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UP ATTUALITÀ

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I NOSTRI NONNI DA PROTEGGERE

LA FASCIA DEGLI OVER 70 È QUELLA PIÙ FRAGILE E HA BISOGNO DI ESSERE TUTELATA PIÙ DELLE ALTRE, NON SOLO DA UN PUNTO DI VISTA SANITARIO

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MA ANCHE PER PRESERVARE IL BAGAGLIO CULTURALE CHE GLI ANZIANI P ORTANO IN DOTE. LO SA BENE MARIA PAOLA PETRUCCIOLI, PRESIDENTE

DELLA CASA DI RIP OSO “ VITTORIO FOSSOMBRONI” DI AREZZO:

“CURE DOMICILIARI E INTERVENTO RESIDENZIALE SONO SEMPRE PIÙ FREQUENTI PER LA TERZA E LA QUARTA ETÀ. ALLA P OLITICA CHIEDIAMO MENO BUROCRAZIA E PIÙ SOSTEGNO”

DI MARCO BOTTI

“U n vecchio che muore è una biblioteca che brucia”. Quante volte avrete sentito ripetere la frase in queste settimane di emergenza da Covid-19? Un proverbio africano più attuale che mai, perché la malattia colpisce nelle sue forme più violente soprattutto gli over 70, con percentuali mortali impressionanti per chi ha superato gli 80 anni. Le case di riposo rientrano di conseguenza – e non poteva essere altrimenti – tra i luoghi che vengono monitorati con maggiore attenzione. Siamo andati a incontrare Maria Paola Petruccioli, dal 2017 presidente della Casa di Riposo “Vittorio Fossombroni” di Arezzo, che in questo periodo è alle prese con la gestione ordinaria e con le misure straordinarie adottate per contrastare la diffusione del coronavirus. Come stanno vivendo l’emergenza sanitaria i vostri ospiti? Dalla fine del mese di febbraio abbiamo ridotto drasticamente le entrate da parte di soggetti esterni alla struttura, comprese quelle di parenti e amici, fino a sospenderle del tutto. Sono state interrotte anche le uscite degli utenti autosufficienti, poiché abbiamo dato priorità alla salute di tutti, consapevoli del sacrificio che stiamo chiedendo. Nonostante le restrizioni adottate, le persone hanno compreso lo stato di emergenza che il Paese sta vivendo e hanno accettato in silenzio, con grande dignità la situazione. Il modo in cui gli ospiti stanno affrontando questo drammatico periodo è esemplare e fa riflettere.

Un ospite all'interno della casa di riposo Vittorio Fossombroni; nelle pagine seguenti, la presidente Maria

Paola Petruccioli e i controlli anticontagio all'ingresso dell'istituto

E gli operatori? Sono encomiabili. A turno e ridotti numericamente, si fanno carico dell’assistenza sanitaria, dell’animazione, della fisioterapia. A loro va il nostro profondo e sincero ringraziamento per il lavoro che stanno svolgendo con dedizione e grande umanità. Una rete di solidarietà, fatta di tanti soggetti, si è mossa in aiuto alla casa di riposo. Confermo e ritengo doveroso parlare dell’affetto e dell’attenzione che privati,

aziende, associazioni, quartieri, stanno mostrando nei confronti della casa pia. La città sta rispondendo egregiamente ai nostri appelli. L’attenzione, sotto forma di uova di cioccolata, colombe pasquali, formaggi, olio, vino, dolciumi, senza dimenticare i fondamentali gel igienizzanti e mascherine, fa sentire agli ospiti e a chi opera al loro fianco che non sono soli, anche se costretti all’isolamento per la salvaguardia della loro salute. Quante persone state ospitando attualmente?

La struttura eroga prestazioni di assistenza socio sanitaria e servizi alberghieri in favore di 80 utenti residenziali. Ci sono 62 non autosufficienti e 8 autosufficienti, ma sempre con problemi di demenza senile o patologie psichiatriche più o meno importanti. A loro vanno aggiunti i 10 ospiti del servizio diurno, attualmente sospeso per l’emergenza sanitaria, che è utile per quelle famiglie che non hanno la possibilità di accudire i propri cari durante il giorno. Questa prestazione garantisce anche assistenza

infermieristica alla persona, nonché l’e- secuzione di attività motorie, di socializ- zazione e culturali. Un'aspettativa di vita sempre più alta implica un aggiornamento con- tinuo dei servizi. L’assistenza agli anziani, soprattutto se non autosufficienti, è una delle proble- matiche più consistenti del servizio sani- tario nazionale. L’offerta delle cure do- miciliari non è sufficiente per rispondere alle esigenze. Le difficoltà da parte delle famiglie e la gravità dei casi impongono spesso l’utilizzo dell’intervento residen- ziale. La “residenza sanitaria assistenzia- le” si colloca frequentemente nel ruolo intermedio tra la funzione ospedaliera e quella domiciliare, come risposta alla maggiore complessità degli anziani che richiedono ricoveri con tempi brevi di tipo riabilitativo o degenze di assistenza e mantenimento a media e lunga durata. E domani che succederà? In considerazione del fatto che ormai

“ascoltare gli anziani è un'occasione per apprendere, è un ricordare emozionandosi ed emozionando”

si parla non solo di terza ma anche di quarta età, con il conseguente aumento di domande d’assistenza, la Regione non potrà che adottare politiche sempre più a sostegno di realtà come la nostra in termini economici, al fine di garantire la qualità e l’efficienza dell’offerta. Da quando è diventata presidente, cosa è cambiato alla casa pia di Arezzo? Le idee sono state tante. Alcune siamo riusciti a realizzarle, altre sono in fase di completamento. Siamo partiti da un obiettivo principale: aprire questa realtà alla città per combattere l’isolamento degli ospiti. Lo abbiamo fatto attraverso una serie di iniziative culturali che hanno coinvolto soggetti esterni, in particolare giovani, consentendo così agli utenti di sentirsi parte di una collettività, di ricevere attenzioni e cure esclusive, di creare legami diversi da quelli dettati dall’organizzazione quotidiana. Abbiamo inoltre disposto incontri con i familiari e i responsabili delle cooperative affidatarie dei servizi, per coordinare nel migliore dei modi il lavoro e monitorare l’efficacia

degli interventi. La casa di riposo si trova in un complesso storico da adeguare ai tempi. Nel rispetto della sua storia, abbiamo riorganizzato in modo più efficiente e accogliente gli spazi esterni e interni della struttura. Abbiamo ad esempio sistemato il giardino ed eliminato le diverse tipologie di pavimenti, per sostituirli con un unico impiantito idoneo al camminamento con presidi sanitari. Al fine di proseguire nell’adeguamento dell’immobile alle necessità degli ospiti e per poter acquistare un pulmino, abbiamo deciso di mettere in vendita un altro edificio di nostra proprietà. Obiettivi futuri? Abbiamo già presentato il progetto per l’installazione di un altro ascensore. Un’idea ambiziosa che stiamo valutando, ma che richiede ancora un esame approfondito da un punto vista finanziario, è lo sfruttamento dell’immobile di 800 metri quadrati che confina con quello attualmente destinato a residenza, per ampliare il servizio di assistenza socio sanitaria. La nuova procedura di monitoraggio dei crediti che abbiamo adottato, ci consente di non disperdere la liquidità necessaria a far fronte alle ingenti spese che garantiscono le migliori prestazioni e allo stesso tempo di programmare gli investimenti in maniera oculata. Perché è importante tutelare la terza età? Al di là di come il ruolo dell'anziano possa essere visto dalla società e vissuto da ognuno di noi nel proprio privato, rimane il fatto che i nonni sono persone che hanno accumulato esperienze e da queste hanno tratto alcune lezioni. Sono proprio i loro insegnamenti la vera chiave dell'inclusione nella società: ascoltare i racconti di chi ha vissuto più a lungo di noi è uno splendido do ut des, in cui l’individuo in là con gli anni ha l'occasione di riscoprire il proprio valore e di sentirsi utile tramite la propria esperienza di vita. Chi ascolta ha l'occasione di apprendere qualcosa direttamente da chi l'ha vissuto in prima persona; è un ricordare emozionandosi ed emozionando. Gli anziani sono una grande ricchezza da proteggere. Le loro conoscenze e la loro saggezza sono un patrimonio per i giovani, che oggi più che mai hanno bisogno di maestri. Quando l’emergenza sanitaria sarà finita, come ripartirete? Questo periodo drammatico ci ha dato modo di affinare tanti aspetti positivi, quindi ricominceremo sicuramente da quelli e da alcuni cambiamenti migliorativi in termini di organizzazione del lavoro. Ricordo comunque che la nostra struttura è una azienda pubblica di servizi alla persona e pertanto è regolata da una legge generale dello Stato e da una legge speciale della Regione. Entrambi dovranno rivedere, alla luce dell’esperienza, la regolamentazione di questa realtà. Quindi dalla politica cosa vi aspettate? È una domanda che porterebbe ad aprire e approfondire una polemica che non voglio fare, non mi pare il momento. Rispondo sinteticamente dicendo: meno “chiacchiere”, meno burocrazia e più sostegno economico a favore di strutture spesso lasciate sole, ma dalle quali si pretende che garantiscano qualità ed efficienza nell’erogazione di servizi indispensabili alla persona.

| UP INTERVISTA | esame di maturità

LEZIONI SOSPESE, DIDATTICA A DISTANZA TRA MILLE DIFFICOLTÀ, IL 6 P OLITICO CHE DIVENTA GIORNO DOP O GIORNO QUALCOSA PIÙ DI UN'IP OTESI. PER STUDENTI E INSEGNANTI È UN PERIODO PIENO DI PUNTI INTERROGATIVI, PER QUELLI DELL'ULTIMO ANNO DI SCUOLE SECONDARIE ANCORA DI PIÙ. A CLAUDIO SANTORI, PER UN TRENTENNIO PROFESSORE DI LETTERE CLASSICHE, E P OI PRESIDE D'ISTITUTO, ABBIAMO CHIESTO LUMI SU COME GESTIRE L'INCERTEZZA. LUI, CHE HA FORMATO GENERAZIONI DI RAGAZZI, CI HA RISP OSTO CITANDO SENECA: “UN TIMONIERE DI VALORE CONTINUA A NAVIGARE ANCHE CON LA VELA A BRANDELLI”

Iprofessori non chiedevano mai se eravamo felici” cantava Luca Carboni, mettendo in musica una cicatrice aperta da sempre. Insegnanti troppo innamorati del loro sapere. E di fronte a loro studenti troppo distratti da un presente in rapida evoluzione. Una carenza di empatia che ha segnato percorsi scolastici, compiti in classe, esami, vite. Poi ci sono le eccezioni: ragazzi che vogliono comprendere, capire e docenti che accorciano la distanza generazionale, culturale, umana, che non sono innamorati soltanto del sapere ma della professione, che sanno trasmettere un sentimento, che li guardi, li ascolti e qualcosa torna indietro. Non subito magari, perché a 18 anni il presente pulsa troppo forte nelle vene e soverchia tutto il resto. Però dopo sì, quando ti volti, rifletti, elabori e metti a fuoco. Claudio Santori era teatrale, passio- nale, riempiva l'aula con le sue braccia lunghe, la gestualità incalzante e la voce scolpita. Classe '44, ha insegnato italiano e latino a Castiglion Fiorentino, a Montevarchi, a Cortona, poi per quasi un ventennio latino e greco al liceo classico “Francesco Petrarca” di Arezzo. Nel 1984, insieme al sindaco Aldo Ducci e al provveditore Luciana Gasbarre, è stato uno dei fondatori del liceo musicale, dove ha tenuto la cattedra di storia ed estetica della musica fino al 1991. Ha formato generazioni di ragazzi, costruito coscienze critiche, guidato centinaia di studenti verso la maturità. In tutti i sensi. Professore, l'anno scolastico è mutilato. Stavolta altro che esame... Che effetto le fa? Brutto. E' un trauma, un evento che non si verificava dal 1944. C'era la guerra allora, c'è la guerra anche oggi.

Fosse capitata a lei una disavventura del genere, cosa avrebbe detto agli studenti? Che un pc non è come un'aula ma va bene lo stesso. Che a fare la differenza è sempre la voglia d'imparare. Che con l'impegno si superano tutti i problemi. Le avrebbero creduto? Lo spero. C'è un testo intramontabile che sto rileggendo in questi giorni di quarantena e che avrei consigliato ai maturandi. Qual è? “Lettere a Lucilio” di Seneca. Chi non ce l'ha, se lo compri: costa meno di una pizza e di una coca cola. Seneca a un certo punto scrive: “un timoniere di valore continua a navigare anche con la vela a brandelli”. Vale per tutti. Alunni e insegnanti sono confinati a casa. A lei che dentro la scuola c'è stato una vita, quale sensazione le suscita: stupore, rabbia, paura, tristezza? Direi un mix di queste cose. L'esame alla fine delle superiori è uno spartiacque della vita, un bivio decisivo. La dicitura ufficiale è esame di stato, ma noi continuiamo a chiamarlo esame di maturità perché non si tratta solo di un diploma. Si cambia status, Pascoli direbbe che si esce dal nido. Ma è ancora attuale questa lettura delle cose? Oppure oggi va diversamente? E' attualissima. Superare l'esame di stato significa libertà, assunzione di responsabilità. Niente più colloqui con i professori, niente più pagelle. Si va negli atenei, si va a lavorare. E' una rivoluzione. Prof, la sento parlare con la stessa veemenza di una volta. Non è cambiato neanche un po'? Sono in pensione e sono segregato a casa per colpa del virus. La differenza rispetto a prima è tutta qui. Per il resto la penso come sempre: la cultura ti aiuta a discernere tra il bene e il male. Il bene oggi qual è? In questo periodo specifico, il bene è il senso civico. Dobbiamo restare a casa. Qualcuno ancora non si è accorto che l'esame di maturità lo sta facendo la natura a ciascuno di noi. E il male? Sottovalutare i problemi del mondo, so

prattutto quelli legati al clima. E illudersi che con la cultura non si mangia. Mai concetto fu più sbagliato. In questi giorni di quarantena, come passa il tempo? Fammi dire che sono in crisi. D'abitudine frequento decine di circoli e associazioni, che adesso hanno tutti sospeso le loro attività. Per me è una condizione insolita, di sofferenza. Almeno si riposa un po'. Prima faceva troppe cose... Insegno all'università della terza età, sono stato socio fondatore dell’associazione degli scrittori aretini “Tagete” e della Società Storica Aretina nonché fondatore e primo presidente della Filarmonica Guido Monaco. Sono anche presidente della Brigata Aretina Amici dei Monumenti. Aristotele sosteneva che l'uomo è un animale sociale, è quello che ho sempre spiegato ai miei allievi. E quindi a casa che fa? Leggo, strimpello il pianoforte, ascolto musica, un po' di tempo lo dedico alle lezioni via social per gli anziani dei miei corsi universitari. Cosa ascolta? Ho quattromila vinili, la scelta è molto ampia. Il mio brano preferito però è il finale della nona sinfonia di Beethoven. Inno alla gioia, scelto come inno d'Europa. In questo momento ha un grande valore simbolico. Consigli per la lettura? L'intro del Decamerone di Boccaccio, il “de rerum natura” di Lucrezio, poi Tucidide, il prologo dell'Iliade del Monti. Devo citare Seneca un'altra volta. Citi pure. “La vita è breve, l'arte è lunga”. Il tempo va speso bene.

#ANDRaTUTTOBENE

L' emergenza coronavirus ha costretto anche gli alunni più piccoli, quelli degli asili e delle scuole primarie, a sospendere le lezioni e restare a casa. Un'esperienza traumatica, vissuta con gli stati d'animo più disparati, ma che ha stimolato la loro fantasia, come al solito molto fervida. Qua potete vedere tre dei quasi 500 disegni che sono stati inviati al Comune di Arezzo e pubblicati sulla pagina Facebook dell'ente. Tutti, rigorosamente, con l'hashtag #andràtuttobene A proposito, lei della didattica online che ne pensa? Una risorsa straordinaria, da tenere in considerazione anche a emergenza finita. Esorto i miei ex colleghi a darci dentro e gli studenti ad approfittare di questa opportunità. Sai che io sono stato un precursore? Le cassette audio? Quelle. Negli anni '70 e '80 le distribuivo alle mie classi, dentro c'erano le lezioni di latino e greco da ascoltare e studiare. Un metodo molto redditizio se gestito con intelligenza. Le mancano gli esami di maturità? Dal punto di vista didattico, ormai non è più un esame: percentuale di promossi del cento per cento o giù di lì. Non mi piace. Quando lo feci io da ragazzo, nel '62, ci spulciavano su nove discipline, scritte e orali. C'era il quaranta per cento di bocciati. Un'esagerazione anche quella. Può darsi. Servirebbe una via di mezzo. In ogni caso, tornando alla domanda, la maturità l'ho vissuta talmente tante volte da studente, da professore e poi da preside, che sto bene così. Quest'anno potrebbe scapparci anche il 6 politico per tutti. Il suo cuore sobbalza? Per me è un pericolo da sventare ed eventualmente dovrà essere l'extrema ratio, anche nel caso in cui gli studenti non dovessero tornare nelle aule prima della fine. Per gli insegnanti mettere a punto delle valutazioni online è molto difficile ma non impossibile. Oggi come definirebbe il rapporto che aveva con gli studenti? Il vero insegnante dovrebbe prima di tutto insegnare ai suoi alunni a stare al mondo, quale che sia la sua materia. La fa facile lei. Nei miei venticinque anni di carriera come docente, e nei venti come preside, ho dedicato ogni cura a combattere tre mostri: l’ignoranza, il fanatismo e la superstizione. Ho fatto del “timeo hominem unius libri” la mia bandiera. Chi ha un solo libro, fatalmente sarà portato a farlo ingoiare agli altri, con le buone o con le cattive. E qui torniamo al concetto di cultura. La mia frase preferita era: “Hanno valore solo le cose che non si possono comprare”. Un oggetto prezioso, se hai

“Un oggetto prezioso, se hai i soldi, te lo compri: la conoscenza no, perché è a disposizione di tutti ma non è in vendita, per cui te la devi sudare” Caludio Santori nel 1984 è stato uno dei fondatori del liceo musicale, dove ha tenuto la cattedra di storia ed estetica della musica fino al 1991

i soldi, te lo compri: la conoscenza no, perché è a disposizione di tutti ma non è in vendita, per cui te la devi sudare. Si ispirava a qualcuno quando insegnava? Diciamo che un modello era Tito Livio, il grande storico romano. A lui non interessava tanto fornire dati minuziosi e precisi, quanto piuttosto trasmettere emozioni, generare entusiasmi che rimanessero nel tempo e condizionassero l’agire. Ecco, io non pretendevo che i miei studenti sapessero tutto sull’aoristo primo, secondo e terzo o sul periodo ipotetico, ma che penetrassero il senso profondo di un verso di Lucrezio, di una frase di Demostene, di una scena di Sofocle e ne ricavassero un’emozione. Questione di empatia allora. L’empatia nasce spontaneamente dal contatto quotidiano e dall’esempio. Il vero professore deve catturare l’attenzione, ma senza essere simpatico di maniera o per forza. Deve comunque rimanere professore e non giocare a fare l’amico: una raccomandazione che non è mia, ma di Platone. Aneddoti? Io sono sempre stato un tipo tranquillo. Ogni tanto però facevo il pazzo: al classico una volta rovesciai la cattedra per terra, c'era troppo casino. Ottenni il silenzio stupefatto degli studenti. La quinta G dello scientifico la feci stare una mattinata intera in piedi, senza sedie e senza banchi, per punizione. Agli esami molti di quei ragazzi presero il massimo dei voti. Da preside, invece, non riuscivo a gestire un collegio docenti infuocato: dovetti salire sopra il tavolo e sgolarmi con delle urla belluine. Tornò la calma. Prof, domani come sarà? Quando finalmente le aule torneranno a riempirsi, sono convinto che gli insegnanti riprenderanno il lavoro con un big bang di entusiasmo e di energia, perché questa esperienza non potrà non averli segnati nel profondo. Cito Ungaretti per chiudere: nella scuola, e anche nella società, “ritornerà scintillamento nuovo”.

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