

La valutazione del soggetto anziano • Valutazione quantitativa • Strumenti ad una dimensione • Strumenti a due dimensioni • Strumenti a tre dimensioni • Utilizzo degli strumenti di valutazione

117

2.

Il colloquio come strumento di valutazione • L’anamnesi • Contenuti del pensiero • L’insight • La valutazione cognitiva • Valutazione del rischio suicidiario

129

3.

La valutazione della competenza dell’anziano

141

4.

La valutazione della condizione clinica • Strumenti di valutazione

145

5.

149 La valutazione dello stato funzionale • Valutazione delle attività di base della vita quotidiana • Valutazione delle attività funzionali della vita quotidiana


6.

Valutazione delle funzioni cognitive • Strumenti di valutazione • Strumenti specifici per le diverse funzioni cognitive:

155

Orientamento Temporale Percezione visiva Intelligenza Attenzione Memoria a Breve Termine Memoria a Lungo Termine Linguaggio Funzioni esecutive Prassie

7.

La valutazione dei disturbi comportamentali • Strumenti di valutazione

179

8.

La valutazione dello stato psicoaffettivo • Strumenti di valutazione

185

9.

La valutazione psicosomatica • Interpretazione di alcuni sintomi:

193

Ansia, depressione e somatizzazione Malattie dell’apparato motorio Malattie dell’apparato respiratorio Malattie dell’apparato cardio-circolatorio Malattie dell’apparato digerente Malattie del sistema endocrino Malattie della pelle Disturbi del sistema immunitario Cefalee

10. La Valutazione della qualità della vita • Strumenti di valutazione

207

PARTE IV: RIPROGRAMMARE LA VITA. L’INTERVENTO PLURALISTICO INTEGRATO

213

1.

215

L’intervento psicoterapeutico in età avanzata • I principali disturbi


• •

Approcci psicoterapici integrati Utilizzo trasversale dei modelli

2.

Psicoterapia interpersonale • Setting e tecniche • La psicoterapia interpersonale negli anziani con depressione e decadimento cognitivo

223

3.

Psicoterapia sistemico-familiare • La terapia di coppia

233

4.

Psicoterapia cognitiva-comportamentale • Strategie cognitivo-comportamentali • La psicoterapia cognitiva con il paziente demente • Giovani-vecchi, vecchi-vecchi e psicoterapia

237

5.

Psicoterapia psicodinamica • Limiti e prospettive per una psicoanalisi della terza età • L’anziano in psicoterapia psicodinamica

247

6.

Psicoterapia di gruppo • La psicoterapia cognitiva di gruppo • La psicoterapia interpersonale di gruppo • La gruppoanalisi

253

7.

Altre tecniche psicoterapeutiche • Terapia occupazionale • Tecniche immaginative • Arteterapia • Musicoterapia • Pet Therapy • Gruppi di auto-aiuto • Nonnoterapia

263

Postfazione di ENNIO DE FILIPPO

271

Bibliografia

274


“Non esiste una perfetta definizione dell’invecchiamento. Ma, come l’amore o la bellezza, la maggior parte di noi lo conosce quando lo prova o lo vede”. (Hayflick L.)



Prefazione

In Cina si dice che una persona è veramente realizzata quando nella vita ha fatto tre cose: piantato un albero, scritto un libro e avuto un figlio. Scrivere un libro non è proprio la più difficile delle tre cose, ma certo è ardua impresa. Di questi tempi poi, molli e opachi per la cultura, dove le certezze sembrano doversi affidare solo alle regole dell’ ”evidence”, scrivere un libro come questo credo sia difficile… e per differenti motivi. La geriatria/gerontologia per anni ha costituito una disciplina alla ricerca di una propria identità, come se non avesse corpo di dottrina. Eppure chi, dalla prospettiva geriatrica, si occupa di vecchi, conosce bene il valore aggiunto che una disciplina come la geriatria e la gerontologia possiedono nelle proposte di cura dedicate agli anziani fragili. I “successi” della geriatria/gerontologia risiedono non tanto nell’hardware, bensì nel software, insomma nelle procedure. Così si propone come una metodologia che funziona quando è in grado di sintetizzare i dati scientifici con l’elemento artistico della disciplina; quando le cure stanno nelle linee guida, sapendo che si può da esse uscire per scelta consapevole e ragionata. In questa continua scommessa di essere una “medicina della persona”, che recupera la storia di ogni individuo come irripetibile, la geriatria/gerontologia finisce per incontrare altre discipline. Bene! In questo libro di Edoardo e Federica si incontra con la psicologia. Non in una pura e accademica sommatoria di due competenze diverse, ma in un territorio che vuole recuperare un “senso comune”, in una autentica prossimità. Oggi la psicogerontologia è un po’ un’occasione di incontro, una specie di atelier dove ritrovare la fenomenologia dell’invecchiamento, i moderni sistemi di valutazione, i modelli di interpretazione e le strategie di intervento psicoterapeutico. In questo libro si coglie la sintesi: I


niente “ricette di cucina” precostituite, da applicare senza ragionare per le proposte di diagnosi e cura, ma il tentativo, riuscito, di proporre risposte articolate alla complessità. Un libro che, pur nel rigore classificativo, propone l’integrazione come filosofia di approccio: dalla valutazione alle metodiche psicoterapeutiche dedicate. Così, lo dico da geriatra, viene reso un grande servizio alla disciplina che da anni frequento, cogliendone l’aspetto più profondo e distintivo: la complessità chead un certo punto deve essere ridotta a sintesi. Sono momenti difficili per le discipline che si occupano dei territori della mente con supplemento d’anima: strette tra lo “scientismo” che, in modo arbitrario vuole far riposare la propria teoria sui dati scientifici e inconfutabili e l’approssimazione della medicina magica e “alternativa”. Questo libro di Edoardo e Federica recupera l’arte delle due professioni, gerontologia e psicologia: il libro, come una candela, tenta di illuminare quella parte di spazio, davvero immenso, costituito dall’universo della mente dei vecchi. E sono proprio quei vecchi, proiettati in una dimensione di sofferenza psichica dalle malattie dell’invecchiamento, che ogni giorno psicologi e geriatri incontrano nella loro pratica. Questo libro rappresenta una occasione per “andare al di là” di quel limite dato dal semplice osservare le cose: Edoardo e Federica credo proprio siano riusciti, con passione e cultura, in questa difficile impresa. GIOVANNI CAPOBIANCO Dir. Ospedale S. Eugenio U.O.C. Geriatria Roma

II


PARTE I L’INVECCHIAMENTO



La gerontologia compare sull’Enciclopedia Britannica per la prima volta nel 1952. Già nel Settecento qualcuno cominciò ad affrontare il problema dell’invecchiamento, della salute dell’anziano e della longevità, in modo più serio ed affidabile, rinunciando finalmente al concetto d’immortalità fino ad allora studiato da alchimisti, filosofi, medici e biologi. Nel secolo successivo, nel 1867, Jean-Martin Charcot, direttore dell’ospedale della Salpetrière di Parigi, con il trattato Lezioni cliniche sulle malattie dei vecchi e sulle malattie croniche, segnerà una importante tappa negli studi sull’invecchiamento, facendo nascere la geriatria (il termine verrà coniato dal medico I.G. Nascher nel 1914), branca medica che si occupa degli anziani. Nel Novecento, in particolare negli anni ’40, gli studi sull’invecchiamento hanno avuto una accelerazione decisiva. La popolazione anziana continuava infatti ad aumentare, ponendo i medici di fronte ad uno scenario di nuove e più frequenti malattie (per es., si pensi alla malattia di Alzheimer che al momento della sua scoperta, agli inizi del Novecento, rappresentava quasi una rarità). Nel 1942, ad Atlantic City, nacque l’American Geriatric Society, quattro anni più tardi fu pubblicato il primo numero del “Journal of Gerontology” e fondata l’International Society of Gerontology. Ma si sarebbe dovuto attendere il 1976 per assistere alla nascita di uno dei più importanti punti di riferimento scientifici nello studio dell’invecchiamento, lo statunitense National Institute on Aging. L’approfondimento e lo sviluppo degli studi sull’invecchiamento è stato lento e faticoso, nonché molto spesso contrastato, se si pensa che nel 1972 lo stesso presidente Richard Nixon aveva posto il veto presidenziale alla creazione del National Institutes of Health (Cesa-Bianchi, 2000). Ai nostri giorni la psicologia dell’invecchiamento si occupa dei processi e delle attività psichiche dell’essere umano senescente, senile 13


e longevo. Lo studio della persona anziana si è sviluppato tanto da far comprendere che la valutazione deve essere unitaria, complessiva, prendendo in considerazione storia personale, tradizioni e cultura, contesto familiare, ambiente di vita, relazioni affettive significative, modalità di comunicazione prevalentemente adottate, attitudini, esperienze e potenzialità. Poiché non tutte le persone invecchiano nella stessa maniera, si sottolinea l’importanza e l’interesse di una evoluzione e di una storicità delle esperienze. L’età avanzata riflette, infatti, un percorso fisiologico, naturale che investe ogni persona nella sua multidimensionalità: biologica, psicologica e relazionale. Le dinamiche soggettive ed il contesto di convivenza, familiare e sociale, le esperienze, i sentimenti, le certezze e le paure, i legami e le separazioni affettive, gli atteggiamenti positivi e quelli di emarginazione, influenzano pesantemente la vita dell’anziano. La soddisfazione di sé e della propria qualità della vita è legata alla storia pregressa e attuale della persona, si costruisce sui pensieri e sulle esperienze che hanno caratterizzato e formato il personale percorso esistenziale. Le numerose ricerche condotte sulla qualità della vita degli anziani (Cesa-Bianchi, Vecchi, 1998; Baroni, 2003) hanno ulteriormente dimostrato che l’invecchiamento non si presenta come un processo uniforme ed omogeneo. Si sono riscontrati numerosi fattori che condizionano il procedere della vecchiaia, come: il patrimonio genetico, il clima relazionale, l’educazione, le perdite e i disadattamenti, gli affetti, il progetto personale, le opportunità e le difficoltà incontrate, le malattie ed i traumi subiti, le caratteristiche dell’ambientale familiare e sociale, il desiderio di vivere e di essere. Quando si parla di anziani non si dovrebbe mai dimenticare che essi sono stati e sono testimoni di rivoluzionari cambiamenti che hanno coinvolto l’intero pianeta, dall’incalzante sviluppo industriale e tecnologico alla conquista dello spazio, all’era dell’informatica e dell’automatizzazione, dai processi di globalizzazione congiunti alla diffusione capillare dei mezzi di comunicazione alla società cosmopolita, multietnica e multirazziale, da consuetudini e tradizioni da lungo tempo consolidati a stili di vita eterogenei e multivariegati, dalle tragedie delle guerre e della fame al consumismo esasperato, dalle cadenze stagionali delle comunità rurali ai ritmi forsennati e talora confusi della modernità. Nell’antichità, e ancora oggi in luoghi più isolati del mondo come ad esempio l’Australia centrale, il centro Africa e la Patagonia, il vecchio era ed è considerato il migliore, il più saggio (Rastrelli, 2000). 14


Ai nostri giorni, invece, la logica del giovanilismo, della bellezza esteriore, dei prototipi del successo ad ogni costo, rendono gli anziani mere comparse di uno sfondo scenico, stranieri abitanti di un mondo effervescente. La vecchiaia viene spesso pensata solo come l’età della perdite, delle rinunce, dell’irreversibile involuzione delle funzioni psichiche, come un periodo di povertà semantica e di una vita declinata a minori qualità e valore. Sono infatti ancora particolarmente numerosi i pregiudizi sull’anziano: si ritiene, purtroppo, in vari settori sociali, che egli sia inutile, improduttivo, malato, depresso passivo, superato, se non privo di idee, interessi e progettualità; uno degli stereotipi più diffusi e discriminanti definisce il vecchio come involuto e decadente, dimenticando i molti anziani e longevi, attivi e ricchi di spirito creativo. Nella società contadina, l’anziano interpretava un ruolo preciso, riconosciuto dall’intera comunità e consolidato nel tempo. L’età avanzata conferiva la necessaria conoscenza dell’arte lavorativa e costituiva un margine di sicurezza affettiva e relazionale, in cui la persona matura non solo era intesa come depositaria dei segreti della professionalità, ma anche come capace di insegnamento e di trasmissione culturale. Mentre nelle moderne società occidentali, industrializzate, impostate sul sistema del profitto e della produzione, si tende molto spesso a marginalizzare gli anziani. La solitudine e l’abbandono rappresentano, quindi, temute e sofferte insidie per l’anziano, che come obbligata alternativa ha solamente la casa, la televisione, la speranza di una telefonata o di una visita e talora un animale domestico per compagnia. La vecchiaia rappresenta l’epilogo di un processo di acquisizione e conoscenza sviluppato lungo l’intero arco esistenziale, ma purtroppo fra quanti arrivano sani al traguardo di 80 - 90 o anche 100 anni, molti debbono fare i conti con una realtà amara: spesso la società li dimentica, lasciandoli in un cantuccio. Occorre, quindi, una politica della terza età che sia altro da quella degli ospizi o delle case di riposo, che molto spesso aiutano a sopravvivere e non a continuare a vivere; è necessaria, infatti, un’adeguata e continua stimolazione dei processi cognitivi, affettivi e motivazionali che promuova un positivo processo di invecchiamento. In alcuni paesi sono sorte iniziative di “riconversione produttiva”, dall’ozio all’impegno. Si ricordino i congedi educativi assicurati in Svezia, i laboratori protetti in Israele, l’autoimpegno ed il riassetto lavorativo in Giappone, il pensionamento graduale in molti paesi europei, le università della terza età in Francia ed in Italia (Cesa-Bianchi, 2000). Infatti, gli anziani, nella maggior parte dei casi 15


e come le ricerche testimoniano (Tammaro, Casale, Frustaglia, 2000), aspirano ed inseguono l’integrazione, la partecipazione, la vita associativa nella famiglia e nella società .

16


Capitolo 1

Il tempo della maturità

1.1 La crescita della popolazione anziana nei paesi industrializzati Nel corso della storia l’inizio della senescenza è stata collocata in età diverse della vita dell’uomo: Ippocrate (medico greco del V secolo a.C.) indicava il tempo di inizio della vecchiaia a 56 anni di età, Dante la faceva iniziare a 45 anni, oggi si tende ad affermare che a 75 anni una persona non è poi così vecchia. Gli psicologi riconoscono nella vita umana tre fasi fondamentali, l’età evolutiva (o età scolastica), l’età adulta (o età lavorativa) ed, infine, l’età senile (o vecchiaia). Nei paesi occidentali, la fine dell’età evolutiva e l’inizio di quella adulta sono fissati fra i 18 ed i 20 anni, con una tendenza progressiva ad un’anticipazione legata al maggior carico di stimolazioni ottenute fin dai primi anni di vita. La fine dell’età adulta e l’inizio dell’età senile sono, invece, passati dai 60 anni di qualche tempo fa ai 65 odierni, con una tendenza verso la posticipazione, in relazione all’aumento, negli ultimi decenni e tuttora in atto, dell’età media ed al contemporaneo accrescersi della percentuale di persone di età elevata (Cesa-Bianchi, 2000). La tendenza attuale è infatti, quella di far coincidere l’inizio della senescenza con il raggiungimento dell’età pensionabile, ossia con l’allontanamento dall’attività lavorativa ed il ritiro dalla vita produttiva, che avviene generalmente verso i 65 anni. Considerare il sessantacinquesimo anno di età come la soglia che introduce nella vecchiaia (terza età) è una convenzione che risale alla fine del secolo scorso, quando il cancelliere prussiano Otto Von Bismarck, per motivi socioeconomici, stabilì a 65 anni l’età limite per il pensionamento. Attualmente, la letteratura anglosassone distingue le persone avanti negli anni in giovani anziani (dai 65 ai 74 anni), anziani (dai 75 agli 17


84 anni) e grandi vecchi (chi supera gli 85 anni), senza far riferimento alle compromissioni biologiche, alle condizioni invalidanti, o alle condizioni ambientali e socioeconomiche; sottolinea in questo modo come la vecchia non sia da considerare una ben definitiva età della vita (Cristini, Cesa-Bianchi, 2003). Superati i 90 anni di età si considera la persona longeva. Solo in Italia, secondo un censimento recente, le persone con oltre 100 anni sono più di 6.000, una ogni 10.000 abitanti. Il loro numero è centuplicato in meno di un secolo, e secondo certe previsioni subirà un ulteriore aumento (Cesa-Bianchi, 2000). Naturalmente con i centenari sono cresciuti e crescono in proporzione novantenni e ottantenni. I demografi prevedono che in tutti i paesi industrializzati la fetta di anziani e di iperanziani si allargherà sempre di più; secondo Finch e Pike (1996) la durata media della vita non ha ancora raggiunto il suo limite, che potenzialmente potrebbe essere di 115-120 anni. La moderna cultura geriatrica e gerontologica sostiene invece che l’età cronologica non rappresenta la vera misura dell’invecchiamento e che l’inizio della senescenza non può essere fissato in un tempo ben definito dell’esistenza umana, e fa coincidere la senescenza con il decadimento cognitivo (demenza) e funzionale (disabilità); questo fenomeno statisticamente prevale dopo i 70-75 anni, può comunque presentarsi molto dopo o molto prima (Cristini, Cesa-Bianchi, 2003). Generalmente, però, anche i gerontologi dividono gli anziani in due gruppi: l’anziano-giovane, fra i 65 e 74 anni d’età e l’anziano–anziano, di 75 anni e più, distinguendo inoltre l’anziano in buone condizioni di salute e che non soffre di alcuna malattia, da quello malato, affetto da infermità che interferiscono con le attività e che richiedono cure mediche e psichiatriche (Kaplan, Sadock, 2001). Per quanto l’età cronologica sia il termine ampiamente usato nella maggior parte delle società, in qualità di fattore sociale discriminante per poter usufruire o meno di diversi benefici o servizi sociali, bisogna considerare che la velocità di invecchiamento dell’individuo non è sempre in relazione con il numero dei suoi compleanni. Infatti, alcuni soggetti di 80 anni possono essere dal punto di vista fisiologico assimilabili a quelli di 50 anni, e viceversa. Quindi, dato che l’invecchiamento si verifica nelle varie cellule umane a livelli differenti secondo i soggetti, l’“età biologica” presenta delle limitazioni in qualità di parametro dell’invecchiamento. Anche l’età psicologica, o il grado in cui una persona è matura dal punto di vista evolutivo, può essere ritenuta, in un certo senso, un indice di misura. Gli stessi anziani, infatti, spesso percepiscono la propria età, inferiore di decine di anni rispetto quella cronologica. 18


È stato rilevato che nei Paesi industrializzati, la popolazione anziana è in continua crescita rispetto al resto della popolazione, mentre si assiste ad una riduzione delle nascite; in 100 anni, infatti, la durata media della vita nei paesi sviluppati è aumentata di tre volte, mentre la fecondità è diminuita di un terzo. Si tratta di una vera rivoluzione della struttura demografica del Paese che comporterà, con il progressivo invecchiamento della popolazione, l’invecchiamento dell’intera società e quindi una profonda trasformazione della sua economia, della sua cultura e della sua organizzazione. Nel XX secolo l’aspettativa di vita nel mondo occidentale è aumentata di circa 40 anni. In Italia sono circa nove milioni gli ultrasessantacinquenni e corrispondono al 16% della popolazione generale. Nei prossimi decenni gli anziani raggiungeranno il 31%; anche in Europa si osserva la medesima tendenza demografica. L’invecchiamento della popolazione si riconosce nell’aumento della vita media, attualmente di 75 anni per gli uomini e di 81 per le donne (Scortegagna, 1999). I motivi che hanno determinato questo fenomeno sono da ricercarsi prevalentemente nei seguenti fattori: 1. miglioramento dell’igiene: l’igiene ambientale, personale ed alimentare ha contribuito a prevenire le infezioni. Le misure di profilassi delle malattie cardiovascolari e neoplastiche, le vaccinazioni contro la poliomelite, il vaiolo, la difterite, ecc., hanno ridotto la morbilità e la mortalità in modo significativo; 2. miglioramento dell’alimentazione: l’assunzione di una dieta sempre più equilibrata, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, ha favorito le potenziali capacità di sopravvivenza; 3. controllo delle malattie infettive: maggiore controllo delle malattie infettive grazie all’avvento degli antibiotici e delle vaccinazioni; 4. controllo delle nascite: l’utilizzo di diversi mezzi contraccettivi e la disponibilità di maggiori informazioni hanno permesso una certa pianificazione nella crescita numerica della famiglia (Tammaro, Casale, Frustaglia, 2000). Tutto questo ha permesso di vivere più a lungo, ed in generale di invecchiare in condizioni migliori rispetto ad un secolo fa: si prevede pertanto che nel 2030 la popolazione di ultrasessantacinquenni raggiunga i 14 milioni di persone, ovvero circa un anziano ogni tre abitanti. Risulta inoltre che in media le donne vivono più a lungo degli uomini; le stime statistiche indicano che le probabilità di morte sono 19


maggiori per i maschi a tutte le età: ciò può essere dovuto a fattori genetici, sociali ed ambientali. In Italia, la percentuale di donne viventi rispetto agli uomini aumenta con l’aumentare dell’età. Secondo un censimento dell’ISTAT, svolto con una proiezione fino al 2020, si prevede che nella fascia di popolazione compresa fra 65 e 74 anni si avranno 80 maschi ogni 100 femmine, nella fascia tra 75 e 84 si avranno 62 maschi ogni 100 femmine, nella fascia di età maggiore di 84 anni vivranno 43 maschi rispetto a 100 femmine. La comprensione di questo fenomeno non è semplice. Le possibili cause sono: • l’effetto coorte di una particolare generazione colpita da una o più grandi guerre; • comportamento degli uomini a maggior rischio della salute; predisposizione maggiore degli uomini alle patologie cardiovascolari; • un vero e proprio vantaggio biologico legato al genere femminile, non ancora accertato (Melding, Draper, 2001). Inoltre, si è riscontrato che spesso le motivazioni sono di origine sociale: infatti, l’uomo vive prevalentemente in funzione del proprio lavoro e se non trova delle “attività complementari” rischia di avere meno motivazioni per vivere rispetto alla donna, per la quale oltre al “valore lavoro” sono presenti quasi sempre altri valori, come figli, nipoti e parenti ed anche la casa (Tammaro, Casale, Frustaglia, 2000). Il vivere da soli è una delle cause principali di stress che colpisce il 10% circa degli anziani (Kaplan, Sadock, 2001). Nei paesi avanzati risulta che all’incirca dal 33% al 50% le persone fra i 65 ed i 75 anni sono vedovi, mentre la percentuale aumenta e varia dal 46% al 60% nelle fasce di età sopra i 75 anni. In Italia, lo stato di vedovanza interessa il 37% delle persone che hanno superato i 65 anni ed il 54% di quelle oltre i 75. La minore durata della vita dell’uomo rispetto alla donna fa si che vi siano più vedove che vedovi (Tammaro, Casale, Frustaglia, 2001). La condizione di vedovanza crea un rischio per l’anziano superstite che si trova ad avere una minore assistenza ed un vuoto affettivo generatore di ansia e preoccupazione. Sembra però purtroppo, che le donne non beneficino un granché della loro superiore longevità, poiché sono maggiormente predisposte a patologie disabilitanti, quali artrite, morbo d’Alzheimer e deterioramento della vista e dell’udito. Le donne hanno infatti un’attesa di disabilità di due anni superiore a quella degli uomini e una maggiore probabilità di ospedalizzazione (Verbrugge, 1989). Inoltre, mentre fino a qualche tempo fa la speranza di vita delle 20


donne aumentava regolarmente di tre mesi l’anno, ora progredisce di un solo mese. Responsabili di ciò sono le condizioni di vita dei due sessi che tendono ad uniformarsi sempre più specie nel lavoro; anche se il principale responsabile sarebbe il tabacco, i tumori ai polmoni legati al suo consumo, sono in notevole aumento nella popolazione femminile (De Ladoucette, 2007).

1.2 Le differenze individuali e di genere L’invecchiamento è un processo fisiologico, naturale, comune a tutte le specie viventi: ma il modo in cui si invecchia dipende da molteplici fattori di ordine biologico, psicologico, sociale e culturale. La variabilità è infatti la caratteristica principale dell’età senile. Non esiste una modalità comune di invecchiare, come di vivere; ogni essere umano è unico e irripetibile nell’affrontare ed esperire gli eventi, le vicissitudini, i cambiamenti, le navigazioni del suo esistere. Le reazioni di una persona ai vari avvenimenti della vita non si disgiungono dalla sua storia, dalla struttura della sua personalità e dai significati sottesi. L’organismo umano può quindi invecchiare in modi e tempi diversi in rapporto alla cultura, all’ambiente, alle esperienze trascorse e presenti, ed alle prospettive del futuro. Sul piano strettamente biologico il fenomeno dell’invecchiamento è complesso e lungo nel tempo, non avviene in modo uniforme per tutti, né all’interno dello stesso organismo, apparato, organo e tessuto. Il diverso modo di invecchiare dei vari organi e apparati prende il nome di eterocronia dell’invecchiamento (in greco eteros, altro, diverso; cronos, tempo). L’individualità nella modalità d’invecchiamento si evidenzia ulteriormente nel differente modo di invecchiare tra uomini e donne. Esistono infatti differenze biologiche, determinate sul piano genetico (es: la diversa durata della vita media o le conseguenze della menopausa), e differenze dovute a fattori sociali. In una sintesi raccolta nell’opera Profiles in Cognitive Aging, lo studioso Douglas Powell rileva che nell’uso delle capacità cognitive le donne sono superiori agli uomini fino all’età adulta, mentre in quella senile mostrano spesso un rendimento inferiore. Inoltre, da studi condotti in vari paesi, in particolare su popolazioni di livello culturale e professionale medio-basso, emerge che in genere la donna accetta di buon grado i cambiamenti legati alla senescenza e che in lei il processo 21


è relativamente meno disturbato dall’interruzione dell’attività lavorativa (Cesa-Bianchi, 2000). Naturalmente, in entrambi i sessi si rilevano notevoli differenze interindividuali in relazione alla presenza di un partner e di un ruolo familiare, alla vicinanza di figli e nipoti, all’atteggiamento dei giovani, allo stato di salute, ecc. In genere, l’uomo subisce spesso, al momento del pensionamento, un abbassamento nella propria autostima con conseguenze negative anche sull’invecchiamento delle funzioni biologiche e psicologiche e sul restringimento dei rapporti sociali. D’altra parte, la donna reagisce peggio allo sradicamento forzato dalla propria abitazione, dalla propria famiglia e all’inserimento in una casa di riposo. L’uomo soffre meno questo distacco, che lo porta a vivere una condizione di dipendenza che condivide con tanti altri coetanei. Le ragioni della maggiore longevità femminile sono da ricercarsi oltre che nei comportamenti sociali anche nella vita emotiva. Costrette a dividersi in più identità (moglie, madre, donna che lavora…), le donne sviluppano una grande flessibilità nell’esplicitare i ruoli che sono loro attribuiti. Quando insorgono difficoltà, di solito si avvalgono di una rete relazionale (famiglia, amici) più consistente di quella degli uomini, e soprattutto riescono a verbalizzare più facilmente le proprie emozioni. Simili specifici atteggiamenti conferiscono loro risorse adattive superiori a quelle degli uomini (De Ladoucette, 2007). Inoltre è stato anche sostenuto, ma non da tutti condiviso, che l’invecchiamento della donna si realizza spesso in modo meno problematico e disturbante per il maggior sostegno che le fornisce il sentimento religioso (Cesa-Bianchi, 2000). Per molte persone la vecchiaia è l’età di un rapporto disturbato con se stessi, con la propria famiglia e con il gruppo sociale; sarebbe, cioè, l’età del disadattamento. Fra uomini e donne, quest’ultime tendono più spesso ad attribuire agli altri, agli avvenimenti ed al proprio passato la responsabilità del proprio disagio, ma presentano un sufficiente adattamento oggettivo, con un comportamento adeguato ai compiti ed alle responsabilità, uno stato di salute relativamente discreto, una partecipazione piuttosto elevata alle attività sociali. Il disadattamento delle donne è quindi spesso “privato”, quello degli uomini soprattutto comportamentale. Pertanto, nel caso degli ultrasettantenni che hanno smesso di lavorare, il disadattamento legato all’età senile ed alle sue trasformazioni è più frequente e serio negli uomini. Le donne sono relativamente più adattate, forse perché la cessazione dell’attività lavorativa extrafamiliare risale spesso a parecchi anni prima. Nell’insieme, la donna, anche in età avanzata, riesce a conservare grazie al nucleo fa22


miliare un sufficiente livello di adattamento, mentre per l’uomo che smette di lavorare questa possibilità è molto più rara. Nelle donne, un livello culturale più elevato porta spesso ad un atteggiamento positivo verso il proprio passato, ma negativo verso la situazione attuale, ad una soddisfazione maggiore circa le amicizie presenti e contemporaneamente alla cruda consapevolezza di sentirsi sole. Nonostante tutto, comunque, anche nella donna il livello culturale favorisce la conservazione dell’adattamento o l’acquisizione del riadattamento all’età senile attraverso una valorizzazione di sé e l’assunzione di un impegno che consenta di mantenere o recuperare un determinato prestigio sociale (Cesa-Bianchi, 2000). Infine, molte donne, come le ricerche testimoniano, riferiscono un peggioramento della propria qualità della vita dopo la menopausa che talora si trascina anche oltre la vecchiaia (Bosio, Cesa-Bianchi, 1996). La cessazione del ciclo mestruale non pare corrispondere soltanto alla conclusione del periodo fertile, ma sembra a volte significare la perduta potenzialità di essere soggetto ed oggetto di seduzione, di desiderio sessuale e di femminilità. Il climaterio maschile non presenta invece, fisiologicamente, uno specifico passaggio biologico che lo configuri in una definita temporalità. L’andropausa si accompagna progressivamente all’invecchiamento e spesso sono pochi gli anni da vivere dopo la perduta potenzialità procreativa (Cristini, Cesa-Bianchi, 2003).

1.3 Longevi ed anziani fragili La durata della vita non è uguale per tutti, dipende dal patrimonio genetico che caratterizza le varie specie e dai fattori ambientali che su esse influiscono. Per l’uomo, la speranza di vita alla nascita (vita media) dipende dalle caratteristiche biologiche del suo organismo, da fattori familiari, esperienziali, culturali, economici e sociali, ed è diversa nei differenti contesti storici e geografici in cui è considerata. Come si è detto, attualmente in Italia la vita media è pari ad 81 anni circa per la donna e 75 per l’uomo. La durata teorica della vita è definita da fattori genetici che sono unici per la specie e caratteristici per l’individuo; la durata reale della sopravvivenza è invece determinata da fattori ambientali (climatici, sociali, economici, ecc.) che influiscono sulla prima positivamente o negativamente (Cristini, Cesa-Bianchi, 2003). Le ricerche di Kaplan e Sadock (2001) indicano che una storia familiare positiva per la longevità è l’indice migliore di una lunga vita. 23


Tuttavia, anche le condizioni che portano ad una breve vita possono essere prevenute, migliorate o ritardate con un intervento efficace, attraverso regolari controlli medici, consumi minimi o nulli di caffeina e alcool, un lavoro gratificante, l’essere socialmente utile e seguire una buona dieta e dell’esercizio fisico. I due autori indicano che la dieta e l’esercizio fisico hanno effetto su varie malattie croniche della vecchiaia, come l’arteriosclerosi e l’ipertensione. L’assunzione di circa 30 ml di alcool al giorno è stata correlata ad una maggiore longevità. Un minore consumo di sale (meno di 3mg al giorno) si associa a una riduzione del rischio di ipertensione, così come ha effetti benefici una moderata attività fisica. Un regime di moderato esercizio giornaliero (camminare 30 minuti al giorno) è stato associato ad una riduzione di malattia cardiovascolare, di incidenza di osteoporosi, ad un miglioramento delle funzioni respiratorie, al mantenimento del peso forma e ad una sensazione generale di benessere. In molti casi, sottolineano gli autori, un processo patologico è stato arrestato e addirittura curato attraverso la dieta e l’esercizio, senza interventi medici o chirurgici. L’attività fisica è quindi uno strumento efficace per alleggerire ossa e muscoli del peso degli anni e l’attività mentale tiene in esercizio i circuiti nervosi del cervello. Tre prove dimostrano che la durata della vita degli organismi è una caratteristica genetica, come la distribuzione dei peli sul corpo o la statura: 1. ogni specie ha una durata di vita caratteristica anche se con variazioni da un organismo ad un altro; 2. la longevità ha basi biologiche, lo confermano gli studi sui gemelli monozigote (le differenze di durata di vita di due monozigote sono molto minori rispetto ai gemelli dizigote, ovvero gemelli con la somiglianza biologica di due fratelli qualsiasi); 3. i figli di persone longeve vivono più a lungo della media. Le statistiche dicono che gli ultra 70enni hanno avuto perlomeno un genitore vissuto altrettanto a lungo e che per gli ultra 90enni, 48,5 volte su cento entrambe i genitori sono vissuti a lungo, percentuale che sale al 53,5 % per i centenari (Cesa-Bianchi, 2000). In età senile, anche quando c’è un buon invecchiamento, si incrementano inevitabilmente i rischi di salute. L’anziano si sente spesso più esposto alla malattia, avverte il disagio somatico come conseguenza logica del proprio corpo senescente. Il declino della propria autonomia richiama l’angosciante perdita della libertà personale, l’adattamento 24


non facile alla propria invalidità ed alla dipendenza dagli altri (Barocci, 1995). Nonostante ciò molte persone in età avanzata imparano a convivere con i propri disturbi, poiché acquistano un rilevante valore le capacità di autonomia, di indipendenza, di libertà di scegliere e di muoversi (Cristini, Cesa-Bianchi, 2003). In ambito geriatrico, il concetto di “normalità” si applica all’assenza di modificazioni anatomiche e funzionali che permette di escludere alterazioni e disfunzioni dovute a varie patologie. Il termine “norma” si riferisce invece all’insieme di modificazioni secondarie all’invecchiamento fisiologico ed ai processi morbosi che si riscontrano a carico dei vari sistemi apparati dell’organismo. Il “completo benessere psicofisico”, che corrisponde al concetto di salute così com’è stato formulato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è una condizione che non può essere considerata di “normalità” perché è di difficile riscontro non solo in ambito geriatrico, ma anche nella popolazione giovane-adulta. In età avanzata, quando le risorse dell’organismo si riducono e l’equilibrio omeostatico è molto precario, il benessere al quale si deve tendere è l’assenza di condizioni disabilitanti; perciò si può dire che è “norma” che si abbiano malattie e che l’efficienza funzionale diminuisca; non è invece “normale” che ci sia disabilità e non autosufficienza. Entro certi limiti la “norma” che compromette l’autonomia e non è vissuta come patologica, viene considerata come condizione di normalità: in questo caso si parla di invecchiamento primario. Quando invece, nel processo di invecchiamento la malattia interferisce negativamente sul benessere e sulla capacità di adattarsi al mondo circostante e l’individuo necessita di altri che si prendano cura di lui, ci si ritrova a dover fare i conti con la disabilità e la non autosufficienza: in questo caso si parla di invecchiamento secondario. Sullo stato generale della persona anziana intervengono più fattori. Le condizioni economiche, sociali ed affettive, sono altrettanto importanti dell’eredità genetica o del livello di istruzione nel creare condizioni esistenziali accettabili o intollerabili. Gli psicologi ne hanno individuati almeno nove: 1. una formazione culturale solida spesso agisce positivamente sull’invecchiamento; 2. un livello culturale scarso favorisce un decadimento intellettuale rapido; 3. i vantaggi e gli svantaggi economici permettono di invecchiare diversamente; 25


4. lo stato di salute della persona; 5. il profilo psicologico della persona; 6. lo stress ambientale; 7. la struttura familiare; 8. le esperienze di vita; 9. il fattore ambientale (Cesa-Bianchi, 2000). Purtroppo, molte persone, negli ultimi anni della loro vita, vanno incontro non solo a decadimento psicofisico e malattia, ma anche a povertà e solitudine; si tratta di persone non autosufficienti, malate e in condizioni psicologiche, economiche e sociali precarie, definite “anziani fragili”. L’etimologia della parola “fragilità” proviene da frango, “rompere”, e rimanda alla nozione di qualcosa che, se sottoposto ad una pressione o ad un impatto, rischia di rompersi. Sebbene la fragilità non sia confinata alla sola popolazione anziana, è un dato di fatto che questa si osserva prevalentemente nelle persone ultra-ottantacinquenni (i vecchivecchi), a causa delle limitazioni e delle patologie di frequente associate all’invecchiamento (Scocco, Trabucchi, 2007). Nell’intervento con l’anziano, e nello specifico con questa tipologia di anziani, i servizi che possono consentire il mantenimento a domicilio, il più a lungo possibile, evitano spesso il precipitare di un precario stato di salute, sostengono le residue capacità di autonomia, promuovono il ripristino delle condizioni psicofisiche, facilitando la ricomposizione di sé, del proprio progetto e del senso unico della propria storia, poiché l’anziano, come è facile intuire, vive meglio a casa propria, principale sede di affetti e ricordi (Cristini, Cesa-Bianchi, 2003).

1.4 Modificazioni sensoriali e cognitive in tarda età Si può considerare la senilità una condizione di vita, uno “stato di essere”, che assume valenze diverse a seconda della presenza o dell’assenza di limitazioni funzionali e della capacità o meno di soddisfare i propri bisogni determinati da condizioni morbose. Uno slogan dell’American Geriatric Association di qualche anno fa, sosteneva che occorre aggiungere anni alla vita, ma anche vita agli anni. Gli anni possono infatti portare malattie e non solo quelle circolatorie, delle ossa o i tumori, ma anche malattie del cervello che tolgono all’anziano il gusto di vivere, la possibilità di ricordare e partecipare. Una vecchiaia se26


rena dipende quindi dai ricordi della persona, da quanto si sente ancora parte attiva di un gruppo e della comunità, ma anche dai suoi geni e dal numero di “placche senili” nel suo cervello (Cesa-Bianchi, 2000). Numerose ricerche hanno dimostrato che l’efficienza psichica globale di molti anziani rimane sostanzialmente immutata rispetto alle età precedenti (Cesa-Bianchi, 1999). Spesso il rallentamento delle funzioni psichiche, l’appannarsi della lucidità e del pensiero, non dipendono specificatamente dall’età o dalle malattie, quanto dalla mancanza di esercizio mentale e dalla precoce rinuncia alla vita associativa ed intellettualmente attiva (Cesa-Bianchi, 1999). Alla base di tutto c’è spesso una minore efficienza degli organi periferici, come occhio ed orecchio, piuttosto che del cervello. Fra le funzioni che decadono hanno importanza particolare le attività sensoriali e quelle motorie. La riduzione visiva e l’acuità uditiva (sordità profonda-ipoacusia, ovvero, sordità lieve) ostacolano le relazioni interpersonali, accentuano l’isolamento dagli altri e facilitano la distorsione dei messaggi recepiti, anche se spesso le conseguenze della diminuzione dell’udito sul vissuto psichico e sul comportamento sono compensate in parte dall’azione vicaria di altri sensi e dalla cosiddetta costanza percettiva. Negli anni, anche tatto, gusto ed olfatto tendono a diminuire di efficienza, una riduzione che è però quasi sempre ben compensata, specie nelle condotte abituali, e che non influisce in modo apprezzabile sul comportamento. Anche per l’attività motoria, la riduzione risulta meno evidente nello svolgimento di compiti usuali ed eseguiti da tempo, mentre appare più chiara di fronte a prestazioni nuove o modificate rispetto a quelle abituali (Cesa-Bianchi, 2000). Il cervello senile non è, quindi, un organo sempre deteriorato. Se lo risulta, la responsabilità va cercata non tanto e non solo nella senilità, ma anche in eventuali malattie, innanzitutto in quelle circolatorie e nelle demenze senili. In ogni caso, anche con un cervello sano e invidiabile, l’anziano, può avvertire una sofferenza psicologica che non sempre è connessa ad una malattia cerebrale. Ecco perché gli studiosi distinguono le malattie in organiche, collegate cioè ad un danno strutturale del cervello, e psicodinamiche e funzionali, anche se la distinzione non è mai così netta. Inoltre, una fetta significativa di malattie dell’età senile può essere considerata sociopatica, ovvero determinata o peggiorata da fattori sociali, come lo sradicamento dalla propria famiglia ed il ricovero. Tra le malattie organiche più frequenti ci sono quelle circolatorie, dovute nella gran parte dei casi a due meccanismi, a due binomi killer, l’arterosclerosi-trombosi e l’ipertensione-emorragia ce27


rebrale; tra le malattie organiche più importanti vi sono poi le demenze senili, mentre tra le malattie funzionali le più frequenti sono l’ansia e la depressione (Cesa-Bianchi, 2000). I fattori ambientali e psicologici giocano la parte del leone nel condizionare l’andamento delle funzioni cognitive negli anni. Frequentare un ambiente culturalmente stimolante facilita l’utilizzazione e la conservazione dei processi logici astratti, mentre l’emarginazione in una struttura deresponsabilizzante e passivizzante, come ad esempio una casa di riposo, promuove il decadimento funzionale del cervello. L’interruzione subita dell’attività intellettuale, per esempio con il pensionamento, può ridimensionare la capacità di impiego dell’intelligenza. Con la senescenza la persona tende a ridurre i processi utilizzati e a selezionare le informazioni dall’esterno, rendendo difficile l’apprendimento di elementi estranei alle aree alle quali si è limitato il proprio comportamento, ma è possibile continuare ad apprendere elementi nuovi pertinenti a tali aree. Prevale, quindi, un apprendimento fondato sull’azione, cioè sull’esecuzione concreta; se si impiega questa modalità infatti è possibile imparare cose nuove anche avanti negli anni. Si tende a credere che con la senescenza si conservi la memoria a lungo termine, fissata nel cervello da processi biochimici, e divenga carente quella a breve termine, fondata da processi biofisici di eccitazione nervosa a comparsa rapida ed esaurimento veloce. In realtà, la capacità mnemonica si riduce non tanto per l’impossibilità di memorizzare, ma soprattutto per un certo disinteresse degli anziani verso contenuti che non rientrano in uno spazio vitale che si restringe progressivamente. Si ricordano, infatti, i fatti remoti che hanno caratterizzato la propria vita o con un valore particolare, quelli che costituiscono il pedigree esistenziale della persona, mentre le difficoltà riguardano quasi esclusivamente informazioni estranee ai propri interessi (Cesa-Bianchi, 2000). Ricerche degli ultimi anni condotte da Alan Baddeley, neuropsicologo di Cambridge, hanno confermato che il presunto black-out della memoria evidenziato dai test psicologici non rappresenta la condizione reale degli anziani, spesso molta buona in assenza di una malattia cerebrale. Gli psicologi ritengono piuttosto che il declino sia espressione del fatto che sulla memoria di alcune persone intervengono in modo negativo alcune situazioni connesse al funzionamento globale dell’organismo. Un funzionamento che si avvale anche delle compensazioni possibili grazie alla plasticità cerebrale e che, sebbene, si riduce, non scompare con il passare degli anni. 28


La memoria è conservata con attività che la richiedono, per esempio il gioco degli scacchi, la dattilografia, la lettura, la soluzione dei problemi enigmistici o di situazioni implicanti il ragionamento. Le indagini indicano che la capacità di ricordare visivamente ed acusticamente varia molto tra le persone, per esempio in funzione del livello culturale o delle stimolazioni ricevute e ricercate durante la vita, o infine, dell’esercizio effettuato nella senescenza. Sul piano mnemonico, per ogni anziano è quindi possibile migliorare il proprio rendimento, pensando, ragionando, leggendo, studiando, giocando, lavorando, ma soprattutto parlando e rispondendo non solo ai suoi coetanei, ma anche alle persone più giovani (Cesa-Bianchi, 2000). Con l’età nel cervello si riducono sempre più i neuroni. Tuttavia è da ricordare come l’esercizio costituisca una fonte di esperienza e contribuisca a rallentare il declino, a conservare ed a fabbricare le strutture cerebrali (Tammaro, Casale, Frustaglia, 2000). Antonimi e Magnolfi nel libro L’età dei capolavori, attraverso una documentazione straordinaria sulla vita di molti artisti, hanno dimostrato non solo che la senilità è compatibile con la creatività, ma che può contribuire alla sua espressione. La longevità creativa è più frequente tra pittori, scultori, architetti e musicisti. Infatti, Sofocle scrisse Edipo Re a 75 anni e Edipo a Colono ad 89, Goethe elaborò l’ultima versione del Faust ad 80 anni, Voltaire scrisse Irene a 84, Giuseppe Verdi terminò il Falstaff ad 80 anni ed i Pezzi sacri ad 85, mentre Igor Stravinskij rimase attivo e creativo sin dopo gli 85 anni. Anche tra architetti ed ingegneri civili si annoverano parecchi casi di produzioni significative in piena terza età. Per quanto riguarda gli attori, si nota che con la senilità conferiscono alle parole una risonanza interiore maggiore ed una ricchezza di sfumature; nella terza età continuano a potenziare le qualità personali, a renderle più visibili e a compensare le limitazioni fisiche che possono ostacolare il comportamento. In specifico le modificazioni sensoriali e cognitive principali in età avanzata sono le seguenti. • Percezione visiva: la percezione è la capacità di raccogliere ed elaborare gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno, attraverso le attività sensoriali; costituisce la funzione mediatrice tra mondo esterno ed interno. L’invecchiamento colpisce la retina, il cristallino e l’umore vitreo dell’occhio. Si assiste ad una perdita della accomodazione (presbiopia) dovuta al fatto che le fibre del cristallino diventano rigide e meno elastiche. La formazione della cataratta (presente in forma più o meno grave nel 90% dei 29


soggetti dopo i 70 anni) riduce in maniera marcata la vista. La retina va incontro alla degenerazione delle cellule ganglionari e della macula, all’assottigliamento della retina centrale e alla diminuzione della densità dei coni nella fovea. La presbiopia, lo scarso adattamento al buio, la diminuita percezione della profondità aumentano la vulnerabilità dei soggetti alle cadute (McMurdo,Gaskell, 1991). Se la perdita della vista non è correggibile, ne consegue una cecità parziale o totale che limita l’indipendenza e le attività della vita quotidiana. Vengono perse anche le occupazioni del tempo libero, quali lettura, guardare la televisione e andare al cinema o al teatro. L’abbassamento della vista può causare errate interpretazioni visive. Isolamento sociale, solitudine e depressione sono spesso conseguenza di una visione danneggiata (Melding, Draper, 2001). Tuttavia, l’anziano compensa spesso il declino della funzione sensoriale restringendo il numero delle informazioni, selezionandone alcune ed eliminando quelle ridondanti in relazione ad un efficace adattamento all’ambiente (Cristini, Cesa-Bianchi, 2003). • Percezione uditiva: la maggior parte dei soggetti anziani va incontro a difficoltà di udito in situazioni sociali di conversazione dove è presente rumore di fondo (Kline, Scialfa,1996). Il Baltimore Longitudinal Study ha rilevato importanti differenze di genere; gli uomini hanno una maggiore perdita della sensibilità uditiva con insorgenza in età inferiore rispetto alle donne (Pearson et al., 1995). Occasionalmente l’interpretazione errata, dovuta a deficit uditivo, può essere talmente marcata da far sembrare la persona deteriorata dal punto di vista cognitivo. La sordità, anche se di grado lieve, ha effetti psicologici: l’ipoacusia e la sordità possono infatti, facilitare la comparsa di stati depressivi, deprivazione sociale, isolamento e talora di spunti interpretativi e persecutori. Una sordità grave non preclude allucinazioni di tipo uditivo (Melding, Draper, 2001). • Gusto e olfatto: il riconoscimento degli odori diminuisce con l’età, per lo più dopo i 75 anni. Le donne hanno prestazioni migliori rispetto agli uomini ai test (Ship et al., 1996). La perdita del senso dell’olfatto può essere pericolosa se una persona anziana non è in grado di riconoscere perdite di gas o di fumo. Il numero di papille gustative non diminuisce con l’età, ma si verifica una degenerazione all’interno delle papille stesse, così che la sensazione gustativa diminuisce leggermente con il passare 30


degli anni. La perdita del piacere per il cibo può comportare un’alimentazione insufficiente. La debilitazione e la malnutrizione possono facilitare l’insorgenza di patologie depressive che riducono ulteriormente il gusto e l’appetito. Le persone anziane che sviluppano all’improvviso un’aumentata sensibilità olfattiva possono avere problemi medici o disturbi psichiatrici sottostanti (Melding, Draper, 2001). • Equilibrio: le modificazioni età-correlate del sistema vestibolare producono capogiri e vertigini. Queste sgradevoli sensazioni possono essere causa di cadute, nausea e vomito. Il soggetto con problemi dell’equilibrio diventa spesso molto ansioso o imbarazzato e teme di sembrare ubriaco o mentalmente confuso; possono di conseguenza insorgere agorafobia ed isolamento sociale (Meyers et al., 1996). • Decadimento cerebrale: una delle meraviglie più affascinanti in biologia è la capacità dell’organismo di riparare, entro certi limiti, ai danni subiti e di continuare a vivere. Nell’ultimo periodo dell’invecchiamento biologico questa capacità tende però ad esaurirsi; di conseguenza, la riserva funzionale dei vari organi e tessuti appare notevolmente ridotta e la capacità di adattamento e di reazione allo stress diventa sempre più precaria. Molti neurobiologi sono arrivati a stimare una perdita giornaliera media di 100.000 neuroni, più consistente con il passare degli anni. Ecco perché, aggiungono, tra i 30 ed i 75 anni il cervello perde il 10 per cento del suo peso, il 20 per cento del rifornimento di sangue, e perché si riducono di 2/3 le fibre nervose dei nervi e del 10 per cento la velocità con cui i nervi trasmettono i segnali nervosi. A questo impoverimento grossolano se ne aggiunge uno molecolare e funzionale. Per esempio, le cellule nervose perdono parte dei loro traghetti molecolari (i recettori). Si verificherebbe, insomma, un intorpidimento dell’attività molecolare, alla quale corrisponderebbe quella cellulare e del cervello nel suo complesso. Infine, il cervello senile può presentare alterazioni cellulari caratteristiche, come le placche senili e la degenerazione neurofibrillare di Alzheimer. L’esperienza di ogni giorno arricchisce il cervello e ne cambia l’architettura, modificandone la tessitura delle trame. Il livello culturale è un promotore delle potenzialità individuali ed ostacola l’omologazione degli anziani, infatti, come sostiene il neuroanatomista francese A. Delmas: «Si nasce con un patrimonio di neuroni ed il capitale non au31


menta con l’età, può solo diminuire. La sua funzione, però, non è determinata in modo rigido. L’esercizio, come una vera ginnastica, mantiene l’eccitabilità dei neuroni, aumenta la loro capacità di conduzione, facilita le articolazioni sinaptiche, mette in azione i circuiti nervosi più adatti alla funzione da svolgere. Gli anziani allenati, quindi, hanno tempi di reazione ai tempi di esecuzione di movimenti muscolari migliori di coetanei sedentari, o anche di persone più giovani, non allenate». Il cervello umano funziona come un organo plastico, che modifica di continuo i rapporti tra le parti, in funzione della duplice esigenza di mantenere o ristabilire un equilibrio interno e di rispondere ai segnali provenienti dall’organismo e agli stimoli connessi all’attività mentale. Globalità e plasticità spiegano come mai il cervello possa, almeno in parte, arginare danni anche seri alla sua struttura, o spontaneamente o con interventi di riabilitazione (Cesa-Bianchi, 2000). Per studiare e misurare ciò di cui è capace il cervello di una persona, gli psicologi hanno messo a punto esami particolari, come i test psicometrici, per es. “Quoziente di decadimento mentale” per valutare il livello intellettivo di una persona rispetto alla media della sua età, per stabilire se l’eventuale diminuzione fosse pari, inferiore o superiore a quella osservata nella maggioranza dei coetanei. Il decadimento mentale esprime la perdita di intelligenza dovuta all’invecchiamento o ad una malattia. Nel caso di una persona intellettualmente scarsa, il grado di decadimento patologico serve a stabilire se non ha mai raggiunto un livello intellettivo normale o se lo ha raggiunto e lo ha perduto in parte. Nel primo caso, si parla di frenastenia, nel secondo di demenza. Per calcolare il grado di decadimento mentale si segue una procedura standard e, attraverso test psicometrici, si misura il grado attuale del livello intellettivo, valutando il livello massimo raggiunto da una persona nel corso della vita e, alla fine, esprimendo in termini numerici la differenza fra i valori ricavati. Attualmente, si utilizza l’espressione “decadimento cognitivo” non tanto per indicare una perdita, ma un restringimento progressivo dell’area di applicazione dell’intelligenza che, invecchiando, riduce l’ampiezza ma non necessariamente il livello di rendimento (Cesa-Bianchi, 2000). I principali effetti delle modificazioni cognitive sono i seguenti. • Attenzione: può essere definita come la capacità del nostro sistema percettivo di selezionare tra le moltissime informazioni che colpiscono i nostri organi di senso, quelle a cui siamo inte32


ressati e che siamo in grado di elaborare, e di attivare contemporaneamente i meccanismi che provvedono ad immagazzinare le informazioni e i depositi di memoria a breve e lungo termine, con influenza diretta nei compiti di vigilanza. Nell’invecchiamento si assiste ad un declino delle funzioni attentive compensate da una maggiore selettività verso i contenuti di maggiore interesse. L’eventuale decadimento sembra, quindi, connesso più che ad un deficit complessivo delle abilità, alla minore capacità di distribuire le risorse attentive, anche per problemi motivazionali (Lipoma, Nicolosi, 2006). In generale, l’anziano può mantenere la propria attenzione concentrata su un oggetto o su una situazione per tempi più brevi rispetto ad un giovane; tuttavia, l’intensità della funzione attentiva nel soggetto anziano può raggiungere in alcuni casi livelli superiori a quelli di un soggetto giovane (Tammaro, Casale, Frustaglia, 2000). • Apprendimento: consiste nella capacità di acquisire nuove informazioni attraverso l’esperienza per conseguire un adattamento sempre migliore. In età inoltrata tendono a ridursi i processi solitamente utilizzati e la selezione degli stimoli provenienti dall’ambiente esterno e tende a prevalere un apprendimento fondato sull’azione (by doing) e non sulla memorizzazione (by memorizing). Tuttavia, l’anziano in condizioni di benessere psicofisico è in grado di imparare e conoscere nello stesso modo del giovane o dell’adulto, anche se in alcuni casi i tempi di assimilazione sono più lunghi. La nascita e lo sviluppo delle Università della Terza Età, testimoniano in molti anziani la capacità e la volontà di apprendere e ricordare. • Memoria: è la funzione psichica preposta all’organizzazione dell’aspetto temporale del comportamento e determina le connessioni causali tra l’evento attuale ed uno precedentemente accaduto. Solitamente, all’interno del processo di formazione ed organizzazione si distinguono tre fasi principali: 1. fissazione: corrisponde alla impressione immediata, istantanea delle tracce e degli eventi sperimentati; 2. ritenzione: equivale alla conservazione, per un tempo più prolungato, delle tracce ed al loro consolidamento; 3. rievocazione (o riattivazione): consiste nel recupero delle informazioni archiviate. Secondo il modello HIP (Human Information Processing), si distingue: 33


• una memoria sensoriale, iconica, di brevissima durata (0,1-0,5 s); • una memoria a breve termine che contiene una prima interpretazione degli eventi; • una memoria a lungo termine che rappresenta il sistema più complesso di raccolta, organizzazione ed archiviazione delle informazioni. La memoria si modifica in funzione dell’età, ed il suo declino si accentua in assenza di motivazioni ed in presenza di sofferenza emotiva (Oliviero, 1998). Nell’anziano appaiono meno attive, la memoria iconica e quella a breve termine, si riducono le capacità di ricordare i fatti più recenti, ma non gli eventi e le esperienze del passato, spesso particolarmente vividi. Nell’anziano la diminuzione è contrastabile con l’esercizio; infatti, le funzioni esercitate tendono a conservarsi, quelle utilizzate poco a decadere. • Intelligenza: è una caratteristica individuale che può essere definita come la capacità di utilizzare le proprie abilità cognitive. Può essere considerata sia come una capacità generale sia come un insieme di più componenti, tra cui almeno una componente verbale, una spaziale, una matematica, una di problem solving e una di competenza sociale. La misurazione più classica dell’intelligenza è il Quoziente di intelligenza, che è strettamente legato all’età, in quanto nel suo calcolo entrano anche gli anni del soggetto. Il declino delle capacità intellettive comincia dopo i 70 anni e manifesta una grande variabilità sia intraindividuale che interindividuale (Amoretti, 1999). Un tentativo di spiegare almeno in parte questa grande variabilità viene da un modello proposto da Denney (1982), che stabilisce un’altra differenziazione, tra abilità ottimizzate (mantenute ad un buon livello di esercizio) e abilità poco esercitate. Nelle abilità poco esercitate forte è l’influenza biologica ed ambientale, quindi un anziano è soggetto ad un peggioramento dovuto all’età, mentre nelle abilità ottimizzate interviene anche l’esercizio che le porta ad un livello massimo (se l’individuo gode di buona salute, poiché non si può comunque prescindere dal dato biologico). L’istruzione ed il ruolo professionale giocano un ruolo piuttosto importante nella possibilità di esercitare una abilità per tutta la vita adulta e di mantenerla abbastanza preservata nella vecchiaia; è fondamentale inoltre aver conservato anche in tarda età curiosità culturali ed interesse nell’esercizio delle proprie capacità mentali. 34


• Linguaggio: nell’anziano le capacità fonologiche, lessicali e semantiche appaiono invariate rispetto a quelle di persone più giovani, la loro eventuale riduzione è se mai attribuibile ad un deficit della memoria breve termine. In generale, per quanto riguarda il lessico, quello passivo (cioè la capacità di comprendere il significato delle parole), sembra restare inalterato, mentre quello attivo (la capacità di produrre le parole) si riduce. Ripetizioni, rallentamenti, pause troppo lunghe e false partenze caratterizzano l’eloquio degli anziani (Baroni, 2003). • Coscienza: rappresenta la capacità o funzione cognitiva, competente ad ogni persona, di avere consapevolezza di sé e dell’ambiente. L’integrità della coscienza consente, nelle condizioni di vigilanza, l’orientamento nel tempo e nello spazio e infonde attualità e storicità all’evento presente (Cesa-Bianchi, Massimini, Poli, 1995). In età senile possono insorgere, più che in altre epoche, episodi di confusione mentale, spesso attribuiti a precise condizioni patologiche, altre volte imputabili a stati emotivi di particolare intensità e significato. Lo stato confusionale si manifesta apparentemente attraverso una carente motivazione ed una ridotta o smarrita capacità di orientamento temporo-spaziale. Nell’anziano è spesso strettamente congiunta alle perdute funzioni mnemoniche, di fissazione e rievocazione.

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Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psicoterapia, 20001, pp. 272 Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trattamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224 Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001, pp. 240 Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modelli d’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272 Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata, 2002, pp. 288 Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192 Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392 Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224 Feltham C. - Dryden W. (a cura di E. Giusti), Dizionario di counseling, 1995, pp. 320 Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996, pp. 160 Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352 Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso. Come separarsi insieme, 2007, pp. 240 Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trattamenti psicologici, 2006, pp. 288 Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e della meditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336 Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento della Psicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176 Giusti E. - Ciotta A., Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005, pp. 256 Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304 Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professionale, 2005, pp. 256 Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’identità verso la relazione, 2006, pp. 208 Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trattamento terapeutico, 2006, pp. 240 Giusti E. - Frandina M., Terapia della gelosia e dell’invidia. Trattamenti psicologici integrati, 2007, pp. 224 Giusti E. - Fusco L., Uomini. Psicologia e psicoterapia della maschilità, 2002, pp. 464

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Nella stessa collana Giusti E. - Germano F., Etica del con-tatto fisico in psicoterapia e nel counseling, 2003, pp. 160 Giusti E. - Germano F., Terapia della rabbia. Capire e trattare emozioni violente d’ira, collera e furia, 2003, pp. 224 Giusti E. - Giordani B. Il formatore di successo, 2002, pp. 224 Giusti E. - Harman R. (a cura di), La psicoterapia della Gestalt, 1996, pp. 224 Giusti E. - La Fata S., Quando il mio terapeuta è un cane, 2004, pp. 448 Giusti E. - Lazzari A., Psicoterapia Interpersonale Integrata, 2003, pp. 160 Giusti E. - Lazzari A., Narrazione e autosvelamento nella clinica. La rivelazione del Sé reciproco nella relazione di sostegno, 2005, pp. 160 Giusti E. - Locatelli M., L’empatia integrata, 2007 (Nuova edizione), pp. 320 Giusti E. - Mancinelli L., Il counseling domiciliare, 2008, pp. 160 Giusti E. - Minonne G., L’interpretazione dei significati nelle varie fasi evolutive dei trattamenti psicologici, 2004, pp. 396 Giusti E. - Minonne G., Ricerca scientifica e tesi di specializzazione in psicoterapia, 2005, pp. 368 Giusti E. - Montanari C., Trattamenti psicologici in emergenza con EMDR per profughi, rifugiati e vittime di traumi, 2000, pp. 192 Giusti E. - Montanari C., La CoPsicoterapia. Due è meglio e più di uno in efficacia ed efficienza, 2005, pp. 320 Giusti E. - Nardini M.C., Gruppi pluralistici. Guida transteorica alle terapie collettive integrate, 2004, pp. 304 Giusti E. - Ornelli C., Role play. Teoria e pratica nella Clinica e nella Formazione, 1999, pp. 144 Giusti E. - Palomba M., L’attività psicoterapeutica. Etica ed estetica promozionale del libero professionista, 1993, pp. 128 Giusti E. - Perfetti E., Ricerche sulla felicità. Come accrescere il benEssere psicologico per una vita più soddisfacente, 2004, pp. 192 Giusti E. - Pitrone A., Essere insieme. Terapia integrata della coppia amorosa, 2004, pp. 240 Giusti E. - Pizzo M., La selezione professionale. Intervista e valutazione delle risorse umane con il modello pluralistico integrato, 2003, pp. 208 Giusti E. - Proietti M.C., La delega direzionale, 1996, pp. 112 Giusti E. - Proietti M.C., Qualità e formazione. Manuale per operatori sanitari e psicosociali, 1999, pp. 184 Giusti E. - Rapanà L., Narcisismo. Valutazione pluralistica e trattamento clinico integrato del Disturbo Narcisistico di Personalità, 2002, pp. 176 Giusti E. - Romero R., L’accoglienza. I primi momenti di una relazione psicoterapeutica, 2005, pp. 176 Giusti E. - Sica A., L’epilogo della cura terapeutica. I colloqui conclusivi dei trattamenti psicologici, 2005, pp. 160 Giusti E. - Surdo V., Affezione da Alzheimer. Il trattamento psicologico complementare per le demenze, 2004, pp. 144 Giusti E. - Taranto R., Super Coaching tra Counseling e Mentoring, 2004, pp. 352

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Nella stessa collana Giusti E. - Testi A., L’Autostima. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224 Giusti E. - Testi A., L’Assertività. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 224 Giusti E. - Testi A., L’Autoefficacia. Vincere quasi sempre con le 3 A, 2006, pp. 96 Giusti E., Essere in divenendo. Integrazione pluralistica dell’identità del Sé, 2001, pp. 144 Giusti E., Autostima, psicologia della sicurezza in Sé, 20055, pp. 200 Giusti E., Videoterapia. Un ausilio al Counseling e alle Arti-Terapie, 1999, pp. 176 Giusti E., Tecniche immaginative. Il teatro interiore nelle relazioni d’aiuto, 2007, pp. 272 Gold J.R., Concetti chiave in psicoterapia integrata, 2000, pp. 268 Goldfried M.R., Dalla terapia cognitivo-comportamentale all’integrazione delle psicoterapie, 2000, pp. 288 Greenberg L.S. (et al.), Manuale di psicoterapia esperienziale integrata, 2000, pp. 576 Greenberg L.S. - Paivio S.C., Lavorare con le emozioni in psicoterapia integrata, 2000, pp. 368 Manucci C. - Di Matteo L., Come gestire un caso clinico, 2004 Murgatroyd S., Il Counseling nella relazione d’aiuto, 20001, pp. 192 Perls F., Qui & ora. Psicoterapia autobiografica, 1991, pp. 256 Persons J.B. - Davidson J. - Tompkins M.A., Depressione. Terapia cognitivo-comportamentale. Componenti essenziali, 2002, pp. 288 Preston J., Psicoterapia breve integrata, 2001, pp. 256 Reddy M., Il Counseling aziendale. Il Manager come Counselor, 1994, pp. 176 Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. I: “Metateoria pluralistica”, 2002, pp. 400 Santostefano S., Psicoterapia integrata. Per bambini e adolescenti. Vol. II: “Tecnologia applicativa”, 2003, pp. 384 Spalletta E. - Quaranta C., Counseling scolastico integrato, 2002, pp. 352

Videodidattica per le psicoterapie scientifiche dell’American Psychological Association • Video Psicoterapia Psicodinamica Breve D.K. Freedheim + Libro Psicoterapia breve integrata di J. Preston € 120,00 • Video Psicoterapia Cognitiva-Affettiva Comportamentale Prof. M.R. Goldfried + Libro Dalla Terapia cognitivo-comportamentale all’Integrazione delle Psicoterapie € 120,00 • Video Psicoterapia Processuale Esperienziale L.S. Greenberg + Libro Manuale di Psicoterapia Esperienziale Integrata € 132,00 • Video La Terapia Centrata sul Cliente N.J. Raskin + Libro La Terapia Centrata sulla Persona di J.D. Bozarth € 120,00

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Nella stessa collana • Video EMDR per Traumi: Movimento oculare Desensibilizzante e Rielaborazione F. Shapiro + Libro Trattamenti Psicologici in Emergenza di E. Giusti, C. Montanari € 118,00 • Video La Terapia Eclettica Prescrittiva J.C. Norcross + Libro Psicoterapia Prescrittiva Elettiva, fondata sull’evidenza di Beutler/Harwood € 120,00 • Video Psicoterapia Multimodale A.A. Lazarus + Libro Le basi della Psicoterapia Eclettica ed Integrata di Chambon - Cardine € 125,50 • Video Psicoterapia Infantile J. Annunziata + Libro Counseling Scolastico Integrato di E. Spalletta, C. Quaranta € 122,00 • Video Ipnoterapia Ericksoniana J.K. Zeig + Libro Ipnosi e Psicoanalisi, collisioni e collusioni di L. Chertok € 120,00 • 2 Video Il Counseling breve in azione J.M. Littrell + Libro Il Counseling breve in Azione di J.M. Littrell € 122,00 • Video Psicoterapia Esperienziale A. Mahrer + Libro Lavorare con le emozioni in Psicoterapia Integrata di Greenberg/Paivio € 127,50 • 5 Videocassette Terapia Cognitivo-Comportamentale per la Depressione per l’autoformazione didattica, libro di G.B. Persons, Costo complessivo: € 275,00 • Video Psicoterapia Comportamentale con paziente ossessivo-compulsivo S.M. Turner + Libro Ossessione e Compulsioni, Valutazione e Trattamento di Edoardo Giusti, Antonio Chiacchio € 127,50 • Video Psicoterapia Pratica con Adolescenti A.K. Rubenstein + Due Libri Psicoterapia Integrata per bambini e adolescenti di Sebastiano Santostefano € 155,00 • Video Psicoanalisi con paziente schizofrenico B. Karon + libro Disturbi mentali gravi di V. Campanella - M. Fiori - D. Santoriello € 120,00 • Video Come gestire il transfert erotico in psicoterapia AA.VV. + libro Etica del contatto fisico di E. Giusti - F. Germano € 115,00 • Video Psicoterapia Interpersonale Ricostruttiva Lorna Smith Benjamin + libro Psicoterapia Interpersonale Integrata di E. Giusti - A. Lazzari € 118,00 • Video Come gestire la rabbia dei pazienti in psicoterapia AA.VV. + libro Terapia della rabbia di E. Giusti - F. Germano € 118,00

Edizioni ASPIC • Video Terapia della Gestalt individuale in gruppo Ginger/Masquelier + libro Psicoterapia della Gestalt di E. Giusti - V. Rosa € 130,00

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Nella stessa collana

EDIZIONE SOVERA STRUMENTI Elliott R. - Watson J.C. - Goldman R.N. - Greenberg L.S., Apprendere la terapia focalizzata sulle emozioni. L’approccio esperienziale orientato al processo per il cambiamento, in corso di stampa, pp. 368 Giusti E., Montanari C., Iannazzo A., Psicodiagnosi integrata. Valutazione transitiva e progressiva del processo qualitativo e degli esiti nella psicoterapia pluralistica fondata sull’evidenza obiettiva, 2006, pp. 580 Giusti E., Bonessi A., Garda V., Salute e malattia psicosomatica. Significato, diagnosi e cura, 2006, pp. 240 Giusti E., Germano F.., Psicoterapeuti generalisti. Competenze essenziali di base: dall’adeguatezza verso l’eccellenza, 2006, pp. 256 Giusti E., Pacifico M., Staffa T., L’intelligenza multidimensionale per le psicoterapie innovative, 2007, pp. 400 Giusti E. - Tridici D., Smoking. Basta davvero, 2009, pp. 224 Goodheart C.D. - Kazdin A.E. - Sternberg R.J., Psicoterapia a prova di evidenza. Dove la pratica e la ricerca si incontrano, in corso di stampa Norcross J.C., Beutler L.E., Levant R.F., Salute mentale: trattamenti basati sull’evidenza. Dibattiti e dialoghi sulle questioni fondamentali, 2006, pp. 464 Spalletta E., Germano F., MicroCounseling e MicroCoaching. Manuale operativo di strategie brevi per la motivazione al cambiamento, 2006, pp. 480 Wolfe B.E., Trattamenti integrati per disturbi d’ansia. La cura del Sé ferito, 2007, pp. 304

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