Made In Cuneo 05/2021 - Giugno

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05/21 MADE IN CUNEO - MENSILE DI CONFINDUSTRIA CUNEO - ANNO III - ISCRIZIONE TRIBUNALE DI CUNEO 11.04.2018 - NR. 673 - EURO 5,00 - EDITO DAL C.S.I. CUNEO - CONTIENE I.P. DIRETTORE RESPONSABILE: CLAUDIO PUPPIONE

G I U G N O

Obiettivo 2024: “Una montagna di futuro” per Saluzzo e le Terre del Monviso

Design sostenibile per il sistema alimentare L’Università di Parma e il Politecnico di Torino propongono un nuovo corso di laurea che appassiona il nostro territorio


Siamo lieti di aver partecipato attivamente alla direzione artistica e all’organizzazione di quello che diventerà nei prossimi mesi il punto di riferimento della cultura d’impresa. Un crescendo di appuntamenti che si svolgeranno nel Pala Alba, quartier generale dell’intero evento “Alba Capitale della Cultura d’Impresa 2021”.

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L’Altra Copertina

B

lizz Primatist, l’autovettura elettrica progettata e realizzata da un team tutto italiano coordinato dall’imprenditore e pilota torinese Gianmaria Aghem (classe 1947), sul circuito di alta velocità del Nardò Technical Center, ha battuto i record mondiali della categoria VIII classe 1 fino a 500 kg (effettivi 499 kg) e classe 2 da 500 a 1.000 kg. Era dal 2008 che non venivano registrati nuovi primati sulla pista pugliese. I tempi della Blizz Primatist pilotata da Aghem sono stati registrati dai cronometristi della Federazione italiana cronometristi, alla presenza dei commissari della Fia e di Aci Sport: classe 1, 10 miglia in 04:34.913 alla velocità media di 210,743 km/h, 100 km in 26:07.160 (229,714 km/h), 100 miglia in 41:45.806 (231,208 km/h, in un’ora percorsi 225,197 chilometri; aggiungendo le zavorre, classe 2, 10 miglia in 04:14.671 (227,493 km/h), 100 km in 24:40.672 (243,132 km/h), 100 miglia in 39:45.395 (242,878 km/h). Per la realizzazione dell’ambizioso progetto il pilota moncalierese si è avvalso della collaborazione di Eugenio Pagliano (progettista

Carbonteam di Saluzzo ha collaborato alla monoposto da primato condotta da Aghem

della Zer), degli specialisti della Carbonteam srl di Saluzzo e della Podium Engineering srl di

Guarda il video del record

Pont Saint-Martin, del supporto del Politecnico di Torino e di professionisti con importanti esperienze nel mondo dell’automotive. Per il prototipo da record Carbonteam ha realizzato i componenti della carrozzeria e le parti strutturali in fibra di carbonio. Questa sfida avvincente ha reso l’azienda

saluzzese del ceo Carlo Putetto parte di un progetto di valenza davvero internazionale. Il team di ingegneri e progettisti ha sviluppato un veicolo propulso da un leggero motore asincrono a flusso assiale di ultima generazione, alimentato da batterie agli ioni di litio. Il motore, che ha un peso di 20 chili, è in grado di erogare una potenza di picco superiore ai 200 cavalli. Il pacco batterie è formato da 2.688 celle agli ioni di litio, selezionate e gestite da un algoritmo già collaudato in Formula 1.


Sommario L’Altra Copertina. Carbonteam di Saluzzo e i record di Aghem 1 Editoriale. Non voglio credere che 2 + 2 = 5. È grave? 3 Fonotonotizia. Il Sommo Poeta “veglia” sulla provincia Granda 5 A Che Punto Siamo. La competizione è vita, non un dogma 6

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Industria e Dintorni. I nuovi poveri con la partita Iva 7 Moving. Design sostenibile e prodotti alimentari 8

G I U G N O

Moving. Marco Magnani e l’onda perfetta 10 Moving. Intesa Sanpaolo: Clienti, Territori, Persone 14

Direttore responsabile: Claudio Puppione Direttore editoriale: Giuliana Cirio Vicedirettore editoriale: Elena Angaramo In copertina: Un suggestivo scorcio della Castiglia, opera del fotografo Pietro Battisti, richiama l’articolo dedicato da “Made In Cuneo” alla candidatura di Saluzzo, con le Terre del Monviso, a capitale nazionale della cultura per il 2024.

Info su MadeInCuneo

Società editrice: Centro Servizi per l’Industria Corso Dante, 51 - 12100 - Cuneo - Tel. 0171.455455 Grafica: Autorivari (enzio.isaia@autorivari.com) C.so IV Novembre, 8 - 12100 - Cuneo - Tel. 0171.601962 Pubblicità Associati a Confindustria Cuneo: comunicazione@confindustriacuneo.it - Tel.0171.455503 Non associati a Confindustria Cuneo: Tec Arti Grafiche s.r.l. (adv@tec-artigrafiche.it) Via dei Fontanili, 12 - 12045 - Fossano - Tel. 0172.695897

Chiusura: 24/05/2021 Tiratura: 6.000 copie

Stampa: L’Artistica Savigliano s.r.l. Via Togliatti, 44 12038 Savigliano Tel. 0172.22361 info@lartisavi.it

L’informativa sulla privacy completa può essere consultata al seguente link: https://www.confindustriacuneo.it/menu/madeincuneo.

Primo Piano. Serena Lancione: «Non perdiamo l’autobus» 18 Primo Piano. Saluzzo si candida a tornare capitale (della cultura) 22 Primo Piano. Barolo, città italiana del vino per tutto il 2021 25 Primo Piano. Il Gal Langhe Roero leader sogna in grande 26 Confindustria News. Attesa per l’Assemblea annuale del 18 giugno 30 Confindustria News. Nomine e nuovi incarichi 31 L’Impiccione. Giovanni Quaglia: una vera passione civile 32 L’Intervista. Franco Ferrarotti: quel rapporto speciale con Olivetti 34 L’Intervista. Giuseppe Benedetto: «Essere “veri” liberali... si potrebbe» 38 Cultura d’Impresa. Fondazione Michelin Sviluppo sostiene le Pmi 44 Cultura d’Impresa. Le chiocciole sbarcano anche in Georgia 46 Anniversari. Fim Villosio e la cultura dell’arredamento 50 Anniversari. Selghis, cuore del comparto edilizio 54 Personaggi. Don Luca Peyron, l’“apostolo digitale” 58 Personaggi. Valerio Ferrero, tutto il buono del digitale 62 Personaggi. La grande eresia europea raccontata da Fredo Valla 64 La Bella Storia. Resilienza, alla Riva Acciaio sanno bene cos’è 68 La Bella Storia. Per DiCaf essere pionieri è questione di Dna 70 Emergenti. Maria e Francesca Riorda 74 Emergenti. Sei giovani albesi e la rivoluzione delle criptovalute 78 Bello e Ben Fatto. Arpa Industriale da Bra ai mercati mondiali 82 Bello e Ben Fatto. Marchesi di Barolo: i vini di qualità tirano la volata 86 Bello e Ben Fatto. Paulownia, la pianta magica con Tomatis Lamiere 90 Sliding Doors. Da Drone System a GrandaLed 92 Startupper. Separazioni online con la piattaforma “Di-Visioni” 96 Aziende Smart. Newsoft, il numero 1 dei plotter in Italia 98 Aziende News 100 New Entry 102

Diamo a Bruno quel che è di Bruno La copertina del numero 04/2021 di “Made In Cuneo”, dedicato per intero agli eventi di Alba capitale della cultura d’impresa 2021, è stata ricavata da una foto di Bruno Murialdo. Non lo abbiamo segnalato e di questo ci scusiamo.


Non voglio credere che 2 + 2 = 5. È grave?

A Claudio Puppione Direttore responsabile di “Made In Cuneo”

ttuando un’autoanalisi alla carlona, mi convinco sempre di più che davvero si nasca incendiari e si muoia pompieri. La traiettoria forse non vale per tutti, ma per me sì. Certo c’è chi, invecchiando, non placa gli istinti “rivoluzionari”, mentre d’altro canto dubito che siano molti coloro i quali seguano il cammino inverso, cioè si riscoprano ribelli senza “se” e senza “ma” man mano che aumentano i capelli bianchi o procede la calvizie. Mi sento uomo medio, l’ammetto pur auspicando di non essere associato al supereroe della mediocrità, Medioman, interpretato da Fabio De Luigi per la “Gialappa’s band”. Tanto in gioventù, per la verità anche in tarda gioventù, ritenevo occorresse fare ciascuno la propria parte per cambiare il mondo, tanto in purtroppo piena senescenza mi riscopro incline alla moderazione. Il processo di “normalizzazione” non è stato repentino, bensì lento frutto di quella che, per qualcuno, è una maturazione e, per altri, il tradimento dei princìpi coltivati in altri tempi. Fatto sta che, in buona fede (la rivendico, ora come allora), su tanti argomenti oggi la penso in modo opposto a ciò che “predicavo” e a volte cercavo di concretizzare lustri fa. Adduco quale attenuante la circostanza di ammetterlo senza accampare giustificazioni assimilabili alla disperata impresa di provare ad arrampicarmi sugli specchi.

Il lungo incipit, alla luce di quanto sto per scrivere, sa di “excusatio non petita”. Me ne rendo conto. Ma è un fedele ritratto dell’evoluzione (o involuzione?) del mio pensiero e dei miei atteggiamenti, oggi tutt’altro che inclini al sobillare la rivolta. Sobillare la rivolta no; però invitare a cercare di non portare il proprio cervello all’ammasso sì. Ritengo che oggi, come forse mai è accaduto nell’evo moderno, i “fronti” siano netti: è stata abolita la scala dei grigi sulle questioni dirimenti, dall’eutanasia, descritta come un gioioso diritto civile, alla nuova tratta degli schiavi camuffata da salvifico umanitarismo, dal tentativo di plasmare un’umanità priva di radici e volontà propria, facendone una poltiglia indistinta, alle “esportazioni di democrazia” a suon di bombe con la distruzione di Paesi sovrani come Libia e Siria (ma l’elenco sarebbe lunghissimo e vi rientra pure l’attacco alla Serbia del 1999, a cui l’Italia partecipò a suon di raid aerei, all’inizio addirittura a insaputa dei cittadini comuni), alla sistematica falsificazione mediatica in base a cui le vittime diventano inumani carnefici e i carnefici vittime innocenti. A volte mi chiedo se la mia sia un’analisi lucida, ma ho la sensazione che stiano cercando di convincerci che il risultato di 2 più 2 sia 5. Il criptico titolo di questa pagina, spiega Wikipedia, è una «locuzione, usata in prevalenza in àmbito letterario, citata per indicare una teoria

L’Editoriale volta a negare qualcosa di altrimenti evidente e inconfutabile». Se preferite, per essere più chiaro, ricorrerò al principio della rana bollita e alla “finestra di Overton”. Secondo il primo, se una rana viene messa in acqua bollente, salterà fuori e si salverà; ma, se sta a mollo in una pentola portata a ebollizione a fuoco lento, percepirà troppo tardi il pericolo incombente e pertanto sarà cotta a morte. La seconda spiega come si fa a sdoganare un’idea inaccettabile, e poi a farla diventare una regola a cui tutti si attengono spontaneamente. Descrive la successione di cambiamenti nell’opinione pubblica, indotti in particolare tramite i mass media, descrivendo come delle teorie, respinte in toto quando appaiono, possano in seguito essere accettate dalla società, per diventare infine legge. Tali idee in genere partono da un piccolo gruppo e a vantaggio di pochi, con gravi danni per tutti gli altri. Qualche esempio? Siamo partiti con quella che poco a poco è diventata la “dittatura del politicamente corretto”, con parole messe al bando perché improvvisamente diventate sinonimi di offese e di linguaggio violento, cosa che non erano; poi è arrivata la “cancel culture” che sta diventando anch’essa regola fissa, per cui i libri di storia sarebbero da riscrivere. E che dire della recente equiparazione a tutti gli effetti dei trans alle donne nelle gare sportive, negazione ideologica delle differenze fisiche fra maschi e femmine? Sono abbastanza scoraggiato: temo sia un processo inarrestabile. Ma prometto a me stesso e ai miei figli che mai accetterò che 2+2=5.

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Fotonotizia

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ì, ci vuole un po’ di immaginazione, ma neppure troppa. E, forse, ne serve un pochino di meno nel 2021, in cui (il 14 settembre, per la precisione) ricorre il settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta, al quale dobbiamo la nostra stessa lingua, essendo stato egli il primo a capire l’importanza e le prospettive del volgare e a scrivere i suoi capolavori in quel nascente idioma. L’inconfondibile profilo di Dante Alighieri, a detta di molti, può essere individuato guardando dalla distanza giusta la cresta del Marguareis, in alta Valle Pesio. La foto di Giorgio Bernardi rafforza i sostenitori della tesi se-

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condo la quale Madre Natura abbia voluto fare un dono di bellezza e anche di cultura in più alle nostre vallate alpine, immortalando nei secoli l’inconfondibile sagoma del viso dell’autore della “Divina Commedia”. E così, mentre si susseguono gli omaggi a Dante, fra i quali figura il saggio “A riveder le stelle” di un figlio illustre della Granda, il giornalista ed editorialista del “Corriere della sera” Aldo Cazzullo, ognuno di noi, dando uno sguardo all’imponenza della natura e, in particolare, allo scorcio che qui proponiamo, potrà dedicare un pensiero riconoscente al Ghibellin fuggiasco che, in vita, non fu profeta in patria.


Il Sommo Poeta “veglia” sulla provincia Granda dalla cresta del Marguareis

[Foto: G.Bernardi]

Madre Natura omaggia il Ghibellin fuggiasco anche nel 700° della morte

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La competizione è vita, non un dogma

«È Mauro Gola Presidente di Confindustria Cuneo

un paradosso vedere uomini improntati su schemi contabili ormai fuori tempo massimo che, dopo averci portato allo sbando, si presentano come portatori sani di un’ideologia che, appellandosi al nuovo che avanza, fa in realtà avanzare ciò che di più vecchio e spento resta nel nostro sistema: la competizione. Parlo di competizione come dogma. La competetizione è vita, ma se viene assunta come dogma rende ciechi e sterili e si tramuta, paradossalmente appunto, nel suo contrario. Se in una società quello che conta fosse solo competere, anche a costo di disfare tutto al fine di arrivare soli alla meta, andremmo diritti verso il baratro. E forse è ciò che stiamo rischiando». Sono parole di Richard Sennett lette di recente che mi hanno colpito e sottopongo alla riflessione di chi sfoglia queste pagine. Sociologo, critico letterario, scrittore e accademico statunitense, Sennett si occupa soprattutto dei temi della teoria della socialità e del lavoro, dei legami sociali nei contesti urbani, degli effetti sull’individuo della convivenza nel mondo urbanizzato. Il padre dell’economia classica, Adam Smith, nel 1759, quando stava per avviarsi la prima rivoluzione industriale, nel primo capitolo della “Teoria dei sentimenti morali”, spiega quale ruolo svolgano la simpatia e l’immaginazione nella vita

morale degli uomini. Il suo maestro Francis Hutcheson aveva riconosciuto, accanto ai sensi esterni, al senso morale e al senso dell’onore, un “senso pubblico” o “simpatia” espressione della «nostra determinazione a essere compiaciuti per la felicità altrui, e a soffrire per la loro infelicità». David Hume aveva ripreso e sviluppato l’analisi di Hutcheson, approfondendo il ruolo svolto dall’immaginazione e facendo della simpatia il principio che spiega il modo in cui gli uomini partecipano alle passioni altrui. Adam Smith va oltre Hutcheson e Hume e fa della simpatia il perno del sistema morale: simpatizzare significa approvare o disapprovare moralmente la situazione emotiva e passionale in cui si trova chi agisce o patisce un’azione altrui. L’approvazione richiede una complessa valutazione, in cui entrano in gioco reattività emotiva e capacità di immaginazione e di riflessione sulla situazione di cui si è spettatori. Con il termine “simpatia”, Adam Smith intende definire una spinta emotiva volontaria capace di avvicinarci all’altro, di sentirlo e sentire con lui, trasportandoci «nella sua situazione e permettendo di figurarci nei più minuti particolari ogni minimo episodio in cui possa incorrere chi soffre». Richard Sennett, nel suo saggio “Insieme”, pubblicato da Feltrinelli nel 2012, recupera l’importanza della simpatia che, con l’empatia,

A Che Punto Siamo dà vita a una pulsione cooperativa che completa e rende concreto l’«Ama il tuo prossimo come te stesso», declinazione dal Vangelo di Marco attribuita a Gesù del comandamento più importante secondo il catechismo della Chiesa cattolica. A parere di Sennett, Smith non solo invita a immaginarci l’altro o a “figurarci” la sua condizione in termini astratti e generici, ma a coglierlo nei più intimi e minuti particolari, tenendo in piena considerazione il contesto e quelle «intermittenze del cuore» in seguito descritte da Marcel Proust. In questi spazi minimi del cuore, sottolinea Richard Sennett, si insedia quanto di più specificamente umano qualifica le nostre azioni, non soltanto le buone intenzioni che dovrebbero presiederle: la cooperazione e l’ascolto. Trovo condivisibili le conclusioni a cui egli giunge: «C’è un valore culturale forte, nella cooperazione, nell’autoaiuto, nel mutualismo, nella solidarietà informale della famiglia o tra le generazioni. E c’è anche nella capacità di leggere l’economia come spazio concreto del vivere e del fare, non come un mero “purgatorio dei numeri”. In Italia questi sentimenti hanno una tradizione antica e vitale. Una tradizione che però parla già il linguaggio del nostro domani. Perché cooperare è il futuro. Il futuro è in questa economia delle relazioni, del dialogo, dello stare e del fare insieme, non nell’ambigua finanza del competere. Non ci si salva da soli, questo andrebbe spiegato a chi pretende di dare lezioni su questo. E, se non lo capisce, meglio non seguirlo».


Industria e Dintorni

Quei nuovi poveri con la partita Iva

S Giuliana Cirio Direttore di Confindustria Cuneo

iccome è buona regola, non solo giornalistica, esplicitare subito il messaggio che si vuole divulgare, l’incipit è: molti fra i nuovi poveri censiti nella popolazione italiana sono fra i possessori di partita Iva e, in questo Paese, il welfare vale solo per i dipendenti, i quali ne hanno pieno diritto, sia chiaro, però non per gli autonomi e per gli imprenditori. Questi ultimi, poi, sono la categoria meno tutelata in assoluto. Questa considerazione può non piacere a chi si crogiola tuttora in quella cultura anti imprenditoriale che tanti danni ha fatto, al pari o forse più della degenerazione dell’assistenzialismo, ma è la cruda realtà odierna. Mancano, è un dato di fatto, adeguate e aggiornate reti di protezione sociale, mentre l’Istat rileva come in un anno il numero degli indigenti sia molro cresciuto, esito prevedibile del crollo del Pil di quasi il 9 per cento, dovuto all’emergenza sanitaria, che non per questo è meno choccante. Nell’arco di dodici mesi un milione di persone (335 mila famiglie) si è aggiunto alla schiera di quelle che vivono in povertà assoluta, cioè non dispongono di un reddito che consenta loro di affrontare la spesa minima necessaria per acquistare i beni e i servizi basilari. Il totale di questi concittadini è passato dai 4 milioni e 590 mila del 2019 ai 5 milioni e 620 mila del 2020, mentre le famiglie, da 1.674.000 che erano, hanno supe-

rato quota 2 milioni. Sul totale nazionale, queste ultime sono passate dal 4,9% al 6%, se composte soltanto da cittadini italiani, e dal 22% al 25,7% tra quelle con stranieri. Come ha segnalato il sociologo Aldo Bonomi, emerge l’accelerazione di un fenomeno che già conoscevamo: l’aumento di chi si vergogna della povertà. Intanto alla Caritas non vanno solo disoccupati e immigrati, ma anche il ceto medio passato dal faticare su cose importantissime come l’affitto o i libri per la scuola dei figli al non riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena. Oggi oltre il 40% di chi si rivolge alle mense della Caritas è un lavoratore autonomo, precario. La pandemia ha colpito in particolare gli articolati sistemi economici che hanno radici nelle città del nord: sono saltate le opportunità e, come si diceva, latitano le reti di protezione. Il mix è pesantissimo. L’effetto riscontrato dallo studioso è chiaro: «Il rumore di fondo dell’insofferenza e del disagio cresce sempre di più, non c’è dubbio. C’è tutta una fascia di popolazione italiana che ha tentato di essere inclusa, ci è riuscita a patto di grandi sofferenze e molti sacrifici affrontati per anni e adesso vede le reti sociali ed economiche spezzarsi. E nessuno ne sta intercettando il disagio, perché mancano gli strumenti». Il panorama post pandemico per fortuna è meno fosco di quanto si temeva, così come la caduta dei

principali indicatori economici del sistema Italia è comunque stata più leggera di ciò che molti preconizzavano. Gli allentamenti delle restrizioni anti Covid condurranno nel secondo trimestre a un piccolo segno positivo del Pil italiano, dopo la lieve contrazione avvenuta nel primo (-0,4%). Si conferma lo scenario in cui un forte rimbalzo si avrà nel terzo trimestre del 2021, grazie al crescere delle vaccinazioni a cui, per la nostra provincia, Confindustria Cuneo ha contribuito grazie alla disponibilità di molte aziende associate. In più, per quanto riguarda il nostro territorio, è indubitabile che esso goda di una situazione migliore di tanti altri nella penisola e anche nella regione, essendo forte di una diversificazione e di una capacità di resistere, basata su reattività, innovazione e geniali intuizioni, che ne fanno un unicum, un caso di studio non solo post pandemico. Questo, però, non sposta nulla rispetto alla sensibilità che occorre coltivare, nei fatti e non a parole, nei confronti di quanti, qui e più ancora nel resto del Paese, non hanno possibilità di accedere a un welfare che senza dubbio va attualizzato. Non è giusto e neppure accettabile che non vi siano coperture, magari dopo aver garantito che “nessuno resterà sarà lasciato indietro”, per chi non ha un’ocupazione da dipendente e, magari, è fatto oggetto di immotivati pregiudizi. Il riferimento, voluto, è alle illazioni sugli “evasori fiscali” e sugli “sfruttatori” del lavoro altrui, espresse dimenticando quanto le categorie degli autonomi, dei professionisti e degli imprenditori hanno fatto (e fanno) per l’Italia e per gli italiani.


Le best practices di alcune delle aziende associate a Confindustria Cuneo

DESIGN SOSTENIBILE E PRODOTTI ALIMENTARI: LO SPOSALIZIO FRA DUE VERE ECCELLENZE I rettori degli atenei di Torino e Parma, Guido Saracco e Paolo Andrei, rivolgendosi al mondo universitario e industriale, hanno sottolineato come il corso «guardi al cibo come un sistema concatenato di aspetti»

Un nuovo corso di laurea triennale capace di esaltare una cultura che trova nella nostra provincia una delle massime espressioni: cibo straordinario, ma anche esemplari buone pratiche Giuliana Cirio

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onfindustria Cuneo supporta con convinzione, e non potrebbe essere altrimenti, il corso di laurea “Design sostenibile per il sistema alimentare” nato dalla sinergia fra l’Università di Parma e il Politecnico di Torino, due eccellenze formative fiori all’occhiello del nostro Paese. Siamo una provincia alimentare, distretto enogastronomico d’eccellenza. Alimentare, lattiero-caseario, dolciario e vinicolo sono i

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comparti più rappresentativi di Confcommercio Cuneo che hanno fatto nascere un indotto di aziende meccaniche e impiantistiche divenute leader mondiali dei macchinari per la trasformazione delle materie prime. La filiera comprende anche importanti aziende che producono mezzi meccanici per l’agricoltura, cito la Merlo, fra i primi al mondo nei sollevatori telescopici, ma l’elenco è molto lungo. Insomma, il cibo è una cultura che ci ha reso una destinazione turistica ricercatissima e dà linfa a un sistema economico forte e diversificato. E poi Alba, in questi mesi, è la capitale nazionale della cultura d’impresa. In un mondo a cui l’emergenza sanitaria ha impresso accelerazioni inusitate in molti campi, compreso quello della sostenibilità, emergono una coscienza sociale più sviluppata e una maggiore riflessività sui valori della vita e sul benessere comune. Stanno drasticamente cambiando, collegati peraltro alla generalizzata diminuzione della capacità di spesa, anche gli stili di vita e, fra essi, le abitudini legate ai consumi e alle modalità di acquisto, sempre più determinate in base al canale visivo che soppianta quelli tattile e olfattivo. Di qui l’importanza di un packaging seducente per il consumatore, in cui egli si possa identificare. Cresce di pari passo la consapevolezza dell’importanza della salute, quindi anche della salubrità dei cibi, mentre le aziende

devono far fronte alla minor sicurezza di poter distribuire e, quindi, hanno maggiori sicurezze se rafforzano la filiera di distribuzione a km 0. Il neuromarketing, argomento che meriterebbe un’ampia trattazione a parte, studia le strategie e i metodi più efficaci per sfruttare e monitorare l’inconscio e l’aspetto emotivo dei consumatori: oggi applicarlo alla realizzazione del packaging e saper creare e sfruttare le emozioni può fare la differenza. Sono brevi riflessioni che toccano alcuni degli spunti offerti dal corso di laurea voluto dall’Università di Parma e dal Politecnico di Torino. Sul tema del packaging sostenibile evidenzio le best practices di alcune delle aziende associate a Confindustria Cuneo. Sant’Anna Bio Bottle è la prima bottiglia al mondo prodotta con un polimero ricavato dalla fermentazione degli zuccheri delle piante, senza una goccia di petrolio. È una bioplastica verde rivoluzionaria, perché biodegradabile e compostabile. Nei siti di compostaggio industriale, la Bio Bottle in soli 80 giorni torna alla natura e numerosi test di laboratorio hanno dimostrato come essa custodisca e preservi le caratteristiche organolettiche e le qualità di Acqua Sant’Anna, dalla sorgente fino al consumo. Il Pet riciclato da Dentis Recycling Italy, fondata nel 1987, si chiama Petalo ed è proposto in cinque sfumature di colore. Ne è caratteristica


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Fra Università di Parma e Politecnico di Torino una collaborazione “targata” anche Unesco Dalla collaborazione fra Università di Parma e Politecnico di Torino nasce il corso di laurea triennale “Design sostenibile per il sistema alimentare”. La proposta formativa è illustrata dal professor Daniel Milanese, presidente del corso, nel filmato a cui conduce il nostro QR Code. Il primo anno si svolgerà presso l’ateneo parmense, il secondo nella città della Mole, mentre per il terzo i laureandi potranno scegliere fra due curricula diversificati: uno a Parma, l’altro a Torino. Vi è un legame ulteriore, oltre alle affinità elettive che mettono in connessione due istituzioni universitarie di elevatissimo livello, apprezzate ben oltre i confini nazionali: quello dell’Unesco che può essere considerato il fil rouge lungo il quale crescerà questo corso di laurea. Infatti per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura entrambe le città sono “Creative City”: Parma per la gastronomia (come Alba) e Torino per il design. Paolo Fino, docente del Politecnico e responsabile della sede monregalese dell’Ateneo, ha messo in contatto Confindustria Cuneo con l’Università di Parma, aprendo un nuovo canale di collaborazione per l’Associazione datoriale presieduta da Mauro Gola.

Guarda il video con la presentazione del corso distintiva la cristallizzazione omogenea al 100% che facilita il processo di trasformazione a chi vuole produrre nuovi oggetti. Proveniente da raccolta differenziata o da scarti di lavorazione, il Pet avviato nell’impianto Dentis segue tutte le tappe necessarie per tornare a essere materia prima seconda. La capacità produttiva è di 40.000 tonnellate annue, pari a circa 1,3 miliardi di bottiglie.

Shelf Lif, packaging messo a punto da Venchi, allunga la vita dei cioccolatini. È un imballaggio intelligente che, grazie a una molecola particolarmente sofisticata, assorbe le sostanze che deteriorano i prodotti. Il packaging interagisce con l’ambiente, “catturando” sostanze indesiderate, come ossigeno o umidità. La progettazione di Shelf Life è stata curata dal team di ricerca e sviluppo dello stabilimento di Castelletto Stura, storica sede dell’azienda dolciaria. Il costo del progetto si aggira sui 6,8 milioni: Venchi ha ottenuto aiuto delle istituzioni e, grazie a finanziamenti della Regione Piemonte e del Mise pari a 3,2 milioni, Shelf Life è diventato realtà, dimostrando quanto la sinergia tra pubblico e privato possa dare una spinta all’innovazione tecnologica a beneficio dei consumatori. Ferrero da sempre adotta comportamenti responsabili per offrire prodotti di alta qualità che contribuiscano in modo positivo alla vita sociale sia odierna che futura. Questa ferma convinzione sospinge l’azienda albese verso una catena del valore responsabile costituita da un approvvigionamento e da una produzione sostenibili e dal rafforzamento ulteriore dell’impegno verso un packaging

ancor più sostenibile. Per questo Ferrero si è impegnata a rendere 100% riutilizzabile, riciclabile o compostabile tutto il proprio packaging entro il 2025. Per Lurisia la sostenibilità ambientale è diminuire il peso e i volumi degli imballaggi dei prodotti, tanto da ridurre, negli ultimi 10 anni, del 20% l’utilizzo di Pet, del 25% quello del vetro e del 15% quello della plastica. L’ultima novità è la bottiglia da 450 ml, composta per il 50% da plastica riciclata. Il mercato delle acque in Italia è molto competitivo e Lurisia si concentra su un segmento premium, grazie anche a un packaging in vetro, disegnato da Ettore Sottsass, che richiama nelle forme la lanterna del leggendario minatore rosso presente nel logo. Nel 2008 essa ha ottenuto il premio quale “Miglior bottiglia in vetro del mondo”.

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L’onda perfetta Ovvero come cavalcare il cambiamento senza esserne travolti L’economista e saggista Marco Magnani è nato a Parma

Occhiello Occhiello Occhiello Occhiello Occhiello “Made In Cuneo” propone ai suoi lettori un estratto dell’ultimo saggio, uscito a settembre, di Marco Magnani, “L’onda perfetta-Cavalcare il cambiamento senza esserne travolti”, Luiss University Press, 148 pagine, 14 euro (acquistabile online sul sito, raggiungibile anche con il QR Code pubblicato nelle pagine successive, https://www.luissuniversitypress.it/pubblicazioni/londa-perfetta). La sopravvivenza di una specie non è legata alla sua forza, né alla sua intelligenza, ma al grado di predisposizione al cambiamento. Quest’assunto di Charles Darwin, secondo Magnani, può essere applicato anche a imprese e territori. Le aziende che riescono a restare in gioco nel lungo periodo, infatti, non sono necessariamente quelle di maggiori dimensioni o che generano più profitti, ma quelle che gestiscono meglio i continui cambiamenti che nell’economia globale di oggi sono frequenti, repentini e dirompenti.

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Marco Magnani

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l cambiamento suscita forti emozioni. La sua attesa spesso alimenta sogni e speranze. Perché

schiude la possibilità di nuovi scenari che ognuno disegna nel modo che preferisce. E perché il nuovo che arriva è considerato un miglioramento rispetto allo status quo. Quando però il cambiamento è all’orizzonte, il

Subire equivale a piegarsi alla forza del vento che tira, nella speranza di sopravvivere, ma rischiando di esserne travolti

timore di non saperlo gestire tende a suscitare incertezza, generare ansia, diffondere sentimenti di paura. Stiamo vivendo l’epoca di più intensi cambiamenti nel corso di tutta la storia. Frequenti crisi economiche, rapidi mutamenti del quadro geopolitico internazionale, forti flussi migratori, disastri ambientali, pandemie. Senza dimenticare i cambiamenti, dirompenti, determinati dall’innovazione tecnologica, dai quali emergono enormi opportunità, ma anche molti rischi (“Fatti non foste a viver come robot”, Marco Magnani, Utet, 2020, 272 pagine, 15 euro, www. utetlibri.it/libri/fatti-non-foste-a-viver-come-robot/). La diffusione di macchine e algoritmi migliora produttività e qualità della vita, ma, al contempo, minaccia occupazione ed equilibri economici e sociali consolidati. Analogamente lo sviluppo di biotecnologie, nanomateriali, microsensori, l’avanzamento della neurobionica, il perfezionamento dell’ingegneria del genoma umano, la crescita della space economy, con-

Magnani a colloquio con Janet Louise Yellen, segretario al tesoro Usa dal 26 gennaio 2021 e presidente della Federal Reserve dal 2014 al 2018

sentono progressi senza precedenti in campo medico e scientifico. Ma queste stesse innovazioni si prestano a manipolazioni e utilizzi controversi, creando rischi giganteschi e sollevando dilemmi etici di straordinaria complessità. Che cosa determina se il cambiamento è positivo o negativo? Questo è il tema centrale de “L’onda perfetta”. La “situazione di partenza”, il posizionamento iniziale dal quale si affronta il cambiamento, è importante. Ma non è sufficiente. Il luogo geografico in cui è situata una città, le risorse naturali di cui è dotato un Paese, la quota di mercato e i brevetti detenuti da un’azienda, il gruppo anagrafico-sociale cui appartiene un individuo, rappresentano un vantaggio nell’affrontare il cambiamento e coglierne le opportunità. Tuttavia, diversi sono gli esempi di Paesi e territori che, pur ricchi di risorse naturali o situati in posizioni geografiche strategiche, non hanno saputo sfruttare il vantaggio iniziale e hanno vissuto con difficoltà grandi cambiamenti quali la ridefinizio-

Una competenza maturata in decenni ai massimi vertici Marco Magnani, economista, docente in Luiss di International Economics e di Monetary & Financial Economics, Senior Research Fellow presso l’Harvard Kennedy School, vive da 30 anni tra Italia e Stati Uniti. Per oltre vent’anni ha lavorato in banche d’affari, prima come vicepresidente di JP Morgan, a New York, e poi come dirigente di Mediobanca. Ha assistito moltissime aziende nelle più svariate operazioni di finanza straordinaria, negli Usa, in Europa e in Asia. È stato nominato Young Global Leader dal World Economic Forum di Davos. Collabora con “Il Sole-24 Ore” e “AffarInternazionali”. È membro indipendente di diversi comitati scientifici e consigli d’amministrazione.

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Moving ne degli equilibri geopolitici mondiali e la globalizzazione. Si pensi a Venezuela, Mongolia, Argentina, Sudafrica: Paesi con equilibrio economico-sociale precario, nonostante la straordinaria dotazione di risorse naturali. Analogamente, diverse imprese hanno dilapidato il posizionamento iniziale, derivante da leadership di mercato, solidità finanziaria, forza del marchio, elevata reputazione, e sono state travolte dal cambiamento. Alcune l’hanno previsto e anticipato, altre ne hanno sottovalutato l’impatto. È il caso di Kodak, ToysRUs, Blockbuster, Nokia, Motorola, che non hanno saputo gestire con successo la rivoluzione digitale. Al di là del posizionamento iniziale, quindi, gli effetti del cambiamento possono risultare positivi o negativi soprattutto in base alla gestione dello stesso. Che nel mondo

attuale è un fondamentale elemento di successo, talvolta di sopravvivenza. Dalla rilettura de “L’origine della specie” di Charles Darwin emerge che a sopravvivere non è la specie più forte o la più intelligente ma quella più predisposta al cambiamento. Ciò è vero anche per le imprese. A prevalere nel lungo periodo non sono necessariamente quelle di maggiori dimensioni o che generano più profitti, bensì quelle che meglio gestiscono i continui cambiamenti: di trend di mercato, gusti dei consumatori, tecnologia, scenario competitivo. Ne è convinto Philip Kotler, economista di Kellogg, per cui «l’unico vantaggio competitivo sostenibile è la capacità di apprendere e di imparare più rapidamente degli altri». La chiave di volta per indirizzare il cambiamento in senso positivo è, quindi, la sua gestione. Ci sono almeno quattro modi per farlo: subirlo, opporvi resistenza, cavalcarlo, promuoverlo. Le prime due strade implicano un approccio più passivo, le altre richiedono, invece, un atteggiamento più attivo e un maggiore grado di coinvolgimento. Di fronte allo tsunami del cambiamento, che compare minaccioso all’orizzonte, subire equivale a piegarsi alla forza del vento, nella speranza di sopravvivere, ma rischiando di essere travolti.

L’economista autore de “L’onda perfetta-Cavalcare il cambiamento senza esserne travolti” ritratto all’università Harvard, dove è Senior Research Fellow, con l’attuale premier italiano, Mario Draghi

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Kodak è stata sorpresa, e travolta, dapprima dall’avvento della fotografia digitale e poi dall’introduzione dello smartphone. Blockbuster e ToysRUs sono state messe fuori mercato da streaming online ed e-commerce. Gran parte degli editori di grandi enciclopedie, come Brockhaus, Larousse e Britannica, sono stati spiazzati da internet e Wikipedia. Una seconda strategia di gestione del cambiamento consiste nell’opporre resistenza. Nella metafora meteorologica significa costruire fortificazioni che possano riparare e proteggere dall’uragano in arrivo. Motorola, Nokia, Blackberry, Sony sono esempi di note imprese che, davanti al cambiamento, non hanno adattato il modello di business. Convinte di poter resistere facendo leva su forza del marchio, posizionamento di mercato, storica preminenza tecnologica. Le prime tre hanno sottovalutato lo smartphone e sono state superate da Apple e Samsung; l’ultima non ha compreso l’importanza dell’innovazione negli schermi televisivi e dei cambiamenti nel mercato della musica ed è stata superata da Lg, Samsung e Apple. Nella moda, vari marchi di successo, tra cui Abercrombie & Fitch, Aéropostale, Sports Authority, Banana Republic, Gap, Benetton, Stefanel, hanno sottovalutato i cambiamenti di tendenza nel gusto dei consumatori, persistendo nelle proprie strategie e perdendo progressivamente


“L’onda perfetta-Cavalcare il cambiamento senza esserne travolti” (Marco Magnani, Luiss University Press, 148 pagine, 14 euro)

Marco Magnani e Joseph Eugene Stiglitz, economista e saggista statunitense vincitore del premio “Nobel” per l’economia nel 2001, a cui il Politecnico di Torino ha conferito la laurea honoris causa in ingegneria gestionale

quote di mercato. Una terza possibile reazione al cambiamento è la resilienza, cioè la capacità di affrontare e superare le avversità, di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici. Nella metafora dell’uragano essere resilienti significa, anziché costruire mura per resistere passivamente al pericolo, realizzare mulini a vento per sfruttare a proprio vantaggio la forza del vento. Fuor di metafora, la resilienza è la capacità, di un’impresa, di un sistema, di un Paese, di conservare la propria integrità e il proprio scopo fondamentale di fronte a un drastico cambiamento delle circostanze. Il cambiamento è anticipato e cavalcato, con il duplice obiettivo di proteggersi dalla minaccia e cogliere le opportunità che emergono. La capacità di cavalcare i grandi cambiamenti e trasformarli in opportunità, anziché subirli o cercare di resistervi, può essere fonte di grande successo. In àmbito aziendale gli esempi non mancano.

Barilla, Fujifilm, Netflix, Ibm hanno saputo diversificare per tempo. Nel settore della moda, Zara e H&M hanno saputo adattarsi più di altri concorrenti alle variazioni nel gusto dei consumatori. Oltre che subirlo o reagire a quello prodotto da altri, esiste poi la possibilità di promuovere il cambiamento. «Esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano, ma le fanno accadere», scriveva Sergio Marchionne ai nuovi dipendenti del gruppo Fca. Nel caso dell’impresa, ciò può significare lanciare prodotti e servizi innovativi, creare nuovi mercati, stimolare esigenze del consumatore, cambiare modello di business. E, in ogni caso, obbligare i concorrenti ad adeguarsi e a inseguire. La gestione può indirizzare il cambiamento in senso positivo. Ciò è vero anche a fronte di vere e proprie catastrofi, come l’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del Coronavirus e le sue pesanti conseguenze economiche e sociali. In poche settimane un virus ha fatto emergere la fragilità del sistema economico basato sulla globalizzazione. La pandemia ha creato panico mondiale, fatto crollare Borse, chiuso porti, aeroporti e fabbriche, fermato merci e container, interrotto flussi di turisti e di migranti. E stanno cambiando geografia produttiva e organizzazione del lavoro, relazioni commerciali tra Paesi e allocazione degli investimenti di imprese e governi, abitudini di acquisto dei consumatori e modalità di relazione tra le persone. Vi sarà

Acquista online il libro di Marco Magnani un’accelerazione nella diffusione di tecnologia in tutti gli àmbiti. Saranno scardinati equilibri economici, sociali e politici consolidati. Questa volta l’onda del cambiamento rischia di essere travolgente. Riuscire a cavalcarla, per cercare di cogliere alcune opportunità, è molto difficile. Ma non impossibile.

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Clienti Territori Persone Al centro dell’impegno del “nuovo” Gruppo Intesa Sanpaolo 14


Oltre 400 miliardi di erogazioni a medio-lungo termine: più di 140 miliardi alle famiglie, circa 120 miliardi alle aziende con fatturato fino a 350 milioni, circa 150 miliardi a imprese con fatturato superiore a 350 milioni di euro

Carlo Messina Consigliere delegato e Ceo di Intesa Sanpaolo

Elena Bottini

«C

on l’integrazione di Ubi sono entrate a far parte del Gruppo persone, competenze, storie d’eccellenza che condividono con Intesa Sanpaolo una vocazione alla sostenibilità. Ora la priorità è rilanciare il Paese. E siamo pronti a fare la nostra parte, mettendo in campo le competenze e la serietà delle persone del Gruppo e le risorse che ci derivano da ciò che oggi rappresentiamo: una delle banche leader in Europa».

Moving

Sono parole di Carlo Messina, Consigliere delegato e Ceo di Intesa Sanpaolo. Con il passaggio al nuovo sistema informatico, si è realizzato il processo di integrazione della rete Ubi Banca in Intesa Sanpaolo: un’operazione straordinaria che ha consentito di accogliere 15 mila dipendenti, 2,4 milioni di clienti, 2,6 milioni di conti correnti e mille filiali. Ne è nata una banca totalmente nuova: solida, meglio protetta rispetto a possibili scalate, italiana, ma con una visione internazionale, ai primi posti in Europa per solidità patrimoniale e redditività, ma radicata nei territori e nelle comunità in cui opera (e in Piemonte, dove mantiene la sede legale). Un grande gruppo, riconosciuto tra i più sostenibili nel mondo, in grado di rafforzare il sistema finanziario italiano, al fianco di famiglie e imprese, pronto a impegnarsi nel sociale e per la diffusione di arte e cultura: un ruolo significativo, in una fase in cui il nostro Paese sta voltando pagina verso il rilancio. La migrazione è stata preparata con la massima cura, basandosi sull’esperienza maturata nelle operazioni di fusione societarie succedutesi nel tempo: oggi Intesa Sanpaolo è il frutto dell’aggregazione di circa quattrocento tra casse di risparmio e istituti di credito territoriali, e in essa sono confluite anche competenze, solidità e vocazione territoriale di Ubi Banca, realtà dal Dna molto simile. Dal punto di vista tecnico la macchina organizzativa ha funzionato, con un lavoro complesso realizzato dalle due banche in piena pandemia e, per Cuneo, in zona rossa. Le regole di tutela hanno richiesto sforzi supplementari e causato qualche inevitabile difficoltà, ma il trasferimento dei dati è avvenuto in modo sicuro e completo. Lunedì 12 aprile le filiali erano tutte operative, le domiciliazioni reindirizzate in automatico, i principali prodotti, carte e conti correnti portati a naturale scadenza. Nei mesi precedenti, la clientela ex Ubi aveva già ricevuto il nuovo Iban. Per i clienti provenienti da Ubi Banca e Ubi Top Private (questi ultimi confluiti in Intesa Sanpaolo Private Banking) sono state create

139 PUNTI OPERATIVI

(filiali retail, exclusive, imprese più sportelli e distaccamenti)

pagine dedicate di “benvenuto” sul sito www.intesasanpaolo.com e sul sito www. intesasanpaoloprivatebanking.it. Sono state intense le attività formative: oltre 3.000 contenuti digitali pubblicati su piattaforma web, training on the job da remoto per le persone di filiale, aule a distanza per settori peculiari, gemellaggi tra filiali per assistenza su temi operativi, normativi e organizzativi.

800 PERSONE al lavoro circa

ECCELLENTE INIZIO D’ANNO: ULTERIORE CREAZIONE DI VALORE DALLA FUSIONE CON UBI BANCA L’impatto del Covid è ancora forte, ma i fondamentali dell’economia faciliteranno la ripresa. Intesa Sanpaolo è ben preparata per un contesto sfidante. Le sinergie previste dalla combinazione con Ubi, oltre un miliardo di euro all’anno, superiori alle stime

* I numeri nella provincia di Cuneo della Direzione regionale Piemonte sud e Liguria

15


14 MILA IMPRESE CLIENTI

La Direzione regionale Piemonte sud e Liguria ha sede a Cuneo, nel palazzo “Ricci D’Andonno”

iniziali, aggiungeranno valore alla posizione di leadership europea. In questo momento delicato, il Gruppo si propone come riferimento per una crescita sostenibile e inclusiva grazie a oltre 400 miliardi di euro di prestiti a medio e lungo termine a supporto del Pnrr: 140 miliardi alle famiglie, 120 miliardi alle imprese con fatturato fino a 350 milioni, altri 150 miliardi a imprese con fatturato oltre i 350 milioni. L’attività creditizia si affianca a quella per le comunità: sono raddoppiate nel 2020 a 184 milioni di euro le donazioni a favore della sanità, del sociale e della cultura, con interventi strutturali per il sistema sanitario nazionale e per portare avanti il più grande piano in Italia di contrasto alla povertà, distribuendo 17 milioni tra pasti, posti letto, farmaci e indumenti, con enti e associazioni caritative. Tutto ciò è possibile grazie ai risultati. Intesa Sanpaolo ha chiuso il primo trimestre del 2021 con un risultato netto di circa 1,5 miliardi di euro, in linea con l’obiettivo di utile netto per l’anno in corso superiore a 3,5 miliardi: il miglior trimestre dal 2008, +32%

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rispetto al primo trimestre del 2020. Il cost/income è del 46,5%, uno dei migliori in Europa. Nei primi tre mesi del 2021 le attività finanziarie della clientela sono aumentate di circa 13 miliardi di euro, per un valore totale di 1.200 miliardi; sono stati erogati circa 23 miliardi di euro di nuovo credito Mlt, di cui circa 18 miliardi a famiglie e piccole e medie imprese. Dal 2014 sono circa 126.000 le imprese italiane sostenute nel rientro “in bonis” (circa 2.900 nel solo primo trimestre 2021), preservando circa 630.000 posti di lavoro. Da inizio 2020, le sospensioni su finanziamenti a famiglie e imprese sono state pari a un valore di 101 miliardi, i

230 MILA CLIENTI

prestiti erogati con garanzia statale circa 28 miliardi, quelli concessi con garanzia Sace circa 10 miliardi.

LE RICADUTE DELLA INTEGRAZIONE PER I TERRITORI “STORICI” DI UBI BANCA I territori di radicamento storico, come il Cuneese, potranno beneficiare della forza del nuovo Gruppo e delle positive ricadute del progetto di integrazione con Ubi. L’ascolto delle esigenze ha consentito di alimentare fin da subito un dialogo costruttivo con imprenditori, enti, fondazioni territoriali e di rispondere positivamente alle istanze sul fronte della presenza, della valorizzazione delle persone e dell’occupazione.

1.13

MLD€ EROGAZIONI 2020 Dati ex rete Intesa Sanpaolo ed ex rete Ubi Banca

In tema di sostenibilità e di sostegno sociale, gli interventi previsti da Ubi non solo saranno mantenuti, ma raddoppiati. A Cuneo si insedierà anche un’unità Impact Bank, specializzata nel credito non profit e al terzo settore. Entro il 2024

* I numeri nella provincia di Cuneo della Direzione regionale Piemonte sud e Liguria


7400 MORATORIE ALLE IMPRESE per un debito residuo di 1 MILIARDO DI EURO Dati ex rete Intesa Sanpaolo ed ex rete Ubi Banca

sarà completato il piano di assunzioni di 3.500 giovani, metà dei quali nei territori più coinvolti nell’integrazione, quindi anche a Cuneo. E proprio nella Granda c’è l’intenzione di creare un centro d’innovazione comprensivo di un acceleratore startup. La presenza di un azionariato stabile e costruttivo, come quello garantito dalle fondazioni e dagli imprenditori del territorio, che hanno rappresentato la Lo scorso 12 aprile è stato il d-day della fusione con la rete Ubi Banca

Moving base e la storia di Ubi, è stato un elemento di comprensione reciproca nella costruzione del nuovo Gruppo. A maggio Intesa Sanpaolo distribuisce agli azionisti circa 700 milioni di euro di dividendi in contanti (il quantitativo massimo stabilito dal Supervisore; la parte restante sarà distribuita una volta superate le restrizioni delle Bce). Sono risorse che arriveranno dove più necessario anche per il qualificato tramite della Fondazione Crc, partner strategico per l’impatto che può avere sull’economia reale, sul sociale e sul mondo della cultura.

Andrea Perusin Direttore regionale di Intesa Sanpaolo

A Cuneo operativa la nuova Direzione regionale Dal 12 aprile, d-day della fusione, è operativa la Direzione regionale Piemonte sud e Liguria, con sede a Cuneo, in via Roma, nello storico palazzo “Ricci D’Andonno”: è una conferma dell’attenzione ai territori e alla valorizzazione delle professionalità provenienti da Ubi. Al timone della Direzione lavora Andrea Perusin, varesino, 44 anni, laurea in giurisprudenza presso l’Università statale di Milano e master universitario in gestione delle società bancarie presso il Mip-Politecnico di Milano, con una comprovata professionalità sviluppata nel Gruppo Ubi Banca, con responsabilità di strutture centrali e di reti territoriali. Perusin guida con dinamismo una delle realtà più strategiche della Banca dei territori, che si estende da Cuneo ad Asti, ad Alessandria e alla Liguria, con 332 punti operativi, oltre 2.200 persone e poco meno di 740.000 clienti. Con le deleghe sul territorio, ci saranno ancora più credito per l’economia locale del cuneese e risposte tempestive. «Le nostre imprese hanno bisogno di punti di riferimento chiari e solidi. Non possono permettersi, oggi più di ieri, di perdere occasioni di sviluppo, di investimenti e di crescita nel mercato interno e sui mercati esteri», afferma il Direttore regionale. «Gli imprenditori ci chiedono di appoggiare i loro progetti, di aiutarli a superare la fase di crisi economica provocata dalla pandemia, sostenendo il debito in un’ottica di più lungo periodo, e soprattutto di guardare positivamente al futuro». La presenza della Direzione a Cuneo consente la “messa a terra” veloce ed efficace di tutte le iniziative di Intesa Sanpaolo, in particolare quelle a sostegno delle eccellenze dei distretti, le quali hanno mostrato una buona tenuta perfino nell’anno della pandemia, e delle filiere produttive. «Dobbiamo tenere in piedi le piccole e le medie aziende, perché siano pronte a ripartire con il capofiliera», prosegue Perusin. «Per questo daremo ulteriore slancio al nostro programma filiere che conta già quasi 800 realtà e al quale abbiamo destinato altri 10 miliardi. Qui in Piemonte abbiamo sviluppato 79 contratti, coinvolgendo 3.600 imprese, con un giro d’affari di oltre 9 miliardi di euro». L’internazionalizzazione è di piena attualità, su questo si giocherà una partita fondamentale per il Paese e per una provincia vocata all’export come Cuneo. L’emergenza sanitaria ha inoltre evidenziato il ruolo della tecnologia e l’attenzione per l’ambiente. «Per questo», conclude Perusin, «abbiamo destinato alle Pmi piemontesi 4,1 miliardi di euro da investire nell’innovazione tecnologica, nella digitalizzazione, nella transizione digitale e sostenibile, nella formazione, con tutti i benefìci derivanti dalla nostra presenza internazionale e dalla capacità di accompagnamento sui mercati esteri. Per le Pmi è il momento giusto per scrivere nuove pagine di crescita concentrandosi su questi progetti, in linea con quanto scritto nel Pnrr».

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Autotrasporto delle persone e pandemia: cosa si sarebbe potuto fare e cosa andrebbe fatto

Non perdiamo l’autobus

Alcune evidenze scientifiche, in Italia e all’estero, nei mesi scorsi hanno riposizionato il trasporto pubblico di persone, in precedenza discriminato come fra i maggiori vettori dei contagi, nell’àmbito di tutte quelle situazioni di vita sociale nelle quali il rischio di contagio esiste non meno e non più rispetto ad altre realtà

Con l’autorizzazione dell’autrice, pubblichiamo come stimolo al dibattito e alla riflessione su un tema di grande attualità questo intervento di Serena Lancione, direttore generale della società di trasporto persone Bus Company, da pochi mesi presidente regionale di Anav (Associazione nazionale autotrasporto viaggiatori), redatto per “PolitichePiemonte”, rivista online promossa da Ires Piemonte.

Credo comunque che l’esperienza del primo e del secondo lockdown avrebbe dovuto evitare il reiterarsi di certe scelte di carattere organizzativo, facendo sì che venissero adottate misure più rapide ed efficaci per contenere i danni di natura economica, mettendo in sicurezza le aziende e, dunque, i lavoratori.

Serena Lancione

Una per tutte? La chiusura totale

iverse volte, in questi ultimi mesi, per il ruolo che ricopro (a settembre sono stata nominata presidente regionale di Anav), mi è stato chiesto di dare un contributo per comprendere quali siano stati gli effetti della pandemia sul settore del trasporto persone e quali potrebbero essere le prospettive di ripresa e le strategie di sviluppo. Ho preso tempo perché, nonostante sia una inguaribile ottimista, alla vigilia della terza ondata, azzardare una riflessione su tempi e modalità della ripresa è un tema arduo, ma anche sfidante. Il sistema dei trasporti purtroppo continua a essere uno dei settori più penalizzati dalla pandemia. Evidenti ragioni di carattere sanitario prevalgono, inevitabilmente e giustamente, su qualsiasi altro ragionamento.

tori in presenza.

D 18

delle scuole ivi compresi i labora-

La fiducia verso il sistema del trasporto pubblico

Le riflessioni di Serena Lancione, direttore generale di Bus Company e presidente regionale di Anav (Associazione nazionale autotrasporto viaggiatori) di contagio esiste non di meno e non di più rispetto ad altre realtà.

Dopo una prima fase in cui

È inutile sottolineare come la

abbiamo assistito ad attacchi

continua demonizzazione del bus

massicci da parte dei media nei

abbia sofferto di alcuni cortocir-

confronti del sistema del traspor-

cuiti logici, soprattutto se pensia-

to pubblico, individuato come uno

mo al numero di volte in cui tutti

dei principali veicoli di trasmis-

noi entriamo nei supermercati

sione del virus, alcune evidenze

o nei negozi e, più in generale, a

scientifiche nel frattempo inter-

quante volte ci siamo chiesti se

venute hanno riposizionato il

in questi luoghi vengano adot-

trasporto nell’àmbito di tutte

tate procedure di sanificazione

quelle situazioni in cui il rischio

e di ricambio dell’aria così come


Primo Piano avviene obbligatoriamente e tas-

fine gennaio 2021. L’acquisizione

come il dato rilevato comprenda i casi di contrazione

sativamente sui mezzi pubblici.

dei dati è stata effettuata tramite

del virus avvenuta in ogni situazione di vita del con-

Certo non mi stancherò mai di

l’inoltro di un breve questionario

ducente e, quindi, l’ipotesi di un eventuale contagio

ripetere che dobbiamo continuare

al quale hanno risposto circa

sul luogo di lavoro rappresenta solo una parte di

sempre tutti a ispirarci al princi-

ottanta aziende. Il campione

una percentuale di contagi già di per sé molto bassa.

pio di prudenza, evitando situa-

rilevato (stimato, in quanto non è

Ma quali sono le motivazioni per le quali gli autisti

zioni di probabile contagio, ma

stato chiesto il numero di condu-

dei mezzi pubblici non hanno contratto il virus in

non potendo fare a meno prima o

centi in forza all’azienda, ma solo

misura maggiore rispetto ad altre categorie? Quali

poi di riprendere a vivere, dobbia-

un range) si aggira attorno ai

sono le ragioni per cui il trasporto pubblico locale

mo trasmettere la giusta fiducia

6.000 conducenti. Molte aziende,

non è causa di un’elevata diffusione del virus?

verso il sistema del trasporto

evidentemente quelle di più ridot-

Sicuramente una serie di motivazioni, tra cui il tasso

pubblico e privato veicolando

te dimensioni, hanno segnalato

di permanenza a bordo muniti di idonea mascherina,

una informazione il più possi-

di non aver riscontrato nessun

ma, tra tutti, determinante è il sistema di sanifica-

bile completa. Questa personale

positivo al Covid-19.

zione dei mezzi. Si tratta di un sistema di prescri-

considerazione da “ buon padre

Il 20% di risposte ha visto poi

zioni di sanificazione molto approfondito, comprese

di famiglia” ritengo debba essere

indicare come tasso di contagio la

attività di abbattimento della carica batterica, di

supportata da alcune importanti

classe 1%-2%. Una quota minore

igienizzazione e disinfezione.

evidenze scientifiche e anche da

invece ha avuto tassi di contagio

Anche l’Istituto di sanità pubblica francese ha

un’indagine molto interessante

superiori. In media, dunque, si è

condotta dell’associazione nazio-

riscontrato un tasso di positività

nale di categoria, Anav appunto.

inferiore al 2%, contro un valore

L’indagine dell’Associazione nazionale autotrasporto viaggiatori

di quello nazionale (inteso come il

Anav, sul tema, ha effettuato

zia come la mansione

un’indagine interna tra le proprie

del conducente di au-

aziende associate mirata a com-

tobus non sia soggetta

prendere il tasso di diffusione del

a un maggiore rischio

Covid-19 fra il personale condu-

di contrazione del virus rispetto

cente. Diffusione generale, non

alle normali situazioni di vita

contratta a bordo autobus, perché

quotidiana.

in assenza di approfondimenti

Tra l’altro è importante notare

tasso di diffusione rispetto alla popolazione generale) che si aggira attorno al 4%. Quanto emerso dall’indagine di fatto eviden-

specifici è difficile individuare con certezza il nesso di causalità nonché il modo e il luogo con cui una autista abbia contratto il virus. L’indagine è stata eseguita nel periodo tra fine dicembre 2020 e

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Primo Piano Conclusioni Ritengo fondamentale riprendere l’obiettivo che il settore, insieme alla Regione Piemonte, si era dato già nel 2019, prima dell’inizio della pandemia: incrementare il numero di utilizzatori del servizio pubblico. A fronte di una costante diminuzione delle risorse dello Stato per finanziare il trasporto pubblico, l’attenzione massima degli operatori dev’essere rivolta ad aumentare la domanda di trasporto at-

Serena Lancione Presidente regionale di Anav

traverso un’offerta sempre più capillare. Uno sforzo, quindi, tutto mirato a sottrarre quote di traffico all’auto privata e a valorizzare gli elementi positivi dell’utilizzo del trasporto pubblico (minori costi,

Occorre pensare a come organizzarsi, finita l’emergenza sanitaria, per rendere sempre più appetibile il servizio di trasporto e per ottimizzare le risorse del Recovery fund

maggiore libertà di movimento). Questo sforzo va accompagnato dalla necessaria previsione di corsie preferenziali, togliendo qualsiasi tipo di barriera di accesso all’utilizzo del mezzo pubblico. Questi obiettivi continuano a essere qualificanti anche dopo la pandemia che sicuramente ha contribuito ad affinarli e a renderli più in linea con le criticità che il virus stesso ha messo in evidenza. Mi riferisco in particolare alla opportunità di dilatare i tempi di studio e di lavoro nell’arco della giornata. La normativa sul contingentamento dei mezzi ha portato all’evidenza di tutti come la soluzione non

pubblicato un rapporto nel quale sono stati elencati i luoghi in cui si generano i maggiori cluster di contagi (focolai di almeno tre contagiati). Dall’elenco emerge che i trasporti (in generale) sono responsabili solo dell’1% dei cluster. A generare i maggiori rischi sono invece case di riposo e strutture sanitarie, ristoranti e bar. Dunque, posto il necessario focus sulla sicurezza degli autobus, obiettivo ormai centrale nella gestione quotidiana dei servizi da parte delle aziende, in piena terza ondata è necessario un cambio di prospettiva nella visione del problema/opportunità della pandemia per il sistema del trasporto persone.

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possa essere quella di raddoppiare, oppure triplicare il parco mezzi per garantire il giusto distanziamento a bordo. Bisogna guardare ad alcune interessanti esperienze del nord Europa dove ormai da tempo è stato introdotto il concetto di off-peak on-peak: il

Oltre al tema della sicurezza e a quello della qualità del servizio, il sistema del trasporto pubblico è interessato al processo della transizione energetica. Siamo in un momento epocale per il settore. Con i finanziamenti del Recovery fund i decisori dovranno virare totalmente verso nuove alimentazioni che impatteranno anche sulla gestione delle infrastrutture nelle città. Ritengo fondamentale che il dibattito tra gli stakeholder sulla transizione energetica intervenga prima della “messa a terra” dei finanziamenti. Un’attenta analisi costi-benefìci di ogni tipologia di alimentazione per il sistema rappresenterebbe quel valore aggiunto che ci consentirebbe di avere piani industriali delle aziende, in sinergia con i piani strategici e infrastrutturali delle città. Il tema della transizione energetica porta con sé, inoltre, importanti riflessioni sul sistema degli affidamenti dei servizi: arriveranno presto tante risorse e le aziende dovranno essere pronte a investire garantendo la massima

costo e la tipologia di viaggio durante un periodo di

tempestività. Per ottenere que-

punta non può essere lo stesso di quando si viag-

sto risultato, occorrerà dunque

gia in morbida, di quando in altre parole l’autobus

rivedere il sistema dei contratti di

viaggia vuoto. Un’alternativa al modello di cui

servizio e portare avanti il siste-

sopra potrebbe essere rappresentata dalla diversa

ma Piemonte nel suo complesso.

distribuzione dei tempi di lavoro e di studio delle

Solo una visione sinergica del

città, distribuendo il traffico durante un arco tem-

settore, che tenga contestualmen-

porale della giornata più ampio. Come si può fare?

te conto della qualità del servizio,

Semplicemente posticipando gli ingressi nelle scuole

della sostenibilità ambientale,

di qualche ora. Nessuno stravolgimento di vita,

dell’equilibrio economico finan-

garantendo tempo libero ai ragazzi e per le attività

ziario delle aziende e della stabi-

sportive e per lo svago e per le relazioni familiari.

lità dei posti di lavoro può essere

Senza dimenticare che gli effetti potrebbero essere

la giusta strategia e imprimere

positivi sia per il decongestionamento del traffico, sia

l’auspicata direzione lungo la

per la piccola economia locale.

quale muoversi.



Il sindaco, Mauro Calderoni: «Vogliamo alimentare un processo aggregante e condiviso, lavorando con tutti coloro i quali vorranno contribuire a costruire un progetto forte. La nostra visione di cultura non è solo arte ed eventi in senso stretto, ma cultura dei territori: tradizione, ambiente, storia, paesaggio, lingua e perfino fede»

Devis Rosso

SALUZZO si candida a tornare capitale

S

embra trascorsa quasi un’eternità dal 4 dicembre 2020, quando il sindaco di Saluzzo, Mauro Calderoni, affiancato dal presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo, Marco Piccat, e dal manager della

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cultura, Paolo Verri, ha annunciato la scelta della città di candidarsi a Capitale italiana della cultura per il 2024. In poco più di cinque mesi, quella che pareva una sfida impossibile, sia per le dimensioni della “piccola” Saluzzo, sia per la caratura delle altre pretendenti al

titolo (Ascoli Piceno, Pesaro, Capri, Rimini, Grosseto, Catanzaro, e poi ancora Lecco, Lucca, Viareggio e Chioggia), si è trasformata in un progetto pronto a camminare sulle proprie gambe. E, qualunque sarà il risultato, il percorso di candidatura lascerà una traccia che potrà essere la linea guida su cui costruire il futuro delle Terre del Marchesato. Saluzzo si candida dunque a tornare capitale. Come l’antico Marchesato era crocevia di commerci tra l’Italia e l’Europa, Saluzzo Capitale italiana della cultura sarà lo specchio di un territorio che, dal Monviso alla pianura, si propone come modello di futuro sostenibile. Il percorso di candidatura ha individuato la propria identità: non una città “turrita”, arroccata contro le pretendenti, ma un intero territorio, che parte dal Monviso e arriva alle Langhe, pronto ad aprirsi al futuro e a nuove opportunità di crescita. «La candidatura avrà un percorso lungo», dichiara Paolo Verri, coordinatore del progetto e direttore “pro bono” della candidatura. «La sfida è molto ambiziosa, ma Saluzzo non è un “vaso di coccio” tra tanti giganti che si faranno avanti nei prossimi mesi o anni». Sarà la prima città alpina candidata a Capitale italiana della cultura, la prosecuzione di un percorso avviato da tempo con il progetto “Terres Monviso”, che ha creato una rete di 68 Comuni, e con “VéloViso”


Primo Piano

All’insegna del claim “Una montagna di futuro”, la città del Marchesato e le Terre del Monviso hanno unito il territorio a sostegno del dossier per ottenere il titolo 2024 di riferimento per la cultura in Italia Mauro Calderoni Sindaco di Saluzzo

che ha unito le valli italiane e francesi del Monviso attraverso la valorizzazione dell’offerta cicloturistica. «La nostra idea», afferma Calderoni, «è di alimentare un processo collettivo, aggregante e condiviso, lavorando con tutti coloro i quali potranno e vorranno contribuire a costruire un progetto forte ed efficace. La nostra visione di cultura è ampia, non solo arte ed eventi culturali in senso stretto, ma cultura dei territori: tradizione, ambiente, storia, paesaggio, lingua e perfino religione». La città, insomma, non corre da sola, ma si presenta come un territorio che valica anche i confini nazionali, coinvolgendo Quyras e Ubaye, per rafforzare quell’idea di fondo che il Monviso, e le montagne, non dividono, ma sono una cerniera tra le popolazioni. Non è forse un caso, dunque, se proprio qui, a cavallo del Monviso, venne costruito il primo tunnel alpino, il Buco di Viso, dal marchese Ludovico II, nel 1480, per collegare e unire Marchesato e Queyras. Partendo dalla sua storia, Saluzzo cerca il rafforzamento di un’identità comune, condivisa dal territorio. In questi mesi sono state gettate le basi attraverso una serie di incontri (purtroppo in streaming, a causa dell’emergenza sanitaria) che hanno visto tra i relatori figure di spicco del panorama universitario, economico, sportivo e sociale, ma anche i cosiddetti “stakeholder” di Saluzzo e delle valli del Monviso. Insieme sono stati analizzati i punti di forza di un territorio montano che fa della tradizione un suo punto di forza e le criticità da superare. L’Assessorato alla cultura della Regione ha garan-

Nel video a cui rimanda il QR Code: la presentazione, a dicembre 2020, della candidatura di Saluzzo e delle Terre del Monviso a capitale italiana della cultura 2024

tito il proprio sostegno. Vittoria Poggio, titolare della delega, accanto a quelle al turismo e al commercio, nell’àmbito della Giunta di piazza Castello, sottolinea: «L’audacia dei piemontesi è riconosciuta; riusciremo, anche questa volta, a fare un buon lavoro, dimostrandoci all’altezza del nostro glorioso passato». Un passato fatto non solo di Silvio Pellico, Giambattista Bodoni o i Marchesi di Saluzzo, ma che ha in questa terra, cantata già da Petrarca, Dante e Boccaccio, reminiscenze della lingua dei trovatori, una cultura europea ante litteram, una tradizione che si è conservata e si è rinnovata attraverso i secoli del Medioevo e del Rinascimento e che, oggi, è pronta a rinnovarsi guardando al futuro poggiando su solide radici. A sostegno della candidatura di Saluzzo a Capitale della cultura 2024 si sono già espressi (oltre alla Regione): Provincia di Cuneo, Unioni montane delle Terre del Monviso (Bagnolo e Barge, Comuni del Monviso, Varaita, Maira, Grana, Stura), Comuni di Bagnolo,

Guarda il video

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Primo Piano

Vittoria Poggio Assessore regionale alla cultura

Brossasco, Cardè, Casteldelfino, Cavallermaggiore, Cavour, Cuneo, Lagnasco, Manta, Moretta, Ostana, Pradleves, Rifreddo, Savigliano, Verzuolo e Villar San Costanzo, Parco del Monviso/ Mab Unesco, Diocesi di Saluzzo, Fondazione Crs, Fondazione Crc, Fondazione Crt, Compagnia di San Paolo, Politecnico di Torino, Università degli studi di Torino, Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, Uncem, Dmo Piemonte, Atl del Cuneese, Fai

Piemonte e Valle d’Aosta, Salone internazionale del libro di Torino, Fondazione Artea, Igav-Istituto Garuzzo per le arti visive, Fondazione Amleto Bertoni, Fondazione Scuola Apm-Alto perfezionamento musicale, Camera di commercio di Cuneo, Confcommercio della provincia di Cuneo, Associazione albergatori ed esercenti della provincia di Cuneo, Libera Accademia d’arte Novalia, Istituto comprensivo “Giovanni Giolitti” di Dronero, Communauté de Communes du Guillestrois et du Queyras, Communauté de Communes Serre-Ponçon, Communauté de Communes Vallée de l’Ubaye Serre-Ponçon. Come ogni percorso, anche quello di Saluzzo e del Monviso a Capitale della cultura è fatto di parole chiave. Una di queste è “giovani”, perché è con loro che Verri e il suo staff hanno deciso di correre. Proprio ai giovani (under 28) è stato affidato il compito di ideare il logo di candidatura. Il risultato è un marchio che raffigura la sagoma inconfondibile del Monviso,

ma con colori astratti, dalle tonalità brillanti. A realizzarlo è stata una grafica marchigiana di Porto San Giorgio, Ambra Rubicini. Il logo, che ben si abbina al claim della candidatura (“Una montagna di futuro”), non avrà copyright e può essere utilizzato e condiviso da tutti coloro i quali desiderano sostenere la candidatura di Saluzzo. Ai giovani è stato chiesto inoltre un impegno forte nella progettazione degli eventi. Da poco è partita la raccolta di idee per costruire le basi del dossier di candidatura a Capitale italiana della cultura 2024. Referenti sono gli animatori di territorio che possono fornire indicazioni ad associazioni ed enti sulle modalità di compilazione delle schede. La raccolta vuole raggruppare tutte le idee progettuali del territorio da selezionare e inserire nel dossier di candidatura. A guidare la scelta saranno i criteri di selezione delle Capitali della cultura espresse dal Ministero: un progetto rivolto al futuro, inclusivo, innovativo e che abbia uno sguardo d’attenzione per i giovani. Chiusa la prima parte dedicata agli incontri, Saluzzo guarda all’estate per una serie di primi eventi e mostre collegate al percorso di candidatura, dove tutto, o quasi, parlerà di territorio. A partire da “Start”, il contenitore che, fino al 27 giugno, racchiuderà eventi legati al mondo dell’arte e dell’artigianato, per arrivare alla mostra “Tesori del Marchesato” che in estate racchiuderà secoli di storia del territorio. Era appena il 4 dicembre quando venne presentato il viaggio. Da qui al 2024 c’è ancora tanta strada da percorrere, ma il percorso è tracciato.

Il Premio Roddi nel 2021 festeggia le 10.000 poesie e il nuovo Presidente L’associazione culturale “Premio Roddi” ha bandito la ventiseiesima edizione del concorso di poesia a tema libero in lingua italiana, piemontese e nelle lingue minoritarie del Piemonte. La partecipazione è gratuita e sono previsti due premi principali, l’“Alba Beccaria” dedicato ai giovani e il “Premio Roddi” riservato agli scrittori adulti. È confermato anche il premio speciale “Gianni Rodari”, dedicato agli alunni della scuola per l’infanzia. L’Associazione festeggia le diecimila poesie in 25 anni, un risultato incredibile per un premio nato per le scuole del paese e divenuto un evento riconosciuto a livello nazionale. La cerimonia di premiazione (in foto, la precedente edizione), aperta al pubblico, sarà a Roddi, nel cortile del castello, domenica 29 agosto. Intanto il Direttivo vede un passaggio del testimone: Margherita Vaira, storica presidente dell’associazione, rimane organizzatrice attiva, ma lascia la carica a Laura Della Valle. Oltre al concorso poetico sono in programma per il 2021 la seconda edizione del premio “Testimoni di bellezza” inaugurato lo scorso anno, consegnato alla poetessa Mariangela Gualtieri, e l’allestimento del tradizionale Cammino della poesia attorno alle mura del castello medievale.

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Primo Piano temporanea “Vigna magica a Barolo” allestita nella sala degli stemmi del castello Falletti, lungo il percorso del WiMu. La sala ospita due preziose testimonianze della civiltà contadina, frutto di una collaborazione con il Comune di Vesime: una coppia di stele antropomorfe in pietra arenaria, una maschile e l’altra femminile, ciò che rimane di antichi pali di testa dei filari di una La coppia di stele antropomorfe in pietra arenaria, una maschile e l’altra femminile, antichi pali di testa dei filari di una vigna esposte per tutto il 2021 nell’àmbito della mostra “Vigna magica a Barolo”

Il “Racconto infinito” iniziato con le “magiche pietre” al WiMu

Barolo città italiana del vino per tutto il 2021

I

Elena Bottini

il WiMu ha ospitato l’inaugurazione del “Racconto infinito” di Barolo città italiana del vino 2021, riconoscimento ideato e promosso dall’Associazione nazionale città del vino. Sono intervenuti il direttore del Comitato scientifico della Barolo & Castles Foundation, Tiziano Gaia, il sindaco, Renata Bianco, e il presidente della Barolo & Castles Foundation, Claudio Bogetti. Erano presenti il presidente della Regione, Alberto Cirio, l’assessore regionale all’agricoltura, Marco Protopapa, i senatori Marco Perosino e Mino Taricco, il presidente dell’Unione dei Comuni della Langa del Barolo, Roberto Passone, il presidente e il direttore di Confindustria Cuneo, Mauro Gola e Giuliana Cirio, la Fondazione Crc con Francesco Bertello, il presidente dell’Ente Turismo Langhe, Monferrato, Roero, Luigi Barbero, e il presidente nazionale delle Città del vino, Floriano Zambon. C’erano anche il presidente di Banca d’Alba, Tino Cornaglia, il presidente del Consorzio di tutela

Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani, Matteo Ascheri, e il product manager di Raspini Salumi, Alessio Ottaviano, i tre sponsor di Barolo città italiana del vino (per il programma: www.barolo-piemonte2021.it). Al termine della cerimonia è stata inaugurata l’esposizione

vigna, studiati per quarant’anni da Piercarlo Grimaldi, già rettore dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, che durante la cerimonia ha condiviso con il pubblico il racconto di queste “magiche pietre”. Nella tenuta di Fontanafredda si possono ammirare alcune riproduzioni di stele antropomorfe, ritornate nell’ambiente naturale, il vigneto. Si delinea così, con Vesime, un “triangolo magico”, un itinerario sulle tracce di una cultura antica che non smette di interrogarci sul significato più profondo del nostro rapporto con la terra e con le sue presenze simboliche e vitali.

Per definire i dettagli del programma si sono attese maggiori certezze sulle normative relative all’emergenza sanitaria


Il presidente, Carlo Rosso, spiega i significativi risultati ottenuti e i due nuovi bandi aperti sino al 30 giugno

LANGHE ROERO LEADER SOGNA IN GRANDE I Gal piemontesi sono presenti in aree di montagna e di collina e operano nell’àmbito di diversi settori in una logica di filiera (turismo, agricoltura, artigianato, patrimonio culturale, servizi...)

P

rendete un territorio che abbia caratteristiche omogenee, una serie di Comuni con l’intenzione di credere nelle rispettive caratteristiche peculiari e nella possibilità di svilupparle. Perché questo si realizzi, occorre qualcuno che sappia come convogliare risorse, capacità e mezzi adottando le

Gianni Scarpace

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misure corrette, affrontando la burocrazia magari fastidiosa, complessa e dispendiosa, ma così necessaria per ottenere risultati. Gal è l’acronimo di Gruppo di Azione Locale: ha l’obiettivo di favorire lo sviluppo di un’area rurale, sostenendo gli operatori e le amministrazioni locali in una prospettiva di lungo termine.

Il fine del Gal (Gruppo di Azione Locale) è la “valorizzazione del patrimonio architettonico e paesaggistico diffuso”, agendo in modo integrato anche su “turismo sostenibile” e “sviluppo e innovazione delle filiere e dei sistemi produttivi locali”

CHE COSA SONO E CHE COSA FANNO I GAL? Sono perlopiù società consortili costituite da soggetti pubblici, associazioni di categoria, consorzi, fondazioni, ecc. Si adoperano per valorizzare le potenzialità locali e promuovere la costituzione e il consolidamento di reti di operatori attivi sul territorio. I Gal piemontesi sono 14 e sono presenti in aree di montagna e collina, operando su diversi settori in


Primo Piano una logica di filiera (turismo, agricoltura, artigianato, patrimonio culturale, servizi). È come se il territorio si adattasse a essere esso stesso uno strumento, però ha bisogno di organizzazione, coesione, forme che il Gal sa riconoscere e potenziare. Il Gruppo di Azione Locale è uno strumento attuativo della Pac (Politica Agricola Comune). Da una parte c’è l’organizzazione del territorio, dall’altra vi sono le opportunità. Una (la prevalente) è il Programma di Sviluppo Rurale (Psr) 2014-2020 della Regione Piemon-

Il Cda del Gal Langhe Roero Leader. Al centro: Carlo Rosso (ingegnere, professore associato al Politecnico di Torino, già sindaco di Monesiglio). Da sinistra: Claudio Alberto (ex funzionario della Fondazione Crc, già presidente dell’Atl Alba, Bra, Langhe, Roero), Silvia Anselmo (vicedirettrice dell’Associazione commercianti albesi), Federica Negro (commercialista di Cortemilia) e Cesare Gilli (segretario Coldiretti, zona di Alba)

te, approvato a fine 2015, all’interno del quale i Gal gestiscono i contributi finanziari inerenti alla misura 19 Leader. Per ottenere i fondi bisogna partecipare ai bandi che il Gruppo di Azione pubblica per i diversi settori: turismo, patrimonio architettonico e paesaggistico, agricoltura, forestazione, servizi alla cittadinanza.

IL TERRITORIO: NON SOLO LANGHE Per le Langhe e il Roero, territori tra i più produttivi e caratteristici della Granda, il Gal Langhe Roero Leader, costituito nel 1992, è la società consortile a responsabilità limitata a maggioranza di capitale pubblico composto da 80 Comuni, con una superficie

Il Gruppo di Azione Locale guidato dall’ex Sindaco di Monesiglio è attivo dal 1992 e coinvolge ottanta Comuni, con 98.657 abitanti

di oltre 1.040 chilometri quadrati e 98.657 abitanti (sul territorio eligibile). Va dall’alta alla bassa Langa e include le colline della sinistra Tanaro, il Roero. «Dal 2017», dice Carlo Rosso, presidente del Gal Langhe Roero Leader e docente presso il Politecnico di Torino, «ha pubblicato nove bandi, ha ricevuto e

Regione Piemonte.

istruito 151 domande di finanziamento ammetten-

«Di fronte a dati così significati-

done 122 a contributo, mentre 19 non sono state

vi», prosegue Rosso, «è sempre

ammesse per mancanza di fondi. Sono stati 40 i Co-

più necessario, in vista della Pro-

muni beneficiari di contributi per la riqualificazione

grammazione 2021-2027, avere

di edifici ed elementi urbani tradizionali, mentre

le idee ben chiare sulla strategia

sono 82 le imprese e gli enti privati finanziati».

da perseguire grazie alle nuove

A questi numeri importanti si aggiungono quelli

risorse che arriveranno per soste-

degli altri Gal piemontesi i quali, non a caso, sono

nere e rivitalizzare le nostre aree,

al vertice delle graduatorie nazionali per capacità

finora considerate “di nicchia” o

di spesa sul territorio, motivo di orgoglio per Asso

“marginali”».

Piemonte Leader che raggruppa i Gal regionali, i

È stato così istituito un Tavolo

quali collaborano tra loro attivamente, in positiva e

tecnico territoriale (composto dai

proficua collaborazione con i competenti settori della

55 Soci del Gal) e nominato un

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Primo Piano Comitato di indirizzo (sette componenti) con l’obiettivo di coadiuvare il Cda del Gal nel fare sintesi tra più attori del territorio. Lo scopo? «Intercettare le esigenze più urgenti, in sinergia con i potenziali attori dello sviluppo locale, raccogliere idee, proposte, suggestioni per trasformarle il più rapidamente possibile in bandi e progetti concreti», precisa Rosso. «Credo molto nel valore della cooperazione trasversale tra i vari settori dell’economia, grazie all’approccio “di sistema”». Sono decine le iniziative che il Gal Langhe e Roero ha intrapreso negli ultimi anni. La strategia del Gal individua come àmbito prioritario di intervento la “valorizzazione del patrimonio architettonico e paesaggistico diffuso”, agendo in maniera integrata anche sugli altri due àmbiti connessi, il “turismo sostenibile” e lo “sviluppo e innovazione delle filiere e dei sistemi produttivi locali”. Il Piano di Sviluppo Locale del Gal Langhe Roero Leader approvato dalla Regione nel 2016 è intitolato “Prospettive panoramiche Langhe e Roero”.

DUE BANDI PER LA RIPRESA DEL TURISMO RURALE Ci sono nuove opportunità di finanziamento in arrivo per le microimprese e le aziende agricole del territorio che già svolgano attività in àmbito turistico o intendano diversificarsi in agriturismi e/o fattorie didattiche. Il Gal ha pubblicato il 12 marzo

Scopri online l’attività del Gal

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Il Comitato di indirizzo del Gal Langhe Roero Leader è composto da Luca Fusta per il Banco Azzoaglio, Tino Cornaglia per Confcooperative, Daniela Balestra per Confartigianato, Giuliana Cirio per la Camera di commerci di Cuneo, Roberto Passone per la bassa Langa, Luciana Adriano per il Roero ed Emanuele Sottimano per l’alta Langa

due bandi dal titolo “Strumenti di adattamento e adeguamento dell’attività d’impresa a nuovi scenari”. «Nascono per sostenere la tenuta delle imprese e per rispondere a reali problematiche che non avremmo mai pensato di dover affrontare», afferma il presidente Rosso. «Per questo il Gal si è prodigato per sfruttare al meglio gli strumenti messi a disposizione dall’Unione Europea e dalla Regione Piemonte per contrastare le ripercussioni causate dalla pandemia, in primis consentendo l’incremento dal 40% al 60% del contributo pubblico sugli investimenti delle imprese». Si tratta di 200.000 euro di contributi per le aziende agricole (che siano già agriturismi e/o fattorie didattiche o che intendano diventarlo) e 250.000 euro per le microimprese non agricole, corrispondenti a investimenti per un costo totale pari rispettivamente a 333.333,33 e 416.666,66 euro. Avranno così spazio investimenti destinati a creare ricadute posi-

tive in campo turistico, in modo diretto o indiretto, con possibilità in parte diverse per le aziende agricole e per le microimprese. Le domande di sostegno, da presentare entro la scadenza del 30 giugno con le modalità e nei termini indicati sul bando dedicato, potranno prevedere un importo di spesa variabile da un minimo di 3.000 a un massimo di 50.000 euro. I beneficiari dovranno concludere gli investimenti e pagare le spese entro un anno dalla comunicazione di ammissione a finanziamento. Maggiori informazioni sono riportate sul sito internet www.langheroeroleader. it, nella sezione “Bandi aperti”. «Stiamo “sognando in grande”», conclude il presidente Rosso. «È proprio questo, però, il momento opportuno per promuovere lo sviluppo integrato e inclusivo di un territorio che, per guardare al futuro, deve avere il coraggio di sperimentare, di ampliare i propri orizzonti. E il Gal può davvero farsi sostenitore e promotore di tale percorso».



Al Sociale e al “Pala Alba Capitale” ospiti di grande rilievo. Qualche giorno prima la sessione privata sarà chiamata a valutare la proposta di prorogare di due anni la presidenza Gola

Attesa per l’Assemblea annuale del 18 giugno Sopra: l’inaugurazione di Alba capitale della cultura d’impresa 2021 con il presidente di Confindustria Piemonte, Marco Gay, in dialogo con il presidente di Confindustria Cuneo, Mauro Gola

M

entre proseguono a ritmo serrato gli eventi di Alba capitale della cultura d’impresa 2021, a cui è dedicato il numero speciale di “Made In Cuneo” tuttora a disposizione di chi volesse consultarne gli approfondimenti, Confindustria Cuneo si sta preparando per l’evento “interno” più significativo dell’anno, l’Assemblea che, nella sessione privata programmata per il 10 giugno, chiamerà le aziende associate a valutare la proposta della Commissione di designazione, fatta propria dal Consiglio generale, di prorogare per un biennio l’incarico del presidente, Mauro Gola, e della sua squadra (i vicepresidenti PierPaolo Carini, Roberta Ceretto, Marco Costamagna, Elena Lovera, Amilcare Merlo, Giuseppe Miroglio, Roberto Rolfo e Bartolomeo Salomone). La parte pubblica dell’evento, inserita a pieno titolo nel cartellone di Alba capitale della cultura d’impresa, andrà in scena sabato 18 giugno tra il teatro sociale “Giorgio Busca” e il “Pala Alba Capitale” di piazza San Paolo, con una significativa appendice messa in

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calendario domenica 19. Sarà nella città delle cento torri il presidente nazionale di Confindustria, Carlo Bonomi, e interverranno ospiti di assoluto prestigio e di grande autorevolezza, attivi in vari campi, da quello imprenditoriale a quello giornalistico, da quello della cultura a quello dello spettacolo, i quali daranno vita agli imperdibili Dialoghi sull’Impresa. L’elenco, non completo, comprende nomi celeberrimi del calibro di Barbara Beltrame, Andrea Bignami, Carlo Bonomi, Milly Carlucci, Alessandra Comazzi, Ilaria D’Amico, Giovanni Di Perri, Cristina Fogazzi, Massimo Giannini, Massimo Giletti, Paola Marella, Francesca Mariotti, Paolo Mieli, Maurizio Molinari, Roberto Pavanello, Alessandro Sallusti e Marco Zatterin. Inoltre, in collaborazione con Discovery Channel, sono previsti momenti di coinvolgimento del pubblico legati ad alcune delle trasmissioni di punta del bouquet di canali appartenenti a questo network, da “Il salone delle meraviglie” a “Abiti da

sposa cercansi”, da “La casa più bella” e “Pizza Hero”. Ricordiamo che, per tutti gli eventi, è obbligatoria la prenotazione sul sito alba2021.confindustriacuneo.it, tramite il quale è possibile trovare gli aggiornamenti in tempo reale in merito agli appuntamenti di qui a dicembre. Prima della pausa estiva si terranno altri significativi appuntamenti istituzionali targati Confindustria Cuneo. Il 29 giugno si riunirà il Comitato Piccola Industria guidato da Alberto Biraghi. Sarà ospite Carlo Robiglio, presidente della Piccola Industria di Confindustria e, in quanto tale, vicepresidente


Confindustria News

Sotto: Federico Francesco Ferrero, protagonista di uno dei primi eventi al “Pala Alba Capitale” (la presentazione del progetto “Torino-Piemonte World Food Capital”), con Giuliana Cirio, direttore di Confindustria Cuneo

nazionale dell’Associazione, già intervenuto ad Alba all’inaugurazione del 7 maggio. Saranno proposti alcuni Ted talks sui temi legati alle Pmi. Il 2 luglio si svolgerà l’assemblea di Ance Cuneo, presieduta da Gabriele Gazzano, con l’intervento dell presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili, Gabriele Buia. Il 22 luglio, invece, toccherà all’assemblea annuale del Gruppo Giovani Imprenditori (Ggi) di Confindustria Cuneo, anch’essa

Carlo Bonomi Presidente nazionale di Confindustria

ospitata dal “Pala Alba Capitale”. In quella occasione il presidente, Matteo Rossi Sebaste, e la sua squadra tracceranno il bilancio del primo anno di mandato e imposteranno i nuovi progetti rientranti fra le attività del Ggi, anche con il fine di ampliare la già ampia base associativa con l’ingresso di nuovi colleghi. Non mancheranno altri eventi riguardanti molto da vicino la vita dell’Associazione, ma qui è bene sottolineare, in particolare, che il 5 e il 6 novembre ad Alba si svolgerà il Forum nazionale della Piccola Industria. Carlo Robiglio venerdì 5 guiderà la sessione privata ospitata dalla Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero. Sabato 6 la parte pubblica si terrà nel centro ricerche “Pietro Ferrero”. Si tratta dell’appuntamento annuale delle Pmi di Confindustria (circa il 98% degli associati), durante il quale, alla presenza di centinaia di imprenditori di tutta la penisola, ci sarà l’investitura della prossima città capitale della cultura d’impresa, la quale riceverà il testimone da Alba e organizzerà gli eventi del 2022.

Nicola Cosciani Cunico

Luigi Bianchessi

Consiglio generale

Consiglio generale

Nomine e nuovi incarichi

S

ono entrati a far parte del Consiglio genarela di Confindustria Cuneo Nicola Cosciani Cunico (Westport Fuel Systems Italia srl di Cherasco), come rappresentante aggiuntivo della Sezione meccanica, e Luigi Bianchessi (Famaarco spa di Bene Vagienna) subentrato al compianto Clemente Galleano, componente eletto dall’assemblea. Nuovi incarichi concernono anche alcuni funzionari dell’Associazione datoriale presieduta da Mauro Danna. I vicedirettori di Confindustria Cuneo Valerio D’Alessandro e Mauro Danna sono stati nominati, rispettivamente, nel Consiglio d’amministrazione e nel Comitato imparzialità dell’Inoq (Istituto Nord Ovest Qualità, società cooperativa con lo scopo di svolgere attività di controllo di conformità di prodotti a Denominazione di origine protetta o Indicazione geografica protetta, Specialità tradizionale garantita e Sistemi di qualità nazionale di produzione integrata e zootecnia). Nicolò Cometto (Servizio credito e finanza agevolata) è stato inserito nel tavolo tecnico per i fondi europei della Fondazione Crc.

Da sinistra: i vicedirettori di Confindustria Cuneo Valerio D’Alessandro e Mauro Danna e Nicolò Cometto (Servizio credito e finanza agevolata dell’Associazione

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L’Impiccione

Giovanni Quaglia:

una vera passione civile

È la ragion di vita del Presidente della Fondazione Crt

S Gian Maria Aliberti Gerbotto Le interviste sbarazzine

tavolta il destinatario delle nostre (non troppo) impertinenti domande è Giovanni Quaglia, presidente della Fondazione Crt e, tra l’altro, indimenticato presidente della Provincia di Cuneo ininterrottamente dal 1988 al 2004. Una sua passione. «Leggere e scrivere, ma soprattutto stare tra la gente, ascoltare e dialogare. Potrei citare il titolo del mio ultimo libro “Una passione civile” o l’appellativo che mi fu attribuito da una rivista cuneese qualche anno fa, “Il Sindaco della Granda”». Qual è lo sport più amato? «Da ragazzo pallavolo, tennis, bocce. Oggi passeggiate nei boschi della mia bellissima terra di origine, la Granda, a contatto con la natura: aiuta a pensare, a riflettere, a pregare e a rientrare in se stessi». L’hobby meglio gradito? «Partecipare ai momenti di festa e alle manifestazioni tipiche delle comunità. E, da qualche mese, giocare,

Giovanni Quaglia, presidente della Fondazione Crt, in posa con il giornalista e scrittore saluzzese Gian Maria Aliberti Gerbotto

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passeggiare con il nipotino di quasi venti mesi d’età Gregorio, godendo dello stupore che prova per tutte le cose nuove». Ha delle scaramanzie? «No, non ne ho proprio. Non credo che riti e/o amuleti possano cambiare il corso degli eventi». C’è un pogramma televisivo che lei ritiene imperdibile? «Telegiornali, celebrazioni religiose, approfondimenti come “Linea verde”, dedicati alla riscoperta della grande bellezza della natura e, perché no, della cultura, di cui il nostro Paese è davvero ricchissimo». Una pazzia fatta per amore. «Sono razionale anche in amore. Mia moglie mi scuserà... ma non ho mai fatto una vera pazzia per amore». Il personaggio storico amato. «Due grandissimi, fonte di ispirazione continua: Alcide De Gasperi e il papa santo Paolo VI». Il sogno ricorrente. «Alcuni avvenimenti legati all’infanzia e agli anni vissuti in collegio». L’ultima dieta fatta. «Nessuna, ma, essendo celiaco, devo prestare molta attenzione ai cibi e alla corretta alimentazione». Se non avesse intrapreso questa carriera, oggi sarebbe... «Forse sarei sacerdote, e magari... vescovo». A chi non rifiuterebbe mai un invito a cena? «Nessun dubbio: al presidente Sergio Mattarella che ho incontrato più

volte e che mi ha fatto l’onore di venire a visitare le Ogr di Torino poco dopo la riapertura». Cosa ha acquistato con i primi soldi a disposizione? «Al secondo anno di università riuscii a comprare una Fiat 500 bianca, di seconda mano, con le 250 mila lire faticosamente risparmiate con mia sorella. Fu una soddisfazione enorme per me che provenivo da una famiglia modesta ed ero cresciuto nel contesto di generale povertà dell’Italia post bellica. Fin da bambino sono stato educato al valore del denaro, alla necessità di prendersene cura sempre, gestendolo con attenzione, consapevolezza, rispetto. A distanza di lustri, avendo ricoperto molti ruoli al servizio delle istituzioni, sia private sia pubbliche, conservo lo stesso approccio responsabile nell’amministrazione delle risorse, a maggior ragione quando, come nel caso della Fondazione Crt, il patrimonio da amministrare trae origine dall’antico risparmio delle comunità diffuse sul territorio». La parte del corpo più seducente dell’altro sesso? «Il viso, con la bocca e gli occhi: è la parte che mi emoziona di più perché trasmette sensazioni ed emozioni». Oroscopi, sì o no? «Do una lettura di sfuggita, per curiosità, una volta alla settimana per qualche minuto, non di più». Il rito prima di andare a dormire. «Una bellissima abitudine che conservo da quando ero ragazzo: prego. trovo sia un modo per ritrovare se stessi alla fine della giornata, rendere grazie e, così, attendere con rinnovata speranza e fiducia il giorno che verrà».


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Ferrarot Franco

Un rapporto davve

Franco Ferrarotti nel suo studio romano. Nella pagina a fianco, è il primo Didascalia a sinistra: siamo nel dicembre 1948 e Adriano Olivetti sta presentando il programma del Movimento Comunità nel Teatro civico di Ivrea

Stefania Camoletto

A

bbiamo avuto il piacere di intrattenere una conversazione con Franco Ferrarotti (classe 1926), accademico, pioniere della sociologia italiana e uomo politico e d’azione al fianco di Adriano Olivetti. «Ho avuto la fortuna di vivere più vite e carriere: quella del politico, del diplomatico internazionale, del traduttore per Einaudi e, poi, del docente universitario di una disciplina che amo molto e di cui sono stato il primo cattedratico in Italia, la sociologia», è l’incipit del nostro colloquio. «Ma, se devo esser sincero, nella mia vita non breve (sorride), l’esperienza che mi ha segnato di più sotto il profilo umano e professionale è stata frutto dell’incontro con Adriano Olivetti. La nostra è stata un’amicizia lunga, cominciata un po’ per caso dopo un incontro a Torino nell’estate del ’48 presso la famiglia Levi o, meglio, da Paola Levi, prima moglie di Adriano e sorella di Natalia Ginzburg. La nostra collaborazione durò da quell’estate fino all’ultima chiamata che ricevetti nel febbraio 1960, poco prima che Adriano salisse sul treno che l’avrebbe condotto in Svizzera. In quell’occasione, mi disse di tenermi pronto per il viaggio programmato per il 7 marzo in Connecticut, ad Hartford, sede principale della Underwood (stori-

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tti

ro speciale Classe 1926, il sociologo, politologo, politico e accademico rievoca per “Made In Cuneo” i dodici anni passati a strettissimo contatto con Adriano Olivetti ca fabbrica di macchine da scrivere americana, nda), di cui Adriano aveva da poco avviato l’acquisizione. Il nostro fu un rapporto speciale: trascorsi quei dodici anni in stretto contatto con lui, le sue idee, i suoi programmi riformatori, ma senza assumere ruoli dirigenziali in azienda, come invece avvenne per Renzo Zorzi e Geno Pampaloni. Fui quindi libero di dedicarmi al Movimento Comunità e al nostro manifesto politico senza soffrire del “senso di colpa” per la doppia lealtà aziendale e culturale che, di norma, dovevano tenere in considerazione i collaboratori di Adriano. Mi telefonava tutti i sabati, ovunque io fossi: Tokyo, New York, America Latina o Svizzera».

L’Intervista In che senso, secondo lei, l’esperienza olivettiana ha segnato il corso della storia? «È difficile rispondere. Quello che posso affermare senza esitazioni è che Adriano aveva un dono che gli veniva riconosciuto all’unanimità dagli ammiratori e dai detrattori: era dotato di una straordinaria preveggenza. E questa è senza dubbio la dote che caratterizza il vero imprenditore. L’autentico creatore di industrie non è colui che aspetta le richieste del mercato, ma è chi le prevede, le crea, le inventa! Sì, Adriano era l’imprenditore schumpeteriano per eccellenza proprio per questo intreccio ineguagliabile di creatività e intuito che ha caratterizzato la sua opera e la sua visione riformatrice in largo anticipo rispetto ai tempi. Ma Olivetti non era il padrone “illuminato”, come pensiamo oggi. In primis, non si sentiva affatto il “padrone”. E poi l’aggettivo “illuminato” non rende giustizia alla complessità della sua figura: uomo angelico e calcolatore al contempo, grande teorico e ineccepibile realizzatore. Mai nella vita ho avuto modo di re-incontrare quella straordinaria e unica combinazione di profetismo e di praticità operativa. Ho cercato di dare un senso a questa combinazione unica che credo si sia realizzata perché Olivetti riuscì a incarnare uno straordinario punto di incontro e di sintesi tra due culture e grandi tradizioni etiche e comportamentali: da un lato, la tradizione giudaica che ereditò per via paterna e, dall’altro, quell’etica rigorosa, quasi protestante, che gli arrivava dalla madre valdese. Il profetismo di matrice ebraica e la dirittura morale di stampo valdese potevano fondersi e concretizzarsi solo con il realizzarsi dell’esperienza comunitaria, con la quale prese for-

ma una vera industrializzazione senza disumanizzazione. Grazie a queste influenze e al suo background culturale, la forma mentis e l’opera di Adriano possono giustamente essere concepite come universali: l’Olivetti fu una realtà internazionale che, però, non perse mai il senso “umanistico” della misura e il legame con la comunità di riferimento». Da cosa derivano, secondo lei, la grande considerazione e la rivalutazione della figura di Olivetti conferite post mortem all’imprenditore dalla generazione imprenditoriale e accademica successiva? «C’era in lui una qualità unica, ovvero la capacità di trascendere la “datità” che è la capacità di andare oltre, re-interpretando il contesto in cui si opera e lo status quo: era un capitalista che andava oltre il capitalismo e abbracciava il socialismo, a capo di un’azienda multinazionale che, però, non perse il senso e il valore delle proprie radici territoriali. Olivetti era per cultura propria

Adriano aveva un dono che gli veniva riconosciuto dagli ammiratori e dai detrattori: una straordinaria preveggenza. Il vero creatore di industrie non è colui che aspetta le richieste del mercato ma è colui che le prevede, le crea, le inventa! 35


L’immagine sopra risale all’8 dicembre 1970 e ritrae Franco Ferrarotti relatore in un convegno della Sioi (Società italiana organizzazione internazionale), in piazzetta San Marco a Roma. La fotografia a destra, invece, è datata novembre 1951: il sociologo è presso l’Università di Chicago, all’entrata del Social Sciences Building

un ingegnere con una formazione tecnica in un momento dominato dalla filosofia storicista di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Lui, però, non era storicista: da uomo intuitivo, ma al contempo pratico, credeva nel potere delle idee e nella vita concreta vissuta a livello comunitario. E la sua travolgente passione per l’urbanistica e l’architettura esprimeva il suo bisogno di concretezza. Da questo amalgama unico di pensiero filosofico-intellettuale, che pretendeva però di essere realizzato concretamente, deriva l’unicità della sua figura e della sua opera. Si potrebbe descrivere la rara e ineguagliabile duplicità dell’esistenza filosofico-pratica di Olivetti con la metafora della pianta radicata nella terra che si sprigiona in contemporanea in due direzioni: verso l’oscurità del sottosuolo e, nello stesso tempo, verso il

Era l’imprenditore schumpeteriano per eccellenza per l’intreccio ineguagliabile di creatività e di intuito che ha caratterizzato la sua opera e la sua visione riformatrice in largo anticipo rispetto ai tempi 36

cielo, verso l’alto, verso il sole». In cosa differiva, rispetto alla mentalità allora dominante, la concezione olivettiana di impresa? «Le parlo onestamente affermando che Olivetti si fece quasi odiare dal mondo industriale di allora. La pensava diversamente su tutto, tanto che a un certo momento uscì da Confindustria, nonostante fosse uno dei massimi esponenti del sistema imprenditoriale italiano. Le cito a titolo esemplificativo tre aspetti che differenziavano l’Olivetti da grandi realtà contemporanee, come ad esempio Fiat. Il primo riguarda il rapporto tra la fabbrica “comunitaria” (per dirla alla Olivetti) e la sua città. Ivrea non divenne mai, a differenza di Torino, una company-town. Il secondo aspetto riguarda lo stile imprenditoriale: l’Olivetti era sì una multinazionale, ma non era de-territorializzata e mantenne sempre forti legami con la comunità eporediese; al contempo coltivò buone dinamiche lavorative all’interno della fabbrica attraverso un uso pionieristico

della sociologia, della psicologia e delle “human relation”. A differenza di quanto ritenuto da sociologi ideologicamente motivati, come Fabrizio Onofri e Luciano Gallino, le “relazioni umane” non erano solo uno strumento di paternalismo padronale, bensì davano la possibilità, con gli studi di Elton Mayo sul piccolo gruppo di lavoro, di studiare l’effettivo vissuto operaio “di fabbrica”. Un ulteriore elemento di differenziazione riguardava la concezione di profitto che, a mio avviso, resta l’indice più sicuro e razionale della buona gestione di un’impresa. Per Olivetti il profitto non doveva essere inteso in senso meramente contabile e ragionieristico: il suo calcolo doveva includere l’osservanza delle condizioni indispensabili per l’equilibrio ecosistemico della comunità in cui l’azienda ha sede. L’impresa era perciò chiamata a contemplare un costo culturale e spese formative a vantaggio della comunità in cui era inscritta e costi di autoformazione della popolazione operaia. In


L’Intervista Si potrebbe descrivere la rara duplicità dell’esistenza filosofico-pratica di Olivetti con la metafora della pianta che cresce in contemporanea in due direzioni: verso l’oscurità del sottosuolo e, nello stesso tempo, verso il cielo, verso l’alto, verso il sole

sostanza si dovevano tenere in considerazione le istanze della comunità di fabbrica, una comunità locale composita che radunava comunità operaia e contadina locale sulle basi di un medesimo sostrato culturale comune. Il rapporto costi-profitto assumeva confini ben più ampi di quanto il mondo imprenditoriale di allora e di oggi potesse comprendere e accettare». E la vostra esperienza politica insieme? «Dal punto di vista politico, il

nostro programma prevedeva una riforma istituzionale radicale volta all’istituzione di una democrazia “dal basso”, senza partiti politici. Con oltre cinquant’anni d’anticipo, Adriano Olivetti preannunciava la crisi del sistema partitico e auspicava un ritorno al territorio, un fermo riferimento concreto alla comunità di appartenenza, una riforma apartitica incentrata sullo sviluppo locale e comunitario. La vera rivincita di Olivetti è oggi: non nel 1960, quando morì, o negli anni Cinquanta, quando espose il suo programma politico. Pagò il prezzo di questa sua visione e della sua proposta, che era in anticipo di almeno mezzo secolo, con il totale isolamento. Tra i suoi detrattori c’era chi lo accusava di essere un “utopista” e chi, invece, lo dipingeva come un “ricco signore” che poteva permettersi il lusso di pensare al benessere dell’umanità. Le accuse contro di lui non tenevano però conto di come, in meno di dieci anni e partendo dalla piccola fabbrica di mattoni rossi di Ivrea, Olivetti avesse creato una multinazionale all’avanguardia capace di competere alla pari con i colossi d’oltreoceano. Poco prima della morte aveva avviato l’acquisizione della Underwood, con la quale avrebbe certamente potuto conquistare il mercato americano tramite le sue reti di vendita. E sa qual era un’altra eccezionalità dell’Olivetti? Oltre essere all’avanguardia assoluta dal punto di vista sia della ricerca che della produzione, era un’impresa davvero indipendente, in grado di affermarsi in Italia e all’estero senza l’ausilio dei partiti e senza ricorrere ad aiuti di Stato. E questa indipendenza sui generis, per certi aspetti “anarchica”, suscitava sospetti e dava un po’ fastidio».

Nel 1961, a Roma, la prima cattedra di sociologia d’Italia Lei, professor Ferrarotti, dopo l’Olivetti, intraprese la carriera accademica: le dobbiamo l’istituzionalizzazione della sociologia nelle università italiane. «Sì, in realtà mantenni la mia vena accademica anche negli anni di intensa collaborazione con Olivetti. Lavorai fin da giovane come traduttore presso Einaudi, in stretta collaborazione con Cesare Pavese. Poi, nel 1940, mentre mi trovavo a Sanremo per delle cure termali, non di rado mi recavo nelle zone francesi non occupate dai nazisti. Nella Biblioteca di Nizza trovai i Quaderni di sociologia di Émile Durkheim e mi chiesi se non fosse possibile replicare quell’esperienza in Italia. Trovai in quella disciplina “ibrida” e originale un buon punto di incontro tra filosofia, troppo astratta e lontana da problemi concreti, e l’economia politica d’allora che si presentava ai miei occhi come troppo numerica e “matematizzante”. Fu una bella sfida: Nicola Abbagnano sosteneva che la sociologia non sarebbe mai arrivata nelle università italiane; invece io ottenni la prima cattedra, a Roma, nel 1961».

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G

Claudio Puppione

iuseppe Benedetto, noto avvocato penalista, presidente della Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica, economia e storia Onlus di Roma, ha concesso un’ampia intervista a “Made In Cuneo”. Appassionato di tematiche sociali, la sua attività scientifica e politica si è sempre contraddistinta per intransigenti posizioni a favore della salvaguardia dei diritti civili, dello sviluppo di una cultura laica, ma non laicista, e della tutela delle libertà fondamentali del cittadino contro ogni oppressione, anche quella eventuale dello Stato. Annovera tra i suoi maestri, con i quali si è intensamente rapportato, figure di politici illustri quali Giovanni Malagodi e il costituzionalista Aldo Bozzi. In un suo intervento su “La Stampa”, lei ha richiamato i valori liberali incitando «coloro che si muovono con convinzioni profonde e non per frasi fatte» a distinguersi da coloro i quali si definiscono liberali «essendo, però, quanto di più lontano possibile dal liberalismo». Può riassumere i contenuti della lettera inviata al quotidiano torinese? «Mi riferivo all’uso che si fa del termine liberale, ricordando come, per Benedetto Croce, “liberale” non fosse un aggettivo, bensì un sostantivo. Il termine è purtroppo usato spesso a sproposito. In quell’intervento mi sono, inoltre, soffermato su alcune caratteristiche fondamentali che un autentico liberale deve avere e sui profili per cui un politico di tale orientamento culturale si distingue dagli altri».

Non conosco le idee di Mario Draghi in tema di giustizia e di diritti di libertà, ma sono comuqnue convinto che egli sia il miglior presidente del Consiglio dei ministri possibile in questo momento storico 38

Bened Giuseppe

L’avvocato Giuseppe Benedetto non svolge incarichi politico-elettivi dal 1995. È stato responsabile nazionale degli enti locali del Partito liberale italiano

ESSERE “VERI” LIBERALI OGGI SI PUÒ, ANZI SI DOVREBBE Qual è la sua opinione del governo Draghi e della vasta maggioranza parlamentare che lo sostiene? «Mario Draghi non è un liberista, perché tutta la sua vita lo dimostra, e forse non è un liberale in questo momento; non so quali saranno le sue posizioni alla guida del Governo italiano. Io non conosco le idee di Draghi su alcune questioni cruciali che permettono di definire un liberale in quanto tale. Le cito, a titolo di esempio, l’idea della giustizia o dei diritti di libertà. Nonostante ciò, sono convinto che egli sia il miglior Presidente del Consiglio possibile in questo momento storico. La

maggioranza parlamentare è sempre una maggioranza parlamentare. È evidente che abbia tempo per dimostrare il suo valore. Io credo che a febbraio 2022, al momento dell’elezione del Presidente della Repubblica, si potranno tirare le fila su quanto compiuto. Posto che vi siano profonde differenze al suo interno, si consideri che il confronto parlamentare è fisiologico in una democrazia. Questa non è una maggioranza chiamata a dirimere ogni questione dello scibile umano. È tenuta a risolvere due o tre questioni che Draghi ha ben chiarito. Fronteggiare la pandemia è pre-


detto L’Intervista

Oltre che dal presidente Benedetto, il Cda della Fondazione Luigi Einaudi di Roma è composto da Davide Giacalone, Andrea Pruiti Ciarello, Carlo Nordio, Federico Tedeschini, Fabio Tomassini e Gippy Rubinetti

messa logica per poter poi affrontare la questione dei nodi dell’economia, a iniziare dal Recovery plan. Mi pare che siano tutti problemi che Mario Draghi stia tentando di risolvere. Continuo a ripetere Draghi, e non il suo governo o maggioranza, perché ritengo che si tratti di un Esecutivo alquanto marginale rispetto al suo Presidente, com’era prevedibile fin dall’inizio». Quale giudica sia la riforma più impellente per il Paese? «Non ho alcun dubbio, lo dico da tempo in maniera secca, chiara: la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente. Non è un problema che riguardi solo la giustizia. È una questione che concerne il sistema Paese. Fin quando un potere dello Stato, che per la verità in Costituzione è definito ordine e non potere, che ha evidentemente debordato, non rientra nei ranghi assegnati dalla Carta del 1948, non ne usciremo. Non ne usciremo per quanto concerne la giustizia, ma anche per l’economia e, più in generale, per la società. Il ministro Marta Cartabia ha invitato a prestare molta attenzione: se non riformiamo la giusti-

Il Presidente della Fondazione Luigi Einaudi di Roma affronta i temi dell’attualità politica e indica qual è la più impellente delle riforme per il Paese: la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente 39


La Fondazione Luigi Einaudi di Roma «promuove il liberalismo per elaborare risposte originali alla complessità dei problemi odierni legati alla globalizzazione e alla rapida evoluzione tecnologica»

«Noi siamo per la crescita felice, rispettosa dell’ambiente per noi e per i nostri figli» zia, perdiamo i soldi del Recovery plan. Vuol dire che in Europa sono ben segnalati i limiti del sistema Italia. Senza separazione delle carriere, sono pronto a fare qualunque scommessa, l’Italia non ridiventerà mai un Paese normale, come nel resto d’Europa, dove ognuno svolge il proprio ruolo. L’esecutivo, il legislativo, il giudiziario: nella nostra esperienza, uno dei tre poteri ha occupato spazi non suoi. Questo lo sosteniamo da ben prima delle denunce dell’ex presidente di Anm, Luca Palamara. E oggi la questione è sotto gli occhi di tutti». Quanto al processo di integrazione europea, con sullo sfondo la crea-

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zione degli Stati Uniti d’Europa, e quindi la fine della sovranità nazionale dei singoli Stati, un liberale “Doc” come si posiziona alla luce anche degli atti e degli impegni Ue in tema di sostegno alla ripresa post-Covid? «A favore, senza se e senza ma. Noi dobbiamo completare le riforme per avere delle istituzioni europee vere e che funzionino. Dobbiamo arrivare a un Parlamento europeo eletto a suffragio universale su liste transnazionali. In altri termini, il liberale in Germania, in Francia, in Spagna, in Italia può votare la stessa lista, così come il popolare o il socialista. E ci vuole un Governo che eviti, ad esempio, per mantenerci all’attualità, delle figure come quelle che abbiamo fatto in Turchia quando il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione dell’Unione europea, Ursula von der Leyen, hanno avuto quell’incidente con un personaggio come Recep Tayyip Erdogan. Ciò dimostra che anche le nostre istituzioni sono in qualche modo confuse. Sono necessari, dunque, un Governo europeo, un Parlamento europeo, dei partiti europei. Sarebbe il completamento logico di un lungo processo di costituzione di un’Europa unita che ha avuto nei grandi liberali del passato i padri costituenti. Qui voglio fare un nome per tutti: il ministro degli esteri Gaetano Martino». L’annunciata inevitabile svolta “green”, anche e soprattutto per quanto riguarda produzione ed economia, la convince?

«Ci sono delle scelte di fondo da fare. Noi ci stiamo lavorando come Fondazione Luigi Einaudi. Stiamo allestendo un manifesto dell’ambientalismo liberale. Troppe stupidaggini sentiamo dire ogni giorno sul tema. C’è un bellissimo libro di un ambientalista a tutto tondo, Chicco Testa, che abbiamo presentato in Fondazione poco tempo fa e che stiamo ponendo alla base del nostro impegno al riguardo, in cui dimostriamo quanti luoghi comuni e fesserie dobbiamo sorbire sul tema di un ambientalismo accattone; quello, per capirci, della “decrescita felice”. Poniamo in luce, allo stesso tempo, quanto invece c’è da fare per sfruttare anche questo tema al fine di produrre ricchezza e benessere. Noi siamo per la crescita felice, una crescita sicuramente rispettosa dell’ambiente per noi e per i nostri figli». Politica internazionale: è favorevole all’atlantismo, oppure ritiene sarebbe opportuno che l’Italia e/o l’Europa si smarcassero dagli Usa, per aprire un dialogo effettivo con la Federazione russa, oltre che con gli americani? «Qui la risposta può essere brevissima, secca. Non ho alcun dubbio: atlantismo tutta la vita, atlantismo sempre. L’Italia nel dopoguerra e poi anche l’Unione europea sono nate grazie al cosiddetto atlantismo. Anche gli Stati Uniti sono nati su questa base, per cui il rapporto è un rapporto simbiotico; è nel nostro Dna, è nel Dna degli Stati Uniti un legame così profondo. Su questa domanda la risposta, dunque, è secca. Sicuramente sì. Atlantismo ora e atlantismo nel futuro».


L’Intervista Reddito di cittadinanza e quota 100 sono misure simbolo dell’Italia dell’assistenza, in contrasto con l’Italia dell’intrapresa. Quell’intrapresa grazie a cui l’Italia del dopoguerra si rilanciò

«LA CULTURA ANTI IMPRENDITORIALE CRESCE DOVE NON CONTA IL MERITO» È un dato di fatto che, sebbene forse mitigata negli ultimi tempi, sia diffusa una cultura anti imprenditoriale, fondata su pregiudizi ideologici duri a morire. Qual è sua opinione al riguardo, Presidente? «È assolutamente così: non vi può essere alcuna cultura imprenditoriale in una società in cui non sia il merito a contare, bensì altre questioni. Farò due esempi concreti per farmi capire. Sono state operate scelte raccapriccianti. Abbiamo abolito la povertà con una photo opportunity da un balcone di palazzo “Chigi”. È stato introdotto il reddito di cittadinanza, misura criminogena, non solo perché in larghe parti del Paese abbiamo visto da chi è sfruttata, ma anche perché induce, introduce, inocula nella testa, soprattutto dei più giovani, l’idea per cui, tutto sommato, sia meglio stare a casa e prendere il reddito cittadinanza, piuttosto che cercare un’occupazione. Se poi la differenza tra il reddito di cittadinanza e il lavoro consiste in poche centinaia di euro, i cittadini sono indotti a guadagnare quelle centinaia di euro attraverso un lavoretto in nero. Ecco che cos’è l’opposto della cultura imprenditoriale: la cultura dell’assistenza. La stessa cosa potremmo dire su quota 100, anche se per fortuna sembra in via di rapido superamento. Sono le due misure simbolo dell’Italia dell’assistenza, in contrasto con l’Italia dell’intrapresa. Quell’intrapresa su cui un personaggio come Luigi Einaudi nel dopoguerra scommise tutto. Quell’intrapresa grazie a cui l’Italia in quegli anni si rilanciò».

DAI GIGANTI DELLA POLITICA DELLA PRIMA REPUBBLICA AI FUGACI LEADER ATTUALI Oggi non sono pochi coloro i quali rimpiango la cosiddetta prima Repubblica e la politica degli anni dal secondo dopoguerra a Tangentopoli. Lei cosa ne pensa e che opinione ha dei leader dei partiti spazzati via (sia i leader che i partiti) da Mani pulite? «L’idea l’ho espressa in molte occasioni. Lì si trattava di leader politici, spesso di giganti; qui si tratta di nani, nanerottoli in molte circostanze, raccattati non si sa come. La prima Repubblica aveva una serie di limiti e anche di difetti, ma ha consentito all’Italia di diventare la sesta potenza industriale ed economica al mondo. Se penso ai leader a me vicini, andando da Luigi Einaudi a Giovanni Malagodi, e a quelli più lontani, da Palmiro Togliatti a Pietro Nenni, parliamo solo di giganti della politica, della cultura e del pensiero che esprimevano. È quasi offensivo confrontare gli uomini di quella stagione con i protagonisti odierni della vita politica. Nostalgia della prima Repubblica? Potrei rispondere di sì. Ma potrei anche dire che non si vive di nostalgia. Dobbiamo, dunque, cercare di capire come migliorare il livello della classe politica, iniziando da un sistema elettorale che permetta di scegliere i migliori e non i peggiori, spesso selezionati perché fedeli al leader di partito. La fedeltà nei cani è importante. La fedeltà negli uomini invece non è il bene primario». Oggi la politica, oltre a essere purtroppo una “brutta parola” agli oc-

chi dell’opinione pubblica, è gestita da personaggi che in genere non hanno avuto alcuna formazione specifica, essendo invece seguaci di capipopolo che sanno catturare, magari per un periodo limitato di tempo, le simpatie dei cittadini. Vi è una qualche possibilità che la politica torni a essere una “cosa seria” e, soprattutto, a riprendere le effettive redini del Paese? «Vi è, più che la possibilità, la necessità, perché, se non ci poniamo questo obiettivo, il destino del Paese è segnato. Dobbiamo rientrare in Europa, dopo aver vissuto 25 anni di sbornia populista. Dobbiamo tornare alle regole europee, in cui a confrontarsi sono soprattutto famiglie politiche che hanno delle storie. In Europa ci sono i socialisti, ci sono i liberali, ci sono i popolari. Spesso si confrontano, qualche volta si alleano. Esprimono pensieri radicati, profondi. Qual è il pensiero che esprimono la maggior parte, ma potrei anche dire tutte, le forze politiche? Non lo sappiamo. Torniamo a quello che lei sottolineava nella domanda: siamo legati al leader, leaderismo di turno che di volta in volta cambia. Nella prima Repubblica hanno svolto un ruolo fondamentale, ad esempio, i movimenti giovanili. Io ho fatto parte della Gioventù liberale. Vi era la Gioventù socialista, quella comunista, quella democristiana. Erano palestre importanti in cui si sono formate intere generazioni. Da lì è nata non solo la classe politica, ma anche una classe dirigente».

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L’Intervista «SONO UN FERVENTE PRO VAX, MA PER L’OBBLIGO VACCINALE OCCORRE MOLTA PRUDENZA» Presidente, da liberale, cosa pensa dell’ipotesi di istituire l’obbligo vaccinale e del “green pass”? «Sono temi distinti. L’obbligo vaccinale non c’è e continua a non esserci. Sono un fervente pro vax, però, quando si inizia a discutere di obbligo, bisogna essere molto prudenti. Vi sono categorie per cui sembra molto difficile che si possa evitare la vaccinazione. È improcrastinabile per continuare a esercitare determinati lavori. Penso, ad esempio, ai medici. Tuttavia, a un liberale parlare di obbligo fa venire l’orticaria. Ripeto ciò, fermo restando che io sono favorevolissimo ai vaccini. Per quanto concerne il “green pass” la questione è un po’ più complessa. Tendiamo a confonderlo con il passaporto europeo. Quest’ultimo è inevitabile, perché riguarda il rapporto tra Stati, i movimenti tra Stati intraeuropei ed extraeuropei. È difficile affermare che, in un rapporto di reciprocità, si possano attribuire alcuni diritti ad alcuni e non ad altri. A ogni modo, credo si tratti di un orizzonte non rinviabile. Con riferimento a quello italiano, il “green pass” appunto, voglio capire a cosa serve, perché se serve per gli spostamenti tra regioni ha un senso secondo me molto limitato. Se servisse ad altro, sarei preoccupato. Il “green pass” per un liberale non può significare entrare o non entrare al cinema, piuttosto che al teatro o al ristorante. Però in questo Paese si parla spesso per titoli di giornali, senza affrontare il cuore del problema. Diceva il nostro eponimo, Luigi Einaudi: “Conoscere per deliberare”. Siccome non conosco, non posso neanche va-

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lutare. Quando conoscerò, formulerò un giudizio ponderato». In tema di pandemia: è totalmente d’accordo con la prescrizione delle ferree limitazioni alle libertà individuali? Non metto in dubbio la necessità di imporre precauzioni a tutela delle persone. Se vogliamo, è una domanda “teorica”, rispetto alla difesa dei diritti che abbiamo imparato a ritenere “naturali”... «Questa domanda, che ci poniamo in molti, ha un limite. Il limite risiede nel fatto che lei stesso definisce la domanda “teorica”. Non sono questioni che, a mio avviso, si possano definire restando alla teoria. Perché, se affrontate in tale prospettiva, lo scontro è inevitabile tra ideologie e, in questo caso, tra ideologie contrapposte: il securitario, il libertario, ecc. Mai nessuna questione come questa va affrontata empiricamente. Io non sono un ideologo delle chiusure, ma nemmeno di un “liberi tutti” indiscriminato. Il tema va declinato con equilibrio. Certo, alcune questioni anche di questo ultimo periodo sono un po’ difficili da comprendere. Pensiamo alla battaglia tra le 22 e le 23 per il coprifuoco e all’orario di chiusura dei ristoranti. Però anche questa mi sembra una questione di ordine ideologico. In pandemia i problemi si risolvono di volta in volta, tenendo a mente che vi sono due beni di primaria rilevanza, costituzionalmente garantiti: il diritto alla libertà e il diritto-dovere alla salute. Per un liberale il diritto alla libertà viene prima di ogni altra cosa».

“Cibo buono e sano” anche all’ospedale “Mihele e Pietro Ferrero” di Verduno Il territorio di Alba, Bra, Langhe e Roero, da sempre a vocazione enogastronomica d’eccellenza, lancia una nuova significativa sfida portando “Cibo buono e sano” in àmbito ospedaliero: buono da mangiare, buono perché di qualità e buono poiché impatta positivamente sulla spesa sanitaria. Con tali presupposti, la Fondazione Nuovo Ospedale Alba-Bra Onlus si è posizionata al primo posto della graduatoria sul bando “Sostegno a progetti di rilevanza locale promossi da soggetti del terzo settore” promosso della Regione Piemonte, ottenendo il massimo del contributo ammissibile, pari a 100.000 euro. Il progetto mira ad avviare un processo di cooperazione che definisca le caratteristiche del sistema alimentare ospedaliero, finalizzato alla realizzazione, presso l’ospedale “Michele e Pietro Ferrero” di Verduno, di una ristorazione di eccellenza, sostenibile e legata all’economia territoriale, fruibile dai pazienti, dai dipendenti e da altri utenti. Saranno messe in cantiere anche iniziative per promuovere la nutrizione come strumento di prevenzione e sicurezza alimentare, con riferimento al territoro dell’Asl Cn2. Allo scopo è stata avviata (foto sotto) la collaborazione tra la Fondazione (capofila del progetto), l’Asl Cn2, l’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo e la condotta Slow Food Alba, Langhe e Roero. Frattanto il Consiglio d’amministrazione della Fondazione Nuovo Ospedale Alba-Bra ha deliberato l’ingresso tra i soci partecipanti di Giuseppe Bernocco (foto in alto), presidente e fondatore di Tcn Group. Bruno Ceretto, presidente della Fondazione, ha commentato: «Siamo orgogliosi per l’ingresso di Giuseppe Bernocco, come socio partecipante. Avere un imprenditore del suo calibro e della sua esperienza al nostro fianco è un grande valore aggiunto. Insieme continueremo il percorso per rendere il nuovo ospedale una struttura di avanguardia». Con Bernocco salgono a 61 i soci della Fondazione (tra fondatori e partecipanti), tra i massimi esempi in Italia di ente privato a sostegno di una struttura pubblica al servizio di tutti.


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FONDAZIONE MICHELIN SVILUPPO FA CRESCERE LE PMI INNOVATIVE Il sostegno operativo alle startup del territorio è finalizzato, in particolare, alla creazione di nuovi posti di lavoro stabili Massimo Mereta Direttore di Fondazione Michelin Sviluppo

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Beppe Malò

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iunque abbia pedalato su una bicicletta, guidato un’auto, una motocicletta e persino un trattore conosce benissimo il marchio e i prodotti Michelin e lo stesso vale per gli appassionati delle gare in pista, su strada e fuoristrada. Michelin è sinonimo di velocità, di competizioni ad altissimo livello, così come di guida sicura. Gli pneumatici sono le “scarpe” con cui la nostra automobile prende contatto con la strada. Devono essere confortevoli, sicure e farci camminare bene in ogni situazione. Il marchio vale circa il 20% del mercato e la casa francese ne è uno dei leader mondiali dal 1889. Nel mondo la Michelin ha circa settanta stabilimenti che producono 180 milioni di pneumatici all’anno, venduti in 170 Paesi. In Italia, nel complesso, dà lavoro a 3.800 persone e in Piemonte conta sull’impianto produttivo cuneese (pneumatici vettura), su quello di Alessandria (pneumatici autocarro) e su quello di Torino (semilavorati e centro logistico), riferimenti internazionali per il Gruppo in termini di innovazione e di sostenibilità. La multinazionale è fra i protagonisti dell’accordo di collaborazione siglato a febbraio fra Confindustria Cuneo e Cim4.0 (Competence Industry Manufactuting 4.0) di Torino, da cui nasceranno progetti che, basati sugli hub locali costituiti da Merlo spa e Michelin Italiana spa, potranno coinvolgere, anche sul piano della formazione e dell’aggiornamento

professionale, le aziende di ogni dimensione della provincia, con condizioni di favore per le associate a Confindustria Cuneo. Simbolo di Michelin è il celeberrimo omino creato a fine Ottocento da Marius Rossillon, uno dei più antichi e più noti marchi registrati, il cui nome è Bibendum, tratto dalla frase del poeta latino Orazio «Nunc est bibendum». Forse è meno nota al grande pubblico l’attività della Fondazione Michelin Sviluppo (Fms), nata per promuovere la piccola e la media attività imprenditoriale delle zone in cui sono installati gli stabilimenti di produzione della casa di Clermont-Ferrand, offrendo un aiuto organizzativo e finanziario alle Pmi in fase di creazione o espansione, contribuendo a sostenere lo sviluppo occupazionale. Il direttore, Massimo Mereta, ne spiega a “Made In Cuneo” la natura, gli scopi e la metodologia di lavoro. «Fondazione Michelin Sviluppo», chiarisce l’ingegner Mereta, «è impegnata nel sostenere la crescita e lo sviluppo delle imprese che fanno dell’innovazione il proprio leitmotiv, in quanto la capacità di anticipare e di pilotare le evoluzioni è un elemento chiave per favorire l’occupazione non limitata al corto termine. Il contatto con le startup e le Pmi innovative è frutto della collaborazione con partner istituzionali (gli incubatori del Politecnico e dell’Università di Torino, associazioni confindustriali piemontesi, fra cui ovviamente Confindustria Cuneo, e Réseau Entreprendre) che favoriscono l’incontro fra Fondazione e


Cultura d’Impresa giovani (e meno giovani) imprenditori, impegnati in progetti sufficientemente robusti che determinano creazione di posti di lavoro. Il sostegno si traduce in un contributo economico, ma può essere integrato da azioni di collaborazione volte a favorire lo sviluppo stesso del business». La Fondazione, dunque, prende le mosse dalla presenza attiva dell’azienda nel territorio, in particolare il grande impianto produttivo di Cuneo, ponendosi l’obiettivo di un’interazione finalizzata allo sviluppo socioeconomico del territorio stesso, in sinergia con enti pubblici e privati che operano con le stesse finalità. Direttore, quali caratteristiche devono possedere le attività che vogliano candidarsi a collaborare con la Fondazione Michelin Sviluppo? «Il criterio determinante è quello di un business model, fondato su idee o proposte innovative, che dimostri la sua validità in termini di incremento della forza lavoro. Le candidature coprono

domini assai diversificati: dal settore industriale, al campo dei servizi per l’industria, al sociale, con un focus, in coerenza con la strategia del Gruppo, sulla realizzazione di soluzioni in materia di economia circolare. In questo senso si colloca anche l’intervento di sostegno (con un premio specifico attribuito da Fms) al progetto “Agribusiness Innovation Lab” promosso da Réseau Entreprendre Piemonte (Rep). I membri di questa associazione, che vede Fms fra i soci fondatori, sono professionisti e imprenditori esperti che si mettono a disposizione delle neoimprese per un accompagnamento gratuito verso il loro consolidamento. La sede è a Torino con sezioni locali ad Alba, Cuneo, Alessandria e Vercelli. Oggi conta 66 associati e 52 neoimprese convalidate dal 2011, per un totale di 260 posti di lavoro creati». Quali sono gli altri strumenti che mettete a disposizione di

startup e Pmi innovative? «Fra le azioni concrete va segnalata la programmazione, ove ritenuto interessante, dei cosiddetti “Proof Of Concept” per adattare su scala industriale soluzioni prototipali valide: questo vuol dire impegnare impianti, tecnologie e personale qualificato. In questo senso abbiamo creato una rete di corrispondenti tecnici interni incaricati di vagliare le candidature e di sostenere la sperimentazione, compatibilmente con l’attività ordinaria. Fms svolge un ruolo di interfaccia, facilitando i necessari scambi operativi fra due realtà (la Pmi e la grande azienda) caratterizzate da protocolli molto differenti fra loro. In tre anni abbiamo eseguito sedici test di prototipazione nel segno dell’open innovation: il bilancio è positivo. Uno studio che ci vede oggi molto impegnati ha per oggetto la ricerca di filiere di valorizzazione dei rifiuti prodotti dall’attività delle circa quattromila persone che operano nel sito di Cuneo: carta, plastica, contenitori in Pet, legno, rifiuti organici... raccolti, trattati e convertiti in nuovi prodotti riutilizzabili sul sito stesso. È una sfida assolutamente motivante».

Per raggiungere la neutralità di carbonio entro il 2050, il Gruppo Michelin ha un primo traguardo fissato nel 2030: ridurre del 50% le emissioni di CO2 dei propri stabilimenti rispetto al 2010 e aumentare le materie prime sostenibili in tutti i suoi prodotti fino al 40%, per raggiungere il 100% appunto entro il 2050. Fa parte della “All sustainable strategy” di Michelin la volontà di progredire negli indicatori finanziari, ambientali, sociali e culturali promuovendo innovazione, equità, sicurezza e buone pratiche industriali in ogni stabilimento, con la strategia delle tre P (People, Planet, Profit), in cui la necessità di generare profitto deve coesistere con le esigenze delle persone e del pianeta

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Il nuovo progetto internazionale di Simone Sampò

LE CHIOCCIOLE SBARCANO IN GEORGIA Simone Sampò, direttore dell’Istituto Internazionale Chiocciola Metodo Cherasco e presidente dell’Associazione Nazionale Elicicoltori (Ane), sta per tornare in Georgia

«Quando la coltura diventa cultura, il gioco è fatto» Francesca Pinaffo

U

na rivoluzione in piena regola, che parte dalla chiocciola e arriva a rivedere il concetto stesso di economia. Il principio fondante va oltre la circolarità: come la

Scopri l’Istituto di Elicicoltura

mica e la difesa della qualità. Nel mondo è già stato adottato in più di 18 Paesi. Dietro a tutto ciò, c’è colui che è ha aperto nuove strade nel campo dell’elicicoltura: Simone Sampò, direttore dell’Istituto Internazionale Chiocciola Metodo Cherasco e presidente dell’Associazione Nazionale Elicicoltori (Ane). Da quando si è avvicinato al settore, nei primi anni Duemila, ne ha compreso il potenziale, con l’ener-

spirale che caratterizza la conchiglia della lumaca,

gia trascinante di tutti coloro che

tutto è collegato, dall’allevamento al consumatore

hanno una visione e la determi-

finale. Ecco perché la spirale è il futuro: è qualcosa

nazione necessaria per concre-

in continuo divenire, secondo il paradigma in base al

tizzarla. Tra i tanti progetti, ha

quale nulla si spreca, ma tutto si modifica. È questa

dato vita a Helix, manifestazione

l’economia elicoidale, che punta alla conquista

dedicata alla chiocciola, alle sue

del mondo. Tutto parte da Cherasco, dove si trova

proprietà e al suo potenziale il cui

l’Istituto Internazionale di Elicicoltura, il punto di

epicentro è a Cherasco, nel mese

riferimento per la filiera, una fucina di progetti e di

di settembre. «Lo sostengo da

saperi, dove la sostenibilità ambientale va a braccet-

sempre: è questa l’economia del

to con l’innovazione tecnologica.

futuro e ora finalmente ce ne stia-

Oggi in Italia sono 895 gli impianti che seguono il

mo rendendo conto», esordisce.

disciplinare Chiocciola Metodo Cherasco, sviluppato

Quando lo incontriamo, è appena

come strumento per tutelare l’eccellenza gastrono-

tornato da Tbilisi, in Georgia,

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Cultura d’Impresa dove sta prendendo forma il più importante progetto dell’Istituto di Elicicoltura al di fuori dei confini nazionali. Un numero esprime la portata dell’impresa: 480 milioni di euro, il volume d’affari che si vuole realizzare da qui ai prossimi cinque anni.

Dalla cucina alla farmaceutica, alla cosmetica: un’infinità di risorse Presidente Sampò, quanti prodotti si possono ottenere da una chiocciola? «Dalla cucina alla cosmetica, passando per la farmaceutica, la chiocciola racchiude in sé moltissime risorse. Per la carne, grazie all’alimentazione vegetale prevista dal Metodo Cherasco, essa acquisisce sapori sempre più intriganti nel panorama gourmand, senza il tipico gusto di terra delle chiocciole di raccolta. In più è una carne ricca di proteine, con una percentuale minima di grassi, tanto da essere rapportata al pesce magro. Ma la chiocciola nasconde molto altro: la sua bava, esito del processo di estrazione, è molto richiesta in àmbito cosmetico e farmaceutico. Come Istituto, abbiamo brevettato il metodo di estrazione Muller, il quale offre al pubblico tre tipologie di estrattori (Muller Smart, Muller One Evolution e Muller Fibonacci) con modalità “cruelty free” che ci piace definire “la spa delle chiocciole”, molto richiesto in Italia e dagli elicicoltori stranieri. Come se non bastasse, la chiocciola è protagonista nel campo del wellness: nel 2019 è stata lanciata la Snail Therapy Experience, trattamento sensoriale che stimola i meridiani energetici con lumache vive e gusci, mentre da pochi mesi è nata la Snail Therapy Company che si occupa della produzione di cosmetica sia per la Linea S’Agapò che per i marchi in private label. Non meno importante è il lato sociale delle chiocciole, con una serie di progetti di cui andiamo fieri. Nel 2018 abbiamo attivato un innovativo progetto di pet therapy in collaborazione con l’istituto “Monsignor Signori” di Fossano, una struttura che ospita pazienti con disagi psichici, i quali hanno collaborato alla costruzione di un impianto, secondo il nostro disciplinare. La chiocciola ha un potere terapeutico, con i suoi tempi lunghi e il bisogno di cura. Abbiamo anche avviato, con l’associazione Aps Cambalache di Alessandria, un progetto di inclusione sociale e lavorativa dedicato ai migranti. Né vanno dimenticati i progetti didattici con i bambini di elementari e medie: la chiocciola è il simbolo di un nuovo modo di interpretare la vita, incentrato sul gusto di apprezzare ogni istante, lontano dai modello iperperformante presente nella nostra attuale società».

Sampò, le chiocciole si stanno facendo strada in Georgia: che cosa sta accadendo? «Siamo arrivati in Georgia due anni e mezzo fa. E da subito, sebbene non si tratti di un Paese con una tradizione di elicicoltura, abbiamo trovato un terreno fertile, inteso come la grande apertura delle istituzioni e del comparto agricolo nei confronti della nostra proposta. Vogliamo trasmettere la nostra cultura e il nostro know how per la creazione di allevamenti e di posti di lavoro. Tutto parte dalla terra, recuperata per realizzare gli allevamenti, non intensivi, sostenibili, secondo il Metodo Cherasco che si sta sviluppando sempre di più. Al centro dei nostri impianti c’è la tecnologia, esito della ricerca e del lavoro sviluppati sul campo: dalle prime lavorazioni all’estrazione della bava, per ogni passaggio puntiamo a formare addetti specializzati, in grado di seguire tutta la filiera. È fondamentale anche la fase del controllo qualità, secondo le caratteristiche organolettiche e gustative del prodotto oggetto della nostra ricerca.

L’incontro con Nino Tsilosani, presidentessa del Comitato parlamentare per le questioni agrarie e le uguaglianze di genere, e il deputato Levan Galoblishvili, vicepresidente

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il nostro metodo, ciò che vogliamo realizzare in Georgia è una grandissima operazione». Perché ha scelto la Georgia? «In primo luogo, per le condizioni climatiche ideali, ma anche per le caratteristiche dei terreni, ricchi d’acqua e molto adatti all’allevamento delle chiocciole. È importante anche la posizione geografica: è un Paese a metà strada tra Europa e Cina, quindi molto interessante dal punto di vista commerciale. Nel progetto sono presenti anche Sopra: Sampò con il ministro dell’agricoltura, Levan Davitashivili. Sotto: con l’ambasciatore italiano a Tbilisi, Enrico Valvo (primo da sinistra), e l’export manager Nadine Feghali nella sede diplomatica

importanti siti di stoccaggio per le chiocciole. L’allevatore georgiano avrà davanti a sé due possibilità: esportare il prodotto attraverso il

La spirale è il futuro, secondo il paradigma in base al quale nulla si spreca, ma tutto si modifica. È l’economia elicoidale che punta ad affermarsi nel mondo

nostro gruppo, oppure proseguire in loco con il processo di trasformazione, per quanto riguarda sia la carne che la bava, grazie ai laboratori di estrazione attivati». Il futuro sarà all’insegna dell’economia elicoidale? «Certamente! La spirale è in continuo divenire e genera sempre

Vogliamo creare una sinergia con l’Italia, facendo entrare la Georgia nella filiera delle chiocciole. A giorni sarò di nuovo a Tbilisi, per inaugurare la sede locale del nostro Istituto, segno concreto di questa importantissima collaborazione». Quali risultati punta a raggiungere? «Ho illustrato nei dettagli il nostro progetto, confrontandomi con l’ambasciatore italiano, Enrico Valvo. Poi, in Parlamento, con la presidentessa del Comitato degli affari agricoli, Nino Tsilosani, e con il ministro dell’ambiente e dell’agricoltura della Georgia, Levan Davitashvili. Quest’ultimo si è espresso molto favorevolmente sul piano che puntiamo a realizzare, parlando dell’elicicoltura come eccellenza delle Langhe, con i grandi vini e alle nocciole. Il boom di

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impianti in Georgia è già iniziato: sono una decina quelli attivi oggi, realizzati con il Metodo Cherasco. Si parte dai più piccoli, con quaranta recinti, per arrivare a quelli da quattrocento recinti. Nei prossimi anni intendiamo avviare 650 impianti, generando 80 mila posti di lavoro nell’indotto. Parliamo di un volume d’affari di quasi mezzo miliardo di euro, con un 85 per cento della produzione destinata all’esportazione e il resto alla trasformazione locale. Se si pensa che sono quasi 900 gli impianti in Italia che seguono

nuove opportunità. È una fonte di reddito inesauribile che mette al centro la tutela dell’ambiente e la valorizzazione delle persone che lavorano nella filiera. Alla base c’è un concetto chiave: quando si parla di chiocciola, nulla si butta via, ma tutto si trasforma. Per questo sono convinto che l’economia elicoidale rappresenti un’evoluzione del modello di circolarità. Quello a cui pensiamo non è solo un paradigma economico, ma un approccio assai più profondo. Lo ripeto sempre: quando la coltura diventa cultura, il gioco è fatto».



La storia dell’ottuagenaria azienda di Costigliole Saluzzo

FIM VILLOSIO

e la cultura dell’arredamento Sotto: Giuseppe Villosio (a destra) nel 1905 con un operaio nel laboratorio di Villanova Solaro

Gilberto Manfrin

S

i dice che un mobile non sia solo un pezzo di storia, ma, osservandone lo stile, magari unico e inconfondibile, può risultare molto facile collocarlo in

un’epoca ben precisa. È così che è andata con la Fim Fratelli Villosio, ottuagenaria azienda di Costigliole Saluzzo, che vede risalire le origini addirittura alla fine del XIX secolo e che ha contribuito, in modo netto e inequivocabile, a far nascere la cultura dell’arredamento in provincia di Cuneo.

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80° Tutto partì dal bisnonno Sebbene l’avvio dell’attuale attività sia da collocare agli inizi degli anni Quaranta del XX secolo, con la registrazione presso la Camera di commercio, la nascita della Fim Fratelli Villosio avviene in realtà nel lontanissimo 1894 in quel di Villanova Solaro, nel piccolo paese della zona rurale del saluzzese per iniziativa di “nonno Pinotu”, bisnonno di Nico e Marco, dipendenti nell’azienda di famiglia, ma veri motori della Fim, i quali ricordano: «Il nostro bisnonno lavorava il legno come artigiano a Villanova Solaro. In

Il primo laboratorio in realtà venne aperto nel 1894 da “nonno Pinotu” a Villanova Solaro. Le successive generazioni familiari hanno saputo evolvere, innovare e crescere

quei tempi la produzione era improntata sulla costruzione di portoni per cascine e serramenti, vista la localizzazione dell’azienda, anche perché alla fine del 1800, soprattutto in un paese rurale come Villanova Solaro dove comunque c’erano diverse falegnamerie, non esisteva ancora la cultura per l’arredamento». Giuseppe era esperto nella realizzazione di portoni in legno, si occupava di qualche riparazione, ma ben presto capì che l’attività aziendale era destinata a orientarsi verso la produzione di mobili. E così accadde.

Denominazione... patriottica La costruzione di portoni proseguì fino all’inizio della prima guerra mondiale, periodo nel quale si affiancò la produzione di cassette per contenere le munizioni. Ma la svolta era dietro l’angolo: alla fine del secondo conflitto mondiale l’attività si orientò verso la costruzione dei mobili per


Anniversari

Sopra: Pinin Villosio (succeduto nella gestione dell’azienda al papà fondatore con i fratelli Carlo e Domenico, nonno di Nico e Marco) nell’aprile 1968 saluta il ministro di grazia e giustizia, Guido Gonella, durante il quinto Salone internazionale delle arti domestiche di Torino. A destra: il primo insediamento produttivo di Costigliole Saluzzo nel 1952. Sotto: la FimVillosio nel 1974

quelle due parole (“Italiana Mobili”, ndr) c’era tutta la qualità del nostro prodotto, una garanzia per chi lo comprava».

Trasferimento a Costigliole Saluzzo

l’arredamento, essendo quello un periodo molto favorevole allo sviluppo e alla rinascita. Il deciso cambio di rotta venne facilitato dall’ingresso in azienda dei figli del fondatore e precisamente Pinin, Domenico (nonno di Nico e Marco, ndr) e Carlo, che anno dopo anno, con l’innata passione che aveva fin lì guidato il patriarca, portarono l’azienda a essere conosciuta un po’ dappertutto, in particolare per la realizzazione dei mobili in noce nazionale in stile baroc-

co. I tre fratelli decisero di dare all’azienda la denominazione Fim Fratelli Villosio, dal “retrogusto” tutto patriottico: «Si era deciso di dare il nome Fim Fratelli Villosio», prosegue Nico, «in ricordo di chi, più di 120 anni fa, gettò le basi della nostra azienda, ma anche perché Fim sta a significare Fabbrica Italiana Mobili. Se dire “fabbrica”, in quei tempi, dava “peso” all’attività, il fatto che fosse un’azienda che produceva mobile italiano era ancora più importante: dietro

Sotto la guida di Domenico, Pinin e Carlo, che nel frattempo avevano affiancato alla produzione per privati anche quella verso altri mobilifici, nel 1951 l’azienda si trasferì a Costigliole Saluzzo. Quegli anni videro la maggior espansione della Fim Fratelli Villosio che “piazzò” i propri mobili addirittura in Brianza, vera patria del mobile, dove metà della popolazione in età da lavoro faceva mobili, mentre l’alta metà li vendeva o insegnava a farli. La Fim Fratelli Villosio aveva saputo prendersi il suo spazio. La realizzazione di prodotti in noce nazionale in stile barocco restò il fiore all’occhiello della ditta fino agli inizi degli anni Ottanta.

Arriva la terza generazione Intanto, con la scomparsa di nonno Domenico, avvenuta alla fine degli anni Sessanta, si affacciò in azienda la terza generazione. Entrò Giancarlo (papà di Nico e Marco), fino a lì titolare di uno studio da geometra a Monasterolo di Savigliano, affiancando il fratello Giuseppe,

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Anniversari

Sopra: i partecipanti a una cena sociale fra dipendenti e proprietà. Sotto: l’interno della fabbrica

sempre la prima realizzata», rammenta Nico. «L’avevamo chiamata “Modello Alba”, perché in quel periodo, in occasione della Fiera del tartufo bianco ad Alba, era attiva anche una fiera per il mobile alla quale partecipammo e la denominammo così, proprio in onore della città di Alba. Era fatta in rovere, sarà stata lunga un paio di metri, formata da quattro basi e una colonna singola. Fu quasi una prova, ma fu la molla che ci lanciò a lavorare per il privato e a insistere sulle lavorazioni su misura. Da prototipo, la cucina “Modello Alba” ci convinse nel capire che eravamo diventati esperti nel fare lavorazioni su misura».

qualità di lavorazione la più alta possibile. Io sostengo che senza l’uomo le macchine non funzionano, però sanno essere più precise. Punteremo sempre su giovani ragazzi in falegnameria, orientati alla lavorazione su questo tipo di macchina in un ambiente dal “retrogusto” artigianale, ma sempre più industrializzato. Continuiamo a definirci degli “artigiani industrializzati” in quanto il nostro processo di lavorazione è artigianale, ma conforme agli sviluppi richiesti dall’Industria 4.0. E le nuove leve dovranno assolutamente essere in grado di interfacciarsi con esse».

Gli anni Novanta e i giorni nostri già in organigramma insieme agli zii Pinin e Carlo. Giancarlo e Giuseppe, notata alla fine degli anni Ottanta la flessione della richiesta del mobile barocco, iniziarono a cercare nuovi mercati, a livello internazionale, spingendosi verso la vicina Francia e in Belgio e portando l’azienda a un’espansione massima di 56 dipendenti. La produzione si fece più “di serie”: «Erano anni proficui e di guadagno», spiega Nico, «perché il mercato funzionava molto bene anche grazie alla presenza, in Francia, di consorzi che compravano mobili per più rivenditori». Tuttavia la congiuntura di quegli anni consigliò ai proprietari di rivolgere tutti gli sforzi verso il mercato interno, tra l’altro mai abbandonato, potenziando la presenza dell’azienda su mostre e fiere a livello regionale.

Le prime cucine: debutto ad Alba Dopo l’esperienza francese, alla fine degli anni Ottanta la Fim Fratelli Villosio si specializzò nella produzione di cucine: «Mi ricorderò

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L’ultimo decennio del secolo scorso vede papà Giancarlo diventare azionista di maggioranza della Fim Fratelli Villosio. Da quel periodo la società ha ai propri vertici papà Giancarlo, mamma Eulalia e lo zio Giuseppe Villosio, rimasto anch’egli in azienda. E oggi, con l’azienda che “spegne” ufficialmente ottanta candeline, quali sono i sogni e i traguardi ancora da raggiungere? Nico non ha dubbi: «Negli anni abbiamo cercato di stare al passo con i tempi per quanto riguarda la produzione, investendo parecchio e aggiornando i programmi affinché si interfacciassero al meglio con le macchine a controllo numerico, così da avere una

In alto: Nico e Marco Villosio, bisnipoti di “nonno Pinotu”, durante una fiera in Marocco, a Casablanca. Sopra, da sinistra: Giancarlo e Giuseppe Villosio, titolari con la signora Eulalia, consorte di Giancarlo, della Fim Fratelli Villosio che, se nel 2021 festeggia gli ottant’anni “ufficiali” dell’attuale società, in realtà mosse i primi passi nel 1894


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SELGHIS, cuore del comparto edilizio

L’impianto di Villanova Solaro della Selghis Calcestruzzi spa, a breve distanza dalla zona di estrazione del naturale. Al trattamento degli inerti sono associati i locali tecnici (uffici, officina, magazzino, autorimessa) e la centrale di betonaggio per la produzione di calcestruzzi preconfezionati

Claudio Puppione

S

elghis sta per “Società di Estrazione e Lavorazione GHIaia e Sabbia”. La fondò,

nell’aprile 1961, il giorno 19, per la precisione, Luigi Pairotti intercettando e anticipando l’evoluzione dell’economia locale e nazionale che stava dando il via a quel boom economico capace di portare, in pochi anni, l’Italia ai vertici fra le potenze mondiali e di fare della provincia Granda un esempio di particolare virtuosità e industriosità. Con sede amministrativa a Saluzzo e legale a Villanova

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Solaro, la Selghis Calcestruzzi spa in questi sessant’anni ha acquisito un ruolo di primo piano nel settore dell’estrazione e della lavorazione di inerti, nell’edilizia civile e industriale. Il core business è costituito dalla produzione e dalla vendita di calcestruzzi preconfezionati e dall’esecuzione di pavimentazioni industriali. Dal punto di vista produttivo la Selghis opera tramite la cava propria di estrazione inerti sita nei territori comunali di Villanova Solaro, Ruffia e Scarnafigi e sei impianti di betonaggio in funzione a Villanova Solaro, Centallo e

60°

Revello per la provincia di Cuneo e a Pinerolo, Pinasca e Trana per quella di Torino. Nella città antica capitale del Marchesato si trovano l’area della gestione del personale, la sezione finanziaria, il settore commerciale, l’area amministrativa e lavorano gli incaricati del marketing. Se nel corso dei lustri Luigi Pairotti e i figli (e ora i nipoti) hanno sempre saputo restare al passo con i tempi, aggiornando i servizi offerti alla clientela, rinnovando l’azienda e dotandola delle tecnologie e dei macchinari più moderni ed efficienti, il “segreto” che ha garantito (e garantisce) il successo aziendale, accanto all’approccio molto tecnico e altamente professionale alle sfide lavorative, è la genuinità dei rapporti coltivati con tutti gli interlocutori, elemento che dà un vantaggio determinante. Questo modo di fare impresa, tipica caratteri-


Anniversari

Tutto il materiale estratto nella cava sita nei Comuni di Villanova Solaro, Ruffia e Scarnafigi viene trattato dalla Selghis spa al fine di produrre aggregati destinati all’utilizzo in sede e nelle altre centrali di betonaggio di proprietà aziendale, attive a Centallo, Pinerolo, Pinasca e Trana

stica cuneese, contribuisce a fare la differenza rispetto alla concorrenza. È il motivo per il quale in azienda si sottolinea con orgoglio come l’attività professionale del compianto fondatore sia stata assai intensa, svolta con passione ed entusiasmo, con la costante di privilegiare i rapporti umani, la qualità dei prodotti e dei servizi offerti, credendo all’innovazione con il massimo rispetto dell’ambiente circostante. Tale orgoglio si è trasferito nella ferma determinazione di seguire l’insegnamento e l’esempio di Luigi Pairotti. «Per quanto concerne le due fasi più importanti della produzione della materia prima inerti, cioè l’estrazione e la lavorazione, si può parlare di un ciclo continuo. Detto in altre parole si attua una gestione su previsione», spiegano in azienda. «Questi due momenti della fase produttiva operano in gestione su previsione. Così facendo non si fermano i macchinari che

continuano a produrre, per poi mandare nei rispettivi magazzini (il magazzino materie prime per l’estrazione e quello dei semilavorati per il reparto di lavorazione dell’inerte) il materiale ottenuto. Nel magazzino materie prime si accumulano grandi quantità di inerte non ancora lavorato.

Dal 1961 opera nel settore dell’estrazione e della lavorazione inerti e nell’edilizia civile e industriale, producendo calcestruzzi preconfezionati ed eseguendo pavimentazioni industriali

Nel magazzino dei semilavorati sono custoditi i diversi tipi d’inerte, dopo essere passati nella fase di lavorazione che racchiude: la frantumazione primaria, il lavaggio, la vagliatura, la frantumazione secondaria e selezione, il lavaggio e la sgocciolatura delle sabbie, la chiarificazione delle acque

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Anniversari e il recupero finale dei limi. Terminate queste fasi, svolte nell’unità operativa di Villanova Solaro, si passa alla produzione e alla distribuzione del calcestruzzo preconfezionato. Gli impianti di Centallo, Revello, Pinerolo, Pinasca e Trana sono riforniti da autoarticolati con sabbia e ghiaia che effettuano, durante tutto l’arco della giornata, la spola tra a sede della lavorazione e della selezione inerti e gli impianti che confezionano il calcestruzzo». L’importanza dell’approvvigionamento dei materiali litoidi per l’industria delle costruzioni è testimoniata dai dati statistici di produzione.

Una vita all’insegna del lavoro

Nel nostro Paese circa il 75% dell’attività estrattiva di cava è dovuto alla produzione di materiali inerti e di pietre per opere civili. In Europa ben più del 50% dei materiali estratti sono di origine alluvionale e comunque di natura “sciolta”. Salvo in Italia, la tendenza è verso un aumento della quota di “frantumato” rispetto al “naturale”, nonostante la minor resa commerciale dei calcestruzzi così confezionati. La preferenza italiana per i materiali alluvionali è dovuta, da un lato, ai minori costi di produzione (estrazione e preparazione), dall’altro alle attuali maggiori difficoltà amministrative incontrate per l’apertura di nuove cave di monte. L’attività di cava in Piemonte garantisce un’occupazione diretta o indiretta di circa 30.000 persone, di cui nella sola Granda oltre 2.500 con la qualifica di lavoratori dipendenti. In tale panorama la Selghis da 60 anni rappresenta un sicuro e serio punto di riferimento.

La cava di Villanova Solaro gestita dalla Selghis spa, un giacimento il cui composto è di particolare pregio e pertanto dà origine a un prodotto di alta qualità

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Il fondatore della Selghis spa, Luigi Pairotti (foto a sinistra), classe 1922, è deceduto nel giugno 2008. A raccogliere il testimone alla guida dell’azienda sono stati i figli Francesco e Caterina (ritratti nelle altre due immagini), oggi rispettivamente presidente e vicepresidente dei Consigli d’amministrazione sia della Selghis Calcestruzzi spa che della Pab srl. Originario di Villanova Solaro, vi trascorre la giovinezza, restando legato al paese natìo anche quando, negli anni Sessanta, si trasferisce a Saluzzo. Si diploma geometra presso l’Istituto tecnico di Mondovì e si iscrive alla Facoltà di economia e commercio di Torino che frequenta sino al febbraio del 1943, quando viene arruolato al Corso allievi ufficiali-Genio alpino di Bolzano. Nell’estate del 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, dopo un lungo viaggio via Liegi, Parigi e Svizzera, torna a casa e ritrova la famiglia. Si iscrive all’Albo dei geometri e inizia l’attività professionale con incarichi di perito tecnico presso i Comuni della zona. Nel 1947 si sposa con Giuseppina Bollati e dalla loro unione nascono i due figli. Nel 1961 costituisce la Selghis con finalità estrattive. Il materiale inerte, cavato nei terreni di proprietà, viene lavorato e fornito ai cantieri pubblici e privati della zona. Il boom dell’edilizia, a fianco di quello economico nazionale del secondo dopoguerra cambia l’organizzazione del lavoro: il muratore più intraprendente crea una piccola impresa, acquisisce più lavori, avvia grandi cantieri... necessita di materiali pronti all’uso. Il geometra Pairotti percepisce questa esigenza e, nel 1968, inaugura, a Villanova Solaro, dove disponeva di un pregiato materiale inerte, un impianto di produzione e di distribuzione di calcestruzzo preconfezionato, consegnato nei cantieri con autobetoniere aziendali. Luigi Pairotti, in parallelo con l’attività imprenditoriale, si è impegnato nel sociale e ha rivestito vari incarichi pubblici. Nel 1976 gli fu conferito il Cavalierato della Repubblica italiana e nel 2003 la cittadinanza onoraria di Villanova Solaro. La Selghis è una grande famiglia che ora è passata alla seconda generazione rappresentata da Francesco e Caterina, completata dalla nuora Marinella e dai quattro nipoti, tutti operativi in azienda, e da tutte le maestranze. Ecco una bella storia di un’impresa che ha radici profonde nel territorio e che guarda al futuro con ambizione e coraggio, con passione ed entusiasmo, con grande attenzione ai rapporti umani e alla qualità dei prodotti e dei servizi offerti.



L’“Apostolo digitale” dell’Arcidiocesi di Torino Il sacerdote ha svolto un ruolo centrale nella candidatura di Torino quale Centro italiano per l’intelligenza artificiale poi assegnato dal Governo proprio alla città della Mole

L’intelligenza artificiale è una strada obbligata e l’I3A, con sede a Torino, ne costituirà il nucleo, al servizio del Paese intero

Peyron Don Luca

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Personaggi Pensare di continuare a ragionare con i modelli produttivi e di organizzazione del lavoro degli anni Ottanta è anacronistico. Chi sostiene che l’intelligenza artificiale faccia concorrenza all’industria tradizionale non è bene informato

Mariachiara Giacosa

U

n finanziamento da 80 milioni di euro e quasi mille posti di lavoro a regime. È l’identikit di I3A, l’Istituto per l’intelligenza artificiale che dovrebbe aprire a Torino ed è considerato una chiave di volta strategica non solo per la città, ma anche per l’Italia, come sostiene don Luca Peyron, direttore della Pastorale universitaria e coordinatore del servizio per l’Apostolato digitale dell’Arcidiocesi di Torino, il primo servizio di questo tipo in Italia e tra i promotori del progetto sull’intelligenza artificiale. Don Peyron, partiamo dalla fine. Nelle ultime settimane si è letto di tutto, proviamo a fare chiarezza: l’Istituto per l’intelligenza artifi-

ciale si farà a Torino, sì o no? «Il Governo ha garantito che l’I3A, l’Istituto per l’intelligenza artificiale, si fa e si fa a Torino. È stato anche chiarito che, almeno in un primo tempo, non verrà finanziato con il Recovery Plan, ovvero con le risorse del Pnrr, ma con risorse ordinarie dello Stato italiano. Credo che si sia fatto molto allarmismo su questo punto, ma l’impegno dell’Esecutivo c’è, possiamo dargli fiducia. Non è in discussione. Certo, questo è il momento di passare dalle parole ai fatti. Il fatto che il Centro non compaia nel Pnrr può non significare molto: non è una legge di bilancio e nemmeno l’elenco dei desideri dell’Italia. Il Piano è un documento di programmazione per macrotemi, di 183 pagine, è generale e non troppo di dettaglio. Le prossime settimane saranno determinanti per trasformare le promesse in realtà. Ma in questa partita è mancato finora un coordinamento. Le istituzioni hanno lavorato molto, ma forse non insieme, e la fragilità della stagione politica non ha aiutato. Spero che ora inizi una stagione nuova. La Chiesa ha accompagnato questo processo, ora forse con un ruolo più definito, speriamo di essere in grado di far la nostra parte, di essere messi in grado di farla».

con lo sviluppo sociale ed economico del Paese, non con Torino o il Piemonte, ma con l’Italia in chiave europea. A dimostrazione di quanto questo tema sia attuale anche per l’Europa, il 21 aprile la Commissione di Bruxelles ha diffuso un proprio documento sull’intelligenza artificiale gemello di quello italiano per molti aspetti. Nelle politiche europee sull’intelligenza artificiale, l’Italia non c’è, ed è un problema: il Centro potrà rappresentare il trait-d’union che oggi manca. I3A è un asset per il Paese, con il Paese, in Europa e per l’Europa. Se I3A ci fosse già, saremmo otto mesi in anticipo rispetto alle politiche europee. Invece rischiamo di essere in ritardo». Perché è così importante un Centro per l’intelligenza artificiale? «I3A non è pensato per essere una cattedrale nel deserto, ma è un tassello fondamentale per lo sviluppo di questa tecnologia, perché è un Centro di relazioni e di interessi che uno Stato deve avere. L’intelligenza artificiale non è una tecnologia qualunque, come l’idrogeno che è importante, ma non vitale. Essa sta rivoluzionando i contesti ai quali viene applicata. Cambia i rapporti di lavoro, i rapporti sociali e politici, le relazioni aziendali, cambia i modi in cui i bambini crescono, perché governa anche lo scrolling di Youtube o delle piattaforme social. Tutte cose che non capitano con altre tecnologie emergenti. L’intelligenza artificiale è trasversale rispetto Don Luca Peyron è direttore della Pastorale universitaria e coordinatore del servizio per l’Apostolato digitale dell’Arcidiocesi di Torino

Riavvolgiamo il nastro: come è nato il progetto di I3A e come la candidatura di Torino? «I3A nasce da un documento del Ministero dello sviluppo economico (Mise) che, il 3 luglio 2020, delineava le linee guida per l’Italia sull’intelligenza artificiale. È un progetto che ha a che fare con la ricerca e

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a ogni interesse, l’energia, i trasporti, le telecomunicazioni, la sicurezza, la difesa, le piccole imprese che sono il tessuto industriale del Paese e non hanno le risorse per un’attività di ricerca in proprio, e nemmeno per adattarsi a questa tecnologia, ma che avranno sempre più bisogno di robotizzazione e di intelligenza artificiale. Il Centro dev’essere il nucleo di una rete di ricerca sull’intelligenza artificiale che ne promuova anche la cultura. Questo è fondamentale per la nostra società e per le nostre imprese». E perché Torino ha le carte in regola per ospitare l’I3A? «Perché qui la ricerca di base è ben sviluppata e, per alcuni settori, può essere decisiva. Abbiamo tre atenei, il Politecnico, l’Università di Torino e

quella del Piemonte orientale, che sfornano sempre più giovani preparati su questi temi. Centri di questo tipo alimentano passioni e competenze. Poi c’è la nostra capacità produttiva industriale che parte dalle nocciole e arriva ai satelliti. Abbiamo un’enorme filiera su cui si può testare questa tecnologia, su campi d’azione molto diversificati. Questo verrà fatto mettendo insieme le eccellenze del territorio, ma anche di altri, lavorando sulla circolarità dei saperi. L’intelligenza artificiale è una tecnologia che richiede molte competenze: l’ingegnere informatico, il matematico, il fisico, l’antropologo, il filosofo e, sì, anche il teologo. Non lo dico io, lo dice il Ceo di Microsoft. È importante che il centro sia a Torino, ma questo non deve scatenare una guerra tra cam-

panili: sarà il nodo centrale di una rete, come il documento del Mise prevede». E potrebbe essere un appeal in più anche per le nostre aziende? «Per Torino e per il Piemonte rappresenta senza dubbio una nuova narrazione che non va letta in opposizione rispetto al passato. L’intelligenza artificiale non arriva per sostituisce l’automotive, di cui anzi può essere tra i tasselli di sviluppo principali. Non è contro il passato, ma si candida a riempire un oggettivo vuoto sulla capacità di attrazione del nostro territorio, dov’è sempre più difficile trovare lavoro, dove servono nuove professionalità, un indotto di terziario avanzato e nuove relazioni industriali significative. Se una multinazionale che lavora sull’intelligenza artificiale pensa di aprire una sede in Europa, magari viene ad aprirla qui, consentendo ai nostri tanti emigranti tecnologici approdati alla Silicon Valley di tornare in Italia e a Torino. L’intelligenza artificiale non è sostitutiva di ciò che esiste, ma è complementare. Pensare di continuare a ragionare con i modelli produttivi e di organizzazione del lavoro degli anni Ottanta è

Don Luca Pyron con alcuni studenti universitari e, a destra, davanti alla sede del Politecnico di Torino. Ha fondato e coordina dal 2019 il servizio per l’Apostolato digitale dell’Arcidiocesi di Torino, novità assoluta in Italia e uno delle primissime iniziative a livello globale focalizzate sulla connessione tra fede e mondo digitale

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Personaggi

«La narrazione per cui la Chiesa sia contraria alla scienza è ottocentesca ed errata, oltre che ideologica» Guarda il video

anacronistico. Chi sostiene che l’intelligenza artificiale faccia concorrenza all’industria tradizionale non è bene informato». Non è fondato il timore che i robot tolgano il lavoro alle persone? «Questo è sempre stato un territorio di sperimentazione politica e sociale: è un buon posto per verificare la portata di questo rischio e lavorare per scongiurarlo. C’è un rapporto curato dal Mit di Boston che certifica come i tempi della transizione digitale siano, nei fatti, più lenti di quanto si pensasse: ciò che ci aspettavamo capitasse in dieci

anni, accadrà in trenta. Per cui c’è tempo. Tuttavia una transizione ci sarà, abbiamo di fronte un periodo in cui il reskilling per alcune generazioni di lavoratori e di imprenditori non sarà facile. La sfida è governare la transizione con una modalità corretta e giusta, specie per chi è più fragile. Il Piemonte ha questa vocazione per la sua anima laica, e penso ad Antonio Gramsci, ma anche per la tradizione religiosa, e penso ai nostri santi sociali. Le soluzioni possono essere molto diverse, ma la sensibilità rispetto ai temi della giustizia sociale fa parte del Dna di questo pezzo d’Italia, che può essere un terreno culturale fertile per far sì che l’intelligenza artificiale non serva solo a far quadrare i conti». L’intelligenza artificiale quali vantaggi potrà portare alle imprese piemontesi? «La tecnologia e l’intelligenza artificiale per le Pmi esistono già. Spesso non esiste la consapevolezza che l’implementazione di questo sistema migliori la logistica della produzione, ferma restando la valorizzazione del capitale umano. Se la tecnologia c’è, mancano la consapevolezza e il personale capace di fare match: è un altro elemento centrale. Per le nostre imprese spesso è difficile fare il salto tecnologico: avere professionisti che aiutino a farlo, come consulenti, può essere strategico. Il solo made in Italy, e anche il made in Piemonte, non bastano contro la concorrenza: se altrove le aziende hanno più tecnologia, qui chi non ce l’ha chiude».

«Non troppo, ma questo non vuol dire che non debbano esserlo mai. Qualcuno andrà in esplorazione e porterà il suo racconto agli altri. Questo è un mondo competitivo gli indicatori economici ce lo dicono con chiarezza, se le nostre Pmi vogliono sopravvivere, devono attrezzarsi dal punto di vista tecnologico». Parliamo di lei. Come arriva un prete a occuparsi di intelligenza artificiale? «Io insegno teologia della trasformazione digitale in Cattolica a Milano e spiritualità delle tecnologie emergenti a Torino: per insegnare bisogna imparare molto di più e, quindi, aggiornarsi. Anche per questo il Vescovo di Torino mi ha affidato il servizio per l’Apostolato digitale, che è il primo in Italia, ed è un’avanguardia anche a livello globale. L’intelligenza artificiale è una grande sfida dell’umanità e il Papa ha chiesto che la Chiesa se ne occupi: la narrazione per cui la Chiesa sia contraria alla scienza è ottocentesca ed errata, oltre che ideologica. La Chiesa ha sempre pensato che ragione e libertà possano creare qualcosa di buono e giusto. Oggi sembra strano, ma spero che un giorno sia scontato che la Chiesa, nel fare quello che ha sempre fatto, consideri la trasformazione digitale uno strumento prezioso. L’intelligenza artificiale dev’essere sviluppata in maniera eticamente corretta e la Chiesa è qui per essere a servizio di questo processo».

L’intelligenza artificiale non è una tecnologia qualunque, come l’idrogeno che è importante, ma non vitale. Essa sta rivoluzionando i contesti ai quali viene applicata. Cambia i rapporti di lavoro, i rapporti sociali e politici, le relazioni aziendali, cambia i modi in cui i bambini crescono...

Ma le aziende sono pronte?

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TUTTO IL BUONO DEL DIGITALE

Q

uanto il digitale pervada le nostre vite lo tocchiamo sempre più con mano, spesso inconsapevolmente. Per capire quali impatti abbia la tecnologia web sul naturale evolversi dei processi lavorativi, ma non solo, qualche settimana fa ha debuttato su “Nelr.it-Non è la radio” il format “Confessioni digitali”, una rubrica spinta dall’innata passione per questo universo di Valerio Ferrero, fondatore e amministratore delegato di Etinet, disposto a mettersi in gioco in un’avventura comunicativa per lui decisamente nuova. «Quando Marco Malinki (l’ideatore di Nelr.it, online sui principali social network, ndr), a cui sono legato da un rapporto di amicizia, mi ha chiesto di trattare il tema del digitale», racconta l’imprenditore, «mi sono interrogato su come potessi farlo senza “scimmiottare” i tanti podcast ricchi di contenuto di alto profilo presenti in rete. Ho scelto di ritagliare il format sul territorio in cui opero da oltre vent’anni, intercettando una serie di figure del mondo imprenditoriale e dell’associazionismo cuneese per chiedere loro come il digitale abbia modificato il modo di lavorare, ma anche di vivere». Dalle prime interviste, quale situazione emerge? «Da anni tratto il tema del digitale con gli imprenditori, per cui un’idea me l’ero fatta anche prima di questo esperimento, ma ciò che noto è l’effetto pandemia che ha impresso

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Paolo Ragazzo

L’imprenditore, con la sua web agency Etinet di Savigliano (che compie 20 anni) e con le “Confessioni digitali” raccolte per la webradio Nelr.it, affronta i temi della rivoluzione tecnologica accelerata dalla pandemia un’accelerazione incredibile a questo fenomeno. Il tema, tuttavia, è sempre lo stesso: il ricorso equilibrato alle tecnologie digitali, basandosi sulle reali necessità di ciascuno, cercando di non abusarne o facendone un uso scorretto, come purtroppo accade. Voglio però sottolinearne soprattutto il lato positivo: pensiamo alla Dad, la didattica a distanza. Se è vero che la scuola dev’essere in presenza, la situazione di emergenza ha messo in luce casi in cui, ad esempio, gli studenti più timidi si siano esposti con maggior facilità, forse perché più sicuri o a loro agio nella propria camera. Ma non solo. In generale, anche sul


Valerio

Personaggi zione su Whatsapp. Per descriverlo, faccio un esempio: una banca che oggi deve garantire assistenza ai clienti su Whatsapp, attraverso questo nostro servizio riceve le richieste dei clienti su un numero unico, smistate a 20-30-100 impiegati che risponderanno in funzione delle proprie competenze e di una gerarchia stabilita a monte, tutto attraverso un’unica piattaforma gestibile via web o su App iOS e Android».

La Etinet di Savigliano aprirà una sede operativa a Torino, nel Talent Garden presso la Fondazione Agnelli, e oggi sta lanciando un prodotto unico in Italia: un orchestratore di comunicazione su Whatsapp

luogo di lavoro un uso appropriato del digitale consente di svolgere alcune mansioni a distanza, liberando tempo prezioso da impiegare in altre attività oppure per il tempo libero». Lei parla, a ragione, di un utilizzo consapevole del digitale... ma a che punto siamo? «C’è molto da lavorare, a partire dai più giovani. Ecco perché, ad esempio, tengo corsi nelle scuole, rivolti agli studenti, ma anche ai docenti, durante i quali, con una psicologa, indaghiamo l’impatto che il digitale ha avuto sulla nostra società e le implicazioni sul nostro quotidiano, soffermandoci anche su dipendenze, problemi posturali, nuove dinamiche di relazione sociale, fino ai meccanismi che generano fenomeni di cyberbullismo. Vale anche per gli utenti più adulti. Si fa fatica ad ammettere di avere una dipendenza da digitale. Io stesso non nascondo che ho intrapreso una battaglia personale per limitarne l’uso. È fondamentale, altrimenti ti ritrovi il sabato mattina che, al posto di fare un

giro in bici, stai sul divano a guardare la bacheca di Instagram». Nei mesi segnati dalla pandemia quale piega ha preso il processo di digitalizzazione? «Facendo riferimento alla mia web agency, la Etinet, che nel 2021 compie 20 anni, a inizio emergenza abbiamo avuto un sacco di richieste per la realizzazione di siti di e-commerce da parte di aziende che erano chiuse. A otto su dieci, in media, abbiamo detto di “no”, perché non era la soluzione giusta per loro: bisogna, infatti, avere determinate caratteristiche per vendere online. Ma c’è chi si è approfittato della situazione, facendo leva sulla poca conoscenza del mondo digitale, oltre che sulla necessità immediata. A distanza di qualche mese c’è un fermento diverso, più “sano” rispetto a un anno fa, quando le aziende erano mosse dalla paura. Riceviamo richieste molto più ragionate e lucide di imprenditori che vogliono capire come posizionarsi sui canali più interessanti e investire sulle nuove tecnologie. Noi stiamo lanciando un prodotto unico in Italia: un orchestratore di comunica-

A esigenze nuove servono risposte innovative. La sua azienda come si colloca in questo contesto? «Vent’anni fa c’ero solo io in azienda e il digitale era all’inizio. Oggi Etinet offre lavoro a 34 dipendenti, di età media inferiore a 27 anni, e nel 2015 è entrata nel gruppo multinazionale Register.it, con sede a Firenze, a sua volta inserito in Team Blue, un gruppo europeo leader nel “domain & hosting”. Ciò non ha snaturato la web agency, anzi, le ha dato nuova linfa permettendole di restare a Savigliano, crescendo all’interno di una realtà internazionale, tanto che a breve apriremo una sede operativa a Torino, al Tag, nel Talent Garden presso la Fondazione Agnelli, consolidandoci su un territorio su cui già siamo presenti, ma che ci permette di accedere con maggiore facilità ad alcuni profili professionali. Il prodotto “core” resta il sito web, attorno al quale però ruota tutto il resto: dai servizi di post pubblicazione del sito, a quelli funzionali per farlo conoscere, alle attività e alle strategie di posizionamento, alle campagne Google e alla gestione dei social media. In forte crescita, infine, è la sezione che sviluppa le app per i dispositivi mobile, con cui riusciamo a dare un’offerta sempre più completa ai clienti». «Di trasformazione del digitale, insomma, molto si parla, ma altro, per nulla semplice, è organizzare questo sviluppo, fatto di repentine ascese e di veloci cambiamenti. Chi non si trasforma è fuori dal mercato, ma gestire il cambiamento digitale vuol dire intraprendere un cammino senza una sosta definitiva, dove a ogni tappa ci si arricchisce di competenze e strumenti», conclude Valerio Ferrero.

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Personaggi Bruno Murialdo

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stana è il regno della calma, un luogo che potrebbe apparire in un sogno, dove il tempo ha ritmi propri, un porto dove si prende il largo verso la storia, uno spazio dell’anima e della fantasia in cui la dimensione umana trova ancora affettuosità e sorprese. Il quel borgo di pietra e di legno vive Fredo Valla, minuto, fragile, un angelo che si rifugia nella brina della vita, uno studioso di quelle “miscredenze” che hanno nutrito la nostra storia. Matita e cinema, dopo tre anni di lavoro appassionato ha completato il capolavoro “Bogre-La grande eresia europea”. Fredo e Leda, sua moglie, mi ricevono davanti alla porta di casa. Come scenografia, alle spalle abbiamo il Monviso. Con lui faccio un piccolo viaggio nella sua esistenza, un viaggio che mi porta nello spazio creativo a lui congeniale. «Sono nato a Sampeyre, in Valle Variata, 73 anni fa», mi racconta. «Mio padre era un fabbro, la mamma una casalinga, entrambi figli di contadini. La ruralità è una costante della nostra vita, vita di famiglia, ma

Un film documentario sulle orme di catari e bomomìli

BOGRE LA GRANDE ERESIA EUROPEA

Le fotografie di queste pagine sono di Bruno Murialdo, autore anche dell’intervista al grande amico Fredo Valla, scritta con il cuore in occasione del debutto del road-movie “Bogre-La grande eresia europea”

Questo movimento religioso (e non solo), diffuso in quasi tutto il continente, fino ai Balcani, dimostra come le idee riuscissero a circolare anche nel medioevo

“L’aura scuola” di Ostana è un progetto culturale ideato nel 2012 da Giorgio Diritti e Fredo Valla, in collaborazione con l’associazione “L’aura fai son vir” e con la casa di produzione Aranciafilm di Bologna

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anche la mia personale. Ho mai smesso di coltivare un orto, così come ho sempre alimentato il fiume dell’immaginazione. Ho voluto alternare il lavoro intellettuale e quello contadino con grandi vantaggi, il principale dei quali è far riposare la mente e consentire così il rifiorire di nuove riflessioni. Mi ricordo molte cose di quando ero bambino, flash che mi tornano in mente. Rammento mia mamma che stirava e facendolo cantava “Il merlo ha perso il becco”, oppure che comprava i funghi champignon e li metteva nelle “burnie”. Ricordo quando per la prima volta hanno asfaltato la strada. Noi bambini allora avevamo sempre le croste alle ginocchia, oggi non si vedono più i bambini con le croste alle ginocchia. Portavamo i pantaloni corti anche d’inverno con le calze di lana sorrette dalle giarrettiere per proteggerci un po’ dal freddo, giocavamo con gli aquiloni ed era un gran bel passatempo». «Il cinema», prosegue Fredo, «era il cinema che i genitori mi portavano a vedere: “I dieci comandamenti”, “BenHur”... Un film che mi impressionò molto fu “Il generale Della Rovere” di Roberto Rossellini, e quando penso alla mia passione per il cinema il pensiero va a quella


pellicola. Nella vita sono sempre stato lento. Anche la decisione di fare cinema è venuta abbastanza lentamente. L’ho covata per una decina d’anni, mi sembrava di essere troppo grande per mettere su una scuola. Ma volevo una scuola di cinema in Italia e non altrove. Un giorno mi imbattei in un libro, “L’esperienza di Ipotesi cinema” di Ermanno Olmi, una guida alle scuole di cinema d’Europa partendo da quella da lui stesso ideata nel 1982 (il suo metodo prevede un laboratorio collettivo, la “postazione per la memoria”, nel quale tutti i partecipanti contribuiscono alle attività di sceneggiatura, regia, ripresa e montaggio, ndr). Sentivo i contenuti di quel volume vicini alla ruralità che amo, vi si parla di

Fredo

Valla 65


Personaggi Girato in 5 linque fra Italia, Bulgaria, Occitania e Bosnia

Fredo Valla durante la realizzazione del film documentario la cui prima è stata organizzata al cinema “Massimo” di Torino e, sotto, con il fisarmonicista e compositore Walter Porro, autore della colonna sonora

un mondo simile a quello che mi raccontavano i genitori, fatto di lavoro, di fatica, di valori perduti nella dimensione del tempo che fu». Veniamo all’ultima realizzazione di Fredo Valla: «Le vicende dei catari che ho trattato in “Bogre” hanno attraversato tutta la mia vita. Mi occupo della questione occitana da quando avevo vent’anni e al suo interno si colloca anche la grande storia del catarismo. La vera “rivelazione” per questo film è arrivata nel 2005 in Bulgaria, dove mi trovavo per girare una serie di puntate di un programma televisivo prodotto da Pupi Avati. Lì ho scoperto, grazie a una studiosa, lo sviluppo della setta cristiano-gnostica dei bogomìli. Non ne avevo mai sentito parlare. Lei mi spiegò i legami fra i catari d’Occitania, quelli del resto d’Italia,

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ma anche di Bosnia, all’interno del sacro romano impero. In quel preciso momento mi si è accesa una lampadina: questo grande movimento eretico, diffuso in quasi tutto il continente, fino ai Balcani, in qualche modo aveva disegnato la mappa dell’Europa prima ancora che essa venisse considerata “Europa” come realtà aggregata». Fredo Valla tiene a ringraziare di cuore tutti quelli che hanno collaborato alla realizzazione del film: «Cito Walter Porro che, oltre a essere un grande amico, collabora da molto tempo alla realizzazione delle colonne sonore, come ha fatto per “Non ne parliamo di questa guerra” e per “Più in alto delle nuvole”; Andrea Fantino ed Elia Lombardo per la fotografia, il suono e molto altro; la Chambra D’òc per aver creduto nel progetto con autentico passione; i tantissimi donatori che hanno sostenuto il film con sovvenzioni grandi e piccole. Più in generale, la mia profonda gratitudine è rivolta a tutti gli amici per il clima di affetto e di cordialità a cui hanno dato vita intorno al complesso progetto che ha appena visto la luce».

“Bogre-La grande eresia europea” è stato proiettato in anteprima al cinema “Massimo” di Torino. Il film documentario, di e con Fredo Valla, della durata di 200 minuti, conta sulla partecipazione di Giovanni Lindo Ferretti e Olivier de Robert, oltre che di Muriel Batbie-Castell, Gérard Zuchetto, Alain Vidal, Luca Occelli e Dario Anghilante. È una coproduzione Chambra D’òc-IncandenzaFilm-Lontane Province Film, con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte-Piemonte Doc Film Fund, Stefan Nojkov Foundation e Fondazione Shapdiz di Sofia, Cirdoc-Institut de cultura occitana, Istituto Lorenzo de Medici, Centro Ivan Dujcev, Espaci Occitan. L’opera racconta un lungo viaggio sulle tracce di catari e bogomìli, eretici del medioevo diffusi dai Balcani all’occidente europeo. In lingua d’oc bogre (si legge bugre) significa bulgaro, ma da secoli la parola ha assunto il significato di inetto, babbeo, colui che maschera la verità. Dal XII secolo bogre divenne un insulto diretto ai catari d’Occitania, assimilati al movimento dei bogomìli bulgari, da cui il catarismo occidentale derivava: questo rapporto è la testimonianza di un medioevo tutt’altro che buio e immobile, nel quale le idee viaggiavano da un capo all’altro dell’Europa. Girato attraverso Bulgaria, Italia, Occitania, Bosnia e in cinque lingue (bulgaro, francese, occitano, italiano e bosniaco), il film ricostruisce le relazioni tra i due movimenti. Storia di idee, di religioni, di incontri, di persone, di poteri, “Bogre” parte da una persecuzione dimenticata per fare luce sulle intolleranze del passato e del presente. «Le vicende di questi eretici», spiega il regista, «trovano un parallelo in storie a noi più vicine, come la shoah, il genocidio armeno, l’intolleranza verso chi e diverso da noi e viene a “invadere” l’occidente civilizzato: i bogre di oggi. È una storia estirpata dai libri di storia, ma che, purtroppo, ritorna puntuale nel corso dei secoli».

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*previa verifica dei requisiti di accesso indicati dal bando. Finanziato da POR FSE 20214-2020 a carico del Fondo Sociale Europeo e della Regione Piemonte


RESILIENZA: ALLA RIVA ACCIAIO SANNO BENE COS’È

Nello stabilimento di Lesegno lavorano 320 dipendenti La qualità intrinseca dell’acciaio di resistere agli urti senza rompersi è il simbolo della ripresa post Covid che punta sull’innovazione e sulle nuove assunzioni Alberto Prieri

«P

er chi lavora nel campo della siderurgia, parlare di resilienza è la norma, perché è una delle caratteristiche meccaniche dell’acciaio: è la sua capacità di resistere agli urti senza rompersi, un po’ quello che hanno fatto tutte le grandi aziende nel periodo del Covid, a maggior ragione le acciaierie». Una battuta che unisce ironia e realtà, quella dell’ingegner Valerio Bisio, presidente e consigliere del Cda di Riva Acciaio ed ex direttore dello stabilimento di Lesegno. È l’unica acciaieria

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elettrica rimasta in provincia di Cuneo, nella quale lavorano 320 dipendenti. «Quella che il compianto sindaco, Romano Luciano, definiva “una diga” fondamentale per evitare lo spopolamento dei paesi di questa zona, dall’alta Langa alle montagne, fino a Mondovì», racconta l’ingegner Bisio, confermando il radicamento sul territorio dello stabilimento. La cui storia, soprattutto quella recentissima, è fatta di parole e di persone. «Pandemia è la prima», riprende Bisio. «Quando abbiamo cominciato a sentirla siamo rimasti spiazzati: non siamo virologi, non ne sapevamo nulla, ma capivamo che non sarebbe stato facile affrontare la situazione». In accordo con i sindacati, secondo i protocolli d’intesa firmati tra le parti, la produzione è stata sospesa nel marzo 2020. Ancora Bisio: «Se già questa fase non è stata facile, ancora più difficile è stato mantenere vivo il rapporto con i clienti, chiedere al Prefetto l’autorizzazione a spedire la merce pronta in magazzino reclamata dalle aziende italiane ed estere che usano i nostri acciai nelle linee di produzione alimentari e farmaceutiche, ancora pienamente operative. In sintesi, è stato difficile gestire l’inerzia, ecco la seconda parola: l’inerzia ad avanzare che aveva

prima lo stabilimento in attività e, una volta ripreso il lavoro, l’inerzia a rallentare che la sospensione aveva determinato». A maggio 2020 la ripartenza vera e propria ha coinciso con una nuova fase espansiva della Riva Acciaio a Lesegno. Le difficoltà sono state più organizzative che produttive, ad esempio riorganizzare la mensa, l’uso degli spogliatoi e dei servizi igienici (soprattutto per i tanti autotrasportatori che vanno e vengono e che non possono più usare quelli riservati ai dipendenti). «Superati questi problemi, anche grazie al fatto di aver mantenuto i comitati Covid con medici e rappresentanti dei lavoratori, la situazione è andata via via migliorando», conferma Bisio. «Al punto che oggi l’intenzione è quella di portare l’acciaieria alla piena capacità, così come suc-


La Bella Storia cedeva nel periodo precrisi. Ecco perché cerchiamo neodiplomati da assumere: se non ci saranno nuove emergenze, lo faremo entro l’anno». Non soltanto resilienza, dunque, ma una ripresa decisa e confermata da un preciso progetto di sviluppo, basato sulle persone e sul territorio. «Dal nostro punto di vista, se è vero che la provincia di Cuneo è penalizzata dalla mancanza di

le qualità e le caratteristiche di un acciaio su una quantità limitata, prima di avviare la produzione vera e propria. Acquistato nel 2003 con una spesa di oltre un milione di dollari, è l’unico operativo a livello industriale in Italia (altri due, più piccoli, sono attivi negli atenei di Padova e di Bari, solo per scopi didattici). Come spiega l’ingegner Bisio, «questo strumento ci consente di migliorare sensibilmente la qualità del nostro acciaio: in siderurgia non ci sono nuovi materiali, però è possibile, anzi è fondamentale, rendere più efficienti e adeguati alle richieste del mercato quelli che si producono, altrimenti c’è il rischio di

Per l’ingegner Bisio «l’industria siderurgica non è solo economicamente strategica per il Paese, ma, a differenza a quanto tanti pensano, è tra le più ecofriendly, perché recupera l’acciaio già usato e lo ritrasforma in nuovi manufatti. Inoltre a Lesegno abbiamo uno snodo ferroviario nello stabilimento, così da far arrivare via treno i carichi dal porto di Savona e ridurre il trasporto su gomma. In ogni caso,

infrastrutture, è altrettanto vero che la presenza di due istituti tecnici di alto livello, come il “Cigna” di Mondovì e il “Vallauri” di Fossano, rappresentano un bacino importante da cui attingere giovani ben preparati per ampliare il nostro organico», conferma l’ingegnere. «In passato abbiamo già assunto ragazzi diplomati in queste due scuole e lo faremo ancora, così come assumeremo laureati e dottorandi dei Politecnici di Torino e di Milano e dell’Università di Pisa. Sono realtà con cui collaboriamo da anni e che hanno permesso di portare nuove idee e di avviare importanti progetti nel nostro reparto di ricerca e sviluppo di Lesegno che lavora anche per gli altri stabilimenti del gruppo». Pilastro di questo reparto è il Gleeble 3800, simulatore che permette di verificare in anticipo

non poter competere con i produttori asiatici». Un rischio che lo stabilimento di Lesegno non dovrebbe correre, vista la sua specializzazione: gran parte di quelli che escono da qui sono acciai ad alte prestazioni destinati alle parti “sotto carro” delle macchine movimento terra, al settore “oil and gas” (dove i prodotti Riva Acciaio sono impiegati da aziende petrolifere per tubazioni e altre infrastrutture), all’automotive (non solo vetture, ma anche veicoli commerciali, trattori, mezzi pesanti). E dire che molti di questi prodotti sono il risultato del recupero di rottami.

sebbene per noi l’autostrada A6 sia vicina, servirebbero collegamenti migliori: la speranza è che il Recovery plan porti a sistemare, completare oppure costruire ex novo opere viarie importanti e che si concretizzino i poli logistici, come quello nell’area dell’ex Michelin di Fossano, che offriranno opportunità di crescita all’intero comparto industriale cuneese».

“Made In Cuneo” ha colloquiato con l’ingegner Valerio Bisio, presidente e componente del Cda di Riva Acciaio, ex direttore dello stabilimento di Lesegno, di cui in queste pagine proponiamo due immagini

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E la Fondazione Federico Ghigo si impegna nel sociale

Per DiCaf essere pionieri è questione di Dna

Attenzione alla sostenibilità e continua ricerca dell’eccellenza hanno portato a una miscela di alta qualità che unisce ai requisiti della produzione biologica il piacere di un caffè espresso corposo e vellutato

Beppe Malò

L

a famiglia Ghigo si dedica con passione al caffè fin dagli inizi degli anni ’40, quando aprì una torrefazione a Bra. L’azienda nel 1987 si differenziò dando vita a due

settori operativi i diversi. Il nuovo marchio “DiCaf” scelse di ampliare la produzione e di collocarsi nel segmento Horeca, ovvero il settore dell’industria alberghiera. In compagnia di Renato Ghigo e dei soci amministratori Nino Ballì e Roberto Calvo “Made In Cuneo” ha visitato la torrefazione DiCaf per approfondire la lavorazione, le linee guida della produ-

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zione, con particolare riguardo alla nuova frontiera del “bio”, e gli accorgimenti per ridurre al minimo l’impatto ambientale. «Dobbiamo partire dall’osservazione», sottolinea Ballì, «che la nostra storia è fatta di continue evoluzioni, tecnologiche e di prodotto, con attenzione e dedizione alla materia prima, alla sua lavorazione, al prodotto e al servizio, tra cui tutoriali in azienda dedicati alla preparazione del

L’azienda braidese da oltre vent’anni ha imboccato anche la strada pionieristica del “bio”: non è stato semplice, ma i risultati raggiunti sono davvero positivi

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caffè, che mettiamo a disposizione dei clienti. Questi sono i capisaldi del nostro lavoro che nel corso degli anni ci ha portati a ottenere miscele davvero uniche e speciali. Il ventaglio dei nostri prodotti è cresciuto con noi: oltre alle linee tradizionali, produciamo caffè decaffeinato, biologico e aromatizzati in cialda». La produzione consta della fase di torrefazione di varie tipologie di caffè trattate separatamente,


La Bella Storia con diverse temperature e durate, così da ottenere il meglio offerto da ciascuna varietà sul piano organolettico. Il silo di tostatura contiene otto contenitori dedicati a varietà diverse. I passi successivi sono il raffreddamento, la miscelazione percentuale per ottenere le miscele caffè e il confezionamento secondo vari formati e preparazioni: tradizionale o nei vari tipi di cialda. «Per sviluppare il potenziale massimo, ogni varietà di caffè», spiega Nino Ballì, «va tostata rispettando rigorosamente una specifica curva di tostatura (tempo e temperatura), per avere risultati costanti sul piano della qualità e del giudizio da parte dei clienti. L’intero processo di produzione è gestito dalla nostra “sala di controllo”, i cui computer controllano i parametri della tostatura, le percentuali delle miscele e il riempimento dei contenitori al giusto peso. In pratica tutte le fasi sono gestite in automatico e l’intervento degli addetti concerne la verifica del buon esito delle varie fasi». Dal 1999 DiCaf è azienda certificata per la produzione di caffè biologico. Cosa vi ha motivato a seguire, da antesignani, la via del “bio” oggi così apprezzata nel settore food e agroalimentare? «In effetti», conferma Roberto Calvo, «possiamo dire con certezza di essere stati pionieri nell’interpretare una necessità e nell’attrezzarci in modo adeguato per intercettare un promettente settore di mercato.

All’inizio non fu affatto scontato

per cui la parola “crisi” deriva

far comprendere il valore di una

da un termine greco che implica

intuizione ancora poco sentita 22

un’opportunità. Il biologico però

anni fa, quando il tema interes-

è davvero tale solo se messo in

sava una nicchia di addetti ai

atto al 110% e se si viene certi-

lavori. Se però, molto prosaica-

ficati da enti assai severi. Per il

mente, facciamo i conti in tasca,

caffè è ancor più difficile perché

dico che negli ultimi anni il fattu-

i Paesi di cui siamo clienti sono

rato del “bio” è cresciuto in modo

lontanissimi e non è facile trova-

molto rilevante».

re interlocutori che interpretino

Questo cosa significa?

alla lettera la filiera del prodotto

«Che il mondo cambia molto

biologico. Oggi comperiamo da

in fretta e che chi fa impresa

piantagioni di Brasile, Perù, Hon-

deve comprendere questi mu-

duras e Messico e della fascia

tamenti, applicando il concetto

equatoriale indiana dopo un attento programma di selezione

Sono all’avanguardia anche gli accorgimenti adottati negli impianti aziendali per ridurre al minimo l’impatto ambientale dell’attività produttiva del caffè

Renato Ghigo (al centro) con i manager Nino Ballì e Roberto Calvo. Fin dal 1999 DiCaf è azienda certificata per la produzione di caffè biologico. Un’attentissima selezione che dà la certezza di portare in lavorazione a Bra una materia prima ineccepibile

e con la certezza di portare in lavorazione una materia prima ineccepibile». Come viene lavorata alla DiCaf? «Come quella “non bio”, ma in scala ridotta. Se l’impianto “grande” lavora 600 chili di caffè all’ora, quello per il bio, rigorosamente verde come tutto ciò che in stabilimento attiene a questa filiera, tosta 15 chili di caffè per volta con una produzione/ora di circa 100 chili. Tostaura, miscelazione e confezionamento hanno linee dedicate e finalizzate all’ottenimento di una miscela che offra al cliente, oltre al sigillo di filiera, tutto il piacere di un caffè espresso corposo e vellutato». Ma la vocazione “green” di DiCaf non si esaurisce nella creazione di una linea di prodotto “bio”. «Sì, è vero. Forse avrà notato arrivando in azienda che, anche se stiamo tostando il caffè, all’esterno non c’è alcuno odore e non si vedono fumi di scarico. Lo si deve all’investimento fatto per cambiare radicalmente il sistema

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La Bella Storia Per perseguire tali finalità la Fondazione Federico Ghigo coopera con le associazioni e le istituzioni locali stimolandone l’operatività e l’efficacia sul territorio e proponendosi come capofila per la realizzazione dei relativi progetti. Un recente esempio è la donazione di un’ambulanza di ultima generazione, interamente attrezzata, alla Croce rossa di Bra.

Per la regista Alice Filippi il “David di Donatello” no, però il premio Anec “Pietro Coccia” sì Uno degli impianti di torrefazione DiCaf, la cui operatività viene controllata tramite computer per ottimizzare tutti i prodotti immessi in commercio

di filtraggio e di abbattimento dei fumi in uscita. Siamo passati dalla bruciatura dei fumi a una temperatura di 700 gradi centigradi a un sistema catalitico che lavora a soli 350 gradi con filtri attivi che contengono platino, rodio e altri metalli rari. Grazie a questa tecnologia le nostre emissioni sono vapore acqueo e calore dissipato. Stiamo incrementando la sostenibilità ambientale anche grazie ai furgoni ibridi per le consegne e a una nuova generazione di imballaggi che conten-

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gono materie plastiche smaltibili grazie al compostaggio, così come le cialde. In ogni caso tutti i materiali indicano con chiarezza, con la simbologia internazionale, la tipologia di smaltimento e di riciclo a cui sono destinati. Stiamo inoltre eliminando la plastica in ogni situazione in cui si possa sostituirla». Gli uffici della DiCaf di via Don Luigi Orione ospitano anche la sede della Fondazione Federico Ghigo che Renato Ghigo, insieme con la moglie Maria, ha voluto costituire per onorare la memoria del figlio, prematuramente scomparso nel 2013. L’ente ha uno scopo di utilità sociale e rispecchia le finalità del suo fondatore, vale a dire essere di stimolo alla generosità privata, tutelare le categorie sociali più deboli e sviluppare socialmente il territorio di origine, il Piemonte.

Il “David di Donatello” 2021 per il miglior regista esordiente per il film “Sul più bello”, che debuttò in occasione della Festa del cinema di Roma nell’autunno scorso, non è andato alla monregalese Alice Filippi, superata sul filo di lana da Pietro Castellitto con “I predatori”. Alle premiazioni della sessantaseiesima edizione, organizzata dall’Accademia del cinema italiano e trasmessa in diretta da Rai1, vedevano in gara nella stessa categoria anche “Magari” di Ginevra Elkann, “Non odiare” di Mauro Mancini e “Tolo tolo” di Luca Medici, alias Checco Zalone. Per Alice Filippi questo resta un anno denso di soddisfazioni perché, oltre a assere entrata nella cinquina dei “David di Donatello”, pochi giorni prima aveva ricevuto il premio Anec (Associazione nazionale esercenti cinema) “Pietro Coccia”. È stata incoronata, infatti, nel corso di un’edizione eccezionale del tradizionale evento di filiera organizzato da Anec, in collaborazione con Anica (Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive multimediali) e con il sostegno del Ministero della cultura, promosso in occasione della ripartenza delle sale cinematografiche dopo la lunga chiusura imposta dall’emergenza sanitaria.


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Ri Maria

Fanno entrambe parte del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Cuneo: «Siamo combattivi per natura: siamo “millenials”!»

Maria (a sinistra) e Francesca Riorda rappresentano la terza generazione familiare alla guida dell’azienda fondata negli anni Quaranta dal nonno Francesco

R

endere il più sostenibile possibile la produzione di uno dei capi di abbigliamento meno sostenibili per antonomasia, il jeans. È l’affascinante sfida accettata dalle sorelle Maria e Francesca Riorda, terza generazione dell’azienda fondata da nonno Francesco che, alla fine degli anni ’40, con il fratello Guglielmo, installò nel cortile di casa alcuni telai per produrre il tessuto Denim, comunemente conosciuto come jeans. La scelta si rivelò sin da subito vincente, perché negli anni

’50 nacquero e si consolidarono il mito e il sogno americano di cui i jeans erano l’espressione più a portata di mano. Il mercato del mitico tessuto blu a stelle e strisce era così florido da trasformare via via quella piccola attività artigianale in una grande realtà aziendale in grado di sviluppare processi che portarono alla realizzazione di prodotti finiti, come il famoso jeans a cinque tasche. L’azienda continuò a crescere e, alla fine degli anni ’80, dopo esserne stati i fornitori per una vita, i Riorda acquisirono il marchio francese (di Marsiglia) Rica Lewis. Fu l’ingresso di

Dalla parte delle api, indispensabili La costante ricerca di maggiore sostenibilità ambientale di Maria e Francesca Riorda ha fatto sì che nascesse una lodevole iniziativa in favore delle api, elemento imprescindibile dell’intero ecosistema, messa in atto a maggio, mese dedicato al preziosissimo insetto: un vasetto di miele in omaggio a tutti coloro i quali hanno effettuato un acquisto online sul sito web di Rica Lewis. «Siamo entrati in contatto con Aragno Mieli», spiega Fran-

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iorda e Francesca

Emergenti

Le due sorelle, figlie di Stefano Riorda, attendono l’ingresso nell’azienda fossanese dei cugini Francesco e Sergio, figli di Massimo. Autentica sostenibilità e innovazione sono le stelle polari a cui guardano da sempre

Stefano e Massimo, figli di Francesco, a garantire la continuità dell’azienda fossanese. E quello delle giovani Maria e Francesca (figlie di Stefano) ha rappresentato negli ultimi anni un’autentica svolta, sotto molti punti di vista. «Dopo gli studi e le esperienze all’estero», raccontano, «abbiamo pensato che fosse giunto il momento di rientrare a casa per cominciare a intraprendere la nuova avventura in famiglia. E aspettiamo a braccia aperte i figli di Massimo, i nostri cugini Francesco e Sergio che, dopo aver maturato le proprie esperienze, en-

treranno anche loro in azienda». Maria e Francesca Riorda sono donne estremamente determinate, hanno obiettivi ambiziosi e le idee molto chiare. Hanno subito capito che il “segreto” per ritagliarsi il proprio spazio in un mercato così difficile e affollato, anche per un’azienda solida e strutturata come la loro, risiede imprescindibilmente in un fattore, oggi da molti sbandierato, ma da pochi applicato: l’innovazione. Un termine che le

all’ecosistema e alla nostra esistenza cesca, «i cui prodotti, frutto di una maniacale attenzione alla sostenibilità, nascono senza l’uso di sostanze che danneggino le api, che vivono in un ambiente sano e non vengono sfruttate. Oltre ai capi acquistati e al vasetto di miele, ogni cliente ha ricevuto una cartolina nella quale abbiamo spiegato il nostro progetto e le motivazioni che ci hanno indotti a realizzarlo».

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Emergenti

Un’immagine tratta da una recente campagna promozionale dei jeans Rica Lewis

sorelle Riorda declinano attraverso scelte consapevoli votate, da un lato, alla digitalizzazione (propedeutica ad aumentare la notorietà del marchio), dall’altro, come detto, attraverso l’ostinata ricerca di una produttività volta alla totale sostenibilità. «È un discorso che ci sta a molto a cuore, come a molti ormai, per fortuna», spiega Maria, category manager dell’azienda. «Ci stiamo muovendo con azioni reali e tangibili. Non è un’azione di marketing, è esattamente il contrario. Da un anno a questa parte gran parte della nostra produzione è in cotone biologico certificato Gots ed entro il 2023 il 95% della nostra collezione sarà sostenibile, grazie a materie prime come cotone biologico, tencel, poliestere riciclato). Consapevoli che i jeans sono tra i capi d’abbigliamento meno sostenibili, noi ci impegniamo per compensare questo squilibrio per quanto è possibile. Nelle nostre fabbriche pakistane garantiamo condizioni di lavoro etiche, sicure, non discriminanti e tese a combattere la povertà. Effettuiamo controlli molto severi sulla filiera, anche grazie agli enti certificatori con cui collaboriamo. Cerchiamo di ridurre al minimo il consumo energetico e di risorse, in particolare l’acqua, effettuando lavaggi a ozono e laser sui nostri capi». Innovazione oggi significa un occhio sempre aperto sul mondo digitale, su quello della comunicazione, sui social network. Lo sa bene Francesca, responsabile digital marketing & communication aziendale: «Anche attraverso il supporto di qualificate agenzie che ci forniscono gli spunti e ci indicano le strategie, cavalchiamo l’onda del digitale.

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Da un sito web “vetrina”, siamo passati a un modernissimo e-commerce molto utile per diffondere e rafforzare i brand aziendali. Sui social, inoltre, proponiamo campagne attraverso le quali promuoviamo i nostri prodotti facendo contestualmente riflettere sui princìpi e sui valori che sono alla base della nostra attività aziendale». Le sorelle Riorda fanno parte del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Cuneo, Maria da tre anni, mentre Francesca è entrata nel 2020. «Riteniamo molto importante fare network con le realtà del nostro territorio, aprirci agli spunti che arrivano dall’esterno e dall’ambiente che ci circonda», commentano. «Confrontandosi con gli altri si cresce, si impara e si crea una cultura della condivisione. I Giovani Imprenditori di Cuneo sono ragazzi che credono nella nostra provincia, nelle realtà locali, ma anche nell’internazionalizzazione, sono combattivi per natura: siamo “millenials”! Ci siamo affacciati al mondo del lavoro in piena crisi, viviamo cambiamenti socio-politico-economici rapidi e multiformi. Avere scambi con coetanei così è molto utile e stimolante, ti carica». Maria e Francesca Riorda dimostrano che spesso non sono necessari artifizi normativi affinché le donne possano emergere negli àmbiti di propria competenza. Dalla famiglia hanno avuto importanti incarichi in azienda che loro, con piena consapevolezza, e senza timori, hanno accettato e che oggi portano sapientemente avanti, guidate dai princìpi che da sempre le ispirano. E a chi, nel dibattito sul futuro del mondo industriale, lamenta la carenza di imprenditoria giovanile e femminile, oggi ci sentiamo di dire che al civico 79 di via Torino, a Fossano, sotto questo punto di vista sono tranquilli e non temono critiche.

“Obèr”, il brand che strizza l’occhio alle curve Oltre al marchio storico Rica Lewis (jeans e abbigliamento per tutti i giorni da uomo e da donna) e allo “spin-off” Rica Lewis Workwear (abbigliamento da lavoro da uomo), di recente un nuovo brand è nato in azienda. Si tratta di “Obèr” che, lanciato e sviluppato tre anni fa in Francia, da un paio d’anni è approdato in Italia. Dedicato alle donne “curvy”, propone jeans e pantaloni “stretch” con un taglio studiato per sottolineare e valorizzare le curve. «È un marchio su cui puntiamo molto», spiega Maria Riorda, «sia per aumentare, diversificandola, la nostra proposta, sia per la finalità sociale del brand. Teniamo in particolare alla “body positivity” delle donne e, attraverso questa linea, siamo convinti di poter aiutare ogni donna a valorizzare il proprio corpo e, dunque, ad aumentarne contestualmente l’autostima».


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Già nel 2017 Andrea Ferrero, Alexandru Stefan Gheban, Samuele Raimondo, Andrea Carollo, Marco Ciarmoli e Daniele Rinaldi, compagni di scuola fin dai tempi dell’istituto “Vallauri” di Fossano, e poi al Politecnico di Torino, hanno cominciato a coltivare la passione comune per la tecnologia blockchain e a usare bitcoin

Sei giovani albesi guidano la rivoluzione delle criptovalute Cristina Borgogno

Dopo appena due anni di attività la rivista “Forbes” ha inserito questo gruppo di studenti del Politecnico di Torino tra i top 100 under 30 leader del futuro in Italia

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S

Platf

ono in sei, si sono conosciuti sui banchi di scuola, hanno studiato insieme all’istituto “Vallauri” di Fossano e poi al Dipartimento di automatica e informatica (Dauin) del Politecnico di Torino. Hanno avuto un’idea, hanno deciso di svilupparla utilizzando come incubatore i servizi messi a disposizione proprio dal Politecnico che ha subito appoggiato il progetto, trasformandolo in realtà. Ma, soprattutto, sono gio-

vani, con salde radici in provincia e tutto l’entusiasmo di una generazione pronta a bruciare le tappe e spiccare il volo. Così è nata la startup Young, l’exchange di criptovalute made in Italy o, meglio, made in Alba, che permette di acquistare e vendere asset digitali in modo sicuro, facile e veloce. Era il 2018, ma già da un paio d’anni almeno Andrea Ferrero, Alexandru Stefan Gheban, Samuele Raimondo, Andrea Carollo, Marco Ciarmoli e Daniele Rinaldi avevano cominciato a coltivare la passione comune per la tecnologia blockchain e a usare bitcoin. «Nel 2017, quando il fenomeno ha iniziato a diventare di massa, abbiamo pensato di scendere in campo per fare qualcosa di nostro», racconta Andrea Ferrero. «Appoggiandoci all’I3P, l’incubatore del Politecnico di


Emergenti

form Torino, abbiamo sviluppato la nostra piattaforma di compravendita di criptovalute con una visione: quella di rendere semplice e intuitivo l’approccio a questo mondo, di educare e far crescere la consapevolezza nella community. La compravendita di queste nuove valute digitali, infatti, non era un processo facile, tanto meno immediato: occorrevano molti passaggi e le piattaforme erano adatte solo a trader professionisti o a persone con un’approfondita cultura informatica. Per questo abbiamo pensato a Young Platform».

soci fondatori a un team composto da ventuno dipendenti, con età media di 26 anni, e una valutazione di oltre 10 milioni di euro. E in pochi anni si sono succeduti in Young tre aumenti di capitale, l’ultimo proprio in questi giorni. «A metà 2019 abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding su Londra con cui abbiamo raccolto un milione di euro», dice ancora Ferrero che nel gruppo, oltre a parte della gestione aziendale, ha il compito di cercare talenti in giro per il mondo e attrarre capitali. «È stato un modo per accelerare il nostro processo di internazionalizzazione e per inserirci su un nuovo mercato che ha come obiettivo l’espansione in Europa». Oltre al quartier generale del Politecnico di Torino (anche se in vista c’è un imminente trasloco in una nuova “casa” nella città della Mole), Young ha altre due sedi: a Tallinn, Estonia, che è uno dei Paesi tecnologicamen-

Dopo aver ricevuto un primo investimento da parte di un “business angel”, i fondatori si sono imbarcati in un’avventura che li ha portati, nel giro di un biennio, a passare dal nome di matricola sul libretto universitario all’essere menzionati da “Forbes” tra i top 100 under 30 leader del futuro in Italia. Dalla costituzione della società a oggi, la startup è passata dai sei

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Emergenti te più avanzati e leader in Europa per il FinTech («È qui che abbiamo preso la licenza», precisa Ferrero), e a Londra, presso il Level39, uno degli hub FinTech più importanti del mondo che ospita realtà come Revolut. Non stupisce, quindi, che la giovane startup cuneese abbia raccolto fin da subito l’interesse di privati e investitori istituzionali. Tra questi, non poteva mancare la fiducia del tessuto imprenditoriale locale, soprattutto albese, attraverso Matteo Rossi Sebaste, Lorenzo Cavallotto e la famiglia Cordero che sono stati i primi a scegliere di

Sopra: Andrea Ferrero, Ceo della startup sostenuta fra gli altri da Matteo Rossi Sebaste (sotto)

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puntare sul progetto. «Sulle persone ancora prima che sul business», dice il presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Cuneo, Rossi Sebaste. «Essendo un investimento è ovvio che c’è per tutti un interesse soggettivo, in un’ottica di diversificazione. Ma c’è, anche e soprattutto, la volontà di sostenere la professionalità di sei giovani della Granda in cui abbiamo intravisto immediatamente capacità e voglia di fare. Oltre che un’idea vincente. Oggi Young è un’azienda che ha chiuso il bilancio 2020 in leggero attivo, che si sostiene e dedica tutti gli investimenti al progetto. È un business che si autosostiene e che ha generato 750 mila euro di fatturato nel primo trimestre del 2021: numeri che, per una startup, sono sinonimo di concretezza». «Uno dei punti di forza più forti è quello di appoggiarci esclusivamente a banche italiane, fattore che rappresenta un elemento di sicurezza per gli investitori italiani e velocità nell’esecuzione delle operazioni per gli utenti del nostro Paese», aggiunge Ferrero. «Ed è significativo che siano stati due istituti per così dire “familiari”, come Banca Sella e Banco Azzoaglio, a darci fiducia. Un altro aspetto importante è il servizio di assistenza clienti, sempre disponibile e completamente in lingua italiana. Quando si parla di procedure di verifica dell’identità, depositi e operazioni di trading, è importante interfacciarsi con un operatore che parli la nostra lingua. Abbiamo scelto di essere molto chiari e trasparenti, e di fare della regolamentazione uno tra i nostri principali fattori competitivi. Abbiamo costruito procedure di compliance e antiriciclaggio». I depositi sono disponibili con bonifico (anche istantaneo), carte di credito/debito e contanti. Addirittura in tabaccheria (quelle che aderiscono all’iniziativa) e al supermercato (nei punti vendita delle catene Pam, Penny Market e Carrefour). Ad oggi Young Platform ha un mercato di oltre venti criptovalute e ne vengono aggiunte di nuove con cadenza regolare, consentendo la conversione immediata euro-crypto. «Un altro punto di forza e concretezza sono i tre prodotti rilasciati in pochi anni», aggiunge Sebaste. «Young offre infatti tutti gli strumenti per gestire liberamente le criptovalute: da una app per guadagnare crypto semplicemente camminando e per imparare i fonda-

Un business che si autosostiene che ha generato 750 mila euro di fatturato nel primo trimestre del 2021. E la app Stepdrop ha creato la community con oltre 250 mila download Scopri online che cos’è Young Platform

mentali (Stepdrop, che ha creato la community con oltre 250 mila download), a una piattaforma intuitiva per acquistare tutte le principali criptovalute sul mercato (Young Platform, la quale permette a qualsiasi tipo di utente di investire anche piccole somme in maniera semplice e intuitiva), fino a indicatori avanzati e Api per i trader e i professionisti (Young Platform Pro, per i clienti più esperti e sensibilizzati)». Ma qual è il target del cliente tipo per Young? «La nuova generazione di investitori», risponde convinto Andrea Ferrero. «Chi dice “Ho già sentito parlare di bitcoin, ma non so da dove iniziare”. Siamo qui per rendere di massa un tema di nicchia. Ma il vero goal lo faremo quando arriveremo anche alla generazione dei nostri nonni».



Arpa Industriale

da Bra ai mercati mondiali Lorenzo Boratto

I

nnovazione e tradizione nel segno del design. La tradizione affonda le radici negli anni ’50, in un settore in cui il “made in Italy” ha un vasto prestigio internazionale. L’innovazione è rappresentata da Industria 4.0, ricerca e sviluppo, formazione del personale, abbattimento dei consumi. Coniugando passato e futuro, mettendo al centro la qualità delle produzioni. È Arpa Industriale a Bra, che conta 575 dipendenti nello stabilimento di 150 mila metri quadri nel quartiere Oltreferrovia, da dove le produzioni all’avanguardia raggiungono più di settanta Paesi. Una fabbrica che ha saputo cambiare ed evolversi, contribuendo alla ricca e variegata storia dei design italiano: dal dopoguerra all’optical art, poi l’industrial design degli anni ’80 e ancora l’espansione con filiali in Italia, in Europa, nel mondo, fino ad abbracciare lo stile fusion del terzo millennio e i nuovi approcci all’abitare, alla casa, al lavoro e al tempo libero. A Bra si producono elementi per l’interior design per i mercati mondiali, grazie a una gamma di superfici intel-

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ligenti, superopache, antibatteriche. Puntando su competenza, eccellenza e varietà, oltre a flessibilità produttiva e rapidità del servizio. Arpa Industriale progetta e produce superfici di qualità per i più svariati utilizzi: architettura e design di interni, strutture sanitarie e cantieristica navale, hotel e mezzi di trasporto. Oltre 65 anni di investimenti in ricerca, tecnologia avanzata e formazione del personale hanno permesso di conquistare i mercati internazionali. Arpa Industriale fa parte del gruppo internazionale Broadview, sede in Olanda e 18

Da pochi mesi il sito produttivo di Arpa Industriale, lato corso Monviso, ha un nuovo aspetto

Oltre 65 anni di investimenti in ricerca, tecnologia avanzata e formazione del personale (è recente la stabilizzazione di 50 dipendenti; in tutto sono 575) hanno consentito all’azienda di raggiungere traguardi globali


Bello e Ben fatto acriliche di nuova generazione, indurite attraverso il processo battezzato “Electron Beam Curing”: un materiale intelligente prodotto in formati e spessori diversi e in decine di colori. FENIX ha tre versioni ed è adatto ad ambienti domestici e spazi pubblici, superfici di cucine o rivestimenti di bagni, uffici e ristoranti, utilizzato in orizzontale o in verticale. È resistente ad abrasioni, solventi e reagenti, oltre alla riparabilità termica che ne ha decretato il successo, come testimoniano i premi raccolti in questi anni. Un altro materiale innovativo è “Silverlam”, un laminato antibatterico testato che, grazie

Arpa Industriale fa parte del gruppo internazionale Broadview, con sede in Olanda e 18 stabilimenti in quattro continenti (Europa, Asia, nord America, Oceania), oltre seimila dipendenti distribuiti in quaranta Paesi e un fatturato che supera il miliardo di euro l’anno

stabilimenti in quattro continenti (Europa, Asia, nord America, Oceania), oltre seimila dipendenti distribuiti in quaranta Paesi e un fatturato che supera il miliardo di euro l’anno. Stefano Mion, amministratore delegato di Arpa Industriale, spiega: «Le aziende del gruppo sono diverse: Arpa stessa, poi Dos, Formica, Homapal, Trespa, Westag. Producono materiali con proprietà particolari ed estetiche superiori. L’italian design è nel Dna di Arpa, dei nostri brand. I nostri valori: innovazione, sostenibilità, tecnologia avanzata,

durabilità. La vasta gamma di materiali creati per l’interior design mondiale sono la testimonianza della capacità dell’azienda di anticipare il futuro, progettare soluzioni estetiche e tecniche all’avanguardia. Lo facciamo grazie a un costante investimento in ricerca e sviluppo che rappresenta il 4 per cento del fatturato». Arpa Industriale produce dal 2013 “FENIX®”, un materiale unico e innovativo. La sua estetica e funzionalità hanno rivoluzionato il design: una superficie estremamente opaca, piacevole al tatto, ma anti-impronta, che grazie al calore ripara i micrograffi superficiali, da cui il nome che richiama il mito della fenice che sempre rinasce dalle proprie ceneri. FENIX ha cambiato gli orizzonti della progettazione di interni per la sua superficie bella da vedere, piacevole al tatto e alla vista, ma anche resistente e versatile, grazie all’uso di resine

Prodotta dal 2013 “FENIX®” ha cambiato gli orizzonti della progettazione di interni: è una superficie estremamente opaca, piacevole al tatto, ma anti-impronta, che grazie al calore ripara i micrograffi superficiali 83


Bello e Ben fatto

L’azienda braidese ha aperto a Milano, nel quartiere Brera, una delle capitali mondiali del design, lo spazio espositivo “FENIX Scenario”, dove i materiali “si raccontano dal vivo, interagendo con i visitatori”

Un altro materiale innovativo è “Silverlam”, laminato antibatterico che, grazie a ioni d’argento, inibisce la crescita e riduce il numero di batteri sulla superficie: è stato creato un decennio prima del Covid

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a ioni d’argento, inibisce la crescita e riduce il numero di batteri sulla superficie: è stato lanciato sul mercato un decennio prima del Covid. Ma le innovazioni sono anche altre. «L’azienda si impegna da tempo per aumentare l’uso di materie prime naturali, come “Bloom”, una tecnologia a base di lignina creata dal nostro Dipartimento ricerca e sviluppo», aggiunge Sandro Marini, corporate communications manager e art director di Arpa Industriale. In pratica i prodotti dell’azienda sono composti da carta e resine termoindurenti a base di fenolo. Con la tecnologia Bloom si dimezza la quantità di fenolo utilizzata nella resina per la produzione del “cuore” dei pannelli. Inoltre c’è l’uso di lignina, il secondo polimero naturale più diffuso in natura dopo la cellulosa, il collante che tiene insieme le fibre di legno. L’industria della carta usa la lignina per produrre energia, mentre Arpa Industriale l’impiega nella formulazione di resine termoindurenti: una rivoluzione nel settore e un’innovazione che rappresenta perfettamente l’impegno del gruppo per la sostenibilità, unendo durabilità e uso di materie prime naturali. In tempo di pandemia, Arpa Industriale ha raggiunto un importante traguardo: tutta l’energia

Guarda il video

utilizzata proviene da risorse rinnovabili. Un processo a cui si è arrivati in modo graduale. Nel 2019 erano stati installati sul tetto dello stabilimento braidese seimila pannelli fotovoltaici, per 14.000 metri quadrati di superficie, il secondo impianto fotovoltaico per dimensioni in Italia. L’investimento copre quasi un quinto del fabbisogno energetico dello stabilimento, mentre il resto dell’energia viene acquistato con certificazioni di provenienza da fonti interamente rinnovabili. Sempre nell’anno della pandemia l’azienda braidese ha aperto a Milano, nel quartiere Brera (una delle capitali mondiali del design), lo spazio espositivo “FENIX Scenario”, dove i materiali “si raccontano dal vivo, interagendo con i visitatori” con tutte le produzioni all’avanguardia del


gruppo: Formica, GetaLit, Getacore e Homapal. Nello spazio espositivo c’è “Musa”, acronimo di Marketing and Unexpected Solutions for Avant-garde, l’hub creativo del gruppo dove si intrecciano marketing, comunicazione, design. Un laboratorio-palestra per sperimentare unendo capacità e competenze dei diversi professionisti. FENIX Scenario e il team Musa sono coordinati da Filippo Manetti, direttore marketing, e Sandro Marini, il quale spiega: «Sono l’espressione tangibile di come il design punti a essere sempre più un sistema integrato dove confluiscono innovazione, competenza, passione. Il progetto di allestimento è stato curato dallo Studio Gio Tirotto: così è nato un luogo dove i professionisti possono trovare i materiali, come in un teatro. Il risultato è un’inedita macchina scenica: le aree dello spazio si trasformano grazie ad arredi mobili, facendo dialogare i volumi, gli spazi espositivi e di incontro, i materiali con le loro caratteristiche». Marini sottolinea l’importanza delle collaborazioni, la linfa di un settore versatile come il design: «Il concetto di coprogettazione è fondamentale, necessario: ascoltare e confrontarsi con architetti e designer serve come fonte di ispirazione, uscendo da schemi e abitudini. Una condivisione di idee che avviene con workshop e training, oggi sempre più usando piattaforme digitali o webinar in cui si raccolgono suggestioni e idee. Qualunque sia il mezzo di comunicazione, fisico o digitale, è importante evidenziare la qualità dei dettagli che si può ottenere creando elementi di arredo con i nostri materiali». Arpa Industriale ha saputo dialogare con il

Da sinistra: l’amministratore delegato, Stefano Mion, e Sandro Marini, corporate communications manager e art director di Arpa Industriale, la quale da tempo opera per aumentare l’uso di materie prime naturali

mondo e rivoluzionare le soluzioni del design, mantenendo sempre un forte legame con il territorio. A marzo l’azienda ha effettuato una massiccia serie di stabilizzazioni, assumendo a tempo indeterminato 50 persone, quasi il 10% della forza lavoro: maestranze collocate nei diversi settori produttivi dello stabilimento dopo l’accordo siglato con i sindacati. Infine, poco prima dell’inizio del Giro d’Italia 2021, che ha sfiorato la città della Zizzola, il team di ciclismo Alpecin-FENIX, sponsorizzato da Arpa dal 2020, ha visitato lo stabilimento braidese di via Piumati/corso Monvi-

so. Ancora l’ingegner Stefano Mion: «Il nostro è un business globale come lo è il ciclismo: entrambi hanno una lunga tradizione. Ci accomunano diversi valori come la tenacia, ma siamo altrettanto convinti che il solo talento, nel business come nello sport, non sia sempre sufficiente. Puntiamo a raggiungere i livelli più alti consapevoli che, per restarci, sono richiesti passione, dedizione e duro lavoro, ma anche un gruppo di professionisti mosso da un desiderio continuo di migliorare». L’azienda ha già rinnovato la sponsorizzazione della squadra fino al 2023.

Alla vigilia del Giro d’Italia 2021 il team di ciclismo Alpecin-FENIX, sponsorizzato da Arpa dalla stagione 2020 (con contratto rinovato sino al 2023), ha visitato lo stabilimento braidese di via Piumati. La squadra, che si è molto ben comportata nella “corsa rosa” che ha vissuto le prime tappe in Piemonte e anche in provincia di Cuneo, è capitanata dal belga Louis Vervaeke

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Ancora oggi, nelle cantine interrate fatte realizzare dai Marchesi di Barolo e ampliate più volte (come si nota agevolmente visitando uno dei luoghi in cui è nata l’enologia di qualità piemontese) sono custodite e usate le cinque botti di rovere fatte costruire oltre due secoli fa dalla marchesa Giulia, patrimonio della storia locale

L’azienda della famiglia Abbona quest’anno è tredicesima in Italia nel “Global wine brand power index” realizzato da Wine Intelligence

Claudio Puppione

S

i riparte e la convinzione che sia una ripresa veloce e duratura, almeno per quanto riguarda il mondo dell’enologia di qualità, non è espressa a semplice titolo scaramantico, essendo basata su un motivato entusiasmo che traspare, ad

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Alla Marchesi di Barolo si respira tanto ottimismo

I vini di qualità tirano la volata esempio, dalle parole di Valentina Abbona che, con il fratello Davide, affianca i genitori Anna ed Ernesto nella conduzione della Marchesi di Barolo, una delle griffe storiche del vino piemontese, anzi, se guardiamo al Barolo Docg, la più storica in assoluto, perché il “Re dei vini e vino dei re” è nato in quelle cantine. «L’arrivo della pandemia non è stato una passeggiata, anche sul piano dell’impatto psicologico dell’emergenza sanitaria, e ciò vale per chiunque, così come ha un po’ “terremotato” le nostre convinzioni in campo produttivo e

soprattutto commerciale», spiega la dottoressa in economia laureata alla Bocconi, mentre il fratello ha concluso gli studi universitari, sempre a Milano, specializzandosi nelle lingue inglese e cinese. «Ma quei mesi per tanti versi così duri sono stati utili, ci hanno aiutato a metterci in discussione, a migliorare lo stesso modo che avevamo di


Bello e Ben fatto «In prima istanza», commenta Ernesto Abbona, «Wine Intelligence riscontra un quadro generale di erosione del valore dei marchi che coinvolge i brand a livello globale. Ciò è dettato, suggerisce il

report, dalla rivoluzione dei modelli di consumo avvenuta con la pandemia del Covid-19 e, in particolare, con le restrizioni e con le interruzioni degli acquisti. Questo ha portato a una minore “con-

Ai tempi di Thomas Jefferson...

Anna ed Ernesto Abbona con i figli Valentina e Davide, entrati in azienda avendo interiorizzato i valori della tradizione trasmessi dai genitori

rapportarci con la clientela, e posso dire che, benché privati della possibilità di organizzare incontri fisici, siamo riusciti a rendere più stretti i rapporti personali, elementi fondamentali anche nel campo del marketing». Fatto sta che nell’edizione 2021 del “Global wine brand power index”, indagine che mette in luce la “salute” e la “forza” dei più importanti brand enologici del mondo, curata da Wine Intelligence basandosi sulle opinioni di 25.000 consumatori di venticinque mercati chiave del pianeta, la Marchesi di Barolo guadagna due posizioni nella graduatoria italiana, collocandosi al tredicesimo posto. Si tratta di posizionamento che acquisisce ancor maggiore valore, se si considera che l’azienda vitivinicola langhetta è preceduta da colossi del calibro di Ferrari (1°), Berlucchi (2°), Donnafugata (3°), Fontanafredda (4°), Mionetto (5°), Feudi di San Gregorio, Ca’ del Bosco (7°), Antinori e Valdo (ex aequo all’8° posto), Tenuta San Guido Sassicaia (10°), Duca di Sala Paruta (11°) e Sella & Mosca (12°).

Nel 1787 Thomas Jefferson, che sarebbe diventato, dal dal 1801 al 1809, il terzo presidente degli Stati Uniti d’America, visitò il Piemonte e, alla corte dei Savoia, gustò il Nebbiolo. Secondo quanto riporta James M. Gabler in “The wines and travels of Thomas Jefferson”, il politico, scienziato e architetto statunitense lo descrisse così: «Vino singolare, con tre caratteristiche contraddittorie: dolce come il morbido Madeira, astringente al palato come il Bordeaux e vivace come lo Champagne». Parrebbe un clamoroso abbaglio, a noi contemporanei del Barolo Docg ricavato dalle medesime uve, ma, come spiega Ernesto Abbona, quella sensazione invece era corretta, perché «all’epoca non c’erano cantine interrate per la vinificazione, ma solo “crutin” per la conservazione degli alimenti. Si vinificava sotto i porticati e, nelle notti fredde del periodo vendemmiale, la fermentazione si interrompeva per riprendere il giorno dopo. Così, in genere, non portava a termine la trasformazione degli zuccheri in alcol, perpetuando una situazione di instabilità e rifermentazione, nelle successive stagioni calde, per la presenza di zuccheri residui». Tutto cambiò grazie alle tecniche e alle prassi introdotte dai Marchesi di Barolo (nella immagine sotto: Giulia Colbert di Maulévrier, pronipote del Ministro delle finanze del Re Sole, Luigi XIV, e il marito Carlo Tancredi Falletti giungono a Barolo in carrozza da Torino, dove avevano preso stabile dimora dopo lo sposalizio celebrato il 28 agosto 1806 a Versailles). La Marchesa intuì subito che i vigneti intorno al castello godevano di una giacitura molto propizia, in grado di esaltare le caratteristiche peculiari dell’uva prodotta da un vitigno autoctono, il Nebbiolo. Esso in quei tempi era già apprezzato, sebbene non se ne conoscessero tutte le straordinarie potenzialità, emerse grazie alla vera e propria rivoluzione impostata da Giulia e Carlo Tancredi, a iniziare dalla vinificazione nelle magnifiche cantine ipogee fatte realizzare durante l’ampliamento della “Cascina del Pilone”, sita all’inizio della collina dei Cannubi dove c’erano i vigneti “Beni del Sig. Marchese di Barolo”.

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Bello e Ben Fatto propri passi dopo aver messo a dimora 14 giornate di Pinot noir, essendo egli invaghito dei vini di Borgogna... «Fa un certo effetto pensare che qui, dove lavoro, Giulia e Carlo Tancredi ebbero l’intuizione di vinificare il Nebbiolo in modo così diverso da come si faceva prima e che fino al 1929 a gestire l’azienda fu l’Opera Pia Barolo, nata per volontà testamentaria della Marchesa ed eretta in ente morale il 10 luglio 1864», dice Valentina. «Quasi cento anni All’inizio del secolo scorso iI vino Barolo iniziò, per primo, in Piemonte, il ciclo destinato a orientare la produzione subalpina verso i vini secchi, invece che su quelli dolci. Sopra: una veduta notturna di Barolo

fa venne acquisita da Pietro Abbona, antesignano di tutti i patriarchi del Barolo, titolare della cantina “Felice Abbo-

Il “Re dei vini e vino dei re” divenne tale perché i Marchesi di Barolo iniziarono a sottoporlo al gradimento delle teste coronate d’Europa

Per Valentina Abbona questa strada è già

na e figli”, la cui fondazione

aperta e le premesse che lei individua sono

risaliva a metà ’800. Con

tutte in campo positivo, con un asso nella ma-

lui collaboravano il fratello

nica ritenuto determinante: la velocizzazione

Ernesto e le sorelle Marina

dei rapporti con i clienti, resi molto più diretti

e Celestina. A proposito di

grazie alle nuove tecnologie informatiche che

quest’ultima un aneddoto

consentono contatti in tempo reale con ogni

dice molto dello spirito che

angolo del pianeta. Si poteva fare già prima, è

li animava e che noi sentia-

vero, ma la pandemia ha chiarito quanto que-

mo ancora come nostro. La

nessione con i consumatori”

sta opportunità sia diventata decisiva.

chiamavano “Tota la Marche-

che protrebbe non trovare

La passione con cui Valentina lavora è frutto

sa” e, a chi le faceva rilevare

una soluzione a brevissimo

della soddisfazione di fare ciò che le piace, ma

l’essere lei priva di un titolo

termine. La sfida è, dunque,

anche dell’autentico senso di responsabilità

nobiliare, replicava: “Il lavoro

quella di ripristinare l’“enga-

che prova al pensiero che sulle spalle sue e di

nobilita e noi abbiamo lavo-

gement” con i consumatori,

Davide grava («Ma... non è un peso, bensì un

rato tanto!”».

un risultato che potrà essere

immenso onore!») la responsabilità di prose-

Un lavoro che prosegue e che

meglio raggiunto con presen-

guire e di rafforzare sia la storia familiare di

consente alla Marchesi di

za e visibilità nelle maggiori

successo imprenditoriale, sia l’eredità lasciata

Barolo, con il suo completo

occasioni vinicole (sia quelle

da Giulia e Carlo Tancredi, cioè proprio quei

catalogo di vini piemontesi

tradizionali, sia quelle della

Marchesi di Barolo che “inventarono” il Barolo.

affiancati a varie tipologie di

nuova era del Covid) e con

Sì, perché la storia dice che, quando il Conte

Barolo Docg, di continuare a

costanti interventi nei canali

di Cavour arrivò a Grinzane, i Marchesi ave-

far crescere un mercato per il

di distribuzione (in partico-

vano la cantina già ben avviata e che, grazie

45% costituito da clienti ita-

lare in quelli più popolari,

al successo del loro Barolo, il futuro Grande

liani e, per il resto, da appas-

come l’e-commerce)».

Tessitore dell’unificazione italiana ritornò sui

sionati di ogni continente.

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’è una pianta che, in un anno, è capace di crescere 3 metri, ha grandi foglie che assorbono l’aria inquinata per restituirla pulita in quantità tre volte superiore a ogni altra pianta, nutre e protegge le api, pulisce la terra dai veleni dell’inquinamento. E, se tagliata raso terra, come la fenice, rinasce. Un albero magico, ma reale. È la paulownia e sta colonizzando la nostra regione. Il merito è di un’associazione no

Per ora la proposta accettata da Beinette, Dronero e Priola

Paulownia

La pianta magica profit, “Paulownia Piemonte”, il primo ente italiano a occuparsi di ricerca, sviluppo e promozione della paulownia grazie a ricercatori, professori universitari e liberi professionisti che ne hanno scoperto le preziose proprietà e insieme hanno deciso di avviare una campagna di tutela ambientale concreta: non parole, ma alberi, 100 mila piante da mettere a dimora in tutto in Piemonte coinvolgendo Comuni, aziende, privati, chiunque abbia a cuore la tutela della propria terra. Loro seguono la logistica; servono chi acquisti le piante e luoghi dove piantarle. Nella Granda la Tomatis Lamiere di Cuneo è strata ra i primi a crederci. È un’azienda storica, a conduzione familiare. Fu Vittorio Tomatis, con la moglie Ernesta Pecollo, ad avviarla nel 1963. All’inizio si occupava del taglio manuale di lamiere, in un piccolo capannone a Borgo Gesso,

Luca Tomatis (a sinistra), al vertice dell’azienda di Borgo Gesso con il padre Danilo, il fratello Davide e il cugino Giovanni, in posa con Marcello Merlino, uno dei fondatori di “Paulownia Piemonte”

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alle porte del capoluogo. «Quando nonno aprì l’azienda», ricorda il nipote Luca, «non esisteva nemmeno una categoria d’impresa per le nostre lavorazioni». Dai 500 metri quadrati del primo laboratorio, oggi l’azienda Tomatis sorge su uno stabilimento di 16 mila metri e dà lavoro a novanta famiglie che rendono possibile una capacità produttiva di oltre 2.500 tonnellate di semilavorati al mese. Al vertice è rimasta la famiglia: Danilo, Luca e Davide, ovvero il figlio e i nipoti di Vittorio, e il cugino Giovanni. Il loro mestiere è la lavorazione lamiere in ferro, inox e alluminio per terzi, a seconda delle loro esigenze. Come un sarto che realizza un vestito, la Tomatis si occupa di tagliare, piegare, deformare il metallo seguendo il disegno del cliente in diversi àmbiti: particolari per macchinari agricoli, impianti industriali e di riciclaggio fino ad arrivare al privato; dalle piccole e medie imprese ai colossi multinazionali, realizzando tutto, dal semplice pannello della recinzione a pezzi con lavorazioni più complesse. Negli anni ’80 si passò a uno


Bello e Ben Fatto stabilimento più grande per ospitare i macchinari da taglio che sostituivano le lavorazioni manuali. Nel decennio successivo l’investimento nelle nuove tecnologie, con il primo taglio laser bidimensionale, segnò un passaggio importante nello sviluppo e nella crescita aziendale. Da allora il mercato di riferimento si ampliò, raddoppiò la metratura del capannone, aumentarono gli investimenti, nella tecnologia di taglio laser tubo, e di conseguenza crebbe la gamma di lavorazioni. Nel 2008 l’azienda si trasformò: nacque la Tomatis Lamiere srl e nello stesso anno furono realizzati importanti investimenti sul taglio laser e sulla piegatura di grande lunghezza. Nel 2014 giunse la certificazione di qualità Uni En 1090 che permise di affrontare commesse sempre più complesse nel campo delle strutture metalliche. Venne poi intrapreso il percorso verso le certificazioni Iso9001:2015, Iso45001:2018 e Iso14001:2015, necessarie per soddisfare gli standard qualitativi sempre più elevati richiesti dal mercato, in un’ottica di continuo miglioramento dei servizi offerti. «Tutti i nostri processi di trasformazione della lamiera sono garantiti dalla normativa e assicurano all’utilizzatore finale il miglior risultato», spiegano in azienda. «Investiamo nelle migliori tecnologie per rinnovare il parco macchine in ogni reparto produttivo, con un’attenzione particolare alla sostenibilità ambientale».

Scopri maggiori informazioni sul progetto

Le produzioni ecosostenibili sono alla base dell’impegno aziendale e, quando ci fu la crisi del 2008, si seppe cogliere l’occasione degli incentivi statali per migliorare l’impatto ambientale dell’impresa: impianti fotovoltaici per la produzione dell’energia necessaria alle lavorazioni, ma anche macchinari certificati per il risparmio energetico. La mèta è diventare un’impresa a zero emissioni tossiche entro il 2030. «In dodici anni abbiamo avuto risultati molto importanti», afferma Luca Tomatis. «Oggi due terzi delle nostre esigenze energetiche sono coperte dagli

Da sinistra: Lorenzo Busciglio e Iosi Macagno (sindaco e assessore all’ambiente e alla cultura di Beinette), Luca Tomatis, Danilo Tomatis e Daniele Berruti (“Paulownia Piemonte”)

impianti fotovoltaici». Tutti i muletti sono elettrici, quindi non emettono pm10, e l’impianto di illuminazione è tutto con tecnologia led. Dove possibile, in ogni lavorazione, l’impresa Tomatis cerca di contenere l’impatto ambientale: usa carta riciclata per stampare ed è in corso un progetto per usare plastica riciclata all’80% per il packaging. E, siccome l’interesse per la tutela ambientale va oltre i confini dell’azienda, la famiglia Tomatis è stata in prima linea nell’adesione al “Progetto paulownia”. Dei 100 mila alberi a disposizione in Piemonte ne ha comprati 1.500 per donarli in gran parte ai Comuni aderenti all’iniziativa. Per ora aquelli che hanno aderito alla proposta sono tre: Beinette, Dronero e Priola. «Crediamo molto nella tutela dell’ambiente attraverso la cura del verde», chiosa il nostro interlocutore, «e il “Progetto paulownia” è il primo tanto concreto da comportare subito un cambiamento. Ci è sembrata un’opportunità da cogliere e, non avendo terreni a uso agricolo a disposizione, abbiamo voluto coinvolgere il territorio tramite gli enti locali. Il sogno è di arrivare a condividere il progetto anche in casa nostra, con il Comune di Cuneo».

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Gabriele Destefanis

«O

rmai mi sento più forte del problema». Ecco, riassunto in queste poche parole, il segreto di Sabina Giraudo, amministratore unico di Drone System. Un concentrato di entusiasmo, ottimismo e creatività che travolge e lascia il segno. Talmente innamorata del proprio lavoro da far sembrare facile quello che è stata capace di fare: cambiare strada, rischiare; lasciare la tranquillità di un posto sicuro, ma evidentemente non abbastanza appagante, per avventurarsi in un nuovo progetto. «Una cosa tutta mia, tutta nostra», racconta con la voce piena di passione, ricordando i primi passi dell’avventura avviata insieme al marito e a un collega. «Volevamo dare una svolta alle nostre vite»: così nel 2015 è cominciata la storia della realtà centallese Drone System. Prima i droni applicati all’agricoltura, poi la decisa virata verso il settore della comunicazione visiva con il brand GrandaLed. La pandemia ha complicato tutto, ma non ha interrotto il cammino. Una sede più funzionale, nuovi partner, progetti stimolanti e un futuro tutto da scrivere: così Sabina Giraudo e la sua azienda hanno risposto alla crisi del settore degli eventi. Cadute, rinascite e tante vite vissute. Sliding doors, appunto.

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La storia della realtà centallese Drone System è cominciata nel 2015: prima i droni applicati all’agricoltura, poi la decisa virata indirizzata verso il settore della comunicazione visiva con il brand GrandaLed

Da Drone System a GrandaLed Sabina, partiamo dall’inizio dell’avventura, nel 2015. Come è andata? «Avevo un lavoro sicuro come dipendente in un settore che non aveva nulla a che fare con ciò che faccio oggi. Ma non ero del tutto soddisfatta: avevo aspirazioni diverse e come me mio marito, Sergio Dadone, e il terzo socio, Vanni Valevano. Volevamo diventare titolari di noi stessi. Così è nata l’idea di partire con una nuova avventura. Mio marito è appassionato di droni e lavorava nel mondo dell’agricoltura, così abbiamo pensato di percorrere quella strada: i droni applicati al settore agricolo, una cosa completamente innovativa da affiancare alle

Sabina Giraudo, con il marito Sergio Dadone e il socio Vanni Valevano, ha davvero trasformato il periodo del lockdown in un’opportunità


Sliding Doors riprese televisive, un àmbito nel quale i droni hanno avuto largo impiego. Mi piace ricordare l’esperienza con il film girato a Cuneo a cui abbiamo contribuito con suggestive immagini in città». Una scommessa, insomma. «Sì, è stata una scommessa. Con un po’ di incoscienza, anche. Abbiamo affrontato grandi difficoltà, perché il nostro progetto era davvero innovativo per il settore agricolo e i tempi non erano ancora maturi. Quando ho deciso di dedicarmi a tempo pieno alla nostra società, mi sono impegnata nello sviluppo commerciale, valutando nuove opportunità». In che modo? «Abbiamo sviluppato di più le nostre competenze acquisite nel campo della comunicazione visiva e della gestione degli eventi. Abbiamo creato il brand GrandaLed, affidandoci a un team dinamico e affiatato di professionisti qualificati, con competenze specifiche. Ci siamo dotati delle migliori: telecamere, Ptz, sistemi di regia mobile, maxischermi ledwall, palco, impianti audio e luci. A me piace fare marketing, creare aggregazioni: ho sempre avuto questa aspirazione e ora, finalmente, posso realizzarla. Nel giro di poco tempo siamo riusciti a farci conoscere e a crescere in fretta. Abbiamo cercato le collaborazioni giuste, il resto lo hanno fatto l’amore e la passione che abbiamo messo in questo progetto. Il mio pensiero fisso

è GrandaLed, ho sempre un sacco di idee in mente. Poi, però, è arrivata la pandemia a complicare le cose». Cosa è stato il lockdown per voi? «Un periodo molto brutto. Non abbiamo neanche avuto il tempo di capire cosa ci stesse accadendo: ci siamo trovati improvvisamente senza eventi, con disdette che arrivavano dall’Italia e dall’estero. All’inizio ho pensato che potesse essere una situazione transitoria, di un paio di mesi, e che tutto sarebbe tornato presto alla normalità. Invece siamo stati costretti a rimanere fermi per molto più tempo. Abbiamo realizzato pochissime produzioni video in quei mesi. Per fortuna negli anni siamo sempre stati piuttosto prudenti, facendo investimenti oculati, e questo ci ha consentito di resistere. Ma è stato un periodo davvero complicato, nel quale anche il mio inguaribile ottimismo è stato messo a durissima prova».

Ha pensato che potesse essere la fine della vostra avventura? «Sì, diverse volte. Credevo che non ce l’avremmo fatta. Sono una che ogni giorno ne studia una nuova: sono sempre piena di entusiasmo e con tanta creatività, eppure in quel periodo non trovavo più stimoli. Ma il fatto di essere tre soci ad affrontare questa situazione insieme ci ha aiutati molto: ci siamo fatti forza a vicenda, piano piano ci siamo rasserenati e abbiamo reagito. Dopo l’estate, quando c’è stata la possibilità di tornare a fare qualche evento all’aperto, per noi è stata come una rinascita. Ricordo ancora il primo lavoro dopo il confinamento: è stato commovente, come la prima volta». Da quel momento sono nati tanti nuovi progetti. «Esatto. Perché la pandemia ci ha fatto capire che dovevamo un po’ cambiare pelle, trovare nuove strade. Per certi aspetti, è stata anche un’occasione. Mentre la reazione al primo lockdown è stata di rimanere inermi e immobili, alle nuove chiusure abbiamo risposto studiando altre soluzioni. Così abbiamo sviluppato la SMART.webtv, piattaforma privata con cui diamo la possibilità di realizzare streaming per gli eventi, una app facile da scaricare e alla portata di tutti. Il progetto era già in piedi, ma ha avuto un forte incremento nell’ultimo periodo, nel quale si sono realizzati dei blog video pubblicati anche sui social. Dal primo aprile siamo

Da sinistra, nei nuovi locali di Madonna dell’Olmo: Marco Valle, titolare di Grandalab; Sabina Giraudo, amministratore unico di Drone System e GrandaLed; Luana De Carlo, social media manager di Grandalab; Giancarlo Camusso, titolare di Seven Team; Sergio Dadone, socio di Drone System e GrandaLed; Mauro Basoletto, collaboratore di Drone System e GrandaLed; Vanni Valevano, socio di Drone System e GrandaLed

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Sliding Doors «Sì che c’è qualcosa! Noi non sappiamo stare fermi e siamo sempre pronti a innovarci. Il prossimo progetto è un format che uscirà in estate: si chiama “Hikari-Alla ricerca della luce”, è uno spettacolo di magia, musica, acrobazia e sand art, l’animazione con la sabbia, al quale parteciperemo mettendo a disposizione le nostre attrezzature tecniche».

Uno studio di registrazione in uno spazio televisivo è a disposizione a Beinasco, con supporto tecnico, impianti regie, audio e luci, ledwall con scenografie componibili e telecamere in alta definizione

Una sede più funzionale, nuovi partner, progetti stimolanti e un futuro tutto da scrivere: così l’azienda costituita nel 2015 ha risposto alla crisi del settore degli eventi

Come si sente, dopo aver superato questo periodo? «Mi sento più forte del problema. Ho capito che, dopo aver superato questo periodo, posso superare tutto. Mi sento coraggiosa e sempre più innamorata del mio lavoro e dei tanti progetti in fase di sviluppo. Sono orgogliosa del percorso di crescita personale che sono riuscita a fare in questi anni: ho lavorato molto su me stessa e ora posso dire di sentirmi perfettamente integrata in quello che faccio e in un sistema imprenditoriale che mi ha sempre aiutata». C’è qualche progetto in cantiere per il futuro?

presenti con una nuova sede a Madonna dell’Olmo e, inoltre, abbiamo allestito a Beinasco, alle porte di Torino, uno studio di registrazione in un vero spazio televisivo, con supporto tecnico, impianti regie, audio e luci, ledwall con scenografie componibili e telecamere per la registrazione in alta definizione. È un’opportunità che mettiamo a disposizione dei clienti che abbiano necessità di creare un evento supportati da collegamenti remoti affidabili. Si tratta di un progetto partito qualche mese fa e che riprenderà in autunno».

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In conclusione, come spiegherebbe il segreto del vostro successo? «Credo sia difficile rispondere. In realtà non so neanche bene quale sia (ride, ndr). Posso però dire che ci siamo circondati di persone giuste e che amiamo molto il nostro lavoro. Personalmente credo che una parte del segreto sia costituita dall’empatia e dal tanto entusiasmo che mi spinge a migliorare. Quando percepisco soddisfazione e, al termine di un evento, sento quella gioia nell’aria, è una sensazione bellissima».

Gli uffici di rappresentanza a Madonna dell’Olmo Nel percorso di ripartenza avviato da Drone System con il suo brand GrandaLed, dal primo aprile c’è una nuova sede operativa a Cuneo, in frazione Madonna dell’Olmo (via Bra 1Q). La nuova sistemazione cuneese non sostituisce la sede di Centallo, dove vengono mantenuti i magazzini, ma consente all’azienda di avere maggiori opportunità. «Ne siamo molto orgogliosi», spiega Sabina Giraudo. «Avevamo bisogno di un ufficio di rappresentanza, un’area commerciale ed espositiva che potesse farci crescere, anche per offrire un servizio migliore ai nostri clienti». Lo spazio è condiviso con due aziende attive nel campo informatico, GrandaLab e Seven Team: «Sono realtà in forte crescita. Loro avevano necessità di maggiori spazi, noi di un ufficio di rappresentanza: perché non metterci insieme e darci una mano a vicenda? Da sempre credo molto nella collaborazione, nel creare alleanze etiche, proficue e reciproche. I nostri clienti possono così beneficiare di connessioni e di piattaforme stabili in uno spazio in cui è possibile realizzare studi virtuali ed in cui si può usufruire delle performance dei nostri ledwall. Lavoriamo per sviluppare conoscenze e soluzioni che ci consentano di essere sempre un passo avanti».



Un servizio innovativo, a costi contenuti, per aiutare i coniugi a sospendere gli effetti del matrimonio. Ma sono allo studio numerose altre possibilità di affiancamento per la soluzione stragiudiziale di controversie in àmbiti come quelli bancario, assicurativo, commerciale, ecc.

Separazioni online con la piattaforma “Di-Visioni”

Gilberto Manfrin

A

nche se il nome farebbe pensare all’esatto contrario, nella realtà l’obiettivo è trovare una soluzione. Si chiama “Di-Visioni” la piattaforma, evocante un futuro aperto e auspicabilmente positivo, per quanti, arrivati alla determinazione di dividersi, decidono di ricorrere ai servizi innovativi messi a loro disposizione, creata per aiutare le coppie a separarsi... a distanza. A dar vita a “Di-Visioni” è stata la startup Bluebird Project, nata dall’idea di un gruppo

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Il gruppo di lavoro di cui fa parte l’avvocato Cerchia lavora da circa quattro anni ai contenuti della piattaforma. La startup Bluebird Project è stata costituita all’inizio del 2020 e ha avuto un impulso dal lockdown

di professionisti tra avvocati, esperti in diritto civile, diritto di famiglia, diritto amministrativo e diritto penale, ma anche docenti universitari, mediatori civili e familiari a cui si sono affiancati informatici, psicologi, sportivi, commercialisti e professionisti provenienti da diversi settori, che da anni condividono la passione per le Adr (Alternative dispute resolution) e le Odr (Online dispute resolution). Tra i founder di “Di-Visioni” c’è l’avvocato Alessia Cerchia, sostenitrice delle vie stragiudiziali per la risoluzione dei conflitti. La piattaforma, tramite una procedura guidata snella e di facile comprensione, guida i partner nella compilazione di alcune domande e indica l’ufficio competente a cui presentarle. Il tutto ha costi molto contenuti. «Il tema dell’applicazione di

Alessia Cerchia Avvocato, fra i founder di “Di-Visioni”

questi strumenti con il software ha subito appassionato me e i miei colleghi», dice l’avvocato Cerchia. «Sono circa quattro anni che lavoriamo ai contenuti della piattaforma. La startup è stata costituita all’inizio del 2020 e durante il lockdown abbiamo trovato un particolare impulso per


Startupper svilupparne l’attività. Lo scopo è di creare e mettere a disposizione dei partner in difficoltà servizi sofisticati, ma di facile utilizzo, per la risoluzione di controversie di ogni genere, unendo i valori e gli strumenti della mediazione e delle Adr a quelli offerti dalle tecnologie digitali, in una pluralità di settori della vita di tutti i giorni». Ma nell’immediato futuro l’obiettivo è di applicare gli stessi princìpi a software che possono gestire controversie anche in altri àmbiti, come quelli bancario, assicurativo, ecc. «Il nostro prossimo settore di sviluppo, su cui stiamo puntando, è il mondo del turismo, ma in generale volgiamo lo sguardo a tutte le questioni che possono essere gestite dal punto di vista stragiudiziale attraverso l’online, anche a livello aziendale», prosegue l’avvocato. «Sotto quest’ultimo aspetto pensiamo, per esempio, alle controversie che sorgono o possono nascere intorno al mondo dell’e-commerce e ai rapporti contrattuali a distanza. Un esempio? Capita, sovente, che le società o e le strutture che lavorano nel settore del turismo abbiano una vicissitudine con un cliente. La prima cosa che fa quest’ultimo è recensire in modo negativo sul web la propria esperienza, andandosene scontento. Il nostro sistema ha l’obiettivo di consentire comunque al turista straniero, che potrà contare anche sulla traduzione multilingue della piattaforma, di mantenere un rapporto e un contatto con l’albergatore italiano per provare a risolvere “amichevolmente” il problema. Il nostro software li accompagnerà in modo

Trova maggiori informazioni online automatico verso la ricerca di una soluzione consensuale che potrebbe portare a negoziare un risarcimento equo tra le parti o, a seconda del settore, suggerire altri tipi di “compensazione”. Ma pensiamo anche alle compagnie aeree che devono gestire, per esempio, lo smarrimento di bagagli o la cancellazione di voli all’ultimo minuto». Tra i soggetti più noti che hanno saputo consolidarsi in questo settore c’è eBay che, da quando ha sviluppato l’attività di e-commerce, ha creato un centro online proprio per la risoluzione delle controversie. «Vorremmo proporre questo servizio a tutte quelle imprese che mirano a diventare virtuose nella gestione di possibili conflitti con clienti, semplici fornitori, utenti in generale. Molte delle transazioni commerciali che oggi si effettuano passano per il web: la

L’intento è arrivare a una forma di negoziazione assistita molto rapida, garantendo tutte le informazioni necessarie al cliente o all’azienda

cosa assurda è che quando accadono problemi, sovente ci vogliono anni per risolverli. L’intento finale è arrivare a una forma di negoziazione assistita che sia soprattutto rapida, dando tutte le informazioni che accompagnino il cliente o l’azienda a capire se si ha diritto a risarcimenti, in che termini e con quale impegno economico si possono trovare soluzioni». “Di-Visioni” è accessibile dal link di-visioni.bluebirdproject.it/home: «La piattaforma è a disposizione anche come servizio ai Comuni», conclude Alessia Cerchia. «Alcuni hanno manifestato interesse e ci hanno contattato. Abbiamo già presentato la piattaforma alle Amministrazioni comunali di Cuneo e Racconigi. Con il workflow e gli strumenti di “Di-Visioni” la gestione di documenti, pratiche, tempi e appuntamenti diventa semplice e sicura, permettendo ai Comuni partner un notevole risparmio di tempo e risorse. In futuro, se il legislatore lo consentirà, siamo pronti a fornire alle Ammministrazioni civiche la possibilità di organizzare incontri con l’Ufficiale di Stato civile anche a distanza, attraverso una piattaforma di call conference. Attraverso la piattaforma, inoltre, gli utenti potranno ottenere in sole 24 ore la firma digitale, utilizzabile anche dal proprio smartphone, con cui sarà possibile sottoscrivere a distanza i documenti».

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«PlotterOnLine è una “piazzetta” e non un “mercato”», precisa il titolare, Carlo Geuna, «perché è lì, nella piccola piazza del paese, che si vanno a confrontare idee, creare progetti, confrontare i prodotti»

Newsoft di Saluzzo oggi leader nell’e-commerce

Il numero 1 dei plotter in Italia «I plotter sono fondamentali attrezzi di lavoro, la cui efficienza e il cui funzionamento possono fare la differenza tra il successo e il fallimento di un’azienda o di un professionista», spiega il titolare di Newsoft

Devis Rosso

«Ricordo il 2012 come fosse ieri»,

uando è nata, nel 1998, Newsoft era una piccola azienda specializzata nella produzione di computer assemblati. Il mercato, locale, era costituito al 99 per cento da privati. L’azienda artigiana che ha sede in via Mattatoio, a Saluzzo, però, non ha mai smesso di crescere e di rinnovarsi. Nel 2012 ha voluto affacciarsi in modo cauto al mercato globale dell’e-commerce, dove i big iniziavano a dettare legge. L’ha fatto a modo suo, senza snaturare la sua storia artigiana e il suo modo di porsi nei confronti del cliente. Una scelta che l’ha portata, con il suo servizio PlotterOnLine a diventare il numero uno per la ricerca e vendita di plotter in Italia.

e titolare di Newsoft. «Mi chiede-

Q

Sotto: Carlo Geuna, fondatore e titolare di Newsoft che nel 2012 decise di mettersi in gioco, avviando il servizio di e-commerce denominato PlotterOnLine

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racconta Carlo Geuna, fondatore vo: “Affronto la sfida o rimango ai bordi del ring?”. Forti della nostra esperienza con i plotter, soprattutto a indirizzo Cad (come progettazione, rendering), decidemmo di affrontare la sfida e di dar vita a un sito, o meglio a una “piazzetta” dove si mette in mostra e si offre la propria esperienza». Un mercato sicuramente “di nicchia” rispetto alle stampanti classiche, ma comunque un setto-

nove anni, si è rivelata vincente.

re dalle alte aspettative, dove non

Lo scontro sul prezzo l’avremmo

ci si improvvisa e in cui a fare

perso in partenza. Ma questo

la differenza sono l’esperienza e

non dev’essere l’unico metro per

l’assistenza.

acquistare (o noleggiare) uno

«Ci piace definirlo “piazzetta” e

strumento di lavoro che affianca

non “mercato”», continua Geu-

quotidianamente liberi profes-

na, «perché è lì, nella piccola

sionisti. Sì, perché i plotter non

piazza del paese, che si vanno a

sono “solo” stampanti, ma sono

confrontare idee, creare progetti,

attrezzi di lavoro, la cui efficienza

paragonare i prodotti. Un luogo

e il cui funzionamento possono

in cui trovi sempre qualcuno

fare la differenza tra il successo e

con cui parlare, qualcuno che

il fallimento di un’azienda o di un

ti ascolta e può darti consigli.

professionista».

Questa idea, a distanza di quasi

Forse non tutti sanno cos’è un


Imprese Smart diverso Newsoft è la conoscenza completa del mondo dei plotter, che possono essere utilizzati per progetti architettonici (Cad), ingegneristici, topografici (Gis), interior e creative design; nei supermercati per la cartellonistica di negozio, o da esterno (POS), nei centri stampa, nelle aziende di onoranze funebri e nei laboratori fotografici. Continua il titolare di Newsoft: «Anno dopo anno, PlotterOnLine è cresciuto, affermandosi non solo come portale, ma come servizio. Abbiamo clienti in ogni regione d’Italia. Sui motori di ricerca e nelle classifiche di settore nazioIl plotter è una grande stampante, uno strumento di altissima tecnologia in grado di imprimere testi e immagini in alta definizione su fogli larghi anche 1.600 millimetri e lunghi svariati metri

nali, PlotterOnLine si posiziona spesso meglio, o allo stesso livello, di grandi colossi del settore». PlotterOnline, non è il solito sito e-commerce, ma uno staff che ha come priorità quella di soddisfare l’esigenza e le necessità del cliente. L’affidabilità del team di Newsoft non è passata inosservata e ha ottenuto il riconoscimento con partnership e certificazioni da brand importanti come Epson, diventando “Partner Pro Graphics”. In qualsiasi momento della giornata lavorativa, per qualsiasi problema tecnico o chiarimento, un nostro collaboratore è a disposizione per fornire quel supporto indispensabile per un professionista nel proprio lavoro. «La nostra politica», conclude Geuna, «da sempre non è basata semplicemente sul prezzo bensì su un’assistenza pronta e puntuale per ogni tipologia di richiesta, sia essa legata alla scelta del prodotto, piuttosto che a tutto ciò che riguarda il post-vendita:

plotter.

purtroppo, in alcune parti di Ita-

servizi di installazione, fornitura di materiale consu-

Volgarmente lo possiamo defini-

lia, servono per ricordare qualcu-

mabile, di supporti per la stampa, assistenza tecni-

re come una grande stampante,

no di caro che non c’è più.

ca. Siamo un’azienda artigiana, abbiamo maturato

uno strumento che stampa fogli

Ci sono decine di tipologie di

23 anni di esperienza che mettiamo a disposizione

larghi anche 1.600 millimetri e

plotter.

del cliente. Non è casuale che ci siano aziende con

lunghi svariati metri. Sono quelle

A differenza dei grandi mar-

cui abbiamo un rapporto di lavoro pluriventennale.

“stampanti giganti” che impri-

ketplace, PlotterOnLine ha svi-

È questo il nostro valore aggiunto: essere al vostro

mono il progetto della vostra

luppato e continua a sviluppare

fianco, sempre».

nuova casa o della vostra nuova

per ogni prodotto svariate pagine

Nel futuro di Newsoft ci sono altre novità.

ristrutturazione, ma stampano

di informazioni per cercare di

Nonostante la crisi economica innescata dalla

anche le offerte del supermercato

rispondere alle domande di ogni

pandemia, l’azienda saluzzese è sana e in costante

appese nelle corsie, la locandina

cliente, geometra, architetto,

crescita di fatturato, con percentuali a doppia cifra

per ritornare a teatro quando si

ingegnere, grafico, per riuscire a

percentuale che consentono a Newsoft di investire e

riuscirà, annunci che emozionano

fornire il plotter più adatto alle

offrire sempre nuovi servizi e nuove soluzioni infor-

in positivo, come i matrimoni e

sue esigenze. Quello che rende

matiche alla clientela.

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Aziende

Le bici realizzate con lattine riciclate per i dipendenti FERRERO

T GILETTA-GRUPPO BUCHER MUNICIPAL

Rivoluzionario spargisale elettrico creato a Revello

È

il primo e unico spargitore di sale professionale al mondo 100 per cento elettrico. Rispetto a uno spargitore idraulico, consente una riduzione misurata del 19,2 per cento sia del consumo di carburante sia delle emissioni di CO2 del veicolo con alimentazione a gasolio, oltre ad avere minori costi di manutenzione e un costo dell’intera vita paragonabile a quello degli spargisale tradizionali. Si chiama UniQa Electra ed è stato progettato a Revello, dove viene anche prodotto, dalla Giletta spa, Competence Center del gruppo multinazionale Bucher Municipal per tutto il settore invernale a livello internazionale. I dati sulle sorprendenti prestazioni del nuovo mezzo, che rappresenta una pietra miliare per la storia del settore, sono risultati da un test effettuato nel corso della stagione invernale appena conclusa nel Regno Unito su una flotta di sei veicoli identici, di cui tre dotati di impianto idraulico e tre completamente elettrici, tutti operanti nelle medesime condizioni nel centro di Londra.

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ina, la bici che era una lattina, realizzata ognuna recuperando circo 800 lattine di Estathé, è arrivata nello stabilimento Ferrero di Alba. Il simpatico e iperecologico mezzo di locomozione è a disposizione dei dipendenti che devono raggiungere l’impianto produttivo dal centro ricerche “Pietro Ferrero” o che devono fare il percorso inverso. Questo bike sharing è frutto di un progetto che ha coinvolto anche il Wwf e il Consorzio nazionale imballaggi.

Tecnologia, innovazione e sostenibilità per l’azienda leader delle acque minerali ACQUA SANT’ANNA

“F

ar circolare la natura senza inquinare”: su questo tema Alberto Bertone (foto), presidente e ad di Acqua Sant’Anna spa, è intervenuto all’Unione Industriale di Torino all’incontro su “Chimica: industria, società, sostenibilità e filiere produttive”. Bertone, tra i più illuminati imprenditori dello scenario industriale piemontese e nazionale, ha ripercorso le strategie chiave di Acqua Sant’Anna, fondata nel 1996 e oggi leader nazionale del settore acque minerali, che hanno fatto del brand un esempio virtuoso di iniziative sostenibili.


Aziende News Utile al +78,6% e nuova vita alla filiale di Pieve di Teco

Official water partner dell’Inter campione d’Italia

BANCO AZZOAGLIO

ACQUA SAN BERNARDO

«S

ono passati trent’anni e sembra ieri». La famiglia Azzoaglio, da sempre saldamente alla guida dell’omonimo istituto di credito che ha il quartier generale a Ceva, commenta così il trentesimo anniversario dell’apertura della filiale di Pieve di Teco, a pochi chilometri dal Colle di Nava, lungo la strada statale 28 che collega la provincia di Cuneo a quella di Imperia, la montagna al mare. Lunedì 15 aprile 1991 il Banco Azzoaglio di Ceva aprì coraggiosamente la filiale di Pieve di Teco, in via Luigi Eula 7, dove ha sede tuttora, dando il via a una storia trentennale che ha visto l’istituto di credito cebano crescere guadagnandosi, giorno dopo giorno, la fiducia degli abitanti del centro nevralgico della Valle Arroscia. Una fiducia ricambiata che si concretizza anche nella decisione, presa quest’anno, di ristrutturare l’ormai storica filiale. Intanto l’istituto di credito ha chiuso il bilancio d’esercizio 2020 con un utile netto di 6.012.000

A euro (ben +78,6% rispetto al 2019), portando il Roe (indice di redditività del capitale aziendale) al 9,6%. Il Banco ha affrontato le sfide imposte dall’emergenza sanitaria incrementando i crediti a sostegno di famiglie e imprese, avviando nuovi servizi di pagamento e nuove modalità di comunicazione multicanale. Il Banco Azzoaglio nello stesso tempo ha intrapreso un percorso di trasformazione in società benefit, nel segno della sostenibilità economica, sociale e ambientale.

cqua San Bernardo sarà “official water partner” dell’Inter anche per la stagione 2021-22 della serie A. L’accordo con la società nerazzurra neocampione d’Italia è stato siglato ad aprile e copre i due campionati. Antonio Biella, direttore generale di San Bernardo, azienda di proprietà del Gruppo Montecristo, ha dichiarato: «Siamo sponsor tecnico della squadra che, per numero di tifosi è fra le tre principali del Paese. Per noi lo sport è veicolo di emozioni e, in un periodo come questo, è ancora più importante lanciare il messaggio ai giovani che lo sport è fondamentale per lo sviluppo psicofisico».

Retail “new normal”: corso per store manager per una nuova esperienza d’acquisto MIROGLIO FASHION

N

el contesto attuale, caratterizzato da grandi cambiamenti nelle modalità e nelle abitudini di acquisto, Miroglio Fashion, azienda leader nel settore dell’abbigliamento femminile con i marchi Motivi, Elena Mirò, Oltre e Fiorella Rubino e oltre 600 negozi di proprietà in Italia, punta sulla formazione e sulla crescita professionale della rete vendita, ponendola al centro del modello di retail “new normal”. Le assistenti alla vendita diventano il vero tramite tra i desideri della cliente e il team progettuale del brand, in grado di orientare chi lavora presso la casa madre a sviluppare prodotti e servizi sempre più personalizzati e in linea con le nuove esigenze. Per assicurare formazione continua e valorizzare i talenti, Miroglio Fashion lancia “Miroglio Retail Academy”, rivolto a oltre 2.500 assistenti alla vendita. Il corso, semestrale, punta a sviluppare le competenze tecniche del settore retail affiancando a una formazione teorica una pratica sul campo, attraverso la condivisione di contenuti sul prodotto, il servizio e l’accoglienza. Il corso è tenuto da un team interno di trainer che mette a disposizione le proprie competenze con un focus su tutte le fasi dell’esperienza di acquisto: dai servizi di vendita personalizzata, fino alla gestione della relazione. Elemento chiave è lo sviluppo delle competenze sulle nuove tecnologie, il digitale e i social media. Il percorso didattico è mirato anche ad accrescere lo spirito imprenditoriale di ciascuno, in un’ottica di miglioramento continuo, e a esprimere il contatto con la cliente in modo sempre più autentico ed efficace.

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Le nuove aziende entrate a far parte di Confindustria Cuneo

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VELIKA SRL Via della Magnina 1, Cuneo (sede legale) Via Sprina 2, Savigliano • Tel. 0172.714666 velika.srl@pec.it e info@velika.biz.it • www.velika.biz

Le migliori soluzioni nel software gestionale

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elika è una giovane azienda informatica che fa parte della galassia Nav-lab, una delle più importanti realtà Microsoft gold partner italiane. È nata alla fine del 2020, quando Kelyan e Basilia, che operavano su Microsoft Dynamics 365 Business Central, hanno deciso di inaugurare una nuova fase del loro rapporto di collaborazione, dando vita a un unico marchio per fornire alle aziende le migliori soluzioni in termini di software gestionali. L’attenzione al settore manufatturiero di Kelyan e il forte legame con il comparto agroalimentare portato da Basilia trovano una perfetta sintesi in Velika, che ha la propria sede legale a Cuneo e può contare oggi su un totale di 35 risorse operative nelle sedi di Savigliano, Carpi, Prato, Pomarico (Matera) e Oria (Brindisi). Le soluzioni Erp (Enterprise resource planning) proposte, basate su Microsoft Dynamics 365 Business Central, rispettano il

modello di business delle aziende e hanno l’obiettivo di supportare le imprese che intendono affrontare il mercato con un sistema di controllo moderno, affidabile e performante, capace di integrare tutti i processi rilevanti e aumentare efficienza e redditività, adattandosi a qualsiasi cambiamento organizzativo e ottimizzando i processi aziendali. «Intendiamo diventare un punto di riferimento a livello italiano per i settori dell’agroindustria e del food», spiega il presidente del Consiglio d’amministrazione di Velika srl, Gianmarco Salvagno. «Con Velika vogliamo affrontare un aspetto del software gestionale mai abbastanza messo in risalto, cioè la capacità di portare innovazione in tutti i settori dell’economia, anche in aree geografiche che vengono frettolosamente giudicate periferiche. Operando con correttezza, onestà e competenza e puntando su un’assistenza precisa e di eccellenza, cerchiamo di perseguire questi obiettivi».


Per le aziende e per il lavoro RISORSE SPA Via San Teobaldo 5, Alba Tel. 0173.285545 alba@risorse.it • www.risorse.it

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al 1998 l’agenzia per il lavoro Risorse spa risponde alle esigenze di due grandi mercati: i candidati e le aziende. La filiale di Alba, come le altre di tutta Italia, con i propri recruiter dedica tempo e passione all’ascolto dei candidati, offrendo assistenza e consulenza alle aziende clienti per rispondere a ogni richiesta. L’offerta di Risorse spa arricchisce il bagaglio di competenze delle aziende e dei singoli lavoratori, cono corsi di formazione gratuiti e percorsi personalizzati di ricollocazione. Sono attivi numerosi progetti in ottica di innovazione e sviluppo. In questa direzione si inserisce “Mind the Gap”, progetto in collaborazione con il Competence Center di Torino (Cim4.0) che porterà a un format innovativo per sviluppare i temi dell’open innovation, dell’intelligenza artificiale e della sostenibilità. «Partecipiamo all’iniziativa di Confindustria Cuneo perché si inserisce perfettamente nelle politiche aziendali per un uso più consapevole e proficuo degli strumenti di comunicazione digitale», spiega Alessia Scarpa, sales innovation director di Risorse spa. «Oggi le dinamiche di comunicazione consentono di raggiungere migliaia di persone in modo veloce e impattante. La nostra agenzia ha investito in processi di trasformazione digitale, senza tuttavia perdere di vista la centralità della persona. Crediamo nell’opportunità di una vetrina virtuale per consolidare e sviluppare nuove relazioni commerciali».

Cresce l’impegno dedicato alla Granda

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per Banca è la capogruppo del Gruppo Bper, che raccoglie due banche territoriali (Bper Banca e Banco di Sardegna) per circa 1.900 filiali a presidio della quasi totalità delle regioni italiane, con più di 18 mila dipendenti e oltre 4 milioni di clienti. Terzo gruppo bancario in Italia per numero di sportelli, comprende, oltre agli istituti di credito, numerose società di prodotto e strumentali. A seguito di un processo di semplificazione avvenuto negli ultimi anni, oggi Bper Banca comprende oltre 1.500 filiali ed è articolata in 17 Direzioni regionali. In Piemonte è presente con 95 sportelli, articolati in tre Aree territoriali, di cui una a coordinamento delle filiali della sola provincia di Cuneo. Bper Banca opera, attraverso società partecipate o joint venture, in tutti i principali segmenti di mercato (corporate & investment banking, wealth management

& insurance, leasing, factoring e credito al consumo) ed è in grado di offrire, grazie a una solida rete di partecipazioni e partnership, un’assistenza qualificata ai clienti su tutti i principali mercati internazionali. «Abbiamo costituito un Centro imprese e un Centro private dedicati alla provincia di Cuneo», afferma Giuseppe Aimi (a destra nella fotografia in alto, accanto a Marco Gabriele Rizzi, responsabile del Centro private di Bra), direttore regionale Piemonte-Liguria di Bper Banca. «È nostra intenzione rafforzare l’impegno nella Granda che ci ha sempre contraddistinto. La capillare presenza territoriale, volta a garantire un elevato livello di servizio per i clienti, rappresenta un punto di rifermento per le famiglie e le imprese, con l’obiettivo di sostenere questo sistema economico di eccellenza lungo la strada della ripresa».

BPER BANCA SPA Ufficio Mercato Imprese • Via Santa Teresa 11, Torino Area territoriale Bra-Saluzzo • via Principi di Piemonte 12, Bra Tel. 011.8818608 - 0172.435272 servizio.clienti@bper.it - bper@pec.gruppobper.it www.bper.it

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Disinfestazione e sanificazione LUMACHERIA ITALIANA SRL

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ata nel 1990 dall’esigenza di molte società del settore alimentare di controllare il grado di infestanti nei loro siti, da 30 anni Eliotec si occupa di disinfestazione e sanificazione ambientale. L’azienda di Canale è cresciuta molto, raggiungendo uno standard elevato garantito dai protocolli internazionali e dalla certificazione di qualità. Grazie alle più moderne attrezzature e alla competenza dei propri tecnici, Eliotec offre al cliente il migliore servizio per ogni tipo di trattamento, dal piccolo negozio alimentare ai grandi parchi pubblici, contando inoltre su un sistema informatico capace di fornire una completa accessibilità ai dati degli interventi svolti. L’azienda di Canale è presente in maniera capillare in Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta e Lombardia, con servizi tempestivi che in caso di emergenza risolvono le criticità anche in 24 ore. Oltre alla sanificazione degli ambienti, attività che ha avuto un forte incremento durante l’emergenza sanitaria, Eliotec è specializzata nella disinfestazione, nella realizzazione di sistemi automatici antizanzare e nell’asportazione di nidi di vespe e calabroni. «Puntiamo molto sulla ricerca e sulla professionalità», spiega il titolare, Elio Nebiolo. «I nostri tecnici vengono formati costantemente e hanno competenze che ci permettono di garantire ai clienti un servizio di assoluta qualità, con soluzioni idonee a ogni esigenza».

ELIOTEC SNC Corso Fratelli Maccagno 10, Canale Tel. 0173.979287 eliotec@email.it • www.eliotec.net

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Corso Einaudi 40, Cherasco Tel. 0172.489382 commerciale@lumacheriaitaliana.com www.lumacheriaitaliana.it

Grandi prospettive grazie alle lumache

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umacheria Italiana è l’azienda con maggior tradizione nel commercio delle lumache da gastronomia, con una storia alle spalle che racconta la sua grande capacità di offrire ai consumatori prodotti selezionati e di qualità, grazie anche alla partnership pluridecennale con l’Istituto internazionale di elicicoltura di Cherasco. Opera nel campo delle lumache da gastronomia, ma non solo. Dopo la creazione della linea dei prodotti cosmetici a base di pura bava di lumache “S’agapò” la prossima frontiera da esplorare è la Snail therapy, il trattamento benessere innovativo che prevede l’utilizzo di chiocciole vive. Si tratta dlla nuova scommessa del direttore dell’Istituto internazionale di elicicoltura di Cherasco, Simone Sampò, che con un grande investimento in ricerca e sviluppo ha dato vita alla Snail Therapy Company, un progetto nato per rendere sempre più forte il legame con il territorio di Langa anche in un periodo così diffi-

cile come l’attuale per via della pandemia da Covid-19, tornando all’origine, alla terra, alla naturalità, alle materie prime e alla tutela del consumatore. La ricerca ha certificato e consolidato ancora di più il potere rigenerante e curativo della bava di lumaca proveniente dagli allevamenti italiani chiocciola Metodo Cherasco. L’iniziativa si rivolge a farmacie, parafarmacie, centri benessere, spa, palestre, profumerie e piccoli produttori. «Le applicazioni della bava di lumaca hanno un mercato concreto che però può ancora contare su ampi margini di crescita», spiega il direttore Sampò. «Questa società, che oltre a me vede coinvolti l’odontoiatra Luca Bonino e mia moglie Chiara Lovera (responsabile del Polo cosmetico, foto in alto), è un player nuovo, ma con tanta esperienza e competenza. Possiamo inoltre contare sul supporto delle intelligenze più vivaci che stanno studiando e sperimentando le nuove applicazioni con la bava di lumaca».



CONCESSIONARIA

Via Torino 216/A - Cuneo

cuneotre@cuneotre.com - cuneotre.com - t. 0171.403434


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