magazine arezzo NUMERO 12 primavera 2020 UP attualitĂ marcello caremani up sociale maria paola petruccioli up tomorrow people e domani come sarĂ ?
vita sospesa nuovi orizzonti
AREZZO, Via Madonna Del Prato, 94
lockdown arezzo
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maria paola petruccioli i nostri nonni da proteggere
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Up Instagram
casa dolce casa
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marcello caremani
non POTREMO PIÙ LAVARCENE le mani
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domenico aversa
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laura falcinelli un talento dalle mille sfaccettature
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cavalli claudio di battaglia
santori
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e domani come sarà? | U P C U R I O S I TÀ |
fake news
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sommario
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LE PAROLE CHIAVE DEL LOCKDOWN P
Direttore Responsabile Cristiano Stocchi Vice Direttore Maurizio Gambini Redazione Andrea Avato, Chiara Calcagno Mattia Cialini, Matilde Bandera, Marco Botti Art Director Luca Ghiori Fotografie Lorenzo Pagliai Si ringrazia Giuliano Falcinelli (ufficio stampa Asl Toscana Sud Est) Matteo Giusti (ufficio stampa Centro Chirurgico Toscano) Comune di Arezzo Stampa Grafiche Badiali - Arezzo Partners
Abbiamo scelto AREZZO, perché qui sono le nostre radici, mostrandola come non l'avevamo mai vista: vuota, silenziosa, sospesa eppure elegantissima, in attesa del dopo. Abbiamo scelto SANITÀ, consapevoli che d'ora in poi non potremo più lavarci le mani
Reg. al tribunale di Arezzo il 12/06/2017 N° 3/17
In copertina Un'immagine di Arezzo in lockdown Up Magazine Arezzo è stampato su carta usomano che conferisce naturalezza e stile al giornale. In questo numero per la copertina abbiamo scelto il PANTONE 811 C
cristiano stocchi
Up Magazine Arezzo è una rivista a distribuzione gratuita
Direttore responsabile
Anno IV – N° 12 Primavera 2020
er vocazione, Up ha sempre messo in luce il lato migliore di Arezzo. Ne abbiamo raccontato storie e protagonisti per dimostrare che la nostra terra è fertile di talenti, idee e spirito d'iniziativa. Tutto questo lo abbiamo condito con un ragionato (e motivato) ottimismo di fondo, convinti che vedere il bicchiere mezzo pieno sia di grande aiuto per programmare il futuro nel modo migliore, senza superficialità né diffidenza. L'attualità ci ha messo davanti una nuova sfida. Arezzo, l'Italia, il mondo stanno attraversando un periodo di stallo, con molte certezze sgretolate e altrettante inquietudini. L'emergenza coronavirus ha stravolto le nostre vite e le nostre abitudini, spostando o addirittura cancellando punti di riferimento consolidati. Raccontare la realtà di oggi è decisamente più complicato del solito: mancano appigli saldi e mancano riferimenti sicuri per i prossimi mesi, forse anche per i prossimi anni. E allora abbiamo scelto di partire da alcune parole chiave in questa fase di lockdown, di isolamento pressoché totale.
di tagli di spesa e riduzione di personale in un settore che è la cartina di tornasole del welfare. E poi ancora ANZIANI, anelli troppo deboli di una catena che si sta sfilacciando sempre di più. Fragili di fronte al virus e alla vita che scorre, eppure tesori ineguagliabili di esperienza e di affetti, da proteggere a ogni costo. Leggerete di SCUOLA in un anno mutilato per studenti e insegnanti, senza più lezioni in aula mentre la didattica a distanza funziona a macchia di leopardo. L'esame di maturità, stavolta, lo farà la realtà a ognuno di noi. E poi c'è la COMUNITÀ, sfibrata dalla quarantena e chiamata a rigenerarsi sviluppando la resilienza, senza chiudersi dentro; c'è il buon esempio di chi ha saputo migliorarsi pure tra le quattro mura domestiche; c'è il DOMANI da inventare o reinventare. Abbiamo chiesto a tanti importanti amici di Up come immaginano la ripartenza: in quel campionario di risposte ci siamo tutti noi. Disorientati ma non arresi. Prima di lasciarvi alla lettura, consentiteci un ringraziamento speciale agli sponsor che hanno scelto di starci a fianco anche in un momento così difficile: Fondazione ArezzoInTour, Dr Vranjes Arezzo, Atam, ShowGarden, L'officina dei fiori. Mai come oggi rimanere uniti è l'arma vincente.
Vice-direttore
Redazione e Amministrazione Atlantide Audiovisivi srl Via Einstein 16/a – Arezzo Tel. 0575 403066 www.atlantideadv.it
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maurizio gambini
magazine arezzo
UP EDITORIALE
Redazione
chiara calcagno
Redazione
mattia cialini
Redazione
Andrea Avato
REDA ZIONE francesco fumagalli
Tipografo
lorenzo pagliai
Fotografo
marco botti
Redazione
Luca Ghiori
Art-Director
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matilde bandera
Redazione
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in fila per il dopo 6
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UP COPERTINA
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DI ANDREA AVATO
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C'È VOLUTO UN VIRUS PER METTERCI TUTTI IN RIGA, ANCHE AL SUPERMERCATO. CI HANNO CAMUFFATI CON DELLE MASCHERINE INQUIETANTI, APPICCICATE ALLA FACCIA COME CEROTTI SOPRA UNA FERITA CHE DEVE CICATRIZZARE. E ASPETTANDO DI SCAVALCARE IL PICCO DEI CONTAGI, VIENE IL SOSPETTO CHE A PICCO CI STIAMO ANDANDO NOI. EPPURE C'È QUELLA PUNTA DI OTTIMISMO CHE FA CAPOLINO E TI DICE CHE UN DOPO ARRIVA SEMPRE. ANCHE A UN METRO DI DISTANZA
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'è voluto un virus per metterci tutti in riga, anche al supermercato. Incolonnati, disciplinati, silenziosi. Noi che le code non le abbiamo mai sopportate e le abbiamo sempre fatte in fila indiana per due, per tre, per dieci. C'era il made in Italy anche per questo. E mentre sei lì a distanza di carrello da quello davanti, e respiri quest'aria di diffidenza, di sospetto che ci ha ammorbato all'improvviso, pensi a quanto poco sia bastato per sovvertire l'ordine delle cose. “Andrà tutto bene” dicono. Sì, ma quando? Ci hanno camuffato con mascherine inquie-
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tanti, appiccicate alla faccia come cerotti sopra una ferita che deve cicatrizzare. Ci hanno tolto l'espressività del sorriso, lasciandoci soltanto qualche fugace incrocio di sguardi che dilata il disagio anzichÊ mitigarlo. E gli esperti, dei quali ormai non possiamo fare a meno come del fumo, delle slot, dell'alcol, ci dicono pure che dovremo abituarci. E' diventata una dipendenza: il virologo, l'epidemiologo, l'infettivologo. Sai che dovresti smettere di ascoltarli ma non ce la fai. Li senti parlare e ti rovinano con il droplet, il distanziamento sociale, i dispositivi di protezione, l'isolamento, la quarantena. Attendi di scavalcare il picco dei contagi, di riprendere una vita normale, e ti viene il sospetto che a picco ci stiamo andando noi. Tutti insieme, ma non è un gran sollievo.
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“come sarà il dopo non lo sa nessuno ma ne abbiamo voglia
arezzo è vuota ma anche elegante
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Intanto la fila scorre, i carrelli si muovono, il silenzio è monolitico. Rifletti sul fatto che hai sperato tante volte in un cambiamento: regolarizzare gli orari, passare più tempo a casa, scrollarti di dosso quella maledetta frenesia che ti accompagna da sempre, che devi fare una cosa e poi un'altra e poi un'altra, ed è proprio la frenesia a sfibrarti piano piano, fino a che un giorno crolli giù come un fuscello. Se ti va bene, ti riprendono per i capelli, e se ti va male amen. Ci hai sperato tante volte in un cambiamento, ma mica così. La realtà ha più fantasia di noi.
Osservi Arezzo, lì sullo sfondo, mogia mogia, vuota, in stand by. Una città deserta come tutte le sue sorelle, più piccole e più grandi, in ogni angolo di questo mondo infetto. Ti prometti che, appena sarà possibile, le userai maggior riguardo, non come prima che neanche ci facevi più caso. Poi ti cadono gli occhi sulle mani dei tuoi compagni di fila, imbustate nei manicotti
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o a e e o o a
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di lattice, e sorridi amaro perché comprendi che dovrai trattare con i guanti un sacco di cose. Non solo quelle che ti piacciono di più. “Andrà tutto bene” dicono. Sarà. Ti domandi se veramente questa parentesi di vita sospesa avrà l'effetto della catarsi, se le brave persone saranno ancora più brave, se le cattive persone saranno un po' meno cattive, e ti rendi conto che a una storia del genere ci avresti creduto quand'eri un idealista incallito, non oggi che hai accettato di vivere guardando in faccia la realtà, scendendoci a patti ogni volta che è necessario. Eppure è proprio quella punta di ottimismo rimasta lì, sotto la superficie, che fa capolino e ti manda un impulso regolare, costante, come il led di una batteria che ancora non è scarica del tutto. Ti dice che un dopo arriva sempre, che un metro di distanza non è come tre metri sopra il cielo ma ci si può fare l'abitudine, che ognuno di noi dovrà recitare una parte attiva per ridefinire l'orizzonte. Che si può fare. Come sarà il dopo, non lo sa nessuno. Ma ne abbiamo voglia. Al punto che, guardandola da sopra la mascherina, Arezzo è vuota ma anche elegante. Ti fa apprezzare degli scorci a cui di solito non badavi, ti mostra angoli che non ricordavi fossero lì. Pensi a quando, finalmente, potrai tornare a gustartela fino in fondo e proprio in quel momento la fila scorre ancora, rimettendo dentro al carrello i tuoi stati d'animo aggrovigliati insieme alla lista della spesa.
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non potremo piu' lavarcene le mani
“ TUTTI ABBIAMO CAPITO L'IMPORTANZA DELLA SANITÀ PUBBLICA. QUELLA ITALIANA È IN GRADO DI DARE GRANDI RISPOSTE, A PATTO CHE VENGA PRESERVATA”. IL PROFESSOR MARCELLO CAREMANI, PER ANNI PRIMARIO DEL REPARTO DI MALATTIE INFETTIVE AL SAN DONATO, LANCIA UN MONITO IN PIENA EMERGENZA CORONAVIRUS: “BASTA TAGLI INACCETTABILI, NESSUNO DEVE ESSERE LASCIATO INDIETRO”. E DALL'ALTO DI UNA VASTA ESPERIENZA PROFESSIONALE, DICE LA SUA SULL'OPERATO DEL GOVERNO, SUL DRAMMA DELLA LOMBARDIA, SULLE SPERANZE DI UN VACCINO E SULLA SITUAZIONE DI AREZZO: “DA NOI LA TERAPIA INTENSIVA STA REGGENDO GRAZIE A UNA RIORGANIZZAZIONE TEMPESTIVA” DI MATTIA CIALINI
“Devo dire che il direttore generale della
Asl Toscana Sud Est Antonio D'Urso e il responsabile di reparto Danilo Tacconi hanno fatto partire Arezzo con anticipo rispetto ad altre realtà nazionali. E hanno iniziato bene, i dati fino a questo momento (l'intervista risale ai primi giorni di aprile 2020, nda) sono meno negativi rispetto ad altri territori. Si sta lavorando correttamente, anche sulla scorta dell'esperienza del Nord Italia, area colpita prima e più duramente. Ad Arezzo, in particolare, c'è stata una riorganizzazione importante. Figlia di una preparazione preventiva. Le problematiche relative all'esplosione dell'epidemia sono state illustrate ad inizio febbraio, quando la situazione era relativamente tranquilla. L'ospedale San Donato è diventato il punto di riferimento per i pazienti Covid dell'area vasta della Toscana Sud Est assieme a quello di Grosseto. E ad Arezzo è stato creato il terzo laboratorio toscano per i tamponi, che permettono di verificare la positività al virus”. Caremani si sofferma poi ad analizzare, per quanto possibile in una situazione così fluida, l'andamento dei contagiati gravi emersi, dei quali, all'inizio di aprile, si è registrato un sensibile calo nell'Aretino. “La terapia intensiva nel nostro territorio sta reggendo, proprio grazie all'ottimo lavoro fatto in fase iniziale. Si tratta pur sempre di una situazione eccezionale, in cui il personale sanitario coinvolto è costantemente sotto stress,
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“S
to cercando di dare il mio contributo in questo periodo di emergenza, facendo il divulgatore”. Da quando la pandemia ha ammantato ogni aspetto della vita comune, Marcello Caremani si sta adoperando per la sua Arezzo, attraverso consigli utili, con il rigore scientifico che contraddistingue il professore e l'umana comprensione propria della persona. Caremani si dà da fare oggi con lo stesso spirito di servizio con cui ha svolto la propria professione di medico prima e accettando l'incarico di assessore alle politiche sociali e sanitarie del Comune di Arezzo poi. Di Covid (e del coronavirus che genera questa patologia) parla fuori dal “suo” ospedale, incoraggiando l'allievo Danilo Tacconi, che guida il reparto di malattie infettive del San Donato di Arezzo durante questa partita così complicata. Da medico “senior”, il professor Caremani fa informazione sui rischi che si corrono, comunica le corrette pratiche da adottare ogni giorno, dalle regole sull'igiene personale a quelle del distanziamento sociale. E smaschera le bufale che circolano incontrollate da un telefonino all'altro, alimentate dal carburante di un'irrazionale paura per un nemico tanto piccolo quanto insidioso, che ha rivelato ai più fragilità sconosciute.
“errori di valutazione e imprudenza possono riattivare i focolai, serviranno ancora distanziamento sociale e igiene personale” 18 \ UP MAGAZINE AREZZO \ PRIMAVERA 2020
costretto a dare un contributo incredibile rispetto all'ordinario. Tuttavia in questo momento si può constatare la bontà dell'operato svolto: con estrema soddisfazione personale, Arezzo continua ad essere un'eccellenza, e questo mi fa piacere, in un contesto generalmente positivo di suo, come quello della Regione Toscana, in grado di affrontare – lo ripeto – prima e meglio di altre realtà l'emergenza”. Ma ci sono aree italiane che, per settimane, sono state in gravissima sofferenza. “Complessivamente – continua il professore – l'Italia non si è attivata in ritardo. E non ha lavorato male, tutt'altro. Il Governo? Credo abbia preso le misure necessarie in una situazione in continuo divenire e non facile da interpretare all'inizio, data anche la macchina gigantesca che è l'Italia, quando è in moto. Siamo passati dal denunciare continuamente i medici per presunti casi di malasanità alla denuncia dei politici accusati di non aver preso opportuni e tempestivi provvedimenti per il contenimento della diffusione del virus. Non è serio. Detto questo, bisogna ammettere che errori ci sono stati. Penso ad esempio alla Lombardia, dove c'è stata un'epidemia ospedaliera che ha mietuto decine di vittime. Ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, c'è stato un errore estremamente preciso. Il sospetto positivo dove-
va essere gestito in maniera diversa. Ci sono state sottovalutazioni. I protocolli sono stati disattesi. Poi ci sono numerose situazioni da monitorare, penso alle Rsa, dove i possibili contagiati sono soggetti fragili, ad alto rischio”. Caremani si sofferma a parlare poi di uno degli aspetti che più inquietano della diffusione della patologia, il numero di morti. “E' vero, ma l'Italia, correttamente a differenza di altri Paesi, sta conteggiando tutti i morti positivi al Coronavirus, quindi valutiamo la mortalità correlata e quella direttamente correlata. Ma di tutti questi decessi, soltanto una piccola percentuale non presentava patologie: circa il 10%. E comunque, anche in questo particolare segmento, l'età media è molto avanzata. Più in generale, nella stragrande maggioranza dei casi, i pazienti deceduti presentavano un'altra patologia, se non due o tre. Sono poche centinaia, al momento, i casi di morte direttamente correlata al Coronavirus”.
E' anche vero che le persone fragili, fintanto che non sarà a disposizione un'arma che riesca a combattere efficacemente il Covid-19, resteranno ad alto rischio. “E' questo il problema: ci vorrà almeno un anno per mettere a punto il vaccino, nonostante i percorsi per realizzarlo siano stati notevolmente abbreviati. Quando lo avremo a disposizione, la patologia potrà essere prevenuta e debellata. E, faccio un inciso, spero che i No-Vax se ne rendano conto. Nel frattempo, però, si può trovare una cura: un farmaco efficace per combattere il virus una volta avvenuto il contagio. Le sperimentazioni sono già in atto. Ci sono 200 farmaci antivirali. Aids, Epatite C, Ebola: sono tutte patologie che negli anni abbiamo saputo contrastare grazie a medicine specifiche”. Caremani non si sottrae all'interrogativo principe, quello legato alla fine dell'emergenza. Quando? E quale nuova normalità ci attende? “E' difficile dirlo. Quando l'R0 scende sotto l'1. L'indice
di contagio è 1 quando una persona ne contagia un'altra sola. L'R0 del Coronavirus è variabile, in base al tempo, alla densità di popolazione. Se arriva a 4, ad esempio, una persone ne contagia 4. Così scoppiano i focolai. Se scende sotto l'1, si riduce enormemente il potere di contagio. Di sicuro occorrerà fare molta attenzione. Riaprire gradualmente. Fare concessioni un po' alla volta. Magari l'attività del barbiere soffrirà un po' di più di altre in cui il contatto fisico tra persone non è previsto. Restare a casa il più possibile – compatibilmente con la ripresa della macchina economica – rappresenterà ancora l'opzione primaria. Certamente dovranno restare in casa tutte le persone sintomatiche. Un errore di valutazione, le imprudenze possono riattivare i focolai, come purtroppo è già successo ad Hong Kong. Serviranno ancora il distanziamento sociale e un'accurata igiene personale”. Infine Caremani riflette sulla situazione italiana, su come il nostro Paese ha approcciato l'emergenza e su cosa può imparare da essa. “Anzitutto, abbiamo tutti capito – finalmente – l'importanza della sanità pubblica. Quella italiana è in grado di dare grandi risposte, a patto che venga preservata. Negli anni sono stati fatti tagli inaccettabili. Aggiungo che il nostro Paese ha reagito con grande orgoglio, le industrie della moda si sono messe a fare mascherine. Lo abbiamo visto anche nel nostro territorio. E una delle prime misure prese è quella a sostegno delle fasce più deboli della popolazione, con la distribuzione di beni di prima necessità. Ho notato, almeno in un primo momento, reazioni assurde a questa pandemia in alcuni Paesi come Gran Bretagna, Brasile, Stati Uniti. Ecco, l'Italia sta dando un segnale diverso e bellissimo, nessuno deve essere lasciato indietro”.
CHE L'OGGI CI SERVA DA lEZIONE
stefano tenti centro chirurgico toscano
P
er affrontare il domani bisogna partire sempre dall’oggi, imparando da quello che ci accade intorno come una grande lezione. Credo che sia importante tenere a mente la locuzione latina tratta dagli scritti del vangelo e motto scout: “estote parati”, siate pronti! Questo immortale avvertimento deve farci capire che sarà necessario organizzare una vita sociale tenendo sempre conto di sette anni di vacche grasse e sette anni di vacche magre, come giustamente ammonisce la Bibbia. La storia ci insegna molto, nel passato le grandi epidemie hanno colpito e insistito per lungo tempo sulle popolazioni del nostro pianeta, come la peste nera del trecento, l’influenza spagnola nel seicento o la più recente influenza asiatica a cavallo fra gli anni cinquanta e gli anni sessanta. La cosa importante è essere sempre previdenti e non creare i presupposti per la carestia successiva, dobbiamo capire che non dobbiamo consumare tutto perché non sappiamo quello che ci può servire e per questo occorre equilibrio. E' un concetto che in ambito sanitario acquisisce un’importanza ancora maggiore. Da anni sostengo il concetto della ridondanza, vale a dire avere sempre di più di quello di cui possiamo avere bisogno e nel caso della salute pubblica è ancora più importante. Noi il concetto della ridondanza in sanità lo applichiamo nel nostro lavoro quotidiano presso il Centro Chirurgico Toscano e ci crediamo fermamente.
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Marcello Caremani è stato primario del reparto di malattie infettive del San Donato e assessore alle politiche sociali del Comune di Arezzo
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I NOSTRI NONNI DA PROTEGGERE
LA FASCIA DEGLI OVER 70 È QUELLA PIÙ FRAGILE E HA BISOGNO DI ESSERE TUTELATA PIÙ DELLE ALTRE, NON SOLO DA UN PUNTO DI VISTA SANITARIO MA ANCHE PER PRESERVARE IL BAGAGLIO CULTURALE CHE GLI ANZIANI PORTANO IN DOTE. LO SA BENE MARIA PAOLA PETRUCCIOLI, PRESIDENTE DELLA CASA DI RIPOSO “VITTORIO FOSSOMBRONI” DI AREZZO: “CURE DOMICILIARI E INTERVENTO RESIDENZIALE SONO SEMPRE PIÙ FREQUENTI PER LA TERZA E LA QUARTA ETÀ. ALLA POLITICA CHIEDIAMO MENO BUROCRAZIA E PIÙ SOSTEGNO” DI MARCO BOTTI
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“U
n vecchio che muore è una biblioteca che brucia”. Quante volte avrete sentito ripetere la frase in queste settimane di emergenza da Covid-19? Un proverbio africano più attuale che mai, perché la malattia colpisce nelle sue forme più violente soprattutto gli over 70, con percentuali mortali impressionanti per chi ha superato gli 80 anni. Le case di riposo rientrano di conseguenza – e non poteva essere altrimenti – tra i luoghi che vengono monito-
rati con maggiore attenzione. Siamo andati a incontrare Maria Paola Petruccioli, dal 2017 presidente della Casa di Riposo “Vittorio Fossombroni” di Arezzo, che in questo periodo è alle prese con la gestione ordinaria e con le misure straordinarie adottate per contrastare la diffusione del coronavirus. Come stanno vivendo l’emergenza sanitaria i vostri ospiti? Dalla fine del mese di febbraio abbiamo ridotto drasticamente le entrate da parte di soggetti esterni alla struttura,
comprese quelle di parenti e amici, fino a sospenderle del tutto. Sono state interrotte anche le uscite degli utenti autosufficienti, poiché abbiamo dato priorità alla salute di tutti, consapevoli del sacrificio che stiamo chiedendo. Nonostante le restrizioni adottate, le persone hanno compreso lo stato di emergenza che il Paese sta vivendo e hanno accettato in silenzio, con grande dignità la situazione. Il modo in cui gli ospiti stanno affrontando questo drammatico periodo è esemplare e fa riflettere.
Un ospite all'interno della casa di riposo Vittorio Fossombroni; nelle pagine seguenti, la presidente Maria Paola Petruccioli e i controlli anticontagio all'ingresso dell'istituto
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E gli operatori? Sono encomiabili. A turno e ridotti numericamente, si fanno carico dell’assistenza sanitaria, dell’animazione, della fisioterapia. A loro va il nostro profondo e sincero ringraziamento per il lavoro che stanno svolgendo con dedizione e grande umanità. Una rete di solidarietà, fatta di tanti soggetti, si è mossa in aiuto alla casa di riposo. Confermo e ritengo doveroso parlare dell’affetto e dell’attenzione che privati,
aziende, associazioni, quartieri, stanno mostrando nei confronti della casa pia. La città sta rispondendo egregiamente ai nostri appelli. L’attenzione, sotto forma di uova di cioccolata, colombe pasquali, formaggi, olio, vino, dolciumi, senza dimenticare i fondamentali gel igienizzanti e mascherine, fa sentire agli ospiti e a chi opera al loro fianco che non sono soli, anche se costretti all’isolamento per la salvaguardia della loro salute. Quante persone state ospitando attualmente?
La struttura eroga prestazioni di assistenza socio sanitaria e servizi alberghieri in favore di 80 utenti residenziali. Ci sono 62 non autosufficienti e 8 autosufficienti, ma sempre con problemi di demenza senile o patologie psichiatriche più o meno importanti. A loro vanno aggiunti i 10 ospiti del servizio diurno, attualmente sospeso per l’emergenza sanitaria, che è utile per quelle famiglie che non hanno la possibilità di accudire i propri cari durante il giorno. Questa prestazione garantisce anche assistenza
“ascoltare gli anziani è un'occasione per apprendere, è un ricordare emozionandosi ed emozionando” 22 \ UP MAGAZINE AREZZO \ PRIMAVERA 2020
infermieristica alla persona, nonché l’esecuzione di attività motorie, di socializzazione e culturali. Un'aspettativa di vita sempre più alta implica un aggiornamento continuo dei servizi. L’assistenza agli anziani, soprattutto se non autosufficienti, è una delle problematiche più consistenti del servizio sanitario nazionale. L’offerta delle cure domiciliari non è sufficiente per rispondere alle esigenze. Le difficoltà da parte delle famiglie e la gravità dei casi impongono spesso l’utilizzo dell’intervento residenziale. La “residenza sanitaria assistenziale” si colloca frequentemente nel ruolo intermedio tra la funzione ospedaliera e quella domiciliare, come risposta alla maggiore complessità degli anziani che richiedono ricoveri con tempi brevi di tipo riabilitativo o degenze di assistenza e mantenimento a media e lunga durata. E domani che succederà? In considerazione del fatto che ormai
degli interventi. La casa di riposo si trova in un complesso storico da adeguare ai tempi. Nel rispetto della sua storia, abbiamo riorganizzato in modo più efficiente e accogliente gli spazi esterni e interni della struttura. Abbiamo ad esempio sistemato il giardino ed eliminato le diverse tipologie di pavimenti, per sostituirli con un unico impiantito idoneo al camminamento con presidi sanitari. Al fine di proseguire nell’adeguamento dell’immobile alle necessità degli ospiti e per poter acquistare un pulmino, abbiamo deciso di mettere in vendita un altro edificio di nostra proprietà. Obiettivi futuri? Abbiamo già presentato il progetto per l’installazione di un altro ascensore. Un’idea ambiziosa che stiamo valutando, ma che richiede ancora un esame approfondito da un punto vista finanziario, è lo sfruttamento dell’immobile di 800 metri quadrati che confina con quello attualmente destinato a residenza, per ampliare il servizio di assistenza socio sanitaria. La nuova procedura di
monitoraggio dei crediti che abbiamo adottato, ci consente di non disperdere la liquidità necessaria a far fronte alle ingenti spese che garantiscono le migliori prestazioni e allo stesso tempo di programmare gli investimenti in maniera oculata. Perché è importante tutelare la terza età? Al di là di come il ruolo dell'anziano possa essere visto dalla società e vissuto da ognuno di noi nel proprio privato, rimane il fatto che i nonni sono persone che hanno accumulato esperienze e da queste hanno tratto alcune lezioni. Sono proprio i loro insegnamenti la vera chiave dell'inclusione nella società: ascoltare i racconti di chi ha vissuto più a lungo di noi è uno splendido do ut des, in cui l’individuo in là con gli anni ha l'occasione di riscoprire il proprio valore e di sentirsi utile tramite la propria esperienza di vita. Chi ascolta ha l'occasione di apprendere qualcosa direttamente da chi l'ha vissuto in prima persona; è un ricordare emozionandosi ed emozionando. Gli anziani sono una grande ricchezza da proteggere. Le loro conoscenze e la loro saggezza sono un patrimonio per i giovani, che oggi più che mai hanno bisogno di maestri. Quando l’emergenza sanitaria sarà finita, come ripartirete? Questo periodo drammatico ci ha dato modo di affinare tanti aspetti positivi, quindi ricominceremo sicuramente da quelli e da alcuni cambiamenti migliorativi in termini di organizzazione del lavoro. Ricordo comunque che la nostra struttura è una azienda pubblica di servizi alla persona e pertanto è regolata da una legge generale dello Stato e da una legge speciale della Regione. Entrambi dovranno rivedere, alla luce dell’esperienza, la regolamentazione di questa realtà. Quindi dalla politica cosa vi aspettate? È una domanda che porterebbe ad aprire e approfondire una polemica che non voglio fare, non mi pare il momento. Rispondo sinteticamente dicendo: meno “chiacchiere”, meno burocrazia e più sostegno economico a favore di strutture spesso lasciate sole, ma dalle quali si pretende che garantiscano qualità ed efficienza nell’erogazione di servizi indispensabili alla persona.
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si parla non solo di terza ma anche di quarta età, con il conseguente aumento di domande d’assistenza, la Regione non potrà che adottare politiche sempre più a sostegno di realtà come la nostra in termini economici, al fine di garantire la qualità e l’efficienza dell’offerta. Da quando è diventata presidente, cosa è cambiato alla casa pia di Arezzo? Le idee sono state tante. Alcune siamo riusciti a realizzarle, altre sono in fase di completamento. Siamo partiti da un obiettivo principale: aprire questa realtà alla città per combattere l’isolamento degli ospiti. Lo abbiamo fatto attraverso una serie di iniziative culturali che hanno coinvolto soggetti esterni, in particolare giovani, consentendo così agli utenti di sentirsi parte di una collettività, di ricevere attenzioni e cure esclusive, di creare legami diversi da quelli dettati dall’organizzazione quotidiana. Abbiamo inoltre disposto incontri con i familiari e i responsabili delle cooperative affidatarie dei servizi, per coordinare nel migliore dei modi il lavoro e monitorare l’efficacia
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esame di maturità
LEZIONI SOSPESE, DIDATTICA A DISTANZA TRA MILLE DIFFICOLTÀ, IL 6 POLITICO CHE DIVENTA GIORNO DOPO GIORNO QUALCOSA PIÙ DI UN'IPOTESI. PER STUDENTI E INSEGNANTI È UN PERIODO PIENO DI PUNTI INTERROGATIVI, PER QUELLI DELL'ULTIMO ANNO DI SCUOLE SECONDARIE ANCORA DI PIÙ. A CLAUDIO SANTORI, PER UN TRENTENNIO PROFESSORE DI LETTERE CLASSICHE, E POI PRESIDE D'ISTITUTO, ABBIAMO CHIESTO LUMI SU COME GESTIRE L'INCERTEZZA. LUI, CHE HA FORMATO GENERAZIONI DI RAGAZZI, CI HA RISPOSTO CITANDO SENECA: “UN TIMONIERE DI VALORE CONTINUA A NAVIGARE ANCHE CON LA VELA A BRANDELLI”
DI ANDREA AVATO
nale, riempiva l'aula con le sue braccia lunghe, la gestualità incalzante e la voce scolpita. Classe '44, ha insegnato italiano e latino a Castiglion Fiorentino, a Montevarchi, a Cortona, poi per quasi un ventennio latino e greco al liceo classico “Francesco Petrarca” di Arezzo. Nel 1984, insieme al sindaco Aldo Ducci e al provveditore Luciana Gasbarre, è stato uno dei fondatori del liceo musicale, dove ha tenuto la cattedra di storia ed estetica della musica fino al 1991. Ha formato generazioni di ragazzi, costruito coscienze critiche, guidato centinaia di studenti verso la maturità. In tutti i sensi. Professore, l'anno scolastico è mutilato. Stavolta altro che esame... Che effetto le fa? Brutto. E' un trauma, un evento che non si verificava dal 1944. C'era la guerra allora, c'è la guerra anche oggi.
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professori non chiedevano mai se eravamo felici” cantava Luca Carboni, mettendo in musica una cicatrice aperta da sempre. Insegnanti troppo innamorati del loro sapere. E di fronte a loro studenti troppo distratti da un presente in rapida evoluzione. Una carenza di empatia che ha segnato percorsi scolastici, compiti in classe, esami, vite. Poi ci sono le eccezioni: ragazzi che vogliono comprendere, capire e docenti che accorciano la distanza generazionale, culturale, umana, che non sono innamorati soltanto del sapere ma della professione, che sanno trasmettere un sentimento, che li guardi, li ascolti e qualcosa torna indietro. Non subito magari, perché a 18 anni il presente pulsa troppo forte nelle vene e soverchia tutto il resto. Però dopo sì, quando ti volti, rifletti, elabori e metti a fuoco. Claudio Santori era teatrale, passio-
Fosse capitata a lei una disavventura del genere, cosa avrebbe detto agli studenti? Che un pc non è come un'aula ma va bene lo stesso. Che a fare la differenza è sempre la voglia d'imparare. Che con l'impegno si superano tutti i problemi. Le avrebbero creduto? Lo spero. C'è un testo intramontabile che sto rileggendo in questi giorni di quarantena e che avrei consigliato ai maturandi. Qual è? “Lettere a Lucilio” di Seneca. Chi non ce l'ha, se lo compri: costa meno di una pizza e di una coca cola. Seneca a un certo punto scrive: “un timoniere di valore continua a navigare anche con la vela a brandelli”. Vale per tutti. Alunni e insegnanti sono confinati a casa. A lei che dentro la scuola c'è stato una vita, quale sensazione le suscita: stupore, rabbia, paura, tristezza? Direi un mix di queste cose. L'esame alla fine delle superiori è uno spartiacque della vita, un bivio decisivo. La dicitura ufficiale è esame di stato, ma noi continuiamo a chiamarlo esame di maturità perché non si tratta solo di un diploma. Si cambia status, Pascoli direbbe che si esce dal nido. Ma è ancora attuale questa lettura delle cose? Oppure oggi va diversamente? E' attualissima. Superare l'esame di stato significa libertà, assunzione di responsabilità. Niente più colloqui con i professori, niente più pagelle. Si va negli atenei, si va a lavorare. E' una rivoluzione. Prof, la sento parlare con la stessa veemenza di una volta. Non è cambiato neanche un po'? Sono in pensione e sono segregato a casa per colpa del virus. La differenza rispetto a prima è tutta qui. Per il resto la penso come sempre: la cultura ti aiuta a discernere tra il bene e il male. Il bene oggi qual è? In questo periodo specifico, il bene è il senso civico. Dobbiamo restare a casa. Qualcuno ancora non si è accorto che l'esame di maturità lo sta facendo la natura a ciascuno di noi. E il male? Sottovalutare i problemi del mondo, so-
prattutto quelli legati al clima. E illudersi che con la cultura non si mangia. Mai concetto fu più sbagliato. In questi giorni di quarantena, come passa il tempo? Fammi dire che sono in crisi. D'abitudine frequento decine di circoli e associazioni, che adesso hanno tutti sospeso le loro attività. Per me è una condizione insolita, di sofferenza. Almeno si riposa un po'. Prima faceva troppe cose... Insegno all'università della terza età, sono stato socio fondatore dell’associazione degli scrittori aretini “Tagete” e della Società Storica Aretina nonché fondatore e primo presidente della Filarmonica Guido Monaco. Sono anche presidente della Brigata Aretina Amici dei Monumenti. Aristotele sosteneva che l'uomo è un animale sociale, è quel-
lo che ho sempre spiegato ai miei allievi. E quindi a casa che fa? Leggo, strimpello il pianoforte, ascolto musica, un po' di tempo lo dedico alle lezioni via social per gli anziani dei miei corsi universitari. Cosa ascolta? Ho quattromila vinili, la scelta è molto ampia. Il mio brano preferito però è il finale della nona sinfonia di Beethoven. Inno alla gioia, scelto come inno d'Europa. In questo momento ha un grande valore simbolico. Consigli per la lettura? L'intro del Decamerone di Boccaccio, il “de rerum natura” di Lucrezio, poi Tucidide, il prologo dell'Iliade del Monti. Devo citare Seneca un'altra volta. Citi pure. “La vita è breve, l'arte è lunga”. Il tempo va speso bene.
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#ANDRaTUTTOBENE
L'
emergenza coronavirus ha costretto anche gli alunni più piccoli, quelli degli asili e delle scuole primarie, a sospendere le lezioni e restare a casa. Un'esperienza traumatica, vissuta con gli stati d'animo più disparati, ma che ha stimolato la loro fantasia, come al solito molto fervida. Qua potete vedere tre dei quasi 500 disegni che sono stati inviati al Comune di Arezzo e pubblicati sulla pagina Facebook dell'ente. Tutti, rigorosamente, con l'hashtag #andràtuttobene
A proposito, lei della didattica online che ne pensa? Una risorsa straordinaria, da tenere in considerazione anche a emergenza finita. Esorto i miei ex colleghi a darci dentro e gli studenti ad approfittare di questa opportunità. Sai che io sono stato un precursore? Le cassette audio? Quelle. Negli anni '70 e '80 le distribuivo alle mie classi, dentro c'erano le lezioni di latino e greco da ascoltare e studiare. Un metodo molto redditizio se gestito con intelligenza. Le mancano gli esami di maturità? Dal punto di vista didattico, ormai non è più un esame: percentuale di promossi del cento per cento o giù di lì. Non mi piace. Quando lo feci io da ragazzo, nel '62, ci spulciavano su nove discipline, scritte e orali. C'era il quaranta per cento di bocciati. Un'esagerazione anche quella. Può darsi. Servirebbe una via di mezzo. In ogni caso, tornando alla domanda, la maturità l'ho vissuta talmente tante volte da studente, da professore e poi da preside, che sto bene così. Quest'anno potrebbe scapparci anche il 6 politico per tutti. Il suo cuore sobbalza? Per me è un pericolo da sventare ed eventualmente dovrà essere l'extrema ratio, anche nel caso in cui gli studenti non dovessero tornare nelle aule prima della fine. Per gli insegnanti mettere a punto delle valutazioni online è molto difficile ma non impossibile. Oggi come definirebbe il rapporto che aveva con gli studenti? Il vero insegnante dovrebbe prima di tutto insegnare ai suoi alunni a stare al mondo, quale che sia la sua materia. La fa facile lei. Nei miei venticinque anni di carriera come docente, e nei venti come preside, ho dedicato ogni cura a combattere tre mostri: l’ignoranza, il fanatismo e la superstizione. Ho fatto del “timeo hominem unius libri” la mia bandiera. Chi ha un solo libro, fatalmente sarà portato a farlo ingoiare agli altri, con le buone o con le cattive. E qui torniamo al concetto di cultura. La mia frase preferita era: “Hanno valore solo le cose che non si possono comprare”. Un oggetto prezioso, se hai
“Un oggetto prezioso, se hai i soldi, te lo compri: la conoscenza no, perché è a disposizione di tutti ma non è in vendita, per cui te la devi sudare”
Caludio Santori nel 1984 è stato uno dei fondatori del liceo musicale, dove ha tenuto la cattedra di storia ed estetica della musica fino al 1991
i soldi, te lo compri: la conoscenza no, perché è a disposizione di tutti ma non è in vendita, per cui te la devi sudare. Si ispirava a qualcuno quando insegnava? Diciamo che un modello era Tito Livio, il grande storico romano. A lui non interessava tanto fornire dati minuziosi e precisi, quanto piuttosto trasmettere emozioni, generare entusiasmi che rimanessero nel tempo e condizionassero l’agire. Ecco, io non pretendevo che i miei studenti sapessero tutto sull’aoristo primo, secondo e terzo o sul periodo ipotetico, ma che penetrassero il senso profondo di un verso di Lucrezio, di una frase di Demostene, di una scena di So-
focle e ne ricavassero un’emozione. Questione di empatia allora. L’empatia nasce spontaneamente dal contatto quotidiano e dall’esempio. Il vero professore deve catturare l’attenzione, ma senza essere simpatico di maniera o per forza. Deve comunque rimanere professore e non giocare a fare l’amico: una raccomandazione che non è mia, ma di Platone. Aneddoti? Io sono sempre stato un tipo tranquillo. Ogni tanto però facevo il pazzo: al classico una volta rovesciai la cattedra per terra, c'era troppo casino. Ottenni il silenzio stupefatto degli studenti. La quinta G dello scientifico la feci stare una
mattinata intera in piedi, senza sedie e senza banchi, per punizione. Agli esami molti di quei ragazzi presero il massimo dei voti. Da preside, invece, non riuscivo a gestire un collegio docenti infuocato: dovetti salire sopra il tavolo e sgolarmi con delle urla belluine. Tornò la calma. Prof, domani come sarà? Quando finalmente le aule torneranno a riempirsi, sono convinto che gli insegnanti riprenderanno il lavoro con un big bang di entusiasmo e di energia, perché questa esperienza non potrà non averli segnati nel profondo. Cito Ungaretti per chiudere: nella scuola, e anche nella società, “ritornerà scintillamento nuovo”.
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UP SCIENZA
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NON CHIUDIAMOCI DENTRO
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L'EMERGENZA CORONAVIRUS HA APERTO SCENARI INCERTI E IMPREVEDIBILI. FINIRÀ, QUESTO È CERTO. QUELLO CHE NON È CERTO È QUANDO. IL SOCIOLOGO DOMENICO AVERSA, ESPERTO DI RISORSE UMANE E DEI PROBLEMI RELATIVI ALLA NEGOZIAZIONE DEI CONFLITTI, CI HA SPIEGATO COSA STA SUCCEDENDO E COSA DOBBIAMO ASPETTARCI: “DA UNA PANDEMIA NASCE NON SOLO UN DISORDINE DEL VIVERE SOCIALE MA ANCHE LA RIMODULAZIONE DEL VIVERE INTERIORE. LA COSTRIZIONE ABITATIVA, OLTRE AL TIMORE DEL CONTAGIO, FANNO EMERGERE LA NOSTRA VULNERABILITÀ EMOTIVA E FISICA. COME USCIRNE? PRENDENDO COSCIENZA DI CIÒ CHE CI È ACCADUTO. E SVILUPPANDO LA RESILIENZA” DI CHIARA CALCAGNO
È
accaduto da un giorno all'altro. Senza preavviso, senza possibilità di organizzarsi. E' un nemico invisibile che, oltre a seminare morte, trascina con sé paure, angosce e incertezza. In mano non ci sono armi adatte per combatterlo e tutti stanno imparando a vivere alla giornata, stravolgendo ogni abitudine quotidiana. Barricandosi in casa a osservare le città deserte, il tempo sospeso, provando a immaginare il futuro. Improvvisamente le persone hanno dovuto rendersi conto di quanto gli ordini sociali possano essere fragili: basta un virus per abbattere ogni
assetto e mettere tutto in discussione. E la globalizzazione, da anni sotto la lente per rintracciarne pregi e difetti, rischi e benefici, ha inaspettatamente mostrato un volto dirompente, creando scenari inediti e imprevedibili. Finirà, questo è certo. Quello che non è certo è quando. E che forma avrà il domani. Domenico Aversa, classe 1953, è laureato in sociologia, area psicosociale e della comunicazione. Formato all’Istituto di psicosintesi di Firenze, è iscritto nei registri della So.I.S. (Società italiana di sociologia) di cui è stato, per la Toscana, consigliere nel direttivo e vicepresidente. Libero profes-
sionista nel campo delle risorse umane e dei problemi relativi alla dimensione comunicativa della sociologia clinica e della negoziazione dei conflitti, svolge attività di ricerca, motivazione e consulenza manageriale. “Nella situazione attuale di pandemia, ovvero il diffondersi di un’infezione virale su tutto il territorio o popolazione, si può parlare di disastro. Da una pandemia nasce non solo un disordine del vivere sociale ma anche1 la rimodulazione del vivere interiore, facendo scaturire in molti soggetti solitudine, silenzio, penombra ma anche rabbia e frustrazione che, in casi
azione e non azione. Gli aspetti della reazione sono due. Semplice quando ci troviamo davanti qualcosa che già si conosce e, alla cui risposta, siamo comunque preparati o allertati. Tipo il semaforo lampeggiante, il suono di sirena, la porta che sbatte per un colpo di vento. Complessa quando affrontiamo qualcosa di imprevedibile che richiede quattro fasi di elaborazione: sorpresa, interpretazione, accettazione e velocità di soluzione. Il venire meno alla reazione complessa fa emergere nel soggetto la sua vulnerabilità latente. Come nella situazione attuale che, oltre ad essere emotiva, è purtroppo anche fisica. Chi ne paga maggiormente le conseguenze? Purtroppo, in termini emotivi, soffrono di più quelle persone che partono svantaggiate, che culturalmente non riescono a reagire davanti a quello che sta accadendo. Non essendo in grado di collocare l’accadimento in un’ottica globale, elaborano strategie personali. A volte subentra anche, e qui devo ripetere purtroppo, la diseguaglianza sociale ed economica, che riduce la capacità di adattamento in quanto vissuta come forzatura alla libertà individuale. La costrizione abitativa può essere un esempio? Esattamente. E’ stata da molti forzatamente respinta e la si è dovuta soffocare con decreti legge che hanno sostituito la logica. Non a caso si è arrivati a un momento in cui il numero giornaliero dei denunciati superava quello dei contagiati. Ergo, abbiamo più sciocchi che malati. A tal proposito, a parer suo, le decisioni prese dal Governo per il contenimento del contagio sono state efficaci ed efficienti? Davanti ad un pericolo comune all’intera umanità, il rischio più alto è dato dal prendere decisioni. Abbiamo visto un alternarsi di decreti con relative proroghe, un andare per gradi e questo navigare a vista, questa valutazione alla giornata, hanno fortemente contribuito alla vulnerabilità emotiva con la conclusione che, davanti
ad una mancanza di chiarezza, si rafforza l’incertezza e quindi entra in scena l’indipendenza personale nell’azione. In senso strettamente sociologico, il concetto di vulnerabilità emotiva può trovare relazione con la resilienza e l’adattamento? Certo. Se da una parte siamo afflitti da un senso di vulnerabilità personale e umana, dall’altro in certi individui si ha prima una presa di coscienza della pandemia. Da questa si passa ad una valutazione del rischio individuale, poi a quello globale e quindi alla ricerca di una sopravvivenza all’evento. In una situazione del genere emerge la diversità di ognuno nell'usare l’intelligenza, ovvero la capacità di affrontare situazioni sconosciute. Questa complessa facoltà di tipo cognitivo altro non è che l’elaborazione di conoscenze esperienziali che dovrebbero concorrere ad attivare la resilienza. Il termine resilienza è in uso nelle scienze sociali dagli anni ‘70 e definisce la possibilità di una persona di arrivare a conformarsi positivamente in occasione di eventi traumatici, tali da poter divenire invalidanti o letali. È comunque una caratteristica individuale, inglobata nei tratti caratteriali. Come si immagina il ritorno alla normalità? Posso citare Leopardi? Passata è la tempesta: odo augelli far festa, e la gallina, tornata in su la via, che ripete il suo verso.
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limite, può trasformarsi in quella che viene chiamata notte buia dell’anima”. #andràtuttobene è l'hashtag che è rimbalzato in milioni di post, frase digitata sulle tastiere e scritta con i pennarelli, ripetuta come una preghiera, un mantra, una formula magica. E poi le canzoni dai balconi, l'inno nazionale, l'importanza per i piccoli gesti, l'applauso agli “eroi” in prima linea e il bisogno di stringersi in un caloroso abbraccio collettivo, anche se virtuale, tramite i social. Queste manifestazioni mettono in luce valori profondi che nella routine restano sopiti oppure devono essere letti come qualcosa di diverso, più elementare? Credo siano qualcosa di diverso. Sono la cartina di tornasole del senso di impotenza di fronte ad una forza virale poco conosciuta e per la quale, a oggi, non esiste vaccino o antidoto. “Uccello chiuso in gabbia canta per amore o per rabbia”, recita un detto popolare. Tutto è dato, anche, da una reazione inconscia in una situazione di forte negatività, da una difesa che ci protegge da un'eccessiva esperienza negativa e che non siamo in grado di fronteggiare direttamente. Spiego meglio: avrete notato che nelle situazioni di massima estensione emotiva verso l’alto, si piange di gioia, come ad esempio a un matrimonio. In una situazione di massima estensione verso il basso, come una cerimonia funebre, si sorride e si finisce per parlare di tutto pur di non parlare dell’evento luttuoso. Ma perché si verifica questo? Accade in virtù della funzione regolatrice che gestisce i meccanismi di difesa e che si chiama impulso. Questo elemento motore interviene ponendo in essere la strategia inconscia più consona ed efficace al momento, creando una barriera immediata a manifestazioni esterne che potrebbero essere deleterie a livello fisico o di ansia o di angoscia. Il cantare alla finestra, lo definirei quindi come una modalità per affrontare l’impatto contro un pericoloso e sconosciuto imprevisto ma che, una volta subentrata la presa di coscienza e quindi la razionalità, è sfumata come la fine di tutte le buone partiture musicali. Però la capacità di reazione delle persone, sottoposte a uno shock di questa portata, non è uguale per tutte. No, si diversifica a seconda dei livelli di percezione. Ecco perché si parla di re-
federico_caneschi 91 | Ciggiano, Toscana, Italy
_luciagiusti_ 327 | Arezzo, Italy
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marta.stoppielli 18 | Arezzo, Italy
fabio.pucci 75 | Arezzo, Italy
paolo_ferruzzi 214
deb_jones_livemusic 70
| U P I N S TA G R A M |
UP Instagram casa dolce casa DI MATILDE BANDERA
La selezione fotografica per lo spazio dedicato a voi instagramers non poteva che essere speciale, come questo numero. Non abbiamo voluto raccontare la desolazione dei luoghi che amiamo ma abbiamo preferito entrare nelle vostre case tramite le foto che avete condiviso, guardarvi sorridere trasmettendo creatività, bellezza e voglia di restare attivi, in qualsiasi modo, in attesa di poter riprendere la normalità. Perché la casa rappresenta il rifugio dal caos e dallo stress per ognuno di noi, anche se in questo momento assolve un ruolo diverso nelle nostre vite, e rimane sempre il luogo in cui possiamo dare libero sfogo alle nostre passioni.
elenadonati91 62 | Arezzo, Italy
martinandreucci 282
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Abbiamo visto scorrere nei nostri feed tante belle immagini ed è stato davvero difficile sceglierne solo alcune: continuate a seguirci e a pubblicare le vostre foto scattate su Arezzo e provincia con #upmagarezzo.
| U P TO M O R ROW P EO P L E |
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e domani come sarà? PAURA, SPERANZA, FIDUCIA, INCERTEZZA, OTTIMISMO, INQUIETUDINE: PREVEDERE IL FUTURO NON È MAI STATO COSÌ COMPLICATO E GLI STATI D'ANIMO SI ALTERNANO VELOCEMENTE. COME AFFRONTARE IL POST EMERGENZA? COSA ASPETTARSI DOPO LA QUARANTENA? UP LO HA CHIESTO A QUATTORDICI PERSONAGGI CHE I LETTORI AVEVANO GIÀ TROVATO SULLE NOSTRE PAGINE. E CHE CI HANNO SVELATO I LORO PUNTI DI VISTA
atlantide adv
ggi stiamo vivendo un momento di eccezionale complessità, il Coronavirus sta mettendo alla prova tutta la nostra società, ha stravolto la vita del pianeta come mai era accaduto nella storia, come nemmeno i conflitti mondiali erano riusciti a fare, complice anche il livello di condivisione dovuto ai vari social network. Non è mai stata veramente la “mia quarantena”, ma la “nostra quarantena”, con gli eventi condivisi e le infinite video-chiamate durante la giornata, l’attesa dell’ultimo decreto in tarda serata, commentato in diretta sulle chat. Non c’è mai stata così tanta partecipazione alla vita politica del paese: il virus ci ha imposto di modificare i nostri modelli sociali, lavorativi e di vita, e inevitabilmente lascerà un segno indelebile sul nostro futuro. Domani mi auguro come tutti di poter tornare alla normalità, a volte con gli
amici facciamo battute sulla mancanza del suono del Telepass o delle code tra Arezzo e Valdarno. Ma la realtà sarà diversa, dopo gli attacchi dell’11 settembre ci siamo abituati ad un nuovo modo di viaggiare, con nuovi standard di sicurezza e limitazioni su cosa e come portare con noi nei nostri viaggi. All’inizio è stata dura, ma ci siamo adattati. Il dopo me lo immagino così, avremo nuove limitazioni e disposizioni per viaggiare, per lavorare e per condividere il nostro tempo e il nostro spazio; ci adatteremo anche a questo! La sorveglianza invasiva sarà considerata un piccolo prezzo da pagare per la libertà insostituibile di stare con le altre persone.
con gli strumenti giusti. Per il piccolo fruttivendolo sotto casa era impensabile, prima di marzo 2020, ricevere ordini via mail o whatsapp e fare la consegna a domicilio. Domani anche il piccolo fruttivendolo dovrà avere un sito E-Commerce. Atlantide Adv è sempre stata una famiglia più che un’azienda, ma in questo momento di difficoltà ci stiamo ancora di più riscoprendo uniti, tutti insieme a lottare per un unico obiettivo. Questo è rassicurante, come è rassicurante constatare che sta crescendo la consapevolezza di trattare con maggior riguardo e cautela il mondo che ci circonda. Adesso però è arrivato il momento di fare un passo avanti e programmare una fase successiva. Dobbiamo imparare a utilizzare tutte le precauzioni necessarie e a convivere con il virus per far ripartire la nostra economia il più velocemente possibile.
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francesco fumagalli grafiche badiali
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cristiano stocchi
domani come sarà? Diverso! Nonostante stiamo tutti cercando di tornare prima possibile alla normalità, di tornare a fare quello che facevamo prima, dobbiamo renderci conto che il domani sarà diverso. Ma diverso non vuol dire peggiore, tutt’altro... Da grandi problemi scaturiscono sempre grandi opportunità. Questa esperienza ci ha reso tutti più “semplici” e a livello personale mi auguro che continueremo ad esserlo anche in futuro: spero di continuare a trovare il tempo di fare il pane in casa, una passeggiata in collina, e stare di più con la mia famiglia. Ma al tempo stesso saremo inevitabilmente sempre più connessi. Per quanto riguarda invece il mio settore, quello del marketing e della comunicazione, sono molto ottimista. Sono sicuro che ci saranno cambiamenti profondi e prese di coscienza forti da parte di tantissime aziende sull’importanza di comunicare bene e
sugar
rima di tutto, oggi, dobbiamo pensare al bene comune, che in questo momento è rappresentato dalla salute pubblica, e all’affetto vero di cui siamo ancora capaci. Un pensiero forte anche a chi combatte in prima linea (medici, infermieri, personale sanitario), alla protezione dei nostri anziani e, purtroppo, a tutti quelli che non ce l’hanno fatta. Pensando al futuro invece, ho parlato con un mio vecchio amico che nella vita fa il professore al liceo classico: la prima lezione che ha dato online riguardava il verbo greco “kryno”, da cui deriva la parola “crisi”, quella che stiamo vivendo. “Bene - mi ha aggiunto
- questo verbo significa scegliere, avere un’opportunità”. Crisi e opportunità. Vedo il disastro di uno stop prolungato per chi produce e chi vende. Vedo che nel decreto “Cura Italia” la politica si è completamente dimenticata del settore moda, ma poi sono orgoglioso di appartenere a un mondo dove da Armani a Gucci, a Prada, dalle piccole alle medie e piccolissime imprese, tutti hanno riconvertito la loro produzione in camici e mascherine per la sanità, eroicamente in prima linea. Tutti insieme. Grande prova: il “nessuno si salva da solo” come nella bellissima solitaria preghiera del Papa a San Pietro. E il futuro, che mi auguro molto vicino? 1 - abbiamo imparato a non denigrarci e ad essere orgogliosi di noi stessi; 2 - si
on ho dubbi che ci rialzeremo e saremo nuovamente pronti a spiccare il volo con la grinta e l'energia che da sempre contraddistinguono gli italiani. Magari avremo qualche ferita in più e magari cadremo di nuovo ma crescerà l'esperienza. E avremo nuove consapevolezze; dei nostri limiti come delle nostre potenzialità. Nel mercato ci sono sempre stati gli alti e i bassi. Diciamo che questa volta è un basso particolarmente difficile e doloroso. Ma possiamo imparare qualcosa come apprezzare di più il tempo con noi stessi e con la famiglia, l'ambiente e il rapporto con gli altri. Io ho avuto dimostrazioni di affetto commoventi. Quando ho annunciato le nostre difficoltà ai dipendenti, ma anche l'intenzione di non mollare e di aiutare, per quanto possibile, il territorio, mi sono arrivate decine e decine di risposte cariche di speranza, di forza, di entusiasmo. Ho capito di avere accan-
to persone eccezionali che lottavano insieme a me. Io e mia moglie Barbara abbiamo deciso di destinare parte della produzione alla realizzazione di mascherine chirurgiche in tessuto non tessuto e di devolvere una parte del ricavato delle vendite on line a favore delle necessità della città. Siamo grati ad Arezzo, amiamo moltissimo questo territorio che ha avuto un ruolo determinante nel nostro successo imprenditoriale e ci sentiamo parte di questa splendida comunità. Ho trovato doveroso cercare il modo di dare una mano. Non ripongo molta fiducia nella politica ma credo fortemente negli imprenditori del mio Paese. L'italiano ha fantasia, creatività, ingegno. E queste qualità ci permetteranno di ripartire prima e meglio di altri. Inoltre, se io sono riuscito a fare una videoconferenza credo che tutto sia possibile.
piero iacomoni monnalisa
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beppe angiolini
è rafforzato in noi il senso di solidarietà e responsabilità: non siamo una somma di individui, ma una comunità; 3 - nelle immagini delle città vuote, aldilà dell’angoscia, abbiamo riscoperto la grande bellezza del nostro Paese e abbiamo più voglia di difenderla. Stesso discorso vale per l’ambiente. E allora la moda? Credo che i negozi diventeranno sempre più luoghi di incontro tra le persone, non solo clienti e committenti, dove si eserciterà sempre più il rispetto per oggetti che significano idee e lavoro. Del resto non troppo tempo fa Anna Wintour sottolineava che gli abiti vanno scelti, amati, conservati e, perché no?, tramandati. Detto questo, avrà importanza se metteremo in vetrina collezioni di due stagioni? Forse, in futuro, molto meno. Queste giornate senza adrenalina ci hanno costretto a riflettere. Credo che chi produce, vende o compra, abbia un comune denominatore: rispetto, responsabilità, onestà intellettuale e professionalità. Parole che non saranno più di moda ma la “MODA”.
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emergenza che viviamo lascerà tracce nella vita quotidiana perché lascia una scia di morti e una ferita profonda nelle coscienze: sarebbe uno spreco buttare via questa esperienza che, per quanto negativa, è destinata ad insegnarci molto. Innanzitutto, come ha detto lo scrittore David Grossman, ci siamo resi conto che il bene di ciascuno di noi è il bene di tutti ed è determinante per il futuro dei nostri figli. Siamo parte di un unico Stato, siamo interconnesssi uno all’altro. Abbiamo scoperto che “solidarietà” non è una parola vuota: non è l’elemosina che si fa ai bisognosi, ma un punto di riferimento nelle società democratiche. Abbiamo riscoperto l’importanza del lavoro e il suo valore sociale, come servizio per la collettività. Le sfide che saremo chiamati ad affrontare richiederanno una dirigenza preparata, che sappia trovare soluzioni praticabili con una visione di ampio respiro. Avremo bisogno, ora più di prima, di una classe dirigente in grado
marco sanarelli mely's
di muoversi verso orizzonti nuovi che richiedono competenza. Il virus ci ha insegnato che non è più l’epoca dei dilettanti. Abbiamo un disperato bisogno di investire in formazione e ricerca. Altro aspetto che la situazione attuale ha messo in luce è l’eccesso di burocrazia, un’atavica debolezza italiana e un problema che gli imprenditori denunciano da anni perché rischia di far implodere il sistema produttivo. Le attività della mia famiglia sono un esempio di interconnessione tra filiere produttive che potrebbero sembrare, a prima vista, distanti. Il gruppo non si occupa solo di oreficeria ma fa parte di una filiera molto più vasta, circolare che coinvolge UnoAerre e Chimet. Con UnoAerre ci occupiamo di moda e abbiamo una clientela distribuita in tutto il mondo, utilizzando anche le materie prime reperite e riciclate in modo etico e sostenibile da Chimet. Non è un caso che in questa crisi sanitaria, economica e sociale, Chimet sia rimasta aperta perché considerata strategica per l’economia nazionale. Per chiudere, quindi, rovescerei la prospettiva: questa crisi ci indica la sola
onostante tutte le precauzioni prese per garantire la continuità del lavoro, salvaguardando la sicurezza dei collaboratori, abbiamo dovuto chiudere anche noi. Ma lo abbiamo accettato perché ci siamo resi conto della gravità della situazione. Non posso però cancellare la desolazione che ho visto negli occhi del mio personale. In un’azienda che, viva Iddio, ha lavoro, la desolazione è coincisa con lo smarrimento: e adesso che si fa, quanto durerà, cosa succederà? Abituati alla routine giornaliera dei tempi normali, ci spaventa questa clausura con poco spazio di movimento. Stiamo riscoprendo i valori della famiglia, della solidarietà, del rispetto, della reciprocità, ma abbiamo perso quella cosa fondamentale che avevamo sempre sottovalutato, la libertà. Quando sarà tutto finito, sono sicuro che la assaporeremo con altri occhi, sentimenti, valori e con molta più umanità.
cristina squarcialupi unoaerre - chimet
strada percorribile. Abbiamo bisogno di una maggiore attenzione al lavoro, alla salute, all’istruzione e all’ambiente. Da qui dovremo ripartire per affrontare quel nuovo mondo di cui tutti parlano.
Il 2020 segnerà un ribasso di ricavi che, nella migliore delle ipotesi, si attesterà intorno al 10% e, nella peggiore, intorno al 30% su scala nazionale. Di sicuro l'emergenza ha prodotto nelle aziende cambiamenti importanti che resteranno anche dopo: telelavoro, conference call, video conferenze, video riunioni tecniche, video sessioni di vendita. Chi non riuscirà a strutturarsi in tal senso, farà molta fatica. Il made in Italy però ne uscirà rafforzato e bisognerà trovare delle soluzioni per le piccole aziende, in modo da non perdere il patrimonio che può tornare utile a tutta la filiera. Per quanto riguarda Mely's, il rientro determinerà un senso di appartenenza maggiore verso l'azienda, una produttività maggiore, la consapevolezza di avere la fortuna di un lavoro e uno sguardo positivo per i giorni a venire, anche se dovremo continuare a non abbassare la guardia.
leonardo fabbroni fabbroni serramenti
Non solo, non è da escludere che tali mutamenti avvenuti in condizioni di emergenza/urgenza, continueranno ad esistere anche passata l’epidemia. Gli italiani si sono sempre contraddistinti per il loro incredibile estro e per le loro capacità di adattamento alle situazioni più disparate. Fa parte della nostra natura: non rimanere fermi a piangersi addosso, piuttosto muoversi, reinventarsi e rialzarsi. Questa nostra capacità è emersa fin dall’inizio dell’epidemia, sta emergendo e proseguirà con maggior forza quando l’epidemia sarà finita. Perché finirà. Pertanto sono estremamente fiducioso in una ripresa economica che non inizierà nel preciso istante in cui terminerà l’emergenza, ma ci sarà. E non si farà attendere troppo.
riccardo biagioni showgarden
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ome sarà domani? Sicuramente domani sarà diverso da quello che è stato fino a febbraio 2020. Da un punto di vista umano, credo che in certe situazioni vengano fuori i veri caratteri delle persone e questo ci permetterà di valutare meglio chi siamo e chi abbiamo intorno. Da un punto di vista economico, niente sarà come prima. Dobbiamo essere in grado di ristrutturare le nostre aziende e, se necessario, cambiare i nostri comportamenti abituali. Ci sarà da faticare ma possono nascere anche nuove opportunità. Certamente ci vorranno aiuti concreti da parte dello Stato per far ripartire l'economia reale e non le solite promesse da conferenza stampa, seguite nella realtà da mille intralci per chi vuole lavorare seguendo le regole.
Per quanto mi riguarda, penso che riscoprire il calore della casa, il valore del tempo da dedicare agli affetti più cari, abbia fatto bene un po' a tutti. Io questa dimensione familiare la considero un valore aggiunto sia per me che per la mia professione: se guardo la storia della nostra azienda, mi convinco che è proprio così. Lavoriamo da sempre con il territorio, la maggior parte dei nostri affari è legata ad Arezzo e ne siamo soddisfatti. Proprio da qui, dal nostro essere artigiani, bisognerà ripartire per dare un nuovo slancio all'economia e alle nostre famiglie.
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o credo che non tutto il male venga per nuocere. Noi italiani siamo sempre stati bravi a rialzarci dopo le brutte cadute. Guerre, terremoti, epidemie: anche se impoveriti e indeboliti, abbiamo sempre trovato, proprio nel momento del bisogno, idee e strategie per rialzare la testa e andare avanti. Magari cambiati, ma senza mai fermarsi. Dall’inizio dell’epidemia ho avuto modo di assistere a profondi mutamenti imprenditoriali: ho visto aziende del mondo delle confezioni interrompere il loro tipico ciclo produttivo per cucire camici e mascherine, aziende di cosmesi produrre gel e creme igienizzanti, aziende che non potendo rimanere aperte al pubblico e accogliere i clienti all’interno del proprio esercizio, adoperarsi per attuare un servizio di consegna a domicilio. Tra questi ultimi, noi. Tali scelte imprenditoriali hanno permesso da una parte di mantenere la saracinesca alzata e dall’altra anche di offrire un servizio utile alla collettività.
mauro valenti arezzo wave
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i sicuro domani non sarà peggio di oggi. Peggio di così è impossibile. I danni prodotti dalla pandemia, i morti che abbiamo dovuto piangere, quest'atmosfera di paura resteranno nella nostra memoria. La gente è spiazzata, non vede il pericolo ma sa che c'è, che potrebbe annidarsi in un amico, in un familiare. La realtà ci è cambiata in un istante, velocemente, proprio secondo lo stile dei nostri tempi. Ma dall'apocalisse si rinasce, quindi prima o poi le cose andranno meglio, anche se vedo davanti a noi un futuro moralmente sgretolato. Ci riprenderemo piano piano, cambiando le abitudini e gli stili di vita. Io mi sento un po' fuori dal coro. Ho un'età, un vissuto, una corazza psicologica e professionale che mi proteggono. Non ho l'orizzonte né il tempo per pensare a chissà quali stravolgimenti della mia quotidianità. In termini di inquietudine, di incertezza, di fragilità ho già dato. Quando me ne stavo seduto
er me sarà un domani da reinventare, una nuova vita con cose da apprendere e altre da mettere da parte. La sosta forzata mi ha fatto fare delle riflessioni che non avrei avuto il tempo di immaginare prima del coronavirus. Finora ho sempre avuto la fortuna di vivere offrendo opportunità e sogni. Con PiazzaGrande, in più di 30 anni, migliaia di persone hanno trovato lavoro, casa e altre opportunità importanti: come editore sono stato un tramite felice, un mediatore di carta. Con ArezzoWave penso di aver offerto a varie generazioni, anche in questo caso nell’arco di tre decenni, giorni e notti con molti momenti di felicità. Domani vorrei continuare a muovermi in questo mare. Però non so ancora bene con quale mezzo e come saranno le onde. Mi piacerebbe trovare un'isola e un porto o una stazione di arrivo, insieme a chi condividerà con me tali passioni. In questi giorni di blocco casalingo, con Arezzo Tv ho riaperto gli archivi di ArezzoWave per realizzare decine di puntate della storia del
sui gradini del tribunale fallimentare di Arezzo, senza un soldo, con i pignoramenti in corso, con i creditori alle calcagna, avevo paura. Oggi no. Mi auguro che venga meno l'ipocrisia di chi continua a ripetere che a casa si sta bene e quasi sempre è un ricco, con trenta stanze a disposizione. Chi vive in trenta metri quadrati a casa ci sta male, vuole tornare a fare quello che faceva prima. Domani come sarà? Non lo so, ma tutto questo ce lo butteremo alle spalle. E lo dico facendo appello alla mia razionalità, non alla mia debolezza: la gente adesso è fragile, spera che il mondo diventerà più bello, più giusto perché ha bisogno di sentirsi rassicurata. Io, se ci rifletto con lucidità, credo che l'uomo riuscirà a saltare l'ostacolo come ha fatto altre volte in passato. La storia ci insegna sempre qualcosa.
festival che ha portato il nome della mia città nel mondo e milioni di giovani in città. Questo è il passato che vorrei facesse parte del mio futuro. Spesso, in giro per i miei viaggi, mi infilo in un Hard Rock Cafe, una catena di bar e testimonianze musicali famosa in tutti i continenti. Se devo fare un sogno, mi piacerebbe creare una sorta di Hard Rock Cafe ad Arezzo, chiamato ArezzoWave Station, per far rivedere tutto quello che è passato da noi in quei giorni: cultura, musica, costume, impegno sociale e tendenze artistiche. Ci vedo dentro prodotti locali, una piccola università del rock, bar, luoghi di formazione per dare brio, ritmo e musica ad una città da risvegliare tutti insieme dopo questo periodo buio. Ecco, questo vedo per il domani. Sarà un tragitto duro, lungo e senza soste. Ma è già questa la sfida più importante e i compagni di strada, anche voi se lo volete, saranno bellissimi. Buon viaggio y suerte hermanos!
Enzo Ghinazzi pupo
orlando fiordigiglio accademia pugilistica aretina
luca lani
sua pelle una crisi globale, che è solo un minuscolo accenno di crisi ben più gravi che dovremo affrontare nel futuro, come ad esempio il cambiamento climatico e tutto quello che ne potrà conseguire. Da un certo punto di vista è un regalo della provvidenza, perché rappresenta le prove generali, un assaggio di quello che accadrà tra 20 o 30 anni. Abbiamo anche il privilegio di vedere una teoria astratta come quella dell'effetto farfalla che diventa realtà: un evento insignificante e minuscolo accaduto in un angolo remoto del mondo, che in tre mesi sconvolge le vite di tutta l'umanità. Come sarà quindi il mondo, finita la crisi acuta dell'emergenza? Tutti ci troveremo davanti a un bivio. Alcuni penseranno che per proteggersi la soluzione è chiudersi nei localismi e alzare le barriere, mentre altri avranno compreso che per i problemi globali esistono solo soluzioni globali, cooperative e coordinate. Sarà quindi più forte la paura del futuro che ci spinge a chiuderci o la fiducia nelle capacità dell’uomo, di tutti noi?
Dal “braccio di ferro” tra questi due approcci dipenderà il nostro domani. La prossima crisi è dietro l’angolo e il tempo stringe.
o paura che la risposta sia nascosta nel modo in cui affrontiamo l’emergenza odierna. Qualcuno più attento, ordinato e coscienzioso rispetta le restrizioni e si comporta con senso civico e rispetto nei confronti della collettività; qualcuno più “furbo”, disordinato o menefreghista le rispetta a piacimento. Ecco come vedo il domani: chi oggi si comporta secondo i protocolli dettati dalle autorità sanitarie, anche domani manterrà un certo stile di vita. Avrà imparato la lezione. Questa guerra senza bombe ci ha segnati e questo modo di vivere ce lo porteremo dietro per molto tempo ancora. Staremo molto più attenti all’igiene e a tante piccole problematiche che oggi davamo per scontate. Ci sono poi i più spregiudicati, i menefreghisti o gli opportunisti che resteranno tali anche un domani. Da padre spero in un futuro con più consapevolezza, con più rispetto. Avevamo
tutto e non ce ne eravamo accorti, avevamo una vita meravigliosamente normale e non siamo riusciti a darle il giusto significato. Spero poi in un vaccino che ci sollevi da queste paure, da queste angosce, da questo carcere, anche se non del tutto, perché come tutti gli anni l’influenza e i virus torneranno… Purtroppo vedo anche un futuro di recessione. Non voglio parlare di economia perché non ne sono in grado, ma non credo si debba essere degli economisti per capire che sarà dura. Forse non proprio come un dopo guerra, anche se tutto dipenderà dalla durata. E vedo un futuro con un grande vuoto, una grande risorsa in meno che questo virus ci ha depredato, i nonni. Nonostante ciò, anche se sempre con la guardia alzata, rimango ottimista, perché questo mi ha insegnato la boxe, a lottare sempre. E quel minuto che mi fermo all’angolo, serve solo a recuperare le forze per rialzarsi e riattraversare nuovamente l’inferno verso quel sogno che solamente io vedo.
citynews
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ome sarà il domani? Molti dicono che questa pandemia cambierà tutto e che nulla sarà più come prima. Se però guardiamo alla pandemia del 1918, finita l’emergenza e sotterrati i morti, il mondo non ebbe nessuna trasformazione radicale, e tutto tornò com'era. Ma rispetto al 1918 c’è una radicale differenza. Grazie alla rete, esiste una condivisione estrema delle storie e delle esperienze: quasi metà della popolazione mondiale è chiusa in casa e sta sperimentando questa nuova realtà ogni giorno. Se nel passato il dolore era vissuto solo nelle famiglie degli scomparsi, oggi appartiene a tutti. Questa estrema e simultanea condivisione, può essere qualcosa di dirompente. I salti evolutivi nella storia dell’uomo nascono quando qualcosa accade contemporaneamente nelle menti e nei cuori di tante persone. Idee e soluzioni che prima erano impensabili, diventano improvvisamente pensabili e necessarie. L'umanità sta sperimentando sulla
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orrei essere ottimista, lo sono per natura, ma adesso non riesco. Sarà per la lista dei decessi che passa ogni sera al telegiornale, sarà per la paura negli occhi della gente, delle mie figlie, sarà perché mi rendo conto che questa pandemia cambierà per sempre il nostro modo di stare con gli altri e, di conseguenza, la mia professione. Nessuno parla del domani, si naviga a vista, senza certezza, raccogliendo le poche speranze. Mi confronto ogni giorno con i miei colleghi, con i ristoratori di Arezzo e i timori sono forti e condivisi: se non saranno trovati una cura e un vaccino, probabilmente non torneremo più a goderci una serata al ristorante con gli amici. Ci saranno misure talmente restrittive da non poter essere sostenibili (distanze, indumenti, imposizioni per lavoratori e per i clienti). Ho undici dipendenti. La mia attività va bene e posso permettermi di stare un mese, due mesi senza ricavi. E poi? Non so darmi una risposta.
Penso ogni giorno come potermi reinventare, magari proponendo la consegna a domicilio. Ma mi scende una lacrima al pensiero che, in questo modo, dovrei dire addio a quella che è la mia cucina. Le specialità che propongo all'Antica Fonte vanno assaporate al momento, fredde o riscaldate non avrebbero lo stesso sapore. Al mio ristorante ho dato tutto, gli ho dedicato la mia vita. E sono orgoglioso di quello che ho ottenuto: la bontà dei miei piatti, i numerosi riconoscimenti, la soddisfazione dei tanti e affezionati clienti. Compirei di nuovo ogni passo se potessi tornare indietro. Ma il futuro adesso è incerto. Il mio e quello dell'intera categoria a cui appartengo. In ogni caso adesso è giusto pensare alla salute per lasciarsi finalmente alle spalle questo brutto e doloroso periodo. Sicuramente saremo più sensibili e più forti e, tornando a sorridere e scherzare, capiremo come disegnare la nostra strada.
per tutti i nostri cari, e abbiamo capito quanto siamo stati fortunati. In questo periodo stiamo supportando i tantissimi promessi sposi, italiani e stranieri, costretti a rinviare il loro ricevimento, fissato in calendario in questi mesi. Poi ci sono le coppie che hanno programmato il giorno più importante della loro vita verso la fine dell’anno: ci chiedono se sarà possibile riunire amici e parenti. Stiamo cercando di mantenere un’attitudine positiva, rimanendo in trepidante attesa del ritorno alla normalità, consapevoli del fatto che l’amore non si può fermare. Spero proprio che, finito questo brutto capitolo della storia mondiale, potremo tutti festeggiare di nuovo insieme. E in sicurezza.
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luca fabianelli antica fonte
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massimo lodovichi
ifficile rispondere a questa domanda da un punto di vista globale. Sono sicuro che, per quanto riguarda la nostra attività, sapremo affrontare al meglio anche questo imprevisto sulla nostra tabella di marcia, che conta centinaia di eventi e ricevimenti ogni anno, ma non riesco ad immaginare come sarà il futuro quando tutto questo sarà finito. Essendo fornitori dell’area hospitality dell’Atalanta Calcio, abbiamo avuto la percezione che la situazione si stesse aggravando quando, in piena notte, ci hanno comunicato che il giorno dopo Atalanta-Sassuolo non si sarebbe giocata. Era il 23 febbraio, a Bergamo i casi di contagio stavano crescendo in maniera esponenziale. In un primo momento ci siamo rimasti male: tutto il materiale era già pronto e caricato nei furgoni. Ma poi ci siamo resi conto del pericolo scampato, sia per noi che
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U P C U R I O S I TÀ
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fake news
LE BUFALE NON CIRCOLANO SOLO OGGI. CE NE SONO MOLTE, PIÙ DATATE, CHE RIGUARDANO LA STORIA DI AREZZO. ECCO UN BREVE CAMPIONARIO DI FALSE NOTIZIE: TRA I COLPEVOLI, UDITE UDITE, ANCHE GIORGIO VASARI DI MARCO BOTTI
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I
n tempo di coronavirus l’espressione “fake news” è all’ordine del giorno più che mai. Se iniziassimo a catalogare tutte le false notizie o le interpretazioni arbitrarie che sono state messe in circolazione per spiegare la nascita e la diffusione del Covid-19, potremmo tirare fuori un libro. Per la pagina delle curiosità di questo numero, ci è venuta così l’idea di fare quattro passi nella storia di Arezzo, per scoprire alcune “bufale” singolari. A volte nascevano senza alcun fondamento ma in buonafede, nel tentativo di spiegare un argomento. Altre volte le “panzane” erano costruite con un preciso scopo. Partiamo proprio dal nome “Arezzo”, ovvero la romana Arretium, la cui origine ancora oggi non è stata chiarita, nonostante glottologi e linguisti abbiano dedicato tanti studi all’etimologia del toponimo. Pre-etrusco, etrusco, per qualcuno addirittura semitico. Di ipotesi ne sono state fatte tante, ma nessuna finora è stata risolutiva. Di sicuro il nome attuale della città non viene da Arizzo, come ancora molti aretini si tramandano di generazione in generazione, parlando di un luogo “arizzato” dopo un fantomatico terremoto. Rimanendo nell’antichità, una “bufala” che è il caso di definire monumentale riguarda la collina di San Cornelio e la sua parte sommitale
di Castelsecco, dove sono i resti di un santuario etrusco-romano. Secondo Vincenzo Funghini, a cui dobbiamo le prime indagini negli anni ottanta del XIX secolo, Arezzo e il colle sarebbero stati un tutt’uno. Il muraglione di contenimento dell’area sacra che ancora oggi vediamo, quindi, non sarebbe altro che il residuo di un'immaginaria cinta lunga chilometri che includeva una bella fetta del centro storico attuale, San Cornelio e le zone del Pantano e dei Cappuccini. Alla teoria Funghini dedicò persino una piantina in un libro del 1896. Adesso ci trasferiamo in pieno centro storico per parlare della villa di Ponzio Pilato. Avete capito bene, perché ancora oggi, basandosi su una vecchia tradizione, c’è chi sostiene che via dei Pileati, ovvero il prolungamento di Corso Italia nella parte alta della città, prende il nome da una residenza del più noto prefetto romano in Giudea. In realtà fa riferimento al pileo, il copricapo utilizzato anche nell’antichità dalla forma a cono con la punta arrotondata. Non è chiaro, però, se a indossarlo erano i funzionari dislocati nel Palazzo Pretorio e carcere della città, oggi biblioteca comunale, o se i “pileati” erano i soldati per la forma dell’elmo. Anche Giorgio Vasari non fu esente da “fake news”. Nel suo “Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori”, uscito per la prima volta
nel 1550, l’artista e storiografo scrisse per primo le biografie dei grandi artisti dal Duecento ai suoi giorni. Un’impresa coraggiosa con gli strumenti a sua disposizione e perciò soggetta a errori nelle attribuzioni delle opere. Riguardo il patrimonio locale viene da pensare, tuttavia, che la scelta di certi nomi altisonanti nelle assegnazioni fu dettata anche dal desidero di far apparire importante la sua città agli occhi di chi leggeva. Ecco che il campione della pittura gotica, Giotto, lo troviamo a lavorare nella Pieve per il “San Francesco” e il “San Domenico”, oggi aggiudicati all’aretino Andrea di Nerio, oppure al “Crocifisso” della Badia e al disegno per il “Cenotafio di Guido Tarlati” nel duomo, in verità entrambi di artisti senesi. Veniamo infine a un episodio di cronaca nera, la strage del 28 giugno 1799 a Siena, dove tredici ebrei furono trucidati durante i tumulti scaturiti per i moti antifrancesi del Viva Maria. A lungo circolò la notizia che gli orrendi delitti erano stati perpetrati dalle bande aretine, arrivate a Siena per liberare la città dall’occupante. Come hanno rivelato le ricerche d’archivio degli ultimi anni e il recupero di preziosi documenti, la strage fu invece compiuta dalla teppaglia senese, che approfittò del caos per giustiziare brutalmente coloro che venivano considerati ricchi e filogiacobini.
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