magazine arezzo NUMERO 09 estate 2019 UP LUOGHI colle del pionta up arte theatrum mundi up dance flash kidz
enzo ghinazzi Successo Evergreen
sommario
ENZO GHINAZZI
20 | UP ARTE |
THEATRUM MUNDI
30 | U P DA N C E |
FLASH KIDZ
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COLLE DEL PIONTA | U P I N S TA G R A M |
AREZZO D'ESTATE #UPMAGAREZZO
| UP PEOPLE |
NORINA VIERI
LA MIA MUSICA, LA MIA VITA
3 | UP PEOPLE |
FABRIZIO SIMONCIONI L'ARTE DI SAPERSI REINVENTARE
| UP ECCELLENZE |
L'IMPRESA PREZIOSA DI FADI
| U P G U STO |
ITALIAN TASTE COOKING SHOW
| U P C U R I O S I TÀ |
MONUMENTO A FERDINANDO III DI LORENA
\ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2019
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| UP COPERTINA |
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| UP LUOGHI |
| magazine arezzo Redazione e Amministrazione Atlantide Audiovisivi srl Via Einstein 16/a – Arezzo Tel. 0575 403066 www.atlantideadv.it
Anno III – N° 9 Estate 2019 Direttore Responsabile Cristiano Stocchi Vice Direttore Maurizio Gambini Redazione Andrea Avato, Chiara Calcagno Mattia Cialini, Matilde Bandera, Marco Botti Art Director Luca Ghiori Fotografie Lorenzo Pagliai Cristiano Stocchi Si ringrazia Paolo Pasquini Angelo Trani Giulio Cirinei Aurora Giorni Stampa Grafiche Badiali - Arezzo Partners
UP EDITORIALE
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L’ESTATE DI UP FRESCA E RIGENERANTE F
resco e rigenerante questo numero di Up, l’ideale per neutralizzare la calura estiva. Le pagine che seguono sono molto pop, come d’abitudine ormai. Un anno fa sulla nostra copertina campeggiavano i Negrita, stavolta abbiamo scelto un personaggio capace di cavalcare l’onda del successo da oltre quarant’anni: Pupo è qualcosa di più di un aretino che ce l’ha fatta, è il simbolo delle mode che non passano, un evergreen che continua a dispensare concerti, vitalità e buonumore. Il suo rientro in grande stile sul palcoscenico della Rai, con la fortunata trasmissione “Un’estate fa”, ha monopolizzato l’inizio di luglio e segnato un’altra tappa significativa della sua lunghissima carriera, ripercorsa con una vivace chiacchierata nella nostra redazione. Pupo è perfetto anche come apripista per il giornale e per il sommario multicolor di questo numero, in cui Luca Cableri e il suo Theatrum Mundi, nel cuore di Arezzo, rappresentano un mix di follia, stravaganza e spettacolarità.
Leggete e poi, come è successo a noi, resterete a bocca aperta. Up vi propone un intreccio di storie speciali, fatte di grandi passioni, di vita vissuta, di entusiasmo, di scintille scoccate al momento giusto. La musica accomuna Norina Vieri e Fabrizio Simoncioni, due che si sono fatti un nome percorrendo strade diverse. Dal magazine deborda l’energia dei Flash Kidz, si percepisce la lucida follia di Fadi Raslan nel rincorrere un sogno, traspare il talento dei fratelli Lodovichi. E poi i nostri luoghi del cuore, spiegati e raccontati per capirli meglio: come il colle del Pionta, angolo tra i più ricchi di storia e di fascino in città. Insomma, su di noi, riprendendo il primo titolo che troverete, non ci sono nuvole. E non solo perché è estate. Buon Up a tutti!
In copertina Enzo Ghinazzi Up Magazine Arezzo è stampato su carta usomano che conferisce naturalezza e stile al giornale. In questo numero per la copertina abbiamo scelto il PANTONE 809 C
maurizio gambini
Direttore responsabile
cristiano stocchi
Reg. al tribunale di Arezzo il 12/06/2017 N° 3/17
Vice-direttore
Up Magazine Arezzo è una rivista a distribuzione gratuita
Redazione
chiara calcagno
Redazione
mattia cialini
Redazione
Andrea Avato
REDA ZIONE francesco fumagalli
Tipografo
lorenzo pagliai
Fotografo
marco botti
Redazione
Luca Ghiori
Art-Director
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matilde bandera
Redazione
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UP COPERTINA
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su di me nemmeno una nuvola DI ANDREA AVATO
A
settembre compie 64 anni e non glieli daresti mai. Pupo di nome e di fatto, nomen omen dicevano i latini. Allegro, scanzonato, sorridente, vitale, Enzo Ghinazzi è arrivato giovanissimo al top
della carriera, ha toccato il cielo ed è rimbalzato giù in mezzo alla polvere. Ne ha mangiata tanta ma non si è arreso, finché la gimkana della vita lo ha sparato in alto un’altra volta, addirittura più su di prima. Quando si accomoda al tavolo per l’intervista con Up, è appena rientrato dalla Russia e sta per partire verso il
Kazakistan: Pupo giramondo, rubacuori, cantastorie, purosangue a modo suo. Nato, cresciuto, vissuto e restato a Ponticino, provincia di Arezzo, nonostante le sirene del jetset cantassero da più parti. Perché? Perché ho fatto una scelta presuntuosa, da giocatore d’azzardo. Alla fine ho avuto ragione. Però Milano, Roma… Macché. Vuoi mettere l’affetto che ho a casa mia? Vado al bar e gioco a carte con gli amici di sempre. Nessuno mi stressa, nessuno mi rompe. Lì sono Enzo,
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ALLEGRO, SCANZONATO, SORRIDENTE, VITALE: A SETTEMBRE COMPIE 64 ANNI E NON LI DIMOSTRA. CONTINUA A GIRARE IL MONDO PER I CONCERTI, A GODERSI IL SUCCESSO RICONQUISTATO DOPO IL PRIMO BOOM E UNA CADUTA ROVINOSA, STRITOLATO DAI DEBITI ACCUMULATI PER IL GIOCO D’AZZARDO. AD UP HA RACCONTATO IL SUO PERIODO DIFFICILE E QUELLO DI GLORIA, LA FAMIGLIA ALLARGATA E IL RAPPORTO CON DIO, LA RINUNCIA AL POKER E ALLE AVVENTURE D’AMORE, FINO ALLA SCELTA DI NON TRADIRE LE RADICI E CONTINUARE A VIVERE A PONTICINO. NON UN’INTERVISTA, MA UNA CHIACCHIERATA IN LIBERTÀ CON ENZO GHINAZZI, IL PUPO DELLA CANZONE ITALIANA: “IL MIO UNICO DESIDERIO È CHE TUTTO RESTI COM’È ADESSO, IL PIÙ A LUNGO POSSIBILE”
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non sono Pupo. Mai avuta la tentazione di traslocare altrove? Tante volte. Restare nella mia terra, con le amicizie di una vita, mi è costato fatica, sofferenza. Nel 1983 comprai l’albergo e mezza Ponticino, avevo società ovunque. Chi da piccino mi dava del coglione, in quel periodo era passato a darmi del lei. Ma io lo sapevo che mi aspettavano al varco, avvertivo un alone di sospetto in quel modo di fare. E infatti… Un bel giorno mi ritrovai con sei miliardi di debiti, tutte le proprietà pignorate. Quando sei circondato dai guai, vivere dove tutti ti conoscono non è facile. La mattina alle 4 mi mettevo a sedere sulle scale del tribunale in piazza Grande, per vedere se qualcuno veniva a comprare la mia casa all’asta. Sembravo un barbone, ero uno che aveva giocato e perso tutto. Un uomo resta più segnato dalla ricchezza o dalla povertà? Io non ho sofferto per la mancanza di soldi. Uno che ha miliardi di debiti vive esattamente come uno che ha i miliardi. Le difficoltà dei rapporti, della vita quotidiana mi hanno segnato e insegnato molto di più. Però poi il successo è tornato. E’ tornato più di prima. Tutta la merda che mi era piovuta addosso è diventata oro. La storia della mia vita è come una canzone: adesso sono un refugium peccatorum per tanti, a Ponticino la gente passa dalla chiesa e da casa mia. Vuole consigli, vuole una speranza, vuole anche soldi. E magari le danno di nuovo del lei. Ora c’è un rispetto diverso. Io sono caduto e mi sono rialzato, questo conta agli occhi della gente. Quando cominciai a cantare, per i discografici ero un prodotto a scadenza, invece sono durato quarant’anni. Molti miei colleghi sono spariti o sono revival. Lei crede nel destino? Mi chiedi se credo in Dio? No, sono ateo. Dio ha un sacco di problemi da risolvere, perché deve pensare a me? Ho fatto anche il chierichetto da bambino, ma che sia tutto scritto non l’ho mai pensato. Anche se non lo direi alle mie figlie: troppi dubbi fanno male. Gli alti e bassi della vita dipendono solo da noi allora.
“Ero “Eroricco ricco eemi misono sono ritrovato ritrovatocon con sei6miliardi miliardi di debiti. debiti Poi Poiililsuccesso successo è tornato è tornato. E anche eililrispetto” rispetto
Sliding doors, in continuazione. Fossi morto quindici anni fa, sarei stato raccontato come uno che ha dilapidato un patrimonio, un folle, un uomo da dimenticare. Invece oggi sono di nuovo Pupo. Conta la buona sorte, ma l’abilità, il lavoro che fai su te stesso contano di più. Come nel poker. Bravo. Chi pensa che il poker sia solo fortuna, sbaglia. Io sono stato uno dei migliori pokeristi d’Italia, Ramazzotti voleva sempre giocare con me e perdeva regolarmente. Poi s’incazzava. E io gli dicevo: non è fortuna, Eros. E non baravo. Mai barato? Una volta. Portai via quasi venti milioni a uno che aveva vinto a carte con mio padre mentre era brillo. Qualche tempo dopo glieli ho ridati. Quant’è che non gioca a carte? Diversi anni. A un certo punto ho rinunciato al gioco e alle donne, ho smesso dall’oggi al domani come si smette di fumare. Erano due passioni, due vizi. C’è voluta pazienza, patimento, ma poi la rinuncia diventa un trionfo. Lei tradiva? Tradivo perché fa parte dell’amore, dell’essere umano. Ho avuto tante donne, sì. A proposito di donne. Della sua famiglia allargata si sarà scocciato di
parlare… Ma no, l’ultima volta mi hanno dato cinquantamila euro per parlarne. Nel programma di Barbara D’Urso. Esatto. Io non ho problemi a raccontare, non ho segreti con Anna, mia moglie, né con Patricia, la mia compagna: viviamo bene e dopo trent’anni, questo è il nostro fiore all’occhiello, la nostra oasi. Chiedimi se consiglierei una roba del genere. La consiglierebbe? No, non è facile incontrarsi in tre, è un progetto che si costruisce giorno dopo giorno in mezzo a mille difficoltà. Per fortuna ho la famiglia più equilibrata del
PALLONE AMARANTO E VIOLA
mondo, comprese le mie tre figlie. Perché Barbara D’Urso non ha mai ammesso il vostro flirt? Non lo so, però ha perso la causa che ne venne fuori. E comunque Barbara è la numero uno nel suo mestiere perché, a mio avviso, è ambigua proprio come la televisione che fa. Capito. Senta, c’è un luogo di Arezzo che la rimette in pace con il mondo? Come tutti gli atei, sono attratto dalle chiese. E come tutti gli appassionati del bello, mi emoziona l’arte antica. Vado spesso in Duomo, ma il mio angolo di città è Santa Maria delle Grazie. Davanti
all’altare di Andrea della Robbia ci passo le ore. In cosa si sente aretino, lei che ha girato il mondo? Mi sento aretino per il sarcasmo, direi anche per il cinismo. Ma io sono soprattutto toscano: tifo Arezzo e Fiorentina, cioè guelfi e ghibellini. Per qualcuno è impossibile conciliare le due cose. Ho indagato: la mia famiglia era fiorentina, guelfa, mandata in esilio ad Arezzo, dai ghibellini. Tutte cose che ho studiato dopo la scuola. Con i libri non andava d’accordo?
Pupo cantante, cantautore, paroliere, presentatore, showman, attore, doppiatore. Ma soprattutto Pupo tifoso di calcio. Un amore sbocciato da ragazzino che ha resistito alle intemperie della vita. Arezzo e Fiorentina le sue squadre del cuore, alla faccia del campanile, della rivalità e di Campaldino. “Mio padre mi portava a Campo di Marte, al vecchio stadio Mancini. Lì ho iniziato a seguire l’Arezzo e non ho smesso più. Anzi, nel 1982 ho scritto Canzone Amaranto, che ancora oggi è l’inno della squadra. L’anno scorso, quando la società stava per scomparire a causa dei debiti, ho raccolto circa cinquantamila euro: un po’ erano soldi miei, un po’ erano soldi di amici. E abbiamo salvato il calcio in città. Peccato non essere riusciti a salire in B, ci riproveremo l’anno prossimo. La Fiorentina è l’altra mia passione. Mi spiace che i Della Valle abbiano lasciato in mezzo alle polemiche, spero che Commisso adesso possa lavorare sereno. Gli avevo suggerito di prendere Gattuso come allenatore: sono calabresi, sarebbero andati d’accordo”. Non solo spettatore però, Pupo il calcio l’ha giocato con la Nazionale Cantanti, di cui è stato uno dei fondatori e presidente dal 2007 al 2010. Poi, tre anni fa, l’ultima partita a Jesi: “Sono andato verso il pallone, ho avuto un capogiro e ho calciato l’aria. Una figuraccia, la gente si è messa a ridere pensando l’avessi fatto apposta. Invece da quel giorno non ho rimesso piede in campo. Ruggeri se non gioca sta male, io sono stato male per giocare. Adesso il calcio solo in tivù”.
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“La musica di oggi è mediamente valida mediamente piacevole mediamente inutile Mancano le belle canzoni 11
Sai che mi sarebbe piaciuto fare il sindaco di Arezzo? Addirittura. Sì, ma non mi proporrò mai, anche se qua c’è la parte migliore della mia vita. Per fortuna l’Europa è in crisi culturale, il mercato globale sta portando un grande freddo. Il caldo si trova intorno ai piccoli fuochi delle comunità locali e del senso d’appartenenza. Da noi, come da altre parti, servirebbe una classe politica illuminata che comprendesse cos’ha veramente in mano. Arezzo non può non diventare la città della musica. Quanti concerti fa in un anno? Un centinaio, soprattutto in Europa, nord America, Australia. Ho canzoni famosissime in Asia e sconosciute in Italia. L’orecchio esperto di Pupo cosa suggerisce riguardo la musica di oggi? Che è mediamente valida, mediamente piacevole e mediamente inutile. Non
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Ho fatto un anno di ragioneria e tre di liceo scientifico. Poi ho cominciato a suonare la chitarra e ho smesso. Per amore della musica. No, per amore delle donne: la chitarra mi serviva a quello. I piccoli hanno più testosterone degli altri, io non faccio eccezione. In ogni caso da Arezzo ho assorbito anche la scarsa attitudine ai compromessi: non sono mai andato contro la mia natura, non sono comprabile con i soldi, solo con la gentilezza. Per fare i reality mi hanno offerto contratti d’oro, ho sempre detto no. Non scendere a compromessi è un pregio o un difetto? Gli aretini sono persone concrete, sono legati al senso pratico della vita. Anche quelli che hanno avuto fortuna, non hanno saputo trasformare la ricchezza economica in benessere, in qualità della vita per la città. Questo è un difetto. Parla per esperienza personale? Ti racconto questa. Il sindaco era Fanfani, volevamo portare alcune prime serate della Rai in città. Facemmo una riunione con gli sponsor e la risposta che ci dettero gli imprenditori locali fu: “sì, ma Arezzo cosa mi offre in cambio?”. Non se ne fece nulla, purtroppo il do ut des è religione, senza una merce di scambio non si muove foglia. Magari questi spendono centinaia di migliaia di euro per la macchina nuova ma non ne danno mille per salvare l’Arezzo calcio dal fallimento. La politica ha fatto quel che poteva, ha fatto poco o ha fatto danni?
posso dire che in giro ci sia roba brutta, però all’estero ancora chiamano me, Toto Cutugno, Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Andrea Bocelli, i Ricchi e Poveri. Vuol dire che grandi novità non sono arrivate. Lei che musica amava? Io sono cresciuto con Battisti, Tenco, Gaber. Oggi ascolto di tutto, anche Ghali, Fedez, J-Ax: hanno testi divertenti, aspetto che qualcuno scriva belle canzoni però. Un anno fa la copertina di Up era dedicata ai Negrita. Cosa ne pensa? Non è il mio genere, non li ascolto granché come loro, probabilmente, non ascoltano le mie canzoni. Però
Pupo riceve il premio "Civitas Arretii" nella sala del consiglio comunale di Arezzo dal sindaco Alessandro Ghinelli
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sono bravi, sono i miei fratellini, hanno un perché. In copertina avete messo un sacco di amici miei. Cioè? Ivana Ciabatti, gran donna. Beppe Angiolini. Ecco, lui e il suo negozio sarebbero perfetti per l’Arezzo che ho in mente io. Un po’ meno per l’Arezzo di oggi. Poi? Ho letto l’intervista di Mauro Valenti. Il suo progetto musicale era valido, poteva essere sviluppato, anche se non portava proprio un turismo proprio big spender. L’anno prossimo lei e Alessandro
PUPO ZAR DI RUSSIA Qualche anno fa si mise davanti a una telecamera e registrò un messaggio di auguri per il compleanno di Vladimir Putin, accolto con grande piacere dal destinatario. Pupo in Russia è una star di primo livello, i suoi concerti sono bagni di folla e la sua popolarità non conosce crisi. Ma anche nelle repubbliche dell’ex Unione Sovietica va alla grande: esistono foto e video che lo immortalano mentre si esibisce in Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan. Perfino in Mongolia è andato a cantare, flirtando con il pubblico come non mai. Pupo è apprezzato dagli anni ’80, quando “Gelato al cioccolato”
Cattelan sarete i conduttori di Sanremo. Verità o bugia? Cazzata. Però è vero che fare il direttore artistico del festival è uno dei miei obiettivi. Il lavoro di Baglioni in quel ruolo le è piaciuto? Ci sa fare, è una persona colta, artista di livello, ma non sa scegliere le canzoni. A lei riuscirebbe? Al festival servono canzoni d’autore. “Sarà perché ti amo” l’ho scritta a Ponticino, a Milano, a Londra: c’è voluto tempo, va studiato il suono, va studiata
fu il passepartout per un mercato nuovo e tutto da scoprire. Il gruppo di italiani che hanno fatto bingo nel mondo dell’est non è vastissimo: Enzo Ghinazzi, Toto Cutugno, i Ricchi e Poveri, Al Bano. Loro ancora si godono l’onda lunga di un successo senza fine, legato in qualche modo alla perestrojka di Gorbaciov: quando venne sdoganata la musica straniera, anche gli italiani passarono all’incasso (in tutti i sensi) e firmarono la colonna sonora dell’emancipazione. Negli ultimi mesi, in seguito alle tensioni politiche tra Russia e Ucraina, si era diffuso il timore di un embargo di Kiev per gli artisti troppo vicini a Putin, compreso Pupo. Invece no, come testimoniato dal concerto di Odessa del 26 luglio. Nuvole non ce ne sono nemmeno là.
la melodia. Le canzoni non nascono per ispirazione, si costruiscono. Anche “Nel blu dipinto di blu” è stata progettata a tavolino. Il ritorno in Rai è stato una rivincita per lei? Un po’ sì. Carlo Freccero, direttore di Rai Due, mi ha voluto fortemente. Dopo che mi avevano proposto Ballando con le stelle, Sanremo Young e altre robe assurde, stavolta ho accettato. “Un’estate fa” è un programma nazional popolare che mi è piaciuto. Sono passate due ore. Dobbiamo salutarci. Ho parlato come si fa tra amici, scrivilo che è stata una chiacchierata più che un’intervista. Mi dica solo se ha ancora un traguardo da tagliare per la sua carriera, per la sua vita. La mia scommessa l’ho fatta a suo tempo. Oggi il mio unico desiderio è che tutto resti com’è adesso, il più a lungo possibile. Su di lei, nemmeno una nuvola. Preciso. Sono a posto così.
FORTI PASSIONI, IDEE VINCENTI, UN PIZZICO DI FOLLIA. \ UP \ UP MAGAZINE MAGAZINE AREZZO AREZZO\ PRIMAVERA \ INVERNO 2019
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seguici
marketing & comunicazione V I A
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UP LUOGHI
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colle del pionta 14 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2019
SPLENDIDO POLMONE VERDE DELLA CITTÀ, NE ACCOMPAGNA DA SEMPRE LA STORIA. DAI REPERTI RITROVATI QUI, È STATO POSSIBILE RICOSTRUIRE LA VITA DI AREZZO NEL CORSO DEI SECOLI, DAL NEOLITICO FINO AI GIORNI NOSTRI. PURTROPPO OGGI, A FRONTE DI UNA RIQUALIFICAZIONE AMBIENTALE E SOCIALE DELLA ZONA, GLI SCAVI SONO FERMI, CON LA COLLINA CHE CUSTODISCE ANCORA CHISSÀ QUANTI E QUALI TESORI DI MARCO BOTTI
Geolocalizzazione Situato a sud-ovest del centro storico, il colle del Pionta è uno splendido polmone verde che accompagna da sempre la storia di Arezzo. La frequentazione dell’uomo nella zona è antichissima. Pensate che nella vicina collinetta del Maccagnolo sono stati ritrovati reperti risalenti al neolitico. Dalla fase etrusca sono giunti a noi oggetti legati a un’area votiva, tra i quali un bronzetto di atleta, delle terrecotte architettoniche e ossa umane facenti parte di una necropoli. Anche per il periodo romano sono state recuperate testimonianze da riferire a un sepolcreto. Lo strano nome, invece, deriverebbe dal germanico “biunda”, che fa riferimento a un terreno recintato.
La tomba di San Donato Secondo la Passio Sancti Donati, forse scritta quando eravamo già in epoca longobarda, il 7 agosto 362 fu martirizzato il secondo vescovo di Arezzo Donato. Il successore, Gelasio, seppellì le spoglie del futuro santo al Pionta, dove fece realizzare anche un piccolo oratorio. Leggenda o verità, da quel momento la collina assunse un ruolo primario per la città e la sua vasta diocesi. Proseguì l’utilizzo della zona come necropoli. Gli scavi archeologici documentano la presenza di almeno cinque tipi diversi di tombe, collocabili tra il IV e il VII secolo. In una, in particolare, fu scoperto un ricco corredo con gioielli d’oro databile al 650 circa. All’VIII secolo risalgono i documenti che attestano l’esistenza nel colle di una scuola per chierici, mentre intorno all’840 fu fondato il Capitolo dei canonici, ovvero il collegio di sacerdoti e diaconi che vivevano in comunità nei pressi della cattedrale altomedievale di Santa Maria e Santo Stefano.
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I secoli d’oro e la rivoluzione guidoniana Tra il 986 e il 1036 tre vescovi segnarono il massimo splendore del Pionta. Elemperto riedificò la canonica e fece restaurare (o ricostruire) il duomo dell’VIII secolo, incaricando per questo l’architetto Maginardo. Dopo la breve esperienza di Guglielmo, il vescovo Adalberto dal 1014 promosse la realizzazione di una seconda cattedrale a pianta centrale e di forma ottagonale, dedicata a San Donato. Il progetto fu ancora assegnato a Maginardo, che venne inviato a Ravenna a studiare l’architettura di San Vitale. Il successore, Teodaldo, portò a termine il maestoso progetto e consacrò il nuovo tempio il 12 novembre 1032 con la traslazione delle spoglie del santo dal piccolo oratorio paleocristiano. Eravamo nel periodo d’oro della cittadella vescovile, la cui vitalità culturale veniva ribadita dalla presenza del monaco pomposiano Guido d’Arezzo, che sotto la protezione di Teodaldo sviluppò le sue straordinarie innova-
zioni in campo musicale. Dal 1052, con Arnaldo, i vescovi aretini acquisirono dall’imperatore Enrico III anche il titolo di “conti”, legittimando un’influenza politica già forte.
Il lento e inesorabile declino Con l’ascesa del libero Comune di Arezzo cominciarono i problemi. Il complesso del Pionta subì danneggiamenti nel 1110 e 1129. Nel 1203, papa Innocenzo III ordinò il trasferimento dentro le mura cittadine della cattedrale, della sede vescovile e della canonica. Pur rimanendo meta di pellegrinaggio, il colle perse così il suo ruolo centrale. Non mancarono i saccheggi, come quello perpetrato dai perugini con l’irruzione del 12 novembre 1335. Il luogo, con la sua conformazione fortificata, divenne anche posto di rifugio per sbandati ed eserciti nemici. Nel 1554, ad esempio, l’esercito della Re-
pubblica senese al comando di Piero Strozzi si accampò con le sue truppe nella collina. Questo fu l’episodio che convinse Cosimo I dei Medici a ordinare la demolizione dell’intero complesso per motivi di sicurezza. Nonostante le suppliche del popolo aretino, lo smantellamento iniziò il 21 ottobre 1561 e in un documento del 18 agosto 1563 si diceva che la completa distruzione era ormai “intervenuta”. Inutile ricordare il danno incalcolabile per la storia e l’arte aretina che comportò la decisione del sovrano. Nel 1610 il vescovo Pietro Usimbardi fece erigere sulla collina, in memoria della cittadella, un piccolo oratorio dedicato a Santo Stefano.
Cosa si è salvato dallo scempio del 1561 Nonostante il progressivo abbandono del Pionta, gli artisti continuarono ad arricchire di opere i luoghi di culto che impreziosivano l’area.
che vanno dalla seconda metà del XIII secolo alla Seconda guerra mondiale, visto che fu usato anche come rifugio antiaereo.
Dopo la distruzione cinquecentesca, si tornò a guardare con interesse al Pionta solo alla fine dell’Ottocento, quando fu decisa la costruzione nell’area del Manicomio provinciale. Le prime palazzine furono inaugurate nel 1901 e tre anni dopo venne nominato come direttore Arnaldo Pieraccini, figura basilare per la neuropsichiatria italiana del Novecento. Egli strutturò il complesso aretino come una cittadella indipendente all’avanguardia e rimase al suo posto fino al 1950. A lui successero Marino Benvenuti, in carica fino al 1971, e Agostino Pirella, ultimo direttore del complesso che chiuse i battenti nel 1989. La Legge Basaglia del 1978, difatti, aveva disposto la graduale abolizione dei manicomi italiani. A metà degli anni Novanta l’Università di Siena fece ristrutturare i locali abbandonati per trasferirvi la sede aretina della Facoltà di Lettere e Filosofia. Il Pionta divenne così l’odierno campus.
Un nuovo millennio pieno di speranze
Le campagne di scavo novecentesche Dal secondo Novecento si cominciò a riparlare anche della gloriosa cittadella vescovile. Gli scavi degli anni Sessanta e Settanta portarono alla luce i resti della cattedrale di Santa Maria e Santo Stefano e molti reperti rinvenuti sono visibili oggi all’interno dell’oratorio seicentesco. Lì si possono ammirare frammenti scultorei, epigrafi funerarie paleocristiane e parti di preziosi mosaici a tessere bianche e nere, risalenti ai secoli XI e XII, raffiguranti animali e motivi geometrici. Dalle scalinate laterali all’altare maggiore si accede alla cripta, un ambiente ipogeico anteriore alla costruzione della chiesa, ancora da decifrare sotto vari aspetti, incluso il suo orientamento inverso rispetto all’edificio attuale, che lo designerebbe come parte sopravvissuta di un luogo di culto più antico. Che siano i resti del Tempio di San Donato? Al suo interno si segnalano graffiti e scritte. Solo perlopiù nomi di persona
Nel settembre 2001 le indagini ricominciarono grazie all’Università di Siena, con l’obiettivo di fornire una migliore lettura storica e stratigrafica del sito. Furono aperte nuove aree di scavo e in seguito venne allestita una esposizione coi risultati al Museo archeologico “Gaio Cilnio Mecenate”. Dopo quella fase, la cronica mancanza di fondi statali da destinare all’archeologia lasciò tutto fermo fino al 2016, quando l’Associazione Culturale Academo “Roberta Pellegrini” diretta da Mauro Mariottini, nuova concessionaria per gli scavi, intraprese delle ricerche col georardar, in collaborazione con l’Università di Southampton, degli studi ricostruttivi digitali con il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e nuove campagne archeologiche in collaborazione con l’Università Tor Vergata di Roma. Le concessioni sono state rinnovate anche nei due anni successivi, garantendo un triennio proficuo, come si evince dalle relazioni di fine scavo oggi a disposizione di studiosi o di chiunque voglia approfondire l’argomento. Attualmente l’associazione si è presa una pausa di riflessione per capire quali scelte intraprendere in futuro, considerato che il sostegno delle istituzioni, purtroppo, finora c’è stato solo a parole, come ribadisce un amareggiato Mariottini. Un vero peccato, perché dopo oltre mezzo secolo dai primi scavi, la collina è ancora in gran parte da indagare e sotto custodisce i resti della cittadella e del tempio progettato da Maginardo quasi mille anni fa. Di buono c’è che Comune, forze dell’ordine, associazioni e singoli cittadini stanno intervenendo finalmente per la riqualificazione del Pionta da un punto di vista ambientale e sociale, dopo che per troppo tempo gli episodi di degrado e microcriminalità hanno riempito ogni giorno le pagine di cronaca.
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Giorgio Vasari, nelle sue Vite del 1568, ci parla di interventi pittorici di autori del calibro di Margarito d’Arezzo, Buffalmacco, Giotto, Gaddo Gaddi, Iacopo del Casentino, Spinello Aretino, Parri di Spinello e Bartolomeo della Gatta. Dal colle è probabile che provengano i tre splendidi Crocifissi lignei medievali, oggi custoditi nel Museo diocesano, e il San Sigismondo di fine Duecento in marmo cipollino al piano terreno del Museo d’arte medievale e moderna. A un tabernacolo dell’Annunciazione si fanno riferire alcuni affreschi staccati di Parri di Spinello degli anni Quaranta del XV secolo, anche questi conservati nel museo di via San Lorentino, mentre un affresco di fine Trecento che raffigura la Madonna della rosa, attribuito a Spinello Aretino, venne trasferito nella chiesa della Madonna del Duomo dell’attuale via Oberdan. Da non dimenticare infine il cosiddetto Deposito di San Satiro, oggi nella parete destra del duomo di Arezzo, che è un’urna trecentesca sormontata da un sarcofago del IV secolo d.C.
L’ospedale neuropsichiatrico e il campus universitario
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arezzo d'estate up next!
#upmagarezzo | #visionidautunno
Tramonti nelle tonalitĂ del rosa e lilla, giornate lunghissime, la luce del sole che riscalda l'aria e il cuore... L'estate e le sue atmosfere regalano emozioni straordinarie ad ogni ora del giorno. Ne abbiamo raccolte alcune, immortalate nei vostri scatti, in questa gallery e vi invitiamo a continuare a condividere le vostre foto di Arezzo e provincia con #UPMAGAREZZO. Per il prossimo numero selezioneremo i post piĂš suggestivi taggati con #visionidautunno.
18 \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2019
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jacoemme 265 | Piazza Grande Arezzo
mister_g68 866 | Bibbiena
alessio_otelli 111 | Arezzo, italy
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m.comanducci 1482 | Arezzo, Anfiteatro Romano
ale.cla.aroundtheworld 93 | Arezzo, Italy
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UP ARTE
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Posso darti anche la Luna
LUCA CABLERI RACCONTA IL PROGETTO DEL THEATRUM MUNDI, UNA WUNDERKEMMER (STANZA DELLE MERAVIGLIE) NEL CENTRO STORICO DI AREZZO. ALL'INTERNO SONO CUSTODITI SCHELETRI ORIGINALI DI DINOSAURO, STELE EGIZIE, TUTE SPAZIALI, MEMORABILIA HOLLYWOODIANI. E ANCHE UN VERO FRAMMENTO DELLA LUNA. MA NON È UN LUOGO APERTO AL PUBBLICO E VISITARLO È UN PRIVILEGIO PER POCHI DI CHIARA CALCAGNO
Luca Cableri con la tuta del cosmonauta russo Leonid Kyzym indossata nel 1984 durante la missione Sojuz T-10
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orresti la Luna? Be’ io posso fartela toccare”. C’è un luogo magico e segreto fra le vie del centro storico d’Arezzo incastonato fra i maestosi palazzi di via Cesalpino, che ignora i confini dello spazio e gioca con le maglie del tempo, che, accuratamente, custodisce scheletri di dinosauro, stele egizie, tute spaziali, memorabilia hollywoodiani. E anche un vero frammento della Luna. Si tratta di un’autentica wunderkammer, una stanza delle meraviglie. Ne esistono poche al mondo e Theatrum Mundi, per le sue caratteristiche, è unica. L’ideatore e proprietario, Luca Cableri, mescola archeologia, arte classica e primitiva con design contemporaneo. Un’eclettica raccolta di oggetti scovati in ogni angolo del mondo che hanno un solo filo conduttore: il potere di stu-
pire. “Theatrum Mundi può essere visto come una celebrazione delle conquiste e della conoscenza umana; coniuga integrità e rigorosa esperienza con un gusto per il non convenzionale”, spiega sorridendo Luca prima di spalancare il pesante portone in legno. La galleria è allestita nel Piccolo Teatro affrescato da Teofilo Torri, allievo del Vasari. “Quando ho capito che la mia vita sarebbe stata ad Arezzo, ho cercato un posto che rispondesse alle mie esigenze, dove poter esporre e accogliere gli acquirenti. Nel 2014 ho visto questo teatro del '500 e me ne sono innamorato. E’ stato l’architetto Baciocchi, professionista che opera con importanti brand, a curarne i lavori, il design. Lo ha fatto con attenzione e passione, non potrò mai ringraziarlo abbastanza”. Soffitti,
pareti, pavimento sono adornati con oggetti straordinari, destinati ai salotti di compratori in cerca di meraviglie da esposizione. “Qua tutto è in vendita, perché tutto ha un prezzo. Se c’è qualcosa da cui non mi voglio separare, lo porto a casa nella mia collezione privata. Anche se questo comporta dei rischi. Un giorno mia figlia, Matilde, si presentò entusiasta tenendo nelle sue piccole e traballanti mani un globo del '600. Aveva 6 anni e voleva giocarci a palla”. Ogni oggetto ha una storia da raccontare, un’emozione da suscitare. C’è una forchetta da cannibale, una canoa Inuit, un bassorilievo egiziano con i cartigli del faraone Ramses II, un vaso cerimoniale Maya, 4 dipinti di scuola arcimboldesca raffiguranti le quattro stagioni, un incredibile cranio d'ariete morto in un lago salato,
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ricoperto di splendenti e ipnotici cristalli. C’è lo scheletro di uno pterodattilo di 70 milioni di anni, originale al 70-75%. “Ho anche un T-Rex rarissimo, ne vado molto orgoglioso. Ho avuto la testa di un triceratopo, un Allosaurus, un Camptosaurus. In Casentino faccio costruire basi moderne e di design che riescano a mettere in risalto l’opera, facilitandone la vendita”. Luca non ama parlare di cifre ma lo scheletro del più famoso predatore preistorico, il Tyrannosaurus Rex, viene battuto all’asta fra i 5 e i 10 milioni di euro. Una sezione particolare di Theatrum Mundi è quella dedicata allo spazio. “Da piccolo sognavo di fare l’astronauta. E adesso, come allora, l’universo mi affascina e mi rapisce. In un mondo in cui tutto è vicino, tutto è raggiungibile, cosa riesce ancora a sbalordire davvero le persone? Dove risiede l’ignoto con il suo fascino? Nel 2019 ricorre il 50esimo anniversario del primo uomo sulla Luna. Io ho deciso di festeggiarlo a modo mio”. Ed ecco un planetario copernicano manuale firmato da Richier a Commercy e un rarissimo astrolabio planisferico del XIV – XV secolo. E poi una tuta spaziale sovietica pressurizzata, indossata dal cosmonauta russo Leonid Kyzym durante la missione Sojuz T-10 dall’8 febbraio al 2 ottobre 1984. “Un vero eroe.
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La stazione spaziale era bloccata da 70 giorni, lui ha deciso di avventurarsi nonostante i pericoli evidenti e, in 3 giorni, è riuscito a ripararla”. In una teca è custodita una vera roccia lunare e, poco distante, è possibile ammirare anche un frammento di Marte. “Questi pezzi possono essere affittati per eventi e prestigiose feste private. Le persone si emozionano a stringere fra le mani un pezzetto di Luna”. Fra le particolarità della collezione di Cableri, ci sono poi gli Hollywood memorabilia, abiti o materiali di scena di famose pellicole. Come il costume originale di Spiderman usato per il film del 2007, la tuta spaziale indossata da Ben Affleck nel film Armageddon, la maschera de La Cosa del film I fantastici 4, o una ciocca di Chewbecca di Star Wars. Luca Cableri, classe '73, è nato a Cividale del Friuli e cresciuto a Farra d’Isonzo, in provincia di Gorizia. Si è laureato in giurisprudenza a Urbino per seguire le orme dello zio notaio. “Ma l’attività forense non mi interessava così, una volta graduato, ho partecipato a un concorso per entrare da Christie’s a Londra. Incredibilmente l’ho vinto e ho lavorato alla casa d’aste per un anno e mezzo, imparando davvero molto. Ho viaggiato e vissuto all’estero per tanti anni: Tokyo, San Francisco, Monaco di Baviera, Parigi. Visitavo mostre, musei e gallerie cercando l’oggetto più particolare, quello dal significato nascosto, che preservava una storia incredibile da poter raccontare”. La scalinata per arrivare a toccare la Luna si costruisce un gradino per volta. Partendo dal basso.
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“Non voglio specializzarmi in un solo settore voglio appassionarmi a nuovi progetti nuove realtà rompere le barriere creare interesse anche su argomenti inusuali”
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“Ho iniziato dalla strada. Per guadagnare facevo i mercatini: lucidavo ferri da stiro che compravo dai polacchi, ci inserivo vasi di fiori e li vendevo alle fiere. Poi ho lavorato per i collezionisti. L’arte era la mia ossessione, prendevo oggetti in conto vendita e li portavo dove sapevo di poterli vendere. Ero bravo perché osservavo, apprendevo, assimilavo. E leggevo molto”. Tempo e conoscenza. L’acquisto di un prodotto è, per Luca, soltanto l’ultima tappa di un approfondito percorso di studio. Ha oltre 20mila libri nel suo ufficio. “Ho passato vari periodi di interesse: arte classica, medioevo, arte egiziana, precolombiana, pop art, meteoriti, film, dinosauri. Quando qualcosa attira la mia attenzione io mi informo, mi documento, approfondisco per settimane. Infine, forse, compro. All’inizio cerchi di fare il miglior affare possibile: una volta acquistai un frammento di un coperchio di sarcofago egizio, credevo di avere in mano un articolo incredibile invece era una ciofeca”. Il colpo più grosso? “Senza dubbio conquistare Edy, una ragazza del Casentino conosciuta all’università. Bellissima e di rara intelligenza. Adesso è mia moglie: con lei ho due splendide bambine, Matilde e Eugenia”. E la famiglia è un sostegno indispensabile in un lavoro che mette grande pressione. Theatrum Mundi ha tre dipendenti e un tavolo da ping pong. Non di rado, a metà giornata, viene aperto fra il missile e le tute spaziali. Mezz’ora di avvincente sfida per divertirsi e allentare la tensione degli impegni. “Addirittura riceviamo oltre 1.500 mail alla settimana per visitare la galleria ma non si tratta di un museo aperto al pubblico”. Nuovi progetti? “Per il Fuorisalone di Milano 2020 stiamo realizzando delle capsule del tempo: 365 oggetti, uno per ogni giorno dell’anno, che possano raccontare la storia della terra. Ogni nuova stagione il mio Theatrum avrà un tema specifico: il successivo potrebbe essere dedicato ai mostri”. La passione per l'oggetto non convenzionale si mischia a quella per la varietà. “La meraviglia, come l’arte, può essere ricercata nella storia, nella natura, nei manufatti dell’uomo
“Adoro “Adoro la lameraviglia meraviglianei neivolti volti delle delle persone persone che chevarcano varcano la laporta porta Perché Perché un un posto posto del delgenere genere te te lo lo aspetti a New York, a Parigi forse a Milano, Non certo in una stretta via di Arezzo” e anche nell’intrattenimento. Non voglio specializzarmi in un solo settore, voglio appassionarmi a nuovi progetti, nuove realtà, rompere le barriere, creare interesse anche su argomenti inusuali. I puristi storceranno il naso nel vedere dinosauri e tute spaziali nella stessa stanza, ma è anche l’eterogeneità a rendere questa collezione unica al mondo”. “Quello che adoro – continua – è leggere la meraviglia nei volti delle persone che varcano quella porta. Perché un posto del genere te lo aspetti a New York, a Parigi, forse a Milano. Non certo in una stretta via di Arezzo. Ma sono consapevole che stare in Toscana è un grande valore. Contribuisce ad accrescere l’attrazione. Quando arrivano nuovi oggetti, li apro con le bambine, come fosse Natale: è impagabile il loro entusiasmo ogni volta”. Divi del cinema, cantanti di fama internazionale, grandi sportivi e anche illustri esponenti politici sono entrati al Theatrum Mundi per valutare e acquistare oggetti. Negli ultimi mesi sono uscite due pellicole della Magnitudo film che hanno, fra i protagonisti, Luca Cableri e la sua galleria: Wunderkammer, le stanze della meraviglia e Dinosaurs. Un sogno? “Il mio è quello di aprire un ristorante esperienziale con tavoli apparecchiati in mezzo alle meraviglie della Wunderkammer. Ogni senso dovrebbe essere coccolato e appagato. Bellezza dentro e fuori dai piatti”.
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LA MIA MUSICA, LA MIA VITA
UN NEGOZIO IN CORSO ITALIA CHE È UN PUNTO DI RIFERIMENTO, UN LUOGO DI RITROVO, IL SIMBOLO DELL’IMPEGNO SOCIALE E DELL’EVASIONE INSIEME. IL VINILE E I CD, GABER E DE ANDRÉ, LA POLITICA E LA CITTÀ: NORINA VIERI RACCONTA COME SONO CAMBIATI I SUOI CLIENTI, AREZZO, IL MONDO. E RACCONTA PURE LA SUA STORIA DENSA DI BATTAGLIE, COMBATTUTE CON LO SGUARDO DOLCE E UNA GRANDE PERSEVERANZA DI ANDREA AVATO
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orina combatte da sempre. Sguardo dolce e animo nobile, ha dovuto lottare con una forza e con una perseveranza che chissà dove le ha trovate: contro la poliomelite quand’era una bambina (“sono una sopravvissuta, al tempo non si guariva”), contro la pietà degli sguardi che la scrutavano (“mi ripetevo in continuazione: ce la devi fare, ce la devi fare!”), per l’emancipazione personale (“a vent’anni comprai una lambretta e mi sentii veramente donna”), per Arezzo (“alla città ho dato gran parte della mia vita con il lavoro e la politica”). Gli aretini la chiamano solo per nome: Norina. Il cognome però lo conoscono tutti: Vieri. La sua vetrina in Corso Italia è stata ed è un punto di riferimento, un luogo di ritrovo, il simbolo dell’impegno sociale e dell’evasione insieme. Dal Vieri ci si andava e ci si va per la musica, così uguale e così diversa rispetto a prima. “Il mio bisnonno Francesco accordava strumenti musicali e li rimetteva in funzione. Fu mia madre che volle ristrutturare il negozio: grazie all’architetto Mercantini diventò uno dei più all’avanguardia. Eravamo negli anni ’50, all’interno c’era una volta bellissima, perfino un corridoio vecchio di secoli che conduceva fino a San Michele. Io ero affascinata dalla musica, dall’arte, dai libri. E cominciai a lavorare lì: spesso caricavo i dischi in macchina e li portavo a chi ne faceva richiesta. Ero una grossista”. Dall’interno di quel negozio, con la saletta al piano di sopra, ha potuto osservare i grandi cambiamenti della clientela, della città, del mondo. “Il fonografo, il giradischi, i 78 giri, i 33 giri, i 45 giri, le cassette, i cd: la musica è sempre più moderna, sempre più perfetta, sempre più asettica. Il suono è cambiato, non ha più umanità, infatti il vinile sta tornando di moda. Nel primo dopoguerra venne registrata la sesta sinfonia di Beethoven: nel disco a un certo punto si sentiva il colpo di tosse di uno spettatore, era uno spaccato di autenticità. Quando quel concerto fu trasferito su cd, il colpo di tosse scomparve. E io smisi di ascoltarlo”. In principio era soprattutto musica italiana, poi dagli Stati Uniti arrivò la ventata fresca della modernità. “Frank Sinatra, il jazz segnarono una svolta epocale anche ad
Arezzo, anche se il vero crocevia è rappresentato dal successo dei Beatles: la politica, i giovani, la protesta diventarono temi di dibattito. Oggi come allora, comunque, i gusti musicali dipendono dagli stati d’animo. Io ho amato follemente Lucio Dalla, ascolto Beethoven, capisco poco il rap. C’è stato un periodo in cui mi crogiolavo con la musica francese di Edith Piaf, Jacques Brel. L’opera mi dà sempre i brividi, ma la mia colonna sonora è The dark side of the moon. Adoro i Pink Floyd”. Ed è proprio questo album del 1973 che scorre in sottofondo durante l’intervista densa di episodi, di sentimenti, di ricordi che affiorano. Norina ha una vita da raccontare, dal rapporto forte con il padre Luigi a quella volta che, dopo un intervento chirurgico all’ospedale Gaslini di Genova, conobbe Fabrizio De Andrè: “mi ha insegnato cosa sia la sensibilità, quell’esperienza mi ha formato e non la scorderò mai”. Non solo, c’è l’impegno politico portato avanti per anni con passione nella circoscrizione di Pescaiola, con l’associazione intercomunale, quindi come consigliera della Usl. “Vengo da una famiglia borghese, ma sono sempre stata di sinistra. E la penso come Gaber: libertà è partecipazione”. Norina è stata a fianco degli Amici della Musica, ha vissuto l’epoca d’oro in cui il grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli teneva corsi di perfezionamento ad Arezzo, continua a pensare che la città debba valorizzare di più la figura di Guido Monaco, vorrebbe rivedere il Polifonico ai fasti di un tempo e ha tanta nostalgia di Arezzo Wave. E il negozio? “Lo gestiscono Simona, mia figlia, e Roberto. Tra poco partirà un bel restyling, abbiamo delle idee per sostenere i concerti live, sia sulla strada che dentro gli esercizi commerciali. L’interesse per la musica c’è sempre, quello per l’acquisto molto meno. Il settore è complicato, ma noi restiamo in prima linea”. Norina sospira quando cita la canzone del cuore: Angolo di cielo di Renato Rascel, colonna sonora della storia d’amore con Vasco. “Con lui ho avuto tre figli meravigliosi: Simona, Sandra e Andrea. Il destino me l’ha portato via dopo appena sette anni di matrimonio e resistere alla sua scomparsa è stata un’altra battaglia che ho vinto. La mia vita la rifarei tutta come l’ho fatta”.
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L'arte di sapersi reinventare ( e dei colpi di fortuna )
FABRIZIO SIMONCIONI, UN DESTINO LEGATO ALLA MUSICA: PRODUTTORE, STRUMENTISTA, INGEGNERE DEL SUONO, HA LAVORATO CON I PIÙ GRANDI ARTISTI ITALIANI. DAL PEZZO DANCE "XENON - THE ADVENTURE" COMPOSTO A QUATTRO MANI CON MARCO MASINI AL PRIMO CONTRATTO PER SANREMO, FINO ALL'INCIDENTE CHE GLI HA CAMBIATO LA VITA. UNA STORIA A TUTTO SOUND
quando, nel 1984, ho avuto un vero e proprio frontale con i miei progetti di musicista, che mi ha portato a percorrere una strada nuova e inaspettata". Costretto in un letto di ospedale e impossibilitato a suonare in seguito a un gravissimo incidente automobilistico, Simoncia si dedica allo studio di fisica e acustica, appassionandosi a un altro aspetto del mondo della musica. "Nella sfortuna di quest'incidente, ho avuto la fortuna di rimanere vivo e di risolvere i danni fisici, ma soprattutto di scoprire la mia vera vocazione, ciò che veramente mi rendeva straordinario, ovvero realizzare dischi dal punto di vista tecnico. Se avessi continuato la carriera di compositore, probabilmente oggi farei qualcos'altro nella vita, mentre il mio talento mi ha fatto diventare il più importante ingegnere del suono italiano, aprendomi tantissime strade e dandomi l'opportunità di lavorare con i Litfiba e i Negrita, che allora si chiamavano Inudibili. Non avendo un tastierista, con loro ho anche suonato". Il carattere ottimista e l'attitudine al sorriso e alla positività lo rendono un vero e proprio portafortuna per la maggior parte degli artisti italiani che, oltre a chiedergli di registrare i proprio dischi, lo coinvolgono come musicista. Fabrizio inizia quindi a lavorare di giorno in studio, di notte per scrivere le parti delle tastiere. "Un altro colpo di fortuna è capitato con Ligabue. Nel lavorare con lui per la produzione della colonna sonora di Radiofreccia, si è creata un'intesa professionale tale da permettermi di diventare membro ufficiale della Banda, di cui ho fatto parte per sette anni realizzando come tastierista, corista e ingegnere del suono tutti
gli album dal 1998 al 2005. Le mie qualità di tecnico del suono hanno fatto in modo che, nonostante come tastierista sia meno talentuoso rispetto alla maggior parte dei miei colleghi, le mie parti si armonizzassero perfettamente con quelle degli altri strumenti, esaltando ogni suono al massimo delle potenzialità". Altro giro, altra corsa. Simoncia riceve uno stimolante incarico per la Sony Music Messico, dove segue altri progetti musicali e resta per quasi otto anni, facendo avanti e indietro da Arezzo per vedere suo figlio Alessandro: "Sono uno dei pochi, fieri, padri ad aver ricevuto l'affidamento di un figlio in seguito alla rottura di una relazione". Poi il ritorno definitivo ad Arezzo, la sua "cueva", dove si confronta con un panorama musicale italiano completamente rivoluzionato. "Non amo la musica trap, non riesco ad ascoltarla: nei testi si parla sempre in modo irrispettoso delle donne e si esaltano stili di vita tossici, non rispecchiano il mio modo di vivere e la devozione che ho per la donna che amo. Noi addetti ai lavori vendiamo emozioni e ciò che conta in un disco è proprio ciò che riusciamo a trasmettere, il clima che abbiamo respirato nel registrarlo". Simoncia è uno che mette il cuore in qualsiasi cosa fa: basta vederlo suonare scalzo sul palco (dopo l'apertura del Pistoia Blues con Filippo Margheri e Ghigo, a novembre sarà nuovamente in tournee con i Litfiba), vederlo al lavoro nel D-pot studio di Prato o dare un'occhiata ai suoi post sui social. Per raccontare la sua vita servirebbe un'enciclopedia, "ma proverò, se riuscirò a riordinare le idee, a farvela leggere in un'autobiografia".
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ome il capitano di una navicella spaziale, Fabrizio Simoncioni trascorre le sue giornate immerso in un ambiente quasi surreale: è il re di fader ed equalizzatori, il sovrano assoluto delle tracce audio. Produttore, musicista, ingegnere del suono, "Simoncia" ha lavorato con i più famosi artisti italiani e latini conquistando, in oltre trent'anni di carriera, più di 57 dischi di platino e oltre cento dischi d'oro fino ad ottenere la nomination ai Latin Grammy. Dalle sue mani sono passate tantissime hits internazionali, acquisendo lo stile e la personalità che le hanno rese inimitabili. Benedetto da Guido d'Arezzo? Non ci è dato saperlo, ma quello che è certo è che si sente baciato dalla dea bendata. "Nonostante sia molto meticoloso e preciso sul lavoro, ho difficoltà a raccontare in maniera ordinata la mia vita. I miei genitori sono stati i primi a credere nel mio talento e mi hanno sostenuto sin da giovanissimo. Mi sono diplomato al Conservatorio Cherubini di Firenze, specializzandomi in tastiera elettronica, e da lì si sono susseguiti una serie di eventi fortunati, sempre mentre ero concentrato a fare altre cose, che mi hanno condotto dove sono oggi. Ho iniziato nei primi anni '80 componendo brani entrati nella storia della Italo Disco, come Xenon - the adventure, assieme a Marco Masini. Ho vinto un concorso per nuovi talenti e ho avuto la fortuna di essere prodotto da Enzo Ghinazzi, con cui ancora collaboro e coltivo un rapporto di amicizia, entrando nel circuito delle sigle Rai. Tutto stava andando nel verso giusto e avrei dovuto partecipare a Sanremo
DI MATILDE BANDERA
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dalla strada alla vetta più alta HANNO SPOPOLATO SULLA RAI E CONQUISTATO LA NOTORIETÀ, SI SONO RITAGLIATI UNA VISIBILITÀ STRAORDINARIA MA NON HANNO INTENZIONE DI SCORDARE LE ORIGINI. SIAMO ANDATI ALLA SCOPERTA DEI SEGRETI DELLA CREW PIÙ AMATA DEL MOMENTO: DODICI TESTE E DODICI CUORI CHE CONTINUANO A PENSARE E PULSARE AD AREZZO. ECCO A VOI I FLASH KIDZ DI MATILDE BANDERA
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nel classico e nel contemporaneo, ma volevo andare oltre gli stili di danza canonici e proporre ai giovani qualcosa di diverso”. Il gruppo attualmente composto da Andrea Bertocci, Nico Checcaglini, Romeo Turati, Lorenzo Mellini, Giovanni Mellini, Luca D'Afflitto, Francesco Sarri, Gheri Duraj, Samuel Frosini, Andrea Albiani, Davide Canova e Mattero Vairo si è formato un paio di anni fa: il compito di Andrea Bertocci, come quello di un mixologist esperto, è stato quello di mescolare con attenzione le qualità e i punti di forza di ognuno, creando coreografie piene di energia e colpi di scena. Ma oltre ad essere maestro e coreografo della crew, Andrea rappresenta anche il punto di riferimento di questi ragazzi, che hanno dai 15 ai 24 anni e trascorrono più tempo in sala di quanto non ne passino a casa propria: “Il clima che si respira nella crew è familiare. Si liti-
ga, ci si abbraccia, si passa dall'arrabbiatura all'entusiasmo più sfrenato, si condividono momenti spensierati, proprio come in una qualsiasi famiglia. L'affetto e il rispetto che ci legano sono più forti di qualsiasi diverbio e ci hanno consentito di lavorare duramente insieme per raggiungere questa importante vittoria”. Dalla strada alla TV: come siete finiti a Ballando con le stelle? “Due anni fa Manola ci ha proposto di partecipare al DIF On Tour a Sansepolcro, e abbiamo vinto. Siamo stati poi invitati a partecipare come special guest dell'edizione successiva, nel 2018. Il caso ha voluto che Samanta Togni, una delle ballerine di Ballando con le Stelle, facesse parte della giuria della manifestazione. Ciò che ci ha dato il coraggio e la determinazione giusta per tuffarci tra le oltre 21000 unità di ballo dei provini di Ballando con le stelle è stato il suo invito a par-
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odici teste, dodici cuori, ognuno con il proprio vissuto e il proprio carattere, tenuti insieme da una passione che nasce dalla strada, la breakdance: sono i Flash Kidz, il gruppo di ragazzi, o meglio la crew, che sta facendo parlare tutta Italia dopo la vittoria a "Ballando con te", il contest per ballerini emergenti andato in onda su Rai 1 durante l'ultima edizione di Ballando con le stelle. Tutto è iniziato anni fa, quando Manola Feira, direttrice della scuola Flash Dance di Via Ristoro, ha letteralmente prelevato Andrea Bertocci dalle strade del centro di Arezzo per proporgli di insegnare la break dance: “È stata una bella scommessa per me, non avrei mai sperato in un risultato così importante ma ho creduto sin da subito nel suo talento e nelle sue capacità. Nella nostra scuola si allenano ragazzi che stanno ottenendo molte soddisfazioni
I FlashKidz con la direttrice Manola Feira e la coppa conquistata a "Ballando con le stelle"
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L'affetto e il rispetto che ci legano sono più forti di qualsiasi diverbio e ci hanno consentito di lavorare duramente per raggiungere questa vittoria” tecipare, convincendoci che avevamo tutte le carte in regola per portare a casa un buon risultato. Da quel momento, siamo stati travolti da un vero e proprio turbine di emozioni”. Dai complimenti ricevuti da Caroline Smith e Milly Carlucci al termine del provino, alla conferma della buona impressione fatta, passano mesi interminabili: “Da ottobre 2018 non abbiamo ricevuto nessuna notizia dalla redazione
del programma, finché il 15 marzo non è arrivata la chiamata per la registrazione. Abbiamo partecipato alle selezioni con la nostra coreografia migliore: era talmente energica che temevamo di non poterne presentare una più coinvolgente. Ma la gioia più grande che abbiamo ricevuto la sera della vittoria è stata proprio l'aver gareggiato con una coreografia ancora più esplosiva della prima”.
Di esplosività ne hanno da vendere, i Flash Kidz: quando ballano sprigionano energia, talento, voglia di arrivare dritti al cuore degli spettatori, di bucare lo schermo. Ma ballare, anziché in strada, sotto i riflettori di uno studio della Rai, sapendo che la maggior parte del pubblico si trova al di là delle telecamere, genera emozioni differenti: “Ballare in strada, a diretto contatto con il pubblico, crea uno scambio energetico diverso. Balliamo per farci notare da una ragazza, per sfidare altri ballerini, per dimostrare qualcosa a chi ci osserva, ma anche a noi stessi. Il pubblico di uno studio televisivo è più distante, più composto, quasi sterile: abbiamo vissuto l'esperienza di Ballando con le Stelle pensando prevalentemente ai telespettatori. Credo sia stata la nostra semplicità a conquistarli”. Quando i Flash Kidz si lanciano in pista, i loro sguardi sinceri, quasi ingenui, di giovani ragazzi vengono letteralmente rimpiazzati da espressioni consapevoli, competitive. Sanno di dover dare una scossa alle opinioni di chi crede che la break dance sia solo un ballo da strada, che non richieda studio, tecnica, prestanza fisica. E ci stanno riuscendo
alla grande. Il punto di forza della crew è l'essere composta in modo totalmente eterogeneo: c'è chi viene dal mondo della danza caraibica, chi dal classico, chi dal contemporaneo o dall'hip hop. Andrea sa come valorizzare le peculiarità di ognuno dei Kidz tramite un laboratorio coreografico ad personam che aiuta il singolo ballerino a sviluppare il proprio personaggio e a lavorare in armonia con gli altri. “Sono felice del risultato ottenuto perché il mio ruolo di coreografo verrà valutato in maniera differente, ma ciò che mi dà più gioia è il riscatto che, come gruppo, abbiamo ottenuto con questa vittoria nei confronti di chi non credeva in noi. Intendiamo rimanere a vivere e ad allenarci ad Arezzo e fare la differenza”. Per ora, i Flash Kidz hanno un calendario di show fitto di appuntamenti in tutta Italia almeno fino a ottobre e le ore di prove in sala sono tutt'altro che diminuite, dopo questa straordinaria esperienza. Ogni goccia di sudore d'ora in avanti avrà un valore diverso e sarà proprio grazie a quel sudore se continueranno a brillare.
mostra delle
PIANTE GRASSE 07/29 area creativa
settembre
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L'impresa preziosa di Fadi È PARTITO DALLA GIORDANIA CON UN SOGNO: FREQUENTARE IL MARGARITONE E DIVENTARE ORAFO DI SUCCESSO. L'INCREDIBILE AVVENTURA DI FADI RASLAN, TITOLARE DI LOREN ED ELLIUS: SI INNAMORÒ DEL MESTIERE A 16 ANNI, QUANDO UN GIOIELLIERE DI IRBID GLI PARLÒ DI AREZZO, POI GLI STUDI DI MEDICINA A KIEV (PERCHÉ COSÌ VOLEVA IL PADRE), QUINDI LA PARTENZA PER L'ITALIA. ANNI IN SICILIA A VENDERE BIGIOTTERIA E INFINE L'ARRIVO IN TOSCANA. LA SCALATA È PARTITA DA UN GARAGE IN VIA MINCIO DI MATTIA CIALINI
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n'innocente sosta durante il ritorno da scuola. Il naso contro la vetrina, incantato dalla danza scintillante della luce sui gioielli esposti. Fadi ha 16 anni, a piedi attraversa le calde strade della popolosa Irbid, in Giordania. Davanti a quella bottega, un lampo l'attraversa: scocca l'attrazione per quei pregiati manufatti. Una passione che segnerà ogni tappa successiva della sua vita. Passare lì davanti diventa appuntamento quotidiano, Fadi indugia dinanzi a quelle creazioni. Un giorno, l'artigiano lo invita a varcare la soglia del suo negozio, schiudendo quel mondo fatto d'oro e pietre preziose, che il giovane coccola coi suoi occhi meravigliati. “Dove hai imparato a fare questi gioielli?”, chiede l'ospite. “In Italia - risponde l'orafo - all'istituto Margaritone di Arezzo”. Fadi Raslan è poco più che un ragazzino, ma sa dove andare e cosa fare. Prima di approdare alla meta, però, navigherà a lungo, perché la vita è il po-
sto in cui i sogni strappano la realtà alle delusioni con i denti, un pezzettino alla volta. Il padre, solido commerciante, lo vuole dottore e nel 1992 lo mette su un aereo per Kiev. Lì, nell'Unione Sovietica che va dissolvendosi, Fadi studia medicina e resta un anno e mezzo. Prima di smettere e tornare dal babbo, sconsolato ma fermo nelle intenzioni: “Voglio fare l'orafo”. Non coincidono le visioni di padre e figlio: il primo è disposto ad accontentarlo, a patto che l'altro rimanga in Giordania. Il secondo ha una meta ben definita: Arezzo. Tremila dollari in tasca, Fadi decide di partire per l'Italia. “Avevo un desiderio – racconta a 25 anni di distanza – ed ero sicuro di realizzarlo. Ma mi mancavano i soldi. Con pochi spiccioli e senza conoscere nessuno, avrei resistito un mese o due ad Arezzo. Di certo, non potevo permettermi di frequentare la scuola senza lavorare. Pensai a mio fratello, che studiava architettura a Palermo. Andai a trovarlo, aveva degli amici che organizzavano
mercatini. E così, seguendo le orme di mio padre, mi misi a fare il venditore. In famiglia abbiamo il commercio nel sangue. Acquistavo bigiotteria da Napoli e la rivendevo a Palermo. Gli anni '90 erano meravigliosi; se eri intraprendente potevi far soldi a palate. Mio fratello fu costretto a darmi una mano, tanto era il lavoro. In due anni misi da parte quel che mi serviva per tornare ad Arezzo e concentrarmi sull'oreficeria. Ma quell'attività a Palermo era ormai fiorita e tuttora funziona: dando lavoro anche all'altro mio fratello, arrivato dalla Giordania. Adesso uno si occupa della vendita al dettaglio, l'altro fa il grossista”. Arezzo, finalmente. E l'istituto Margaritone. Fadi è il più grande degli studenti, è metodico. Assorbe tutto quel che può sull'arte della lavorazione orafa. Ma non gli basta, così frequenta corsi pomeridiani, si iscrive a una scuola da incassatore di diamanti a Firenze. Un giorno arriva un orafo di Arezzo e all'insegnante chiede: “Chi è lo studente migliore?”. La
“All'inizio lavoravo di mattina e studiavo di pomeriggio: volevo diventare esperto. Oggi ho 29 dipendenti e una bella storia da raccontare \ UP MAGAZINE AREZZO \ ESTATE 2019
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“da san pietro alla Cupola della Roccia a gerusalemme questa collezione rappresenta qualcosa di speciale mette da parte le differenze esaltando il valore universale della comprensione”
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risposta è: “Fadi”, al quale viene proposto subito un posto di lavoro. “Accettai, a una condizione: poter lavorare la mattina per studiare il pomeriggio. Volevo diventare esperto. Non mi accontentavo, volevo specializzarmi ancora. Il titolare accettò le mie condizioni”. Il primo scoglio arriva poco dopo. La fabbrica in cui Fadi lavora entra in crisi. Il proprietario, prima del fallimento, lo introduce presso un'azienda esterna e il ragazzo può continuare a fare l'orafo. “Facevo il modellista e l'incassatore di pietre, in breve diventai capofabbrica. Eravamo in 10 a lavorare lì dentro”. Ma le aspirazioni di Fadi sono alte. E nel 1999 decide di avviare la sua ditta. “Si chiamava Fadi Creazioni: era un semplice garage in via Mincio. Iniziai da solo, poi via via ebbi bisogno di personale, prima uno, poi due dipendenti. Lavo-
ravamo per conto terzi. Crescemmo velocemente fornendo brand prestigiosi, tra cui Bulgari. Nel 2001 accusammo la prima crisi, dopo l'attentato delle Torri gemelle. Facevamo semilavorati con le pietre come terzisti e gli ordini crollarono. Ma ci riprendemmo. Nel 2008 avevo otto dipendenti”. L'alba della crisi più devastante per il distretto orafo di Arezzo. “Rapidamente chiusero molte fabbriche da queste parti: non era soltanto una crisi economica, ma tecnologica. Le grandi aziende acquistavano macchinari che potevano sostituire tranquillamente l'opera di artigiani specializzati come me. La prima cosa che feci, nel 2009, fu quella di lanciare il marchio Loren e tentare un'avventura a Dubai: aprii un negozio assieme ad altri due soci, ma non andò bene. E ripensai completamente il mio lavoro”. Nel 2010 apre la ditta in via della Fiorandola. La nuova scommessa è in tandem con un'altra azienda aretina che cerca di superare la crisi, specializzata in catename, Loren realizza invece gli accessori. L'unione fa la forza e i prodotti che escono fuori fanno gola ai principali brand. “Dopo tre anni di lavoro, eravamo cresciuti fino a 11 dipendenti”. Il sodalizio finisce e Loren batte strade nuove, ampliandosi ancora. “Passammo a 13 dipendenti, venne al lavoro con noi anche mia moglie, dando un grande apporto in tutte le fasi di crescita successive”. Nel 2014 il passaggio nell'attuale struttura in via Galvani, ancora più spaziosa. “Abbiamo ingrandito la modellistica, abbiamo aperto la nostra fusione. E nel 2018 – dice Fadi Raslan – ho lanciato anche un marchio, Ellius. Adesso non siamo più solo contoterzisti. Ho deciso
di superare le logiche della moda e fare qualcosa di diverso, puntando sul passato: l'antichità mi affascina. Qualcosa che per i miei clienti non avrei mai fatto, proprio per non entrare in competizione con loro. Io vengo da una terra ricca di storia: Gerusalemme è a ottanta chilometri da casa mia, la Giordania è la terra di Petra. La storia degli antichi Romani è la storia del mio Paese attuale, l'Italia, e del mio Paese di origine, la Giordania. Ho creato gioielli ispirati ai gladiatori. E poi alla mitologia classica. Stando ad Arezzo, infine, mi sono avvicinato alle tradizioni di questa città, creando una collezione di gioielli dedicata ai cavalieri, alla Giostra, ai quartieri del Saracino”. In breve tempo, partendo dall'e-commerce, Ellius è decollato e si sta ramificando in tutta Italia, grazie al direttore commerciale Giancarlo Aprile e a una serie di agenti. Il successo maggiore sta arrivando con la serie delle Cupole: anelli con riproduzioni di capolavori architettonici come la basilica di San Pietro e la sinagoga di Roma, l'Edicola dell'Ascensione e la Cupola della Roccia a Gerusalemme. Un ideale abbraccio di simboli delle grandi religioni monoteiste. “Volevo creare qualcosa di speciale, che potesse mettere da parte le differenze, esaltando il valore universale della comprensione”, aggiunge. Fadi racconta la sua storia, a volte si ferma e sorride. Quasi non ci crede. La famiglia, due figli. E il lavoro della vita, in una ditta che conta oggi 29 dipendenti. Sogni? “Portare all'estero i miei lavori, in Medio Oriente magari. Vorrei che il mio marchio sia cercato e ricordato perché in grado di raccontare una storia bella, portando con sé valori profondi”.
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DAL RISTORANTE LA TERRASSE DI MONTE SAN SAVINO ALL'AREA HOSPITALITY DI SANREMO, FINO AL CATERING PER SQUADRE DI SERIE A, FAMOSI CANTANTI E PRESTIGIOSI BRAND DI MODA. I FRATELLI MASSIMO E ROBERTO LODOVICHI HANNO SAPUTO TRASFORMARE LE LORO DIFFERENTI PERSONALITÀ IN UN PUNTO DI FORZA. IL SERVIZIO RICEVIMENTI OGGI VANTA L'ORGANIZZAZIONE DI OLTRE OTTOCENTO EVENTI ALL'ANNO DI CHIARA CALCAGNO
“B
uonasera, servizio 12 della Sip, in cosa posso aiutarla?” “Salve, cercavo un numero di un ristorante di Monte san Savino, Arezzo, che non è nell’elenco telefonico”. “E’ La Terrasse per caso? Lo abbiamo imparato a memoria”. Fine anni '80, inizi anni '90. All'epoca i Lodovichi sapevano già farsi notare. Oggi non stupisce vedere dove siano arrivati. Sono il bianco e il nero, l’anima pratica e quella poetica, forma e sostanza, penna e mattarello. Un menu, per essere invitante, non deve contenere soltanto portate attraenti dalle indiscutibili materie prime lavorate con passione e maestria. Deve essere presentato adeguatamente: il servizio, il materiale della carta, il carattere delle parole, la disposizione delle pietanze. Tutto è importante, tutto è funzionale. Lo hanno capito Roberto e Massimo Lodovichi, due fratelli con due distinte personalità che sono riusciti ad esaltare differenze e complementarità, renden-
dole la loro forza. La Lodovichi ricevimenti, oggi Italian Taste, vanta l’organizzazione di oltre ottocento eventi all’anno fra feste aziendali e private, ha curato e cura l’ospitalità per squadre di serie A come Siena, Fiorentina, Atalanta o Casa Azzurri per i ritiri della Nazionale di calcio a Coverciano; ha allestito catering per concerti e spettacoli dei Pooh, della Pausini, dei Modà, di Morandi, Baglioni, Pieraccioni, Panariello o l’area hospitality del prestigioso festival di Sanremo. Ma si occupa anche della ristorazione per importanti brand del panorama mondiale come Ferragamo, Prada, Valentino, Patrizia Pepe, Gucci, Porche, Audi, Toyota o gli aretini Monnalisa, Unoaerre e Aboca. Nel proprio staff conta persone qualificate e appassionate, chef attenti alla genuinità e alla cura dei dettagli decorativi, sommelier, barman, creativi e pasticceri che sono da sempre i migliori interpreti per la perfetta realizzazione di un evento. “Efficienza, cura e sorrisi le nostre armi
vincenti. Un’organizzazione studiata e collaudata ormai da molti anni ci permettere di essere sereni anche nei contesti più impegnativi e di riuscire a gestire ogni difficoltà. Ovviamente non è sempre stato così – sorridono i due fratelli – l'esperienza e gli errori sono fondamentali per migliorarsi ogni giorno”. Roberto Lodovichi, classe '68, ricopre la carica di presidente dell’Unione regionale cuochi toscani. E’ lui che studia e cura ogni minuzia per la creazione e la presentazione del perfetto menu, adattandolo ad ogni evenienza. Massimo, di tre anni più giovane, e si occupa di ricerca, sviluppo e organizzazione affinché ogni evento risulti impeccabile. Il percorso che li ha portati a imporsi nel panorama nazionale della ristorazione, è iniziato a Monte San Savino dove, nel 1989, si lanciarono nell’avventura de La Terrasse. Il ristorante, situato a pochi passi dalla porta principale del paese, si distingueva per un ambiente caldo ed elegante che fondeva lo stile tipico
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dell’architettura toscana con dettagli moderni e raffinati. La sfida era quella di proporre nei piatti la stessa contaminazione: esaltare la tradizione e la tipicità della regione con un tocco moderno. “Inoltre si trovava proprio accanto a Le Mirage, celebre discoteca di Monte San Savino che, soprattutto negli anni '90, era decisamente in voga, frequentata da molti personaggi famosi”, racconta Massimo. “Prima delle serate, il nostro ristorante era diventato tappa imprescindibile. Questo ci portò ad essere conosciuti e apprezzati dentro e fuori la provincia”. Ma la Terrasse non era solo un locale perché, da subito, divenne anche servizio catering, spalancando le porte per quello che sarebbe diventato il marchio Lodovichi. “Il nostro percorso di crescita si è basato costantemente sulla scelta di prodotti di alta qualità, la maggior parte dei quali a chilometro zero – racconta Roberto. Esaltiamo questa terra straordinaria attraverso materie prime e tradizioni culinarie. Insieme al Comune di Arezzo, alla Provincia e alla Regione Toscana partecipiamo annualmente a importanti eventi gastronomici per la promozione
del territorio: ristorante Mangiare Toscani al Vinitaly, Vinexpò di Bordeaux, salone del gusto di Torino e Agrifood Arezzo”. “Abbiamo capito che la Toscana è un vanto e una risorsa. Ovunque – aggiunge Massimo – è sinonimo di eccellenza e noi abbiamo il dovere di rispettarla e celebrarla come possiamo”. Oggi l'azienda ha quattro differenti aree di operatività: l'area front office, con relativo showroom nella storica Villa Burali, punto di riferimento per la Toscana e l’Italia settentrionale; la prestigiosa Villa di Passignano per l’Umbria e l’Italia meridionale; l'area direzionale di Monte San Savino con la sede operativa ed amministrativa; e infine l'area dove viene prodotta artigianalmente la pasta fresca per gli eventi, Maninpasta. Un brand che, dato il travolgente successo, è diventato un ristorante tematico ad Arezzo, dove il personale è composto quasi esclusivamente da donne. Presto,
La Toscana è un vanto e una risorsa Abbiamo il dovere di rispettarla e celebrarla meglio che si può” nuovi locali saranno aperti con la medesima filosofia. “Ciò che più ci soddisfa, forse, è organizzare matrimoni. Sappiamo quanto quel giorno sia importante per la vita di ciascuno e non ci devono essere sbavature o imperfezioni. I nostri clienti provengono da ogni parte del mondo: turisti che decidono di sposarsi in Toscana, aretini che abitano fuori ma che tornano nella loro terra per il matrimonio, residenti che si fidano di noi o amici che conosciamo da una vita. I nostri luoghi, i nostri borghi, le nostre dimore storiche, i nostri musei, sono location di valore inestimabile per la realizzazione degli
41 eventi più esclusivi. E noi cerchiamo di mettere mente e cuore in ogni appuntamento”. Anche quando mantenere il sorriso non è poi così facile. “Una volta accettammo di organizzare un pranzo di matrimonio al castello Doria a Porto Venere. La fortezza è situata su una magnifica altura rocciosa che domina il Golfo dei Poeti. Una location spettacolare, da favola. Solo che per arrivarci ci sono oltre 1500 gradini. Ci fu consentito di allestirla il giorno stesso per smontarla subito dopo l’evento. Non potevamo noleggiare un elicottero, sarebbe stato rischioso in caso di cattivo tempo. Così abbiamo ingaggiato oltre 30 facchini che, come instancabili staffettisti, hanno portato tutto il materiale in vetta per poi riportarlo giù la sera. E’ stato un massacro. Ma è stato perfetto”. E ogni coppia felice significa nuovi amici che a volte tornano a trovare Massimo e Roberto, per ricordare con gioia quell’attenzione che ha reso memorabile il giorno del sì. Dal 2019 la Lodovichi ricevimenti ha deciso di rinnovare naming e logo per affacciarsi sui mercati internazionali. Adesso è Italian Taste. Il brand, dal de-
sign minimalista e moderno, è la stilizzazione di una lingua che si fonde con le lettere I e T. “La lingua è passione, è gusto, è comunicazione è veicolo di sensazioni – spiega Roberto – ma anche simbolo di divertimento e anticonformismo”. Quest’estate i "Lodovichi brothers" hanno preso in mano la storica Villa di Passignano, meta di divertimento estivo del Trasimeno con aperitivo gourmet, cooking show e musica dal vivo. Ma la genuina ambizione porta lo sguardo a puntare molto lontano. “Un mio obiettivo sarebbe quello di curare l’area hospitality del Giro d’Italia – ci svela Massimo –. Sono un ciclista per passione e sarebbe davvero un onore. E poi ho un sogno: arrivare all’Inter. Mio fratello è della Fiorentina e il suo tra-
Massimo e Roberto Lodovichi, con Italian Taste, rappresentano un'eccellenza nel settore del banqueting e dell'organizzazione di eventi
guardo in viola l'ha raggiunto. Ora tocca al mio cuore nerazzurro essere appagato. Però, ricordate il gol di Milito che sigillò la nostra vittoria nel campionato 2010, anno dello storico triplete? Beh, sui cartelloni dello stadio stava scorrendo la pubblicità di Lodovichi Ricevimenti. Attimi indimenticabili in cui oltre a gioire del successo della mia squadra, ho potuto vedere il nostro cognome, e quindi il nostro marchio, trasmesso sulle televisioni di tutta Italia”.
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Il monumento a
Ferdinando III di Lorena DI MARCO BOTTI
STORIA E RETROSCENA DELLA STATUA SITUATA SULLA SOMMITÀ DI PIAGGIA DEL MURELLO, DEDICATA AL GRANDUCA CHE BONIFICÒ LA VAL DI CHIANA
U
n aretino o un forestiero che il 31 ottobre 1822 fosse transitato per Piazza Grande, avrebbe notato degli operai intenti a collocare una grande statua in marmo di Carrara dedicata al granduca di Toscana Ferdinando III di Lorena. L’inaugurazione del monumento avvenne il 10 novembre successivo e in quella ubicazione rimase 110 anni. Nel 1932, in pieno ventennio fascista e nell’ambito della neo-medievalizzazione della piazza, fu deciso di trasferire l’opera sulla sommità di Piaggia di Murello, dove ancora oggi l’ammiriamo.
La scultura è una mirabile impresa dell’artista neoclassico fiorentino Stefano Ricci, passato agli annali per aver realizzato il cenotafio di Dante Alighieri nella basilica di Santa Croce a Firenze e il monumento funebre al vescovo Niccolò Marcacci nella cappella della Madonna del Conforto ad Arezzo. Ferdinando III di Lorena (1769-1824) era il secondogenito del granduca di Toscana Pietro Leopoldo e, dopo aver preso il posto del padre divenuto imperatore del Sacro Romano Impero nel 1790, fu costretto a rifugiarsi a Vienna durante l’occupazione francese del marzo 1799, per tor-
nare momentaneamente sul trono qualche mese dopo con i moti del “Viva Maria” e riprendere in definitiva il suo posto nel 1814, a seguito della caduta di Napoleone. Un suo grande merito fu il decisivo passo verso il completamento della bonifica della Val di Chiana, che sotto l’egida di Vittorio Fossombroni riconsegnò agli aretini le terre fertili del passato. L’opera, simbolo della restaurazione lorenese assieme a Porta Ferdinanda inaugurata nel 1816 (è l’odierna Porta Trento Trieste), viene considerata il più alto esempio di scultura neoclassica in città. Il granduca è rappresentato all’antica, coronato di foglie di quercia, simbolo di virtù, forza, longevità, perseveranza e lealtà. Egli recava in mano un lungo scettro a forma di lancia, emblema del potere, mentre ai suoi piedi si vede un leone ammansito. Nel lato del basamento che guarda verso Porta San Lorentino osserviamo un bassorilievo disegnato da Angiolo Battista Ricci e realizzato da Ranieri Bartolini che raffigura, tramite un’allegoria, l’unione tra la Chiana e l’Arno. Nella base che guarda verso via Ricasoli, invece, una iscrizione risorgimentale successiva ricorda la partenza da Firenze dell’ultimo sovrano lorenese, Leopoldo II, il 27 aprile 1859. Fino a qualche anno fa la statua versava in un preoccupante stato di degrado dovuto ai gas di scarico delle auto, che l’avevano annerita, e ai licheni depositati sulla superficie. Erano sorti anche problemi strutturali, in quanto il monumento poggiava a terra diversamente rispetto alla sua posizione originaria di Piazza Grande e questo aveva provocato il lento cedimento del sostegno, che si stava aprendo da un lato. Un esemplare intervento eseguito nell’ambito del master “Equal – Corso di Formazione Europea per il Restauro”, promosso dal Comune di Arezzo e svoltosi tra il 2002 e il 2005, garantì il recupero dell’opera. Il programma era rivolto alla formazione della figura professionale di addetti al restauro delle superfici architettoniche decorate. Alla ristrutturazione di Ferdinando III, progetto conclusivo dei corsi, lavorarono sei giovani restauratrici sotto la direzione dello Studio TRe. Nel febbraio 2008 l’opera fu oggetto di un atto vandalico che portò all’amputazione della mano sinistra del granduca. Il ripristino della parte spezzata venne ultimato nel febbraio 2010 ma agli inizi di marzo 2011 lo stesso arto fu nuovamente colpito da ignoti. Venne recuperato, ma nel gennaio 2017 la mano si ruppe di nuovo all’altezza del polso, forse a causa del ghiaccio e delle forti escursioni termiche. A giugno 2019 è partito l’ennesimo risanamento, promosso dal Comune di Arezzo. Questa volta i restauratori hanno utilizzato un “arpese”, ovvero un elemento metallico uncinato a scomparsa, che in futuro terrà saldamente unite le parti lapidee evitando che il peso dello scettro provochi nuove cadute. Ci auguriamo tutti, in primis “l’ex sovrano monco”, che sia la volta buona.
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