magazine arezzo NUMERO 03 inverno 2018 UP LUOGHI Castelsecco up arte andrea chimenti up charme villa la ripa
ivana ciabatti GOLDEN WOMAN
Rosso Nobile, da 15 anni, arreda le case di tutto il mondo con il profumo unico dei piĂš pregiati vini toscani.
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ivana ciabatti
castelsecco
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andrea chimenti
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sommario | U P I N S TA G R A M |
#UPMAGAREZZO | UP ECCELLENZE |
aisa
rifiuti in trasformazione
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martina frappi creatività al potere
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gloria serafini rosso casentino
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villa la ripa
questione di equilibrio
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maria vilucchi effetto farfalla
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la torre di gnicche
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| magazine arezzo Redazione e Amministrazione Atlantide Audiovisivi srl Via Einstein 16/a – Arezzo Tel. 0575 403066 www.atlantideadv.it
Anno II – N° 3 Inverno 2018 Direttore Responsabile Cristiano Stocchi Vice Direttore Maurizio Gambini Redazione Andrea Avato Chiara Calcagno Mattia Cialini Matilde Bandera Art Director Luca Ghiori Fotografie Lorenzo Pagliai Hanno collaborato Marco Botti Ilaria Vanni Si ringrazia Giacomo Furini Mario Bruni Michele Piazza Riccardo Bagnoli Fabiola Troiolo Roberto Gennari Roberto Bardelli (Soffici Dischi) Stampa Grafiche Badiali - Arezzo
UP EDITORIALE
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UN COLLAGE DI SUGGESTIONI Il terzo numero di Up vi piacerà. Ne siamo certi. Ci abbiamo messo dentro un collage di fatti, di persone, di suggestioni che abbracciano l'aretinità a trecentosessanta gradi, ponendo in evidenza le grandi risorse che produce la nostra città. La mission del magazine è proprio questa e non è complicato portarla avanti: di spunti interessanti, di input che stimolano fantasia e approfondimenti, ne arrivano a iosa sul tavolo della nostra redazione. A noi non resta che riproporveli, dopo averli resi ancora più godibili per una piacevole lettura. Il collage è composito, dicevamo. Ma non farete fatica a rintracciarvi un filo rosso che unisce Ivana Ciabatti e Andrea Chimenti, Giacomo Cherici e Saverio Luzzi, Martina Frappi e Gloria Serafini, Castelsecco e la torre di Gnicche. Anzi, sarebbe il caso di dire che c'è un filo aureo a collegare le idee, le
intuizioni felici, le scelte lungimiranti che vi raccontiamo nelle prossime pagine: Italpreziosi e un successo imprenditoriale consolidato, l'ugola d'oro di un precursore della New Wave italiana, i monili di una ragazza che ha saputo trasformare la passione in lavoro, le preziose colture di chi ha riscoperto il contatto con la terra, i valori della salvaguardia dell'ambiente e il piacere del buon vino. Senza dimenticare la ricchezza sconfinata dei luoghi e degli scorci che abbelliscono il nostro paesaggio. Se, sfogliando il giornale, avrete la sensazione di gustarvi un'unica, variegata storia che riguarda Arezzo, e che quindi riguarda tutti noi, avremo raggiunto il nostro obiettivo. Buon Up a tutti!
Pubblicità Atlantide Audiovisivi Srl
In copertina Ivana Ciabatti Up Magazine Arezzo è stampato su carta usomano che conferisce naturalezza e stile al giornale. In questo numero abbiamo scelto di impreziosire la copertina con la lucidatura UV serigrafica.
Vice-direttore
maurizio gambini
cristiano stocchi
Reg. al tribunale di Arezzo il 12/06/2017 N° 3/17
Direttore responsabile
Up Magazine Arezzo è una rivista a distribuzione gratuita
Redazione
chiara calcagno
Redazione
mattia cialini
Redazione
Andrea Avato
REDA ZIONE matilde bandera
Redazione \ UP MAGAZINE AREZZO \ INVERNO 2018
francesco fumagalli
Tipografo
lorenzo pagliai
Fotografo
Luca Ghiori
Art-Director
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ivana ciabatti |
UP COPERTINA
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Sogni d’oro e come realizzarli
H
a saputo farsi largo in ambiti ad alto tasso di machismo, senza mai rinunciare al suo ruolo di donna e di mamma. Partendo da zero, ha trattato, giovanissima, con compratori mediorientali, ha cofondato un’azienda orafa per poi rilevarne le quote di maggioranza, l’ha quindi lanciata nell’olimpo del settore, con un fatturato di quasi due miliardi di euro l’anno. Ivana Ciabatti è una fucina inesauribile di idee, che in un batter di (lunghe) ciglia diventano iniziative. Imprenditoriali, ma non solo. La sua Italpreziosi, a trentaquattro anni dalla nascita, è un punto di riferimento planetario nel target dei metalli preziosi, con interessi e sbocchi in tutti i continenti. Attorno, ruotano i satelliti: startup nei campi dell’informatica, della robotica, del lusso alimentare. Alcune in incubazione, altre proiettate già ver-
DI MATTIA CIALINI
so l’affermazione. E personale assunto in costante crescita. E poi l’impegno in Confindustria, il mecenatismo culturale. Il brillante sorriso che sfoggia davanti al taccuino si incrina impercettibilmente alla domanda su Arezzo. La città che vorrebbe al centro di moda e cultura è fonte di grattacapi: “Spiace avere tanta bellezza, non saperla sfruttare e valorizzare appieno”. È uno dei rari momenti in cui si ferma, pensosa, nelle quattro ore di intervista fiume. Riflette su quel che si potrebbe fare per cambiare le cose. Da domattina, beninteso. L’eureka arriva in un amen, a cominciare, manco a dirlo, dal Museo dell’oro: “Lo vorrei al centro di eventi di portata internazionale”. Ivana Ciabatti, oggi si vedono gli effetti del suo big bang imprenditoriale. Ma cosa si trova risalendo al momento “zero”? “L’affetto di una famiglia di contadini
del Casentino. Sono cresciuta a La Montanina, frazione di Castel Focognano stretta in un’ansa dell’Arno, in un ambiente semplice, ricco di valori e di calore umano. Poi gli studi di ragioneria ad Arezzo e l’inizio dell’università a Firenze che ho lasciato, visto che dovevo lavorare per mantenermi. Da piccola sognavo di girare il mondo. Entravo nelle agenzie di viaggi per organizzare, solo sulla carta, vari itinerari, e ad occhi aperti mi trasferivo in quei paesi esotici. Viaggiavo con la mente ed ero felice anche solo ad immaginare questi percorsi. Appena cresciuta, con pochi soldi in tasca, sono partita. In autostop, fino in Bulgaria. Ma non so se è il caso di scriverlo”. Ora vediamo. Poi ha messo la testa a posto? “Sì (sorride). Ma la testa a posto, sinceramente, ce l’ho sempre avuta, anche in quel periodo! Facevo pratica in
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LA PA S S I O N E GI OVA N ILE PE R I VIAGGI COM E M OTOR E D E I PRO GET TI S U CCE S S I V I . P O I L’ I N CONTRO CON I M E TALLI PR EGIATI, LA NAS CI TA D E L L A I TA L P R E Z I O S I E IL SU CC E SSO AZ IE NDALE . IVANA C IAB AT TI È U N A F U C I N A D I I D E E : M OLTE LE HA R E ALIZ Z ATE , ALTR E S O N O I N D I V E N I R E T R A I M PR E ND ITOR IA, M EC E NATISM O C U LTU RALE, S O ST EGN O A I GI OVANI E IM PEGNO SOC IALE . M A IL BAR IC E N TRO D E L L A SUA VITA R E STA LA FAM IGLIA
Ivana Ciabatti con il marito Fabrizio Vanni, nello studio di registrazione THE GARAGE che ha ospitato artisti come Eros Ramazzotti e Renato Zero
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uno studio di commercialisti. Dopo ho iniziato a interessarmi al settore commerciale dell’oro. Erano anni ruggenti per Arezzo. E fatta un po’ di esperienza, assieme ad altri soci, nel 1984 ho fondato la Italpreziosi. E finalmente ho realizzato il mio sogno di viaggiare, in questo caso per lavoro, ed è stato proprio grazie ai viaggi che Italpreziosi è cresciuta negli anni”. Contemporaneamente ha preso forma anche la sua vita privata? “Sì, mi sono sposata. E in breve ho avuto due figlie. Ho dedicato molto del mio tempo al lavoro. Ma non ho mai trascurato il mio impegno di mamma. Ringrazio però mio marito Fabrizio per
il prezioso ruolo che ha sempre avuto nella mia vita. Tra l’altro ha uno studio di registrazione a Civitella, The Garage, che ha ospitato famosi artisti nazionali e internazionali. Qui sono nate alcune canzoni interpretate da Eros Ramazzotti, Renato Zero e moltissimi successi della musica italiana degli ultimi trent’anni”. Italpreziosi, un universo in espansione. Eppure il volume complessivo di oro trattato dal distretto aretino negli anni è crollato. “Dal 1998, in venti anni, le tonnellate di oro trattate complessivamente in Italia sono passate da 535 a 86, ovvero l’84% in meno. Nonostante ciò, vedo il
bicchiere mezzo pieno perché la quantità è stata soppiantata dalla qualità. L’Italia non può competere con paesi in via di sviluppo e potenze emergenti sui costi, ma ha un vantaggio enorme: l’aura di prestigio che è riuscita a guadagnarsi nel tempo, grazie alla creatività, alla tecnologia e all’eccellenza delle sue produzioni”. E come può metterla a frutto? “Il mondo è cambiato rapidissimamente, la globalizzazione ha creato tante nuove sfide ma anche grandi opportunità. C’è un esercito di nuovi ricchi che vuole un pezzetto di Italian Lifestyle. Noi dobbiamo consolidare la nostra presenza nei mercati maturi e conquistare quelli emergenti: riuscire a intercettare questa domanda con prodotti di qualità che sappiano trasmettere anche emozioni. E per farlo occorre un salto in avanti a livello culturale, meno improvvisazione, più programmazione e tanta innovazione. Io scommetto sui giovani: la nostra azienda è composta per buona parte da under 40”. Arezzo è una terra di talenti imprenditoriali. Che messaggio lasce-
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Una fucina inesauribile di idee che in un batter di (lunghe) ciglia diventano iniziative Imprenditoriali, ma non solo 9
Trentaquattro anni dalla fondazione: il colosso Italpreziosi tra presente e futuro. “Sono vari gli interessi dell'azienda – spiega Ivana Ciabatti – settore minerario e raffinazione di metalli preziosi, produzione e commercio di oro da investimento, compravendita di metalli preziosi, ricerca su materie prime al momento poco conosciute, ma che avranno grande sviluppo in futuro. La società vanta numerose certificazioni che ne attestano la credibilità e la serietà a livello mondiale. Inoltre, Italpreziosi è l’unico contributore privato di Bloomberg e Reuters e concorre a formare il prezzo ufficiale dell’oro. Abbiamo chiuso il 2016 con 1,95 miliardi di fatturato. Il 2017 si attesterà circa sugli stessi livelli. Ma nel giro di tre anni vogliamo raddoppiare questi numeri, rafforzando ulteriormente il nostro impegno sul fronte dell'oro etico, che rispetti ogni fase della filiera, dall'estrazione alla vendita, sia dal punto di vista dei diritti umani, che sociale e ambientale, un percorso che portiamo avanti ormai da 10 anni con la Goldlake IP. All'orizzonte, poi, ci sono nuove assunzioni. Mi impegno anche per riportare in Italia giovani talenti che sono scappati all'estero per lavorare. Il nostro paese ha tolto ai ragazzi la capacità di sognare, bisogna restituirgliela. Da sempre coltivo un sogno, quello di un lavoro utile per un obiettivo importante, una missione condivisa da tutti con forte unione, responsabilità e libertà, dove la partecipazione, il contributo di ognuno è indispensabile per la crescita comune”.
Azienda grandi numeri
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“Dico sempre ai giovani di credere nella bellezza dei propri sogni e di lottare per realizzarli, senza aver paura di fallire. Occorrono tanta umiltà e coraggio”
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rebbe a un giovane? “Dico sempre ai giovani di credere nella bellezza dei propri sogni e di lottare per realizzarli, senza aver paura di fallire, con tanta umiltà e coraggio nell’affrontare i cambiamenti. Di studiare, di applicarsi, di non tralasciare la cultura. Il sapere specifico, teorico e pratico, è la forza di questa terra. Io sono alla ricerca di ragazzi con idee interessanti e voglio dar loro spazio ed ascolto per far emergere le nuove idee”. Ha parlato di cultura: negli anni ha dimostrato su più fronti il suo mecenatismo e dà linfa al premio Casentino. Cosa pensa della sua provincia, dal punto di vista artistico, culturale e turistico? “L’arte, la cultura, la musica e la spiritualità sono una parte integrante del tessuto sociale e culturale di Arezzo e provincia, dovremmo essere fieri di vivere in questa terra in cui possiamo ancora emozionarci alla vista dei nostri incantevoli paesaggi, degustare vini eccelsi e comprendere la qualità di
un gioiello o di un tessuto. Tutto ciò va solo saputo raccontare e promuovere, a partire dalle mani sapienti dei nostri artigiani, un grande patrimonio che va tutelato ed esaltato, fino alle nostre tradizioni, come la Giostra del Saracino e la Fiera Antiquaria. Occorre sapersi coordinare, facendo rete verso un obiettivo comune, preservando il passato e dando spazio al futuro. Ci sarebbero tutte le condizioni per attrarre molti più visitatori di qualità ma non riusciamo a farlo. Dovremmo valorizzare meglio il museo dell’oro, anche con conferenze e ospiti di portata internazionale. Progetti piccoli portano, al massimo, piccoli successi. Arezzo avrebbe bisogno di ben altro”. Oltre alle sue aziende, alla famiglia, all’interesse per la cultura, continua a portare avanti l’impegno nell’Associazione Industriali a livello nazionale. “La presidenza di Federorafi è un onere che ho assunto volentieri con l’obiettivo di rilanciare il settore orafo italiano a
livello internazionale e che mi ha portato anche alla Vice Presidenza di Efj, l’Associazione europea dei gioiellieri, e nel board della neonata Confindustria Moda, l’aggregazione che riunisce le rappresentanze dei settori manifatturieri del fashion made in Italy in senso lato: abbigliamento, calzature, borse, occhiali e, appunto, gioielli. Ci stiamo impegnando per diffondere il concetto di Italian Lifestyle all’estero e per promuovere le produzioni che ci qualificano nei mercati mondiali attraverso iniziative con risultati misurabili, aumentando sempre di più le sinergie con il mondo del fashion e dell’alta moda, che rende famosa l’Italia nel mondo, e con un’attenzione verso l’applicazione dei principi della sostenibilità. Sono inoltre presidente della Fondazione Rondine Cittadella della Pace, un progetto unico al mondo attraverso il quale si risponde al conflitto tramite il dialogo, della giuria del premio Casentino e del premio Semplicemente donna”. Ha ancora un sogno da realizzare? “Moltissimi sogni. Ho tanto entusiasmo, tanta energia nello sviluppare progetti e far sì che l’attività cresca, coniugando il profitto ad un contributo in termini di benessere per la collettività intera”.
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castelsecco
P OT E N Z A , STO R I A , M I ST E RO. IL FA SCINO DI UN SITO A RCHEO LOGICO UNICO AL MO N D O, P ROT E T TO DA UN M UR AGL IONE A FOR M A DI CO NCHIGLIA. SUL CO L LE D I SA N CO R N E L I O R ESISTONO I SEGR ETI DI A NTICHE CIV ILTÀ AFFIDATI NU OVA M E N T E A L L A N ATUR A P ERCHÉ P OSSA CEL A R L I E CUSTOD IRLI. I N AT T E SA C H E CA STEL SECCO TOR NI A SP L ENDER E DI CHIARA CALCAGNO
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geolocalizzazione ITINERARI Castelsecco è adagiato sul colle San Cornelio, “fra i torrenti Castro e Vingone – spiegava Emanuele Repetti nel suo Dizionario geografico, fisico e storico della Toscana nel 1833 – un miglio e mezzo a scirocco di Arezzo”. In posizione frontale rispetto al Colle San Donato, su cui sorgeva l’antica Arretium, Castelsecco domina un’importante via di comunicazione che unisce la val di Chiana alla valle del Tevere e, di conseguenza, alle terre umbre.
Punto di partenza, per le passeggiate a piedi, lo stadio comunale in viale Gramsci. Percorrendo la strada che aggira il campo sportivo sul lato destro, attraversiamo alcune abitazioni fino a raggiungere un sentiero. La suggestiva e irregolare via si inerpica fra gli uliveti e la vegetazione toscana aprendo, di volta in volta, commoventi finestre sulla città di Arezzo. I raggi di sole filtrano fra la vegetazione rendendo dolce la salita. In 30-40 minuti si giunge
al santuario di Castelsecco. Per il ritorno è possibile utilizzare lo stesso sentiero o passare per una via alternativa, che allunga la distanza complessiva dell’itinerario ma mostra nuove emozionanti panoramiche. L’area archeologica si raggiunge anche in auto (o in bicicletta). In questo caso, percorrendo la SS73 verso Sansepolcro e superato il bivio per lo stadio, incontriamo sulla sinistra le indicazioni per la località Le Pietre.
gli scavi
IL MISTERIOSO PASSATO Il sagomato profilo di Castelsecco risulta bene riconoscibile da Arezzo e dalle valli circostanti. Il colle conserva uno dei più importanti complessi archeologici dell’intero territorio e si presenta come un’ammaliante terrazza ellittica affacciata sulla valle aretina. I numerosi ritrovamenti appartenenti a epoche differenti dimostrano come il colle fosse frequentato dall’epoca arcaica fino al secolo scorso. Per alcuni studiosi del passato era proprio qua
che si ergeva la prima Arezzo, un abitato fondato da antiche popolazioni italiche e poi conquistato e reso potente dagli etruschi; per altri i primi ad accamparsi in questo luogo furono i romani con le loro organizzate legioni. I più poetici, invece, erano affascinati dal pensiero di una primitiva città edificata da genti misteriose e sorprendentemente evolute, con una chilometrica cinta muraria che racchiudeva in un abbraccio la città e la collina.
Nel 1969 la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana avviò i primi scavi con metodo scientifico sotto la direzione di Guglielmo Maetzke, seguendo la pianta redatta da Vincenzo Funghini già alla fine dell’Ottocento. Il lungo lavoro di rimozione della vegetazione e i relativi interventi di consolidamento e restauro, riportarono alla luce una serie di strutture stratificate databili tra il periodo ellenistico e quello basso-medievale; un imponente complesso monumentale caratterizzato, principalmente, da una cinta muraria, un teatro e un tempio realizzati nel II secolo a.C. al posto di un’area sacra precedente. Tra i tanti ritrovamenti nella zona, i più datati sono una fibula di bronzo del VII/VIII secolo a.C., una moneta etrusca e l’iscrizione tins lut (“dono a Tinia”, il Giove etrusco) su lastra di travertino.
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il muraglione
il teatro
I TEMPLI
La parte che guarda a sud-est è stretta da uno spettacolare muraglione ad andatura curvilinea di macigni locali sbozzati, di varie dimensioni, che sostiene le vestigia dell’antico teatro. È alto più di dieci metri e il particolare profilo ondulato, scandito da quattordici poderosi contrafforti, lo fanno assomigliare a una gigantesca conchiglia. Sul lato ovest la cinta si interrompe ed è visibile solo in alcuni tratti. Enormi macigni di pietra arenaria murati a secco che, oltre alla funzione di sostegno al terreno, avevano sicuramente scopo monumentale.
Dolce metà della cinta muraria e contemporaneo al santuario, è il teatro che completa e arricchisce l’opera. Il piccolo altare del II secolo a.C. rintracciato vicino al palcoscenico, racconta di un luogo accurato destinato alle rappresentazioni sacre. È l’esempio di teatro etrusco italico meglio conservato al mondo. La cavea (le gradinate dove sedevano gli spettatori) aveva un diametro di 45 metri; all’orchestra era destinato uno spazio pavimentato di pietra in lastre di circa 15 metri e, dietro al palco, la scena con la fronte lunga ben 18 metri. Oggi l’odeon non è più visibile per preservarlo dai vandali. Fu deciso di ricoprirlo con la terra in attesa di tempi migliori.
Il santuario etrusco e poi romano più imponente di tutta la vallata si trovava qua. Fra il II secolo a.C. e il I secolo d.C il colle ospitava un ampio agglomerato di strutture civili e religiose costruito tenendo, come punti di riferimento, due templi. Uno dedicato a Tinia e l’altro a Uni, la madre terra che dettava il ritmo alle colture e proteggeva le nascite e la maternità. A testimonianza di ciò, sul posto, sono state rinvenute numerose statue votive raffiguranti bambini in fasce, attualmente esposte presso il Museo archeologico Gaio Cilnio Mecenate.
il capitolo unesco
LA CHIESA Dei santi L’ASSOCIAZIONE CORNELIO E CIPRIANO CASTELSECCO
A Castelsecco è legata una delle pagine più gloriose e, al tempo stesso, tristi della città di Arezzo. Nel 1976, dopo che il teatro venne portato alla luce con stupore e orgoglio dal professor Maetzke, il sito fu inserito dall’Unesco fra i tesori mondiali patrimonio dell’umanità. Poi, nel 1986, un ispettore dell’organizzazione capitò in visita a Castelsecco e, sorpreso e indignato dal degrado e dall’incuria in cui si trovava il colle, decise si depennarlo dalla preziosa lista. Si pensò così di interrare le parti più a rischio di danneggiamento nella speranza che, in futuro, potessero essere nuovamente scoperte e valorizzate come meritano. Nel 2011 l’Unesco ha inserito Castelsecco fra i suoi ventotto luoghi simboli di pace del mondo.
Ai margini del complesso archeologico si trova una piccola chiesa sconsacrata che, nell’attuale veste, risale ai primi anni del 700. La presenza di una più piccola e antica cappella è attestata fin dal XIV secolo. Nell’800 l’area e la chiesa divennero proprietà della famiglia Giusti – quella del poeta risorgimentale pistoiese Giuseppe Giusti – e fu utilizzata come cappella privata. Venne poi abbandonata in seguito a una profanazione delle tombe avvenuta nel 1967. Ridotta a ruderi e macerie, la chiesa dei Santi Cornelio e Cipriano è stata sapientemente recuperata dall’associazione Castelsecco, che ne ha fatto la sua sede.
L’associazione Castelsecco è nata nel 2002 con lo scopo di recuperare e valorizzare la collina di San Cornelio e stimolare l’interesse di cittadini e istituzioni sulla straordinaria area archeologica. Il gruppo è composto da 107 volontari che dedicano tempo e risorse per la promozione del sito. Periodicamente, vengono organizzate visite guidate, laboratori didattici, concerti e tante altre iniziative culturali. L’associazione, insieme al comune di Arezzo e all’Università di Siena, allestisce in estate le “Serate a Castelsecco” e, in primavera, in città, la kermesse “Eticamente” che, attraverso vari incontri, abbraccia ambiti diversi come ambiente, informazione, medicina, religione e scrittura. Il sogno dell’associazione è che Castelsecco torni ad essere un tesoro per Arezzo e per tutto il mondo.
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otisblue8 Passo Della Calla
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donato_marmorini Foreste casentinesi
georgelucky1973 Piazza Sant'Agostino
giostradelsaracino Piazza Grande
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andrea_mambrini Lago di Montedoglio
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appunti.visivi Tuscany
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La community di @upmagazinearezzo continua a crescere. e non possiamo che dirvi GRAZIE :) DI MATILDE BANDERA
A
rezzo e i suoi dintorni offrono tantissimi luoghi in grado di regalare emozioni a chi li vive quotidianamente, ma anche a chi li visita per la prima volta. Per il prossimo numero di Up Magazine, in uscita in primavera, abbiamo deciso di destinare entrambe le pagine dedicate ad Instagram a una delle meraviglie di Arezzo, Piazza Grande: il fascino della nostra amata “piazza pendente” conquista da sempre il cuore di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Vorremmo omaggiarla pubblicando le vostre foto più suggestive sul nostro magazine e ricondividendole sul profilo
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instagram @upmagazinearezzo. Vi invitiamo quindi a sbizzarrirvi con i vostri smartphone e macchine fotografiche, e di andare a caccia del punto di vista più affascinante, delle condizioni di luce migliori, dei dettagli più partico-
lari e difficili da notare, per descrivere al meglio la magia di questo luogo. Per partecipare alla selezione, e vedere pubblicate le vostre foto nella nostra gallery, utilizzate il nostro hashtag ufficiale #upmagarezzo.
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riccardoburicchi Parco Archeologico di Castelsecco
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hackcortona.com
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www.popcortona.it
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UP ECCELLENZE
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rifiuti in trasformazione UNA VO LTA A SA N Z E N O C ' ER A UN INCENER ITOR E, UN FO R NO GIGANTESCO DOV E B U T TA R E T U T TA L A SPA Z Z ATUR A . O GGI IL M O NDO È CAMB IATO, G R A Z I E A L L A T EC N O LO GIA E A UNA SENSIBIL ITÀ M OLTO P IÙ D IFFUSA V E R S O L E T E M AT I C HE GR EEN: A L L E P O RTE DEL L A CIT TÀ SO RGE UN IMPIA N TO A L L'AVA N G UA RDIA CHE R ECUP ER A M ATER IA , ENERGIA E CALORE. UN' INV E R S I O N E D I T E N D ENZ A ACCOM PAGNATA DA COR SI DI FORMAZIONE E CO N C E RT I . T U T TO A L L'INSEGNA DEL LO Z ERO SP R ECO
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DI ANDREA AVATO
A San Zeno sono stati organizzati corsi di formazione e concerti per dare dell'impianto un'immagine diversa
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prevalere il processo di recupero su quello di smaltimento, affidata a un gruppo di professionisti dalle elevate competenze tecniche. Il salto nel futuro si chiama Zero Spreco: macchinari e sistemi di filtraggio all’avanguardia per la riduzione delle emissioni in atmosfera, recupero di calore sotto forma di vapore per scaldare serre dove vengono coltivate piante ornamentali impiegate per l’arredo urbano, recupero di materia sotto forma di compost impiegato anche in agricoltura biologica. L’obiettivo è trasformare radicalmente il concetto di discarica e termovalorizzazione, favorendo una gestione dei rifiuti solidi urbani a basso impatto, limitandone i trasporti. Giacomo Cherici, 50 anni, presidente di Aisa Impianti e nel settore dei rifiuti da circa venti, ribalta la visione comune che si potrebbe avere di un inceneritore, ponendo l’accento su tutte le forme del recupero e sull’azzeramento dei trasporti di rifiuti
che sono un vero costo economico e ambientale. “E’ ovvio che si tratta di impianti complessi, che hanno un impatto sul territorio, che devono essere condotti da professionisti. Ma dobbiamo riflettere sull’incidenza dei rifiuti, molto maggiore, laddove non esiste impiantistica. La nostra politica è improntata allo Zero Spreco che compensa e rende l’incenerimento sussidiario al recupero di materia, calore ed energia. Il merito va riconosciuto a chi ha lavorato qui prima di me e a tutti i colleghi di Aisa Impianti. Sono stati capaci di guardare avanti anche gli amministratori che mi hanno preceduto, intuendo la strategicità di questo polo, a guida aretina, importante per tutto il territorio dell’ATO sud Toscana’’. Al di là delle parole, ci sono i fatti. L’impianto ha gestito anche i rifiuti solidi urbani di altri territori, tra cui quelli di alcune province terremotate dell’Umbria e dell’Abruzzo. Una
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vete presente un inceneritore? Ecco, dimenticatelo. A San Zeno c’è un impianto integrato interamente rivolto al recupero di materia, energia e calore. Non più un semplice inceneritore. Aisa Impianti è uno dei venti poli strategici nazionali riconosciuti dal Ministero dell’Ambiente e si sta attrezzando per ulteriori forme di recupero come l’estrazione del biogas dalla frazione organica differenziata. Impianti con questa organizzazione sono soltanto ad Arezzo, Torino e Milano. Fino a qualche anno fa l’idea di base era buttare tutta la spazzatura dentro un forno gigantesco. I rifiuti venivano smaltiti così. Ma adesso no, la tecnologia ha fatto balzi avanti portentosi, alimentata anche da una sensibilità molto più diffusa verso le tematiche green e grazie allo sviluppo delle raccolte differenziate. Oggi alle porte della città c’è una vera e propria centrale energetica, in grado di far
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Giacomo Cherici, 50 anni, presidente di AISA IMPIANTI
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“Formazione del personale, professionalità, applicazione rigorosa delle normative: il nostro segreto è questo”
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efficienza ai massimi livelli ottenuta grazie all’aggiornamento costante delle attrezzature e della lavorazione. Contemporaneamente i processi di ottimizzazione hanno consentito di abbattere il costo industriale della lavorazione dei rifiuti da 100 euro a tonnellata nel 2014 a circa 70 nel 2017. ‘’Formazione del personale, professionalità, applicazione rigorosa delle normative: il nostro segreto è questo’’ spiega Cherici, snocciolando altri dati: ‘’San Zeno consuma dai tre ai cinque metri cubi di acqua al giorno, come un albergo di medie dimensioni. La sfida vera per il futuro è quella di
affiancare al recupero di materia, calore, energia, anche il recupero del gas. Oggi il quaranta per cento della spazzatura che ci arriva è composta da frazione organica, il sessanta per cento da tutto il resto. Il prossimo obiettivo è arrivare a produrre metano con l’organico per immetterlo in rete gas. E pensate che in una tonnellata di frazione organica ci sono 36 kg di biogas, due pieni per l’automobile”. Il merito dell’inversione di tendenza sta anche nell’aver dato di San Zeno un’immagine e una fruibilità diversa. All’interno dell’impianto sono stati organizzati corsi didattici e di formazione per periti, ingegneri, medici, avvocati, allestendo un’aula polifunzionale a disposizione dei cittadini e delle associazioni. Nelle aree verdi esterne si tengono concerti per coinvolgere tutte le fasce d’età.
Il vecchio inceneritore ha cambiato aspetto, è stato modificato nel dna e risolve il problema dell’igiene urbana con un impatto ambientale molto minore rispetto a prima. “A Vienna, Copenaghen e Barcellona questi impianti sono addirittura in città. Quello di Lille, che serve circa un milione di abitanti, è stato costruito in parte sotto il piano di campagna e in alcuni reparti vengono inserite persone a fine pena detentiva, prima del loro rientro in società”. Cherici sottolinea anche il comportamento virtuoso degli aretini, che producono pochi rifiuti rispetto alla media regionale. Questo ha consentito a San Zeno di contribuire in maniera cospicua allo smaltimento della spazzatura prodotta altrove, con conseguenti introiti extra che hanno fatto decrescere le tariffe per il servizio locale. Tutto un altro mondo rispetto a quando c’era un inceneritore alle porte della città.
IL TUO GIARDINO LA STANZA PIÙ BELLA.
area creativa
SHOW GARDEN
Via Casentinese Arezzo tel. 0575 320532 | www.showgarden.it
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CREATIVITÀ AL POTERE
L A STO R I A D I M ART I N A FRAP P I COM INC IA A C ASTIGLION F I O R E N T I N O E S I S N ODA FINO A M ILANO. IN M E Z ZO C I SONO LA PA S S I O N E P E R I GI O I E LLI, U NA GR AND E FANTASIA, IL COR AG GI O DI ME T T E R S I I N GI O CO, I VIAGGI. COSÌ È NATO IL BR AND JE NÌ: PRO DOT TI DA L TO CCO E S OT I CO D E STINATI A U N M E RC ATO SE LE Z IONATO DI MATILDE BANDERA
il mondo di Jenì e anche il logo rappresenta bene la mia brand identity. Le geometrie sono sempre alla base di ogni mia creazione, adoro le linee severe ed essenziali, le volumetrie chiare, con un immancabile tocco esotico. Il mio gusto trae ispirazione dai dettagli arabesque, dall’architettura moresca, da un mix di stili marocchini, persiani e arabi. Il Marocco e l’Arabia Saudita sono luoghi in cui mi sento a casa. A quale mercato è destinato il brand? In Italia si può trovare in alcune boutiques selezionate, fondamentali per fare vetrina e immagine anche all’estero, ma il target di Jenì è alto e i mercati in cui mi sto concentrando per la crescita del brand sono Cina e Middle Est. Quanto è importante oggi la comunicazione di un brand online? È fondamentale, con gli smartphone è diventato tutto molto veloce e immediato, un sistema democratico ma anche molto competitivo e dinamico, fin troppo. Il mondo della comunicazione è cambiato, l’avvento dei social network ha rivoluzionato la stampa classica. Se prima mi affidavo ad uffici stampa istituzionali, adesso stiamo studiando strategie rivolte a piattaforme online, indispensabili sopratutto se si ha un e-commerce, che ho in programma di sviluppare quanto prima. Come immagineresti la tua vita se fossi rimasta a Castiglion Fiorentino? Ti manca? Avrei dato una mano a mia mamma con la sua boutique, ma sarebbe stato difficile seguire il mio progetto da lì. Castiglioni mi manca ma riesco a tornare spesso, un paio di volte al mese cerco di passare da casa, anche se ho trovato la mia dimensione a Milano. Oggi è bellissima, dinamica, moderna. E’ un giusto compromesso, a misura d’uomo e mi piace la discrezione delle persone.
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i definisce spirito libero e open minded, ma sono solo due dei tratti distintivi di Martina Frappi, founder, designer e mente creativa dell’esclusivo brand Jenì. 31 anni, una carriera iniziata appena terminati gli studi, si è resa conto in fretta che l’unico sistema per ottenere reali gratificazioni dal mondo della moda stava nel dedicarsi ad un percorso tutto suo. Bisognava fare la differenza. Le è servita anche la partecipazione a “The Apprentice” con Flavio Briatore, un reality dedicato ai manager d’affari: un’esperienza formativa che l’ha resa più diretta e schietta nel lavoro. Oggi le sue creazioni sono oggetti del desiderio anche per le celebrities, grazie alla fantasia e alla capacità di mettersi in gioco. Come è nato il progetto Jenì? Mia nonna è stata la mia grande musa: era una grande donna e ha ispirato sia il nome del brand che tutto il mio progetto. Aveva una personalità unica, era molto esuberante e originale nel vestirsi, con un’innata passione come me per i gioielli e il colore oro, caratteristica comune dei miei prodotti. Quando hai cominciato a lavorare da sola? Mentre studiavo, lavoravo per un’azienda di pellami esotici. Mi sono appassionata al punto di iniziare a creare gioielli rivestiti con pelli dalle mille finiture e colorazioni, sopratutto bracciali. Stavano tornando di moda i bangles e la pelle di pitone, così ho cavalcato l’onda e ho presentato la mia prima collezione porta a porta alle migliori boutiques, riscuotendo un discreto successo. Mi sono divertita, ho fatto esperienza anche dal punto di vista commerciale e questo è stato fondamentale per la mia crescita. Ho viaggiato molto e pian piano ho aggiustato il tiro, finché Jenì non è diventato quello che è oggi. Da cosa trai ispirazione? Il claim del brand è “Exotic Soul”: racchiude in due parole
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rosso Casentino
PA Z I E N Z A , E N T U S I ASM O E U N ROSSE T TO ACC E SO COM E IL S UO Z A F F E R A N O. G LO RI A SE RAFI N I , ARC HITE T TO, HA SE NTITO I L BI S O GN O D I R I T ROVAR E IL CONTAT TO CON LA TE R R A E HA DECI S O D I AV V I A R E U N ’AT TIVITÀ AGR ITU R ISTIC A. AD E SSO SI D E D ICA AD A N T I CHE SPE Z IE E PR E Z IOSE COLTU R E DI MATILDE BANDERA
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idea di passare la vita in ufficio non l’avrebbe resa felice. Per questo Gloria Serafini ha abbandonato la strada che le si apriva davanti dopo la laurea in architettura per imboccare un sentiero di campagna. Tanto stretto e tortuoso quanto stimolante e attraente. Oggi coltiva zafferano nel suo Podere Sant’Antonio, in Casentino. Segue le piante dalla semina del bulbo alla raccolta del prezioso pistillo, fino all’accurato packaging che lei stessa ha studiato per le vendite. Pochi anni, qualche giusta mossa di marketing e adesso la Red Gold Collection ha clienti in tutto il mondo. Classe 1990 e imprenditrice già da quattro anni. Com’è nata l’idea di dedicarti ad un business così inusuale per un giovane? Quando ho deciso di intraprendere un’attività tutta mia, ho iniziato a cercare una proprietà da rilevare con l’aiuto dei miei genitori: ci siamo innamorati di un antico podere con 14 ettari di terra bagnato da un torrente. Originariamente faceva parte della proprietà del Castello di Valenzano. Abbiamo dovuto sfruttare al massimo l’immaginazione, perché tutto il terreno ospitava solamente campi incolti e la colonica era totalmente da ristrutturare. E poi? Tutto è venuto da sé: mi sono dedicata alla ricerca delle colture antiche tramite l’archivio storico, per reintrodurre alcune coltivazioni originali. Lo zafferano è un prodotto che richiede attenzione al dettaglio, la produzione manuale obbliga ad avere cura e pazienza e mi rispecchia molto come attività. Rimanendo nell’ambito delle colture di tipo tradizionale, abbiamo estirpato una vigna dismessa per impiantare un nuovo vigneto e un oliveto. Poi ho deciso di dar vita ad un’idea più innovativa, introducendo una tartufaia innestata più il bamboo gigante, che trova impiego nei settori dell’edilizia e dell’arredamento, e nel settore alimentare
con i germogli, vero e proprio superfood ricco di proprietà benefiche. Ci vuole pazienza, ma non vedo l’ora di raccogliere i frutti di questo lavoro. Il casale non è ancora attivo, i lavori per l’agriturismo partiranno quest’anno. Intanto sto pensando al piano di sviluppo. A quale pubblico è destinata la Red Gold Collection? I prodotti a base di zafferano sono destinati ad una fascia medio alta. Vengono acquistati da privati e aziende come Gourmet Gift Box e Wedding Favours. Abbiamo iniziato a venderli ad ottobre 2017 e per ora mi ritengo soddisfatta dell’andamento. Hai mai pensato di lasciare Arezzo prima della nascita di Podere Sant’Antonio? No, perché ho sempre voluto fare qualcosa di concreto per il mio territorio. Bisogna essere disposti a stringere i denti e a tirar fuori tutta la buona volontà, ma c’è margine per creare qualcosa di cui essere orgogliosi. Ho studiato architettura e oggi applico le competenze acquisite nel mio nuovo business: dalla grafica alla progettazione, riesco a fare tutto da sola. A quali mezzi ti affidi per la promozione della tua azienda? Utilizzo sito internet e social: con Facebook e Instagram ho incrementato le visite al sito e ricevo gli ordini, ho acquisito diversi clienti dall’estero. La comunicazione online è indispensabile, ma partecipo anche ad eventi fieristici per non lasciare scoperto alcun canale. Progetti futuri? Ho diversi progetti in cantiere, dedicati allo zafferano e all’olio EVO. La cosa bella del lavorare in questo settore è che, mentre la società moderna diventa sempre più veloce e permette di fare tutto con un clic, la natura ti impone le sue regole, insegnandoti il rispetto dei tempi e delle stagioni.
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Ho scelto la musica
L A P R E S E N Z A S C E N I C A, LA PE R SONALITÀ, L’ORGOGLIOSA CO EREN ZA A RT I ST I C A , L E N OT E . LE SU E NOTE . E QU E LLE D E L GR AND E DAVI D BOWI E . DA L P R I M O INCONTRO CON IL ROC K ALLE LU C I D ELLA R I BA LTA , A N D R E A C H I MEN T I R ACCONTA U NA C AR R IE R A SC AN DI TA DAL R ITM O D E LLA PASSIONE
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ccarezzo il disco di vinile con le mani. Lo adagio di nuovo sul giradischi Philips, adesso definito “vintage” mentre rivivo i concerti, la folla che pulsa, il sudore, i baci strappati, la musica… la musica dentro. Eppure mi ero ripromesso di non lasciarmi andare a struggenti ricordi mentre, nella redazione di Up, aspetto l’arrivo di Andrea Chimenti. Nato a Reggio Emilia, adesso vive a Verona. Lui che è aretino a tutti gli effetti. Qua ha vissuto la sua vita, qua ha coltivato la sua personalità. La stessa che lo ha reso precursore della New Wave italiana, che lo ha condotto a collezionare collaborazioni con David Sylvian e Mick Ronson, che lo ha portato a celebrare David Bowie anni prima della sua scomparsa. Cre-
sciuto a pane di jazz inzuppato in latte di musica classica, ha incontrato il rock da adolescente: un amore travolgente che ha segnato e sconvolto la sua esistenza. Anni ‘80, Arezzo. La scuola. Gli amici. Tu decidi di mettere su un gruppo. Da dove viene la tua cultura musicale? Sono cresciuto in una famiglia in cui mio padre era l’appassionato di musica, in particolare di jazz e classica. Mi sono formato tra questi due mondi musicali. Fino all’adolescenza il rock per me era una cosa che non volevo nemmeno sfiorare. Incredibile. Fino a quando mi è stato prestato un disco, che è Diamond Dogs di David Bowie. Il primo amore. Rimasi molto colpito dalla copertina, poi dalla musica ap-
pena lo misi sul piatto. Da lì mi sono allargato al mondo del rock e del prog: dai Genesis ai Pink Floyd, da Lou Reed a Marc Boland. Nel frattempo studiavo cinema d’animazione a Urbino, il cartone animato è sempre stato la mia passione. Dopo cinque anni sono rientrato ad Arezzo, dove ho cominciato a lavorare nel campo pubblicitario. Di giorno lavoravo ad Arezzo, la notte suonavo a Firenze. Facevamo le prove con il gruppo in Via De’ Bardi 32. Ci chiamammo fin da subito Moda. Come è nato il nome Moda? Guardando sul dizionario, volevamo un nome breve, d’impatto e che dicesse qualcosa della contemporaneità. Il significato di “moda” è letteralmente “costume contemporaneo”. Ed è quello che volevamo comunicare. Invece è
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DI CRISTIANO STOCCHI
“In questa nostra società c'è un rumore di fondo che ci impedisce di focalizzare le cose importanti. è come se dentro un'acciaieria ci fosse Uto Ughi che sta suonando il violino: nessuno se ne accorgerebbe”
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stato molto travisato, pensando che fosse solo legato ai vestiti. Siamo stati perseguitati dalla critica. Ci accomunavano agli Spandau Ballet, ai Duran Duran. Mentre Litfiba e Diaframma erano considerati più rock. Per un po’ sono andato avanti lavorando come pubblicitario e come musicista. Alla fine ho scelto la musica. Ho rischiato molto, ma sono felice di averlo fatto. Con la musica si rischia sempre. Da lì il primo disco. Si è venuto tutto in maniera molto naturale. Io avevo messo da parte un po’ di soldi per registrare un provino. Eravamo al Gas, lo studio di registrazione di Checco Loi, figlio del famoso regista. Per le stanze si aggirava un tipo strano con barba e sigaro, socio di Loi.
Era Alberto Pirelli, fondatore dell’etichetta I.R.A. Pirelli ascoltò il brano che stavamo incidendo e ci propose di far parte del progetto discografico che stava mettendo in piedi. Non abbiamo esitato ad accettare. Era esattamente l’occasione che stavamo cercando. Dopo soli tre album arriva però lo scioglimento dei Moda. I Moda si sciolgono nell’89. Il motivo è che l’etichetta voleva da noi un prodotto mainstream, sanremese, mentre i Litfiba dovevano essere l’opposto. Una parte di noi era d’accordo, una parte no e alla fine ci siamo sciolti. Una carriera votata contro il mainstream? Non ho niente contro le vetrine o la musica commerciale. Io non sono con-
tro Sanremo, vorrei solo portarci quello che piace a me. Ciò che stimo in un artista è la coerenza e la genuinità. Nel ‘96 l’incontro folgorante con David Sylvian. Ho composto il disco L’albero Pazzo. Ma ero in difficoltà a trovare chi potesse produrlo. Lo ricordo come un periodo nero, in cui avevo pensato anche di abbandonare la musica. Nel frattempo succede che David Sylvian viene in Italia a fare dei concerti con Robert Fripp e chiede di ascoltare alcuni musicisti italiani. Tra quelli che ascolta c’è anche il mio demo che lo colpisce, tanto da contattarmi. A quel punto per me si riaprono tutte le porte e cominciamo questo lavoro a quattro mani, a distanza. Per fax lavoravamo
al testo, mentre la musica gliela inviavo per posta. Tu nella vita hai scelto sempre quello che ti piace. Se Andrea Chimenti dovesse cominciare la sua carriera nel 2018, quale sarebbero i suoi primi passi? Non vorrei essere nei panni di un giovane musicista oggi. Tutti dicono che ci sono molte più possibilità, c’è più visibilità anche grazie alla tecnologia. Ma in questa nostra società c’è un rumore di fondo, che ci impedisce di focalizzarci sulle cose importanti. È come se dentro un’acciaieria ci fosse Uto Ughi che sta suonando il violino, nessuno se ne accorgerebbe. Allo stesso modo in rete tutti sono musicisti, cantanti,
opinionisti, giornalisti. Districarsi in tutto questo pone delle difficoltà ciclopiche. Inoltre è cambiato il modo di ascoltare la musica: scarichiamo, ascoltiamo per pochi secondi e poi buttiamo. L’approccio all’ascolto è quasi celebrativo. I dischi più belli non mi sono quasi mai piaciuti al primo ascolto, ma avendo acquistato il vinile davo loro una seconda chance. Oggi invece tutto rimane molto vago e impalpabile. Temo che mio figlio non potrà lasciare dei dischi a suo figlio. Hai parlato di tuo figlio. Anche lui ha un gruppo. Cosa ha ricevuto da te? Lui è nato ascoltando musica, ma sognavo che non ci costruisse il suo
lavoro, è un mestiere difficile. Ho fatto di tutto per non coinvolgerlo nei miei impegni. Ma alla fine ha preso in mano un violoncello. Era bravo. Alle superiori ha scelto il Liceo musicale e a quel punto, come genitore, non potevo che assecondarlo. Oggi suona nei Sycamore Age, che fanno un genere molto lontano dal mio, lui stesso canta con una sua personalità da esprimere e di questo sono molto felice. Un giorno lui è venuto da me con Davide Andreoni (chitarrista dei Sycamore Age) proponendomi di produrre insieme un disco. All’inizio non volevo accettare, ma alla fine ci siamo trovati benissimo, ci siamo dimenticati di essere padre
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tro con un altro gigante della musica, il chitarrista del duca bianco, Mick Ronson. Un altro incontro casuale? Sì e no. Ronson stava registrando in Italia con gli Andi Sexgang. Ho avuto modo di fargli avere il mio demo in cassetta. Anche lui conosceva Pirelli e così decidemmo di trovarci per mangiare una pizza e parlare. Andammo a Firenze e, a fine serata, Ronson ci disse che sarebbe tornato dopo qualche mese dall’America e avrebbe prodotto il nostro disco. Così è stato. Una cosa che ho imparato dagli inglesi, quelli che lavorano in ambito musicale, è la serietà estrema con cui prendono il loro lavoro. Tra i tuoi dischi, qual è quello a cui sei più affezionato? L’albero pazzo sicuramente, perché è stato un “parto”! Ha segnato una svolta. L’altro è Il porto sepolto. E dopo tutta questa esperienza musicale, quali sono i dischi che... porteresti su Marte? In ordine sono: Lodger di David Bowie; La IV Brahms (per le mie origini); The Lambs Lie down on Broadway dei Genesis; Ok Computer dei Radiohead. Stai lavorando a qualcosa di nuovo?
discografia 1986 — Bandiera (I.R.A.) 1987 — Canto Pagano (I.R.A.)* 1989 — Senza Rumore (I.R.A.) *co-prodotto da Mick Ronson
1992 — 1993 — 1996 — 1997 — 1998 — 2002 — 2004 — 2004 — 2008 — 2010 — 2015 — 2017 —
la Maschera del Corvo Nero ed Altre Storie Chaka* L’albero Pazzo** Qohelet*** Cantico dei Cantici**** Il porto sepolto Concerto 1998 Vietato Morire ChimentidanzaSilenda Tempesta di Fiori Yuri Andrea Chimenti canta David Bowie
*con Beau Beste e Africa X ** Ti ho aspettato con David Sylvian *** con Fernando Maraghini **** con Anita Laurenzi
Sì, il mio nuovo disco uscirà in autunno. Sarà un progetto molto variegato, sia per contenuti che per la squadra che ho messo insieme. Ogni produttore si occuperà di un paio di brani. Tra questi c’è anche Teo Teardo che si occupa di colonne sonore a livello internazionale e che ha lavorato anche con il musicista Blixa Bargeld. Nello stringergli la mano gli strappo la promessa: il prossimo videoclip del suo nuovo singolo voglio girarlo io.
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e figlio e il disco - Yuri, il mio ultimo in studio - è uscito fuori spontaneamente. Da questo abbiamo poi collaborato al mio spettacolo su Bowie. È bello che ognuno abbia i suoi progetti, ma a volte ci “incontriamo”. Lui continua ad abitare ad Arezzo, mentre io a Verona. A proposito di Bowie, che ha segnato le tappe più significative del tuo rapporto con la musica, in tempi non sospetti tu hai portato cover molto peculiari del duca, anche prima della sua scomparsa. Tutto è nato nel 2015, quando mi hanno proposto di fare una serata dedicata a Bowie per l’estate fiorentina in piazza Santa Maria Novella. All’inizio non avevo intenzione di accettare, perché non volevo misurarmi con questo mostro sacro. Quando ho compreso lo spirito della serata, e saputo che ci sarebbe stato un quartetto d’archi per eseguire Beethoveen, Prokovief e infine Bowie, ho pensato che poteva essere davvero interessante. Si trattava di rompere tutti gli steccati tra i generi musicali – in cui gli steccati sono tipici – e accostare Bowie ai grandi compositori dell’800 e del ‘900. David Bowie torna sempre nella tua storia professionale e lo dimostra la co-produzione del secondo album dei Moda, legata all’incon-
questione di equilibrio |
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MEDICO PER PROFESSIONE, VIGNAIOLO PER PIACERE. SAVERIO LUZZI, NEUROLOGO DI FAMA INTERNAZIONALE, HA TROVATO L’INTERRUTTORE CHE GLI PERMETTE DI LIBERARE LA MENTE E AVERE LA SERENITÀ GIUSTA PER AFFRONTARE OGNI SFIDA. NELLA CAMPAGNA DI ANTRIA COLTIVA UN SOGNO CHIAMATO VILLA LA RIPA DI CHIARA CALCAGNO
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otulino per sconfiggere il mal di testa e vigna per combattere lo stress. Sì, le rughe rimangono, ma sono quelle di un sorriso. Non sembrano le convenzionali ricette di un dottore, eppure Saverio Luzzi, stimato neurologo conosciuto in tutta la Toscana, è riuscito a trovare l’equilibrio perfetto fra lavoro e passione, fra testa e cuore. Medico per professione, vignaiolo per piacere, ha scelto la campagna di Antria, ai piedi di Arezzo, per raggiungere la serenità necessaria ad affrontare le piccole grandi battaglie di tutti i giorni. “Il mio non è un lavoro semplice. È fondamentale far convivere medico e persona, non si può rimanere indifferenti di fronte al dolore. Ma neanche un dottore può caricarsi sulle spalle ogni sofferenza che incontra: il peso lo schiaccerebbe, gli impedirebbe di muoversi ed è qualcosa che non può permettersi. Per se stesso, per la sua famiglia ma anche per tutti gli altri pazienti che hanno bisogno della sua massima lucidità in ogni momento. Spesso è davvero complicato. Ci si riesce solo se si trova il modo, a fine giornata, di staccare
la spina o, perlomeno, di abbassare la luce. Beh, la vigna è il mio personale interruttore”. Dopo la laurea in medicina e chirurgia all’università di Firenze, Luzzi si è specializzato in Neurologia nel 1983 e in Neurofisiopatologia nel 1986, sempre con il massimo dei voti e la lode. Nei suoi due studi a Firenze e ad Arezzo si occupa principalmente di diagnosi e terapia delle cefalee, della malattia di Parkinson, della cura dell’ansia e della depressione, di disturbi cerebrovascolari, di epilessia e di demenza. La sua attività scientifica è documentata in oltre cento pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali. Nel 2000 ha pubblicato il libro “Le cefalee. Cosa sono e come venirne fuori” ed ha collaborato alla redazione de “Il manuale di medicina “ edito da Gentilini, curandone importanti capitoli. Ha partecipato come relatore a numerosi congressi medici in tutta Europa e, nel 2012, ha tenuto seminari sulla fisiopatogenesi delle cefalee alle Università di Toledo (Ohio) e di New York. È uno dei pochi italiani ad essere socio dell’American Academy of
La splendida villa rinascimentale costruita sul colle di Pecognano
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Neurology e della Royal Society of Medicine. Saverio Luzzi è anche uno dei precursori, in Toscana, di un’innovativa tecnica che migliora il disagio di chi soffre di emicrania cronica. “La tossina botulinica di tipo A (botox) è una proteina naturale che impedisce la produzione di neurotrasmettitori infiammatori e quindi la trasmissione dello stimolo doloroso. L’infiltrazione in specifici punti della testa, della faccia e del collo si è rivelata efficace nel contrastare le emicranie cronicizzate”. E le rughe? “Le rughe dovremmo imparare ad apprezzarle. Sono il sintomo che si sta invecchiando. E invecchiare non è un privilegio per tutti”. Ogni sera Saverio ritorna nella sua casa a Villa la Ripa dove respira il fascino e la poesia della campagna, dove osserva il lento scorrere del tempo scandito dai ritmi della natura, dove ha scelto di abitare con la sua famiglia. “L’opzione più logica, probabilmente, sarebbe stata Firenze. Ma io amo Arezzo, con le sue contraddizioni e la sua straordinaria bellezza. Villa la Ripa è un sogno che coltivo e vivo ogni giorno, è un obiettivo raggiunto e una visione futura, Villa la Ripa è la mia casa. Quando mi tolgo il camice, è qui che voglio tornare per abbracciare la mia terra”. Con tenacia e impegno ha riportato agli antichi splendori la villa rinascimentale sviluppata attorno ad una torre dell’anno 1000, adagiata sul colle di Pecognano. Qui l’arte della vigna si tramanda da secoli: il primo proprietario, nel I secolo d.C., fu Marco Peconio, il cui nome deriva da Pacho, dio etrusco del vino. Poi la tenuta passò nelle mani di varie famiglie, dai Ricoveri ai Bucchi, dai Gualtieri agli Ubertini, che la arricchirono di decori artistici e architettonici. Incredibile come nel corso degli anni, con il passaggio di generazioni e di persone, l’obiettivo a Villa La Ripa sia sempre rimasto quello di esaltarne la tradizione produttiva, coltivando vigne e olivi. E anche la famiglia Luzzi non si è sottratta al dolce compito. La sfida è produrre il miglior vino possibile seguendo i propri ideali di gusto ed eleganza. L’attenzione maniacale al dettaglio, l’approccio scientifico tipico del medico, si ritrovano anche nelle diciotto vendemmie che ogni anno vengono vinificate separatamente per ottenere i migliori blend. Tecnologie e tecniche all’avanguardia al servizio della tradizione. “Abbiamo viti di cinquant’anni, piantate a due metri di distanza, secondo l’antico metodo toscano, e altre più giovani posizionate a maggiore densità di impianto per favorire la competizione. Così possiamo ottenere etichette più vicine ad un gusto classico e altre più in sintonia con i palati di oggi. Fare vino è un processo straordinario in cui l’uomo sfrutta la sua conoscenza per ottenere un prodotto che sia il più naturale e sano possibile, in armonia con le tipicità del territorio. È sempre questione di equilibrio. Un
“Villa la Ripa è un sogno che coltivo e vivo ogni giorno, è un obiettivo raggiunto e una visione futura, Villa la Ripa è la mia casa. Quando mi tolgo il camice, è qui che voglio tornare per abbracciare la mia terra” prodotto eccellente non si ottiene con una vigna lasciata a se stessa, ma con grappoli difesi e accompagnati in un percorso dove poi potranno esprimersi al meglio. Il vino è come un figlio a cui puoi fornire solide basi e sani principi, per poi osservare crescere l’uomo che speravi diventasse. Ogni traguardo raggiunto è un orgoglio che scalda il cuore”. Sangiovese, canaiolo, trebbiano, malvasia e persino vecchie barbatelle di cabernet sauvignon sfruttano un terreno in lieve pendio, posizionato fra due torrenti e in una zona abbastanza ventosa. Saverio Luzzi è anche presidente della strada del vino Terre di Arezzo, uno strumento di promozione dello sviluppo rurale e del territorio per sostenere l’enoturismo. “Credo sia fondamentale valorizzare la produzione vitivinicola collocandola in un contesto culturale, ambientale, storico e sociale. Per questo anche a Villa la Ripa organizzo particolari visite e degustazioni. Oltre ai vini, faccio assaggiare agli ospiti anche un pezzo della civiltà di Arezzo”.
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AL L E N A M E N T I , M E DAGL IE, V IT TOR IE, LA N A Z I O N A L E . E P O I GL I STUDI, L E LIN G U E ST R A N I E R E , GL I ESA M I DI MAT U R I TÀ D I E T RO L’ANGO LO. MARIA VILUCCHI, 1 9 A NNI A MAG G I O, A R E T I N A , P UNTA DI D IA M A N T E D E L L A G I N NA STICA PET R A RC A , È U N TA L ENTO DEL L A RIT M I C A E U N A R AGA ZZ A CHE PEN SA A CO ST R U I R S I UN F UTURO, CO N C I L I A N D O G R A Z I A E SINUOSITÀ CO N U N A T E N AC I A D I F ER RO DI ANDREA AVATO
C'
è un legame misterioso, intrigante che unisce la grazia e la leggerezza di una ginnasta con la tenacia riversata ogni giorno in allenamento per andare un po' più in là dei propri limiti, della stanchezza, della fatica. L'agilità che cattura gli sguardi e la forza di carattere che abbatte gli ostacoli: virtù apparentemente agli antipodi, ma che in realtà si alimentano a vicenda. Quest'abitudine a volteggiare per aria, facendo roteare il nastro o lanciando e riprendendo una palla, serve anche nella routine quotidiana, quando bisogna districarsi tra un compito in classe e un'interrogazione, tra l’ambizione di programmare il futuro e un presente che ti avviluppa
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con i suoi ritmi incessanti, senza soste. Scuola, macchina, allenamento, casa, studio e avanti all’infinito, oggi, domani e dopodomani, all’inseguimento della perfezione. Con una vita privata da vivere che viaggia in parallelo. Maria Vilucchi, 19 anni il prossimo 6 maggio, aretina, un talento naturale che deborda dal suo corpo elastico e sinuoso, mette insieme sogni e sacrifici, soddisfazioni e sudore, capriole e libri di testo da quando era una bambina. Punta di diamante della Ginnastica Petrarca, gloriosa società che scolpisce muscoli e anime da oltre un secolo, ha già vinto medaglie in Italia e all’estero, ha conquistato il titolo nazionale categoria senior nel 2016 (ad Arezzo, guarda un po’ il destino…) ed è nel giro della Nazionale.
Soprattutto, è una ragazza felice di fare tutto quello che fa. “Mi alleno dalle due e mezza fino alle sei. Vado a casa, ceno, studio fino a mezzanotte. Tre volte alla settimana sono in palestra pure di mattina, a scuola lo sanno e lo accettano. Faccio il liceo scientifico internazionale, mi piacciono inglese e russo, sono le lingue della ginnastica”. Con gli esami di maturità sullo sfondo, questo potrebbe essere un anno decisivo sotto tutti i punti di vista. Maria si è già allenata con le farfalle azzurre della ritmica, raggiungendo un obiettivo che rappresenta uno straordinario punto di partenza. “Mi alleno ad Arezzo da quando avevo 9 anni, ho frequentato tutte le palestre della città: San Lorentino,
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Il podio della World Cup del 2015 con il bronzo di Maria Vilucchi
“Da bambina facevo meno fatica. Adesso è tutta una questione di testa. Ci vuole carattere, serve una grande forza di volontà” Pescaiola, Vasari, adesso la Mecenate. All’estero ho visto tante realtà più grandi, più organizzate, ma io mi sento orgogliosa di rappresentare la Petrarca. Sono sempre stata bene, sono cresciuta qui, sono migliorata. Irene Leti, Elena Zaharieva, Stefania Pace, istruttrici e coreografa, mi hanno dato tanto”. Fune, cerchio, palla, clavette, nastro sono attrezzi per modo di dire. Ormai possono essere considerati un prolungamento ideale di bicipiti, tendini e dita, dei compagni di viaggio al pari di un pelouche o di un amuleto portafortuna. “Da bambina facevo meno fatica, lo ammetto. Adesso è tutta una questione di testa, di concentrazione, avverto più responsabilità. Ci vuole carattere, serve una grande forza di volontà, specialmente quando ci sono le gare. Ho pensato
di smettere, sì. Mi è successo almeno tre volte dopo qualche risultato negativo. Ma ci ho sempre ripensato ed è stata la scelta giusta. Sai chi devo ringraziare? I miei genitori, Daniele e Alessandra. In quei momenti mi hanno dato una mano. Anche perché tutti i giorni mi accompagnano da casa, a Castiglion Fiorentino, in palestra. Mi conoscono, sanno come prendermi”. Straordinariamente sopra le righe in pedana, Maria Vilucchi è con i piedi saldi a terra quando smette il body e s’infila un paio di jeans. “Il mio desiderio più grande è superare gli esami di maturità con buoni voti. Vorrei trovare una facoltà universitaria che mi consenta di conciliare gli studi con la ginnastica. Mi piacerebbe dedicarmi alle lingue orientali e lasciarmi un po’ di tempo per leggere un libro o guardare un film, i miei svaghi preferiti”. E poi c’è la ritmica. Il campionato italiano a Forlì, in primavera, i tornei internazionali in Bulgaria e Francia con la Petrarca, la Nazionale: saranno mesi intensi e da preparare bene. “La mia qualità è questa voglia inesauribile di provare, provare e riprovare. Mi alleno perché mi diverto. Il difetto è che sono critica con me stessa, a volte troppo. Qualche soddisfazione comunque me la sono tolta: l’oro ad Arezzo di due anni fa ma soprattutto il bronzo alla World Cup di Pesaro, nel 2015. È il mio ricordo più bello”. L’intervista è finita. Maria torna in pedana e riprende a danzare. Leggera come una farfalla, nonostante si tiri dietro una tenacia di ferro.
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U P C U R I O S I TÀ
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la torre di gnicche UNA CO ST R UZ I O N E D U E / TR ECENTESCA LUNGO L A COL L INA DI SAN FAB IANO. DAL LA F I N E D E L L’OT TO C ENTO HA CONQUISTATO UN R UO LO CE NTRALE NEI R ACCO N T I P O P O L A R I P E RCHÉ UTIL IZ Z ATA COM E NA SCONDIGL IO DAL NOTO B RIGANTE F E D E R I G O B O B I N I, UN BA NDITO DEDITO A L CR IM INE M A CON L’ANIMO N O B IL E . O G G I L A TO R R E CO NTINUA A D A L IM ENTA R E A NEDDOTI E FANTASIE. DI MARCO BOTTI
42 \ UP MAGAZINE AREZZO \ INVERNO 2018
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li aretini conoscono la collina di San Fabiano come una delle zone più belle ed esclusive del territorio comunale: la “piccola Fiesole”, come la chiamò Angelo Tafi in uno dei suoi numerosi libri su Arezzo. Costeggiando gli archi dell’Acquedotto Vasariano, se invece di proseguire il percorso collinare imbocchiamo la strada bianca dei Cappuccini, ci troviamo di fronte a una singolare torre due-trecentesca di cui ancora oggi si sa ben poco. Chi ha provato in passato a dare un senso alla sua collocazione inusuale, ha ipotizzato che fosse una costruzione di avvistamento, esterna ma comunque facente parte del sistema difensivo medievale cittadino. Altri hanno supposto che fosse una torre daziaria per chi giungeva con le proprie merci ad Arezzo, passando per la cosiddetta via di Pietramala. Più di recente Simone De Fraja, apprezzato studioso di fortificazioni, l’ha indicata come possibile struttura di sorveglianza del territorio agricolo alle pendici di San Fabiano. Dopo aver perso la funzione originaria, la
torre rimase al suo posto nei secoli a seguire, attraversando miracolosamente gli eventi e soprattutto la mano dell’uomo, che tutto fa e disfa. Se osserviamo ad esempio la Pianta del condotto vasariano di Arezzo e della Fonte della Piazza, che di recente ha trovato la sua giusta collocazione nel Palazzo della Fraternita dei Laici di Piazza Grande, eseguita nel 1696 dal cartografo e impresario edile Giovan Battista Girelli, vediamo la costruzione evidenziata oltre le arcate dell’acquedotto. Dalla fine dell’Ottocento le fu dato anche un nome. In gergo popolare divenne infatti la Torre di Gnicche, poiché secondo la tradizione era stata uno dei nascondigli del noto brigante. Federigo Bobini – questo il nome di battesimo – era nato il 19 giugno 1845 e fin da giovanissimo fu uno scavezzacollo. Venne accusato di omicidi, furti, violenze ed episodi vari di microcriminalità. Le sue “imprese” si conclusero il 14 marzo 1871, quando fu arrestato dai carabinieri in un casolare tra Badia al Pino e Tegoleto. Durante il tragitto a piedi verso la caserma, tentò la fuga e così si beccò
una pallottola letale all’altezza dei reni. La morte drammatica fece crescere la sua fama e la memoria romanzata ci ha tramandato la figura di un bandito garbato con le donne, amante dei bei vestiti, delle carte e del ballo, spavaldo con le forze dell’ordine. Pare addirittura che in alcune occasioni si fosse comportato da “Robin Hood de noialtri”, donando parte delle refurtive ai meno fortunati. Le feste contadine divennero l’occasione per i cantastorie di narrarne le gesta e alimentare le leggende arrivate fino a noi. Il recente volume Sopracchiamato Gnicche (Fuori|onda libri), scritto da Enzo Gradassi, attraverso gli atti giudiziari e le ricerche d’archivio ha messo le cose a posto dopo un secolo e mezzo, restituendo alle gesta di Federigo Bobini una dimensione più veritiera e meno colorita. Ciononostante, dubitiamo che in futuro il brigante aretino non continui ad alimentare racconti fantasiosi e che i suoi luoghi simbolo, in primis la torre, non rimangano tappe irrinunciabili di itinerari dedicati, perché come diceva Romano Battaglia: l’uomo ha bisogno delle favole.
Nel lontano 1935, Donato Badiali fonda in Arezzo la “Tipografia Badiali”. La sede
GRAFICHE BADIALI SRL Vi a M . C u r i e , 2 - 5 2 1 0 0 A R E Z Z O ( A R ) I TA LY tecnologiche di quei tempi. Dalla stampa tipografica con caratteri mobili, alla Linotype, madre delle più moderne Tefotocomposizioni. l . + 3 9 0 5Nei 7 5primi 9 8anni 4 1’70,2Vittorio 0 Badiali, sempre attento ai cambiamenti tecnologici, fonda anche la “Litostampa Sant’Agnese”. grafichebadiali@grafichebadiali.it In questa azienda hanno visto la luce, le prime macchine da stampa offset e le prime fotocomposizioni. Neiwprimi w wanni. g’80,r agrazie f i call’incremento h e b a d idell’attività, a l i . i t è stata costruita dell’azienda era ubicata in locali posti sotto le famose Logge del Vasari, nella prestigiosa Piazza Grande. L’ attività in questi locali, ha visto il succedersi di tutte le innovazioni
la nuova sede, dove tutt’ora l’azienda opera. Da allora, l’acquisizione delle tecnologie più moderne, hanno reso la “Grafiche Badiali” azienda leader del settore, in tutta l provincia di Arezzo. I continui investimenti, ci hanno permesso, in questi ultimi anni, di portare all’interno dell’azienda, la maggior parte delle lavorazioni, a vantaggio di un maggior controllo della qualità e dei servizi offerti alla nostra clientela. Infatti, l’esperienza acquisita e tramandata in quattro generazioni, in questi 80 anni di storia, ci consente di non essere semplicemente dei fornitori, ma un vero e proprio partner. Attenti ad ogni aspetto del nostro lavoro, dal 2011 abbiamo deciso di dotarci delle certificazioni ISO 9001:2008 per la qualità dei processi aziendali ed FSC per il prodotto, prestando grande attenzione e sensibilità, alla provenienza delle materie prime. Realizziamo cataloghi, brochures e depliant con i più vari sistemi di rilegatura sia nelle
piccole che nelle grandi tirature, pieghevoli, manifesti, materiale commerciale, moduli in continuo, shoppers ed ogni tipo di packaging e gadget personalizzato, espositori e cartelli vetrina di ogni forma e formato. La nostra clientela è in genere altamente fidelizzata e distribuita in ogni settore merce-
ologico: moda e tessile, eno-gastronomico, oreficeria, imprese di servizi, arredamenti, illuminazione e molti altri. Tra i nostri clienti annoveriamo: Prada, Graziella Group, Unoaerre, Textura, AEC Illuminazione, Monnalisa, Calzaturificio Soldini, CEIA, Gruppo Bancaetruria, Scart Group, Marchesi Antinori, Nannini Bags. Nel corso del 2015, abbiamo acquistato una nuova macchina da stampa f.to 70x100, la Roland 700 Evolution, la prima di questo modello venduta in Italia, la quinta in tutta Europa. Questa macchina a 5 colori con gruppo di verniciatura, ci permetterà ancora di più di offrire quei servizi, che oggi una clientela sempre più esigente chiede. Se ci viene chiesto il perché di questo investimento così importante, in un momento di forte contrazione economica, a noi piace rispondere con un’aforisma di Albert Einstein: E’ dalla crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.
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