2 minute read

Infografica social network Cristian Contini

100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0

IRAN YEMEN BARHAIN ARABIA SAUDITA IRAQ SIRIA GIORDANIA EGITTO LIBIA TUNISIA ALGERIA MAROCCO

Advertisement

Si calcola che ormai un arabo su cinque utilizzi Internet. Secondo dati che risalgono al 2008, gli utenti di Internet sono 13milioni in Egitto, 3milioni in Tunisia, 3milioni e mezzo in Siria, 380mila in Yemen. 300mila in Siria. Uno dei meriti principali riconosciuti a internet e ai sociali network è quello di far girare le informazioni e le immagini, aggirando divieti e censure. In questo modo le vecchie tradizionali strutture di potere vengono messe in pericolo. I regimi non hanno più il monopolio dell’informazione, che ormai si diffonde al di fuori dei media tradizionali. Ma questo aspetto presenta anche un pericolo non trascurabile. Infatti i social network, i cui utenti si presentano con foto e profili, possono anche rappresentare per i regimi una miniera di informazioni. In Tunisia, ad esempio, il Presidente Ben Ali, ha preferito non interrompere gli accessi alla rete proprio per potere recuperare il maggior numero possibile di informazioni personali sugli internauti. Il regime poliziesco di Ben Ali aveva messo a punto anche un sistema per accedere alle password degli utenti, ma alcune società come Facebook, Google e Yahoo hanno preso contromisure a difesa degli internauti. Fino a che punto la capacità di utilizzo della rete da parte dei giovani arabi è stata un fenomeno davvero spontaneo? Questa capacità non è nata dal nulla. Già nel dicembre del 2008 si svolse a New York un incontro internazionale di cyberattivisti patrocinato da Google, Facebook e Twitter. Durante l’incontro si discusse delle tecniche per avviare una mobilitazione civile attraverso i social network. Fra gli ascoltatori più attenti di quel seminario c’erano Ahmed Salah (uno dei fondatori del movimento egiziano di piazza Tahrir) e Slim Amamou, un blogger tunisino che, dopo la caduta di Ben Ali, è stato nominato sottosegretario per la Gioventù e lo Sport. Altri incontri di blogger e di cyberattivisti si svolsero al Cairo nel 2009 e a Budapest nel 2010. Nell’organizzazione di questi incontri, oltre a Google, hanno giocato un ruolo chiave Alec Ross e Jared Cohen. Ross, dopo aver lavorato nello staff della campagna presidenziale di Barack Obama, è stato nominato consigliere per l’innovazione del segretario di Stato Hillary Clinton. Cohen, sempre al Dipartimento di Stato, ha avuto l’incarico di tenere i contatti con i cyberattivisti, soprattutto quelli del Medio Oriente. In questi incontri internazionali la diplomazia americana ha allacciato un legame con alcuni di coloro che, alcuni mesi dopo, sarebbero stati fra i protagonisti della “primavera araba”. Anche se non si può certo concludere che l’input alle rivolte sia arrivato dagli Stati Uniti, vero è che in questo caso gli Stati Uniti hanno esercitato quello che potremo definire uno smart power, cioè la versione tecnologica del soft power, ovvero la capacità, da parte di uno Stato, di esercitare la sua influenza con mezzi pacifici e non con la forza. Nel gennaio del 2011 il contatto fra il Governo degli Stati Uniti e le piazze in fermento di Tunisi e del Cairo è stato stabilito con un tweet apparso su Twitter, siglato @StateDept, scritto in lingua araba. Il messaggio diceva: “Vogliamo unirci alle vostre conversazioni”. Il messaggio era partito dalla stanza di Alec Ross, al Dipartimento di Stato. Su Twitter, Ross è seguito da oltre 363mila persone.

UNHCR/H. Caux

This article is from: