UP Magazine 06 - Autunno 2018

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magazine arezzo NUMERO 06 Autunno 2018 UP LUOGHI santa maria delle grazie up intervista mauro valenti up sport daniele bracciali

Stefano tenti UN FILOSOFO IN CORSIA


F R AG R A N Z A D ’ A M B I E N T E

GIGLIO DI FIRENZE DR . VR AN JE S FIR E N Z E AREZZO, via Madonna Del Prato, 94 tel +39 3397956337


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| UP LUOGHI |

santa maria delle grazie

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06

| UP COPERTINA |

| UP SP ORT |

daniele bracciali

stefano tenti

sommario

13 18 20 26

| U P I N S TA G R A M |

#UPMAGAREZZO #visionidautunno

| UP TENDENZE |

palazzo sugar | U P I N T E R V I S TA |

mauro valenti

arezzo, cambia la musica | UP PEOPLE |

patrizia fazzi

la parola poetica strumento di salvezza

28 34 38 42

| UP PEOPLE |

laura falcinelli un talento dalle mille sfaccettature

| UP TRADIZIONI |

cavalli di battaglia | U P G U STO |

art café

lo scrigno dei desideri

| U P C U R I O S I TÀ |

il pozzo di tofano

\ UP MAGAZINE AREZZO \ AUTUNNO 2018

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| magazine arezzo Redazione e Amministrazione Atlantide Audiovisivi srl Via Einstein 16/a – Arezzo Tel. 0575 403066 www.atlantideadv.it

Anno II – N° 6 Autunno 2018 Direttore Responsabile Cristiano Stocchi Vice Direttore Maurizio Gambini Redazione Andrea Avato, Chiara Calcagno Mattia Cialini, Matilde Bandera, Marco Botti Art Director Luca Ghiori Fotografie Lorenzo Pagliai Si ringraziano Matteo Giusti (Ufficio stampa Centro Chirurgico Toscano) Quartiere di Porta Sant'Andrea Quartiere di Porta Santo Spirito Stefano Fortini Stampa Grafiche Badiali - Arezzo Pubblicità Atlantide Audiovisivi Srl

UP EDITORIALE

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Le (stra)ordinarie sfumature di Arezzo Arezzo continua a proporci (stra)ordinarie storie di fascino e bellezza, storie che meritano di essere raccontate perché conoscerle vuol dire capire meglio il contesto in cui viviamo. E dalla conoscenza all'apprezzamento, il passo è quasi sempre breve e automatico. "Basterebbe Arezzo alla gloria d'Italia" scriveva Giosuè Carducci. Senza scomodare paragoni illustri né peccare di partigianeria, possiamo sottolineare con piacere che la filosofia di Up si sta rivelando azzeccata: valorizzare le ricchezze del nostro territorio è compito appagante e molto semplice da portare avanti. Gli input sono tanti e arrivano dal mondo imprenditoriale, dalla società civile, dalle attività artistiche declinate in varie forme, dalla quotidianità e ovviamente dal patrimonio culturale che impreziosisce sia la

città che i suoi dintorni. Questo nuovo numero del magazine è una stimolante raccolta di personaggi, luoghi, profili con un vissuto alle spalle e interessanti sfumature di Arezzo da offrire all'attenzione dei lettori. Dalla storia di copertina allo sport, dalle rubriche "people" e "gusto" alle curiosità: nelle pagine che seguono c'è la nostra dimensione più vera. In questo quadro generale si inserisce il rapporto di collaborazione che Atlantide Adv, editore di Up Magazine, ha instaurato con la Fondazione Arezzo InTour. Il Comune di Arezzo, socio fondatore, si è posto l'obiettivo di creare un ente pubblico/privato che diventi un punto di riferimento per il settore turistico, tramite azioni di governance e regia. Un percorso che si preannuncia affascinante e che noi di Up siamo felici di compiere fianco a fianco.

Partners

In copertina Stefano Tenti Up Magazine Arezzo è stampato su carta usomano che conferisce naturalezza e stile al giornale. In questo numero per la copertina abbiamo scelto il PANTONE 292

Vice-direttore

maurizio gambini

Direttore responsabile

Reg. al tribunale di Arezzo il 12/06/2017 N° 3/17

cristiano stocchi

Up Magazine Arezzo è una rivista a distribuzione gratuita


Redazione

chiara calcagno

Redazione

mattia cialini

Redazione

Andrea Avato

REDA ZIONE matilde bandera

Redazione \ UP MAGAZINE AREZZO \ AUTUNNO 2018

francesco fumagalli

Tipografo

lorenzo pagliai

Fotografo

marco botti

Redazione

Luca Ghiori

Art-Director

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Un filosofo in corsia |

UP COPERTINA

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ST E FA N O T E N T I H A DATO LUSTRO M O NDIA L E A L L A SA NITÀ MAD E IN A R E Z ZO. CO N L’O B IET TIVO DI O F F R IR E CUR E CHIR URGICHE D ELLA M I G L I O R Q UA L I TÀ , A COSTI CONTENUTI E CON TEM P I R A P I D I, H A RE A L I Z Z ATO U N P RO GET TO CHE SEM BR AVA UTOP IA : CA SA D I CURA P O G G I O D E L S O L E , SA .P R .A E CENTRO CHIR URGICO TOSCANO S O N O O G G I ST R U T TUR E DI ECCEL L ENZ A A CUI SI R IVOLGONO M I G L IA IA DI P ER SONE O GNI A NNO DI CHIARA CALCAGNO


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H

a dovuto scegliere: o filosofia o medicina. Due strade in apparenza inconciliabili, ma intraprese - entrambe con successo - all'università. L'ha spuntata la seconda, ma senza stravincere. Perché un grande medico è anche un po' filosofo. Stefano Tenti è stato in grado di dar lustro mondiale alla sanità Made in Arezzo: Casa di cura Poggio del Sole, Sa.pr.a, Centro chirurgico toscano sono tappe che segnano la sua fortunata rotta lavorativa. “La medicina non è una scienza esatta perché non può contare sulla perfetta ripetibilità delle situazioni. E la medicina percepita dal paziente non è mai scientifica, è quasi sempre relazionale. Mi affascinava filosofia ma credo di non averla mai abbandonata. Un dottore

deve essere empatico, deve spingere il paziente a fidarsi di lui. Spesso deve farsi consegnare la vita nelle proprie mani. Occorrono competenze, preparazione e ovviamente lucidità, sangue freddo. Ma occorrono anche sensibilità, passione, capacità di percepire paure, timori, di ascoltare. E magari provare a sorridere. Un paziente ha bisogno di cure e di protezione”. Era il 1995 quando il giovane Stefano Tenti, specialista in urologia e chirurgia d’urgenza, decise di licenziarsi dall'ospedale San Donato e intraprendere un percorso che potesse soddisfare le sue ambizioni e la sua idea di efficienza nelle prestazioni mediche. “Non riuscivo a trovare il giusto spazio e notavo che molti meccanismi erano lenti e poco funzionali. Volevo creare

“La medicina percepita dai pazienti non è mai scientifica, è quasi sempre relazionale. Per questo hanno bisogno di professionalità e protezione” una struttura che potesse erogare cure chirurgiche della miglior qualità a tutti coloro che ne avevano veramente bisogno. Quindi con costi bassi e con tempi rapidi. Diventò il mio obiettivo, la mission della mia vita”. In quegli anni era in vendita la struttura di Poggio del Sole, casa di cura costruita nel 1924 dal dottor Federico Tanganelli con indirizzo esclusivamente oculistico a cui gli aretini erano, da sempre, legati e riconoscenti. Bombardata


Numeri del Centro chirurgico toscano anno 2017 6841

3,5 gg

RICOVERI

DEGENZA MEDIA

di 1039 Interventi protesi al ginocchio e anca

169

Interventi endoscopici sull'uretra

1396

Interventi sul ginocchio

135

Interventi sulla prostata

116

Interventi di protesi di spalla

133

Interventi maggiori sull'addome

459

Interventi sulla spalla

659

Interventi per cataratta

417

Interventi sui piedi

286

Interventi su setto nasale e seni paranasali

614 180

Intervento sulla colonna vertebrale Interventi di ricostruzione uretrale

59 448

Interventi di chirurgia senologica Interventi maggiori di chirurgia dell'obesità

e ricostruita più volte nel corso della seconda guerra mondiale, l'azienda non smise mai di erogare i propri servizi e nel 1947 cambiò veste, aprendosi alla chirurgia generale e alle specialità chirurgiche. “Quando acquistai la Casa di cura Poggio del Sole con alcuni soci e amici, l'edifico era fatiscente, gli ambienti inadatti; venivano eseguiti circa 500 interventi in un anno. Nel 2017 ne abbiamo portati a termine 7.850 compresi quelli complessi. Decisi di rinnovare completamente i locali, investendo sul comfort e sull'acquisto di moderne apparecchiature. Mi resi presto conto però che una cosa è operare, un'altra organizzare e gestire un ospedale. Non è stato semplice all'inizio districarsi fra burocrazia e pianificazioni. Ma le persone si fidava-

no, le soddisfazioni non mancavano e, anno dopo anno, io e Poggio del Sole siamo cresciuti insieme”. Dal 2012, dopo un profondo restyling che ne comportò la provvisoria chiusura, la struttura si estende su 2.500 metri quadri, distribuiti su 4 livelli di cui uno interrato a cui si devono aggiungere gli 800 metri quadri del presidio ambulatoriale di via Eritrea. Nel frattempo, l'anno precedente, la proprietà aveva deciso di ampliare le attività costruendo l'elegante presidio di via dei Lecci e trasferendo lì la sede legale dell'azienda. Dalle finestre del Centro chirurgico toscano, si possono ammirare le dolci colline, il centro storico di Arezzo, il lago e il prato sottostante dove godersi una rilassante passeggiata nel verde. Ottomila metri quadri

di superficie, 8 sale operatorie, 75 posti letto, un ambulatorio senza appuntamento dove chiunque può recarsi per una visita immediata con tutti i tipi di prestazione diagnostica. “Da sempre perseguo una modalità di cura efficiente e con minor spreco possibile. Di materiale, di energie, di tempo. I pazienti da noi trovano approcci differenti rispetto a quelli a cui sono abituati. Per esempio medici e non chirurghi seguono i degenti nel post operatorio. Questo perché i problemi più importanti che normalmente si verificano non riguardano le dirette conseguenze dell'intervento ma patologie diverse. E ancora, gli ambulatori sono da un'altra parte rispetto alle sale operatorie in modo da ottimizzare i tempi e proiettare il chirurgo su un'attività specifica.

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M O N T E

F A L C O

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Stefano Tenti con la moglie Ambra. I due lavorano fianco a fianco da anni

che arrivano da ogni angolo del pianeta per farsi curare, al Centro chirurgico toscano si parlano diverse lingue: collaborano traduttori e mediatori culturali che possano seguire lo straniero e comunicare ogni necessità. Tanti i nomi importanti della politica, dello sport e dello spettacolo che hanno attraversato quei corridoi. La moglie di Stefano, Ambra, ha lasciato il proprio impiego in banca per stare accanto al marito. Adesso è responsabile del personale e degli acquisti di

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tutto il gruppo. I figli lavorano ciascuno in un differente settore: Giulia, otorinolaringoiatra, è responsabile del blocco operatorio; Gabriele, laureato in economia aziendale è amministratore delegato della Sapra Sanità srl e responsabile del Sapra safety, medicina del lavoro e formazione; infine, Cristiana, ingegnere, segue in prima persona lo sviluppo e l'utilizzo delle nuove tecnologie. La cartella clinica dei pazienti è completamente informatizzata ed il riconoscimento avviene sia attraverso l'utilizzo di un braccialetto identificativo sia con la rilevazione dell'impronta digitale, raccolta al momento dell'accettazione. Altro strumento di ultima generazione ideato al Centro chirurgico è Semews: un dispositivo medico indossabile per la rilevazione dei parametri vitali, ideato per garantire il monitoraggio automatico e costante delle condizioni cliniche dei ricoverati. In caso di valori alterati, invia subito un segnale al personale medico.

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Inoltre i pazienti sono divisi per intensità di cure e non per reparto come avviene con la sanità pubblica”. La Società è oggi un'azienda modernamente organizzata che gestisce presidi ospedalieri privati a indirizzo chirurgico, autorizzati dal comune di Arezzo e accreditati con la Regione Toscana e con il Servizio sanitario nazionale nelle discipline di chirurgia generale, oftalmologia, ortopedia, otorinolaringoiatria, urologia. Nell'aprile del 2016 il Centro chirurgico toscano ha ottenuto il prestigioso accreditamento Joint commission international, unico in tutta l'Italia centrale. Ci lavorano oltre 200 medici fra cui specialisti famosi in tutto il mondo. Come Guido Barbagli, luminare per l'uretra; Giovanni Natalini, ex direttore clinico all’ospedale di Perugia specializzato in chirurgia generale; Giancarlo Guizzardi, neurochirurgo, ex direttore di chirurgia a Careggi; Enrico Castellacci che, fra le tante cose, è stato medico della nazionale di calcio. E, con persone

“Da sempre perseguo una modalità di cura efficiente e con il minor spreco possibile. Di materiale, di energie e di tempo”


Insieme al sindaco di Arezzo, Alessandro Ghinelli, e alla vicepresidente del consiglio regionale della Toscana, Lucia De Robertis

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la politica “Non saprei dire cosa sia diventata oggi la politica. So cosa dovrebbe essere: la più nobile delle arti. Che insegna a guardare lontano, insieme”. Stefano Tenti, da ragazzo, ha militato nella Dc di Arezzo insieme a Giuseppe Bartolomei, Giuseppe Fornasari e Giuseppe Fanfani. Non solo una scuola politica ma una scuola di vita

per scoprire il valore del “bene comune”, riconoscendo la dignità della persona umana nella sua dimensione individuale e collettiva. Lo scorso anno, insieme a Camillo Brezzi, preside della facoltà di lettere di Arezzo e ad alcuni amici, ha dato vita ad un corso di formazione politica della durata di quasi dodici mesi. Un appuntamento a cui hanno partecipato circa 30 persone e che sarà probabilmente replicato nel 2019 dato l’entusiasmo che ha accompagnato ogni lezione.

“Coloro che decidono di mettersi in politica dovrebbero avere almeno tre requisiti fondamentali: primo, una sana ambizione perché non manchino mai la passione e la ricerca di nuovi obiettivi; secondo, la consapevolezza che il requisito numero uno non deve mai prevalere sul servizio, sul desiderio di mettersi a disposizione degli altri e per una causa comune; terzo, competenza e preparazione. E’ un delitto lasciare qualcosa di prezioso come la politica in mano a incompetenti o avventurieri”.

Non esistono sbarre ai letti, usate spesso per gli anziani che hanno subito un'operazione e non possono scendere senza un adeguato supporto. “Accade spesso che, nel tentativo di scavalcare la barriera, si facciano ancora più male. Così una fotocellula avverte con un allarme l'infermiere, se un paziente cerca di alzarsi. Contemporaneamente una voce perentoria ordina al degente di non muoversi, ma ha il solo scopo di smarrirlo momentaneamente e dare il tempo all'infermiere di intervenire”. A Stefano Tenti è legato anche un altro prestigioso nome nell'ambito della medicina aretina, quello della Sa.pr.a

(sanità previdenza autonoma). Nata come una cooperativa attraverso cui garantire ad artigiani e commercianti le migliori prestazioni sanitarie a costi contenuti, oggi è un centro sanitario polispecialistico all'interno del quale operano oltre 70 professionisti tra medici, biologi, tecnici di laboratorio, infermieri e operatori socio sanitari. Sa.pr.a sanità è riuscita inoltre a espandersi a livello nazionale nell'erogazione di consulenze e informazioni nell'organizzazione sanitaria all'interno di aziende, diventando un punto di riferimento in materia di salute e sicurezza nei posti di lavoro. “Prossimamente inaugureremo un

ambulatorio a Tirana moderno ed efficiente. Alla stessa cifra che un utente pagherebbe nella sanità pubblica albanese noi comprendiamo il servizio migliore, il trasporto e il soggiorno”. Gli occhi di Stefano guardano lontano ma i suoi piedi sono ben piantati nella città dove è nato e cresciuto. “Arezzo è una città splendida da un punto di vista storico e culturale. Ma ha un altro valore impagabile che pochi considerano: gli aretini, che hanno l'attitudine all'impegno, al lavoro, all'imprenditoria. Possiedono idee e energie superiori: dovremmo solo provare a metterle insieme per remare tutti in un'unica direzione”.


| U P I N S TA G R A M |

#upmagarezzo I colori e le atmosfere di stagione con i vostri occhi: #visionidautunno

I colori dell’autunno e le caratteristiche del nostro territorio disegnano paesaggi e scorci di grande fascino, che troverete immortalati nella gallery #visionidautunno. Cogliere i profumi, i sapori e le atmosfere di questa magica stagione con uno scatto non è un compito banale, ma molti i voi hanno pubblicato delle immagini davvero suggestive: grazie per aver condiviso con noi le emozioni catturate dai vostri obiettivi e complimenti ai fotografi selezionati. Rinnoviamo come sempre l’invito a taggare i post che raccontano Arezzo e la sua provincia con l'hashtag #upmagarezzo e vi diamo l’arrivederci al prossimo scatto!

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tecladlatri -

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paolo_ferruzzi Parco di Castelsecco

wyl966 Arezzo, Italy

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massimotabella Chiusi della Verna

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UP LUOGHI

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il santuario di

santa maria delle grazie

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U N C A P O L AVO RO D I L EGGER EZ Z A ED EL EGA NZ A , UNO SCR I GNO D I T E S O R I E A R M O N I A A P P ENA F UO R I DA L L E M UR A DEL L A C IT TÀ. I L SA N T UA R I O, TANTO CA RO AGL I A R ETINI, È LO SCENARIO P E R F E T TO D I I N C A N TEVO L I M ATR IM O NI. L A STR UT TUR A , AD ESSO G E ST I TA DA I PA D R I CA R M EL ITA NI, HA A L L E SPA L L E UNA STORIA M I L L E N A R I A C H E I N IZ IA IN EP OCA ETR USCA , Q UA NDO IL LU OGO E R A F R EQ U E N TATO P ER IL CULTO DEL L E ACQUE SA LUTARI

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DI MARCO BOTTI / IN COLLABORAZIONE CON FONDAZIONE AREZZO INTOUR


Quando usciamo dalla città percorrendo viale Mecenate, il santuario di Santa Maria delle Grazie si spalanca ai nostri occhi come una sublime visione che da oltre cinque secoli colpisce chiunque visiti Arezzo. Ci troviamo a circa un chilometro e mezzo a sud del centro storico, alla base della collina che prende il nome dal complesso religioso. In antichità era detta di Pitigliano e fin dall’epoca etrusca venne frequentata per il culto delle acque salutari. Una fonte pagana, forse dedicata ad Apollo nel periodo romano, fu “bazzicata” dagli aretini per tutto l’alto Medioevo, quando era chiamata Fons Tuta, e il basso Medioevo, quando invece veniva definita Fons Tecta. Le sue acque erano considerate guaritrici, in particolar modo dei mali infantili. Nel Quattrocento erano ancora molti quelli che vi si bagnavano, nonostante che la Chiesa non vedesse di buon occhio la permanenza di questi riti precristiani.

Un santo senza compromessi Nel 1425 il frate Bernardino degli Albizzeschi, che si trovava ad Arezzo per predicare durante la Quaresima, tentò di smantellare la fonte ma venne cacciato. Tre anni dopo colui che passerà alla storia come San Bernardino da Siena tornò più agguerrito che mai e questa volta, con la collaborazione di un folto gruppo di fedeli, la distrusse e al suo posto fece edificare una cappellina intitolata a Santa Maria delle Grazie. Al suo interno Parri di Spinello, figlio di Spinello Aretino, affrescò intorno al 1430/31 una splendida Madonna della Misericordia nell’atto di proteggere il popolo sotto il suo manto. Tra il 1435 il 1444, grazie alle sovvenzioni comunali e alla donazione di cento fiorini da parte del magistrato Michelangelo Domisgiani, venne eretta una chiesa a navata unica in stile tardogotico, su progetto di Domenico del Fattore.

Negli anni Cinquanta di quel secolo fu costruita, sul lato destro dell’edificio, una cappella esterna dedicata a San Bernardino. Ancora oggi si possono ammirare nelle sue pareti alcuni cimeli, come la croce di legno che secondo la tradizione il frate aveva con sé durante la processione che anticipò la demolizione della fonte pagana.

La prima piazza porticata del Rinascimento Nel 1470/71 fu realizzato un piazzale con portico, progettato da Giuliano da Maiano, dove Lorentino d’Andrea, fido collaboratore di Piero della Francesca, affrescò negli anni a seguire le Storie di San Donato. Alcuni resti staccati di questi dipinti quattrocenteschi si possono osservare nella cappella di San Bernardino. Nel 1695 i Carmelitani Scalzi entrarono in possesso del santuario e nel 1721 chie-

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geolocalizzazione


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sero invano al Comune di Arezzo e al Granducato di Toscana i finanziamenti per restaurare il grande porticato, ormai ridotto in condizioni pessime. Vista la costante negazione dei fondi, nel 1788 si optò per uno sciagurato abbattimento. Ubaldo Pasqui e Ugo Viviani, nella loro guida di Arezzo del 1925, ricordavano che il comune mise all’incanto il materiale ottenuto dalla distruzione, ricavandone 426 scudi. La scenografica struttura rinascimentale, che seguiva quasi tutto il perimetro del piazzale, era compiuta con colonne su base attica e archi gravanti su capitelli ionici, di cui oggi possiamo vedere solo due brevi segmenti. Il grande storico dell’arte Mario Salmi arrivò a spiegare Santa Maria delle Grazie come “il primo esempio di piazza porticata della Rinascita”.

Il vate innamorato Tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del XV secolo, alla facciata della chiesa fu addossata la strepitosa loggia di Benedetto da Maiano, fratello minore di Giuliano.

Quest’opera, formata da quindici arcate sostenute da colonne in stile corinzio, è considerata un capolavoro del Rinascimento italiano. La sua armoniosità fu esaltata anche da Gabriele D’Annunzio, che la definì “aerea loggia” nella serie Le città del Silenzio del 1903, inserita in Elettra, secondo libro delle sue Laudi. L’aspetto attuale è dovuto al restauro del 1871 a opera di Gaetano Fortini, mentre il soffitto del 1495 fu rifatto nell’Ottocento con il sostegno economico della famiglia Redi.

Scrigno di arte e fede L’interno del santuario è caratterizzato da opere di vari periodi. Altre sono scomparse o sono state trasferite nel Museo di Arte medievale e moderna di Arezzo. Scorrendo sulla parete destra è da segnalare un grande affresco che raffigura Papa Sisto IV tra i cardinali Gonzaga e Piccolomini, nell’atto di concedere l’indulgenza al santuario di Santa Maria delle Grazie. L’opera, in parte rovinata, fu eseguita intorno al 1480 da Lorentino

d’Andrea e ricorda un atto significativo per la storia del luogo. La Madonna della Misericordia di Parri di Spinello, di cui parlavamo all’inizio dell’articolo, si conserva invece nell’altare maggiore marmoreo, celebre lavoro di Andrea della Robbia. Il grande artista fiorentino lo eseguì tra il 1487 e il 1498 con l’aiuto dei figli Giovanni, Marco e Luca il Giovane. Nella parte centrale quattro statue raffigurano San Donato, San Bernardino da Siena e i protomartiri San Lorentino e San Pergentino. L’opera, coronata da una Madonna con il Bambino tra due angeli, è arricchita da putti reggicandela, testine di cherubini e serafini, la colomba dello Spirito Santo, medaglioni con profeti e un elegante festone di frutta in terracotta invetriata policroma. Il paliotto dell’altare maggiore rappresenta, infine, Cristo in pietà con la Madonna e San Giovanni Evangelista dolenti ai lati.

Garibaldi a Santa Maria delle Grazie All’entrata del piazzale del santuario,


restaurato nel 2008, si nota un portale in pietre sbozzate: è ciò che rimane di Porta Santo Spirito, una delle entrate della cinta medicea di Arezzo. L’arco interno fu trasportato qui nel 1893, dopo il discutibile abbattimento. Nel 1895, venticinquennale della Breccia di Porta Pia, venne sistemata anche una lapide a ricordo di Giuseppe Garibaldi e delle sue truppe, che tra il 22 e il 23 luglio 1849 si accamparono a Santa Maria delle Grazie. Il Comune di Arezzo, come altri governi locali di stampo conservatore, aveva infatti chiuso le sue porte all’eroe dei due mondi, fuggito da Roma il 2 luglio dello stesso anno dopo la disfatta della Repubblica Romana. La sera del 23 luglio i garibaldini ripartirono in direzione dell’Adriatico. Si erano

riposati e rifocillati grazie ai viveri offerti dai carmelitani ma anche dagli aretini, che avevano comunque inviato cibo per i soldati e foraggio per i cavalli. Secondo un racconto popolare uno dei più noti patrioti romani, Ciceruacchio, si ferì a una gamba nelle operazioni di ripartenza.

tra passato e futuro Il santuario rimane ancora oggi uno dei luoghi per antonomasia dove celebrare i matrimoni. È sempre gestito dai padri carmelitani, che attualmente sono solo tre, tutti di origine indiana, arrivati ad Arezzo nell’ottobre 2015. A Santa Maria delle Grazie hanno trovato una comuni-

tà viva, formata da tanti giovani e anziani che in sinergia portano avanti vari progetti. Tra gli interventi realizzati nell’ultimo periodo va ricordato il restauro di alcuni ambienti del convento e della sua facciata, concluso nel 2018. Adesso i tre frati sono alla ricerca di fondi per la sistemazione, ormai improrogabile, di ciò che rimane del porticato esterno di Giuliano da Maiano. La porzione a destra della chiesa è stata già transennata a causa della caduta di alcune parti. Il suo recupero potrebbe trasformarsi, quindi, in una corsa contro il tempo per non perdere anche quel poco che gli aretini riuscirono a salvaguardare 230 anni fa. Mecenati del nuovo millennio, se ci siete battete un colpo.

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Arezzo intour è una Fondazione in partecipazione che nasce per gestire e promuovere la destinazione turistica Arezzo con azioni di regia, governance del territorio e destination marketing.

Contattaci! info@arezzointour.it I nostri uffici sono aperti dal lunedi al venerdi dalle 08:00 alle 13:00 | Tel : 0575-377418/471/484


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palazzo sugar | UP TENDENZE |

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GLAMOUR, MODA, ARTE E DESIGN MIXATI IN UNO SPAZIO OPEN NEL CUORE DEL CENTRO STORICO. GIUSEPPE ANGIOLINI HA TRASFORMATO PALAZZO LAMBARDI IN UN LUOGO DA VISITARE: PIÙ DI MILLE METRI QUADRI CON BOUTIQUES, BAR, RELAIS E UN'AREA DESTINATA A MOSTRE ED EVENTI. UNA ROTTURA CON I CANONI DEL PASSATO, UN GRANDE PASSO VERSO AREZZO NEWAVE. AD UP MAGAZINE LO AVEVA ANTICIPATO UN ANNO FA. È STATO DI PAROLA DI ANDREA AVATO

L

e sue botteghe della moda avrebbe potuto aprirle ovunque: a Milano, a Roma, anche a Parigi o Londra. Ha scelto Arezzo e non certo per una forma di sciovinismo, bensì per coerenza con la sua filosofia di business. Giuseppe Angiolini è una mosca bianca: tutti pensano che in questa città non si possa investire, avere successo e scappano altrove. Lui è rimasto ed è andato controcorrente. Una lucida follia, un pegno da pagare al cuore, una ragionata concessione alle radici: fatto sta che si è costruito un nome, una reputazione, un brand. Ha allargato i suoi orizzonti al mondo intero senza smarrire il filo

conduttore che ogni volta lo ha riportato lì, in Corso Italia, dove i negozi Sugar sono gli esclusivisti o quasi dell'eleganza. Adesso ancora di più. L'inaugurazione di palazzo Lambardi/Sugar ha trasformato Arezzo, almeno per una notte, nella capitale del glamour. Un evento non solo ma anche per gli aretini, che hanno apprezzato. Più di mille metri quadri restaurati e da visitare con boutiques, bar, relais e un'area destinata a mostre ed eventi, tra affreschi e i resti di una domus romana. Una rottura con i canoni del passato, un grande passo verso Arezzo Newave. Giuseppe Angiolini aveva anticipato questo suo grande progetto ad Up Magazine, poco più di un anno fa. Gli dedicammo la storia di copertina del nostro primo numero. E lui è stato di parola.

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U P I N T E R V I S TA

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Adesso cambia la musica DI ANDREA AVATO

S

i chiama Sud Wave ed è la nuova, lucidissima follia di Mauro Valenti: una vetrina musicale per i nuovi talenti del sud Europa, un maxi evento con incontri, lezioni di esperti, veri e propri laboratori creativi, presentazioni, anteprime, ospiti di livello assoluto e ovviamente concerti. Se qualcuno pensava che il patron di Arezzo Wave, una volta passati i sessanta, si fosse instradato verso una placida vita da ex, si sbagliava di grosso. Circondato da centinaia di cd e decine di trofei vinti con il Piazza Grande, la squadra di calcio che ha fondato anni fa, Mauro Valenti è ancora in modalità on, animato dal sacro fuoco dell'iniziativa, dell'idea, della proposta. I contatti italiani e stranieri accumulati in carriera gli fanno vibrare e trillare lo smartphone in mille modi differenti, mentre smanetta tra i fogli di carta sparpagliati sopra la sua incasinatissima e vissuta scrivania. Sud Wave cos'è? Un'utopia, un Arezzo Wave versione moderna, una sua rivincita personale: che cosa? Sud Wave è il figlio di Arezzo Wave. Come tutti i bambini piccoli, non si sa come e quanto crescerà. Ha grandi potenzialità e grandi rischi, io spero che venga su nel modo giusto. Come le è venuto in mente un progetto così? In modo naturale direi. Con Arezzo Wave mi sono costruito una credibilità consolidata, un patrimonio da sfruttare. Faccio parte della federazione europea dei festival e vorrei riportare Arezzo al centro di un percorso musicale internazionale, com'era una volta. Nostalgia?

Tanta. Sul nostro palco sono saliti Ben Harper, Skunk Anansie, Dave Matthews. Non li conosceva nessuno o quasi, la gente veniva ad Arezzo per scoprire, era una sensazione bellissima. Può accadere di nuovo? Per me sì. Io sono di Arezzo, sono legato a questi posti. Avevamo offerte da altre città ma Sud Wave voglio svilupparlo qui, dove abbiamo già portato il mondo. Si può replicare, con le dovute differenze. Quali? I filoni portanti di Sud Wave sono tre: workshop, pass festival, concerti live. Le officine musicali, gli incontri su temi fondamentali per l'organizzazione di eventi, con artisti e manager, lo rendono una novità assoluta per Arezzo e quasi per l'Italia. A Sud Wave si tratta la musica a 360 gradi. Cioè? Dibattiti sui diritti d'autore, sulla sicurezza ai concerti, consigli legali per la carriera artistica, info per le esibizioni all'estero e su come costruire una band. E poi il mondo del volontariato: restituire motivazioni a una generazione intossicata digitalmente è un obiettivo che mi piace molto. I gruppi che partecipano a Sud Wave possono incontrare manager di livello mondiale e avere un'occasione per il loro futuro. E i concerti? Al Circolo Artistico, al Karemaski, al Virginian, al Rock Heat. E in tutti i locali, gli spazi, gli ambienti che si mettono a disposizione: mi intriga la possibilità di rendere Arezzo una città piena di live in centro e in periferia.

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M AU R O VA L E N T I, STO R I CO PATRON DI A R EZ ZO WAV E, HA M ESSO A PUNTO U N P RO G E T TO A RT I STICO INNOVATIVO, Q UA SI R IVO LUZ IO N ARIO: NO N SO LO CO N C E RT I S U L PA LCO M A A NCHE ESIBIZ IO NI L IV E P ER LE STRAD E, L E PI A Z Z E E N E I N EG OZ I , L A BO R ATO R I CR EATIV I, WOR KSHOP P ER ARTISTI, MA N AG E R , T EC N I C I D EL SUO NO. UN M A XI EV ENTO DA R IP ETERE NEGLI AN N I P E R R I P O RTA R E L A CIT TÀ A L CENTRO DI UN P ROGET TO CULTURALE IN T E R N A Z I O N A L E . "S O NO UN A R ETINO DI CA M PAGNA E M E NE VANTO. H O R EGA L ATO E M OZIO NI M A L A P OL ITICA NO N M I A IUTA . EPPURE M I B A ST E R E B B E RO P OCHI SO L DI P ER ROV ESCIA R E IL M OND O"



Mauro Valenti con il cantante de Ramones, Marky Ramone

“I filoni portanti di Sud Wave sono tre: workshop, pass festival, concerti live. Restituire motivazioni a una generazione intossicata digitalmente è un obiettivo che mi piace molto”

In Italia non c'è nulla del genere? Qualcosa sì. Milano Music week, ma lì i contributi pubblici sono sostanziosi. Noi tentiamo di tenere botta con molto meno. E' come se l'Arezzo affrontasse il Milan o l'Inter in una partita di calcio. Difatti stiamo cercando di accedere ai finanziamenti di Europa Creativa, il programma europeo che mette a disposizione più di un miliardo di euro per progetti rilevanti in ambito culturale. Questo lo sarebbe? Altro che. Quattro giorni di interscambio tra gruppi musicali di Italia, Portogallo, Spagna, Grecia, Francia, approfondimenti su tematiche che riguardano gli artisti ma anche i tecnici del suono, gli stage manager. E poi speed meeting, aperitivi rock, video room per rivedere tutti i filmati più interessanti della storia di Arezzo Wave. Io penso che un evento così sarebbe una bella cosa per la città. Bellissima. Ma è sostenibile dal punto di vista economico? Per adesso ci investo senza margini di guadagno. E' un sasso nello stagno che mi auguro porti risultati più avanti. Mi dispiace che con il Comune non ci sia feedback. A volte mi sorge il sospetto che sulle cose che organizzo io, venga messo un diktat: nessun aiuto. Ma perché? Non lo so. Forse perché la politica mi vede come uno imprevedibile e questo dà fastidio, non mi possono tenere sotto controllo né ricattare. O forse, semplicemente, propongo cose poco interessanti. Ci può stare. Beh, poco interessanti non è vero.

Sono sicuro che se imparassi a volare, qualcuno direbbe: che palle, adesso Valenti vola anche. Di lei dicono pure che ha un carattere troppo spigoloso. Magari dovrebbe essere più diplomatico. Forse è vero. Mi sento un po' come Maradona: era bravissimo nel suo lavoro, ma senza un procuratore non avrebbe firmato i contratti che ha firmato. Ecco, io dovrei pensare solo a fare i gol e mandare un agente a trattare per me. Sapete qual è il mio difetto? Quale? Sono troppo aretino. Aretino di campagna addirittura. E questa cosa la pago. I grandi festival europei nati insieme ad Arezzo Wave, oggi fanno milioni di spettatori. Arezzo Wave non c'è più. Colpa mia. O forse no. Forse dovevo schierarmi: destro o sinistra. Sarebbe stato più semplice. Invece guardo ai fatti, non al colore delle amministrazioni. Il mio cruccio è che la città era pronta a un progetto musicale innovativo, la politica no. E non ha capito che Arezzo Wave aveva un indotto di milioni di persone, che portavano tanti soldi nel territorio. Facciamo un po' d'amarcord? Non voglio passare per presuntuoso, ma uno dei ricordi più belli delle ultime generazioni è proprio Arezzo Wave. Nel 2000 si creò una coda di diciotto chilometri al casello: era gente che veniva a vedere Moby. Luis Sepulveda nel 2004 ha presentato Miriam Makeba. Abbiamo regalato emozioni, il mio piccolo contributo alla città penso di averlo dato.

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Gianna Nannini ad Arezzo Wave nel 2006

“è suggestiva l'idea dei live in contemporanea per le strade di Arezzo 24 \ UP MAGAZINE AREZZO \ AUTUNNO 2018

Piccolo per modo di dire. Tanti però le rinfacciano i problemi di ordine pubblico che erano legati al campeggio. Tutto poteva essere migliorato, ma è sempre mancata una politica di marketing urbano. Fatto sta che il festival non c'è più. Allora perché Sud Wave? Per dimostrare che aveva ragione Mauro Valenti? No. Perché io sono un imprenditore culturale. Per dirla alla Pasolini, cerco una disperata vitalità. Poi cerco anche di sentire il vento, annusare l'aria: oggi ci sono i presupposti per rimettere Arezzo al centro di un percorso. Voglio essere sincero: Sud Wave è una di quelle cose che non sai perché le fai ma che staresti male se non le facessi. Cos'è che le dà la spinta ogni giorno? La cosa che mi elettrizza di più è rompere gli schemi: in questo caso creare un network tra Arezzo, Lisbona, Barcellona, Atene e Parigi. Mi dà una carica pazzesca, mi sveglio alle 5 di mattina e comincio a mandare email ai miei collaboratori. Poi a loro dico la bugia che

Tu esci e lungo la strada, davanti al negozio, dentro un bar, trovi la band o il solista che suonano. Mi piace”

sono in treno e che approfitto del viaggio per contattarli: sapessero la verità, che all'alba sono già in piedi, mi prenderebbero per matto. Il lavoro del talent scout però dev'essere figo. Non è quello a solleticarle l'orgoglio? Anche. E' gratificante, ma ancora più gratificante sarebbe giocare in undici. Invece ho qualche sponsor, qualche patrocinio, ma restiamo in inferiorità numerica rispetto ai nostri concorrenti. Amen. E' suggestiva l'idea dei live in contemporanea per le strade di Arezzo. Questa è veramente una nota di di-

versità dallo standard. La comunità europea spinge molto sul concetto di "audience surprise" e all'estero il trend è già consolidato. Da noi un po' meno, per questo voglio portare la musica a un pubblico che per età, mentalità, impedimenti vari, non ha avuto modo di sperimentare certi linguaggi culturali. Tu esci, vai al lavoro, a cena fuori, al cinema e lungo la strada, davanti al negozio, dentro un bar, trovi la band o il solista che suonano. Mi piace. E' ottimista? Lo sono sempre. Lo sarei di più se avessi il sostegno giusto: mi basterebbero centomila euro e rovescerei il mondo. Ad Arezzo.


NASCE UN NUOVO PROGETTO CON LA STESSA PASSIONE DAL 1881

Banca Popolare di Cortona apre una nuova filiale nel cuore pulsante dell’economia aretina. Dal 1° ottobre ad Arezzo in via Spallanzani, 31

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La parola poetica, strumento di salvezza DAL Q UA D E R N O A Z ZU R RO DEL L E SUP ER IO R I A UN P OSTO DI RISPET TO F R A I G R A N D I L E T T E R ATI ITA L IA NI. PAT RI ZI A FAZZI HA DEDIC ATO LA S UA V I TA A L L’ I N S EGNA M ENTO, A L L A FA M IGL IA E A L L E PA SSIONI, I N U N A CO N T I N UA RICERCA DEL V ERO, DEL BUONO E DEL B ELLO

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DI CHIARA CALCAGNO

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anza la penna sul foglio bianco. Un movimento deciso, impaziente eppur dolce ed elegante. Oscilla la testa seguendo lo stesso ritmo, la stessa silenziosa melodia dettata dai pensieri, dalle emozioni. E quando l’inchiostro compone parole, allora diventa arte, libera la musica. E’ la poesia di Patrizia Fazzi. Nata e cresciuta ad Arezzo, ha dedicato la vita all’insegnamento e alle sue passioni in una continua ricerca del vero, del buono e del bello. “La poesia mi ha salvata. Nasce da ciò che vedo, che faccio, che sento. E’ lo specchio della mia esistenza, da sempre la forma del vissuto. Trasformo un sentimento in una linea definita di segni da osservare, studiare, cercare di capire. E poi la dono agli altri affinché possano servirsene”. Era alle medie quando, davanti a un paesaggio, scrisse la prima composizione. Poi un quaderno azzurro, dove appuntare versi e pensieri, l’ha accompagnata per tutte le superiori. Adesso il nome di Patrizia Fazzi fa parte del panorama letterario italiano e una sua poesia è stata inserita nell’antologia A mio padre (Newton Compton 2006) a fianco dei grandi scrittori della penisola. La sua arte ha riscosso grande successo di pubblico e di critica e, nel curriculum, può vantare decine di premi in concorsi letterari e prestigiosi riconoscimenti. Fra i più importanti il Marengo d’oro 2002 per la Silloge inedita, il premio internazionale Il Molinello 2003 (poesia Quarto anniversario), il primo premio Città di Rufina 2003 (poesia Natale al mare), il Firenze Fiorino d’Argento 2005 con il libro Dal fondo dei fati. E ancora i premi speciali Contini Bonacossi 2007 per La conchiglia dell’essere, quello Mario Conti 2012 per L’Occhio dei poeti, oltre a tre statuette del primo premio Tagete. Nel 2014 è stata insignita del titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica. Laureata con il massimo dei voti e lode all’Università degli Studi di Firenze, per tre anni è stata collaboratrice (didattica e scientifica) nel corso di Letteratura italiana moderna e contemporanea diretto da Giorgio Luti. Poi, come docente, per molti anni si è messa al servizio dei ragazzi, specie del liceo linguistico Vittoria Colonna e ha ideato e coordinato il progetto didattico L’avventura dei linguaggi, ciclo di incontri

che ha visto fra i protagonisti Giorgio Barberi Squarotti, Vincenzo Cerami, Luciano Luisi, Davide Rondoni. “Sono anni difficili quelli dell’adolescenza, anni di vetro, e bisogna camminarci in punta di piedi. Ho sempre cercato di entrare in empatia con i miei alunni pur mantenendo il ruolo di docente. Provavo a insegnar loro un metodo di studio che li aiutasse a mettere ordine tra i fogli e nella mente, che potesse esser utile anche fuori dall’aula. Li spronavo a riflettere su ciò che leggevano, a interpretarlo, a interiorizzarlo per tirar fuori le loro potenzialità. I ragazzi devono essere guidati e incoraggiati, mai offesi”. Per la sua città, Arezzo, nutre un amore profondo: la terra natia è una culla, fonte d’ispirazione per tanti componimenti. “Guardando i monumenti è possibile attraversare la storia etrusca, romana, il medioevo, il rinascimento. E’ bellezza che si snoda nei vicoli e si esalta negli antichi palazzi e chiese. Dovremmo solo imparare a valorizzare al meglio questo patrimonio”. Con questo intento ha portato le sue composizioni per Piero della Francesca in sedi prestigiose a Roma, Parma, Montecarlo. Nella sua poesia, che vive fra illuminazione e racconto, ci sono versi dedicati al senso dell’esistenza, alla natura, ai grandi personaggi e artisti del passato, accanto a molti componimenti di tema civile, che riflettono su eventi catastrofici, situazioni sociali, storie di un’Italia che soffre. “La poesia nasce quando la vita ci colpisce nel dramma o nella bellezza e la parola poetica ha qualcosa di ‘definitivo’, sono parole scolpite nel ritmo. E’ uno sguardo particolare quello dei poeti: non solo vede ma osserva, spesso è uno sguardo impietoso ma lucido. Incrociarlo è un modo per ritrovare se stessi”. All’attività poetica ha sempre unito quella di critica letteraria, pubblicando numerosi saggi e presto uscirà un libro di poesie dedicate al linguaggio musicale, scritte ascoltando esecuzioni magistrali. Sposata dal ‘78 con Domenico, ha un figlio, Giacomo, laureato in ingegneria gestionale. “Mi bastano gli affetti, la meraviglia delle cose semplici. Perché la semplicità, anche in poesia, è un punto di arrivo”.


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Un talento dalle mille sfaccettature CO M E L A M AG G I OR PA RTE DEL L E DONNE, L AURA FALC I NELLI I N T E R RO GA O G N I M AT TINA LO SP ECCHIO A L L A R ICERCA DI UN CO N S I G L I O. N E L S U O CA SO, SU Q UA L E A NIM A INDO SSA R E. DALLA M U S I C A A L D E S I G N , SONO TA NTI I M O NDI IN CUI HA IM PA RATO A DE ST R EG G I A R S I . CO N L A L EGGER EZ Z A E L A CONSA P EVO L EZ ZA D I CH I S C EG L I E D I VOTA R E L A P ROP R IA V ITA A L L’A RTE DI MATILDE BANDERA

incredibile. Quando uscivo dal club a fine serata, il cuore mi aveva fatto mille giri”. New York e i suoi suoni, la frenesia e le luci, la libertà creativa e la regolarità delle sue forme si sono ritagliati uno spazio fondamentale nell’enorme bagaglio di esperienze da dove Laura attinge per creare la propria musica. Proprio da qui, a breve, uscirà il suo nuovo progetto artistico. Ma Laura non è solo un insieme di note e una voce calda e avvolgente. Solare, estrosa, libera, esprime la propria creatività anche disegnando gioielli. Due anni fa è nato il brand che porta il suo nome, Laura Falcinelli Jewels, che comprende una serie di creazioni in bronzo e ottone per donne luminose, brillanti, non convenzionali. Per il design dei suoi bijoux si lascia ispirare dalle cose che ama: la musica, gli animali, la Toscana, in cui sin dall’epoca etrusca venivano prodotti gioielli meravigliosi, frutto di una sconfinata inventiva e di una consolidata esperienza nella lavorazione manuale dei metalli preziosi. “Nascere e crescere in una famiglia di artisti del gioiello come la mia, costituisce motivo di orgoglio e fonte di ispirazione: ho costantemente dato supporto alla nostra attività ma ho sempre avuto il desiderio di mettere a frutto gli studi all’Accademia delle Belle Arti di Firenze per un progetto tutto mio. Disegnando gioielli puoi decidere di seguire le mode o di lasciarti guidare dalla tua personalità: io ho deciso di produrre i miei gioielli in bronzo e ottone per non avere vincoli di budget, lasciando la mia creatività libera di fluire e di poter giocare con i volumi e la leggerezza tipici dei bijoux femminili, con la stessa cura e perfezione che si dedica ai gioielli in oro. Nelle mie creazioni c’è molta intimità e sono dedicate a una donna libera e moderna, che intende mettere in mostra e portare ovunque con sé la propria indipendenza”. Per scoprire qualche curiosità in più sul brand e lasciarsi travolgere dalle “good vibrations” di Laura è possibile visitare lo shop online: www.laurafalcinellijewels.com

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L

a vita è l’arte dell’incontro, come cantava Vinicius De Moraes, e a volte è proprio un incontro a cambiarti la vita, magari per qualche ora. Perché ci sono persone che, anche se non si conoscono intimamente, riescono a trasmettersi vibrazioni, a dialogare attraverso scambi di energia. Con Laura, in arte Lawra, è successo proprio questo. È entrata dalla porta della redazione con il suo sorriso travolgente, portando con sé allegria e vitalità. Minuta, frizzante, sembrava muoversi fra le mura di casa sua sin dal primo momento. L’avevo sentita cantare diverse volte. Ricordo come fosse ieri il concerto al Cortona Mix Festival con Max Weinberg e Roy Bittan, batterista e pianista della band di Bruce Springsteen. Era sul palco con un lungo abito rosso: sofisticata, elegante, non la immaginavo vivace e spontanea come ho avuto il piacere di conoscerla. Come si fa con una confidente, mi ha rivelato la consapevolezza di non essersi mai raccontata abbastanza. Ha sempre avuto una sorta di pudore nel comunicare se stessa, per paura di non rendere giustizia ai suoi sentimenti e al modo così intimo di vivere la sua arte. Non tutti sanno che Laura, oltre ad essere nata in una famiglia di artisti e artigiani del gioiello, è sbocciata artisticamente al The Garage di Fabrizio Vanni, circondata da personaggi come Toquinho, che hanno inciso notevolmente sulla sua formazione musicale, facendo nascere in lei l’esigenza di quel primo viaggio a New York, a caccia di musica e di emozioni. “Ho studiato e fatto mia la musica black. Le percussioni e la ritmica del jazz e della musica africana mi hanno conquistata, contaminandomi in maniera viscerale. Per questo decisi di intraprendere un lungo viaggio completamente da sola. La musica ti parla e bisogna ascoltarla dal vivo per comprendere appieno il significato di ciò che cerca di dirti, per carpire la scintilla creativa del musicista. Trascorrere serate in templi della musica come il Blue Note, il Village Vanguard è stato


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UP SPORT

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Game, set, match:

la riscossa a 40 anni 30 \ UP MAGAZINE AREZZO \ AUTUNNO 2018

ALL'INFERNO E RITORNO: DANIELE BRACCIALI, RIABILITATO DOPO L'ASSOLUZIONE NEL PROCESSO SCOMMESSE, È TORNATO VINCENTE NEL DOPPIO IN UN TORNEO ATP E VIVE UNA SECONDA GIOVINEZZA. AD UP SI RACCONTA CON SERENITÀ: “IL MIO ESORDIO? A 17 ANNI, IN AUSTRIA. AVEVO PERSO L'AEREO, HO RISCHIATO DI NON GIOCARE”. E POI LA SCALATA AL RANKING MONDIALE, IL GRANDE TALENTO, I PASSAGGI SCANZONATI, L'AMICIZIA CON FEDERICO LUZZI. NEL 2015 L'INIZIO DELL'INCUBO: “MOLTE PERSONE SI SONO ALLONTANATE, QUESTA STORIA MI HA INSEGNATO QUALI SIANO QUELLE SU CUI CONTARE”. ADESSO SI GODE IL MOMENTO, I PROSSIMI TORNEI, IL FIGLIO NICCOLÒ. CON LA CALMA DEL MARINAIO CHE HA SUPERATO LA TEMPESTA DI MATTIA CIALINI

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a dovuto posare la racchetta, è andato all'inferno ed è ritornato. La traversata del deserto giudiziario, la vittoria nelle aule di tribunale e il trionfo, di nuovo, a 40 anni, sul campo. Il novello Orfeo, con un finale decisamente più lieto da raccontare, è il tennista Daniele Bracciali, che spiega con pacatezza l'ultima delle sue vite, dopo tre anni di ingiusta sospensione dai circuiti Atp per il caso scommesse. Una vicenda che l'ha scosso, fiaccato, amareggiato. Non spezzato. Il “Braccio” (di ferro) ha resistito fino al pronunciamento dello scorso gennaio: assoluzione con formula piena a Cremona e rientro tra i “pro”. Da allora ha partecipato a tre Slam e vinto il settimo torneo in carriera, a Gstaad. Nessun artificio letterario: la storia sportiva di Bracciali, oltre l'epilogo alla Conte di Montecristo, è di per sé sapida e succulenta. Fatta di smisurato talento, passaggi scanzonati, racchette

spaccate, imprese eroiche. Il confronto con tutti i big del nostro tempo, la vetta del 49esimo posto nel ranking mondiale e soddisfazioni mica da poco (vero, Nadal?). E poi: l'affetto per Carlo Pini, indimenticato maestro del tennis d'Arezzo, e per Federico Luzzi, campione, coetaneo, quasi un fratello, che la malattia ha ucciso a 28 anni. Qua e là, spruzzate di poesia: l'amore per Arezzo, per l'Arezzo, per la sua Quarata. E un figlio, Niccolò, avuto da Elisa: lampo di luce che ha rischiarato il buio della squalifica. Daniele, partiamo dal tuo primo vagito tennistico. Quando? “Avevo 5 anni, credo. Ma da piccolo mi piaceva di più il calcio”. E con quale squadra hai iniziato? “San Domenico, poi Quarata. Ero bravino, difensore centrale. Ho giocato fino a che ho potuto”. Cresciuto col pallone tra i piedi e la racchetta in mano, ha lasciato rotolare via il primo, quando il campo da calcio e

quello da tennis, complementari fino ad allora, erano diventati inconciliabili. “E' stato mio babbo, che amava il tennis, a spingermi verso questo sport, io preferivo il pallone. A 14 anni mi allenavo al centro federale di Cesanatico. C'erano Luzzi, Galimberti, Starace. Quando tornavo ad Arezzo giocavo a calcio. Poi ho dovuto scegliere”. E nel 1995, a soli 17 anni, eccoti all'esordio in un vero torneo Atp: Sankt Pölten. Emozioni? “Giocai per una serie di fortunate coincidenze. Ottenni la wild card, perché chi ne aveva diritto si ritirò all'ultimo. Persi l'areo. Arrivai in campo 10 minuti prima del match. Non ebbi nemmeno il tempo di emozionarmi. Tra l'altro giocai bene contro un gran bel tennista come Rodolphe Gilbert: persi 6-3, 6-4, lottando”. Sfrontato, talentuoso. E grande tifoso amaranto. Una volta, nel 2007, ti sei presentato al Foro Italico contro Rafael Nadal indossando la maglia dell'A-


“è stato mio babbo, che amava il tennis, a spingermi verso questo sport, io preferivo il pallone. Ero bravo, difensore centrale. Ho giocato a calcio fino a che ho potuto”

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rezzo con il numero 83 di Floro Flores. “Sì, è vero. Peccato che il telecronista disse che era la maglia del Livorno”. Sull'altalena dei risultati, col tempo sei riuscito a dosare impeto e freddezza. Nel primo decennio del nuovo millennio hai colto tra i successi più esaltanti della tua carriera. Qual è il ricordo che ti tieni più stretto? “Ce ne sono tanti. Il primo successo in carriera in un torneo Atp, l'unico in singolare, in finale sulla terra rossa di Casablanca contro il cileno Massu nel 2006. Oppure il match di Wimbledon nel 2005 contro Roddick, sospeso per oscurità. Persi dopo una partita combattuta al quinto set. Roddick, numero 2 del tabellone, che si arrese in finale al numero 1 al mondo Federer. Piacevole ricordo è poi il doppio con la Nazionale azzurra in Coppa Davis a Torre del Greco, sempre nel 2005: in coppia con Galimberti vincemmo un match straordinario al quinto set contro la corazzata spagnola Feliciano Lopez-Rafa Nadal”. Nel 2008 hai perso un grande amico, compagno di racchetta, come Federico Luzzi. Anche lui aretino, ucciso da una leucemia fulminante. Qualche anno dopo se ne è andato Carlo Pini, “il” maestro del tennis ad Arezzo, con cui eri cresciuto. Che ricordo hai di queste figure? “Carlo era molto protettivo. Mi ha fatto da secondo babbo. Grande allenatore, grandissima persona: sempre disponibile, profondo. Eppure scherzoso. Con Federico avevo un rapporto di amicizia che durava da venti anni. Che dire, eravamo legatissimi. Lo riportai io in macchina ad Arezzo, quando accusò i primi malesseri. La malattia lo spense in pochi giorni.


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“La sospensione? Ero sereno, consapevole di non aver mai fatto nulla di male. Ma ci sono le udienze, lo stress... Mi ha sostenuto la famiglia. E poi è nato Niccolò”

Conservo il ricordo di momenti splendidi passati insieme. Da quando non c'è più, cerco di ricordarmi di vivere pienamente ogni momento che mi è concesso”. E' poi iniziata un'altra tua vita tennistica, quella di doppista. Che ti ha portato in dote altri sei trionfi Atp. Come è maturata questa tua specializzazione? “Avevo già giocato e vinto in doppio, dopo il 2008 diventò naturale puntare su questa disciplina. Ero reduce da un infortunio, eventualità che mi indirizzò verso una scelta di gioco meno stressante fisicamente. E con l'età sono diventato più esperto”. Un successo nel 2005 con Galimberti, poi quattro trionfi in meno di un anno tra l'ottobre 2010 e il settembre 2011. Due di questi ottenuti con Potito Starace. Più di un amico. “Ci sentiamo ancora, anche adesso che lui si è ritirato. Ci siamo allenati per anni alla Blue Team ad Arezzo. E sfortunatamente abbiamo condiviso anche il processo per scommesse”. Il calvario è iniziato nel 2015: radiazio-

ne dalla Federtennis “per aver alterato l'esito di alcuni incontri al fine di realizzare guadagni illeciti tramite scommesse”. Una squalifica ridotta poi a 12 mesi. Ma oltre ai processi sportivi, c'è stato quello della magistratura ordinaria di Cremona. Tre anni di lontananza dai campi, poi, alla vigilia del 40esimo compleanno, l'assoluzione. “E' stata la fine di un incubo. L'Atp mi aveva sospeso per il semplice fatto di essere imputato. Ho perso tre anni di carriera, senza contare le spese per difendermi e il danno di immagine. Sono rimasto sorpreso dalla posizione di Coni e Fit, che si sono costituiti parte civile nel processo, come se non avessero fiducia nei loro tribunali sportivi, che già mi avevano assolto. Ho rallentato, mi sono dedicato alla mia accademia (“49 accademia training”, il numero è un omaggio al best ranking Atp raggiunto da Bracciali, nda), al Circolo Tennis Arezzo e alla famiglia. Sono rimasto deluso da alcuni aretini, grandi amici che trenta secondi dopo l'esplosione del caso erano già a

chilometri di distanza. Ecco, questa storia mi ha insegnato quali siano le persone davvero importanti per me”. Con che spirito hai vissuto la sospensione e i processi? “Ero sereno, consapevole di non aver mai fatto nulla di male. Ma poi ci sono le udienze, lo stress continuo. E' stato un periodo in cui ho dormito poco. Per fortuna, la mia famiglia mi ha sostenuto e mi ha dato la forza di reagire. E poi è nato Niccolò”. Da quando sei diventato professionista, sei stato una trottola. Sempre in giro per il mondo. Ma il legame con Arezzo, non lo hai mai troncato. Sei tornato quando hai potuto. Nel tuo futuro, oltre al tennis, c'è ancora la tua città? “A 40 anni il mio desiderio è quello di rimanere il più possibile a questi livelli. Arezzo è casa mia e non mi allontanerò di certo. Qui ho i miei amici e i miei affetti. Adoro il centro storico, amo la frazione in cui sono cresciuto e dove sono tornato a vivere, la mia Quarata”.

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Cavalli di battaglia |

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SONO DUE SIMBOLI DELLA GIOSTRA DEL SARACINO, ANIMALI CAPACI DI AFFRONTARE LE INSIDIE DI PIAZZA GRANDE CON CORAGGIO E DISINVOLTURA. HANNO VINTO, CONQUISTATO APPLAUSI, LANCE D’ORO E SGUARDI D’AMMIRAZIONE, MA DALL’ANNO PROSSIMO NON POTRANNO PIÙ GAREGGIARE PER LIMITI DI ETÀ. PER GIANMARIA SCORTECCI ED ENRICO VEDOVINI, CAVALIERI DI TALENTO DI PORTA SANTO SPIRITO E PORTA SANT ’ANDREA, LA SFIDA PIÙ DIFFICILE SARÀ RIMPIAZZARE DUE GRANDI AMORI COME NAPOLEONE E PETER PAN DI ANDREA AVATO


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"N

omen omen" dicevano i latini. Magari non si riferivano agli animali, ma conta poco. In realtà avere il destino nel nome può valere per tutti, bipedi e quadrupedi. Prendiamo Napoleone, per esempio: il pensiero va all'arte del comando, alla capacità di governare istinti e pulsioni, di adottare la strategia migliore per

conquistare la gloria. Se ti chiami Napoleone, vincere dominando non può non essere la tua inclinazione naturale, anche in una piazza gremita di gente che urla, fischia e applaude. Oppure Peter Pan, l'archetipo della spensieratezza dilatata oltre i confini del reale, l'abilità nel districarsi in mezzo a questo pazzo mondo di adulti che tu guardi con diffidenza e che

magari provano a spaventarti mentre corri sopra quarantasei metri di terra. Sei Peter Pan e non puoi diventare vecchio, nemmeno se compi vent'anni e ti dicono che per la Giostra il tuo tempo è scaduto. Così diversi e così uguali, uno marrone e uno grigio, entrambi plurivittoriosi. Sono icone del Saracino e sul dorso arcuato, oltre alla sella con lo stemma


“Peter Pan con il suo fantino ha vissuto in simbiosi da sempre. sono diventati una cosa sola, una sorta di centauro che moltiplicava forza, tenacia, combattività” 36 \ UP MAGAZINE AREZZO \ AUTUNNO 2018

dei rispettivi quartieri, portano anche i ricordi di processioni festanti in mezzo ad ali di folla, di lance d'oro conquistate al galoppo verso il buratto e la celebrità. Un concentrato di muscoli, crini al vento, zoccoli e nitriti: sono affascinanti questi due cavalli, sono atleti veri, ed è un peccato che dall'anno prossimo la Giostra se la dovranno vivere da lontano, interpretando con l'orecchio vigile i rumori che verranno su dalla lizza e che commenteranno a modo loro, tra uno sbuffo delle narici e un movimento della coda. Napoleone ha vinto tre volte su sette con 6 centri, Peter Pan otto su ventitre con 13 centri. Medie altissime. Hanno ricevuto carezze, strigliate piene d'affetto, pacche sul collo, perfino baci in pubblico e ovazioni dalla folla. Ci sono bambini che si sono avvicinati al magico mondo del Saracino grazie ai cavalli, a quegli occhi sempre un po' malinconici e languidi, al clop clop sul selciato di Corso Italia durante le sfilate. Napoleone e Peter Pan erano sempre tra i più ammirati.

Enrico Vedovini, 42 anni, cavaliere simbolo di Porta Sant'Andrea. Ha corso 36 volte la Giostra, ne ha vinte 12, 8 in sella a Peter Pan. In 16 occasioni ha messo la lancia sulla V

Chi li conosce bene sostiene che, potessero parlare, direbbero che vogliono ancora correre Giostra. Che sì, lo stress è tanto, ma alla fine il divertimento vince su tutto il resto. Che Napoleone, quando il corteo arriva in via Roma, si trasforma e accelera il passo perché non vede l'ora di entrare in piazza con i suoi finimenti gialloblu. Che Peter Pan è infastidito dal suono dei tamburi ma poi, appena scorge il Buratto all'orizzonte, diventa un altro e cambia umore, esi-

bendo la sua testiera biancoverde. Napoleone è generoso, affidabile, sicuro. Peter Pan è orgoglioso, coraggioso, indomito. Napoleone ha cambiato la vita al suo cavaliere preferito, che stava attraversando un periodo complicato, non riusciva ad appoggiare la lancia sulla V e rischiava di essere messo in discussione dal quartiere. Fu un colpo di fulmine, un feeling che nacque all'improvviso, una scintilla che è scoccata e non si è spenta più.


Gianmaria Scortecci, 32 anni, nato e cresciuto a Porta Santo Spirito. Ha corso 15 edizioni della Giostra, conquistando 9 lance d'oro, 3 al galoppo con Napoleone. Ha colpito il centro 7 volte

Peter Pan, con il suo fantino, ha vissuto in simbiosi da sempre. Si sono visti, conosciuti, frequentati e giorno dopo giorno sono diventati una cosa sola, una sorta di centauro che moltiplicava forza, tenacia, combattività dell'uno e dell'altro. C'è un mondo ancora poco celebrato dietro gli annunci dell'araldo e gli squilli delle chiarine, dietro i foulard dei quartieristi e le note di Terra d'Arezzo: è il mondo equestre con i suoi mille risvol-

ti, mille retroscena, mille segreti che in pochi conoscono a fondo. I cavalli non sono soltanto splendidi animali che trasmettono olimpica serenità, ma anche amici fidati, pezzi di cuore da portare in passeggiata, tenendo i piedi morbidi sulle staffe e tirando le briglie soltanto quando è necessario. Napoleone e Peter Pan sono stati ancora di più. Alleati di ferro in quei brevi e cruciali istanti tra il pozzo e le logge, compagni di vita, amori che non potran-

“Napoleone ha cambiato la vita al suo cavaliere messo in discussione dal quartiere. Fu un colpo di fulmine, una scintilla che è scoccata e non si è spenta più”

no mai essere sostituiti perché l'amore è così: unico e incancellabile. Per Gianmaria Scortecci ed Enrico Vedovini, giostratori di talento, la sfida più difficile, adesso, sarà trovare due nuovi cavalli di battaglia.

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UP GUSTO

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Lo scrigno dei desideri OLTRE Il Natale 38

L'ART CAFÈ È UN LUOGO DIFFICILMENTE INCASELLABILE: "COMFORT ZONE" QUOTIDIANA PER UNA TAZZINA O UN PASTO VELOCE, MA ANCHE VETRINA DI PRELIBATEZZE, ENOTECA E CHAMPAGNERIA, CHE CON L'APPROSSIMARSI DEL 25 DICEMBRE DIVENTA UNA VERA DISNEYLAND DELL'ENOGASTRONOMIA, CON ALLESTIMENTI CREATIVI E TEMPORARY SHOP INGEGNOSI. SUGLI SCAFFALI LE ECCELLENZE DEI PANETTONI, LA MIGLIOR FRUTTA RICOPERTA, CIOCCOLATO DA URLO E BOLLICINE DA CAPOGIRO. GARANTISCE MATTEO PERUZZI, CHE HA SELEZIONATO PRODOTTI E PRODUTTORI, UNO A UNO DI MATTIA CIALINI


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re 8: la porta di casa si chiude alla spalle e il lavoratore 4.0, digitando improvvidamente il codice sblocco del suo smartphone, entra in un vortice di mail di clienti, chat di genitori, promemoria sonori. Ben prima dell’ingresso in ufficio, la giungla quotidiana lo ha già strappato alla presenza mentale e messo sulle liane. Scenderà alle 19, undici ore dopo, se tutto va bene. Ecco, fuori casa, per resistere, c’è chi si ritaglia la propria “comfort zone”: una panchina assolata al parco, l’angoletto dello “spacciatore” di gelati artigianali, la nuova vetrina da sbirciare. Una calzante definizione per l’Art Cafè di Matteo Peruzzi potrebbe essere quella di “comfort zone” per antonomasia: luogo ideale per staccare, sorbirsi un’ottima tazzina in pace, sfogliare il

proprio giornale preferito (quale? Beh, ce ne sono dieci). Gli aficionados – e sono cento al giorno – ci pranzano pure. Pasto rapido, di qualità. Ma chi cerca lentezza, bellezza e bontà ne trova a piacimento tra design, calore e materiali di recupero. Come indicare altrimenti un luogo dove, accanto al bancone trendy, trovano posto casse e scaffali di prelibatezze dal mondo? Ghiottonerie create da chef tristellati, una piccola “Disneyland” del vino (1.200 etichette) con annessa fornitissima champagneria (300 bottiglie diverse) e, sotto Natale, una selezione da quasi 200 panettoni. “Si entra per il caffè, si esce con un pre-

giato rum caraibico da regalare al babbo per il compleanno”. Matteo Peruzzi, 34 anni, è l’anima del locale: vorace turista e cacciatore di singolarità enogastronomiche, ha battuto ogni terra da cui le eccellenze che commercializza provengono per carpirne l’essenza, per poi restituirla, con immutato fascino, al potenziale acquirente. “Il produttore mi spiega 1.000, io capisco 500, ne racconto 300 e il cliente ne afferra 200. Ma tra conoscere zero e duecento ce ne passa”. Matteo vende unicità, sapendone narrare storie, aneddoti dell'azienda produttrice, lievi sfumature organolettiche. Naso e pa-

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Matteo Peruzzi con babbo Enzo e mamma Elena: il successo nasce in famiglia


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lato non gli difettano, come certificato dal diploma di sommelier Ais. Ma aldilà del vino, Matteo è cresciuto tra le prelibatezze e buon gusto. “Mio babbo vendeva dolci al mercato, mia mamma ha aperto Il Fiocco, shop specializzato in incarti, confezioni e articoli per fioristi. L'Art Cafè – sorride – è l'unione di questi mondi”. Le prove generali per questa realtà tanto affascinante quanto poco incasellabile (caffè-ristorante, negozio di specialità gastronomiche, articoli regalo ed enoteca) sono state fatte nel 2000, quando la famiglia Peruzzi ha aperto un bar in una stazione di servizio a Castiglion Fibocchi. Gli affari andavano bene, così hanno tentato il grande salto: “Una scommessa, aprire un bar di qualità in una periferia cittadina – spiega Matteo – una decisione non facile da prendere nel 2006. Ma qui, in via Fratelli Lumiere, abbiamo avuto lo spazio necessario per realizzare questo sogno. Siamo stati lungimiranti: oggigiorno, i locali top in contesti urban sono la regola, più che l'eccezione”. In breve, la struttura ha ingranato. Riuscendo, peraltro, a catalizzare l'attenzione cittadina nell'attesa di ogni nuovo 25 dicembre. Già, perché se c'è un grande segno distintivo dell'Art Café, questo è rappresentato dalla cura negli allestimenti natalizi. Ormai da undici anni

i temporary shop di Matteo Peruzzi, in piedi per quasi due mesi tra novembre e dicembre, sono una vera e propria attrazione. Ogni anno, un'invenzione: decorazioni raw con tubi metallici, store dall'altra parte della strada, raggiungibili con percorsi disegnati a terra, riproduzioni in miniatura degli allestimenti precedenti, alberi giganti, l'Ufficio di Babbo Natale. Dietro le vetrine, un parco divertimenti per grandi e piccini. La miglior frutta ricoperta, baci di dama da impazzire, torroni esclusivi e panettoni dalle celebri pasticcerie Filippi e Marchesi, creati a partire da ricette pensate appositamente per l'Art Café. E, ovviamente, una selezione incredibile di bollicine, dalla curiosità Abissi di Bisson (spumante ligure affinato nei fondali marini), agli champagne fino a 1.500 euro a bottiglia: i Cristal di Louis Roederer, vecchie annate di Dom Perignon. “Abbiamo una clientela affezionatissima, per posizione non siamo un locale

“Mio babbo vendeva dolci, mia mamma aveva uno shop specializzato in incarti, confezioni e articoli per fioristi. L'Art Cafè è l'unione di questi mondi. Siamo stati lungimiranti: oggigiorno, i locali top in contesti urban sono la regola, più che l'eccezione”

'turistico'. E adoro coccolare chi ci frequenta. Mi piace organizzare eventi, cene e degustazioni con prodotti di punta del negozio. Adoro raccontare quel che proponiamo, affinché il legame con gli avventori sia ancor più saldo. Addirittura facciamo dei pullman, con visite guidate in aziende vitivinicole: piccole gite durante il weekend. Sono occasioni di conoscenza, scoperta. E ovviamente grande divertimento”. Peraltro, con una guida di fiducia come Matteo. Nell'epoca dello storytelling di plastica, un valore inestimabile.


area creativa

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Via Casentinese Arezzo tel. 0575 320532 www.showgarden.it

aperti la domenica


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U P C U R I O S I TÀ

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DI IL POZZO TOFANO 42

LA STO R I A N A R R A D I U N R ICCO A R ETINO DI NO M E TOFA NO, A L QUALE FU DATA I N M O G L I E L A B E L L A GHITA . L EI, SCO NTENTA DEL CO M PAGNO GELOSO E UBR I ACO N E , LO T R A D Ì . E L’ UO M O, SO SP ET TA NDO L’ INF EDELTÀ, LA CH IUSE FU O RI D I C A SA . M A CO N A STUZ IA E UN A STUTO STR ATAGEM M A , GH ITA FECE I N M O D O D I R E NDER E TOFA NO “ COR NUTO E M A Z Z IATO”

\ UP MAGAZINE AREZZO \ AUTUNNO 2018

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DI MARCO BOTTI / IN COLLABORAZIONE CON FONDAZIONE AREZZO INTOUR

ia dell’Orto è una delle strade del centro storico di Arezzo più affascinanti e fotografate dai turisti. Sul lato che guarda via dei Pileati, poco prima della piazzetta Madonna del Conforto e di fronte a Casa Petrarca, l’elemento che la caratterizza è il pozzo più celebrato della storia aretina, il cosiddetto Pozzo di Tofano. Secondo la tradizione, è quello citato da Giovanni Boccaccio nella quarta Novella della settima Giornata del “Decamerone”, l’opera massima del grande poeta toscano del Trecento e uno dei capisaldi della letteratura italiana e mondiale di tutti i tempi. La storia narra di un ricco aretino di nome Tofano, a cui “fu data per moglie” la bella Ghita. Notate il virgolettato, perché il Boccaccio ci fa subito capire che la fanciulla non aveva avuto voce in capitolo sulla scelta del marito, come del resto era prassi a quei tempi. La donna, esasperata dalla gelosia del consorte che non amava ma a cui era sempre rimasta devota, decise di procurarsi sul serio un giovane amante che incontrava tutte le notti, dopo aver indotto il compagno a ubriacarsi. La cosa, tra l’altro, non le rimaneva particolarmente difficile, visto che Tofano aveva il vizio di bere.

A volte si portava lo spasimante in casa, altre sere usciva dopo aver messo a letto il marito sbronzo, per tornare dopo aver soddisfatto i propri piaceri. Accortosi che qualcosa non quadrava nei comportamenti della compagna, l’uomo escogitò uno stratagemma per coglierla sul fatto e svergognarla di fronte a parenti e vicini. Una sera, fingendosi alticcio, attese l’uscita della moglie infedele e sprangò la porta. Quando al suo ritorno trovò l’entrata sbarrata e il consorte alla finestra, Ghita lo supplicò di farla rientrare perché era stato tutto un malinteso. Di fronte all’ennesimo diniego, minacciò di affogarsi, onde evitare di essere schernita in pubblico per qualcosa che non aveva commesso. “Se tu non m’apri, io ti farò il più tristo uom che viva” sentenziò, ricordando che della morte avrebbero incolpato lui e il suo continuo alzare il gomito. Nel buio simulò la caduta nel pozzo vicino a casa, gettandoci una grossa pietra. Tofano uscì di corsa, pensando realmente al suicidio, ma l’astuta ragazza entrò lesta nell’abitazione, serrando a sua volta l’uscio. Quindi si affacciò e prese ad accusare a squarciagola il marito, accusandolo di rincasare tardi e brillo ogni sera. Il vicinato fu svegliato dalle grida e il disgrazia-

to si ritrovò sotto le ingiurie di tutti, compresi i parenti di lei che nel frattempo erano accorsi per prenderlo a bastonate. Della serie “cornuto e mazziato”! In seguito Tofano e Ghita si riappacificarono. L’uomo promise di non essere più geloso e le dette persino il permesso di appagare i suoi godimenti extra coniugali, a patto che lui non se ne accorgesse. Occhio che non vede, cuore che non duole, direste voi. A ricordarci questa divertente storia c’è ancora oggi un pozzo medievale, rifatto in pietrame concio nel XVI secolo a spese del Magistrato cittadino, come ricordava lo studioso Alessandro Del Vita in una vecchia guida novecentesca. Nel 1958 la Brigata Aretina degli Amici dei Monumenti dedicò una lapide all’episodio boccaccesco e una quindicina d’anni fa il pozzo fu ristrutturato nell’ambito del master europeo Equal, dedicato alla formazione di operatori nel settore del restauro. I giovani restauratori operarono sulla pietra arenaria che compone il manufatto, materiale tipico dell’architettura di Arezzo ma facilmente attaccabile da agenti atmosferici e gas di scarico, contribuendo a mettere in sicurezza un luogo sospeso tra realtà e fantasia che continua a incuriosire tanti visitatori.


Nel lontano 1935, Donato Badiali fonda in Arezzo la “Tipografia Badiali”. La sede

GRAFICHE BADIALI SRL Vi a M . C u r i e , 2 - 5 2 1 0 0 A R E Z Z O ( A R ) I TA LY tecnologiche di quei tempi. Dalla stampa tipografica con caratteri mobili, alla Linotype, madre delle più moderne Tefotocomposizioni. l . + 3 9 0 5Nei 7 5primi 9 8anni 4 1’70,2Vittorio 0 Badiali, sempre attento ai cambiamenti tecnologici, fonda anche la “Litostampa Sant’Agnese”. grafichebadiali@grafichebadiali.it In questa azienda hanno visto la luce, le prime macchine da stampa offset e le prime fotocomposizioni. Neiwprimi w wanni. g’80,r agrazie f i call’incremento h e b a d idell’attività, a l i . i t è stata costruita dell’azienda era ubicata in locali posti sotto le famose Logge del Vasari, nella prestigiosa Piazza Grande. L’ attività in questi locali, ha visto il succedersi di tutte le innovazioni

la nuova sede, dove tutt’ora l’azienda opera. Da allora, l’acquisizione delle tecnologie più moderne, hanno reso la “Grafiche Badiali” azienda leader del settore, in tutta l provincia di Arezzo. I continui investimenti, ci hanno permesso, in questi ultimi anni, di portare all’interno dell’azienda, la maggior parte delle lavorazioni, a vantaggio di un maggior controllo della qualità e dei servizi offerti alla nostra clientela. Infatti, l’esperienza acquisita e tramandata in quattro generazioni, in questi 80 anni di storia, ci consente di non essere semplicemente dei fornitori, ma un vero e proprio partner. Attenti ad ogni aspetto del nostro lavoro, dal 2011 abbiamo deciso di dotarci delle certificazioni ISO 9001:2008 per la qualità dei processi aziendali ed FSC per il prodotto, prestando grande attenzione e sensibilità, alla provenienza delle materie prime. Realizziamo cataloghi, brochures e depliant con i più vari sistemi di rilegatura sia nelle

piccole che nelle grandi tirature, pieghevoli, manifesti, materiale commerciale, moduli in continuo, shoppers ed ogni tipo di packaging e gadget personalizzato, espositori e cartelli vetrina di ogni forma e formato. La nostra clientela è in genere altamente fidelizzata e distribuita in ogni settore merce-

ologico: moda e tessile, eno-gastronomico, oreficeria, imprese di servizi, arredamenti, illuminazione e molti altri. Tra i nostri clienti annoveriamo: Prada, Graziella Group, Unoaerre, Textura, AEC Illuminazione, Monnalisa, Calzaturificio Soldini, CEIA, Gruppo Bancaetruria, Scart Group, Marchesi Antinori, Nannini Bags. Nel corso del 2015, abbiamo acquistato una nuova macchina da stampa f.to 70x100, la Roland 700 Evolution, la prima di questo modello venduta in Italia, la quinta in tutta Europa. Questa macchina a 5 colori con gruppo di verniciatura, ci permetterà ancora di più di offrire quei servizi, che oggi una clientela sempre più esigente chiede. Se ci viene chiesto il perché di questo investimento così importante, in un momento di forte contrazione economica, a noi piace rispondere con un’aforisma di Albert Einstein: E’ dalla crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.


FORTI PASSIONI, IDEE VINCENTI, UN PIZZICO DI FOLLIA.

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