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Bibliografia___________________________________________________________ p. 146

dunque la sua espressione più autentica e sinceramente sentita solo nelle ultime opere, come conquista dell’età matura:

Se penso alla mia prima e poi la successiva sempre imperfetta approssimazione cristiana non incontro tanto presto né tanto spesso san Paolo. La lettura attenta di Corinzi e di Romani e delle altre testimonianze paoline è stata piuttosto un acquisto dell’età matura e di un certo passaggio della vicenda personale e storica quando tutto pareva rimesso in causa. Allora questa enorme figura che emerge dal caos dell’errore e della inquieta aspettativa degli uomini per dare un senso alla speranza si propose in tutta la sua imponenza. Uomo venuto da una crisi planetaria riacquista la sua statura conveniente nello svolgimento che arrecano appunto crisi planetarie, alla fine e all’origine ancora indistinte delle epoche. Il sentimento e la coscienza di attraversare un tempo similmente caotico erano (e restano in questi nostri anni) all’altezza di Paolo, rendevano (e rendono) non eccessiva la sua voce. La dismisura era sulla potenza della passione, ma non sulla causalità del pathos. Il senso dell’«agonia» in cui si sviluppano l’azione e la parola paoline si ripresentò quasi al nudo in quel crollo di valori e istituti esteriori e interiori, in quel discrimine malcerto tra sopravvivenze inservibili e perfino nefaste e novità ancora indecifrabili in mezzo ai quali ha brancolato a lungo – e più nevroticamente nei nostri decenni – il nostro secolo, e continua a farlo nei nostri giorni per quanto sembri placato dalla sua stessa stanchezza. A questo punto quel rigore e quel freddo che alonavano il santo nella versione che primamente ne avevo ricevuto cedettero alla energia e alla radiosità esplosive di quella che mi si animava di fronte. (…) Su questo sfondo la figura di Paolo, misuratasi con gli eventi e con le genti di un tempo procelloso e decisivo per la storia umana, sembra ripresentarsi vigorosa come portata del proprio elemento. La sua parola di fede sfida ancora le inerzie e le ignavie per cui l’uomo si adegua e si rassegna all’errore e all’iniquità2

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Nonostante sia doveroso ricordare l’insistente fermezza di Luzi nel definire le proprie ricerche, pur estreme, come mere approssimazioni alla Verità e non un appropriarsi della stessa, non c’è dubbio che nei suoi ultimi scritti egli sia giunto ad un livello di consapevolezza di sé e dell’Altro maggiore rispetto a quando, ventunenne, componeva La barca. Vi è un generale accordo tra gli studiosi nel considerare la produzione del poeta piuttosto coerente, coesa, per lo meno da un punto di vista tematico: geometricamente parlando, la si potrebbe assimilare così ad un cerchio che, non conoscendo stonature, si evolve in se stesso trovando nel suo punto di partenza anche la sua fine. Tuttavia, ritengo che pensare alla produzione luziana come ad un armonico cerchio, pur sottolineandone la lodevole coerenza, mancherebbe di riconoscere il sottile ma sempre degno di menzione scarto delle ultime opere dalle precedenti. Nulla togliendo alla lodevole compattezza e congruenza di quanto venne prima, si vuole riconoscere una naturale e fisiologica inflessione – che è senz’altro un’ascensione –

2 Luzi (1997), pp. 162-164.

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