Mario Luzi "Nel Magma"

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Presso il Bisenzio - 4

Tra le cliniche - 6

Nel caffè - 8

Il giudice - 10

Tra notte e giorno - 11

L'uno e l'altro - 12

Ménage - 13

In due - 14

Bureau - 16

D'intesa - 18

Ma dove - 19

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Mario Luzi

Nel Magma

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Presso il Bisenzio La nebbia ghiacciata affumica la gora della concia e il viottolo che segue la proda. Ne escono quattro non so se visti o non mai visti prima, pigri nell'andatura, pigri anche nel fermarsi fronte a fronte. Uno, il più lavorato da smanie e il più indolente, mi si fa incontro, mi dice: «Tu? Non sei dei nostri. Non ti sei bruciato come noi al fuoco della lotta quando divampava e ardevano nel rogo bene e male». Lo fisso senza dar risposta nei suoi occhi vizzi, deboli, e colgo mentre guizza lungo il labbro di sotto [un'inquietudine. «Ci fu solo un tempo per redimersi» qui il tremito si torce in tic convulso «o perdersi, e fu quello.» Gli altri costretti a una sosta impreveduta dànno segni di fastidio, ma non fiatano, muovono i piedi in cadenza contro il freddo e masticano gomma guardando me o nessuno. «Dunque sei muto?» imprecano le labbra tormentate mentre lui si fa sotto e retrocede frenetico, più volte, finché‚ è là fermo, addossato a un palo, che mi guarda tra ironico e furente. E aspetta. Il luogo, quel poco ch'è visibile, è deserto; la nebbia stringe dappresso le persone e non lascia apparire che la terra fradicia dell'argine e il cigaro, la pianta grassa dei fossati che stilla muco. E io: «E' difficile spiegarti. Ma sappi che il cammino per me era più lungo che per voi e passava da altre parti». «Quali parti?» Come io non vado avanti, mi fissa a lungo ed aspetta. «Quali parti?» I compagni, uno si dondola, uno molleggia il corpo sui [garetti e tutti masticano gomma e mi guardano, me oppure il [vuoto. «E' difficile, difficile spiegarti.» C'è silenzio a lungo, mentre tutto è fermo, mentre l'acqua della gora fruscia. Poi mi lasciano lì e io li seguo a distanza. Ma uno d'essi, il più giovane, mi pare, e il più malcerto, si fa da un lato, s'attarda sul ciglio erboso ad aspettarmi mentre seguo lento loro inghiottiti dalla nebbia. A un [passo ormai, ma senza ch'io mi fermi, ci guardiamo, poi abbassando gli occhi lui ha un sorriso da infermo. «O Mario» dice e mi si mette al fianco per quella strada che non è una strada ma una traccia tortuosa che si perde nel fango «guardati, guardati d'attorno. Mentre pensi 4


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e accordi le sfere d'orologio della mente sul moto dei pianeti per un presente eterno che non è il nostro, che non è qui né ora, volgiti e guarda il mondo come è divenuto, poni mente a che cosa questo tempo ti richiede, non la profondità, né l'ardimento, ma la ripetizione di parole, la mimesi senza perché né come dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine morsa dalla tarantola della vita, e basta. Tu dici di puntare alto, di là dalle apparenze, e non senti che è troppo. Troppo, intendo, per noi che siamo dopo tutto i tuoi compagni, giovani ma logorati dalla lotta e più che dalla lotta, dalla [sua mancanza umiliante.» Ascolto insieme i passi nella nebbia dei compagni che si [eclissano e questa voce venire a strappi rotta da un ansito. Rispondo: «Lavoro anche per voi, per amor vostro». Lui tace per un po' quasi a ricever questa pietra in cambio del sacco doloroso vuotato ai miei piedi e spanto. E come io non dico altro, lui di nuovo: «O Mario, com'è triste essere ostili, dirti che rifiutiamo la salvezza, né mangiamo del cibo che ci porgi, dirti che ci offende». Lascio placarsi a poco a poco il suo respiro mozzato [dall'affanno mentre i passi dei compagni si spengono e solo l'acqua della gora fruscia di quando in quando. «E' triste, ma è il nostro destino: convivere in uno stesso [tempo e luogo e farci guerra per amore. Intendo la tua angoscia, ma sono io che pago tutto il debito. E ho accettato questa [sorte.» E lui, ora smarrito ed indignato: «Tu" tu solamente"». Ma poi desiste dallo sfogo, mi stringe la mano con le sue [convulse e agita il capo: «O Mario, ma è terribile, è terribile tu non [sia dei nostri». E piange, e anche io piangerei se non fosse che devo mostrarmi uomo a lui che pochi ne [ha veduti. Poi corre via succhiato dalla nebbia del viottolo. Rimango a misurare il poco detto, il molto udito, mentre l'acqua della gora fruscia, mentre ronzano fili alti nella nebbia sopra pali e antenne. «Non potrai giudicare di questi anni vissuti a cuore duro, mi dico, potranno altri in un tempo diverso. Prega che la loro anima sia spoglia e la loro pietà sia più perfetta.»

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Tra le cliniche Lucciole nel buio, nel frondoso di città, com'è questa, rare di case, dolorose d'ospedali, bucano la tenebra insidiosa, lampeggiano più nitide che altrove, più crudeli si perdono alla vista [inquieta dei degenti. «Dove stavi di casa" dove" T'ho cercato lontano non da meno della rondine quando vola alta che esplora le regioni bianche della pioggia e le invadono intanto il nido le zecche» mormora qualcuno tra sé e sé mentre franano lucciole e risalgono il nero di voragini, di buche oscuramente note ai sensi, mentre danza svegliata dal letargo la farfalla del sangue su per i pensieri malfermi brulicando. «Ero poco lontana, ero dentro di te quando tu ne uscivi alla cerca» risponde qualche larva dai cunicoli della notte non si sa se piangendo o irridendo; e intanto s'alzano dalla loro quiete infida, per nulla rassegnata, anni d'oscurità e di passione, mettono in croce anima e corpo tra rimpianti e smanie. Qui presso queste cliniche, nell'ora che le lucciole piluccano la zocca d'uva della notte e tracce d'una felicità non mai raggiunta o fuggita di mano s'inseguono, diventano cocenti per i deboli, per i male in salute, m'unisco a tutta questa forza instabile di cruccio e d'inappagamento, tocco l'elemento insociabile che tiene sospeso il mondo. Salute e malattia, s'affretta a distinguere la mente, salute e malattia, ripete fin quando non combacino le parti di questa conoscenza avuta a sprazzi nel buio.

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Nel caffé Mentre la valle s'infittisce e pettina con tutti i suoi cipressi il filo d'aria tra pioggia e avvisi d'altra pioggia, qui nel caffè fuori mano di vetri e fronde, nido ai convegni di straforo, accorre e si stipa una moltitudine sorda che esala fumo. «Perché non parlare un po' tra noi» mi dice uno forato nella gola premendosi una garza sull'incavo o poco sopra, e si siede al mio tavolo nel posto dirimpetto rimasto vuoto. Lo guardo e vedo che i suoi occhi grigi vogliono dire assai più che non dica quella bocca vizza e mi fissano ridendo. «Sarà un modo di stare ancora l'uno vicino all'altro, come un tempo, nello stesso banco» aggiunge, e più con gli occhi che con quella voce rauca [raspando. A un tratto, prima di ravvisarlo, so chi è da quella tenerezza d'uomo stretto al ricordo che fu anche del ragazzo, il ragazzo un po' femmina che [turba un niente. «Mai non avrei pensato a te, mio caro; scusami» e allunghiamo le mani sopra il tavolo a stringerci le nuche lanose e opache. E così ci facciamo un po' di festa guardandoci negli occhi ancora vivi e cercando d'indovinare il resto. Di nuovo si comprime la garza sull'incavo e riprende con quella voce afona, dura: «Forse dovrei darti un ragguaglio di tanti anni fino a questa croce. Non ne vale la pena. Preferisco che tu immagini. Certo, so bene quello che mi aspetta». Lo guardo che abbassa le palpebre e mi appare calmo. Io non so dire altro, penso a questo incontro se si può cavarne un senso che non sia di rimorso e basta e sto senza parole qui davanti a lui ch'è troppo mio compagno perché possa consolarlo o mentire. Né lui chiede conforto ma un attimo di comunione piena per sé quanto per me, ed offre questa pace in cambio.

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«Ho seguito i tuoi successi» riprende quella voce quasi [gorgogliando. «Oh, non sono senza contrasti, ma ciò non ha [importanza» mi schermisco io ed avvampo sotto la sua occhiata [bianca. «Abbiamo avuto in sorte tempi duri ma non fummo da meno anche se ne siamo usciti un [tantino empi.» «C'è stato poco tempo per pregare...» «Poco tempo infatti. Ma ho fiducia che l'azione sia preghiera anch'essa pel futuro ed espiazione del passato» dice e arrossisce a sua volta e in quel pudore lo rivedo meglio quale fu nell'infanzia. A mano a mano che il colloquio avanza e i silenzi si fanno più frequenti e lunghi vediamo, lui l'amenità d'oasi del luogo di là dai vetri sparire dietro una coltre di pioggia, ed io la sala invasa da una nube di fumo diventare ingombra. Dicono a una radio di Eichmann. Dove avrebbe qualcuno or non è molto o versato o represso qualche lacrima, danzano al fruscio basso di un disco non però così basso da non soverchiare il transistor. «So quel che pensi, eppure hai torto» dice con un sorriso divenuto blando mentre guarda fuori, mentre l'ora si fa tarda, «non posso non sentire in questo scalpiccio un che di [santo.» E frattanto penso con un brivido a noi quando saremo sull'uscita sul punto di dirci addio sotto la pioggia e sotto il pigolio degli uccelli tramato fitto.

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Il giudice «Credi che il tuo sia vero amore? Esamina a fondo il tuo passato» insiste lui saettando ben addentro la sua occhiata di presbite tra beffarda e strana. E aspetta. Mentre io guardo lontano ed altro non mi viene in mente che il mare fermo sotto il volo dei gabbiani sfrangiato appena tra gli scogli dell'isola, dove una terra nuda si fa ombra con le sue gobbe o un'altra preparata a semina si fa ombra con le sue zolle e con pochi fili. «Certo, posso aver molto peccato» rispondo infine aggrappandomi a qualcosa, sia pure alle mie colpe, in quella luce di brughiera. «Piangere, piangere dovresti sul tuo amore male inteso» riprende la sua voce con un fischio di raffica sopra quella landa passando alta. L'ascolto e neppure mi domando perchè sia lui e non io di là da questo banco occupato a giudicare i mali del mondo. «Può darsi» replico io mentre già penso ad altro, mentre la via s'accende scaglia a scaglia e qui nel bar il giorno ancora pieno sfolgora in due pupille di giovinetta che si sfila il grembio per le ore di libertà e l'uomo che le ha dato il cambio indossa la gabbana bianca e viene verso di noi con due bicchieri colmi, freschi, da porre uno di qua uno di là sopra il nostro tavolo

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Tra notte e giorno «Che luogo è questo?» mormora tra il sonno il mio [compago scuotendosi al sussulto del treno fermato in aperta linea. «E' un luogo verso Pisa» rispondo mentre guardo nella profondità grigia il viola cinerino dei monti affondare nel colore dell'ireos. Una tappa del lungo andirivieni tra casa e fuori, tra la tana e il campo, rifletto io pensando a lui che spesso parla della nostra vita come del lavorio d'un animale strano tra formica e talpa. E ancora dev'essere un pensiero non dissimile da questo che muove ad un sorriso colpevole le labbra di lui riverso con la testa contro lo schienale in quest'alba. O morire o piegarsi sotto il giogo della bassezza della specie, leggo in quel viso servo e ghiotto, fiducioso della buona sorte dell'anima e, perché no, della rivoluzione inesorabile ch'è [alle porte. «Anche tu sei nel gioco, anche tu porti pietre rubate alle rovine verso i muri dell'edificio» penso; e penso ad un amore più grande del mio che vince questa ripugnanza e insieme a una saggezza più perfetta che prende il buono e per il buono chiude un occhio sul corrotto e il guasto. Fugge, fuoco di rondine saettato dalla pioggia, si spenge alto il grido del ferroviere che dà il via al convoglio impigrito tra l'erba folta. «Devi crescere: crescere in amore e in saggezza» m'intima quel viso disfatto che trasuda in questa luce di giorno incerto.

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L'uno e l'altro «Rimanere fedeli, legare agli altri il suo destino, questo conta pur qualcosa» insiste lui torcendo in una smorfia dubbia il viso, il suo viso di uomo [nel torto. «Questo conta pur qualcosa» risponde lei sopra pensiero e guarda fuori l'opera del vento da un capo all'altro della valle lasciata a pascolo. «Se la pensi così è una fortuna. La virtù, di questi tempi, tenuta per uno straccio e irrisa...» prende e sposta con solennit… la mano tra il volante e il [cambio. «Oh certo» trasale lei che guarda venire incontro da lontano i monti e serrarsi sul rettifilo di asfalto. «Certo» e le sfugge dalle labbra un suono tra il gemito e lo schiocco di dentiera smossa. Segue un attimo di silenzio, lungo per me più che per loro, mentre penso quale degli elementi manca, il fuoco o l'aria, in questa cellula morta. E frattanto li osservo quali sono, dissimili, ma uguali in questo, che si muovono inutilmente [cauti e si tengono al largo del vero scopo e del vero cruccio. «E' l'amore, l'amore che manca se ne aveste notizia o se aveste coraggio a nominarlo» mi volgo loro tra me e me, e il tempo, il luogo perde ogni [contorno e mi striscia davanti un'ombra o una coda di opossum.

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Ménage La rivedo ora non più sola, diversa, nella stanza più interna della casa, nella luce unita, senza colore né tempo, filtrata dalle [tende, con le gambe tirate sul divano, accoccolata accanto al giradischi tenuto basso. «Non in questa vita, in un'altra» folgora il suo sguardo [gioioso eppure più evasivo e come offeso dalla presenza dell'uomo che la limita e la schiaccia. «Non in questa vita, in un'altra» le leggo bene in fondo alle [pupille. E' donna non solo da pensarlo, da esserne fieramente [certa. E non è questa l'ultima sua grazia. in un tempo come il nostro che pure non le è estraneo né [avverso. «Conosci mio marito, mi sembra» e lui sciorina un sorriso [importunato, pronto quanto fuggevole, quasi voglia scrollarsela di dosso e ricacciarla indietro, di là da una parete di nebbia e [d'anni; e mentre mi s'accosta ha l'aria di chi viene da solo a solo, tra uomini, al dunque. «C'è qualcosa da cavare dai sogni?» mi chiede fissando [su di me i suoi occhi vuoti e bianchi, non so se di seviziatore, in qualche "villa triste", [o di guru. «Qualcosa di che genere?» e guardo lei che raggia [tenerezza verso di me dal biondo del suo sguardo fluido e arguto e un poco mi compiange, credo, d'essere sotto quelle [grinfie. «I sogni di un'anima matura ad accogliere il divino sono sogni che fanno luce; ma a un livello più basso sono indegni, espressione dell'animale e basta» aggiunge e punta i suoi occhi impenetrabili che non so se guardano [e dove. Ancora non intendo se m'interroga o continua per conto suo un discorso senza origine né fine e neppure se parla con orgoglio o qualcosa buio e inconsolabile gli piange dentro. «Ma perché parlare di sogni» penso e cerco per la mia mente un nido in lei che è qui, presente in questo attimo del mondo. «E lei non sta facendo un sogno?» riprende mentre sale [dalla strada un grido di bambini, vitreo, che agghiaccia il sangue. «Forse, il confine tra il reale e il sogno...» mormoro e ascolto la punta di zaffiro negli ultimi solchi senza note e lo scatto. «Non in questa vita, in un'altra» esulta più che mai sgorgando una luce insostenibile lo sguardo di lei fiera che ostenta altri pensieri dall'uomo di cui porta, e forse li desidera, le carezze e il [giogo. 13


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In due «Aiutami» e si copre con le mani il viso tirato, roso da una gelosia senile, che non muove a pietà come vorrebbe ma a sgomento e a [orrore. «Solo tu puoi farlo» insistono di là da quello schermo le sue labbra dure e secche, compresse dalle palme, farfugliando. Non trovo risposta, la guardo offeso dalla mia freddezza vibrare a tratti dai gomiti puntati sui ginocchi alla nuca scialba. «L'amore snaturato, l'amore infedele al suo principio» rifletto, e aduno le potenze della mente in un punto solo tra desiderio e ricordo e penso non a lei ma al viaggio con lei tra cielo e terra per una strada d'altipiano che taglia la coltre d'erba brucata da pochi armenti. «Vedi, non trovi in fondo a te una parola» gemono quelle labbra tormentose schiacciate contro i denti, mentre taccio e cerco sopra la sua testa la centina di fuoco dei monti. Lei aspetta e intanto non sfugge alle sue antenne quanto le sia lontano in questo momento che m'apre le sue piaghe e io la desidero e la penso com'era in altri tempi, in altri versanti. «Perché difendere un amore distorto dal suo fine, quando non è più crescita né moltiplicazione gioiosa d'ogni bene, ma limite possessivo e basta» vorrei chiedere ma non a lei che ora dietro le sue mani piange scossa da [un brivido, a me che forse indulgo alla menzogna per viltà o per [comodo. «Anche questo è amore, quando avrai imparato a [ravvisarlo in questa specie dimessa, in questo aspetto avvilito» mi rispondono, e un poco ne ho [paura e un po' vergogna, quelle mani ossute e tese da cui scende qualche lacrima tra dito e dito [spicciando.

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Bureau Lo vedo, appena oltre la soglia, in piedi al suo posto, piegato sul suo banco, indifferente alla febbre smorzata che agita quella luce d'acquario e di falso tempio e ne sono oscuramente respinto e attratto. Intanto rialza sulla sua fatica il viso e col viso uno sguardo di malato o d'ebete svuotato e [bianco. Ravvisarlo no, ma a una fitta improvvisa so che non è [estraneo al mio passato e mentre lui mi fissa lo vo cercando non tra le amicizie, tra i rancori sordi e inesplicabili dell'età più candida. «Come mai qui?» mi chiede lui calcando le parole più del giusto, a meno non sia io già troppo amaro e ispido. Forse non è che un vuoto intercalare d'uomo spremuto [d'ogni linfa e affranto e mi basta a ravvivare la ruggine impalpabile che fu tra noi in altro tempo poco [dopo l'infanzia. Lo guardo senza rispondere in quel giro di scansie e di [carte e mi chiedo se quello è il suo reame o il carcere che l'ha avvilito e spento. «Come leggere un destino in un volto a tal punto [inespressivo» mi dico, mentre cade di colpo il mio malanimo e anzi desidero mi parli ancora, magari a lungo. Così taccio davanti a lui che aspetta aspettando a mia volta e intanto penso se non ci sia in questo viso a viso qualcosa non dovuto al caso soltanto per un debito da estinguere con una età non morta sia pur essa lontana o perché un oscuro fine s'adempia. «La ragazza cadde in tuo potere, ma non ebbe a [gloriarsene a quanto ne so io» grandina sul mio volto la sua voce piagnucolosa e assente non senza forza di nuocere, animando d'un ghigno o d'un sorriso quella maschera assai peggio [del pianto. «Oh non andò come tu credi» rispondo e frattanto rivedo il dove e il quando e in un preciso angolo il suo aspetto già allora di tarma. 16


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Non penso a difendermi, penso al nodo di quella sofferenza rimasto fermo e serrato in un punto della sua vita, senza riscatto. «Conosco i tipi come te. Sacrificano se stessi e il loro prossimo, accecati da una presunzione [di arte. Nemmeno ti passa per la mente quel che si perde, alle [volte.» E dopo un po' riprende: «Era la mia salvezza e anche la [sua» e acuisce lo sguardo di quel tanto che affiorano infine due pupille fissate su di me da quel bianco. «Chi può dirlo» ardisco non trovando altra parola che ci accomuni nell'oscuro senso del bene e del male ricevuti e fatti. Ma non è uomo da venirmi incontro su questo punto che dovrebbe unirci come compagni esperti del dolore del mondo. Lo vedo chiuso nella propria offesa serrare i denti e non so se recrimina o se cova così la forza di sfidare il suo inferno. Il silenzio che segue nella stanza dove non siamo soli, eppure deserta, è un silenzio enorme, senza confini né tempo, mentre l'elica del ventilatore ronza e ruota con un fremito di carte smosse e io penso alla lotta per la vita nei fondali marini e al [plancton. «Non sono ancora finito» esplode poi con occhi stralunati fiatandomi nel viso il suo respiro forte di tabacco e [d'alcool. «Non pià di me, non più di chiunque altro» mormoro risucchiato dalla sua vampa e guardo di là dai vetri la calca in cui tra poco sarò scomparso.

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D'intesa Il seguito d'esistenze umane non votato a morte ma al [ritorno. Le conosco bene questi pensieri anche se ora tace e guarda sotto il ponte il Tamigi grigio solcato da poche chiatte. Non è molto che abbiamo alla luce bassa scorto scolpiti nella stessa positura che ebbero stesi al suolo sotto i colpi i cavalieri del [Temple. Ed è mente la sua da non restringere a un caso senza legge occulta l'aspetto di quella cruda fine d'iniziati né la nostra visita al luogo tra le tombe a fior di terra in [quel punto. «Ti basti che io sia qui» immagino di dirle per vincere il silenzio spesso che solo un poco ci appartiene, non per sfida o [vanto. Ma non ha senso alcuno richiamarla a una certezza così imperfetta ed angusta mentre indaga e scruta segni almanaccando ammirevole del resto per come le parla da ogni pietra o volto la religione del mondo. Le anime di pochi, affinate, elette a conoscere il principio. Indovino ora il suo tormento mentre tace e mi guarda fine e intensa non senza una luce arguta di sospetto che io ne rida e la giudichi una testa piena di vento. «Ah perché non mi credi fino in fondo» continua senza parole ritmata dallo sciacquio del fiume quella disputa antica quanto la mente e non tra me e lei, in ciascuno di noi, tra l'una e l'altra sua parte.

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Ma dove «Non è più qui» insinua una voce di sorpresa «il cuore della tua città» e si perde nel dedalo già buio se non fosse una luce piovosa di primavera in erba visibile al di sopra dei tetti alti. Io non so che rispondere e osservo le api di questo viridario antico, i doratori d'angeli, di stipi, i lavoranti di metalli e d'ebani chiudere ad uno ad uno i vecchi antri e spandersi un po' lieti e un po' spauriti nei vicoli attorno. «Non è più qui, ma dove?» mi domando mentre l'accidentale e il necessario imbrogliano l'occhio della mente e penso a me e ai miei compagni, al rotto conversare con quelle anime in pena di una vita che quaglia poco, al perdersi del loro brulicame di pensieri in cerca di un polo. Qualcuno cede, qualcuno resiste nella sua fede tenuta [stretta.

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