Emozioni da vedere

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Composto in Minion disegnato da Robert Slimbach nel 1990 for Adobe Systems. Tipografia CompuService, Venezia, ottobre 2009.


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Emozioni da vedere ·

un metodo di indagine sulle qualità espressive delle forme astratte

Tesi di laurea di Aurora Biancardi Relatore Professore Emanuele Arielli novembre 2009, a.a. 2008/2009 corso di laurea specialistica in comunicazioni visive e multimediali facoltà di design e arti università iuav di venezia


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emozioni da vedere

Indice ¡


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Indice

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#. Abstract emozioni, forme, epsressività

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0. Introduzione un metodo per indagare le qualità espressive delle forme astratte

pag. 13

1. Raccontami sono tutt’occhi emozioni da vedere

pag. 41

2. Ricerche svolte rassegna di autori e libri che hanno toccato il problema delle qualità espressive delle forme

pag. 67

3. Metodo d’indagine inquadramento del metodo scelto

pag. 77

4. Come è una forma rabbiosa? un gioco come risposta alla complessità

pag. 101

5. Forme d’emozione discussione dei risultati dei test di prova

pag. 117

6. Conclusioni come vedere le emozioni

pag. 121

7. Bibliografia libri, articoli, fonti elettroniche, conferenze


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Abstract ¡


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Abstract

La forza espressiva delle immagini è stata oggetto d’interesse da parte della psicologia della percezione da un lato, e della comunicazione visiva dall’altro. Il lavoro qui presentato si concentra sulle forme astratte e propone un metodo per indagarne le qualità espressive e, in particolare, mostrare quali caratteristiche grafiche sono in grado di esprimere un determinato stato emotivo. Gli strumenti di ricerca che sono stati impiegati fino a questo momento, infatti, possono essere integrati con questa metodologia, che è in grado di gestire un numero elevato di variabili e dati sperimentali. La sua peculiarità è di essere un “gioco con uno scopo”, un gioco on-line che combina l’“abilità” numerica di un calcolatore con l’insostituibile capacità percettiva degli esseri umani. Obiettivo della presente ricerca non è stato solo descrivere il rapporto tra forme astratte ed emozioni, ma anche indagare sui metodi per farlo. Il gioco on-line, inducendo la coordinazione implicita tra partecipanti, permetterà di raccogliere, in tempi relativamente brevi, un insieme di dati, che possono poi essere visualizzati attraverso una mappa che costituisce la sintesi grafica del comportamento decisionale dei giocatori. In un secondo momento, il gioco diventa anche uno strumento di lavoro per designer, psicologi e studiosi di comunicazione visiva, che possono così vedere i collegamenti tra segno grafico ed emozione, e ipotizzare come questi si vengano a creare. Il lavoro presentato, dunque, costituisce un contributo allo studio delle qualità espressive delle forme astratte, fornendo un metodo d’indagine che rappresenta la premessa di un’attività di ricerca più approfondita.


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Introduzione ¡

un metodo per indagare le qualitĂ espressive delle forme astratte


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Introduzione

> L’idea della tesi parte dal desiderio di indagare le qualità espressive delle forme astratte. Una forma astratta può suggerire uno stato interiore, un’emozione? Un oggetto possiede una serie di proprietà fisiche che gli permettono di essere descritto, misurato, identificato e quantificato in modo preciso e indipendente dall’osservatore. Lo stesso oggetto possiede altre qualità che dipendono dal funzionamento degli organi di senso del soggetto che le percepisce. Le prime appartengono al mondo della fisica, le seconde a quelle della fisiologia. Ci sono proprietà basate su caratteristiche percettive non direttamente misurabili attraverso gli strumenti di queste due categorie: si tratta delle qualità espressive. >


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Introduzione

Questa classe di proprietà appartiene agli oggetti fenomenici come vi appartengono forma e colore, ma sono più “soggettive”, poiché sono “legate all’espressione di una presenza animata, emotiva o psichica, e nonostante ciò appaiono come qualità degli oggetti e delle configurazioni”, come osserva la psicologa della percezione Giulia Parovel. La ricerca focalizza l’attenzione su queste qualità espressive e sul rapporto che intercorre tra forme astratte e stati emotivi. Lo scopo del presente lavoro non è definire delle precise corrispondenze, ma concentrarsi invece sulla progettazione di una potenziale metodologia che sia in grado di raccogliere dati da analizzare successivamente; in altre parole, in questo lavoro vengono gettate soltanto le fondamenta di un metodo, l’analisi dei dati ottenuti è rimandata ad una fase successiva. Il primo capitolo tratta innanzitutto del ruolo che lo studio delle qualità espressive riveste all’interno della psicologia della percezione da un lato e della comunicazione visiva dall’altro, indagandone in quest’ultimo caso i legami con il mondo dell’arte e del design. In un secondo momento, l’attenzione viene focalizzata sulle qualità espressive delle forme astratte, attraverso alcuni esempi significativi. Nel secondo capitolo sono illustrate le tecniche utilizzate dalla comunicazione visiva per esprimere un determinato messaggio e sono mostrate le ricerche svolte nell’ambito della psicologia della percezione su questo tema: il numero elevato di variabili coinvolte e la quantità di dati necessari a supportare la validità delle ipotesi avanzate mette in luce la complessità che un’indagine di questo tipo comporta. Nel terzo capitolo vengono introdotti i “giochi con uno scopo”, che costituiscono una valida metodologia d’indagine per risolvere un problema come questo, in cui la componente percettiva umana riveste un ruolo insostituibile. La capacità di visualizzare e raccogliere in maniera semplice una vasta mole di dati, l’anonimato dei giocatori e il divertimento associato all’esecuzione dei test sono alla base del successo di questo strumento. Il quarto capitolo descrive la genesi e il funzionamento del metodo di indagine sviluppato: attraverso un gioco online, vengono misurate e visualizzate le associazioni esistenti tra emozioni e forme astratte. Nel quinto capitolo, infine, sono presentati e discussi i risultati di alcuni test di prova; a partire da questi dati sarà possibile costruire una mappa visiva, che costituisca la sintesi grafica del comportamento decisionale dei giocatori.


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Raccontami, sono tutt’occhi ¡ emozioni da vedere


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1 “Ogni individuo umano ha alcune caratteristiche in comune con altri individui per quanto riguarda il modo di percepire e di sperimentare il proprio mondo fisico. Di grande importanza è il fatto che la sensazione proviene da noi e non dall’oggetto che vediamo. Se riusciamo a intendere la natura di ciò che vediamo e il modo in cui lo percepiamo, sapremo di più sull’influenza potenziale di una composizione creata dall’uomo, sul sentire e sul pensare umani.”

- Walter Gropius


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figura 1. Caspar David Friedrich, Mรถnch am Meer, 1809 Berlin Nationalgalerie, Staadliche Museum zu Berlin. Il procedere delle nuvole.


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Psicologia della percezione visiva e comunicazione visiva “Percezione: in questo istante la luce riflessa su questo foglio di carta raggiunge i nostri occhi, attivando un processo che ci porta a identificare contorni e forme, e quindi riconoscere le lettere e le parole che leggiamo. Allo stesso tempo, altri stimoli giungono ai nostri occhi e agli altri sensi, permettendoci di percepire l’ambiente in cui siamo, l’illuminazione, i particolari del luogo, i rumori, gli odori, le sensazioni tattili distribuite su tutto il corpo.”1 La psicologia della percezione visiva si occupa dei meccanismi attraverso cui vediamo e del perché le cose ci appaiano in un certo modo, studiando “l’elaborazione dell’informazione che il sistema percettivo compie per costruire la nostra esperienza”2. È attraverso la percezione che ha inizio il processo di conoscenza, grazie a questa “attività” diventiamo consapevoli dell’esistenza della realtà e delle sue caratteristiche. Se “praticamente tutto ciò che i nostri occhi vedono è comunicazione visiva”3 e il “modo in cui vediamo”4 è oggetto di studio della percezione visiva, lo studio di questa disciplina è di grande interesse per chi si occupa di progettare comunicazione. A questo proposito è utile ricordare un’esperienza professionale dell’autore di questa ricerca presso uno studio di comunicazione visiva: i suggerimenti forniti da uno dei clienti non riguardavano le finalità e il contenuto dell’elaborato grafico proposto, ma erano di natura interamente tecnica, si riferivano cioè alla dimensione e alla posizione degli elementi, senza indicare, ad esempio, a chi dovesse essere destinato il messaggio, la decisione del committente. Esemplificativo il commento di un membro dello studio: “Per fare i grafici bisogna essere anche un po’ psicologi”. Le indicazioni tecniche del cliente dovevano cioè essere innanzitutto “tradotte” in intenzioni comunicative; quest’ultime dovevano poi essere “veicolate” dalle opportune caratteristiche visive: ad esempio, dicendo “più grande”, il cliente voleva in realtà attribuire ad un’informazione maggiore rilievo rispetto ad altre, ma non è detto che la soluzione appropriata al problema individuato “avere maggiore rilievo” fosse una variazione di dimensione. Lo studio

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Arielli Emanuele (2009). Massironi Manfredo (1998, p. 8). Munari Bruno (1968, p. 81). Bressan, Paola (2007, p. IX).


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della psicologia della percezione può quindi fornire una serie di strumenti molto utili nell’ambito della creazione e dell’interpretazione grafica. Come è connessa oggi la progettazione grafica alle ricerche di psicologia della percezione visiva? Un dialogo tra le due discipline può aiutare a comprendere e generare comunicazione visiva? Nell’ambito delle ricerche di design sulla forma e la configurazione, il Basic Design riveste un ruolo di primaria importanza. Secondo la definizione della storica dell’arte Isabella Simonini, “il Basic Design è una disciplina che coinvolge due momenti cardine della propedeutica estetico-formale del design. Il primo è riferibile al passaggio dall’educazione del gusto del designer basato esclusivamente sull’apprendimento delle tecniche del disegno artistico (copia dai modelli del passato e dai calchi) di tradizione accademica a quello dello studio dei principi morfostrutturali dell’ornamento; il secondo, invece, è legato all’introduzione della Formlehre (insegnamento della forma) e della Gestaltungslehre (insegnamento della configurazione) sia pratica che teorica nell’ambito del corso propedeutico al Bauhaus.”5. Il Basic Design è dunque la disciplina centrale del design, che insegna concretamente a progettare, a “configurare” e dare “forma” agli oggetti, intrecciando la pratica dell’insegnamento di un saper fare al pensiero teorico e metodologico che le sta alla base. Gli aspetti del Basic Design interessanti per questa ricerca sono i temi disciplinari e le modalità attraverso cui vengono insegnati: le esercitazioni. Quest’ultime, che costituiscono il corpus disciplinare, sono paradigmatiche, e consistono nella realizzazione di elaborati che hanno lo scopo di allenare a risolvere problematiche progettuali. Prendiamo in considerazione un’esercitazione del pittore russo Wassily Kandinsky, docente del Grundkurs (corso di base) nel 1922 presso il Bauhaus6. Compito di questa esercitazione è assegnare colori primari a forme fondamentali. Lo studioso di Basic Design Giovanni Anceschi nota come “Kandinsky sia interessato alla sintesi delle arti, privilegiando lo studio degli effetti psicofisiologici prodotti dalle varie arti sullo spettatore”7: in questa esercitazione alla forma del triangolo, assegna “il colore giallo, il quale può rimandare a una serie di effetti sensoriali, l’effetto visivo è eccentrico e avanzante, quello acustico è acuto”. Come sono valutate queste ipotesi? Nel Basic Design sono stati fatti studi sull’espressività con l’utilizzo di misurazioni empiriche? Anceschi risponde così a questa domanda: “Kandinsky è uno dei padri del Basic Design ma il suo punto di vista è diverso, quando parla del triangolo si tratta di riflessioni non tipiche per il Basic Design, che è una disciplina che non ha il carattere stringente presente in un ambito discipli-

5 Simonini, http://www.newbasicdesign.it/le-anticipazioni-del-basic-design. 6 Il tema del Basic desing non verrà ulteriormente approfondito in questa ricerca. Per approfondimenti http://www.newbasicdesign.it; http://www.bauhaus.de/; http://www.bauhaus.de/bauhaus1919/biographien/index.htm. 7 Anceschi, http://www.newbasicdesign.it/il-bauhaus/.


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nare come quello della psicologia della percezione. È operativa, pedagogica. Non siamo nel settore delle scienze che si propongono di misurare. Il Basic Design non si pone assolutamente alcun obiettivo di misura; è una disciplina di natura diversa”. Come sono dunque misurati i risultati delle esercitazioni? La valutazione intersoggettiva può essere considerata una delle modalità utilizzate per scoprire la “condivisione della percezione”8. A questo punto sorge un’altra domanda: come mai gli esercizi di Basic Design non vengono ulteriormente provati facendo riferimento ai principi di psicologia della percezione per indagare l’origine dei significati del linguaggio visivo? Diverse discipline hanno affrontato questo problema: artisti, storici dell’arte, filosofi e psicologi9 hanno svolto ricerche su come e cosa può comunicare il linguaggio visivo. “A Primer of Visual Literacy” della studiosa di comunicazione visiva Donis A. Dondis è uno dei testi che risponde in parte alla necessità di considerare il linguaggio visivo in relazione alle ricerche portate avanti da studiosi come gli psicologi della Gestalt e Rudolf Arnheim, che ne ha applicato i principi nell’interpretazione dell’arte visiva. “A Primer of Visual Literacy” si propone di “esaminare gli elementi visivi di base, le strategie e le opinioni riguardo alle tecniche visive, e le implicazioni fisiologiche e psicologiche nella composizione creativa”10. Come nota la studiosa “sviluppare il senso della vista è qualcosa come imparare una lingua, con il proprio alfabeto, lessico e sintassi. Le persone ritengono necessario essere verbalmente colti, che siano esse scrittori oppure no; dovrebbero trovare ugualmente necessario essere “visivamente letterati”, siano esse artisti oppure no”11. Psicologia della percezione da una parte e comunicazione visiva dall’altra dunque. La ricerca nasce dalla curiosità di studiare le due discipline, avvicinandole e intrecciandole, fino alla definizione di un progetto i cui risultati possano essere d’interesse non solo per grafici e psico-

8 L’esempio di un’esercitazione aiuta a chiarire quanto detto. “4x4” è il nome di un esercizio pensato da Silvia Ferraris per far capire che: “con la forma esprimi sempre un significato; questo è progettabile; il risultato è verificabile”. Ad ogni alunno vengono dati 4 fogli di carta quadrata bianca e 4 aggettivi scritti su 4 post-it (ad esempio: uniforme-disomigeneo, composito-unitario). L’alunno deve, lavorando individualmente, comporre forme che esprimano questi aggettivi. Al termine dell’esercitazione i quadrati non firmati vengono appesi al muro di fianco agli aggettivi (attaccati alla parete in modo caotico) affinché tutti gli studenti possano, una volta trovate le corrispondenze corrette tra quadrati e aggettivi, votare il risultato migliore. Per valutazione intersoggettiva si intende il giudizio dato dai membri della classe. Silvia Ferraris (2009). 9 Protagonisti del Basic Desing hanno operato indagini molto interessanti. Joesef Albers, Johannes Itten, Laszlo Moholy-Nagy, Paul Klee, Wassily Kandinsky sono solo alcuni dei nomi dei Teorici del Basic Design che daranno alla luce opere come “Punto Linea e Superficie”, “Interaction of colours”, “Teoria della forma e della figurazione”. 10 Dondis (1973, p. x). 11 Dondis (1973, p. x).


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logi. Visualizziamo la psicologia della percezione e la comunicazione visiva come due insiemi (figura 2): l’intersezione “visiva” tra i due costituisce una vasta area di ricerca. Il termine “visivo” è un aggettivo e si riferisce alla vista o alla visione. Visiva è la facoltà che dipende dall’organo visivo, l’occhio, la memoria visiva ci permette di ricordare ciò che vediamo nello spazio che si abbraccia con l’occhio immobile: il campo visivo. Visiva è l’arte figurativa e quella letteratura che costituisce una sorta di sintesi di poesia e disegno e che forma immagini, attraverso la disposizione delle parole del testo. Visivo è più in generale tutto ciò che attiene alla facoltà della vista: disegno, fotografia, cinema, forme astratte, forme geometriche, forme organiche, forme reali, immagini in movimento, immagini statiche, immagini semplici, immagini complesse. Visivo è l’uomo che ha potenza di vedere e rappresentare il mondo. Come ricorda Walter Gropius, “ogni individuo umano ha alcune caratteristiche in comune con altri individui per quanto riguarda il modo di percepire e di sperimentare il proprio mondo fisico. Di grande importanza è il fatto che la sensazione proviene da noi e non dall’oggetto che vediamo. Se riusciamo a intendere la natura di ciò che vediamo e il modo in cui lo percepiamo, sapremo di più sull’influenza potenziale di una composizione creata dall’uomo, sul sentire e sul pensare umani.”12 Cosa vediamo? A questa domanda rispondono le parole di Bruno Munari: “praticamente tutto ciò che i nostri occhi vedono è comunicazione visiva; una nuvola, un fiore, un disegno tecnico, una scarpa, un manifesto, una libellula, un telegramma, una bandiera”13. La comunicazione visiva è intorno a noi, ai nostri occhi arrivano continuamente messaggi. Esistono del resto messaggi visivi di diverso tipo; una delle prime distinzioni che vanno fatte riguarda l’intenzionalità della comunicazione. I testi e le fotografie sul giornale, la figura sulla confezione dei biscotti, i manifesti e i cartelloni pubblicitari lungo le strade, i volantini nella buca delle lettere, il libro che stiamo leggendo: si tratta di esempi di “comunicazione visiva intenzionale”14 in cui il designer attraverso il mezzo visivo trasmette un messaggio. Un esempio ancora più familiare di comunicazione visiva intenzionale è, ad esempio, il motivo decorativo di una tovaglia: il disegno sulla stoffa è progettato perché questa, oltre che a coprire e proteggere il tavolo, abbia una funzione estetica. Al contrario, comunicazione visiva non intenzionale è quella esemplificata da una macchia di pomodoro caduta involontariamente sulla tovaglia pulita: anche in questo caso viene comunicato un messaggio, senza che vi sia però intenzionalità.

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Gropius (1955). Munari (1968, p. 81). Munari (1968, p. 81).


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figura 2. La ricerca parte da un’indagine tra gli insiemi della psicologia della percezione visiva e comunicazione visiva, dove “visiva” è il risultato dell’intersezione che costituisce una vasta area di ricerca.

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Come è possibile poi rendere il messaggio comprensibile all’osservatore? Bruno Munari15 parla di “immagini oggettive” e afferma che “ognuno ha un magazzino di immagini che fanno parte del proprio mondo, magazzino che si è venuto a formare durante tutta la vita dell’individuo e che l’individuo ha accumulato. È con questo blocco personale che avviene il contatto, è in questo blocco di immagini e sensazioni soggettive che occorre cercare quelle oggettive, le immagini comuni a molti. Si saprà così quali immagini, quali forme, quali colori usare per comunicare date informazioni al pubblico”.16 È nel blocco di immagini e sensazioni, che vengono continuamente aggiornate nella percezione della realtà, che gli psicologi della percezione visiva scavano per comprendere i meccanismi che guidano il nostro modo di percepire le cose. Studiare le qualità della visione e comprenderne i principi permette di rendere comunicabili le sue componenti. Come nota lo psicologo William Ittelson, “vivere vuol dire percepire. Se noi non percepissimo saremmo isolati nel senso veramente profondo del termine, tanto da credere di non esistere affatto. In poche parole, lo studio della percezione tocca la vera essenza dell’esistenza umana. Periodi di fermento del pensiero umano spesso corrispondono a periodi di riorganizzazione delle idee sulla percezione”.17 Attraverso la vista facciamo esperienza del mondo, lo conosciamo. Un tema vasto e complesso, da cui, in questo lavoro viene ritagliata un’area specifica di ricerca: le qualità espressive delle forme astratte. L’area di ricerca specifica: le qualità espressive delle forme La ricerca è animata dal desiderio di indagare il mondo delle qualità espressive delle forme astratte, a seguito di una quotidiana immersione nello spettacolo della visione, nella forza e capacità che hanno anche le immagini non mimetiche di evocare sensazioni, esprimere emozioni. Che cosa si intende per qualità espressive? Per rispondere a questo quesito è bene prima fare qualche passo indietro. Iniziamo con il definire i messaggi visivi, distinguendone tre livelli di espressione18: rappresentativo, simbolico e astratto. Il primo è la raffigurazione di ciò che vediamo e riconosciamo a diversi livelli di astrattezza che vanno dall’immagine fotografica al disegno, il livello simbolico, invece, è l’insieme dei segni codificati che l’uomo ha inventato arbitrariamente e a cui è stato associato un contenuto particolare che non riflette le caratteristiche della

15 Il designer distingue la “comunicazione visiva” dalla “confusione visiva”. La prima si sforza di trasmettere un messaggio attraverso un supporto visivo oggettivo e dunque comprensibile a tutti e per tutti nello stesso modo, la seconda invece, utilizza codici non comprensibili o leggibili solo da pochi. Per questo argomento si veda Munari (1968, p. 81). 16 Munari (1968, p. 15). 17 Ittelson (1978, pp. 127-145). 18 La suddivisione presentata si riferisce a quella fatta da Dondis (1973) p.68.


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cosa che rappresentano ad esempio la segnaletica stradale; il livello astratto, infine, è la qualità cinetica degli elementi visivi ridotta alle componenti visive di base, enfatizzando il significato più diretto ed emozionale. La qualità espressiva formale si basa strettamente su caratteristiche percettive e quindi si distingue dal livello simbolico - si pensi a come l’immagine di un cuore rimandi all’affetto in quanto ne è il simbolo - e da quello rappresentativo: l’immagine di un litigio tra due persone, ad esempio, esprime rabbia. Una seconda importante distinzione riguarda l’espressività di un’immagine: essa cioè può esprimere o evocare un’emozione. Una forma che “esprime angoscia” o “angosciata” è qualcosa di diverso da un’immagine che “mette angoscia”, “angosciosa”. Nel primo caso la forma contiene i “sintomi” dell’emozione che rappresenta e ci informa sul suo stato d’animo; nel secondo la forma possiede quei segnali che fanno insorgere, smuovono e scuotono lo stato d’animo della persona che la vede. Focalizziamo l’attenzione sulle forme astratte; queste possono essere descritte in modi diversi. Un primo modo si riferisce alle proprietà fisiche che un oggetto possiede, che gli permettono di essere descritto, misurato, identificato e quantificato in modo preciso e indipendente dall’osservatore. Un altro modo deriva dalle qualità non fisicamente misurabili dell’oggetto, che dipendono dal funzionamento degli organi di senso del soggetto che le percepisce. Le prime appartengono al mondo della fisica, le seconde a quelle della fisiologia. Prendiamo ad esempio due forme, una quadrata e una triangolare con lati di lunghezza diversa. Come abbiamo visto queste forme possiedono diverse proprietà: fisiche - la lunghezza dei lati e l’ampiezza degli angoli - ed altre qualità che dipendono dal funzionamento degli organi di senso del soggetto che le percepisce. Oltre a queste, ci sono poi proprietà basate su caratteristiche percettive non direttamente misurabili attraverso gli strumenti di queste categorie: si tratta delle qualità espressive19. Il triangolo equilatero ad esempio appare più “stabile” di quello scaleno, che dà invece un’impressione di maggiore “dinamicità”. Questa classe di proprietà appartiene agli oggetti fenomenici come vi appartengono forma e colore, ma come afferma la psicologa Giulia Parovel “sono più “soggettive” poiché legate all’espressione di una presenza animata, emotiva o psichica, e nonostante ciò appaiono come qualità degli oggetti e delle configurazioni.”20 Riprendo un esempio particolarmente chiaro descritto nel suo libro21: mi affaccio alla finestra, un temporale è

19 A queste bisogna aggiungere l’influenza del passato: la percezione di una forma dipende anche dalla nostra “storia”. Si vedrà più avanti che la forza simbolica di alcune forme astratte è tale da renderle inutilizzabili per una ricerca che miri a comprendere la relazione esistente tra caratteristiche grafiche e qualità espressive. 20 Parovel, (2004, p. 130). 21 Parovel, (2004, p. 131).


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in arrivo e le nuvole (figura 1, pagina 14) procedono in modo lento ed inquietante. Inquietante. Questa qualità si distingue dalle proprietà fisiche misurabili della nuvola stessa (notare la qualità espressiva della nuvola è diverso dal vedere la sua forma) e dall’animo dell’osservatore (in questo caso io, piuttosto serena in questo pomeriggio). Arte come espressione, dare forma a concetti Nella storia dell’arte diversi artisti hanno cercato di conferire forma visiva a concetti che non nascono come “cose visuali”. L’arte si nutre di questa difficoltà di dare risposta al problema che il tentativo di rappresentare e dare forma a concetti pone. Questa questione “espressiva” nasce nel romanticismo, animato dal concetto di sublime, che si prova, ricordando le parole del filosofo francese Jean-Francois Lyotard, “quando l’immaginazione non riesce a rappresentare un oggetto che potrebbe, anche solo per principio, giungere a coincidere con un concetto”22. Come renderlo visibile? La risposta apre una questione complessa, ed è per questo che, come osserva Marco De Michelis, il sublime rappresenta “uno degli elementi destinati a mettere in crisi lo statuto classicista stesso dell’opera d’arte, della sua dipendenza da un sistema di regole e canoni riconoscibili, di modelli da imitare, sostituiti da quel qualcosa di comprensibile e inesplicabile che i romantici finiranno per chiamare “genio”23. Citando le parole di Lyotard, il desiderio “di rendere visibile che vi è qualcosa che può essere concepito e che, al tempo stesso, non può essere visto, né reso visibile”24 animerà la ricerca delle avanguardie del Novecento: le opere di artisti come Newman, Rothko, Klein, Fontana, Kandinskij, Malevic ne sono un esempio. L’efficacia espressiva di alcuni artisti ci permette di sentire l’eco di esperienze, sensazioni ed emozioni anche di fronte a opere non mimetiche, lo psicologo tedesco Wolfgang Metzger afferma che gli autori di tali opere che sono “dotati di una sensibilità per le differenze tra strutture quasi altrettanto fine di quella che hanno per le proprietà espressive, per cui essi sono per esempio in grado d’individuare attraverso quale particolare modificazione di struttura si può ottenere in un determinato caso la piena pregnanza e quindi anche l’evidenza fenomenica della proprietà espressiva desiderata”25. L’opera di Malevic, in particolare, ci offre un’occasione per riflettere sulle possibilità espressive delle forme astratte. L’autore ridusse al massimo le immagini a pure forme geometriche astratte, annullando ogni forma di rappresentazione mimetica della realtà. L’artista era solito dire che “solo quando dalla coscienza sarà scomparsa l’abitudine a vedere nei

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Lyotard, (1994, p. 78). De Michelis, (2008, p. 15). Lyotard, (1994, p. 78). Metzger, (1970da Argenton p.46).


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quadri la rappresentazione di angolini della natura, di madonne e di veneri impudenti, potremo vedere un’opera di pittura pura”. Le opere non sono rese povere o incapaci di comunicare dalla riduzione delle immagini a forme astratte: il “residuo geometrico”26 sopravvive e mette in evidenza fenomeni visivi, il valore dell’opera in questo senso è l’essere in relazione dell’uomo con la forma per mezzo della percezione. Design come espressione, la forma eloquente delle cose Non solo nell’arte, ma nella vita di tutti i giorni percepiamo l’espressività delle forme di ciò che ci circonda. Chi si occupa di progettare oggetti, opera infatti proprio sulle qualità espressive delle forme. L’insieme delle caratteristiche fisiche di un oggetto, reali e percepite, che ci suggeriscono a cosa serve e come usarlo, si chiama affordance. L’affordance è una delle tante denominazioni utilizzate per definire la classe di proprietà espressive. Migliore è l’affordance27, più immediato, automatico e disinvolto sarà l’utilizzo dell’oggetto; al contrario una cosa con peggior affordance sarà meno immediata e più scomoda da usare. Lo studioso Donald Norman afferma che “gli oggetti ben progettati sono facili da interpretare e comprendere: contengono indizi visibili del loro funzionamento. Gli oggetti disegnati male possono essere difficili e frustranti da usare: non offrono indizi o ne danno di sbagliati”28. Nel testo, l’autore sottolinea come la causa di errori umani ed incidenti sul lavoro non dipenda solamente da disattenzione o incapacità degli uomini ma sia spesso legata al modo in cui le cose sono concepite e progettate, alla loro forma sbagliata. La curvatura della maniglia ci suggerisce come aprire la porta, la forma di un pulsante ci invita a premerlo, l’impugnatura di una tazza indica come sollevarla. Circondati da oggetti, incontriamo quotidianamente esempi di buona e cattiva affordance. Il campo di validità dell’espressione non si limita agli artefatti, ma a tutti gli elementi naturali: come ci ricorda Arnheim, “una fiamma, una foglia volteggiante, l’urlo di una sirena, un salice, una rupe scoscesa, una sedia Luigi XV, le crepe nel muro, il calore di una teiera di porcellana, il dorso irto di un porcospino, i colori del tramonto, una fontana, il lampo e il tuono, i movimenti sussultanti di un pezzo di filo ricurvo: tutto ciò trasmette espressione tramite i nostri diversi sensi”29. Le qualità espressive sono alla base del mondo visivo che ci circonda, sono secondo lo psicologo tedesco “autentiche e obiettive priorità di tutti i percetti”30: ciò che cogliamo in primo luogo sono le fattezze

26 Marcolli (1983, p. 12). 27 Il paragrafo riprende alcune riflessioni personali fatte durante il corso di Interaction Design, tenuto da Gillian Crampton Smith e Philp Tabor, Facoltà di Design, IUAV, Venezia. 28 Norman (1990, p.10). 29 Pizzo Russo (1983, p. 81). 30 Arnheim, (1992c, p.246-247).


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dell’oggetto percepito (la forma, la dimensione, la posizione nello spazio rispetto a noi e agli altri oggetti) ed è proprio in queste caratteristiche che è insito il carattere espressivo. Così “ogni oggetto trasmette a chi lo osserva delle informazioni di carattere emotivo, così “il nero è lugubre prima di essere nero” dice Wetheimer, e secondo Koffka, “ogni oggetto rivela la propria essenza […] un frutto dice ‘mangiami’, l’acqua dice ‘bevimi’, il tuono dice ‘temimi’ e la donna dice ‘amami’.”31 Queste considerazioni sulla priorità delle qualità espressive ci permettono di affrancarci in parte dall’idea che l’espressività sia data solo dalla fisionomia corporea e dal volto (figura 3)32. Perché un metodo per studiare le qualità espressive? “La ricerca di una progettazione fondata sullo studio della percezione sviluppa una continua immagine della realtà, attraverso l’osservazione dei fenomeni”33. Indagare la distanza tra l’informazione e l’interpretazione, tra la sensazione e la percezione, significa cercare di capire quali fattori determinano quella associazione. La domanda posta è la seguente: una forma astratta può suggerire uno stato emozionale? È possibile tracciare, attraverso una serie di prove, una mappa delle differenze espressive tra stati emozionali complessi? Ovvero riuscire a determinare le sottili differenze che separano emozioni complesse altrimenti fortemente imparentate? Approfondire lo studio delle forme astratte significa allargare il vocabolario visivo e approfondire le potenzialità grafiche ed espressive. L’idea è di inaugurare uno studio di queste attraverso dei test online per vedere se è possibile isolare alcune caratteristiche grafiche riconducibili a stati interiori. Percepire una forma Un foglio di carta bianca è come uno specchio d’acqua senza onde. “Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto a distanze diverse, con effetti diversi, la ninfea e la canna…”34. “Gettiamo un sasso nel foglio”, tracciamo ad esempio un segno con un pennarello. La superficie, da liscia e indifferenziata, viene “attivata”. Quando viene tracciato un segno emerge e si definisce un rapporto. I termini di questo binomio visivo sono la figura e lo sfondo. Una forma “gettata” in un campo visivo vuoto, così come una parola pronunciata nel silenzio, “produce onde di superfice e di

31 Massironi (1988, 17). 32 La fisionomia corporea e dal volto è la base di molte teorie della percezione e dell’empatia legata a “schemi motori” e corporei. 33 Marcolli (1983, VII). 34 Rodari (2001, p. 7).


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figura 3. Ogni oggetto trasmette a chi lo osserva delle informazioni di carattere emotivo. Due Fotografie di pomodori “espressivi”: “disordinato” quello sopra, simmetrico l’altro.

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profondità”35, dà luogo ad uno stimolo che innesca l’attività percettiva e produce una serie di collegamenti mentali. L’architetto Attilio Marcolli, descrivendo la percezione come “un momento molto complesso e dinamico della conoscenza delle forme e dell’ambiente”36, mette in evidenza la necessità di comprendere i livelli in cui si esplica. Nel primo livello la percezione è determinata dalle forme fisico-geometriche dell’oggetto (la linea tracciata è descrivibile attraverso le sue caratteristiche fisiche di dimensione, posizione…), nel secondo livello dipende dai nostri meccanismi neuro-fisiologici (come i nostri occhi percepiscono lo stimolo visivo, la linea), nel terzo livello è legata alla storia, “ovvero dalla nostra esperienza e dalla nostra cultura, sia personale che collettiva”37. “La forma è la configurazione visibile del contenuto”38, la figura esteriore della materia, la disposizione di parti. Una forma è astratta quando indica una qualità o un atto in se stessa, cioè separatamente da un soggetto: l’etimologia del termine astratto deriva dal verbo latino abstràhere, composto della particella ab e tràhere trarre, tirare, che significa distaccare. Le forme prese in esame sono non mimetiche e non presentano caratteri antropomorfi. Una figura è il risultato di una serie di misure in uno spazio. Per determinare in modo preciso la forma si possono individuare le collocazioni spaziali di tutti i suoi punti (livello fisico-geometrico). Un procedimento del genere è simile al modo in cui i computer elaborano i dati, ma non ha niente a che vedere con il modo con cui gli esseri umani percepiscono la realtà. Il senso della vista afferra immediatamente la forma, acquisisce la legge costruttiva globale. Come avviene questa acquisizione? Secondo la “legge di pregnanza percettiva” formulata dagli psicologi della Gestalt “ogni figura tende ad essere vista in maniera tale che la struttura risulti tanto più semplice quanto le condizioni date lo consentono”39. Percepire consiste nella formazione di “concetti percettivi”? Abbandonata l’ipotesi teorica secondo cui la percezione procede dal particolare al generale40 assumiamo che “le configurazioni strutturali essen-

35 Rodari (2001, p. 7). 36 Marcolli (1983, p. 8). 37 Marcolli (1983, p. 8). 38 Arnheim (1974a, p. 93). 39 Arnheim (1974a, p. 64). 40 In passato si è ritenuto che l’attività percettiva avesse inizio con la registrazione di casi individuali, le cui proprietà davano modo di formulare concetti intellettualmente. Arnheim fa un esempio riguardo alla “triangolarità”, concetto che, secondo questa teoria, permetteva solo a chi lo avesse compreso di poter riconoscere la somiglianza esistente tra una serie di triangoli somiglianti differenti per dimensione, orientamento e colore.


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ziali costituiscono i dati primari della percezione.”41 Questo significa che quando guardiamo una figura astratta, ad esempio una forma chiusa fatta di linee morbide, arcuate e tondeggianti, la percezione forma il “concetto percettivo” della “curvilinearità”. Come afferma Arnheim, “percepire consiste nella formazione di concetti percettivi […] la visione tratta il materiale grezzo fornitole dall’esperienza creando uno schema corrispondente di forme generali che si possono applicare non solo al caso individuale ma ad un numero infinito di altri casi in modo analogo”. L’operazione di creazione di un concetto avviene a livello percettivo e intellettivo, “la percezione compie ad un livello sensoriale, ciò che, nel campo del ragionamento, si indica come ‘comprensionÈ.”42 Il termine progettare deriva dal latino pro-jacere e significa gettare avanti, immaginare, ideare. Un progettista della comunicazione getta ponti attraverso messaggi visivi, dopo aver immaginato le possibili configurazioni. “Visualizzare è l’abilità di creare immagini mentali”43. Si tratta di un’attività che ogni essere umano compie; ad esempio quando, ricordando la via di ritorno a casa, manovriamo, visualizziamo nella nostra mente i percorsi alternativi, la via più veloce, quella più trafficata o quella che più ci piace fare. Allo stesso modo possiamo visualizzare un oggetto, anche se non lo vediamo in quel momento, evocandone l’oggetto tipico. Le ricerche della psicologa Eleonore Rosch hanno mostrato infatti che noi non categorizziamo un oggetto in base all’appartenenza ad insiemi gerarchicamente ordinati, quanto piuttosto in base alla maggiore o minore somiglianza di questo ad un prototipo, ovvero ad un esemplare “tipico” di quell’oggetto”. La nostra mente nell’evocare un esemplare di una categoria, richiamerà e renderà espliciti i casi più tipici. Immaginare un oggetto concreto è semplice, ma come ci prefiguriamo le emozioni? Come avviene? Creiamo una rappresentazione delle emozioni? Esiste una forma “tipica” di una determinata emozione? Per definire, le emozioni, che potremmo vedere come fenomeni astratti e intangibili, usiamo lo stesso sistema di simboli che utilizziamo per comunicare fenomeni concreti, ma se per gli oggetti è semplice trovare una visualizzazione come visualizziamo gli stati emozionali? Lo facciamo attraverso immagini rappresentative? Esistono simboli non mimetici che riflettono le caratteristiche delle emozioni in modo universale e non ambiguo? Come si esprime la frustrazione? O come si esprime la rabbia o l’amore? “Quando dico la parola amore il suono viene fuori dalla mia bocca e colpisce l’orecchio dell’altra persona, viaggia attraverso un intricato percorso che porta al cervello, attraverso i ricordi d’amore o di mancanza d’amore e l’altra persona registra quello che dico e dice di capire, ma io come faccio a

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Arnheim (1974a, p. 58). Arnheim (1974a, p. 58). Dondis, (1973, p. 8).


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saperlo? Perché le parole sono inerti, sono simboli, sono morte. Una grandissima parte della nostra esperienza è intangibile, gran parte di quello che percepiamo non riusciamo ad esprimerlo con le parole”44. Linguaggio visivo, linguaggio verbale Il colore del cielo al tramonto, le forme seducenti del corpo, un’opera d’arte, le immagini pubblicitarie: lo spettacolo della visione ci attrae. Un’immagine ha il potere di stimolare in noi una risposta emotiva più delle parole? Lo fa in modo diverso: il linguaggio visivo non è, infatti, dotato del grado di astrazione e precisione proprio del linguaggio. Attraverso una rappresentazione è impossibile descrivere le stesse informazioni - i termini astratti ne sono un esempio, esiste la parola bellezza, ma esiste la forma bellezza? - e farlo con la precisione che permette il linguaggio: la foto di un albero in un campo non discrimina tra “un albero” e l’albero” e nemmeno sa descrivere in modo univoco se si tratta di “un albero in collina” o di “un olivo in Toscana”. Le immagini possono catturare la nostra attenzione più delle parole, ma sono dotate di un maggior grado di ambiguità. Una vignetta di Cem45 (figura 4), apparsa sul the New Yorker, illustra bene l’improbabilità che avvenga una comunicazione non verbale di idee ed emozioni. Nell’illustrazione una ragazza crede, ballando, di esprimere attraverso la danza l’idea di fiore mentre ogni spettatore ne dà una diversa interpretazione: c’è chi pensa ad una barca nel mare, chi ad un aereo nel cielo e chi ancora ad un cavallo che galoppa. È dunque necessario tenere presente come l’informazione tratta da un’immagine può essere del tutto indipendente dall’intenzione di chi l’ha eseguita. Le emozioni che danno origine all’opera d’arte non sempre si trasmettano al fruitore. Possiamo allora affidarci al supporto visivo per trasmettere un messaggio? Cosa avverrebbe se al posto della ballerina ci fosse una forma astratta? Una forma, quante interpretazioni? È difficile e soggettivo che a partire dalla semplice espressività formale una persona colga l’esatta espressione di uno stato interiore che si vuole trasmettere. Esprimere univocamente, attraverso una forma isolata un’intenzione, un carattere, un’emozione o un atteggiamento è piuttosto complicato. “Quando una rappresentazione è incompleta, imprecisa o ambigua in merito a quelle qualità astratte, all’osservatore si chiede di prendere decisioni in proprio circa la natura di quanto vede”46. Gombrich47 racconta di alcuni esperimenti, compiuti in Germania da Richard Krauss, in cui ai

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Testo tratto dal film Waking Life, diretto e scritto da Richard Linklater (2001). Gombrich (1973, p. 24). Arnheim (1974b, p. 165). Gombrich (1973, p. 25).


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figura 4. Una vignetta di Cem apparsa sul “New Yorker”. Gombrich (1973, p. 24).

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soggetti fu chiesto di comunicare agli spettatori un’emozione o un’idea attraverso disegni astratti. Gli spettatori cui fu chiesto di decifrare il messaggio fecero ipotesi del tutto casuali. Quando, a chi doveva decodificare il disegno, fu dato un elenco di vari significati possibili, le supposizioni migliorarono e si avvicinarono sempre di più all’intenzione degli autori quanto più si riduceva il numero di alternative possibili, anche se il risultato potrebbe essere da ascrivere alla maggiore probabilità di scegliere casualmente la risposta giusta. Anche le prove comparative hanno l’effetto di fare percepire meglio un messaggio visivo. Una prova isolata dà risultati diversi di una comparativa. Un esempio di prova comparativa è l’esperimento “takete e malùma” (anche noto come “buba kiki”) condotto dallo psicologo tedesco Wolfgang Köhler nel 1947. Ai soggetti vengono mostrate due forme (figura 5): una tondeggiante con contorni continui e morbidi, l’altra spigolosa con contorni aguzzi che cambiano bruscamente direzione. Alle persone, a cui viene detto che le due forme si chiamano buba e kiki, è chiesto di decidere qual è buba e qual è kiki. La maggior parte battezza buba la prima forma e kiki l’altra, dimostrando così come una data struttura possa essere identica in oggetti visivi e in oggetti uditivi. Cosa succederebbe se, mostrando le due figure separatamente, venisse chiesto ai soggetti quale nome darebbero alle singole forme? Una domanda del genere può creare un elevato numero di risposte. La libertà di associare alla stessa forma una parola aumenta il numero di risultati fino a rendere l’esperimento incapace di fornirne dati utili ai fini dell’analisi. Accade ad esempio in Colour lovers, un sito per “trovare ispirazione attraverso milioni di palette e schemi di colori di cui innamorarsi. Influenzare le mode dei colori attraverso voti, commenti e condivisione.”48 Gi utenti iscritti possono creare, nominare ed etichettare colori, palette e pattern, condividerle e votare quelle altrui; il tutto è scaricabile in diversi formati. Il sito offre la possibilità di effettuare una ricerca dei colori (più votati o più visti) etichettati con la medesima parola. Nonostante l’intento del sito non sia quello di analizzare l’associazione tra colori e parole, il portale offre un interessante spunto di riflessione: possono etichette e nomi dati a colori rivelare preferenze nell’associare un certo colore ad un’emozione? Se si cercano i colori con il nome “felice” i colori associati a questa emozione sono i più disparati. Può non stupire l’assenza di uniformità nell’associare all’emozione una tinta, ma rivela la totale casualità della scelta dei nomi la differente saturazione e luminosità49 associate alla stessa parola.

48 http:// www.colourlovers.com 49 Osvaldo da Pos e Paul Green-Armytage (2007, p. 19) hanno indagato se l’associazione tra colori e le espressioni facciali delle emozioni di base è costante tra diverse culture. In uno degli esperimenti condotti hanno dimostrato che i colori relativi alla tristezza e alla paura sono molto desaturi, mentre felicità, sorpresa e rabbia sono associati a colori altamente saturi.


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figura 5. Le figure utilizzate nell’esperimento di Köhler.

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Tante interpretazioni, una interpretazione A partire dall’espressività di una forma astratta un’osservatore può cogliere un particolare stato interiore che si vuole trasmettere? Le difficoltà che questo quesito porta con sé spinge a chiedersi se qualsiasi interpretazione possa essere proiettata su un artefatto, sia questo un’opera d’arte o un logo. I Desginpolitie, un duo di grafici olandesi, nella loro monografia “The ABC of De Desginpolitie”50- fatta come un abbecedario - mostrano, lettera dopo lettera, il loro lavoro. Alla lettera L del libro riescono a giocare sull’idea di logo. Compare un quadrato blu sotto a cui è scritta in nero con un carattere graziato la parola Logo. Gli autori sostengono che “anche la forma più semplice è aperta ad innumerevoli interpretazioni; tutto dipende da come le viene attribuito un significato.” Nelle pagine a seguire la stessa forma viene interpretate in 571 modi diversi: il numero di quadrati (tutti uguali) per pagina aumenta, così come il numero di “titoli” (tutti diversi) che ad ogni insieme vengono dati (figura 6). Sotto agli stessi quattro quadrati, dello stesso blu, delle stesse dimensioni sono scritte cose differenti: “Front”, “Back”, “Symbol”, “Illustration”, “Flag”, “Box”, “Pixel”, “Stamp”, ecc. Di volta in volta, viene naturale cercare un collegamento possibile tra forma e parola e ogni associazione risulta andare bene. Il binomio forma-parola attiva tante interpretazioni quante sono le diverse parole scritte sotto il quadrato blu. Qualsiasi interpretazione può essere quindi proiettata su un artefatto? Se così fosse il ruolo dell’autore - designer in questo caso - sarebbe di importanza marginale: infatti, garantito il passaggio di informazioni, qualsiasi interpretazione risulterebbe verosimile. Sul tema dell’arbitrarietà delle interpretazioni, due contributi importanti, nell’ambito del testualismo, sono quelli di Umberto Eco e di Jacques Derrida, il teorizzatore del “decostruzionismo filosofico”. Il filosofo italiano sostiene che nel momento in cui noi stabiliamo un rapporto con un artefatto, poiché non abbiamo la possibilità di colmare la distanza che c’è tra noi e il progetto dell’autore, ne definiamo il senso in modo arbitrario. Derrida, invece, propone un procedimento di lettura teso ad annullare l’idea di sistema, concetto che riduce il tutto identificandolo con un’unità, facendo luce sugli scarti, sui vuoti, sui passaggi impraticabili, in vista di una rivendicazione dell’Altro e della differenza. Questo punto di vista sull’interpretazione del testo è in contrapposizione con quello di Umberto Eco, che, nell’opera “I limiti dell’interpretazione”, pone dei “paletti interpretativi”51 alla lettura soggettiva. Secondo l’autore la libertà interpretativa ha senso solo in rapporto a “certe regole del gioco”52. Perché l’interpretazione soggettiva ed emotiva possa comunque essere definita “accettabile”, il lettore deve avere rispetto per il testo let-

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King, Snellenberg e Schouwenberg (2008, p. 217). Eco (1990). Eco (1990).


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figura 6. “Anche la forma più semplice è aperta ad innumerevoli interpretazioni; tutto dipende da come le viene attribuito un significato.” Alla stessa fiugura sono attribuiti diversi significati. King, Snellenberg e Schouwenberg (2008, p. 217).

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terale: non tanto trasformare il testo per dare interpretazioni che questo non voleva dare, ma tenere in considerazione, ad esempio, la presenza del contesto. Così facendo, noi non interpretiamo soggettivamente alcunché, ci limitiamo piuttosto ad operare una manipolazione, una deformazione più o meno inconscia dell’opera. Tornando all’esempio del quadrato blu, possiamo chiamarlo cerchio rosso? Ci sono aree di significato che una forma non può esprimere (chiamare cerchio rosso il quadrato blu), aree di significato che richiedono una costruzione attiva da parte dell’osservatore (vedere nel quadrato blu un significato soggettivo al punto che nessun altro saprebbe riconoscerlo vedendo la stessa forma), aree di significato più facilmente accessibili e infine significati più immediati, perché culturalmente o “naturalmente” codificati (il quadrato e le sue connotazioni conosciute). “In qualche modo accettiamo tutto”53, tuttavia ci sono cose che accettiamo più delle altre ed è questo che la ricerca vuole indagare. Assonanze visive, alcuni esempi Nel vasto campo del visivo, i protagonisti della ricerca sono i disegni non mimetici, che non contengono cioè somiglianze corrispondenti ad oggetti o eventi, le forme astratte. Ci sono cose che accettiamo più di altre. Forme non mimetiche possono legarsi a concetti senza stonare, ma rafforzando il messaggio, trasmettendolo all’unisono. Queste forme possiedono forza sintetica e rappresentano un ottimo strumento d’espressione: sanno, lì dove servirebbero lunghi giri di parole, districare concetti. Gli alberi genealogici, i grafici, i segni che i professori tracciano alla lavagna per spiegare concetti sono un esempio di come le immagini sanno essere ineguagliabilmente comprensibili e sintetiche. Nel romanzo “Esercizi d’amore” dello scrittore svizzero Alain De Botton54 si trova un esempio di quanto appena detto. Il libro racconta il processo dell’inizio e della fine di una storia di amore, nata e conclusa su un volo Parigi-Londra. La narrazione mescola elementi romanzeschi con riflessioni ed analisi psicologiche e filosofiche sulle emozioni che entrano in gioco nelle relazioni d’amore. Il protagonista dell’opera usa forme e disegni per descrivere Chloe, la donna amata. I disegni sono astratti, l’autore li usa come un professore che traccia segni alla lavagna, per ancorare concetti alla sintesi delle forme (figura 7). La forma che rappresenta Chloe prima dell’intimità, ad esempio, una sfera perfetta, diventa invece in seguito un groviglio di linee. Per meglio comprendere quanto detto, è utile riportare un estratto dal romanzo: “…dall’esterno (prima del contatto epidermico) lei era parsa possedere un meraviglioso autocontrollo, un carattere fermo, mentre dopo il sesso si era rivelata vulnerabile, facile al crollo, sperduta, bisognosa.”

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Queste riflessioni nascono dallo scambio di idee con il Professor Emanuele Arielli. De Botton (2005, p. 61).


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figura 7. Le due versioni di Chloe, De Botton (2005, p. 61). Il confronto tra le due forme evidenzia la differenza tra le due forme di Chloe conosciute.

Cosa avviene invece se ad essere mostrate non sono due forme contrapposte, ma soltanto una forma collegata ad uno stato emozionale? Una risposta a questo quesito viene da un’opera di Sam Winston, un artista-tipografo inglese che esplora le potenzialità del linguaggio. Winston parte dal senso delle parole, per creare forme e composizioni. “Romeo&Juliet”55 è il nome di un progetto in fieri che consiste in una serie di collage basati sulla celebre opera di Shakespeare. L’intero testo è stato diviso in tre grandi insiemi a cui corrispondono tre stati emozionali: amore, rabbia e indifferenza. Le parole di questi tre gruppi sono state tagliate per creare, attraverso la tecnica del collage, due forme (figura 8): spigolosa quella della rabbia, sinuosa e tondeggiante quella passione. Senza nessuna spiegazione le caratteristiche grafiche delle composizioni ci suggeriscono a quale categoria d’emozione le forme appartengono.

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http://www.samwinston.com/Work/Romeo-Juliet


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figura 8. Collages realizzati da Sam Winston con le parole dell’opera “Romeo e Giulietta”. Il primo rappresenta la passione, l’altro la rabbia. http://www.samwinston.com/Work/ Romeo-Juliet. figura 9. La poesia “Auguries of Innocence” di William Blake visualizzata attravesro il sistema Sinestek; nella pagina di destra il testo della poesia ed un dettaglio.

È possibile poi scendere in dettaglio, esplorare cioè non una categoria emozionale di base, ma un testo, una poesia che contiene sfumature? È ciò che fa Synemania56, un sistema di visualizzazione che genera immagini a partire da frammenti di testo, dallo scontro di particelle a questi associati. Le immagini che ne risultano ricordano le immagini create dalle particelle che collassano (figura 9). Dopo che alcune parti di testo vengono interpretate, nuove collisioni producono un universo di nuove particelle. Le forme e i colori di questi pattern visivi dipendono dal tipo di intensità delle emozioni del testo, che si riferiscono a quelle definite da Ekman (paura, rabbia, disgusto, felicità, tristezza, sorpresa). Nella sequenza di immagini in cui la forma, il colore e la quantità degli elementi variano è possibile, anche senza leggere il testo a cui si riferiscono, vedere una tonalità emotiva e un cambiamento di intensità.

56 Il sistema è stato creato da Uroš Krčadinac e si basa sul lavoro di Jared Tarbell. Per approfondimenti http://www.synesketch.krcadinac.com/wiki/index.php?title=Main_Page


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Every night and every morn Some to misery are born. Every morn and every night Some are born to sweet delight. Some are born to sweet delight, Some are born to endless night. We are led to believe a lie When we see not through the eye Which was born in a night to perish in a night, When the soul slept in beams of light. God appears, and God is light To those poor souls who dwell in night, But does a human form display To those who dwell in realms of day.

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Questo ricorda i “Libri illeggibili” (figura 10) creati da Munari nel 1949, “libri dove le parole spariscono per lasciare spazio alla fantasia di chi saprà immaginare altri discorsi, “leggendo” carte di colori diversi, fili che attraverso le pagine, strappi fori e tagli, fogli trasparenti con linee che si inseguono da una pagina all’altra disegnano saette in movimento”.57 È chiaro, a questo punto, che, all’interno della comunicazione visiva, anche le forme astratte contengono elementi capaci di esprimere emozioni: tale peculiarità non concerne quindi solamente le immagini simboliche o rappresentative. Sarà compito dei capitoli successivi approfondire il rapporto tra forme e stati emozionali e proporre una metodologia per indagarlo.

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Finessi e Meneguzzo (2007, p. 80).


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capitolo primo

figura 10. Libri illeggibili creati da Bruni Munari nel 1949.

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Ricerche svolte ¡

rassegna di autori e libri che hanno toccato il problema delle qualitĂ espressive delle forme


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2 “Sono proprio quegli attributi valutabili degli oggetti, la loro pericolosità, bellezza, rarità, utilità, ecc., che primariamente attraggono la nostra attenzione. (…) Scopriamo la bellezza proprio come scopriamo le qualità fisiche degli oggetti”

- William James


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Figura x. La ricerca parte da un’indagine tra gli insiemi della Psicologia della percezione visiva e comunicazione visiva, dove“visiva” è il risultato dell’intersezione che costituisce una vasta area di ricerca.


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capitolo secondo

Ricerche svolte

Espressività È nella prima metà del Novecento che lo sguardo di diversi studiosi di psicologia58 si rivolge verso il tema dell’espressività: da una parte troviamo chi si focalizza sullo studio della fisiognomica e della patognomica59, dall’altra la psicologia della Gestalt, che riconosce nel fenomeno espressivo l’appartenenza alla conoscenza scientifica. Come ci ricorda lo psicologo italiano Alberto Argenton, però, “colui che, pur sempre facendo riferimento alla teoria della Gestalt, fornisce un contributo fondamentale allo studio della psicologia dell’espressione è Arnheim”60. Lo psicologo tedesco mette infatti nei suoi studi l’accento sull’espressività, sostenendo che “l’espressione è il contenuto principale della percezione”61. Lo studio di questo tema porta con sé una serie di difficoltà. Come nota Giulia Parovel, uno scoglio allo studio delle qualità espressive deriva dal modo in cui gli oggetti sono stati tradizionalmente considerati, nato dalla netta differenziazione fatta, a partire dal Seicento, tra componenti “oggettive” e “soggettive” dell’esperienza62. Le prime si troverebbero negli oggetti, sono le caratteristiche effettive dei corpi, le altre nel soggetto che le percepisce. Come abbiamo già visto nel primo capitolo, la definizione di queste variabili porta con sé un criterio generale di qualificazione del mondo: sulle qualità misurabili degli oggetti si basa la descrizione fisica, su quelle che dipendono dagli organi di senso quella della fisiologia. Tuttavia, non tutte le proprietà degli oggetti possono essere indagate attraverso gli strumenti che queste due discipline offrono, poiché tali strumenti non comprendono alcuni aspetti di importanza per l’esperienza percettiva, come la pericolosità, la stabilità, la dinamicità, che non sono solo legati alla misura e al modo in cui l’occhio li percepisce. Citando le parole dello psicologo statunitense William James, “sono proprio quegli attributi valutabili degli oggetti, la loro pericolosità, bellezza, rarità, utilità, ecc., che primariamente attraggono la nostra attenzione. (…) Scopriamo la bellezza proprio come scopriamo le qualità fisiche degli oggetti”63. L’approccio necessario ad un’indagine autonoma della psicologia si delineò con l’introduzione della teoria ecologica dello psicologo statunitense James Gibson. Attraverso la nozione di “ottica ecologica”, Gibson cercò di combinare l’ottica con la psicologia, interpretando i fenomeni fisici alla luce della loro rilevanza sui fenomeni psicologici. Come sottolineano Paola Farneti ed Elisabetta Grossi (autrici del saggio “Per un

58 La psicologia, intesa come disciplina scientifica, nasce in Europa nella seconda metà dell’Ottocento. 59 Bühler, Buvtendik, Kirchoff, Klages e Werner sono alcuni degli studiosi che si sono occupati di questo. 60 Argenton (2009, p. 22). 61 Pizzo Russo (1983, p. 80). 62 Parovel (2004, p.131). 63 James (1905).


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approccio ecologico alla percezione visiva. Introduzione a J.J. Gibson”), “la prospettiva ecologica si è imposta come una vera e propria rottura epistemologica, che ha messo in discussione i paradigmi del cognitivismo e il presupposto del realismo indiretto. La percezione è immediata e diretta. Individuo e ambiente, stimoli e percettore, sono in rapporto di reciprocità e simmetria: l’osservatore attivo raccoglie i significati che l’ambiente di volta in volta gli offre, necessari per l’adattamento e per l’azione, senza bisogno di alcuna elaborazione.”64 Possiamo dunque affermare che l’attività percettiva è immediata e diretta, ma quanto è “soggettiva”? Le qualità primarie e basilari sono direttamente legate all’aspetto fisico e sono grosso modo universali, mentre quelle espressive sembrano essere altamente soggettive e variabili. Gli studi neurologici hanno però mostrato che il processo percettivo è, in realtà, un continuum: gli stimoli vengono elaborati nel cervello in stadi via via più complessi, prima i contorni, poi i colori, poi le forme, poi gli oggetti, poi il loro significato. Ovviamente più si “sale”, più entrano in gioco aspetti del singolo soggetto e non l’ “hardware” del suo apparato percettivo. L’espressività dunque ha a che fare con l’esperienza diretta, con il “mondo della qualità e della percezione sensibile”65, come nota il filosofo francese Alexandre Koyré, e costituisce un aspetto fondante dell’attività percettiva; interrogarsi sulle qualità espressive significa cercare risposte sul funzionamento della mente, sulla costruzione del significato nella realtà. Detto questo, attraverso quali strumenti è possibile indagare l’attività percettiva? È necessario partire dall’esperienza fenomenica66 della realtà stessa. Definite le qualità espressive come qualità non riconducibili a quelle proprie di fisiologia e fisica, l’indagine sperimentale del fenomeno espressivo porta con sé non poche complessità. La ricerca attraverso gli strumenti di indagine tradizionali è fonte di frustrazione in quanto pone di fronte ad “uno scoraggiante numero di variabili”67 e addentrarsi nello studio dell’espressività, dotati dei tradizionali metodi di indagine, significa camminare in un campo minato. Non stupisce dunque l’emarginazione del tema dell’espressività negli studi psicologici, che Arnheim stesso nota e denuncia, e la scarsità dei test effettuati: le ricerche su questa tema sono, infatti, state riprese soltanto recentemente. In questo capitolo, le riflessioni sulle caratteristiche espressive delle forme astratte si intrecciano con la descrizione di alcune delle ricerche condotte e dei loro risultati.

64 Farneti e Grossi (1995). 65 Koyré (1965, p. 22). 66 Le ricerche della Psicologia della Gestalt e il contributo di studiosi come Husserl hanno mostrato l’oggettività e l’indipendenza scientifica del piano di descrizione della realtà dell’esperienza diretta. 67 Vicario (2001, p. 309).


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capitolo secondo

Ricerche svolte

La rappresentazione di concetti attraverso disegni astratti Nel capitolo “I concetti assumono forme”68 del proprio libro “Il pensiero visivo”, Arnheim presenta e descrive esempi di disegni non mimetici - che non pretendono cioè di imitare la forma di oggetti ed eventi - ottenuti nel corso di alcuni esperimenti. Ad un gruppo di persone fu chiesto di disegnare una serie di concetti specifici mediante disegni astratti: passato, presente e futuro, democrazia, matrimonio riuscito e fallito (figura 11). I partecipanti al test non esitarono di fronte alla natura del compito: la richiesta di rappresentare concetti solitamente non legati a disegni astratti

figura 11. “Buon matrimonio: dolcezza e armonia; vita facile e piacevole. Cattivo matrimonio: alti e bassi, cammino difficile nella vita.” Arnheim (1974b, p. 150).

non suscitò proteste. Dato il limite e la povertà del mezzo messo espressivo a disposizione (il disegno astratto), i soggetti dovettero concentrarsi sull’aspetto saliente di ciò che volevano rappresentare, isolando la caratteristica grafica più efficace per farlo. È proprio dalla “povertà” delle rappresentazioni astratte, legata all’impossibilità di rappresentare il concetto senza ricorrere a forme mimetiche, che deriva la loro forza sintetica. I disegni non avevano, infatti, lo scopo di dimostrare a cosa somigliavano le immagini che li avevano generati (non esiste un’immagine sola di questi concetti), “bensì suggerire quali avrebbero potuto esserne le caratteristiche strutturali”69. Ad esempio, per disegnare il concetto di matrimonio riuscito-fallito i soggetti dovettero delimitare il problema, stabilire un punto di

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Arnheim (1974b, p. 138). Arnheim (1974b, p. 151).


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vista e cogliere quelle caratteristiche rilevanti, che gli avrebbero permesso di rappresentarlo attraverso segni non mimetici; alcuni scelsero di rappresentare i due partner, altri la relazione. Ciò che rende questi esperimenti particolarmente interessanti è che il soggetto deve occuparsi solo delle caratteristiche grafiche e strutturali che le forme astratte devono avere per rappresentare il cuore, la “sostanza vitale” del concetto, in pratica, isolare gli aspetti essenziali della forma. Osservando le forme disegnate, possiamo distinguere le qualità del tratto che ne determinano le caratteristiche espressive. In questo esempio il soggetto ha scelto di rappresentare il concetto di matrimonio riuscito e fallito considerandone l’esito: quello buono ha una forma morbida e tondeggiante, quello cattivo è rappresentato da una linea spigolosa che presenta bruschi e frequenti cambi di direzione. Se ci fosse chiesto di associare i concetti di matrimonio riuscito e fallito a queste due forme, con buone probabilità sapremmo, senza suggerimenti, accoppiarli come chi le aveva pensate e disegnate, grazie alle qualità espressive delle forme. Queste proprietà della forma sono efficaci “perché isolano un singolo tratto che ha rilievo nel discorso”70. Osservando i disegni, emerge come questi possono rappresentare le caratteristiche generali di concetti teorici, senza però rappresentarli in modo univoco: una forma tondeggiante associata al concetto di buon matrimonio vale, accoppiata alla sua forma opposta spigolosa, per raffigurare altri binomi di concetti, ad esempio calma e nervosismo. Le due forme che ne risultano potrebbero essere utilizzate anche per l’esperimento di Köhler71: infatti, le caratteristiche percettive e le qualità formali che possiedono non identificano in modo univoco una situazione (ad esempio rappresentazione del suono buba kiki o buon matrimonio e cattivo matrimonio), ma la rappresentazione di una qualità generica. Anche senza alcuna spiegazione e riferimento, le due forme astratte possiedono le proprietà espressive essenziali utili al messaggio generale (positivo/negativo) che si vuole trasmettere. L’efficacia sintetica e formale di questi disegni non mimetici aumenta quando sono presentati come ausilio alla spiegazione dei concetti che rappresentano; gli insegnanti, che durante le lezioni si servono della lavagna per disegnare schemi e forme, ne sono a conoscenza. Abbiamo dunque visto come la capacità espressiva dei disegni aumenta quando sono presentati insieme al concetto che esprimono e cresce ulteriormente quando sono presentate due versioni della stessa forma, in quanto, ovviamente, il ventaglio decisionale viene ristretto.

70 71

Arnheim (1974b, p. 155). Buba e Kiki, vedi capitolo 1 pagina 31.


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capitolo secondo

Ricerche svolte

Capacità espressive di marchi diagrammatici La capacità espressiva di un “pattern di forze visive”72 è sfruttata nel disegno dei marchi diagrammatici. Come afferma lo studioso argentino Tomàs Maldonado, “un diagramma è un segno grafico non iconico o di bassissimo grado di iconicità”73, il cui referente non è un oggetto o una particolare classe di oggetti74. Il disegno di un marchio di questa natura non si riferisce univocamente ad un prodotto, ma si “focalizza su quelle proprietà essenziali e desiderabili in modo tangibile e concentrato, utile al messaggio che si intende trasmettere”75. Osservando il marchio internazionale di qualità della pura lana vergine, disegnato da Franco Grignani, “posso non identificarlo, perché le sue forme soffici, flessibili, morbide rappresentano una qualità estremamente generica”76, ma questa assenza di specializzazione (non vi è un’uguaglianza tra il prodotto lana e il marchio) non impedisce l’evocazione di alcune caratteristiche del materiale. Completamente diversa è la qualità espressiva del marchio della Deutsche Bank di Anton Stankowski (figura 12). La forma è composta di una cornice quadrata, nera e pesante, dentro a cui una linea diagonale sale verso l’alto. La linea diagonale, tagliata a punta, è dinamica e indirizzata verso uno scopo, ma racchiusa in una struttura stabile. Entrambe le forme sono semplici e astratte ed evocano qualità espressiva, morbidezza nel primo e solidità nel secondo.

figura 12. A sinistra il marchio internazionale di qualità, Pura lana vergine, disegnato da Franco Grignani (1964); a destra quello della Deutsche Bank di Anton Stankowski (1974).

72 Arnheim (1974b, p. 167). 73 Polano e Vetta (2002, p. 39). 74 La relazione tra un marchio diagrammatico e un prodotto è univoca nel caso in cui l’associazione venga presentata nel tempo in modo sempre uguale e insistente (la svastica ne è un esempio). 75 Arnheim (1974b, p. 175). 76 Arnheim (1974b, p. 175).


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La percezione di dinamicità in immagini statiche Per descrivere le proprietà dei marchi descritti nel paragrafo precedente, abbiamo utilizzato aggettivi come “dinamica”e “flessibile”: definire configurazioni statiche in questo modo ci porta a considerare le loro proprietà espressive cinetiche; perché si produca un vissuto di causalità, non è infatti indispensabile che l’oggetto si muova realmente, ci sono configurazioni statiche che originano effetti dinamici. Osservate l’immagine a fianco (figura 13); se vi venisse chiesto se si tratta di un’immagine dinamica o statica, vale a dire se contiene o no elementi che implicano un movimento, sapreste rispondere senza indecisioni. Siete, infatti, consapevoli di trovarvi di fronte ad un’immagine statica eppure, quando l’avete osservata nel vostro cervello, si sono attivate delle regioni che si attivano quando si guarda un evento dinamico. Recenti studi si sono concentrati sulla formazione di immagini nella mente durante l’osservazione di fotografie che contengono elementi che rimandano al movimento: hanno dimostrato che parecchie regioni del cervello attivate in queste situazioni sono simili a quelle innescate nell’osservazione di eventi dinamici. È possibile registrare reazioni neurali identiche in tutti gli osservatori di un’immagine? E di un’opera d’arte?77 Da alcune ricerche svolte da Massironi e Bonaiuto78 su configurazioni statiche (forme astratte tratte da opere di pittori e disegnate dai ricercatori stessi) è emerso che “non è necessario assistere ad un evento nel suo compiersi dinamico per vedere relazioni di causalità fenomenica fra i componenti dell’insieme”79. Nei pattern emerge un’impressione di movimento: il rombo si infila modificando la regolarità della tessitura delle linee parallele, il parallelepipedo poggia sulle linee orizzontali, che appaiono modificate, schiacciate dal peso dell’oggetto. Perché si percepiscano relazioni fenomeniche di causalità tra gli elementi di un’immagine statica è sufficiente rappresentare gli effetti o le conseguenze di un’azione (ad esempio il terreno schiacciato dal peso del parallelepipedo, figura 14). Questo tipo di relazione è del tutto indipendente dalle nostre conoscenze e convinzioni: l’effetto che abbiamo (che le linee siano state deformate dal

77 Gli studi di Semir Zeki, professore di Neurobiologia allo University College di Londra, offrono la discussione più aggiornata su questo tema. Zeki ha condotto studi di anatomia e fisiologia sulla corteccia visiva dei primati, interessandosi alla definizione di funzioni fondamentali del cervello visuale, e, in particolare delle conoscenze che il cervello acquisisce e di come queste vengono gestite dal cervello, in relazione ai collegamenti anatomici ed ai meccanismi fisiologici. Per approfondimenti si veda il testo “La visione dall’interno”, una sorta di fondazione della neuroestetica, in cui Zeki sostiene che un’estetica che aspiri ad essere duratura e fondata dovrebbe essere biologicamente valida. Lo studioso ripropone la riflessione sulla conoscenza diretta in chiave biologica: per poter parlare di ciò che passa attraverso la visione, ovvero la fruizione dell’opera d’arte, bisogna far riferimento a un apparato di conoscenze tecniche che rendano ragione di quel fenomeno e di quei meccanismi che collettivamente indichiamo con il termine “visione”. 78 Bonaiuto e Massironi (1966, pp. 3-42). 79 Massironi (1998, p. 230).


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capitolo secondo

figura 13. Fotografia di Thierry BouÍt tratta da Gente d’albergo (1996).

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rombo) vale anche sapendo che sono così perché qualcuno le ha disegnate in quel modo. La percezione di causalità si ha quando “in una struttura omogenea è presente una qualche disomogeneità o discontinuità limitatamente a una parte circoscritta della struttura stessa”80.

figura 14. Configurazioni grafiche che danno origine a causalità fenomenica in assenza di movimento, Massironi (1998, p. 231).

80

Massironi (1998, p. 232).


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Nell’opera dell’artista russo El Lissitzky (figura 15), il triangolo rosso sembra entrare nel cerchio, interrompendone la struttura. L’osservatore percepisce questa interruzione81 come la conseguenza di un’azione (l’entrata dei rossi) che ha prodotto una modificazione riconoscibile al cerchio aperto. Diversi studiosi hanno spiegato che scene e oggetti statici contengono informazioni sulle forze che vi agiscono.

figura 15. El Lissitzy, Insinua nei bianchi il cuneo rosso, 1919.

Ci sono casi in cui, osservando un’immagine statica, oltre a percepirvi un movimento le attribuiamo caratteristiche sociali ed emotive; questo aspetto risulta particolarmente interessante ai fini della ricerca sulle qualità espressive delle forme astratte statiche. Come è relazionata la percezione di dinamismo in immagini statiche all’attribuzione di emozioni?

81 Complici di questa impressione sono anche il completamento amodale e la legge di pregnanza percettiva.


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A questa domanda se ne affianca una seconda: come avviene questa percezione nel caso in cui l’immagine sia una forma astratta? I ricercatori Marina Pavlova, Arseny e Alexander Sokolov hanno cercato di dare risposta a questi quesiti attraverso alcuni esperimenti. Obiettivo delle loro ricerche era capire se e come l’instabilità di figure geometriche astratte82 è relazionata alla percezione di stati emozionali. In uno dei test, ai soggetti sono state mostrate diverse versioni delle stesse figure: un triangolo isoscele con la punta rivolta verso il basso, una figura ovale ed una semplice linea. Queste tre forme sono state ruotate dall’orientazione verticale a quella orizzontale in diversi passaggi ognuno dei quali è stato presentato ai soggetti separatamente (figura 16) e in ordine casuale. I soggetti dovevano prima valutare l’instabilità percepita delle figure nelle diverse posizioni (in una scala di sette punti), poi stimare l’intensità di sei emozioni di base (gioia, felicità, sofferenza, disgusto, sorpresa, rabbia e paura) che potevano essere attribuite alle figure. I risultati di quest’esperimento dimostrano che l’effetto dinamico di immagini statiche permette una specifica attribuzione di stati emozionali: “in tutte le tre figure presentate è stata trovata una relazione tra emozioni negative (paura, tristezza) e instabilità percepita”83. È interessante notare come i dati riflettano in un certo senso i movimenti quotidiani del corpo: quando siamo tristi o abbiamo paura “perdiamo l’equilibrio”, siamo più instabili, e questo stato emotivo diventa uno stato del corpo, ad esempio un uomo triste ha una figura che “cade”e avanza con la testa abbassata. Di questo stato del corpo si trova traccia anche nel linguaggio, all’amico triste diciamo di “non buttarsi giù” e di “farsi forza” come se vedessimo la tristezza come il risultato di una trasformazione (l’evento triste) su una figura (l’amico) che ha portato ad un’instabilità. L’equilibrio di una figura si basa dunque sul rapporto che questa ha con lo sfondo; ma esistono delle caratteristiche grafiche in grado di contribuire a quest’equilibrio? Immaginiamo una figura tondeggiante, centriamola nello spazio ed ipotizziamo che non sia possibile applicarle operazioni di trasformazione - traslazione, riflessione, rotazione, omotetia -, ma solo modifiche che riguardano le caratteristiche grafiche, per esempio da lineare a ingarbugliata, da tondeggiante a spigolosa. Come viene attribuita un’emozione ad una forma quando gli effetti legati al rapporto

82 Le forme geometriche sono da sempre un indispensabile strumento di indagine per lo studio della percezione delle attribuzioni sociali rivelate dal movimento. Gli esperimenti Heider e Simmel (1944) e Michotte (1946) dimostrarono che, quando alcune forme geometriche cambiano posizione nello spazio con differente velocità ed accelerazione, gli osservatori tendono a descrivere i loro movimenti in termini di interazioni sociali (una figura viene vista rincorrere l’altra e ancora una entra e l’altra esce) e ad attribuire alle figure particolari caratteristiche personali (appaiono aggressive, impaurite, in pericolo o salvate). Di questo si parlerà ulteriormente nel quarto capitolo. 83 Pavlova, Sokolov e Sokolov (2005, p. 1110).


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capitolo secondo

figura 16. Rotazione di forme geometriche dall’orientazione verticale e la loro instabilità percepita, Pavlova, Sokolov e Sokolov (2005, p. 1110).

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figura-sfondo vengono annullati e rimangono solo le caratteristiche grafiche delle proprietà della linea? Il valore di una rappresentazione è influenzato da vari fattori, come ad esempio il colore, la posizione, la luce; tra questi la linea costituisce una posizione di primaria importanza. Come afferma il pittore e scrittore americano Kenyon Cox: “le linee dritte esprimeranno sempre rigidità e freddezza mentre le linee curve una sorta di crescita o movimento”84. I primi tentativi di misurare la relazione tra qualità grafica delle linee ed emozione risalgono al primo Novecento. Lo studioso Helge Lundholm nel 1915 condusse degli studi sperimentali sul valore espressivo delle linee. Il ricercatore introduce così la questione: “la letteratura sull’arte ci dà molto spesso descrizioni di capolavori in cui linee pure sono caratterizzate da aggettivi che indicano più o meno qualità emotive. Questi autori sono soliti parlare di linee malinconiche nelle pitture di Perugino, linee calme in alcune scuole classiche, linee violente nell’arte barocca, ecc. A seguito di queste considerazioni si presenta un problema. La caratteristica della linea è una qualità che si lega alla linea stessa, o è suggerita dal soggetto letterario delle opere? Inoltre questa qualità è un fenomeno che appare egualmente in diversi osservatori?”85 Ad un gruppo di otto persone fu chiesto di disegnare su un foglio una linea che esprimesse il tono espressivo di un aggettivo; quest’utlimo - riferito a voce - era scelto, da chi conduceva l’esperimento, tra una lista di 48 aggettivi, divisi in 13 gruppi di sinonimi; due di questi gruppi erano chiaramente connotati dal punto di vista emotivo (triste e allegro), altri ambigui (furioso, agitato), mentre altri non erano esattamente parole che definivano emozioni (serio, pigro, morte). Ai soggetti era chiesto di “esprimere l’aggettivo il più possibile attraverso una linea, senza simbolizzare la tristezza attraverso la curva di una bocca melanconica o la forza attraverso una linea che suggeriva il contorno di una roccia, ecc.”86 Lo studio dei risultati dell’esperimento dimostrò un’impressionante uniformità tra le scelte fatte tra tipo di linea - curva o spigolosa -, ritmo - frequenza veloce o lenta - e direzione - verso l’alto o verso il basso - per esprimere i vari aggettivi. L’autore riassume così queste scoperte: “Linee che simboleggiano stati di grande forza espressiva hanno onde corte e angoli acuti e le linee che raffigurano stati di debole azione espressiva hanno curve lunghe e onde basse; in secondo luogo, le linee con onde del primo tipo e gli stessi angoli acuti suggeriscono un movimento intenso, mentre le linee con curve del secondo tipo indicano un movimento debole e lento”87 (figura 17).

84 85 86 87

Cox (1917, p.44). Lundholm (1921, p. 43). Lundholm (1921, p. 44). Lundholm (1921, p. 44).


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figura 17. Le linee disegnate dalle persone nell’esperimento di Lundholm (1924, p. 192).

Riprendendo gli studi di Lundholm, nel 1924, A.T. Poffemberg e B.E. Barrows svolsero un esperimento il cui interesse principale era quello di scoprire se gli aggettivi associati nel guardare linee di tipo diverso sarebbero stati uguali a quelli che avevano generato i disegni degli esperimenti precedenti88. I due studiosi erano in particolare interessati a scoprire in che modo le linee potevano influenzare la reazione dell’osservatore di fronte ad un’opera d’arte, una architettonica o una pubblicità. A 500 soggetti - un campione di tutti i probabili rappresentanti di persone istruite - fu dato un elenco di 13 gruppi di aggettivi - gli stessi dell’esperimento di Lundholm, ognuno dei quali indicava una particolare sensazione o emozione - e un foglio su cui erano disegnate 18 linee - che rappresentavano il tipo e la direzione - designate da una lettera (figura 18). figura 18. Le linee utilizzate nell’esperimento, Barrows e Poffemberg (1921, p. 45).

88

Barrows e Poffemberg (1924, pp. 187-205).


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I soggetti dovevano, a partire dalla prima classe di aggettivi, trovare la linea che meglio esprimeva la sensazione che il gruppo di parole rappresentava. Lo psicologo della percezione Geoffrey Collier riassume così i risultati dell’esperimento: “per forte, agitato, potente, furioso e serio i soggetti preferirono linee spigolose a quelle curve, che invece vennero scelte per quieto, gentile, pigro, debole, giocoso, allegro, triste e morto. La preferenza per gli angoli sembra essere determinata dalla combinazione di valenza negativa e alta intensità”. In una tabella elaborata da Collier è visualizzato il rapporto tra valenza e intensità (figura 19)89. Per valenza si intende la caratteristica di uno stato emotivo (positiva o negativa) mentre l’intensità si riferisce alla sua attività (bassa o alta).

figura 19. Analisi dei dati dell’esperimento di Barrows e Poffemberg, Collier (1996, p. 26).

Un’interazione ancora più forte tra valenza e intensità compare nelle ricerche condotte dieci anni dopo dalla ricercatrice americana Kate Hevner90. Obiettivo degli studi era determinare l’espressività di diversi colori e forme, per scoprire, attraverso metodi sperimentali, l’effetto, il significato, o lo stato affettivo che questi provocavano negli osservatori. Gli elementi studiati - linee e colori - furono incorporati in un disegno (figura 20) che potesse essere gradevole e interessante di per sé, e potesse essere visto dal soggetto in un modo del tutto simile a quello con cui si guarda un’opera d’arte; questo metodo è molto diverso da quello utilizzato da Poffemberg e Barrows, in cui tutte le linee erano disegnate in un solo foglio. Diversi gruppi di persone potevano osservare, per 35 minuti, uno tra otto disegni costituiti da semplici linee, che differivano per colore (rosso o blu) e motivo (curve, cerchi, quadrati, angoli); durante l’esperimento

89 90

Collier (1996, p. 26). Hevner (1935).


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era loro concesso di confrontarsi e registrare le proprie reazioni scegliendo un aggettivo all’interno di una lista. La ricercatrice riassume così i risultati: “le curve risultano essere serene, leggiadre e legate a sentimenti delicati, mentre gli angoli sono robusti, vigorosi e in qualche modo più solenni.”91

figura 20. Le immagini utulizzate nell’esperimento di Hevner (1935, p. 385)

91

Hevner (1935, p. 385).


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A partire da questi elementi e dal fatto che semplici stimoli percettivi possono essere collegati a specifiche risposte emotive in modo sicuro - si pensi al caso dell’esperimento “maluma” e “takete” già descritto nel primo capitolo - Geoffrey Collier92 ha svolto una serie di esperimenti che mirano a stimare l’affidabilità della relazione tra stimoli ed emozioni. In uno degli esperimenti, ad un gruppo di soggetti fu dato un foglio su cui erano disegnate coppie di figure generate da un computer, a partire da un gruppo definito di dieci figure geometriche: linea retta, linea curva, rettangolo, segno dell’infinito, x, quadrato, triangolo, pentagono, cerchio, ellisse. Il soggetto doveva valutare il grado di somiglianza delle forme, tenendo presente non tanto le loro caratteristiche, quanto l’emozione che avrebbe associato ad ognuna di queste. Ad un altro gruppo fu consegnato un foglio con dieci forme; ai partecipanti era poi chiesto, per ognuna di esse, di classificare rabbia, tristezza, pace e gioia secondo la loro aderenza a ciascuna forma. I risultati dell’esperimento, inseriti in uno schema basato sull’intensità e la valenza, individuano raggruppamenti distinti di emozioni (figura 21). L’insieme di quelle positive è composto da forme curvilinee, l’altro, di quelle con bassa attività (calma e tristezza), è composto da rettangolo, quadrato e linea, mentre un terzo è formato dalle emozioni con valenza negativa ma diversa intensità da triangolo, pentagono e croce (x).

figura 21. Analisi dei dati dell’esperimento di Collier (1996, p. 26).

Dai risultati, malgrado manchi un perfetto accordo nelle associazioni, emerge la presenza di alcune regolarità. Semplicità, chiusura (non in ogni caso)93, e direzione verso l’alto caratterizzano le emozioni positive e intense. La direzione verso l’alto contraddistingue anche le linee associate a emozioni negative intense, prevalentemente spigolose. Il fatto che nella prima parte dell’esperimento i soggetti dovevano valutare la similarità delle forme, senza che gli fosse data una lista di stati emotivi, rende questi dati particolarmente importanti, dimostrando così la validità di alcune associazioni.

92 93

Collier (1996). Collier (1996, p. 20).


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Empatia generata dalle opere d’arte I risultati degli studi sul valore espressivo delle linee ci fa supporre che il loro carattere percepito abbia origine nell’impressione del movimento. Ciò dipende dall’idea che questo movimento sia in qualche modo un sinonimo, un’imitazione dell’azione che si compie quando si prova una certa emozione. Il fatto che nell’esperimento di Lundholm gli stessi soggetti “avevano menzionato il movimento come fattore importante per l’espressione emotiva delle linee”94 rafforza fortemente questa supposizione. Questa considerazione ci porta a fare alcune riflessioni sulla questione dell’empatia generata dalle opere d’arte, vale a dire l’idea che vi sia un coinvolgimento corporeo dello spettatore quando si osserva una certa immagine. Il primo a porre l’accento su queste problematiche fu il filosofo tedesco Robert Vischer, che nel 1873 introdusse il concetto di “Einfühlung”, termine tedesco che letteralmente significa “sentire dentro”, che indica la trasposizione dell’oggetto estetico in sensazioni corporali. Il termine tedesco Einfühlung equivale a quello di derivazione greca “empatia”, empateia in greco antico, parola composta dal prefisso en (dentro) e pathos (sofferenza o sentimento). La dottrina estetica dell’Einfühlung trova la sua più ampia e definitiva sistemazione nel pensiero di Thomas Lipps, che definisce il rapporto empatico come percezione della propria attività emotiva, delle proprie forze vitali, in un oggetto sensibile. Il soggetto proietta nell’oggetto che osserva le proprie emozioni, si immedesima con esso. L’opera d’arte rappresenta l’oggetto che permette meglio questo tipo di ricezione, perché possiede una disposizione strutturale a lasciarsi percepire, è, infatti, creata perché stimoli la partecipazione emotiva di chi lo contempla. Una base scientifica per il concetto di empatia sono i neuroni specchio, una delle più straordinarie e recenti scoperte delle neuroscienze. Un gruppo di neurofisiologi dell’Università di Parma95 ha individuato come alcune aree del nostro cervello, normalmente deputate a guidare il movimento, sono dotate di “neuroni specchio”, neuroni specifici che si attivano sia quando compiamo una certa azione, sia quando, rimanendo fermi, la osserviamo compiere da altri (ciò avviene soprattutto tra animali della stessa specie). Il neurone dell’osservatore “rispecchia” quindi il comportamento dell’osservato, come se stesse compiendo l’azione. “I neuroni specchio sono per le neuroscienze ciò che il dna è stato per la biologia”, afferma il neurologo indiano Vilayanur Ramachandran, a testimoniare la grande importanza di questa scoperta, che porta con sé numerose implicazioni, persino nel campo dell’estetica.

94 95

Lundholm (1921, p. 60). La ricerca è stata coordinata da Giacomo Rizzolatti.


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La ricerca “Movimento, emozione, empatia”96, condotta dallo storico dell’arte David Freedberg e il neuroscienziato Vittorio Gallese, esamina appunto le conseguenze della scoperta del meccanismo dei neuroni specchio e della “simulazione incarnata”, un meccanismo implicito di modellizzazione delle relazioni intenzionali”97, sotto l’aspetto delle reazioni empatiche alle opere d’arte visiva. L’ipotesi dei ricercatori è che un elemento cruciale della risposta estetica consista “nell’attivazione di meccanismi incarnati in grado di simulare azioni, emozioni e sensazioni corporee, e che questi meccanismi siano universali”98. La ricerca approfondisce l’analisi dei fenomeni che si producono a livello corporeo quando si osserva un’opera d’arte, in virtù del loro contenuto visivo e alla luce di quei “meccanismi neuronali che sostengono il potere empatico delle immagini”. La ricerca illustra casi in cui gli spettatori, oltre a provare empatia fisica, “possono addirittura simulare automaticamente l’espressione emotiva, il movimento o persino il movimento implicito della rappresentazione”. Si riferiscono a opere d’arte figurativa mimetiche: la scultura “ Prigioni” di Michelangelo mostra figure plastiche che lottano per sottrarsi ad un blocco di pietra, mentre i “Disastri della guerra” di Goya rappresenta immagini di parti del corpo trafitte o ferite. Un aspetto molto interes-

96 97 98

Freedberg e Gallese (2007). Freedberg e Gallese (2007, p. 197). Freedberg e Gallese (2007, p. 197).


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sante che emerge da questa ricerca è il fatto che la “simulazione” emotiva si verifica non solo in chi osserva opere figurative, ma anche in chi osserva forme architettoniche o dipinti astratti come quelli di Jackson Pollock o di Lucio Fontana (figura 22). Di fronte ai segni dei dipinti di Pollock, “gli osservatori spesso avvertono una sensazione di coinvolgimento corporeo nei movimenti impliciti nelle tracce fisiche - i segni del pennello o gli schizzi di vernice - delle azioni creative compiute dall’autore. Ciò vale anche per i tagli nella tela di Lucio Fontana, dove la visione del dipinto squarciato favorisce una sensazione di movimento empatico che sembra coincidere con il gesto che ha prodotto il taglio.”99 Il fatto che questi stati d’animo si possano esprimere mostrando in modo stilizzato aspetti fisici, corporei o fisiologici sarà di sostegno nell’elaborazione delle forme e nel capire il modo in cui si crea il ponte tra segno grafico ed emozione, come si approfondirà nel quarto capitolo.

figura 22. Opere in cui i segni tracciati sottointendono i movimenti impliciti dell’artista, vengono percepite dagli osservatori in modo fisico: in alto Jackson Pollock,“Number 3, Tiger”, 1949; a sinistra Lucio Fontana, “Concetto Spaziale, Attese”, 1968.

99

Freedberg e Gallese (2007, p. 199).


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Tecniche visive e caratteristiche grafiche delle forme Spostiamoci dagli studi di psicologia della percezione e diamo uno sguardo alla comunicazione visiva, per vedere quali tecniche sono applicate nella ricerca di soluzioni grafiche. Donis Dondis afferma che “gli elementi visivi sono manipolati, con enfasi variabile, dalle tecniche della comunicazione visiva in diretta risposta al carattere di quello che si è progettato e dello scopo del messaggio.”100. Queste tecniche sono gli “agenti nel processo della comunicazione visiva”101 che i designer utilizzano come modificatori di immagini; quelle elencate di seguito sono solo alcune, scelte tra le tante perché legate alle caratteristiche grafiche delle forme che verranno utilizzate nell’indagine presentata. Esse verranno presentate a coppie contrastanti: simmetria/asimmetria, chiusura/apertura, spigolosità/rotondità,ecc. Questo perché si è visto che quando vengono presentate due versioni opposte di una stessa forma (ad esempio tondeggiante e spigolosa), le qualità espressive emergono in maniera più forte e chiara. La prima tecnica presentata è la simmetria di riflessione, la proprietà delle figure geometriche che rimangono invariate in seguito ad una riflessione rispetto all’asse di simmetria. “La presenza di trasformazioni invarianti significa la presenza di un ordine e quindi di una struttura che collega parti differenti dell’oggetto o dell’immagine”102. Noi siamo naturalmente portati a individuare la simmetria di riflessione103 molto velocemente e a distinguerla dallo sfondo. “La maggior parte degli organismi viventi presenta una forma simmetrica, addirittura certe forme di mimetizzazione consistono nel rompere tale simmetria; se pensiamo poi agli artefatti umani, è raro trovarne un esempio che non sia in qualche modo simmetrico”104. Consideriamo un esempio per meglio visualizzare la tecnica; supponiamo che una macchia d’inchiostro cada su un foglio bianco. Il suo profilo è irregolare ed è assente un’asse di simmetria. Le sue caratteristiche si contrappongono a quelle del quaderno: la macchia è unica, astratta, asimmetrica, disordinata e irregolare; la tessitura dei quadretti invece è simmetrica e costante. In questo caso il netto contrasto esistente tra macchia e quaderno gioca un ruolo fondamentale nella percezione della figura rispetto allo sfondo. È la presenza di questo contrasto che in-

100 Dondis (1973, p. 16). 101 Dondis (1973, p. 16). 102 Arielli (2009). 103 Come nota Arielli, percettivamente non tutte le forme di simmetria sono ugualmente significative. In particola re noi concepiamo come più “vera” la simmetria basata sull’asse verticale rispetto a quella orizzontale, siamo più rapidi nel riconoscerla, la “più simmetrica”. La simmetria verticale è quella che corrisponde alla forma della maggior parte dei mammiferi visti frontalmente: c’è infatti chi ha ipotizzato che l’estrema sensibilità per la simmetria soprattutto verticale abbia avuto un’importante funzione evolutiva, per esempio nella rapida individuazione di un volto umano o animale che guarda nella nostra direzione e ci osserva. (Arielli, 2009). 104 Arielli (2009).


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fluisce sulla distinzione della figura. La struttura disordinata della macchia non è simmetrica: ci sorprenderemmo se lo fosse, sospettando un qualche principio organizzante che ha creato quella forma, sia esso un contorno sulla tovaglia o un qualche processo fisico o chimico di cui non siamo consapevoli. La sua asimmetria è sinonimo di erroneità, accidentalità e inconsistenza come oggetto ripetibile. Siamo infatti abituati a scorgere nella simmetria un indizio della presenza di una forma, di un oggetto. Decontestualizziamo la macchia riprendendone il contorno: il suo profilo è irregolare e tondeggiante (figura 23). Selezioniamo una porzione della macchia e rendiamola più simmetrica105: più simmetrica diventa la forma, tanto più questa assume una configurazione certa e chiara. La macchia, da oggetto casuale ed unico, si fa oggetto regolare e riproducibile.

figura 23. La macchia: originale e riflessa simmetricamente.

105 L’esempio riprende un’esercitazione svolta nel 2004 durante il corso di Basic Design tenuto da Alberto Marangoni all’Istituto superiore per le industrie artistiche di Urbino.


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Una seconda tecnica che è possibile utilizzare è la differenza tra apertura e chiusura: una forma chiusa appare come figura rispetto uno sfondo, la sua presenza è definita, il suo profilo disegnato. Come nota Marcolli, “dal punto di vista costruttivo e strutturale, così come dal punto di vista spaziale, un sistema chiuso è garanzia del suo equilibrio statico”106. Una forma aperta dà l’impressione positiva di essere in comunicazione con lo spazio, ma nello stesso tempo può esprimere assenza di equilibrio, incompletezza. Maggiore sarà l’apertura, tanto più sarà perduta l’impressione di una forma interrotta, una minore apertura può apparire invece come una forma tagliata. Le tecniche descritte trovano una precisa corrispondenza con la visualizzazione di una forma o di una configurazione: è, infatti, possibile disegnarne una spigolosa ed una tondeggiante, un’aperta ed una chiusa, una simmetrica ed una asimmetrica. Ci sono altre tecniche che sono invece delle metacategorie, insiemi più grandi in cui rientrano le qualità descritte, ad esempio la coppia equilibrio-instabilità, una tecnica di primaria importanza nella rappresentazione grafica. La percezione della stabilità di una figura dipende dal rapporto tra la sua posizione e lo sfondo, ma non solo; ad influire sulla percezione di stabilità di una forma è anche, ad esempio, la simmetria, che fa percepire maggiore regolarità alla stessa. Un’altra macrocategoria è quella della semplicità-complessità, legata alla polarità regolarità-irregolarità. Si pensi ad un uovo rotto, una macchia sulla tovaglia, il trucco sbavato, una crepa sulla parete, la camicia non stirata: il rapporto ordine-disordine, regolarità-irregolarità, determina i luoghi che ci circondano, dalla camera in cui ci svegliamo la mattina alla città in cui abitiamo. È vero che la nostra preferenza è per l’effetto visivo legato ad una forma semplice ed ordinata? Se così, perché lo è? Nella vita di tutti i giorni, tendiamo a preferire una composizione più “comprensibile” rispetto ad una caotica: una camera in ordine è percepita come più semplice, riposante, meno pericolosa. Questo vale a meno che l’ordine non diventi fine a sé stesso, un ordine-disordine che manca di funzionalità, oppure indice della presenza di un’autorità o una scala gerarchica, come nel caso di un’esortazione materna. La riflessione fatta riguarda la composizione di un gruppo di oggetti, ma potrebbe valere anche per la configurazione della forma. Una forma ordinata è dunque sinonimo di semplicità, la lettura agevole si ricollega direttamente ad un’emozione positiva. Possiamo ben dire che la semplicità è sinonimo di ordine e viene per lo più collegata a caratteristiche positive.

106

Marcolli (1971, p. 23).


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capitolo secondo

Ricerche svolte

Abbiamo visto il ruolo che le caratteristiche grafiche rivestono nell’espressività delle forme. Come indagare la relazione esistente tra queste e le emozioni? Si è visto che il metodo tradizionale porta con sé uno scoraggiante numero di variabili e la necessità di compiere numerosi test. Nel prossimo capitolo sarà presentata la metodologia d’indagine scelta.


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Metodologia d’indagine ¡

inquadramento del metodo scelto


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3 “Ogni anno persone in ogni parte del mondo spendono miliardi di ore facendo giochi al computer. Che cosa accadrebbe se questo tempo e questa energia potessero essere incanalati in lavori utili? Che cosa accadrebbe se le persone, giocando al computer, potessero, senza farlo coscientemente, risolvere problemi di larga scala?�

-Luis von Ahn


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figura 24. I “giochi con cun scopo� hanno un vasto campo di applicazioni in diverse aree come la sicurezza, le ricerche su internet, il dispositivo ottico del computer. Esp, Phrase Detectives, Foldit, Sentiment Quiz, sono solo alcuni dei nomi di Gwap che si possono trovare in rete.


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capitolo terzo

Metodologia d’indagine

Calcolo umano Un computer ed un utente. Velocissimo a calcolare il primo, lento di natura il secondo. L’efficienza pratica dei calcoli e la velocità con cui sono eseguiti non deve farci dimenticare che un calcolatore ha ancora molti limiti: ci sono operazioni che non è in grado di gestire, come, ad esempio, la percezione spontanea di dati e l’elaborazione di soluzioni di fronte ad esperienze inaspettate e non contemplate dal “sistema”. Questi compiti risultano invece piuttosto banali per un essere umano. Un computer è dunque veloce, ma “scemo”, rifacendosi al significato etimologico del termine, che lo fa derivare dal latino sémus, mezzo, non completo, mancante di una parte, che possiede invece l’uomo, lento (mancante dunque della capacità di calcolo che possiede un computer), ma che ha facoltà di discernere. Un essere umano, ad esempio, elabora spontaneamente dati durante l’attività percettiva e rivede continuamente il proprio punto di vista, mentre un computer non è in grado di prescindere da ciò per cui è stato precedentemente programmato. Da valorizzare in un computer è la quantità di calcoli, mentre degli esseri umani la qualità e la complessità dell’attività percettiva. L’autore del primo trattato in cui viene riconosciuta l’importanza del “calcolo umano” all’interno dell’informatica è Luis von Ahn107. L’idea nasce dalla considerazione che sono numerosi i compiti che i computer non possono ancora risolvere e che invece gli esseri umani possono svolgere con disinvoltura e senza grandi difficoltà come ad la classificazione di immagini, la trascrizione di testi antichi, ecc. Per dare supporto alla propria tesi, Luis von Ahn ha avuto la brillante idea di sfruttare le abilità degli esseri umani attraverso un gioco online. “Ogni anno persone in ogni parte del mondo spendono miliardi di ore facendo giochi al computer. Che cosa accadrebbe se questo tempo e questa energia potessero essere incanalati in lavori utili? Che cosa accadrebbe se le persone, giocando al computer, potessero, senza farlo coscientemente, risolvere problemi di larga scala?”108 “Esp” è il nome del progetto, concepito nel 2005, che risponde a questi interrogativi. Si tratta del primo esempio di Gwap (game with a purpose), un gioco online per computer, progettato per raggiungere uno scopo preciso, sfruttando le abilità umane degli utenti, in un contesto ludico e divertente: nel caso di Esp, ad esempio, migliorare la classificazione lessicale. Quando su Google109 cerchiamo una certa immagine, non ci

107 Luis von Ahn, nato 1979 in Guatemala, è professore di Computer Science alla Carnegie Mellon University. Nel 2006 ha vinto il premio “MacArthur Fellowship”, è inoltre stato nominato da Discover Magazine una tra le 50 menti più brillanti della scienza. Per maggiori informazioni si veda il suo sito http://www.cs.cmu.edu/~biglou/ 108 von Ahn (2006, p. 96, traduzione mia). 109 Il gioco è stato concesso in licenza a Esp da Google sotto forma di etichettatore di “Google Image Labeler”


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appaiono solo risultati che corrispondo al nostro obiettivo di ricerca110; se esistesse un metodo che permettesse di dare ad ogni immagine presente nel web un’accurata classificazione lessicale, la ricerca sarebbe molto più veloce e precisa. Luis von Ahn ha creato un sistema che combina la potenza del cervello umano con la velocità di calcolo dei computer per risolvere problemi che nessuno dei due può risolvere da solo. “Quando fai un game with a purpose111” si legge sul sito dei Gwap “non ti stai solo divertendo. Stai aiutanto il mondo a diventare un posto migliore. Giocando stai allenando i computer a risolvere problemi per gli uomini di tutto il mondo”112. Come funziona Esp? Si tratta di un passatempo per due giocatori online, gratuito e a tempo. L’utente, una volta registrato sul sito113, può provarlo. Nel momento in cui decide di farlo è associato in maniera casuale dal sistema ad un altro utente che, in quel momento, desidera giocare. I due non si conoscono e non possono comunicare tra loro, ma una cosa li accomuna: giocano insieme e vedono nello stesso momento la medesima immagine. L’obiettivo di entrambi è guadagnare più punti possibili nel minor tempo possibile. Per farlo devono descrivere l’immagine utilizzando una parola uguale, senza usare una delle parole tabù114 che compaiono di fianco all’immagine e considerando che entrambi stanno cercando di fare l’identica cosa e che l’unica cosa che li accumuna è appunto l’immagine. Quando entrambi scrivono la stessa parola guadagnano punti, procedono nel gioco e compare una nuova immagine da classificare. Le classificazioni linguistiche ottenute attraverso questo metodo sono incredibilmente buone. Uno dei motivi per cui le parole su cui i due giocatori sono d’accordo sono buone etichette deriva dal fatto che i giocatori, non conoscendosi l’un l’altro, rappresentano due fonti indipendenti e dunque più “oggettive” (si veda a questo proposito il paragrafo sull’uso dei meccanismi di coordinazione implicita tra persone). Inoltre, i dati vengono raccolti solo quando un accordo sulla stessa associazione si è verificato un certo numero di volte. “Per la prima volta nella storia dell’uomo, centinaia di milioni di persone possono, attraverso Internet, collaborare facilmente alla soluzione dello stesso problema”115. L’idea è vincente: un grande numero di dati (ottenuti gratuitamente), divertimento per gli utenti e

110 Se per esempio digitiamo “gatto” potremmo constatare che tra le numerose immagini di felini ce ne sono alcune che non corrispondono con esattezza al parametro di ricerca inserito (compaiono tra queste immagini di mangiare per gatti o persone soprannominate “gatto”). 111 Sul sito http://www.Gwap.com sono sei i “giochi con uno scopo” presentati (ognuno dei quali ha uno scopo differente): Esp, Tag a tune, Verbosity, Squigl, Matchin, Popvideo. Si è deciso di parlare in modo più approfondito di Esp in quanto primo esempio di gioco con uno scopo. 112 http://www.Gwap.com/Gwap/about/ 113 http://www.espgame.org 114 Le parole tabù derivano da classificazioni già definite in altre partite. 115 von Ahn (2006, p. 96).


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capitolo terzo

Metodologia d’indagine

collaborazione alla soluzione di una certa questione. I Gwap hanno un vasto campo di applicazioni in diverse aree come la sicurezza, le ricerche su internet, il dispositivo ottico del computer e, dopo la nascita di Esp, sono vari i giochi nati seguendo l’idea di raggiungere uno scopo. Phrase Detectives, Foldit, Sentiment Quiz, sono solo alcuni dei nomi di Gwap che si possono trovare in rete. Un sistema che, come Esp, sfrutta peculiari capacità dell’uomo, è Phrase detectives116; sviluppato dall’università di Essex, permette di definire i collegamenti all’interno di un testo. “Amanti della letteratura, della grammatica e del linguaggio”, si legge sullla pagina iniziale del sito, “questa è il luogo in cui potete lavorare insieme per migliorare le tecnologie di futura generazione”117. Il gioco usa un metodo di decisione-convalida per riunire i giudizi e il punteggio degli utent; scopo degli sviluppatori è la creazione di una banca dati di informazioni linguistiche. Come? Nella prima parte del gioco, agli utenti registrati è mostrato un breve testo (tratto per esempio da Wikipedia o da un romanzo) in cui un elemento - una parola o una frase - è sottolineato in arancione. Gli utenti devono decidere se l’elemento sottolineato è stato o no menzionato precedentemente, se si tratta di un attributo di un soggetto espresso nella frase, o se non si riferisce a nessuno degli elementi presenti nel testo. In altri casi l’utente deve dire se si trova d’accordo con una decisione presa da altri utenti. La riposta corretta vale un punto. Indicando le relazioni fra le parole e le frasi gli utenti contribuiscono alla ricerca linguistica. L’utente può modificare il proprio profilo per cambiare l’esperienza di gioco, vale a dire la lingua del testo, il livello di difficoltà, gli argomenti preferiti, e così via. Se Phrase Detective rappresenta per tutti una possibilità di miglioramento delle tecnologie di futura generazione, ci sono Gwap che utilizzano l’idea di gioco per ottenere ottenere informazioni di interesse esclusivo di poche persone. Nel 2008, il “US Election 2008 Web Monitor” ha fornito due applicazioni basate sulla piattaforma sociale di Facebook: Election Monitor e Sentiment Quiz118. La prima, in linea durante la campagna elettorale statunitense del 2008, raccoglieva le preferenze ad intervalli settimanali, invitando gli utenti a partecipare ad un quiz in tempo reale. Election Monitor ha mappato settimanalmente le informazioni presenti sul Web riguardo alle elezioni americane del 2008. Una lista di parole chiave riassumono le questioni più importanti connesse con ogni candidato; i risultati riflettono l’attenzione ed il sentimento degli elettori verso gli aspiranti alla presidenza degli Stati Uniti. L’altro gioco che il gruppo di

116 http://anawiki.essex.ac.uk/phrasedetectives/ 117 http://anawiki.essex.ac.uk/phrasedetectives/ 118 http://www.ecoresearch.net/election2008/facebook; sentiment-quiz

http://www.modul.ac.at/nmt/


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ricercatori ha sviluppato si chiama Sentiment Quiz119. Giocando, gli utenti di Facebook possono valutare un vocabolo, decidendo se questo esprime un sentimento positivo o negativo. L’aspetto più interessante del gioco è che le parole sono tratte da un archivio di articoli relativi alle elezioni. Scopo del gioco è ottenere dati utili alla comprensione del fenomeno “degli effetti di media ostili”: alcune parole comparse su articoli di giornale, cioè, vengono percepite ed interpretate in maniera differente a seconda dell’orientamento politico del lettore. In questo semplice quiz, l’utente, lanciata l’applicazione, deve classificare una serie di termini utilizzando una scala di valore composta di cinque scelte: molto negativo, negativo, neutro, positivo, molto positivo. Una volta effettuata la scelta, il sistema l’associa alla risposta di un altro utente; in base al grado di accordo tra i due giocatori si guadagnano o perdono punti. Passando dal campo della politica a quello della scienza, un gioco degno di nota è “Foldit”120, che riguarda il modo in cui le proteine si ripiegano nello spazio; il suo scopo è trovare, grazie all’intuito (e alla fortuna) del giocatore, le forme che le proteine assumono naturalmente negli organismi viventi. Il processo tramite cui gli esseri viventi creano le strutture primarie delle proteine, basato sui geni, è oggi compreso con una certa precisione, e sappiamo anche come leggere le sequenze di DNA. Ciò che per la scienza è ancora difficile conoscere è come la struttura primaria si trasformi nella struttura tridimensionale della vera e propria proteina funzionante. Il processo generale è noto, ma predire la struttura delle proteine richiede un’enorme quantità di calcoli. Foldit è un tentativo di usare le naturali abilità del cervello umano nell’interpolazione di forme, per trovare scorciatoie che i calcolatori attuali non riescono a scovare. I ricercatori, intanto, raccolgono le informazioni pubblicando dei puzzle, basati su diverse proteine ben note, affinché le persone li risolvano e analizzano i risultati. A differenza dei giochi precedentemente descritti, che si focalizzano sui risultati che gli uomini possono fornire, attraverso Foldit si sta cercando di capire come gli esseri umani si pongono di fronte a oggetti a tre dimensioni. Guardando come giocano gli uomini, i ricercatori sperano di poter migliorare i programmi informatici: invece di far svolgere loro compiti che i computer non possono eseguire (come nel caso di Esp in cui l’utente deve classificare un’immagine), questo Gwap sta chiedendo agli esseri umani di mostrare come risolvono un determinato problema, affinché su questi metodi gli algoritmi delle macchine possano essere migliorati. Questo aspetto costituisce un elemento di grande interesse

119 L’applicazione si basa su SOC Framework ed è stata sviluppata da Walter Rafelsberger, Gerhard Wohlgenannt, Reinhard Fischer, Clemens Költringer, Johannes Liegl e Arno Scharl. 120 http://fold.it/portal/info/science


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capitolo terzo

Metodologia d’indagine

che suggerisce come anche nel caso delle qualità espressive, ad essere studiate potrebbero essere non solo le associazioni che l’utente fa, ma il modo e il motivo che spingono gli essere umani ad associare uno stato emozionale ad una data forma rispetto che ad un’altra con differenti caratteristiche grafiche. In uno stadio avanzato della ricerca, che queste pagine sanno solo ipotizzare, questa prospettiva di studio potrebbe essere di supporto alle ricerche sull’intelligenza artificiale. Uso dei meccanismi di coordinazione implicita tra persone Esp o Sentimental quiz sono giochi di coordinamento in cui gli utenti, senza conoscersi, devono trovare una soluzione di equilibrio. La riposta che i giocatori danno è influenzata dal fatto che questa deve essere in accordo con quella di qualcun’altro che non si conosce e con cui non è possibile comunicare. Come possono coordinarsi le nostre risposte nell’anonimato? Un aiuto ci viene offerto dalla teoria dei giochi, una branca della matematica che studia i processi decisionali degli individui coinvolti in situazioni di cooperazione e competizione, basandosi sull’ipotesi che la maggior parte delle situazioni economicamente e socialmente rilevanti possiedono la struttura di un gioco. Questa teoria trova applicazioni in diversi ambiti: dall’economia alla strategia militare, dalla politica alla sociologia, dalla psicologia all’informatica. Nella teoria dei giochi, tutti i giocatori devono essere a conoscenza delle regole e delle conseguenze di ogni mossa; l’insieme delle mosse che un individuo intende fare viene chiamata “strategia”. In dipendenza dalle strategie adottate da tutti i giocatori, ognuno riceve un pay-off (vincita finale) che può essere positivo, negativo o nullo. La strategia da seguire è strettamente determinata se ne esiste una che è soddisfacente per tutti i giocatori. Il gioco Esp descritto nel paragrafo precedente è un caso particolare di analisi: i giocatori hanno degli obiettivi precisi, devono far convergere le loro azioni (scegliere la stessa parola per classificare l’immagine), ma non possono comunicare; è dunque necessario che ognuno faccia delle ipotesi sull’intenzione dell’altro giocatore, “un piano d’azione che il soggetto sceglie e al quale si impegna con l’obbiettivo di raggiungere uno specifico scopo”121, secondo le parole del professore di filosofia Micheal Bratman. Il processo attraverso cui, per comprendere le azioni altrui, vengono assegnate finalità ed intenzioni, è detto mind-reading ed è una qualità specifica degli esseri umani e, forse, dei primati antropomorfi. Cosa avviene però in assenza di comunicazione? Supponiamo che due persone si debbano incontrare a Venezia, senza sapere dove. Questo è un gioco di coordinamento, dove tutti i luoghi della città possono costituire una soluzione di equilibrio. Dove si incontreranno? Una rispo-

121

Bratman (1989).


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sta comune potrebbe essere di trovarsi in Piazza San Marco; non c’è nulla che renda la piazza veneziana un luogo con un pay-off maggiore, ma la sua fama come luogo simbolo della città la rende speciale, ed è perciò quello che viene detto un “punto focale”. A definire questo concetto è l’economista statunitense Thomas Schelling, che lo descrive come una soluzione che i giocatori tendono ad adottare quando non possono comunicare tra loro, poiché appare naturale, speciale o rilevante; in altre parole, tra tutte le risposte possibili, ha una probabilità maggiore di essere scelta. Schelling parla di un punto focale come “l’aspettativa di ogni giocatore su quello che gli altri si aspettano che lui si aspetti di fare”122. Questo meccanismo riveste un ruolo fondamentale all’interno dei Gwap: migliora l’oggettività delle risposte e impedisce che il giocatore tiri a caso. Un gioco che sfrutta le capacità di esseri umani e macchine Gli studi sull’intelligenza artificiale si sono spinti oltre confini che fino a qualche tempo fa non avremmo saputo immaginare. Nonostante sia possibile educare un computer a localizzare e misurare, non si può istruirlo a cogliere spontaneamente le caratteristiche espressive di un pattern visivo. Il computer “procede dal basso” 123, conta e misura i dati. Un essere umano, invece, per valutare le qualità espressive di una forma, non si concentra sulla dimensione assoluta e la lunghezza dei tratti che la compongono, ma procede “dall’alto”, osservando le caratteristiche qualitative della disposizione e la configurazione dell’insieme. Il modo in cui procede un computer nell’analizzare una forma è quantitativo, completamente differente dall’esperienza percettiva qualitativa di un essere umano, a cui una forma può apparire non solo come il risultato di misure fisiche, ma dotata di “instabilità”, “irrazionalità”, o “morbidezza”. Affermare che le qualità espressive formali si basano strettamente su caratteristiche percettive significa che per indagarle non possiamo utilizzare computer, che non saprebbero riconoscere e stimare queste caratteristiche così soggettive; per farlo è necessario sottoporre degli esseri umani ad una serie numerosa di test sperimentali. Il problema che la ricerca affronta è uno studio sull’espressione, come dimostrazione e frutto della cognizione umana. La complessità di un’indagine delle qualità espressive è legata alla sconsolante quantità di variabili da tenere presente, ma soprattutto all’elevatissimo numero di test necessari. L’ipotesi di un gioco in cui un alto numero di utenti possa collaborare alla definizione di nuovi problemi e nuove soluzioni fa al caso della ricerca. La complessità del tema comporterebbe un’analisi molto lunga e difficile. Una macchina può però lavorare in modo veloce, questa efficienza pratica può essere sfruttata per raccogliere e organizzare i dati ottenuti dalle risposte.

122 123

Schelling (1960, p. 57). Arnheim (1974b, p.88).


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capitolo terzo

Metodologia d’indagine

Come si è visto, le ricerche svolte su questo tema non sono numerose. Ed un motivo c’è: un’indagine del genere è molto difficile da sviluppare. L’idea poi di arrivare a definire una mappa delle qualità formali-espressive è ambiziosa e complicata. Stiamo affrontando un campo minato. Se ci si concentrasse allora solamente sulle modalità di indagine, gettando le basi per un futuro lavoro di ricerca? La tesi presenta un modo per ottenere questi risultati; questo modo è un gioco. L’idea è di creare un gioco on line veloce e gratuito che permetta di raccogliere quei dati che richiederebbero anni per essere raccolti e valutati. Nel prossimo capitolo sarà illustrato il suo funzionamento.


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Forme d’emozione ·

un gioco come risposta alla complessità


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4 “Perché un gioco? Per dare spazio alla curiosità di indagare le qualità espressive senza cadere nella goffaggine di voler fissare in modo oggettivo uno stato emozionale alla caratteristica grafica di una forma.”

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figura 25. Il dibattito scientifico sulla classificazione delle emozioni non è risolto. Lo psicologo americano Paul Ekman ha scoperto che alcune espressioni facciali e le corrispondenti emozioni (rabbia, paura, tristezza, gioia, disgusto, sorpresa) sono universali.


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capitolo quarto

Metodologia d’indagine

Perché un gioco online? Obiettivo del gioco delineato è quello di creare un contesto ludico per rilevare in poco tempo dati da visualizzare in una mappa continuamente aggiornata. Perché un gioco? Per dare spazio alla curiosità di indagare le qualità espressive delle forme astratte senza cadere nella goffaggine di voler fissare in modo oggettivo un contenuto particolare - uno stato emozionale - alla caratteristica grafica di una forma. Il gioco consiste nel vedere se due persone associano alla stessa forma astratta il medesimo aggettivo emozionale. Le risposte sono raccolte e visualizzate in una sorta di mappa riassuntiva, che non pretende di stabilire corrispondenze univoche, ma di osservare come alcune caratteristiche grafiche sono associate a certe emozioni. Il gioco è anche, in un secondo momento, uno strumento di lavoro per designer, psicologi e studiosi di comunicazione visiva, per visualizzare i collegamenti tra segno grafico ed emozione e capire come questi si creano. Il presente lavoro è un contributo allo studio delle qualità espressive, la soluzione presentata rappresenta l’inizio di un programma a lungo termine, di cui qui si gettano le basi. Gli ingredienti del gioco: forme ed emozioni I dati del gioco sono emozioni e forme. Gli ingredienti a disposizione per esprimere stati emozionali sono le caratteristiche grafiche delle forme; queste sono astratte, non iconiche e non antropomorfe124. Obbiettivo della ricerca è esplorare la relazione associativa tra qualità formali-percettive e qualità espressive-stati emozionali. Le qualità formali possono essere descritte in modo analitico: spigoloso/tondeggiante, convesso/concavo, chiuso/aperto, simmetrico/asimmetrico, semplice/complesso, ecc. La presente ricerca focalizza l’attenzione sulle dimensioni “di base” e non si occupa di quelle dimensioni formali più complesse, relative alla realtà materiale come pattern e texture, e alle nostre conoscenze culturali (una superficie “metallica” o “legnosa”, una forma “meccanica” o “organica”). Se è possibile definire una lista di qualità formali, quella dei concetti relativi a qualità espressive ed emozioni è invece virtualmente illimitata, poiché comprende tutti gli stati emozionali “umani” descrivibili con aggettivi. Emozioni primarie e secondarie Una distinzione che emerge dalla letteratura sulle emozioni è quella tra “emozioni primarie” ed “emozioni secondarie”. Secondo vari autori, dalla combinazione delle emozioni primarie derivano emozioni secondarie o complesse. Il dibattito scientifico sulla classificazione delle emozioni non è risolto; come infatti nota lo psicologo statunitense Daniel Goleman, “i ricercatori continuano a discutere su quali precisamente possano essere

124 Riguardo alla distinzione tra forma astratta, rappresentazione iconica (tra cui quelle antropomorfiche) e simbolo si veda il primo capitolo.




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considerate le emozioni primarie - il blu e il rosso e il giallo del sentimento dai quali derivano tutte le mescolanze - o perfino sull’esistenza di tali emozioni primarie”125. Prima di addentrarci nella problematica questione della scelta delle emozioni, è necessario premettere che quelle scelte per il gioco non pretendono di proporre una certa classificazione o supportare un’ipotesi rispetto ad un’altra, ma isolare una serie di emozioni distinte, in modo tale da rendere possibile e funzionale l’indagine sul rapporto tra stati emozionali e forme astratte. In ambito psicologico, le emozioni vengono definite come le reazioni ad uno stimolo che provocano cambiamenti a livello fisiologico (ad esempio il battito cardiaco che aumenta), comportamentale (la voce tremolante, la fronte corrugata,…) e mentale (una variazione della sensazione soggettiva). Il termine emozione deriva dal latino emotiònem, riconducibile al termine emotus, participio passato di emovère, che significa trasportar fuori, smuovere, scuotere. La parola è composta dalla particella “e” (da), che aggiunge forza all’azione espressa dalla parola alla quale è unita, e “movère”, cioè agitare, muovere. La radice etimologica della parola ci suggerisce come in ogni emozione sia implicita una tendenza ad agire126, ad “esprimere” nel significato latino di ex-premere, mandar fuori. Questa componente dinamica costituisce un aiuto per l’individuazione di segni “sinonimi” a movimenti del corpo: sono nervoso e batto velocemente le dita, sono rilassato e faccio movimenti lenti. Possiamo notare come ogni stato emozionale porti con sé un movimento e, con questo, un proprio ritmo e una propria intensità. Per intensità di un’emozione intendiamo la forza con cui questa si manifesta. Ad esempio, prendendo in considerazione una semplice linea, come emergeva negli esperimenti di Poffermberg e Barrows, le linee spigolose con alta frequenza esprimevano agitazione, potenza, furia, mentre le linee curve con bassa frequenza venivano scelte per esprimere quiete, pigrizia, debolezza, o tristezza (si veda a quesot proposito il secondo capitolo). L’asse dell’intensità mostra come le emozioni appartenenti alla stessa valenza si differenzino proprio dal punto di vista “quantitativo”. Questa variabilità, come si vedrà meglio oltre, costituisce un supporto alla ricerca e permette di rilevare le differenze tra emozioni appartenenti alla stessa categoria, attraverso l’applicazione di trasformazioni geometriche. Partendo dalle sei emozioni di base definite dallo psicologo americano

125 Goleman (1996, p 37). 126 La principale funzione delle emozioni consiste nel rendere più veloce la reazione dell’individuo a situazioni in cui serve una risposta immediata: l’evoluzione ci ha dotati di questi impulsi per gestire le emergenze della vita.


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capitolo quarto

Metodologia d’indagine

Paul Ekman127, sono state individuate emozioni riconducibili alla stessa classe, ma con opposto grado di intensità, come illustrato di seguito. irritazione serenità stupore preoccupazione malinconia fastidio

rabbia gioia sorpresa paura tristezza disgusto

furia esultanza schock terrore depressione repulsione

Un’ulteriore divisione schematica delle emozioni può essere definita aggiungendo la variabile che riguarda la valenza. La localizzazione delle emozioni nel sistema ci permette, dunque, di isolare una serie di emozioni appartenenti alla stessa macrocategoria (emozione positiva o negativa), ma distinte per intensità.

figura 26. Espressioni facciali corrispondenti a diverse emozioni: rabbia, paura, disgusto, sorpresa, felicità e tristezza.

127 Paul Ekman ha scoperto che alcune espressioni facciali (figura x) e le corrispondenti emozioni (rabbia, paura, tristezza, gioia, disgusto, sorpresa) non sono culturalmente determinate ma erano universali alla cultura umana, quindi di origine biologiche, come precedentemente aveva teorizzato Charles Darwin.








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Rappresentare uno stato del corpo Per capire come si crea il ponte tra segno grafico ed emozione128, è bene precisare cosa significa “espressività” di uno stato emozionale. Va notato che inevitabilmente si tende ad esprimere questi stati mostrando in modo stilizzato aspetti corporei o fisiologici, nonostante si cerchi di evitare l’antropomorfizzazione, cioè l’utilizzo di un’immagine rappresentativasimbolica: si pensi, ad esempio, all’espressione dello stato emotivo felice attraverso una linea che ricordi un sorriso. Le emozioni che proviamo sono associate a dei gesti: quando siamo esasperati “buttiamo le braccia all’aria” o “ci mettiamo le mani nei capelli”, mentre quando proviamo sollievo emettiamo un sospiro o comunque rilasciamo fisicamente una tensione. Il neurofisiologo portoghese Antonio Damasio afferma che “il sentimento, nel senso più stretto e rigoroso del termine, è l’idea che il corpo sia in un certo modo. In questa definizione si può sostituire “idea” con “pensiero” e “percezione”. Se guardiamo al di là dell’oggetto che ha causato il sentimento - e i pensieri e la modalità di pensiero conseguenti - vediamo precisarsi il suo nucleo: i contenuti del sentimento consistono nella rappresentazione di un particolare stato del corpo.”129 Come rappresentare uno “stato del corpo” attraverso una forma non antropomorfizzata? Quello che si può fare è mostrare un “moto corporeo/fisiologico” in modo traslato, ovvero facendo ricorso a rappresentazioni “sinonime”. Come trovare i sinomini corretti? Per dare risposta a questo interrogativo la ricerca parte dall’esplorazione di categorie generali delle qualità formali espressive. Qualità espressive di primo e secondo livello Le qualità espressive possono essere distinte in due categorie. Le prime sono qualità generali che sono a metà strada tra caratteristiche fisiche e formali “oggettive” e caratteristiche già facilmente proiettabili su stati interiori, personalità e comportamenti. Per esempio, una linea dura o morbida, da un lato è descrivibile con caratteristiche grafiche ben definibili, dall’altro i due aggettivi gettano già un ponte verso qualità umane e personali. Altri esempi sono: ampio/ristretto, angoloso/sinuoso, sottile/ spesso, chiuso/aperto, continuo/discontinuo, flessibile/rigido, agitato/ calmo, forte/debole, lento/rapido, espanso/compresso, bilanciato/sbilanciato, coerente/incoerente, simmetrico/asimmetrico, caldo/freddo, liscio/ ruvido, aspro/dolce; si nota come alcuni siano legati alla forma, altri al dinamismo, altri ad associazioni sinestetiche. Come nota Parovel, “molti

128 Lo studio delle teorie delle emozioni è di grande interesse, ma non non specifico per lo scopo della ricerca, che si concentra invece sulla questione espressiva delle emozioni. Gran parte delle teorie delle emozioni si concentra sugli aspetti valutativi delle emozioni, altre sulle cause situazionali e infine altre sugli aspetti fisiologici. 129 Damasio (2003, capitolo 3).


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capitolo quarto

Metodologia d’indagine

dei fenomeni percettivi descritti in termini di proprietà dinamiche, cinetiche, sovrasensoriali, possono a loro volta veicolare significati espressivi più complessi, come vissuti emotivi e stati d’animo mentali”130: queste caratteristiche sono riconducibili a stati emotivi senza difficoltà. Una seconda categoria di qualità espressive è costituita da veri e propri stati interiori; a questo gruppo appartengono non solo le emozioni, ma anche i tratti caratteriali, gli umori, le personalità o le dinamiche sociali e i comportamenti. Questo tipo di qualità sono ad esempio quelle che emergevano in un esperimento condotto dal sociologo Georg Simmel e dallo psicologo Fritz Heider. I due studiosi tedeschi presentarono ad un gruppo di persone un’animazione durante la quale un triangolo grande, un triangolo piccolo e un cerchio piccolo si muovevano in direzioni diverse, con differenti velocità; le tre forme entravano e uscivano da un rettangolo una cui parte si apriva e chiudeva come una porta. Quando agli osservatori veniva chiesto di raccontare cosa avevano visto, la maggior parte raccontava una storia in cui le figure geometriche in movimento non solo erano protagoniste, ma erano dotate di qualità psicologiche. Nelle forme statiche e astratte, queste “qualità espressive di secondo livello” sono molto più difficili da catturare. In una figura statica, attraverso la forma si trasmettono le qualità espressive di primo livello (una linea aguzza, agitata e chiusa...), per poi passare alle qualità espressive di secondo livello (paura, rabbia, gioia ecc.). Come verrà descritto, il gioco è strutturato a partire dall’ipotesi che vi siano proprietà grafico-formali che permettano di esprimere certe qualità di primo livello che, “trasformate”, permettano di esprimere qualità di secondo livello. Come si evince dalla tabella che segue, con la forma si trasmettono le qualità espressive di primo livello (una linea aguzza, agitata e chiusa...), per poi passare alle qualità espressive di secondo livello (paura, ansia, sfiducia, ecc.). a) dimensione delle forme e delle strutture (le “gestalt”) - curvo/rettilineo - convesso/concavo - angoloso/non angoloso - forma chiusa/forma aperta - lineare/con intersezioni - distanza relativa: elementi vicini/distanti. - (dimensioni/ area , estensione, lunghezza): grande (esteso) /piccolo (contratto); lungo/corto - separatezza/collegamento di elementi - orientamento comune degli elementi/ orientamento vario e caotico

130

Parovel (2004, p.146).


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b) dimensione delle qualità espressive del “primo livello” più precisamente: 1) direttamente relative alla forma (ampio/ristretto; angoloso/sinuoso; sottile/spesso; pieno/vuoto; separato/fuso; chiuso/aperto; continuo /discontinuo; verticale/diagonale/orizzontale etc.) 2) relative al dinamismo implicato (e a forze fisiche presenti) (in movimento/ statico; flessibile/rigido; agitato/calmo; forte/debole; lento/rapido; espanso/ compresso; in elevazione/in abbassamento; in disgregazione/in aggregazione; irradiante/irradiato; teso/allentato etc.) + resistenze, opposizione a forze, a movimenti. 3) relative a qualità generali della forma (bilanciato/sbilanciato; centralizzato/de-centralizzato (o a-centrale); coerente/incoerente; simmetrico/asimmetrico; armonico/disarmonico; etc.) 3) “sinestetiche” con altri sensi (caldo/freddo; duro/morbido; liscio/ruvido; aspro/dolce; acuto/basso; etc.)

c) dimensione della qualità espressive del “secondo livello”: a) stati interiori/emozioni, b) tratti “caratteriali” (e comportamentali), c) comportamenti, azioni e dinamiche “sociali”

Caratteristiche grafiche di primo le secondo livello Come ci guida l’appartenenza di una forma ad una classe (aperta/chiusa, angolosa/tondeggiante, curva/rettilinea) nell’associarla a stati emozionali? In un primo livello di gioco-analisi, gli stati emozionali indagati sono otto: rabbia, paura, disgusto, sorpresa, amore, felicità, tristezza. Sono state definite sei caratteristiche grafico-formali di primo livello: spigoloso-tondeggiante, aguzzo-retto, asimmetrico-simmetrico, aperto-chiuso, concavo-convesso, ingarbugliato-lineare. Questo gruppo di caratteristiche si riferisce strettamente al tipo di figura e non al rapporto con lo spazio. Il fatto che si tratti di caratteristiche generiche è un ulteriore sostegno all’approccio “comparativo” del gioco: è difficile definire le caratteristiche formali di uno stato emotivo “in sé”, quanto piuttosto le sue caratteristiche formali in relazione ad un altro stato emotivo131. Per esempio, vediamo due emozioni “vicine” e basilari, secondo Ekman, come “disgusto” e “rabbia”. Entrambe le emozioni hanno tratti comuni, intuitivamente si potrebbero distinguere per il fatto che il disgusto è più

131

in senso quasi strutturalista.


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“freddo” della rabbia, decisamente “calda”, che esso indica un movimento di contrazione, ritiro e protezione, strisciante, mentre la rabbia è un movimento verso l’esterno, esplosivo. Detto questo, ora si tratta di capire quali tratti grafici riescono a esprimere le caratteristiche di disgusto e rabbia e quali le loro differenze. Le risposte che l’utente fornirà, scegliendo tra coppie di forme quella che gli pare più rabbiosa e più disgustosa, daranno luogo ad una serie di ipotesi sulle caratteristiche della forma. Si può ad esempio ipotizzare che in un contesto dove il soggetto deve distinguere la forma più rabbiosa la caratteristica grafica “rotondità”/“spigolosità” sia la dimensione più efficace per permettere questa distinzione, mentre la caratteristica “aperto”/ “chiuso” non costituisca un fattore rilevante per quello stato emozionale. Attraverso queste prove comparative è possibile isolare coppie di forme con certe caratteristiche legate a stati emozionali primari. Come è possibile esprimere la differenza esistente tra emozioni complesse all’interno della stessa classe? Queste emozioni presentano tratti simili (ad esempio l’apparteneza ad una classe di emozione positiva o negativa), ma si differenziano per intensità, temporalità. Per esprimere queste sottili differenze si è pensato di applicare delle trasformazioni geometriche alle forme ottenute attraverso la prima analisi. Queste operazioni di trasformazione possono essere elencate come una lista di caratteristiche graficoformali. Poiché derivanti delle forme con caratteristiche grafiche di primo livello, le chiameremo caratteristiche di secondo livello. Queste sono tre: semplice-complesso, lungo-corto, schiacciato-non schiacciato. Dalle emozioni di base a quelle complesse Qual è l’origine delle forme associate ad emozioni complesse? Consideriamo alcune forme generate da emozioni di base, ed immaginiamo una loro distorsione; è possibile che la percezione di tali forme rappresenti un’emozione complessa? Può vedersi un movimento “emotivo”? Le riflessioni fatte nei paragrafi precedenti portano a considerare valenza e intensità come preziosi elementi per distinguere le emozioni complesse. Ad esempio, esplorando le caratteristiche grafiche di una forma associata alla rabbia, vediamo che essa contiene come sua parte caratteristica la spigolosità; quindi, possiamo fare uso di questa proprietà grafica per esprimere emozioni rabbiose, come ad esempio l’irritazione. Così, anche se in quest’ultima non c’è a livello corporeo qualcosa di spigoloso, creiamo un collegamento tra irritazione e linea frastagliata per mezzo della categoria più astratta della “rabbia”. Per rappresentare emozioni complesse, alle forme associate ad emozioni di base sarà applicata una serie di trasformazioni, per esprimerne la peculiare intensità. Un’emozione può quindi essere descritta attraverso una metafora dinamica: “traboccante”, “sotto pressione”, oppure irrigidita, contratta, ecc.


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emozioni da vedere

Modalità di gioco, ipotesi di sviluppo Un gioco può svilupparsi in modi diversi e con vari gradi libertà; di conseguenza, è possibile formularne numerose varianti. In questo paragrafo, vengono presentate brevemente le ipotesi inizialmente prese in considerazione, ma in seguito ritenute non opportune, al fine di mettere in luce le ragioni per cui una particolare soluzione di gioco è stata scelta rispetto alle altre. Quanto possono i risultati raggiunti da una prova dare informazioni “valide” su quello che stiamo indagando? La questione è delicata: con troppa libertà di scelta si perde validità, in quanto le risposte sono troppo arbitrarie, mentre restringendo troppo le possibilità di scelta si ottengono risultati validi, ma poco informativi. Ci vuole dunque un giusto equilibrio. Una prima ipotesi è stata quella di dare all’utente la possibilità di modificare la forma. Quest’opzione, sicuramente divertente, rischia, dando agli utenti troppa libertà, che i due giocatori non arrivino mai ad accordarsi; inoltre, la realizzazione di un programma in grado di capire quando due forme sono simili è troppo complessa. Una seconda possibilità a cui si è pensato è stata quella di scrivere liberamente, di fronte alla forma, l’emozione associata. In questo caso, però, il rischio che il giocatore scelga a caso è molto alto. Un’ulteriore possibilità riguarda l’uso di associazioni parola-forma. Il caso più limitante è quando viene presentata un’immagine e due concetti, e le due persone devono coordinarsi nella scelta tra questi due. Quest’opzione è stata giudicata più percorribile delle altre, tuttavia è stata parzialmente modificata perché fosse più funzionale agli scopi della presente ricerca: il gioco presenta, quindi, due forme e un concetto; chi osserva deve decidere quale delle due lo esprime meglio. Questa soluzione è risultata migliore perché permette di costruire variazioni tra le coppie di forme che diano poi la possibilità di vedere quali caratteristiche grafiche rendono le due forme ben distinte in relazione a quel concetto (in base al tasso di successo tra i giocatori). È possibile, infatti, controllare la risposta data, rispetto a due forme che presentano caratteristiche grafiche diverse (convesso/concavo, tondeggiante/spigoloso); in base a come varia la percentuale di accordo tra i giocatori, si può dire che un tratto grafico (spigolosità, chiusura, asimmetria, ecc) è più rilevante dell’altro per permettere l’assegnazione di quell’attributo emozionale. Un altro aspetto da considerare, affinché l’indagine sia valida, è che le prove siano fatte in modo da aspettarsi che le persone siano coerenti, nel tempo, con le loro risposte: bisogna evitare, cioè, che una persona risponda A in un certo momento, e B in un altro, perché di umore diverso; inoltre i risultati di gruppo ottenuti devono essere sufficientemente stabili, ovvero ripetibili con altri gruppi simili. È a partire da queste riflessioni che è stato progettato il gioco.


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Librerie di forme Per finalizzare il gioco ad un’indagine sulle relazioni tra emozioni e precise caratteristiche grafiche, e capire quali proprietà delle forme inducono quali giudizi, è stata scartata l’idea di generare le forme casualmente. Un’ulteriore ipotesi è stata quella di applicare alle forme geometriche elementari di base (triangolo, cerchio, quadrato) una serie di trasformazioni geometriche (rotazione, riflessione, modulazione forma, aggregazione, differenza), secondo una serie di regole, per originare una libreria di forme. Anche questa possibilità è stata scartata per due motivi. Il primo riguarda il controllo delle qualità grafiche associate alle emozioni: infatti, nonostante l’alto numero di forme generate, la variabilità di forme non era tale da rappresentare una serie “mappabile” di qualità grafiche (curvatura, simmetria, ecc.). Il secondo motivo deriva dalla forza iconica di queste forme elementari. Quadrato, cerchio e triangolo sono indissolubilmente legati a forme simboliche e stereotipiche, le numeroso ricerche svolte su questo tema ne sono prova132. Un’ulteriore verifica della forza di questi legami è il risultato di un primo esperimento condotto su un numero opportuno di soggetti, che hanno svolto, individualmente e senza confrontarsi, un test composto da sei quesiti133. Il soggetto, di fronte a coppie di forme con caratteristiche grafiche opposte, doveva dire quale delle due forme fosse più “gelosa”134. Il primo e il secondo quesito riguardavano entrambi la caratteristica grafica “spigoloso-tondeggiante”, ma nel primo quesito le due forme erano un triangolo ed un cerchio, mentre nel secondo erano due figure non riconducibili a forme note. Tre quarti delle persone che hanno fatto il test, hanno attribuito, nel primo e nel secondo quesito, alla stessa emozione due caratteristiche opposte135. Questa contraddizione interna può essere ricondotta alla forza delle forme elementari. Nel primo quesito, infatti, dove comparivano un cerchio (caratteristica grafica “tondeggiante”) e un triangolo (caratteristica grafica “spigoloso”) a “saltare all’occhio”

132 Sulle forme elementari sono state spese molte parole cito, di seguito solo alcune delle simbologie legate a queste forme. Frutiger afferma che “Quando si guarda la pagina, il quadrato viene fortemente fuori; la superficie interna appare più bianca; lo spazio racchiuso è attivo, incapsulato nella pagina. Chi osserva un quadrato tende a d identificarsi con esso: il quadrato è l’espressione primaria dell’oggetto, della proprietà, dell’abitazione.”(Frutiger, 1978, p. 29) E ancora Frutiger ci dice che“In epoca preistorica significava la superficie della terra, e allo stesso tempo indicava i quattro punti cardinali. Nel mondo simbolico cinese i quattro angoli rappresentavano i punti più remoti della terra.”(Frutiger 1978, p. 36). 133 Ai soggetti sono state mostrate cinque coppie di figure con opposte caratteristiche grafiche: spigoloso-tondeggiante (la prima e la seconda coppia di forme). Ingarbugliato-lineare; asimmetrico-simmetrico; aperto-chiuso; concavo-convesso. 134 In questo esperimento è stata scelta la gelosia per vedere in che misura fosse più difficile attribuire ad una forma un’emozione complessa rispetto ad un’emozione semplice. I soggetti, successivamente intervistati hanno raccontato della difficoltà trovata inizialmente. 135 Chi aveva scelto la forma tondeggiante (cerchio) nel primo quesito, aveva eletta come “gelosa” la forma spigolosa nel secondo.


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non era la caratteristica grafica saliente, ma le forme in quanto tali. Ad emergere non devono essere le forme, ma le caratteristiche grafiche. La forza sintetica delle rappresentazioni astratte La complessità che implica la rappresentazione di uno stato interiore attraverso una forma astratta diminuisce se ci si concentra sulle caratteristiche essenziali dell’emozione. Forse non si troverà un’associazione univoca tra forma ed emozione, ma è possibile indagare le caratteristiche grafiche che possono esprimerne alcune meglio di altre. Come si è visto negli esperimenti condotti da Arnheim, per rappresentare un concetto ci si concentra sul suo aspetto saliente, isolando la caratteristica grafica più efficace. È proprio dalla “povertà” delle rappresentazioni astratte, legata all’impossibilità di rappresentare il concetto senza ricorrere a forme mimetiche, che deriva la loro forza sintetica. L’influenza del confronto e del passato Le forme sono inserite in uno spazio e un tempo: compaiono in uno schermo in un preciso momento. La percezione dell’aspetto della forma e la conseguente associazione ad un’emozione possono essere influenzate da due aspetti: dalla forma che le sta accanto, da quelle viste precedentemente nel gioco e da quelle precedentemente associate ad emozioni nella propria esperienza. L’influenza della forma adiacente è di grande importanza per il gioco: chi osserva deve percepire che esiste un rapporto tra le forme, capire che si tratta di due versioni opposte della stessa, affinché essa “scompaia” in favore della caratteristica grafica. Come nota Arnheim, “una figura percepita in confronto con un’altra può apparire diversa rispetto al modo che apparirebbe di per sé”136. Si è visto137 che la rappresentazione dei concetti mediante disegni astratti risulta più efficace quando il concetto è presentato nelle due versioni opposte. Per questa ragione, l’indagine è comparativa, affinché l’ambiguità del quesito (ad esempio “come è una forma rabbiosa?”) diminuisca, guidando l’osservatore tra due alternative di cui riesce a cogliere il senso. Come nell’esercizio di Silvia Ferraris138, il confronto tra più immagini aiuta a comprenderne le differenze e percepire la qualità grafica che è possibile ricondurre ad una certa espressività. L’influenza delle forme viste precedentemente nel gioco è ridotta differenziando, quesito dopo quesito, le forme di base a cui sono state applicate variazioni di carattere grafico: le coppie di forme che costituiscono il quesito non somigliano né a quelle del quesito precedente, né a quello del quesito successivo.

136 137 138

Arnheim (1974b, p. 82). vedi pagina 45. vedi pagina 17.


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Un altro tipo di influenza è quella del passato. Quanto si vede nel presente è il risultato di quanto si è visto nel passato? Se questa ipotesi fosse corretta, quante più forme spigolose ho visto nella mia esperienza ed ho associato a emozioni negative, tanto più tenderò ad associare una forma con quelle caratteristiche grafiche a quel tipo di emozione. Questa ricerca potrebbe trovare i dati per confermare o meno questa ipotesi. L’universalità offerta dall’anonimato La scelta di due persone che si conoscono può essere influenzata da ricordi comuni. Se legate ad episodi autobiografici, alcune caratteristiche formali possono essere collegate a particolari stati interiori. Giocare con una persona che non si conosce permette di mettere “tra parentesi” quei collegamenti “più soggettivi” che vanno oltre le qualità espressive percettive. Ad esempio, supponiamo che un utente associ una certa forma alla decorazione di una coperta utilizzata durante l’infanzia; quella forma sarà di conseguenza legata all’emozioni suscitate nell’utente dal ricordo di quel periodo. Si tratta di un’associazione che non può essere condivisa con nessun altro che non abbia partecipato alla medesima esperienza. Il ricordo emotivo associato alla forma è così intenso da sovrapporsi alle priorità espressive della forma stessa. Giocare con estranei inibisce questo processo. Analogamente, una coppia di sposi potrebbe riuscire a coordinarsi in maniera del tutto singolare e inusuale, ritrovando motivazioni personali e autobiografiche: anche in questo caso, l’anonimato favorisce l’oggettività. L’anonimato spinge dunque le persone a ragionare in “terza persona”, rendendole così libere da interpretazioni troppo soggettive; inoltre le persone sono spinte ad attingere al “pensiero collettivo medio”, cioè dagli archetipi generali delle relazioni forma-espressione. Da questi aspetti deriva la forza metodologica di un gioco che sfrutti l’anonimato. Posizione della forma nello spazio Vedere una forma nello spazio significa considerarla entro un contesto e stabilire un rapporto di dipendenza reciproca tra figura e sfondo; a seconda della posizione che un oggetto occupa nello spazio, questo assume un significato preciso e diverso. Questa differenza di lettura deriva da come il mondo in cui viviamo è caratterizzato dalla relazione verticale alto-basso, associata alla forza di gravità, e dalla relazione orizzontale destra-sinistra. Lo spazio è anisotropo, è cioè, come dice Arnheim, “uno spazio in cui la dinamica cambia con il variare della direzione”139. Nella percezione visiva, l’anisotropia indica come le cose che vediamo non sono indifferenti all’orientamento. C’è una disuguaglianza nel modo in cui esaminiamo una forma in

139

Arnheim (1974a, 45).


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emozioni da vedere

alto oppure in basso, a destra oppure a sinistra: è prevalente la “lettura” delle immagini da sinistra verso destra. Non si tratta di una direzione di osservazione, non c’è infatti un ordine sinistra-destra se si esaminano le tracce dei movimenti oculari; piuttosto, come nota Emanuele Arielli, “c’è una dominanza degli elementi a sinistra ed un’ elaborazione successiva di ciò che sta a destra nell’interpretazione dell’immagine”. Può subentrare, inoltre, un problema di abitudine: se per esempio le prime due o tre scelte del soggetto sono la figura a destra (o sinistra), c’è il rischio che esso sia spinto anche nella prova successiva a scegliere destra (o sinistra). Gli effetti della “lettura” alto/basso e destra/sinistra sono impressioni di movimento, equilibrio e dinamicità. Affinché ad essere protagoniste siano le caratteristiche grafiche della forma e non quelle derivate dalla sua posizione, si è deciso di minimizzare l’influenza di quest’ultima. Non va dimenticato come la questione dell’orientamento spaziale sia di fondamentale importanza, dal momento che viviamo in un mondo soggetto alla forza di gravità; tuttavia, in questo ambito, l’inserimento della variabile “posizione della forma nello spazio” comporterebbe una complessità tale da richiedere lo sviluppo di un approfondimento mirato e non superficiale. Per ridurre gli effetti fuorvianti dell’anisotropia spaziale, è opportuno allineare l’oggetto verticalmente e orizzontalmente alla pagina. Posto al centro dello spazio, esso cattura l’attenzione, avanza con maggior forza, è più ingombrante di un oggetto posto lungo il perimetro, come si evince dalla figura 27.

figura 27. Un cerchio posto al centro ed uno lungo il perimetro.

Il funzionamento del gioco Il gioco “em” si compone di due test: il primo riguarda gli stati emozionali di base (rabbia, paura, tristezza, gioia, sorpresa, felicità), mentre il secondo si concentra su quelli complessi, caratterizzati da diversa intensità o sottili differenze. Questi stati emozionali complessi sono riconducibili a quelli di base: ad esempio, lo sconforto e la depressione sono riconducibili alla tristezza, l’irritazione e l’esasperazione alla rabbia. L’analisi procede dal generale al particolare: da un identikit generale si arriva ad isolare i tratti grafici che contribuiscono ad esprimere o rendere distinguibile uno stato emozionale complesso attraverso l’uso di prove sempre più focalizzate.


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Metodologia d’indagine

L’utente si collega al sito (figura 21), scopre il gioco, le sue finalità e il funzionamento; mettere il giocatore al corrente degli obiettivi dell’autore è importante, affinché le risposte non siano casuali. Se l’utente decide di giocare è tenuto a registrarsi; ad iscrizione avvenuta, ha inizio la partita: il giocatore viene associato casualmente ad un partner che non conosce. Ai due giocatori verranno fatte una serie di domande: se essi riusciranno a coordinarsi su una risposta guadagneranno punti di affinità, che permetteranno di attribuire caratteristiche grafiche alla forma; viceversa, se non si accorderanno, procederanno nel gioco senza ricevere punti. La prima parte comprende sei quesiti che riguardano soltanto uno degli stati emozionali da indagare (la rabbia, ad esempio); all’utente vengono presentate due forme e viene chiesto di indicare quale delle due sia maggiormente riconducibile all’emozione considerata. Anche l’incertezza è presentata come alternativa (figura 28).

figura 28. La pagina iniziale del sito qui l’utente può accedere a tre sezioni in cui scoprire il funzionamento del gioco, iscriversi e giocare. “Em” è il nome pensato per il gioco. Nella pagina è presente il menù attraverso cui raggiungere tutte lel sezioni del sito.


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emozioni da vedere

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capitolo quarto

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Metodologia d’indagine

iscriviti iscriviti gioca gioca > > > >

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blog blog scrivi scrivi


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emozioni da vedere

È bene sottolineare che la possibilità che viene data all’utente aurora di scegliere l’indecisione è importante per evitare le risposte arbitrarie•••••• su una forma o l’altra, il fatto che nel caso di accordo si guadagnino punti non deve confondere beta sul valore che anche le risposte in disaccordo hanno ai fini dell’analisi dei risultati. Il valore dell’incertezza espressa dal “non so, passa alla prossima” o un ripetuto disaccordo di diversi utenti di fronte allo stesso quesito offre un ulteriore dato importante: significa che la caratteristica grafica non è utile per esprimere quello stato emozionale (figura 29).

quale f

tempo:

2:30 punti:

0

a

figura 29. Un esempio di test in cui l’utente, effettuato il login, è associato ad un partner che non conosce. I due devono rispondere quale delle due forme è più rabbiosa. Se si verificherà un accordo guadagneranno entrambi dei punti. Nel caso in cui nessuna delle due forme abbia i requisiti necessari, l’utente può decidere di passare alla prossima domanda.


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home

Esci

Metodologia d’indagine

forme

profilo

forma è piÚ rabbiosa ?

b

non so,

vai alla prossima >


beta 96

emozioni da vedere

Le domande della prima parte sono sei e corrispondono alle sei caratteristiche grafiche definite di primo livello. Data risposta a questi sei quesiti, se gli utenti avranno trovato accordo su un numero sufficiente di risposte, il sistema visualizzerà una forma, attraverso l’elenco delle caratteristiche grafiche su cui gli utenti si sono accordati; altrimenti, se i dati raccolti non saranno sufficienti per descriverne una, il gioco finirà. La forma creata rappresenta lo stato emozionale di partenza? Per testare la validità delle risposte date in precedenza, a dare il verdetto sono di nuovo gli utenti, che dovranno rispondere se “sì”, “più sì che no”, “più no che sì”, oppure “no” (figura 30).

Figura 30. Data risposta alle sei domande sulle caratteristiche grafiche, comparirà una forma che riassume le caratteristiche grafiche su cui i due giocatori si sono accordati. Questa forma rappresenta lo stato emotivo? In alto e a destra il quesito sulla forma rabbiosa.

A questo punto ha inizio la seconda parte del gioco: a partire dall’identikit dell’emozione ottenuto - cioè una forma dotata di certe caratteristiche grafiche - si vanno a vedere le emozioni che presentano tratti simili, cioè stati emozionali complessi riconducibili a quelli di base. Riprendendo l’esempio utilizzato in precedenza, l’irritazione e l’esasperazione verrebbero ricondotte alla rabbia (figura 31). Il sistema elabora secondo i parametri definiti tre coppie di forme con caratteristiche di secondo livello (semplice-complesso, lungo-corto, schiacciato-non schiacciato).


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capitolo quarto

Metodologia d’indagine

questa è una forma rabbiosa ?

sì!

più sì che no

più no che sì

no!


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emozioni da vedere

All’utente è chiesto di assegnare alle forme i due stati emotivi appartenenti alla stessa categoria, ma di opposta intensità. Le risposte ottenute rappresentano la materia prima per creare da una parte una serie di associazioni e dall’altra - lì dove l’accordo è maggiore - alcuni identikit di stati emozionali; questi dati saranno visualizzati nella mappa.

figura 31. Se tra i due utenti si è verificato un accordo tale da definire una forma, il gioco procede andando ad indagare le emozioni complesse appartenenti alla stessa categoria.In questa immagine alla forma rabbiosa è stata applicato un incremento e diminuzione di complessità, gli utenti deovno dire quale è esasperata e quale è irritata.

Forme generali e forme personali Le scelte dei giocatori costituiscono la materia prima della mappa generale delle forme (figura 32), che vuole essere una galleria delle associazioni forma-emozione più frequenti. I dati ottenuti vengono presentati nella mappa in un’ottica quantitativa e non qualitativa: non ci sono associazioni giuste o sbagliate, ma più o meno frequenti. Oltre alla mappa determinata dai dati di tutte le risposte, c’è una mappa personale (figura 33) che mostra le associazioni fatte in una o più “partite”. Poiché, come abbiamo visto, le associazioni derivano da prove comparative in cui vengono fornite le forme e lo stato interiore, non è detto che la scelta di una forma rispetto ad un altra sia stata fatta con lo stesso grado di convinzione. La mappa personale riflette il desiderio di elaborare in maniera più soggettiva questo tipo di associazioni. L’utente potrà rivedere le associazioni fatte e potrà farlo secondo una scala di valutazione. Inoltre, lo stato dell’utente può essere aggiornato e visualizzato attraverso la forma emotiva corrispondente. Nel prossimo capitolo verrà illustrato nel dettaglio un test, alcuni risultati interessanti emersi dalle prove fatte e la mappa.


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capitolo quarto

Metodologia d’indagine

figura 32. Ogni utente ha una pagina personale in cui può modificare i dati personali, impostare il proprio stato attraverso una forma della propria galleria e sfogliare le associazioni forma-emozioni fatte nel corso delle varie partite.

figura 33. La mappa rappresenta il nucelo dell’applicazione. A sinistra vi sono le impostazioni di visualizzazione che permettono di cercare una caratteristica grafica o un’emozione, spostarsi nella mappa e ingrandirla attraverso un navigatore. La rappresentazione ad albero simula tutte le possibilità, i “rami” più spessi raffigurano le combinazioni di caratteristiche grafiche più usata per identificare una certa emozione.


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emozioni da vedere

Com’è una forma rabbiosa? · discussione dei risultati dei test di prova


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5 “L’uniformità dei risultati riguardanti la rabbia, del resto, non è sorprendente. Cinque delle sette emozioni di base definite da Ekman sono negative, una di queste - la sorpresa - può essere sia positiva che negativa, e soltanto una è positiva: la felicità; come a dimostrare quanto le emozioni negative siano maggiormente esplorate. Sarà compito dell’analisi dei dati raccolti attraverso il gioco online dimostrare se le emozioni negative sono effettivamente più facili da ricondurre a certe proprietà della forma.”

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capitolo quinto

Com’è una forma rabbiosa?

Primo esperimento: quale forma è più gelosa? Per verificare il metodo di gioco scelto è stato svolto un esperimento preliminare. A cinque soggetti è stata mostrata singolarmente una serie di coppie di forme ed è stato detto loro di indicare quale delle due fosse più “gelosa”. I soggetti hanno svolto il test senza poter comunicare tra loro e sono stati tenuti all’oscuro degli scopi dell’osservazione; quest’ultima decisione, presa al fine di non suggestionare le scelte, si è rivelata non costruttiva, poiché ha impedito una collaborazione utile allo scopo dell’esperimento (c’è infatti chi, senza regole non ha prestato “ascolto” alle caratteristiche oggettive, ma ha costruito un’ipotetica definizione formale di gelosia e delle proprie regole a cui essere coerente). Alle persone sono state mostrate otto coppie di forme con diverse caratteristiche grafiche; tre di queste caratteristiche sono state presentate in due varianti, come si evince dalla lista: spigoloso-tondeggiante (semplice); spigolosotondeggiante (complesso); semplice-complesso (spigoloso); semplicecomplesso (tondeggiante); simmetrico-asimmetrico (spigoloso); apertochiuso (spigoloso); aperto-chiuso (tondeggiante); concavo-convesso. La somiglianza tra le forme presentate nei quesiti e l’utilizzo di immagini con forte valenza iconica come il cerchio e il triangolo hanno reso ambigue le domande; quando infatti, a test concluso, è stato chiesto di fare dei commenti, la maggioranza ha sottolineato la presenza di domande poco chiare affermando che “non permettevano di essere coerenti con la risposta precedentemente data”, avendole trovate incongruenti. Ne è un esempio il binomio spigoloso-tondeggiante (complesso) seguito da quello semplice-complesso (tondeggiante), che aveva confuso coloro i quali, dopo aver scelto nella prima coppia di forme quella spigolosa, vedevano, nella domanda successiva, presentarsi nuovamente quella che avevano scartato. Com’è già stato discusso nel capitolo precedente140, queste considerazioni hanno permesso di trovare una formulazione del gioco più corretta, in cui la sequenza e la variabilità delle immagini sia tale da permettere che ad emergere non sia la forma, ma la caratteristica grafica. Secondo esperimento: disegnare le emozioni In seguito ai risultati del primo esperimento, ne è stato svolto un altro per capire se le caratteristiche grafiche scelte erano effettivamente quelle più adatte ad esprimere certi stati emotivi. A sette persone di età compresa tra i 24 e i 30 anni è stato chiesto di disegnare sei forme astratte, che potessero esprimere le sei emozioni di base: rabbia, disgusto, paura, sorpresa e gioia. Per ogni emozione, la forma doveva essere astratta, non rappresentativa e non simbolica, e doveva avere le dimensioni e la collocazione che si preferivano, all’interno di un foglio formato A4; è stato specificato che queste

140

Quarto capitolo, pagina 89.


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emozioni da vedere

due componenti non sarebbero state tenute in considerazione nell’analisi. L’esperimento non mirava a valutare la corrispondenza tra forme ed emozioni, ma quali caratteristiche grafiche venivano più utilizzate, per verificare se quelle scelte per l’ipotesi di gioco fossero corrette o meno. I risultati ne hanno dimostrato la validità: le persone hanno utilizzato le stesse caratteristiche grafiche proposte nel primo test. Nonostante non fosse questo l’obiettivo dell’esperimento, si evince (figura 34) che le varie forme associate dai diversi soggetti ad alcuni stati emotivi (ad esempio la rabbia) presentano delle somiglianze.

figura 34. Sei persone diverse hanno disegnato la forma che secondo loro esprime l’emozione rabbia. Interessante notare come il tratto spigoloso sia ricorrente in tutti i sei disegni.


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capitolo quinto

Com’è una forma rabbiosa?

figura 35. Un significato produce diverse forme.

figura 36. Una forma, quanti significati? Di questo si è già discusso nel primo capitolo. È questa la ragione che ha portato a restringere il campo delle forme e a definire una serie di caratteristiche grafiche.


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emozioni da vedere

Terzo esperimento: quale forma è più rabbiosa? La formulazione delle domande del terzo esperimento coincide con la versione finale del gioco on line. Questo esperimento è stato fatto su un campione di 15 persone di età compresa tra i 20 e i 60 anni, di sesso maschile e femminile. Alle persone è stato spiegato verbalmente il concetto generale di qualità espressive ed il funzionamento del gioco (illustrato nel capitolo precedente). Inoltre è stato chiesto loro di rispondere alle domande prestando maggiore attenzione alle caratteristiche della forma piuttosto che alla forma stessa. Per ovviare all’ambiguità della frase, è stato fatto un esempio attraverso due immagini che presentavano la stessa figura in due versioni grafiche opposte (figura 37). I soggetti hanno svolto individualmente il test, senza la possibilità di rivedere le risposte date.

figura 37. Per chiarire in che senso prestate attenzione alle caratteristiche grafiche e non alle forme è stata presentata la stessa figura in due versioni: spigolosa la prima,tondeggiante la seconda.

I quesiti e le risposte qui presentate riguardano lo stato emozionale della rabbia, poiché questo è lo stato emotivo che ha presentato maggior concordanza. Nella prima parte sono state mostrate sei coppie di forme; le persone hanno dovuto scegliere, di ogni coppia, quella più rabbiosa. Di seguito vengono presentate tali coppie di immagini e sono sottolineate le caratteristiche grafiche che hanno ottenuto un maggior numero di risposte (figura 39). La relazione tra lo stato emotivo rabbioso e le caratteristiche grafiche “spigoloso”, “convesso”, “ingarbugliato” è stata ampiamente supportata dai dati, di conseguenza è lecito pensare che tale risultato possa essere esteso ad un numero anche maggiore di persone. L’uniformità dei risultati riguardanti la rabbia, del resto, non è sorprendente. Cinque delle sette emozioni di base definite da Ekman sono negative, una di queste - la sorpresa - può essere sia positiva che negativa, e soltanto una è positiva: la felicità; come a dimostrare quanto le emozioni negative siano maggiormente esplorate. Ovvero: la felicità è una categoria troppo generica. Una spiegazione alternativa potrebbe essere che una persona felice tende a concentrarsi sull’oggetto della sua emozione, vale a


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capitolo quinto

Com’è una forma rabbiosa?

dire su ciò che la rende gioiosa; questo contribuisce a generare la “forma” di questa sensazione: una persona, un pranzo tra amici, una corsa tra i boschi, ecc... Nella rabbia, o in altre emozioni negative, anche quando c’è una proiezione aggressiva verso l’esterno, si è più concentrati su ciò che la causa esterna ci ha fatto, e quindi l’emozione è espressa tramite le sensazioni interne. La rabbia è poi un’emozione molto intensa: questo contribuisce a caratterizzarla fisicamente, creando un ponte con una serie di caratteristiche grafiche che sono riconosciute con facilità dagli utenti. Sarà compito dell’analisi dei dati raccolti attraverso il gioco on line dimostrare se le emozioni negative sono effettivamente più facili da ricondurre a certe proprietà della forma; da questi dati si potrà anche evincere se, tra queste, esiste una correlazione tra intensità e accordo tra i giocatori.

figura 38. Per risolvere la complessità che l’indagine tra emozioni e forme comporta si è sfruttato il meccanismo di coordinazione che l’anonimato offre (si veda il terzo capitolo). Inoltre sono stati introdotti una serie di vincoli.


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spigolosotondeggiante

chiusoaperto

asimmetricosimmetico

figura 39. Le coppie di immagini del test “Quale forma è piĂš rabbiosa?â€?. Sono sottolineate in giallo le caratteristiche grafiche che hanno ottenuto un maggior numero di risposte


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capitolo quinto

Com’è una forma rabbiosa?

lineareingarbugliato

aguzzoretto

concavoconvesso


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Come si evince dalle figure mostrate, il test procede aprendo una serie di combinazioni. Il giocatore si trova di fronte a varie scelte e per ognuna di esse ha soltanto tre alternative; questi vincoli - le ragioni per cui sono stati inseriti e scelti è già stata precedentemente chiarita - permettono comunque una serie numerosa di possibilità, che risultano sottostimate durante il gioco. Bisogna notare come, di volta in volta, il sistema presenterà una coppia di forme coerente alla risposta data in precedenza: se l’utente, di fronte alla scelta tra una forma spigolosa e una tondeggiante, propenderà per la prima, nella domanda successiva le due forme presenteranno già la caratteristica scelta: ad esempio, una forma spigolosa aperta e chiusa. Nell’esperimento condotto, trattandosi di un test in tempo reale senza l’aiuto di un programma capace di generare forme a partire dalle riposte date, alcuni quesiti risultano non essere coerenti alla risposta che alcune persone hanno dato in precedenza (si veda appunto il caso spigoloso/tondeggiante). Il processo segna dunque una serie di combinazioni di caratteristiche grafiche che danno luogo ad una forma. I vari passaggi combinatori possono essere visualizzati su di una mappa, in cui sono mostrate, un livello dopo l’altro, le possibili scelte. Le risposte del test sulla rabbia potrebbero ad esempio essere così visualizzate.

figura 40. La mappa visualizza le riposte date nell’esperimento “Quale forma è più rabbiosa?”. Selezionando con il mouse i punti corrispondenti alle scelte- viene mostrata la forma nata da questi.


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capitolo quinto

Com’è una forma rabbiosa?

La mappa si sviluppa verticalmente, dal basso verso l’alto. A definirne la configurazione sono le alternative possibili: in primo luogo le sei coppie di caratteristiche grafiche opposte individuano sei livelli rappresentati graficamente da sei bande orizzontali di colore, alternati per aiutarne la leggibilità. L’ordine di queste bande non ha importanza, infatti non ci sono domande che precludono la presenza di altre. Per verificare il modo in cui l’ordine influenza l’esito dei test, si potrebbe, in un secondo momento, fare dei test con i quesiti presentati in una sequenza differente. Le caratteristiche grafiche scelte sono scritte ai lati della mappa e mostrano la legenda delle scelte effettuate. Le scelte sono contraddistinte da un punto nero, nel caso si faccia riferimento alla caratteristica grafica scritta a sinistra, o da un punto bianco con il contorno nero, quando si tratta delle caratteristiche scritte a destra. Oltre alle scelte, visualizzate attraverso linee continue, sono mostrate le possibili indecisioni, passaggi in cui gli utenti tendono a non trovare accordo, scegliendo l’opzione “non so”. È così possibile visualizzare quali caratteristiche grafiche non sono rilevanti per esprimere un certo stato emotivo: questo accade quando graficamente il percorso della definizione della forma salta un passaggio.

figura 41. “Quale forma è più rabbiosa?”. Le coppie di immagini assieme alla dicitura della caratteristica in questione e sono sottolineate quelle che hanno ottenuto un maggior numero di risposte


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La mappa presentata riassume la prima fase del gioco, in cui vengono indagate le sei emozioni elementari. Ad ognuna di queste è stato assegnato un colore, scelto facendo riferimento alle ricerche svolte da Osvaldo da Pos e Paul Green-Armytage141 (2007, p. 19) sulla relazione esistente tra i colori e le espressioni facciali delle emozioni di base.

rabbia gioia sorpresa paura tristezza disgusto

figura 42. I risultati di un esperimento condotto da Osvaldo da Pos e Paul Green-Armytage in cui le persone dovevano associare l’espressione facciale ad un colore. A lato i colori scelti per visualizzare le emozioni nella mappa. Sei colori freddi e sei colori caldi.

141

Da Pos e Paul Green-Armytage (2007, p. 19)


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capitolo quinto

Com’è una forma rabbiosa?

Ci sono punti in cui i percorsi si intrecciano, quando ciò accade le linee sono tratteggiate e mostrano che quella caratteristica grafica è utile per esprimere più di una emozione; tanto più numerosi sono i colori del tratteggio, tante più emozioni utilizzano quella proprietà espressiva.

figura 43. In lato un particolare del tratteggio, lì dove le stesse caratteristiche grafiche esprimono diverse emozioni. Sotto la mappa e la visualizzaizone delle sei emozioni di base. On line sarà possibile, attraverso il menù, selezionare di quale emozione visualizzare il percorso. Questo permetterà diversi livelli di lettura.


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La mappa offre diversi livelli di lettura. Sarà possibile ad esempio visualizzare velocemente quali sono le scelte su cui si verifica maggior accordo tra gli utenti: i “rami” più spessi raffigurano le combinazioni di caratteristiche grafiche più usate per identificare una certa emozione. Sono inoltre visualizzati tutti i percorsi. Perché vengano mostrati quelli personali, l’utente potrà accedere alla propria specifica mappa, che mostra appunto le scelte effettuate durante le partite svolte sino a quel momento.

figura 44. La mappa visualizza in questo caso un grande accordo sulle caratteristiche grafiche della rabbia.


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capitolo quinto

Com’è una forma rabbiosa?

Quale forma è irritata? Quale forma è esasperata? Nella seconda fase del gioco, ai soggetti sono state mostrate tre coppie di forme; queste possedevano le caratteristiche grafiche attribuite allo stato emotivo oggetto della prima parte. Come si è detto, qui l’obiettivo del gioco è indagare le caratteristiche grafiche riconducibili ad emozioni complesse di diversa intensità; queste sono associabili allo stato emotivo della prima parte dell’esperimento. Di seguito vengono presentate le coppie del test irritazione-esasperazione: come in precedenza, sono sottolineate le caratteristiche grafiche che hanno ottenuto un maggior numero di risposte (figura 45). È interessante notare come la forma a cui è stata applicata una trasformazione geometrica sia spesso ricondotta all’esasperazione, lo stato emotivo di maggiore intensità. Va sottolineato però, che a differenza dei test fatti sugli stati emotivi di base, in questa seconda parte si è verificato un minore accordo tra le risposte. Come illustrato nel quarto capitolo, per ogni emozione di base ne sono state individuate due dello stesso tipo, ma con intensità differente; in un secondo momento anche i risultati sui test su emozioni complesse saranno visualizzati in una mappa integrativa.

non schiacciata>irritata; schiacciata> esasperata

semplice>irritata; complesso> esasperata

non allungata>irritata; allungata> esasperata figura 45. “Quale forma è irritata?”, “Quale forma è esasperata?”. Sono sottolineate in giallo le caratteristiche che hanno ottenuto un maggior numero di risposte.


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Conclusioni ¡

le basi di un metodo empirico per indagare le caratteristiche espressive di una forma


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6 La ricerca ha individuato all’interno della comunicazione visiva e della psicologia della percezione un campo di ricerca specifico: le qualità espressive delle forme astratte. È stato indagato il ruolo che lo studio dell’espressività riveste da un lato all’interno della psicologia della percezione, dall’altro nella sfera della comunicazione visiva, interrogandosi sulle emozioni che una forma astratta può suggerire.

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Conclusioni

È emerso come, nell’ambito della psicologia, le ricerche empiriche non siano state numerose: iniziate negli anni 20’ sono state infatti gradualmente abbandonate e solo recentemente, grazie al fiorire della neuroestetica, si è riacceso l’interesse per questo campo d’indagine. Questo è legato principalmente a motivi metodologici: per questo tipo di ricerche è necessario effettuare numerosi esperimenti e prendere in considerazione un grande numero di variabili. Il presente lavoro si inserisce, in parte, nel rinnovato interesse per l’approccio sperimentale in estetica, favorito anche dalla neuroestetica, pur con i limiti di tale approccio (Legrenzi e Umiltà, 2009). I “giochi con uno scopo” hanno costituito una valida metodologia d’indagine, grazie al fatto che riescono a combinare la capacità di calcolo dei computer all’insostituibile abilità percettiva degli esseri umani. L’obiettivo del lavoro non è stato raggiungere risultati sul rapporto tra forme astratte ed emozioni, ma definire un metodo per farlo. Il gioco è online e induce il partecipanti a coordinare implicitamente la propria risposta; in tempi relativamente brevi, permette di raccogliere un insieme di dati da visualizzare in una mappa continuamente aggiornata, che costituisce la sintesi grafica del comportamento decisionale dei giocatori. Il gioco diventa poi, in un secondo momento, uno strumento di lavoro per designer, psicologi e studiosi di comunicazione visiva, che possono così visualizzare i collegamenti tra segno grafico ed emozione e capire come questi si vengano a creare. In questo modo si è voluto estendere il campo di azione dell’infografica, solitamente concentrata sulla chiarezza e usabilità del messaggio, a comprendere l’influenza delle qualità grafiche di una forma su di esso. Quello che fino ad ora è mancato infatti, è un metodo empirico di misurazione che classifichi le caratteristiche espressive di una forma; è importante sottolineare che questo contributo allo studio delle qualità espressive si occupa solo di una porzione limitata di un’area di ricerca più ampia. La soluzione presentata rappresenta soltanto l’inizio di un programma a lungo termine, di cui qui si gettano le basi; in seguito, i vincoli potranno essere allentati e le variabili potranno aumentare, introducendo ad esempio l’influenza di colore, dimensione o posizione. La vastità dell’argomento, del resto, offre diversi spunti di ricerca. Un possibile sviluppo potrebbe riguardare l’influenza subliminale dell’osservazione di una determinata forma sull’esito di un altro test, nella modalità individuata dalle “semplici esposizioni” di Zajonk; un ulteriore passo in avanti in questa direzione potrebbe essere anche estendere l’indagine dalle caratteristiche formali di immagini astratte bidimensionali a quelle degli oggetti di uso quotidiano. Il campo di applicazione della metodologia delineata, infine, potrebbe spingersi persino fino quello dell’intelligenza artificiale: la programmazione di un codice informatico che rispecchi la complessità dell’attività percettiva umana, infatti, non può prescindere dal confronto con una vasta mole di dati, che questo metodo di indagine potrebbe contribuire a raccogliere.


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Bibliografia ¡

libri, articoli, fonti elettroniche, conferenze, film


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Film Linklater, Richard, Waking Life, 2001. •

Le citazioni in lingua straniera sono di traduzione propria.


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Ringraziamenti

* Desidero ringraziare coloro che mi hanno aiutata ed appoggiata in questo lavoro. Un particolare ringraziamento va alla mia famiglia che mi ha sempre permesso di affrontare con sicurezza ogni ostacolo durante questi due anni. Grazie a Lorenzo per tutte le possibilitĂ che ha saputo farmi vedere, con chiarezza e pazienza, nel lavoro di ricerca ed oltre. Grazie agli amici incontrati a Venezia: Alessandra, Maria, Erica, Nebo, Andrea e Mario, che hanno ascoltato, discusso e criticato il progetto. Grazie agli amici di sempre: Francesca, Giulia, Filippo, Cristina, Andrea, che quando busso rispondono “Avanti!â€? e aprono la porta. Grazie ad Emanuele Arielli per la fiducia riposta in questo progetto, che, senza i suoi consigli e contributi, sarebbe stato incompleto.


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