Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 29 ottobre 2018
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Società e Territorio Che cosa sono le soft skills e come aiutano nel mondo del lavoro odierno
Ambiente e Benessere Il dottor Paolo Rossi, neurologo e viceprimario alla Clinica Hildebrand di Brissago, spiega nel dettaglio la presa a carico di pazienti per la medicina riabilitativa neurologica
Politica e Economia Donald Trump in rotta con la Russia per il trattato Inf sui missili a medio raggio
Cultura e Spettacoli La lezione dell’intellettuale afroamericano James Baldwin in una nuova ristampa
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di Roberto Porta pagina 2
Keystone
Una passerella per le isole
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Una manovra verso il baratro di Peter Schiesser La manovra economica presentata dal governo italiano può aver senso soltanto se la considera un attacco frontale all’Unione europea e all’euro, in vista delle elezioni europee del prossimo maggio, nella speranza di rovesciare l’Europa dei burocrati. Dal punto di vista economico, infatti, non regge, e la lettera della Commissione europea con cui respinge la bozza di bilancio per il 2019 lo evidenza: prima di tutto, le previsioni di crescita sono troppo ottimistiche e non verificate da alcun ente indipendente (anzi, la italiana Ref Ricerche le contesta), inoltre con un disavanzo al 2,4 per cento si contravviene alle regole di bilancio dell’Unione monetaria, che sono la base della stabilità dell’euro, tanto più che in maggio l’Ue aveva varato all’unanimità, quindi anche con la firma del presidente del consiglio italiano Conte, la raccomandazione di una riduzione del disavanzo statale (per l’Italia dello 0,6 per cento). In sostanza, l’Italia si indebita ulteriormente per finanziare promesse elettorali come il reddito di cittadinanza (voluto dai 5Stelle) e la riduzione dell’imposte con annessa amnistia (Lega), ma così facendo
rende più oneroso il pagamento degli interessi del debito pubblico, oggi al 131 per cento del PIL. In interessi sul debito, oggi l’Italia paga l’equivalente delle spese per l’istruzione pubblica. Ma soprattutto il Belpaese perde altra fiducia sui mercati, ciò che fa schizzare il differenziale di interesse fra i titoli statali tedeschi e quelli italiani sopra i 300 punti (se la Germania si finanzia il debito pagando lo 0,5 per cento di interessi, l’Italia sborsa oltre il 3 per cento). Ma lo spread non è un’invenzione dei nemici dell’Italia: è il prezzo che paghi se chi deve prestarti denaro corre un rischio superiore. Investire nei titoli di Stato italiani è considerato ormai un rischio palese, siccome il denaro però serve, lo si paga con interessi più alti. Sia il ministro Tria, sia lo stesso Conte ammettono che uno spread sopra i 320 punti non è sopportabile per l’economia nazionale, in particolare per le banche italiane, ma manifestano un ottimismo figlio più di un «pensiero magico» che della realtà dei fatti: da quando è al governo il triumvirato Conte-Salvini-Di Maio, i titoli bancari hanno perso in borsa un terzo del loro valore (attorno ai 30-40 miliardi di euro), portando la Banca Carige e il Monte dei Paschi di Siena vicini all’insolvenza. Siccome le banche italiane detengono molti titoli
di Stato, se questi perdono di valore (in conseguenza di uno spread più alto) automaticamente si riduce la capitalizzazione della banca, che contemporaneamente faticherà a trovare sufficiente liquidità sui mercati per le sue attività. Uno spread a 400 punti – scenario plausibile se dovesse approfondirsi il conflitto fra Roma e Bruxelles – rappresenterebbe una rovina per il settore bancario e di conseguenza per le aziende, che non troverebbero più chi fornisce liquidità. Le banche più deboli potrebbero anche venire acquisite da istituti esteri. In ultima analisi, sarebbe la popolazione a pagare il conto, in termini di rallentamento dell’economia e di minori risorse dello Stato a disposizione della collettività. Eppure il grado di apprezzamento per questo governo è ampio, sorretto da almeno il 60 per cento della popolazione – anche se non si vorrebbe credere che tutti questi italiani abbiano inneggiato all’eurodeputato leghista Angelo Ciocca, che con gli appunti del commissario europeo Moscovici ci si è pulito le scarpe, martedì scorso a Strasburgo (salvo poi cercare di stringergli la mano, senza riuscirci). La drammatica impressione è che attualmente in Italia gli sproloqui populisti abbiano infinitamente più presa dei più elementari ragionamenti economici.