Azione 02 del 9 gennaio 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 9 gennaio 2017

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Società e Territorio Un viaggio attraverso il Ticino alla scoperta delle sue fontane in compagnia di Giorgio Passera e Rémy Steinegger

Ambiente e Benessere Il professor Luca Gabutti spiega i motivi per cui le bevande alcoliche danneggiano la salute

Politica e Economia Disgelo improbabile tra Russia e USA, nonostante la simpatia reciproca tra Putin e Trump

Cultura e Spettacoli Il Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo festeggia i suoi primi vent’anni

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Il drago cinese incanta Il corno delle Alpi il leone singalese mette radici in Mesolcina Quando un’èra si arrende alla prossima e una Pax imperiale non si impone più, lo si nota. Anche agli antipodi del nostro mondo. Nello Sri Lanka, per esempio. Dimenticata lì, quasi appoggiata alla costa orientale dell’India meridionale, l’isola a forma di perla è punto di approdo e di passaggio obbligato per le navi che da Oriente vanno ad Occidente e viceversa, da sempre. Nella sua capitale, Colombo, il porto viene attualmente ingrandito, un braccio di mare viene colmato di sabbia, sorge un’autostrada qua e una là (novità!), a Hambantota, un altro porto di importanza crescente sulla costa meridionale spingendosi verso est, è pianificata un’area industriale di 15mila ettari (700mila mq)... Lo Stato, vinta la guerra contro le Tigri tamil, ha finalmente i capitali per ammodernare le infrastrutture pubbliche? No: sono arrivati i cinesi. Sono loro che pagano. E decidono. La società mista sino-srilankese che amministrerà il nuovo porto di Colombo appartiene per l’80 per cento allo Stato cinese. L’area industriale di Hambantota viene ceduta ai cinesi per 90 anni. Ma quando gli imperi si avvicendano, bisogna mostrarlo anche con i simboli: a Colombo c’è una spianata fronte oceano che porta il nome di Galle Face Lane. Sul lato meridionale gli inglesi vi avevano costruito un albergo coloniale, il Galle Face Hotel, poco lontano ci sono ancora oggi i luoghi nevralgici del potere, Banca centrale, Tribunale supremo, Parlamento, Residenza presidenziale. Poi venne il tempo degli americani, più discreti, ma comunque presenti (anche in funzione anti-indiana, allora vicina all’orbita sovietica), con un paio di alberghi a stelle e strisce su Galle Face Lane, poco distanti dal Galle Face Hotel, giusto un po’ più grandi. Oggi i cinesi stanno ultimando tre alti grattacieli, sempre su Galle Face Lane, a formare un unico albergo: Shangri La. La stessa catena, con sede a Hong Kong, progetta un altro mega-albergo Shangri La a Hambantota, dove è da poco stato inaugurato un moderno aeroporto, fin qui inutilizzato (ma forse i cinesi...). Chissà se gli americani riusciranno in cambio di tanta apertura verso i cinesi (molto indigesta anche all’India) a ottenere una base navale militare a Trincomalee, sulla costa orientale, un porto naturale per eccellenza che si affaccia sull’Oceano indiano fino alla Thailandia. Colmerebbero una lacuna decennale. Ma se non l’ottenessero, sarebbe una prova ulteriore dell’influenza della Cina su quest’isola. Tuttavia, si notano poco, fisicamente, i cinesi. I tecnici e gli ingegneri che lavorano ai mastodontici progetti restano appartati, i numerosi turisti non cercano il contatto con la popolazione. È facile trovare tra la maggioranza singalese, dove serpeggia da decenni uno spirito sciovinista, chi dice di non amare i cinesi. Ma questo non riguarda solo i cinesi. Nel corso degli ultimi cent’anni diverse minoranze (tamil, cristiani, musulmani, parsi, malayali) hanno subìto sulla propria pelle la furia di un nazionalismo singalese che si è sentito a lungo frustrato. Attualmente, qualche mugugno e fastidio i singalesi (che sono di fede buddista) lo riservano ai musulmani; attecchiscono convinzioni secondo cui i musulmani rappresentano già quasi il 25 per cento della popolazione (in realtà non raggiungono il 10%, ma la percentuale è in lenta crescita) e l’Arabia saudita finanzia i centri religiosi, mentre è vero che qualche estremista islamico, anche dell’Isis, transita nell’isola. Al ritorno, sorvolando gli Emirati arabi, dalla foschia dorata che copre mare e deserto svettano, appuntiti, i grattacieli di Abu Dhabi, Dubai, Sharja, come torri di una moderna «Mille e una notte». Il mare è costellato da nugoli di petroliere che si allungano fino al Kuwait e all’Iraq. A nord l’inospitale sud della Persia, a sud, oltre le montagne e il deserto, le guerre che dilaniano la Penisola arabica, dallo Yemen alla Siria. Impossibile ignorare l’enorme importanza per l’economia mondiale dei campi petroliferi e di gas di questa regione. Che gli americani difenderanno sempre con i denti, ma che appare così vulnerabile nel suo galleggiare nelle vastità del deserto. Di tutte le guerre che hanno sconvolto il Medio Oriente, nessuna è mai stata davvero risolta ed elaborata. Tutto cova sempre sotto macerie ancora fumanti. Qui la Cina è ancora assente, ma ora assieme agli americani sono tornati a farsi sentire i russi, mentre sauditi e qatarioti hanno mire che vanno oltre i confini nazionali, senza dimenticare gli iraniani. In attesa che il nuovo presidente americano ridisegni la geopolitica statunitense – perché ha l’aria di volerlo davvero fare, a cominciare dai segnali distensivi rivolti alla Russia di Putin (vedi pag. 17) – ognuno muove le proprie pedine. Anche se non più con la missione di fare degli Stati Uniti il gendarme del mondo, Donald Trump avrà il suo daffare per riuscire ad affermare la potenza americana in Asia e Medio Oriente, tuttora vitale per Washington.

di Elia Stampanoni

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E. Stampanoni

di Peter Schiesser


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Attualità Migros

M Più investimenti in un mercato difficile Migros Ticino L’azienda ticinese

(Cooperativa Migros Ticino + Activ Fitness Ticino SA) chiude il 2016 con una cifra d’affari consolidata di 479,5 milioni di franchi, in calo del 2,64% rispetto al 2015

Luca Corti La cooperativa ha operato in un mercato regionale del commercio al dettaglio nuovamente in flessione (di ca. 2/2,5 punti percentuali) a causa della diminuzione dei prezzi, del forte turismo degli acquisti e dello sviluppo del commercio online, in particolare nel settore non alimentare. Sul fatturato di Migros Ticino, oltre alle diminuzioni di prezzo (ca. –0,7%) hanno pesato i lavori per la radicale ristrutturazione della filiale di Lugano Centro, una delle più importanti della cooperativa (ca. –1%). Anche nel 2016, nonostante la situazione difficile, Migros Ticino ha però continuato a investire nel territorio, rinnovando e ampliando le sue sedi: oltre al centro commerciale di Lugano, è stato infatti completamente ammodernato il negozio di Massagno-Radio. Sono state quindi aperte altre tre attività: un nuovo supermercato a Sementina, il primo take away di nuova concezione – Frescotto – alla stazione FFS di Bellinzona e, dopo il successo registrato dai due centri di Losone e Lugano, un terzo Activ Fitness a Bellinzona. Migros Ticino ha continuato a svi-

luppare (e continuerà a farlo in futuro) la propria offerta di beni e servizi commerciali con un occhio di riguardo per la regione nella quale opera, per i prodotti della nostra terra (Nostrani del Ticino) e per quelli sostenibili, e cioè a basso impatto ambientale e con ampia valenza sociale, sempre in linea con la sua filosofia e nel quadro delle promesse di Generazione M. Nel settore della formazione continua, le ore di frequenze della Scuola Club di Migros Ticino sono cresciute dello 2,8% attestandosi a 291’029, con un risultato particolarmente positivo per i percorsi formativi con diploma nel settore wellness e fitness e in quelli della formazione aziendale e della formazione di guida. Anche le oltre cento proposte culturali sostenute dal Percento culturale di Migros Ticino sono state caratterizzate da alti livelli di partecipazione e gradimento, mentre il settimanale d’informazione e cultura «Azione» ha consolidato il numero di lettori, che ora sono 118’000. Ulteriori informazioni sull’esercizio 2016 verranno comunicate il prossimo 23 di marzo presso la sede di S. Antonino, in occasione della consueta conferenza stampa annuale.

Tutta la famiglia sugli sci «Famigros Ski Day» L’appuntamento

ticinese è previsto domenica 12 marzo sulle nevi di Bosco Gurin

In occasione dei «Famigros Ski Day», i membri di un nucleo famigliare possono cimentarsi ad una simpatica gara su un percorso adatto a tutti i livelli di sciatori e snowboarder. Il cronometro si fermerà quando l’ultimo concorrente di ogni famiglia avrà tagliato il traguardo. Ogni bambino riceve immediatamente all’arrivo una medaglia ricordo. Come per il Grand Prix Migros, anche per questa manifestazione, al villaggio degli sponsor non mancheranno i momenti di sano divertimento presso gli stand Famigros, Swiss-Ski, Rivella e SportXX Migros. Il costo dell’iscrizione alla giornata è di soli 110 franchi per un pacchetto comprendente: 2 carte giornaliere per adulti e max. 3 per bambini, 5 buoni pasto caldo + 1 bottiglia di Rivella e regalo sorpresa. I membri del programma Cumulus Famigros e/o di Swiss-Ski, beneficeranno di una riduzione di 25 franchi (costo 85 franchi). A differenza del Grand Prix Migros, ai «Famigros Ski Day» ci si potrà iscrivere a più tappe e

scoprire così la bellezza di stazioni invernali che propongono talvolta delle caratteristiche di unicità come per esempio la vicina località svittese di Stoos. Ulteriori informazioni e la possibilità di iscriversi su: www.famigros-ski-day.ch.

Famigros Ski Day, domenica 12 marzo, a Bosco Gurin

Concorso Azione mette in palio fra 3 iscrizioni omaggio (ciascuna valida per una famiglia composta da 3-5 persone) allo Ski Day Famigros di Bosco Gurin, del valore di fr. 110.– l’una, ai primi 3 fortunati lettori che telefoneranno mercoledì 11 gennaio 2017 dalle ore 10.30 allo 091 84012 61.

Cristina Minotti, rappresentante regionale Svizzera italiana della Società svizzera sclerosi multipla e Mirella Rathlef (a destra), responsabile della Scuola Club di Migros Ticino.

La formazione non ha barriere

Novità La Scuola Club di Migros Ticino ha avviato un’inedita

partnership con la rappresentanza ticinese della Società svizzera sclerosi multipla

La sclerosi multipla (SM) è una malattia neurologica progressiva a decorso cronico che colpisce il sistema nervoso centrale. Nella SM la mielina, sostanza isolante che riveste le fibre nervose lungo le quali viaggiano gli impulsi tra le cellule del sistema nervoso centrale e le diverse parti del corpo, viene aggredita per errore dal sistema immunitario dello stesso portatore, con l’insorgere di focolai di infiammazione e problemi di trasmissione delle informazioni. Nel 70% dei casi i primi segnali di questa malattia, che colpisce soprattutto la popolazione femminile, compaiono nella fascia di età compresa tra i 20 e i 40 anni. A livello nazionale ne sono portatori circa 10’000-15’000 persone, di cui almeno 450 in Ticino. I sintomi più comuni sono dati da disturbi visivi, alterazioni della sensibilità, difficoltà di deambulazione, perdita di forze e stanchezza (fatigue), ma il decorso e la sintomatologia sono variabili da soggetto a soggetto. In ogni caso, la sclerosi incide su numerosi ambiti della vita personale e professionale finendo per restringere, inevitabilmente, il mondo relazionale del malato. A sostegno della qualità della vita e della socialità delle persone affette da SM, la rappresentanza regionale della Società svizzera sclerosi multipla, nella persona di Cristina Minotti, e la Scuola Club di Migros Ticino hanno avviato una nuova importante partnership con una proposta inedita nel panorama nazionale. A partire dal 24 gennaio la sede di Lugano della Scuola Club aprirà le sue porte per offrire atelier creativi e formativi tematici a persone affette da SM e ai loro accompagnatori. Si parte con

un pomeriggio alla settimana per un periodo pilota di 6 mesi. Obiettivo generale è di rispondere in modo originale a tre domande che provengono dal mondo della SM. La prima è quella di favorire la socializzazione delle persone affette da questa patologia. La SM non è totalmente invalidante. Soprattutto agli inizi essa è perfino poco riconoscibile a un occhio esterno. Tuttavia, essa provoca un rallentamento dei ritmi, così che non sempre è facile per il portatore o la portatrice di SM stare al passo con i tempi di proposte pensate per persone non affette dalla stessa patologia, con un inevitabile ridimensionamento della loro partecipazione alla vita sociale. Per superare questo gap la Scuola Club ha ideato atelier tematici guidati da formatori esperti, preparati per ritmare i diversi corsi sulla base delle esigenze personali dei singoli partecipanti, all’interno di un clima accogliente, caldo e rassicurante. Un secondo obiettivo è quello di allestire per le persone malate di SM spazi di espressione di sé, delle proprie emozioni e dei propri vissuti spesso legati a doppio filo alle fatiche della malattia. Non di meno si intende favorire la scoperta di un potenziale ancora inesplorato in termini di creatività e capacità. A questo proposito la proposta è stata disegnata per facilitare molteplici forme comunicative: corporea, artistica, musicale, narrativa. Ci si esprime nei colori scelti per dipingere un quadro, nel realizzare un’originale borsa in feltro, danzando o partecipando in cucina alla preparazione di una ricetta elaborata. Il terzo e ultimo obiettivo è forma-

tivo. I corsi puntano anche a una giusta dose di apprendimento in termini di conoscenze teoriche e di capacità pratiche. Continuare a imparare per un malato di SM è fondamentale, non solo per mantenere in esercizio le competenze cognitive, ma anche per alimentare un senso di efficacia messo a dura prova dalla malattia. Il programma proposto appare in grado di soddisfare tutti i gusti: sono previsti corsi di ballo, yoga, cucina, pittura, spagnolo, inglese, brain gym e molto altro ancora. Il 13 dicembre si è svolto un primo open day nel corso del quale numerose persone con SM hanno potuto avere un «assaggio» di cosa accadrà nelle prossime settimane. L’adesione – che è andata oltre ogni attesa – conferma l’esistenza di un bisogno reale cui la Scuola Club di Migros Ticino desidera dare risposta mettendo a disposizione competenze e capacità progettuali all’avanguardia per rendere sempre più concreta la sua mission: arrivare davvero a tutti, con una formazione per tutti e per ciascuno.

Atelier del martedì La Scuola Club di Migros Ticino e la Società svizzera sclerosi multipla in ticino propongono «atelier creativi e formativi» per persone con sm. Ogni martedì, dal 24 gennaio 2017, dalle ore 14.00 alle 17.00. Presso la nostra sede di Lugano, via Pretorio 15. Per ulteriori informazioni 091 821 71 50. Annuncio pubblicitario

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(studenti fino 29 anni, apprendisti e beneficiari AVS/AI, 540.– invece di 640.–). Offerta valida fino al 31 gennaio 2017.

ACTIV FITNESS Bellinzona, Losone e Lugano.

www.activfitnessticino.ch


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Società e Territorio Famiglie adottive L’importante ruolo di condivisione e informazione svolto dall’associazione Spazioadozione, nata nel 2011 dalla volontà dei genitori dopo una costruttiva esperienza come gruppo di auto-aiuto

Tornano le avventure di Noctis Dopo dieci anni di attesa è stato da poco lanciato Final Fantasy XV: creato da Hajime Tabata il videogioco si libera del passato e offre tante ore di divertimento pagina 5

E. Stampanoni

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Dalle Alpi un corno di risonanza

Incontri Bruno Cattaneo coltiva una vera passione per il corno delle Alpi e nella sua officina di Roveredo fabbrica

alcuni strumenti all’anno, tutti venduti ancor prima di essere finiti

Elia Stampanoni Tutto inizia lassù, nei boschi alpini di Tinizong, piccolo borgo grigionese nei pressi di Savognin. È qui che Bruno Cattaneo va a cercare il legno adatto. Si tratta di abete rosso, ma non uno qualsiasi. Gli esperti lo chiamano legno di risonanza perché, grazie ad alcune caratteristiche, si distingue dall’altro, comunque pregiato. Delle qualità che sono indispensabili per lo scopo d’utilizzo: costruire corni delle alpi. Ogni anno, da dicembre a marzo, dall’officina di Roveredo Bruno sforna alcuni di questi strumenti tipici della tradizione elvetica. Pochi pezzi, che vanno subito a ruba, dato che praticamente tutti sono già venduti prima di essere fabbricati: «Sì, negli ultimi cinque-sei anni c’è un interesse crescente per il corno delle alpi, dovuto anche ai corsi per adulti introdotti dal Cantone a partire dal 2012 e che hanno contribuito pure loro ad avvicinare molte persone a questo strumento, cir-

ca 50 ogni anno», ci racconta Cattaneo. A gennaio è per esempio in programma il corso cantonale intitolato «Il tuo sogno è suonare un corno delle Alpi?», un ciclo di lezioni dove approfondire le nozioni di base per suonare le prime note e scoprire che «è solo questione di tecnica». Il crescente interesse si ripercuote poi sui fabbricanti, sollecitati da persone desiderose di cimentarsi con lo strumento, noto anche come corno alpino (Alphorn in tedesco e cor des Alpes in francese). Un fascino che, un po’ per caso, ha contagiato anche il nostro interlocutore: «Non ho mai suonato uno strumento musicale e solo sei anni fa mi sono confrontato con il corno, che comunque mi ha sempre affascinato. Il merito è di mio cognato che mi ha spinto a comprarlo dopo aver assistito ad un’esibizione: mi fece provare e quei due o tre versacci che riuscii ad emettere, sono bastati per farmene innamorare». Acquistato il suo primo corno nel 2011, Bruno non si è accontentato e su-

bito ha messo in pratica la sua formazione di falegname, con i primi tentativi nel suo piccolo laboratorio di Roveredo. «Devo dire che non è stato facile trovare informazioni su come fabbricarli, dato che i costruttori in Svizzera (e ce ne sono parecchi) sono tutti un po’ restii a divulgare le proprie conoscenze, forse anche per mantenere un po’ di segreto sulle proprie ricette e tecniche, tramandate di generazione in generazione». Bruno ha quindi imparato tutto da autodidatta, trovando qualche informazione e filmato su internet, ma soprattutto provando. Affinando tecniche e metodologie, il mesolcinese ha ritenuto di aver raggiunto un ottimo standard di qualità e ha proposto i suoi pezzi agli interessati, dedicandosi pienamente alla causa nel periodo invernale e trasformando così un hobby in mestiere. «Sì, l’inverno è il periodo adatto sia per tagliare gli alberi da cui ricavare il legname, sia per lavorarlo. Il legno in questo intervallo è in una fase di riposo, fatto importantissimo per avere poi

uno strumento di qualità». Già, perché il successo di un corno delle alpi è dovuto in gran parte al materiale utilizzato ed è proprio per questo che Bruno i suoi abeti va a sceglierli a Tinizong, tra i 1’400 e i 1’800 metri di altitudine. «Sì, qui collaboro molto bene con una segheria molto attenta ai cicli della natura che mi segnala quando individuano dei tronchi particolarmente adatti, ossia con anelli più stretti e altre caratteristiche dovute alle particolari condizioni climatiche e di crescita». Una volta messo al sicuro, il legno viene lasciato asciugare all’aria per quattro cinque anni. Un processo lento che permette all’abete (rosso e di risonanza) di perdere la sua umidità e di garantire resistenza, longevità e acustica. Solo ora può iniziare l’operazione vera e propria di costruzione, per la quale Bruno calcola in media una settimana di lavoro. «Sì, e ogni pezzo è unico. Nonostante alcuni utensili aiutino il compito ci vuole ancora molta manualità e precisione per garantire

la qualità del suono». I corni delle alpi sono essenzialmente in legno di abete e arrivano a pesare circa 2 chili e mezzo, compresi i piedini in legno di noce e il bocchino in legno di ulivo o acero. Il rivestimento esterno, in rattan (un legno di palma molto resistente ma flessibile), serve sia da protezione sia per estetica, ma ha anche una funzione acustica, come ci mostra Bruno che oltre a costruire corni è pure un suonatore. Con tre amici gira infatti il Ticino e i Grigioni, così come fanno molti altri gruppi, garantendo vita a uno strumento tradizionale. Essendo un corno naturale, ossia un legno dalla sezione conica senza fori né altro, può emettere un limitato numero di note, una quindicina (i soli armonici). Ha però una notevole risonanza e può essere udito per diversi chilometri, confermando la sua funzione originaria di comunicazione fra pastori dell’era rurale. Caratteristica che si ritrova in altri strumenti simili e tipici delle regioni montuose dell’Europa.


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Società e Territorio

Uno spazio di condivisione

Famiglie adottive L’importante ruolo di scambio e informazione dell’associazione Spazioadozione che si impegna

a favore della diffusione di una vera cultura dell’adozione

Stefania Hubmann Occorre promuovere la cultura dell’adozione, affinché i bisogni specifici dei bambini accolti come figli nelle famiglie della nostra regione siano più conosciuti, così come le esigenze dei genitori che li crescono con amore. Un amore che a volte da solo non basta. Per affrontare il passato dei figli adottivi e il disagio che ne consegue, sono necessarie competenze e strategie che la famiglia può apprendere documentandosi, leggendo e confrontandosi con altri genitori nella medesima situazione, meglio ancora se con figli già più grandi. Queste convinzioni animano i membri dell’associazione Spazioadozione, nata nel 2011 dopo un’esperienza quadriennale come gruppo di auto-mutuo-aiuto che ha trovato nel blog e nel sito un efficace strumento di comunicazione e condivisione. La realtà dell’adozione è anche questa. Ci sono genitori poco informati e seguiti, che in un primo tempo preferiscono magari concentrarsi sul proprio nucleo famigliare, sottovalutando i segnali di sofferenza lanciati dalla bambina o dal bambino. Spazioadozione desidera poter raggiungere queste famiglie nel senso di diffondere la consapevolezza delle implicazioni di una simile scelta a tutti i livelli della società. I cambiamenti culturali sono lenti, ma le generazioni di genitori adottivi si susseguono e grazie anche al loro impegno l’approccio si sta modificando. La stessa storia di Spazioadozione lo dimostra. Le famiglie più attive sono una decina, ma diverse nuove si annunciano regolarmente, animate dal bisogno di condividere preoccupazioni e difficoltà quotidiane per le quali si cercano risposte anche molto pratiche. I genitori definiti «collaudati» hanno figli ormai trentenni e rappresentano un prezioso punto di riferimento per chi si affaccia a questo cammino o per coloro che devono fare i conti con la turbolenta fase adolescenziale (e non solo) dei propri figli. Frustrazioni, rifiuti e atteggiamenti provocatori si accentuano, diventando molto più difficili da gestire all’interno come all’esterno della famiglia. Inizia inoltre a manifestarsi il tema delle proprie origini, che può tradursi in desiderio di ricerca, ma in alcuni casi anche in assoluto rifiuto. Secondo Spazioadozione, a fronte di molti adottati felicemente integrati nella società, altri hanno bisogno di più tempo e attenzioni per superare i traumi subiti, primo fra tutti quello dell’abbandono. La perdita della madre biologica

L’associazione è un sostegno soprattutto per i genitori adottivi che si trovano a dover affrontare la fase adolescenziale dei loro figli. (Marka)

rimane un segno comunque indelebile indipendentemente dal fatto che il bambino sia adottato nelle prime settimane di vita o dopo alcuni anni. La teoria del trauma e dell’attaccamento permette di capire le sue dinamiche comportamentali già nell’ambito dell’inserimento familiare, mentre quella dell’appartenenza e dell’identità offre strumenti per comprendere le sue difficoltà a livello di integrazione sociale. Due famiglie che abbiamo incontrato, con figli adottivi rispettivamente di 17 e 18 anni, raccontano come questi concetti siano oggi ben spiegati in diverse pubblicazioni anche in lingua italiana. Una quindicina di anni fa approfondire la problematica adottiva era invece più complesso. Spazioadozione sul suo sito (www.spazioadozione.org) offre molti spunti al riguardo. Come lo suggerisce il nome, l’associazione è però prima di tutto un luogo d’incontro tra famiglie adottive. Il bisogno di essere capiti e non giudicati è diffuso, tanto quanto la necessità di poter contare su una rete di sostegno per se stessi e i propri figli. Una volta raggiunta l’età adulta, anche questi ultimi sono i benvenuti. La loro testimonianza è di grande im-

portanza, perché permette di trasmettere e spiegare il loro sentire specifico. Lo hanno dimostrato i due ospiti della serata pubblica organizzata da Spazioadozione lo scorso ottobre. Alla visione del film autobiografico Antwone Fisher (storia vera del guardiamarina Antwone Fisher, che a causa del suo temperamento irascibile viene obbligato dal suo superiore a seguire un percorso psicoterapico) è seguito un dibattito con Laura Pensini, psicologa del Centro Prisma Luce di Brescia (specializzato nella presa a carico di famiglie adottive) e Kim So-Book Cimaschi, direttore del trimestrale ADOPNation edito dallo stesso centro, entrambi figli adottivi. Sensibilizzare il pubblico è uno degli obiettivi di Spazioadozione, che ha stabilito contatti con altri enti locali e internazionali. In Italia, realtà vicina alla nostra, esistono direttive scolastiche mirate per l’accoglienza di allievi adottati e centri specializzati sulla tematica. L’associazione ticinese è impegnata a diffondere anche nel nostro cantone queste buone pratiche cercando di coinvolgere le istituzioni. È previsto infatti un progetto riguardante la scuola e destinato soprattutto ai docenti. Il mondo scolastico e quello del lavoro,

secondo l’esperienza diretta di queste famiglie, non sono ancora preparati ad accogliere i bambini adottati tenendo conto dei loro bisogni peculiari all’origine di comportamenti altrettanto distintivi. Sovente bastano piccoli accorgimenti per evitare reazioni emotive eccessive. Qualche esempio: assegnare un posto in fondo alla classe in modo che il bambino veda tutti i compagni e si senta più sicuro, stemperare la tensione con uno stacco proponendo di andare a bere un bicchiere d’acqua o ancora utilizzare un codice per far capire all’allievo che l’insegnante esce dall’aula ma poi rientra. La paura di un nuovo abbandono è infatti tale da suscitare emozioni non sempre controllabili. Di qui l’appellativo di bambini «ribelli» ai quali altri adottati contrappongono l’immagine di bambini «perfetti» per paura di essere nuovamente rifiutati. Pazienza, empatia, compassione, accoglienza, capacità di immedesimarsi nel bambino e di sapersi mettere in gioco come genitori, sono alcune delle attitudini che facilitano le relazioni con i bambini adottati e lo sviluppo di un legame sia in famiglia sia negli altri contesti sociali. I comportamenti e le strategie di comunicazione più ade-

guati non sono sempre spontanei. Ecco perché, secondo chi ha vissuto in prima persona questa esperienza, è auspicabile una maggiore formazione dei futuri genitori adottivi e docenti, in modo che possano capire il significato di determinate dinamiche. Quanto proposto attualmente dalla procedura di adozione potrebbe quindi essere migliorato, con un’attenzione prolungata nel tempo e la possibilità di far capo a professionisti specializzati in questo ambito. Un monitoraggio delle famiglie adottive in Ticino contribuirebbe pure a sviluppare e diffondere una vera e propria cultura dell’adozione. Per le famiglie che regolarmente si trovano in Spazioadozione, condividendo esperienze, preoccupazioni e risorse, una conoscenza maggiore dell’adozione e di tutte le sue sfaccettature sarebbe non solo un prezioso aiuto, ma anche un dovere verso «queste persone che abbiamo fatto venire da noi con la pretesa di poterle far stare meglio che nel loro paese d’origine». Informazioni

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Società e Territorio Noctis, con gli amici Ignis, Gladio e Prompto, deve riconquistare la capitale Insomnia. (Square Enix)

Acqua, granito e larice

Pubblicazioni Alla scoperta di 140 fontane

ticinesi con il giornalista Giorgio Passera e il fotoreporter Rémy Steinegger Gemma D’Urso

Final Fantasy XV: un’attesa lunga un decennio

Videogiochi I l quindicesimo episodio del gioco di ruolo giapponese

è stato creato da Hajime Tabata e riparte da zero, la scelta è vincente Davide Canavesi Final Fantasy è una serie sacra per i videogiocatori, siano essi giovani o meno giovani. Il primo, leggendario, episodio uscì nel 1987 sul Nintendo Entertainment System. Diventò subito il gioco di ruolo giapponese per antonomasia. Un mondo in cui l’equilibrio degli elementi naturali si spezza e sta al giocatore sconfiggere il male, cancellando sortilegi e combattendo con onore. Dal primo capitolo sono passati quasi trent’anni e di seguiti ne sono usciti moltissimi. In realtà, l’universo di Final Fantasy non è rimasto solamente legato ai videogame visto che, negli anni, sono stati creati anche lungometraggi cinematografici, spinoff, crossover con altre serie, riedizioni e remake per un totale di ben oltre 30 prodotti. Quest’autunno però è finalmente uscito, dopo essere stato annunciato nel 2006, Final Fantasy XV. Un gioco il cui sviluppo ha richiesto non solo moltissimo tempo ma anche diverse modifiche nel corso degli anni, sia per quanto riguarda il lato tecnico che per quello artistico. Final Fantasy XV, nonostante sia il numero quindici, è un gioco nuovo. Creato da Hajime Tabata e non dalle storiche menti dietro i precedenti capitoli quali Hironobu Sakaguchi, Nobuo Uematsu e Tetsuya Nomura, riparte da zero. L’eredità degli altri quattordici giochi si era fatta troppo pesante da sopportare. La scelta è stata coraggiosa ma necessaria. In Final Fantasy XV seguiamo la storia di Noctis Lucis Caelum, principe del regno di Lucis e promesso sposo di Lunafreya, Sacerdotessa di Tenebrae. Le nozze sono state decise per placare un lungo e sanguinoso conflitto tra il regno di Lucis e l’impero di Niflheim.

Il giorno dell’armistizio il ragazzo parte, accompagnato dai suoi protettori ed amici Ignis, Gladio e Prompto, alla volta di Altissia, la città in cui si terranno le nozze. Sfortunatamente per Noctis però l’impero ha ben altri progetti per il regno di suo padre e, approfittando della tregua, sferra un attacco devastante alla capitale Insomnia. Regis, il re, viene assassinato. La città invasa. I quattro giovani, scoperta la terribile notizia, cercano immediatamente di fare ritorno ad Insomnia ma ogni tentativo è vano. Le pattuglie imperiali bloccano ogni accesso alla città. Non tutto sembra però irrimediabilmente perduto: alcuni ufficiali del regno sono fuggiti così come la sacerdotessa Lunafreya. Per Noctis e compagni la missione è chiara: riconquistare Insomnia, mettere fine allo strapotere dell’impero e salvare Lunafreya. Questo, a grandi linee, è l’inizio di Final Fantasy XV. Come da tradizione per un gioco di ruolo, dovremo affrontare molte sfide e combattere mostri e nemici umani al fine di diventare sempre più forti e capaci. Per la maggior parte del gioco saremo liberi di andare dove vorremo, scorrazzando per il regno di Lucis a bordo dell’auto del principe, la Regalia, oppure in sella ai Chocobo, una sorta di struzzo che è possibile cavalcare. L’open world (così si chiama questo genere di giochi, che danno ampia libertà di scelta al giocatore) di Final Fantasy XV offre al giocatore innumerevoli possibilità, tra cui cacce al tesoro, battute di pesca, campeggi, caverne da esplorare, mostri da abbattere, zone da scoprire e molto altro. Tutte queste attività sono inserite naturalmente nel paesaggio, molto piacevole da esplorare, grazie alla sua vitalità. Ci imbatteremo infatti spesso in caffè e stazioni di servizio, boschi e

laghi, cittadine ed avamposti. Il terreno di gioco non è solo molto grande ma anche interessante da visitare. Sorprendentemente vitali anche i quattro protagonisti, che non smetteranno mai di parlare tra di loro durante le avventure. Che si tratti di commenti sui grandi eventi di cui sono protagonisti oppure di semplici chiacchiere e battute, i quattro ragazzi sono continua fonte di intrattenimento. Le loro interazioni li rendono più reali, smorzando anche in parte la drammaticità della trama. Tra un selfie e una corsetta sulla spiaggia, senza dimenticare le serate davanti ad un fuoco da campo, li troviamo istintivamente simpatici e divertenti. Il sistema di gioco di Final Fantasy XV abbandona i tradizionali combattimenti a turni in favore di un approccio più d’azione. Il giocatore avrà sempre il controllo di Noctis e la scelta tra armi da taglio, da fuoco o magie. Il sistema non è dei più semplici ma funziona bene, specialmente dal momento che ha una sua profondità e un lato decisamente tattico. Moltissime sono le opzioni selezionabili, tra potenziamenti, oggetti, capacità da apprendere ed armi. Non è strettamente necessario perdersi in questi dettagli ma per gli amanti di questo genere di cose, questo gioco ha molto da offrire. È divertente ed approcciabile per i neofiti ma può essere anche una vera sfida per i giocatori più avanzati. Final Fantasy XV è uno dei giochi da avere in questo inizio 2017. Una quantità impressionante di attività possono portarci a spendere fino a un paio di centinaia di ore in compagnia di Noctis e compari. Bello da vedere e divertente da giocare. Dieci anni d’attesa sono stati ben ripagati, senza alcun dubbio.

Acqua, granito e larice, il suo titolo è rivelatore: l’acqua che sgorga dalle fontane, ma anche il granito e il larice, i materiali con i quali questi manufatti sono realizzati da secoli. «Un libro che rappresenta una novità assoluta per il cantone: per la prima volta in un solo testo vengono proposte foto di fontane, descrizioni, localizzazioni (tramite Swiss e Google Maps) e analisi della qualità delle acque» precisono i suoi autori. L’idea del volume è nata, ci spiega Rémy Steinegger, «circa due anni fa quando sono stato contattato dall’imprenditore ticinese Enrico Rossini – sostenitore dell’intero progetto – che all’inizio aveva in mente un libro sulle fontane della Valcolla. Poi il discorso si è esteso a tutte le fontane del Ticino, ma durante le mie ricerche mi sono accorto che molti oggetti erano già descritti in varie pubblicazioni. I criteri di ricerca andavano quindi cambiati e si decise che avrei percorso tutto il territorio cantonale alla ricerca di fontane possibilmente mai repertoriate prima». Il fotoreporter di Sala Capriasca si è quindi messo in viaggio, «a raccogliere fontane» come dice lui, zaino in spalla e con lo stesso entusiasmo che lo mosse alcuni anni fa nella sua perlustrazione del Ticino dall’alto (Ticino tra cielo e terra). «Un viaggio che è stato una miniera di scoperte, ho scattato circa 250 foto di fontane, lavatoi, abbeveratoi, dalla Novena al Monte Generoso, dal Lucomagno a Brissago». Rémy Steinegger racconta che alcuni manufatti li ha cercati appositamente mentre altri invece li ha incontrati per caso. «Questo progetto mi ha occupato per ben tre mesi durante il 2015, poi abbiamo scelto le 140 fontane, ognuna accompagnata da una scheda che ne descrive l’esatta localizzazione tramite scansione» precisa Rémy. Le sue splendide foto a colori sono completate da 113 testi redatti dal giornalista Giorgio Passera che aveva già curato la redazio-

ne di Il Ticino ieri ed oggi pubblicato nel 2014. La «novità assoluta» consiste nell’analisi della qualità dell’acqua delle 140 fontane eseguita dal Laboratorio cantonale che ne ha descritto la mineralizzazione, la temperatura, il valore del pH, la conducibilità elettrica, la durezza e l’equilibrio calcare. «Il Laboratorio cantonale dà una grande importanza al bene di valore inestimabile che è l’acqua ed è per quello che ha accettato di contribuire a questa pubblicazione con le sue analisi chimicofisiche contenute in un’apposita tabella riassuntiva» precisa il suo direttore Marco Jermini. Per Giorgio Passera, direttore della rivista «Terra ticinese» e appassionato di storia locale, la cura dei testi è stato un lavoro di certosina ricerca: «Ho consultato molta documentazione, ho svolto ricerche in biblioteca, ho sfogliato calendari un tempo consacrati alle fontane e ho anche intervistato addetti alla costruzione. Per alcune fontane ho dovuto giocare di immaginazione e far parlare la mia fantasia perché non c’era nessun dato indicativo». Il viaggio tra le fontane del Ticino attraverso le pagine del libro che le immortala è un continuo meravigliarsi: manufatti di granito, sasso, ghisa, maestosi, eleganti oppure rudimentali nella loro semplicità, lavatoi monumentali con a volte iscrizioni che oggi fanno sorridere: «Proibito lordare, multe fr 5,10» si può leggere su quello di Cagiallo costruito nel 1853 e iscritto nell’elenco dei Beni culturali del Ticino; abbeveratoi per il bestiame fatti di larice o ricavati da vecchie vasche da bagno in smalto bianco, fontane adornate da severe teste come quella in porfido rosso della Madonna d’Ongero a Carona la quale, spiega Giorgio Passera, era cara ad Hermann Hesse, o ancora il moderno manufatto circolare di ferro inserito «in un contesto rimasto immutato nel tempo» come quello della vecchia Canobbio.

Fontana a Moghegno. (R. Steinegger)

La società connessa di Natascha Fioretti Foglie e muschi per il 2017 Nel passaggio dal vecchio al nuovo anno, alla fine, non sono stata sotto le coperte come avevo scritto nella scorsa puntata della mia rubrica o, comunque, non ci sono stata così a lungo. Il sole e il cielo color cobalto mi hanno spinta ad uscire e ad assaporare l’aria mite e dolce così inusuale di quest’inverno che non vuole proprio irrigidirsi e imbiancarsi. Sono stata dunque tante ore all’aria aperta, sola, silenziosa, in ascolto. Ho passeggiato molto fino a quando, tornata nel mio giardino, ho deciso di dedicarmi ad una delle mie attività preferite: la raccolta delle foglie. Può sembrare una banalità, e anche una scocciatura, insomma raccogliere le foglie non è propriamente considerata un’attività nobile o particolarmente utile. Eppure vi assicuro

che fa bene allo spirito, aiuta a riflettere, e soprattutto stimola una facoltà essenziale che sempre di più andiamo perdendo: la capacità di osservare. Iper stimolati dalle nuove tecnologie, dai telefonini, pc, tablet che catturano l’80% della nostra attenzione quotidiana e concentrano tutta la nostra facoltà visiva in uno schermo rettangolare, grande o piccolo che sia, assomigliamo sempre di più a dei cavalli con i paraocchi. Con la sostanziale differenza che i cavalli ne farebbero volentieri a meno, dei paraocchi, mentre noi umani siamo bravi a infilarceli da soli autolimitando il nostro campo di osservazione. Torniamo dunque alle foglie. Ce ne sono ovunque: sul vialetto di ingresso, sul prato, sui gradoni del giardino inglese, sulla ghiaia... Occorre decidere da dove iniziare, quale direzione

seguire e come procedere per non fare un doppio lavoro e non perdere tempo. Certo, anche nella raccolta delle foglie l’organizzazione e il metodo sono importanti così come la pazienza e la concentrazione. Tra l’altro, per noi uomini moderni che non solo limitiamo il nostro sguardo ma anche i nostri movimenti, visto che trascorriamo gran parte del nostro tempo seduti ad una scrivania o in auto, raccogliere le foglie è un buon esercizio mentale ma anche fisico. Decido di iniziare dal viale e, dopo qualche colpo di rastrello, mi scaldo e prendo il ritmo colma di meraviglia e curiosità per quel suolo che man mano si libera e viene alla luce svelando piccole verdi perle. E nel fare pulizia, nel liberare la superficie nascosta, di riflesso avviene lo stesso dentro di me: rimuovo strati inutili, barriere

sedimentate che si frappongono tra me e il mondo e gradualmente entro in dialogo con il verde e la natura tutto attorno. Osservo, mi concentro per non dimenticare nemmeno una foglia, mi chino a terra per non commettere l’errore di scambiare un crocus per un mughetto, alla mia età e con ore di pc alle spalle succede, e con meraviglia lo riconosco, proprio lui così morbido e capace di crescere tra gli interstizi più stretti e le superfici più impervie: il muschio. Bistrattato o comunque dimenticato dalla cultura botanica occidentale, il muschio viene invece cantato e lodato dai poeti giapponesi nei loro taccuini di viaggio e nelle grandi raccolte imperiali mentre i monaci in pellegrinaggio vi posano il capo e sognano. A raccontarlo è Véronique Brindeau nel suo Elogio del muschio

«era prima del tempo degli uomini, ben prima di quello degli alberi e dei fiori. Perfino prima delle felci, trecento milioni di anni fa». Il muschio cresce sulle tettoie di paglia degli eremi, sopra ogni paletto tarlato, accanto ai templi e nel giardino che porta alla casa del tè, dove si reca chi vuole affrancarsi dal mondo. E l’amatore di muschi, ci dice Véronique Brindeau è «un gigante tra i Lilipuzziani», che rimpicciolendo se stesso, chinandosi verso il suolo, avvicinandosi all’humus in un gesto di raccolta e di umiltà etimologica, è in grado di accrescere la portata e l’ampiezza del suo sguardo, di modificare il suo punto di vista sulle cose cambiandone radicalmente il fuoco. Ecco il mio augurio per il 2017 e il mio personale proposito: raccogliamo tante foglie e diventiamo degli amatori di muschi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni La felicità elvetica È uscito di recente, per i tipi dell’editore Dadò, un libro dal titolo allettante: La Svizzera. Il Paese più felice del mondo. Non voglio riassumerne i contenuti, perché è un libro che vale la pena di leggere. Mi soffermo solo sui parametri presi in considerazione dall’autore, François Garçon (e utilizzati anche da studi internazionali), per giudicare il tasso di felicità elvetico come superiore a quello di tutti gli altri Paesi del mondo (almeno fino al 2015). Dunque, elencando solo gli elementi principali, la Svizzera gode di: una libertà particolarmente ampia, determinata soprattutto da una democrazia diretta; un basso tasso di disoccupazione; salari elevati; un efficiente sistema previdenziale e sanitario; un ottimo sistema educativo. In base a questi fattori, si può condividere che la Svizzera sia il Paese del benessere – quello dove si sta bene, anzi, si sta

meglio che negli altri. Quanto all’essere felici… be’, credo sia opportuno non confondere benessere e felicità. Giustamente Mauro Baranzini, nella sua Introduzione al volume, segnala che la Svizzera figura anche tra i Paesi con un alto tasso di suicidi giovanili e un elevato consumo di droghe. E questo è un dato che sembra contraddire vistosamente la pretesa di felicità nazionale. Soprattutto la crescita della tossicodipendenza tra i giovani sembra indicare che la ricerca della felicità non si traduce in un progetto di vita per il quale impegnarsi e lottare, ma viene affidata a deliranti fughe dalla realtà. «Felicità», peraltro, è una parola grossa, e qui andrebbe ridimensionata: ancora una volta, mi pare, si tende a confondere l’essere con l’avere. Indubbiamente, là dove manca il cibo, dove non ci sono farmaci per combattere le malattie, dove la guerra infuria, la feli-

cità è improbabile; ma quando si giunge ad avere quel che più conta – cibo, salute, sicurezza – emergono nuovi bisogni e la felicità è rinviata altrove. È quanto spiegava lo psicologo statunitense Abraham Maslow nel 1954, disegnando la sua famosa «piramide» dei bisogni: dapprima vengono quelli essenziali per la sopravvivenza dell’organismo; poi, una volta soddisfatti quelli, erompono i bisogni spirituali, dalla necessità d’affetti alla volontà di emergere e di accrescere la propria autostima. È un meccanismo che può ben essere illustrato dall’aforisma: «Chi si lamenta per il mal d’amore dovrebbe provare il mal di denti!». Quando i bisogni primari vengono soddisfatti, non per questo si è felici; nascono nuovi desideri e dunque nuove occasioni di infelicità. E oggi si sa che l’attuale civiltà dei consumi suscita desideri sempre nuovi e dunque provoca di conseguenza un’insod-

disfazione perennemente rinnovata. Forse, proprio grazie alla generale condizione di benessere, agguantare fantasmi di felicità è diventato troppo facile: vuoi una cosa e te la compri. Ma troppo spesso ci si dimentica che il piacere d’aver realizzato un desiderio è proporzionale all’attesa e all’impegno impiegato per giungere allo scopo. L’oggetto del desiderio perde valore se non lo si è atteso, inseguito e infine raggiunto. Non stupisce, dunque, che il Paese che può vantare un eccellente livello di benessere veda crescere nuove forme di disagio e di sofferenza: ai dati sui suicidi giovanili e sulla tossicodipendenza si può aggiungere quanto appurato nel 2012 dall’Ufficio federale di statistica, in base al quale una persona su cinque, in Svizzera, accusava problemi di sofferenza psichica; lo stesso studio evidenziava il costante aumento, in un periodo di quindici

anni, del ricorso a prestazioni mediche per problemi psichici. Questo, ovviamente, non fa della Svizzera un Paese infelice: la Confederazione continua ad essere una nazione eccellente, dove il benessere, la sicurezza, la pace, l’equità e tutto quanto può contribuire a migliorare la vita sono difesi saldamente. Ma queste condizioni materiali sono solo un’ottima premessa per chi voglia coltivare un suo sogno di felicità: certo, sono fonti di piacere, ma, come scriveva Alain, «il piacere regalato non mantiene mai quello che promette, mentre il piacere conquistato mantiene più di quanto prometta». È una consapevolezza antica che la felicità non vada cercata al di fuori di se stessi, ma nel perseguimento di una crescita interiore e nella volontà di costruire un sogno impegnandosi per renderlo reale. Per tornare ad Alain: «Una felicità capitata per caso non ci piace; ce la vogliamo costruire».

e blu si sono trovati e il bianco nasce per sintesi additiva proprio in corrispondenza delle mani giunte sul petto della Madonna Immacolata. «Bon, l’è faia» dice uno frettoloso di uscire per il rinfresco. «Intelligente sortilegio» lo definisce bene Gabriele Bertossa, architetto di Roveredo trapiantato a Parigi che restaura tra il 1987 e il 1994 la Cappella della Madonna Immacolata caduta in rovina e coinvolge Rigassi a concepire un intervento artistico. Alla guida di tutta la cordata c’è Don Mario Gasparoli (1931-2016). Il rosso ha superato il blu e va per la sua strada. Se andiamo dietro le quinte di questa essenziale rappresentazione giocosa va detto che per Rigassi il rosso «è simbolo di materia» e il blu «dello spirituale» mentre il bianco ottenuto dai due «rimanda al concetto dell’Immacolata». Ma soprattutto, in origine, c’è la luce che filtra attraverso la vetrata La Belle Verrière della cattedrale di Chartres citata nell’Arte del colore (1961) di Itten dove la Madonna eterea è tutta giocata

tra il «calore» del rosso attorno e la «freddezza» del blu. «Un alone di myosotis» per Paul Claudel che rimane lì imbambolato in contemplazione per un’ora come scrive in Vetrate delle cattedrali di Francia (1937). Poi l’osservazione puntigliosa sul campo, attorno all’otto dicembre, del comportamento del sole quando spunta da dietro la Mota Bela e penetra in chiesa calcolandone le varie declinazioni ; riconettendosi così agli uomini che hanno eretto Stonehenge tremila anni avanti Cristo. Il trattato Ars Magna Lucis et Umbrae (1646) di Athanasius Kircher è infine la fonte dove lo specchio compare in numerosi esperimenti di ottica e al contempo riflette il rapporto tra il divino e l’umano. Ma la simbologia dello specchio, non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo, è sconfinata e stracarica di magia: dalle fiabe a Borges, da Lewis Carroll alla psicanalisi, passando dai riti propiziatori per la pioggia dei Bambara nel Mali eccetera. Poche cose scatenano l’immaginario come

lo specchio, le immagini si moltiplicano e la mente e l’anima potrebbero viaggiare a zig zag quasi all’infinito. In concreto, l’intuizione dello specchio è stata studiata dall’ingegnereastrofisico Sergio Cortesi che ha costruito i due specchi. Di colpo mi viene in mente la cucina destrutturata: rivisitare una ricetta classica utilizzando gli stessi ingredienti ma con una disposizione diversa. Attraverso lo specchio qui avviene un po’ la rivisitazione della vetrata di Chartres. Rigassi per sedici minuti all’anno restituisce la luce sul petto della Madonna. Nessuna messa avrebbe donato maggiore serenità e più stupore alla gente ora fuori dalla chiesa. La posizione solatìa di Valdort rispetto al resto della valle in ombra con i prati brinati, accentua il privilegio di aver partecipato a un inusuale ed esile rito luminoso. Un bianco e un rosso sinceri, entrambi ottenuti dai vigneti a pochi metri da qui, completano la condivisione e rafforzano la momentanea appartenenza a Valdort.

leggendaria. Mentre, si sta parlando di comportamenti e di mentalità, che ci siamo appena lasciati alle spalle: travolte da un cambiamento che propone una materia di riflessione inquietante: è il rovescio della medaglia di un nuovo diritto che comporta un nuovo rischio. Anche nel nostro cantone, contano, e come, «i mi piace», accumulati sulle schermate di Facebook. A questi aspetti di una notorietà, alla portata di tutti, esercitata sfruttando mezzi di comunicazione sempre più seducenti e performanti, ha dedicato la sua attenzione di osservatore, colto e persino divertito, Carlo Strenger, psicologo, filosofo e divulgatore, autore di un recente bestseller, dal titolo già rivelatore : Economia della celebrità: il terrore dell’invisibilità nell’era di Facebook (Rizzoli). In queste pagine, Strenger, di origini basilesi, docente all’università di Tel Aviv, collaboratore della «NZZ», denuncia, infatti, un’ossessione, sempre più diffusa, che concerne tutti i ceti e tutte le età: consiste nel culto esaspe-

rato del proprio io, di cui quantificare il valore, paragonandolo a quello delle celebrità del momento, promosse ormai a modelli insostituibili. Anche se, come rileva maliziosamente l’autore, a volte di tratta di figure inconsistenti: succede, paradossalmente, che si diventi famosi, per automatismo, perché si è famosi, e basta. È l’evanescente notorietà di certi divi televisivi, tipo Valeria Marini o Grande Fratello. Ma, al di là di questi riferimenti banali, il bisogno di visibilità non è soltanto una questione di apparenza. Fa capo a un’ esigenza interiore di autostima, e il confronto, con i campioni vincenti, può suscitare un virtuoso processo d’imitazione. Il nostro Federer ha di certo contribuito a diffondere il tennis fra i nostri giovani. Ma, conclude Strenger, nei confronti dei grandi talenti non esistono scorciatoie. E, osservando il mal di vivere contemporaneo, bisogna imparare ad «accettare di essere insignificanti», apprezzando i vantaggi dell’invisibilità.

A due passi di Oliver Scharpf L’Immacolata di Valdort «Eh specia, dopo i s’incrusaa» dice una signora alla sua amica a fianco, dentro la cappella Madonna Immacolata di Valdort (509 m). Toponimo che sembra portarti altrove ma è in Mesolcina, appena sotto Verdabbio: una chiesetta attorniata da quattro rustici ristrutturati, un torchio, terrazzi per orti e vigne, un alambicco. Alle 10.41 dell’otto dicembre sono apparsi due cerchiolini di luce sul dipinto seicentesco dietro l’altare: uno blu ciano, accanto alla spalla destra della Madonna, e uno rosso, sulla cornice. Man mano che il sole entra in alto dalle due finestre semicircolari a valle, i due cerchiolini proiettati si spostano orizzontalmente, a velocità impercettibile, verso le mani della Madonna. Il rosso va più veloce del blu, ma entrambi vanno come lumache che hanno tutto il tempo del mondo. Dal 1996, ogni anno nel giorno dell’Immacolata a quest’ora, se c’è il sole, il movimento della terra traslato su tela tiene con gli occhi incollati chi si è raccolto in questa chiesetta

del 1696. È la delicata opera in punta di piedi di Reto Rigassi, artista classe 1951 originario della Calanca che vive nell’Onsernone. Due piccoli specchi circolari con due filtri colorati sono incastonati in due punti strategici: la luce rossa proviene riflessa da quello nell’angolo destro subito all’entrata e quella blu da una distanza più breve e con angolatura diversa, nascosto dietro la lesena destra del coro. Il rosso ora è all’altezza del cuore. «Ogni anno c’è sempre più gente» dice l’amico grafico di Locarno che mi ha portato qui. L’incantevole ciano erratico è quasi raggiunto dal punto rosso. Tanti natel immortalano gli attimi di questa ventennale rincorsa sacra. Adesso incominciano a intersecarsi scaturendo uno spicchio di luce bianca. La parvenza della bandiera francese spinge una tipa a dire «Je suis Valdort» senza però trovare tanti consensi. Alle 10.56 non parla più nessuno. Ecco, adesso s’incrociano come diceva la signora prima. Sono le 10.57: rosso

Mode e modi di Luciana Caglio La notorietà: nuovo diritto, nuovo rischio Citare Andy Warhol è inevitabile. Quella sua battuta, «Prima o poi, tutti hanno il loro quarto d’ora di notorietà», pronunciata con presumibile ironia all’inaugurazione della mostra del fotografo Nat Finkelstein, a Stoccolma, nel febbraio 1968, si doveva rivelare profetica. Da geniale visionario, Warhol aveva percepito lo spirito di un’epoca che stava accreditando nuove forme espressive: dalla pubblicità al design, alla videoart, alle installazioni, all’arte povera, alle improvvisazioni provocatorie, il linguaggio cambiava. Sia nell’ambito visivo, sia in quello musicale e letterario, il rigore cattedratico selettivo cedeva il posto a talenti in libertà, che sperimentavano tecniche e materiali diversi, ispirati al nuovo concetto della «volatilità», tipicamente contemporanea. Creare, cioè, non più prodotti, fatti per durare nel tempo, bensì libri, dischi, arredi, edifici, persino correnti di pensiero, che subiscono l’impietoso logorio delle mode fugaci, dell’effimero.

Ed è nato così quell’enorme mercato, sempre in movimento, dove appunto convivono valori e disvalori d’ogni genere, che ci accompagna ormai da oltre mezzo secolo, ed è diventato un terreno accessibile a chiunque voglia mettersi in gioco, sotto la spinta di un bisogno partecipativo naturale: quel «c’ero anch’io» che, strada facendo, ha però cambiato, radicalmente, connotati. Se

Andy Warhol: percepì il collettivo bisogno di notorietà. (Keystone)

prima ci s’impegnava prevalentemente al servizio della collettività, oggi ci si mette, senza remore di sorta, al servizio di se stessi. In altre parole, si coltiva la propria visibilità, per ottenere quello squarcio di notorietà, insomma quei simbolici 15 minuti di fama, considerati una nuova conquista democratica. Ma lo è poi veramente? Certo, comparire, pubblicamente, con il proprio nome, la propria immagine, la propria voce, in una delle tante occasioni proposte dalle cronache, non rappresenta più un privilegio elitario, riservato ai personaggi, appartenenti ad ambienti privilegiati, qual erano, prima dell’avvento dell’era mediatica, i politici in carica, i circoli culturali, i professionisti, medici e avvocati di successo, o le dinastie familiari di lunga tradizione. Personaggi, in verità, poco disponibili ai contatti sociali, in un Ticino persino un po’ musone, dove la riservatezza sembrava una virtù radicata nel costume locale. Sembra, adesso, di rievocare una sorta di preistoria


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Ambiente e Benessere La storia dello stoccafisso Dal casuale approdo in Norvegia di una scialuppa di naufraghi fin oltre il Mediterraneo pagina 10

La musica dei viaggi Quali sono le canzoni migliori da portarci a conoscere meglio un Paese lontano?

Il legame tra natura e scrittura Un viaggio lungo alcune fra le più significative pagine dedicate al tema, sulla scorta del libro Giardini di carta di Évelyne Bloch-Dano, scrittrice e giornalista francese

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Negli uomini sovrappeso il grasso si accumula perlopiù sull’addome, mentre i fianchi rimangono snelli. Questo tipo di fisico viene chiamato «a forma di mela». La maggior parte degli uomini sovrappeso tende ad avere un corpo di questa forma. L’adipe nella regione addominale non si accumula solamente sotto la pelle, ma soprattutto all’interno dell’addome. Questo grasso «viscerale» è più attivo ed aumenta i rischi di patologie legate agli zuccheri, di pressione alta o di malattie cardiovascolari.

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L’equilibrio nel bicchiere Prevenzione L’alcol altera la percezione

della realtà e nuoce alla salute: è il messaggio di sensibilizzazione promosso dall’Ufficio federale della sanità pubblica

Maria Grazia Buletti In Svizzera una persona su cinque beve troppo, regolarmente oppure occasionalmente. «Al di là dei rischi sanitari, l’alcol disinibisce e può far perdere il senso della realtà e il suo consumo eccessivo può provocare vuoti di memoria, con conseguenze talvolta gravi», è la sintesi di quanto afferma l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) secondo cui vi sono motivi sufficienti per combatterne il consumo. Uso e abuso di alcol sono al centro della nuova campagna di sensibilizzazione promossa dall’Ufsp. «L’alcol non fa mai bene», esordisce il professor Luca Gabutti, capo dipartimento di medicina interna dell’Eoc e primario di medicina interna all’Ospedale Regionale di Bellinzona e Valli (Orbv), al quale abbiamo chiesto di spiegarci se e quanto nuoce bere vino o altre bevande alcoliche. «Sgomberiamo subito il campo da malintesi: bere alcol non fa bene alla salute, in ogni caso, e il fatto che si sia dimostrato che alcune sostanze contenute nel vino rosso, se assunto in quantità moderata, possano avere un effetto benefico sulla salute non significa che bere porti beneficio», spiega il professor Gabutti, che ribadisce: «I benefici che queste sostanze potrebbero apportare non vanno assolutamente confusi con l’alcol che, per contro, fa sempre male». Il nostro interlocutore porta ad esempio gli effetti positivi che potremmo trarre dal mangiare del cioccolato: «Ma siccome sovrappeso e obesità sono un problema di salute pubblica, è chiaro che bisogna mettere le due cose in perfetto equilibrio, ragionevolmente confrontandoci con il fatto che il consumo di cioccolato può portare a un aumento ponderale». Un bicchiere o di più, si tratta dunque sempre di una misura oggettiva, spesso difficilmente valutabile dalla persona che inizia a bere. «La tentazione è quella di ricorrere al bicchiere d’alcol per vincere la timidezza e sentirsi più cool: chi beve si sente più audace, più forte, più allegro, alcuni freni o problemi di comunicazione si allentano e ciò pare facilitare il relazionarsi, cosa oggi apparentemente

più difficile di un tempo», afferma Gabutti che però mette in guardia sul fatto che questa è pure la subdola molla per consumare sempre più alcolici, il cui rovescio della medaglia sta nel perdere inconsapevolmente proprio quella misura di cui abbiamo accennato. Quanto è troppo? Alla domanda sui rischi che bere alcol comporta, il nostro interlocutore non lascia margine: «Parafrasando il monaco Thich Nhat Han (una delle figure più rappresentative della spiritualità buddista a livello mondiale) direi che il modo migliore per affrontare questo tema è non bere affatto». Secondo Gabutti, un unico bicchiere di vino al pasto, sporadicamente, è un «quantitativo prudente» che non dovrebbe esporre a tossicità: «Nondimeno, a una persona che ha manifestato segni di tossicità si consiglia di non bere, e soprattutto non bere superalcolici (ndr: con effetti ancor più nefasti), perché il confine fra tolleranza e nocività è piuttosto fragile e il limite considerato tossico non corrisponde allo stato di ebbrezza». L’Ufsp ricorda che: «I rischi variano secondo la persona, la situazione, l’età, il peso e anche il sesso». Gabutti concorda con il fatto che i rischi per la salute sono difficilmente quantificabili a priori: «Anche se non mi ubriaco, l’alcol mi può far male e il suo danno metabolico non è proporzionato al suo effetto farmacologico sul sistema nervoso centrale». In concreto: «Se parliamo di abuso di alcol, inteso come consumo importante, questo può tradursi in una malattia cronica del fegato che viene danneggiato dapprima attraverso un’infiammazione che cronicizza, costituita da cicatrici disorganizzate (cirrosi epatica); non viene risparmiato il muscolo cardiaco, il cui danno indiretto dovuto a un consumo importante di alcol può manifestarsi attraverso un’insufficienza cardiaca; e se pensiamo al cervello, il consumo di alcol aumenta il rischio di sviluppare un declino cognitivo o una demenza, senza dimenticare il rischio di formazione di tumori del tratto superiore esofageo e quant’altro». E se dal consumo di alcol occasionale andiamo verso la dipendenza,

le donne hanno bisogno di maggiori riserve energetiche per alimentare il neonato. Il tenore di grasso corporeo dipende anche dall’età e dall’etnia. Si può determinare la percentuale di grasso corporeo con un dispositivo che misura la «Bioimpedance» su apposite bilance, in palestra o dal medico.

Nelle donne sovrappeso, il grasso si accumula perlopiù su fianchi, cosce, glutei e braccia. Gran parte delle interessate ha un fisico «a forma di pera». Questi depositi adiposi ripartiti su diverse zone sono meno pericolosi del grasso addominale, ma sono altrettanto difficili da eliminare con una semplice cura dimagrante. È possibile eliminare il grasso in modo mirato?

Speranza di vita: gli uomini si avvicinano

Purtroppo no. Un ventre voluminoso non scompare semplicemente mettendosi a fare dei piegamenti del busto. Il corpo continua ad accumulare grasso dove gli pare. Per smaltirlo c’è bisogno di una sana combinazione tra dieta equilibrata e movimento fisico sufficiente. Il calcolo è presto fatto: si dovrebbero assumere meno calorie di quelle che si consumano. Perché le donne hanno una percentuale di grasso maggiore?

A causa della maggiore massa muscolare, gli uomini hanno mediamente una percentuale di grasso minore delle donne. C’è una buona ragione per cui queste ultime hanno più grasso: durante la gravidanza e il successivo allattamento,

Il miglior alleato del cervello? Pare essere il ventre il miglior alleato del cervello. I batteri che popolano l’apparato digestivo non aiutano solo ad assimilare gli alimenti, come si credeva: la flora batterica, detta microbiota intestinale, infatti, interviene in numerose patologie. Oltre al sistema digestivo, gioca un ruolo importante nell’obesità, nel tumore colon-rettale, nell’anoressia, nell’autismo e nelle affezioni neurologiche, al punto che i ricercatori, oggi, parlano di un asse intestino-polmoni e di uno intestino-cervello.

Più si è anziani, più è difficile?

Avere la pancetta è normale ad una certa età e comunque non ci si può far niente. Così dice la vulgata popolare. Questa affermazione è vera solo in parte. Il fabbisogno energetico totale del corpo diminuisce con l’età. Un terzo di questo calo è riconducibile al minor consumo energetico a riposo (fabbisogno di base). Due terzi, però, sono dovuti al minor movimento. Con il lavoro e la famiglia manca spesso il tempo per fare sport, mentre nelle persone più anziane aumentano gli impedimenti fisici. Chi fa movimento con regolarità, può prevenire molte malattie croniche. I muscoli, infatti, si possono allenare fino ad età avanzata. E così si può tenere anche il peso sotto controllo.

Le aree problematiche delle donne

Marialuigia Bagni

I nati in Svizzera nel 2014 sono destinati alla longevità. Gli uomini arriveranno in media a 81 anni, mentre le donne hanno un’aspettativa di vita di 85,2 anni. La differenza tra i sessi ha svariate ragioni. I maschi sono più propensi a correre rischi, sono più spesso coinvolti in incidenti – sia guidando l’auto che svolgendo lavori pericolosi – e tra loro il tasso di suicidi è più elevato. Ma possono tirare un sospiro di sollievo: ormai da anni la speranza di vita maschile aumenta in modo più marcato di quella femminile. Secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), i maschi svizzeri hanno addirittura l’aspettativa di vita più alta del mondo, mentre le svizzere si fermano

Come prevenire la gotta? Gli «insospettabili» che fanno rischiare la gotta. La gotta e, prima ancora, l’iper-uricemia sono argomenti di grande attualità, dicono studiosi dell’Università di Bologna, a causa dell’epidemia di sovrappeso e delle modificate abitudini alimentari. Da limitare soprattutto la carne rossa, il pesce (come alici, sardine, sgombri, frutti di mare), i superalcolici e la birra nonché i dolcificanti come il fruttosio, se usato in elevate quantità. Importante anche una buona idratazione, la pratica regolare di attività fisica e, se serve, un calo di peso.

Per smaltire i grassi: dieta equilibrata e sforzo fisico. (Keystone)

al sesto posto. Tra i fattori di rischio, il sovrappeso occupa in Svizzera la quinta posizione e pertanto ha un influsso relativamente basso. I rotoli dei giorni di festa

Durante le vacanze di Natale e Capodanno ci si concede volentieri pasti abbondanti e magari qualche cioccolatino o biscottino di troppo. Non è perciò difficile mettere su mezzo chilo o anche un chilo. Qui sta il problema: se il comportamento alimentare e il movimento fisico resta immutato anche dopo i giorni di festa, i chili supplementari non se ne vanno più. Così si resta in sovrappeso ancora per mesi o anni. Lontani dalle diete

Molte diete contemplano l’eliminazione di alcuni generi alimentari. Essere costretti a controllare di continuo le proprie abitudini alimentari toglie a molta gente il piacere di mangiare e la induce a interrompere la dieta. Siccome il nostro corpo è programmato per

creare riserve di grasso, dopo la dieta vuole riempire al più presto i suoi magazzini. Molte persone, perciò, quando finiscono la dieta riprendono peso molto velocemente. Diventare snelli e restarci

Più sensati di una dieta ferrea sono i piccoli cambiamenti di abitudini alimentari e di esercizio fisico, che si possono inserire facilmente nella vita di tutti i giorni. Particolarmente consigliabile è la dieta mediterranea a base di molta verdura, frutta, noci, pesce, pollame e olio di oliva. I refrattari allo sport possono curare il proprio corpo semplicemente muovendosi di più. L’opportunità si presenta in ogni momento della giornata: ad esempio, salendo le scale invece di prendere l’ascensore, camminando fino alla prossima fermata dell’autobus invece di aspettarlo alla solita.

Lenti a contatto e flora oculare Le lenti a contato possono «turbare» la flora oculare. Alcuni oftalmologi di Ginevra hanno individuato una possibile causa dei problemi alla flora oculare naturalmente presente sulla superficie dell’occhio. La ricerca ha seguito un centinaio di adulti. Quanti beneficiavano di una correzione della vista avevano grandi quantità di batteri come il «Lactobacillum» nonché il «Pseudomonas», responsabili di infezioni sia respiratorie sia della pelle. La pressione delle dita sull’occhio per inserire o togliere le lenti a contatto, spiegano, ha favorito lo sviluppo dei batteri provenienti dalla flora cutanea.

* Redattore di Migros Magazin

Annuncio pubblicitario

C’è tutto. Per una spensieratezza totale. 0.9% Il professor Luca Gabutti, capo dipartimento medicina interna Eoc e primario medicina interna all’Orbv. (Vincenzo Cammarata)

alla lista bisogna aggiungere alcune malattie metaboliche: «Oltre alle conseguenze date dalla tossicità dell’alcol, si manifestano carenze vitaminiche e altri scompensi dovuti ai suoi contenuti nutritivi (calorie) che sostituiscono gli altri nutrimenti necessari al corpo». Parrebbe banale affermare che bere alcol non fa bene, eppure lo scenario inerente i suoi effetti nefasti sulla salute non è affatto trascurabile. «Che si tratti di eccessi o di dipendenza, gli effetti negativi dell’abuso di alcol hanno ripercussioni anche sulla società nel suo complesso», afferma l’Ufsp che ricorda come nel 2010, tra costi diretti (malattie e infortuni) e indiretti (dovuti alla perdita di produttività, assenze, diminuzione della capacità di lavoro), l’abuso di bevande alcoliche è costato alla collettività 4,2 miliardi di franchi. Dati confermati

dal nostro interlocutore, al quale chiediamo come cogliere i primi segnali d’allarme: «Quando parliamo di alcolismo ci riferiamo a una malattia, reale, che coinvolge la propria rete sociale: i rapporti sociali e col partner entrano in crisi, il lavoro è un’altra criticità e lo si può persino perdere, la guida è a rischio e pericolosa, si assiste a una progressiva perdita dell’indipendenza personale». Secondo Gabutti, il malessere di chi si ubriaca non è da sottovalutare: «Già questo è un segnale di disagio, perché nessuno vuole addormentarsi a causa dell’alcol, o svegliarsi al mattino seguente con mal di testa, nausea e vomito, senza avere il controllo della situazione». Altro campanello inquietante è la disinibizione da alcol associata all’aggressività: «L’alcol può portare in superficie anche un disagio psichico, una malattia psichiatrica soggiacente…».

È chiaro che eliminare il consumo di alcol rimane un’utopia: «Resta però importante, per se stessi e per gli altri, rendersi conto di quando la situazione sfugge di mano, mentre la soluzione sta nel creare maggiore coscienza collettiva sulla nocività dell’alcol, parimenti al fatto che tutti abbiamo la responsabilità sociale e primaria di costruire una famiglia, relazioni, una società i cui presupposti dell’abuso di alcol siano ridotti al minimo». Non un mondo ideale, ma: «Le persone non si dovrebbero trovare nel compromesso di una dinamica nella quale il bere sembri essere l’unica soluzione; per questo dovremmo metterci in ascolto, a disposizione dell’altro, restituendogli la sua dignità di persona, e sono convinto che così le cose cambierebbero radicalmente, senza il bisogno di ricorrere all’alcol».

Compresi : + Servizio , usura e m obilità sostitutiva + Pneu + A ssicuraz matici ioni

LeasingPLUS allo 0.9%: approfittatene. volkswagen.ch/saldi LeasingPLUS contiene la rata di leasing della vettura e i seguenti servizi: servizio, usura e mobilità sostitutiva, pneumatici (non ruote complete) nonché assicurazioni (opzionale). La promozione è valida per le vetture nuove della marca VW VT in caso di finanziamento tramite AMAG Leasing AG, Baden-Dättwil. Sono esclusi i modelli del marchio VW Veicoli Commerciali: Caddy, Transporter, Multivan, Caravelle, Amarok, Crafter e tutti i veicoli importati direttamente. Il leasing allo 0.9% è valido dal 1o gennaio al 28 febbraio 2017. Esempio di leasing: cliente privato, trentenne di nazionalità svizzera, assicurazione inclusa: Polo Highline 1.0 TSI, 110 CV, cambio manuale a 6 marce, 4.5* l/100 km, 103* g CO₂/km (Ø nuove vetture: 134 g/km), 23* g CO₂/km derivanti dalla messa a disposizione dell’energia, categoria di efficienza energetica: B* (*Valori provvisori. Omologazine in Svizzera non conclusa). Con equipaggiamento supplementare (verniciatura Metallic, 4 porte, vetri laterali posteriori e lunotto oscurati, cerchi in lega leggera «Mirabeau» da 17”, pacchetto comfort di guida, fari a LED): Fr. 24’400.–, meno premio Polo di Fr. 2’000.–, meno premio VW di Fr. 1’000.–, prezzo effettivo: Fr. 21’400.–. Tasso d’interesse annuo effettivo LeasingPLUS: 0.9%, durata: 48 mesi (10’000 km/anno), primo versamento del 10%: Fr. 2’140.–, rata LeasingPLUS: Fr. 390.–/mese (rata di leasing della vettura: Fr. 229.90/mese, rata delle prestazioni di servizio: Fr. 51.20/mese, rata per l’assicurazione: Fr. 108.90/mese). Assicurazione casco totale obbligatoria. La concessione del credito è vietata se porta al sovraindebitamento del consumatore. Presso tutti i concessionari aderenti. Con riserva di modifiche.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Ambiente e Benessere La storia dello stoccafisso Dal casuale approdo in Norvegia di una scialuppa di naufraghi fin oltre il Mediterraneo pagina 10

La musica dei viaggi Quali sono le canzoni migliori da portarci a conoscere meglio un Paese lontano?

Il legame tra natura e scrittura Un viaggio lungo alcune fra le più significative pagine dedicate al tema, sulla scorta del libro Giardini di carta di Évelyne Bloch-Dano, scrittrice e giornalista francese

M Un sovrappeso di troppo

Notizie scientifiche Medicina e dintorni

iMpuls Informazioni e consigli attorno ad un tema che riguarda quasi tutti da vicino

pagina 13

Andreas Dürrenberger* Le aree problematiche degli uomini

Negli uomini sovrappeso il grasso si accumula perlopiù sull’addome, mentre i fianchi rimangono snelli. Questo tipo di fisico viene chiamato «a forma di mela». La maggior parte degli uomini sovrappeso tende ad avere un corpo di questa forma. L’adipe nella regione addominale non si accumula solamente sotto la pelle, ma soprattutto all’interno dell’addome. Questo grasso «viscerale» è più attivo ed aumenta i rischi di patologie legate agli zuccheri, di pressione alta o di malattie cardiovascolari.

pagina 11

L’equilibrio nel bicchiere Prevenzione L’alcol altera la percezione

della realtà e nuoce alla salute: è il messaggio di sensibilizzazione promosso dall’Ufficio federale della sanità pubblica

Maria Grazia Buletti In Svizzera una persona su cinque beve troppo, regolarmente oppure occasionalmente. «Al di là dei rischi sanitari, l’alcol disinibisce e può far perdere il senso della realtà e il suo consumo eccessivo può provocare vuoti di memoria, con conseguenze talvolta gravi», è la sintesi di quanto afferma l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) secondo cui vi sono motivi sufficienti per combatterne il consumo. Uso e abuso di alcol sono al centro della nuova campagna di sensibilizzazione promossa dall’Ufsp. «L’alcol non fa mai bene», esordisce il professor Luca Gabutti, capo dipartimento di medicina interna dell’Eoc e primario di medicina interna all’Ospedale Regionale di Bellinzona e Valli (Orbv), al quale abbiamo chiesto di spiegarci se e quanto nuoce bere vino o altre bevande alcoliche. «Sgomberiamo subito il campo da malintesi: bere alcol non fa bene alla salute, in ogni caso, e il fatto che si sia dimostrato che alcune sostanze contenute nel vino rosso, se assunto in quantità moderata, possano avere un effetto benefico sulla salute non significa che bere porti beneficio», spiega il professor Gabutti, che ribadisce: «I benefici che queste sostanze potrebbero apportare non vanno assolutamente confusi con l’alcol che, per contro, fa sempre male». Il nostro interlocutore porta ad esempio gli effetti positivi che potremmo trarre dal mangiare del cioccolato: «Ma siccome sovrappeso e obesità sono un problema di salute pubblica, è chiaro che bisogna mettere le due cose in perfetto equilibrio, ragionevolmente confrontandoci con il fatto che il consumo di cioccolato può portare a un aumento ponderale». Un bicchiere o di più, si tratta dunque sempre di una misura oggettiva, spesso difficilmente valutabile dalla persona che inizia a bere. «La tentazione è quella di ricorrere al bicchiere d’alcol per vincere la timidezza e sentirsi più cool: chi beve si sente più audace, più forte, più allegro, alcuni freni o problemi di comunicazione si allentano e ciò pare facilitare il relazionarsi, cosa oggi apparentemente

più difficile di un tempo», afferma Gabutti che però mette in guardia sul fatto che questa è pure la subdola molla per consumare sempre più alcolici, il cui rovescio della medaglia sta nel perdere inconsapevolmente proprio quella misura di cui abbiamo accennato. Quanto è troppo? Alla domanda sui rischi che bere alcol comporta, il nostro interlocutore non lascia margine: «Parafrasando il monaco Thich Nhat Han (una delle figure più rappresentative della spiritualità buddista a livello mondiale) direi che il modo migliore per affrontare questo tema è non bere affatto». Secondo Gabutti, un unico bicchiere di vino al pasto, sporadicamente, è un «quantitativo prudente» che non dovrebbe esporre a tossicità: «Nondimeno, a una persona che ha manifestato segni di tossicità si consiglia di non bere, e soprattutto non bere superalcolici (ndr: con effetti ancor più nefasti), perché il confine fra tolleranza e nocività è piuttosto fragile e il limite considerato tossico non corrisponde allo stato di ebbrezza». L’Ufsp ricorda che: «I rischi variano secondo la persona, la situazione, l’età, il peso e anche il sesso». Gabutti concorda con il fatto che i rischi per la salute sono difficilmente quantificabili a priori: «Anche se non mi ubriaco, l’alcol mi può far male e il suo danno metabolico non è proporzionato al suo effetto farmacologico sul sistema nervoso centrale». In concreto: «Se parliamo di abuso di alcol, inteso come consumo importante, questo può tradursi in una malattia cronica del fegato che viene danneggiato dapprima attraverso un’infiammazione che cronicizza, costituita da cicatrici disorganizzate (cirrosi epatica); non viene risparmiato il muscolo cardiaco, il cui danno indiretto dovuto a un consumo importante di alcol può manifestarsi attraverso un’insufficienza cardiaca; e se pensiamo al cervello, il consumo di alcol aumenta il rischio di sviluppare un declino cognitivo o una demenza, senza dimenticare il rischio di formazione di tumori del tratto superiore esofageo e quant’altro». E se dal consumo di alcol occasionale andiamo verso la dipendenza,

le donne hanno bisogno di maggiori riserve energetiche per alimentare il neonato. Il tenore di grasso corporeo dipende anche dall’età e dall’etnia. Si può determinare la percentuale di grasso corporeo con un dispositivo che misura la «Bioimpedance» su apposite bilance, in palestra o dal medico.

Nelle donne sovrappeso, il grasso si accumula perlopiù su fianchi, cosce, glutei e braccia. Gran parte delle interessate ha un fisico «a forma di pera». Questi depositi adiposi ripartiti su diverse zone sono meno pericolosi del grasso addominale, ma sono altrettanto difficili da eliminare con una semplice cura dimagrante. È possibile eliminare il grasso in modo mirato?

Speranza di vita: gli uomini si avvicinano

Purtroppo no. Un ventre voluminoso non scompare semplicemente mettendosi a fare dei piegamenti del busto. Il corpo continua ad accumulare grasso dove gli pare. Per smaltirlo c’è bisogno di una sana combinazione tra dieta equilibrata e movimento fisico sufficiente. Il calcolo è presto fatto: si dovrebbero assumere meno calorie di quelle che si consumano. Perché le donne hanno una percentuale di grasso maggiore?

A causa della maggiore massa muscolare, gli uomini hanno mediamente una percentuale di grasso minore delle donne. C’è una buona ragione per cui queste ultime hanno più grasso: durante la gravidanza e il successivo allattamento,

Il miglior alleato del cervello? Pare essere il ventre il miglior alleato del cervello. I batteri che popolano l’apparato digestivo non aiutano solo ad assimilare gli alimenti, come si credeva: la flora batterica, detta microbiota intestinale, infatti, interviene in numerose patologie. Oltre al sistema digestivo, gioca un ruolo importante nell’obesità, nel tumore colon-rettale, nell’anoressia, nell’autismo e nelle affezioni neurologiche, al punto che i ricercatori, oggi, parlano di un asse intestino-polmoni e di uno intestino-cervello.

Più si è anziani, più è difficile?

Avere la pancetta è normale ad una certa età e comunque non ci si può far niente. Così dice la vulgata popolare. Questa affermazione è vera solo in parte. Il fabbisogno energetico totale del corpo diminuisce con l’età. Un terzo di questo calo è riconducibile al minor consumo energetico a riposo (fabbisogno di base). Due terzi, però, sono dovuti al minor movimento. Con il lavoro e la famiglia manca spesso il tempo per fare sport, mentre nelle persone più anziane aumentano gli impedimenti fisici. Chi fa movimento con regolarità, può prevenire molte malattie croniche. I muscoli, infatti, si possono allenare fino ad età avanzata. E così si può tenere anche il peso sotto controllo.

Le aree problematiche delle donne

Marialuigia Bagni

I nati in Svizzera nel 2014 sono destinati alla longevità. Gli uomini arriveranno in media a 81 anni, mentre le donne hanno un’aspettativa di vita di 85,2 anni. La differenza tra i sessi ha svariate ragioni. I maschi sono più propensi a correre rischi, sono più spesso coinvolti in incidenti – sia guidando l’auto che svolgendo lavori pericolosi – e tra loro il tasso di suicidi è più elevato. Ma possono tirare un sospiro di sollievo: ormai da anni la speranza di vita maschile aumenta in modo più marcato di quella femminile. Secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), i maschi svizzeri hanno addirittura l’aspettativa di vita più alta del mondo, mentre le svizzere si fermano

Come prevenire la gotta? Gli «insospettabili» che fanno rischiare la gotta. La gotta e, prima ancora, l’iper-uricemia sono argomenti di grande attualità, dicono studiosi dell’Università di Bologna, a causa dell’epidemia di sovrappeso e delle modificate abitudini alimentari. Da limitare soprattutto la carne rossa, il pesce (come alici, sardine, sgombri, frutti di mare), i superalcolici e la birra nonché i dolcificanti come il fruttosio, se usato in elevate quantità. Importante anche una buona idratazione, la pratica regolare di attività fisica e, se serve, un calo di peso.

Per smaltire i grassi: dieta equilibrata e sforzo fisico. (Keystone)

al sesto posto. Tra i fattori di rischio, il sovrappeso occupa in Svizzera la quinta posizione e pertanto ha un influsso relativamente basso. I rotoli dei giorni di festa

Durante le vacanze di Natale e Capodanno ci si concede volentieri pasti abbondanti e magari qualche cioccolatino o biscottino di troppo. Non è perciò difficile mettere su mezzo chilo o anche un chilo. Qui sta il problema: se il comportamento alimentare e il movimento fisico resta immutato anche dopo i giorni di festa, i chili supplementari non se ne vanno più. Così si resta in sovrappeso ancora per mesi o anni. Lontani dalle diete

Molte diete contemplano l’eliminazione di alcuni generi alimentari. Essere costretti a controllare di continuo le proprie abitudini alimentari toglie a molta gente il piacere di mangiare e la induce a interrompere la dieta. Siccome il nostro corpo è programmato per

creare riserve di grasso, dopo la dieta vuole riempire al più presto i suoi magazzini. Molte persone, perciò, quando finiscono la dieta riprendono peso molto velocemente. Diventare snelli e restarci

Più sensati di una dieta ferrea sono i piccoli cambiamenti di abitudini alimentari e di esercizio fisico, che si possono inserire facilmente nella vita di tutti i giorni. Particolarmente consigliabile è la dieta mediterranea a base di molta verdura, frutta, noci, pesce, pollame e olio di oliva. I refrattari allo sport possono curare il proprio corpo semplicemente muovendosi di più. L’opportunità si presenta in ogni momento della giornata: ad esempio, salendo le scale invece di prendere l’ascensore, camminando fino alla prossima fermata dell’autobus invece di aspettarlo alla solita.

Lenti a contatto e flora oculare Le lenti a contato possono «turbare» la flora oculare. Alcuni oftalmologi di Ginevra hanno individuato una possibile causa dei problemi alla flora oculare naturalmente presente sulla superficie dell’occhio. La ricerca ha seguito un centinaio di adulti. Quanti beneficiavano di una correzione della vista avevano grandi quantità di batteri come il «Lactobacillum» nonché il «Pseudomonas», responsabili di infezioni sia respiratorie sia della pelle. La pressione delle dita sull’occhio per inserire o togliere le lenti a contatto, spiegano, ha favorito lo sviluppo dei batteri provenienti dalla flora cutanea.

* Redattore di Migros Magazin

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C’è tutto. Per una spensieratezza totale. 0.9% Il professor Luca Gabutti, capo dipartimento medicina interna Eoc e primario medicina interna all’Orbv. (Vincenzo Cammarata)

alla lista bisogna aggiungere alcune malattie metaboliche: «Oltre alle conseguenze date dalla tossicità dell’alcol, si manifestano carenze vitaminiche e altri scompensi dovuti ai suoi contenuti nutritivi (calorie) che sostituiscono gli altri nutrimenti necessari al corpo». Parrebbe banale affermare che bere alcol non fa bene, eppure lo scenario inerente i suoi effetti nefasti sulla salute non è affatto trascurabile. «Che si tratti di eccessi o di dipendenza, gli effetti negativi dell’abuso di alcol hanno ripercussioni anche sulla società nel suo complesso», afferma l’Ufsp che ricorda come nel 2010, tra costi diretti (malattie e infortuni) e indiretti (dovuti alla perdita di produttività, assenze, diminuzione della capacità di lavoro), l’abuso di bevande alcoliche è costato alla collettività 4,2 miliardi di franchi. Dati confermati

dal nostro interlocutore, al quale chiediamo come cogliere i primi segnali d’allarme: «Quando parliamo di alcolismo ci riferiamo a una malattia, reale, che coinvolge la propria rete sociale: i rapporti sociali e col partner entrano in crisi, il lavoro è un’altra criticità e lo si può persino perdere, la guida è a rischio e pericolosa, si assiste a una progressiva perdita dell’indipendenza personale». Secondo Gabutti, il malessere di chi si ubriaca non è da sottovalutare: «Già questo è un segnale di disagio, perché nessuno vuole addormentarsi a causa dell’alcol, o svegliarsi al mattino seguente con mal di testa, nausea e vomito, senza avere il controllo della situazione». Altro campanello inquietante è la disinibizione da alcol associata all’aggressività: «L’alcol può portare in superficie anche un disagio psichico, una malattia psichiatrica soggiacente…».

È chiaro che eliminare il consumo di alcol rimane un’utopia: «Resta però importante, per se stessi e per gli altri, rendersi conto di quando la situazione sfugge di mano, mentre la soluzione sta nel creare maggiore coscienza collettiva sulla nocività dell’alcol, parimenti al fatto che tutti abbiamo la responsabilità sociale e primaria di costruire una famiglia, relazioni, una società i cui presupposti dell’abuso di alcol siano ridotti al minimo». Non un mondo ideale, ma: «Le persone non si dovrebbero trovare nel compromesso di una dinamica nella quale il bere sembri essere l’unica soluzione; per questo dovremmo metterci in ascolto, a disposizione dell’altro, restituendogli la sua dignità di persona, e sono convinto che così le cose cambierebbero radicalmente, senza il bisogno di ricorrere all’alcol».

Compresi : + Servizio , usura e m obilità sostitutiva + Pneu + A ssicuraz matici ioni

LeasingPLUS allo 0.9%: approfittatene. volkswagen.ch/saldi LeasingPLUS contiene la rata di leasing della vettura e i seguenti servizi: servizio, usura e mobilità sostitutiva, pneumatici (non ruote complete) nonché assicurazioni (opzionale). La promozione è valida per le vetture nuove della marca VW VT in caso di finanziamento tramite AMAG Leasing AG, Baden-Dättwil. Sono esclusi i modelli del marchio VW Veicoli Commerciali: Caddy, Transporter, Multivan, Caravelle, Amarok, Crafter e tutti i veicoli importati direttamente. Il leasing allo 0.9% è valido dal 1o gennaio al 28 febbraio 2017. Esempio di leasing: cliente privato, trentenne di nazionalità svizzera, assicurazione inclusa: Polo Highline 1.0 TSI, 110 CV, cambio manuale a 6 marce, 4.5* l/100 km, 103* g CO₂/km (Ø nuove vetture: 134 g/km), 23* g CO₂/km derivanti dalla messa a disposizione dell’energia, categoria di efficienza energetica: B* (*Valori provvisori. Omologazine in Svizzera non conclusa). Con equipaggiamento supplementare (verniciatura Metallic, 4 porte, vetri laterali posteriori e lunotto oscurati, cerchi in lega leggera «Mirabeau» da 17”, pacchetto comfort di guida, fari a LED): Fr. 24’400.–, meno premio Polo di Fr. 2’000.–, meno premio VW di Fr. 1’000.–, prezzo effettivo: Fr. 21’400.–. Tasso d’interesse annuo effettivo LeasingPLUS: 0.9%, durata: 48 mesi (10’000 km/anno), primo versamento del 10%: Fr. 2’140.–, rata LeasingPLUS: Fr. 390.–/mese (rata di leasing della vettura: Fr. 229.90/mese, rata delle prestazioni di servizio: Fr. 51.20/mese, rata per l’assicurazione: Fr. 108.90/mese). Assicurazione casco totale obbligatoria. La concessione del credito è vietata se porta al sovraindebitamento del consumatore. Presso tutti i concessionari aderenti. Con riserva di modifiche.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Ambiente e Benessere Reine, dopo il temporale.

Stoccafisso alla nigeriana Reportage La lunga avventura di una tradizione culinaria condivisa tra popoli diversi Natalino Russo, testo e foto Gennaio 1432, arcipelago delle Lofoten, Norvegia: sulle desolate rocce granitiche dell’isola di Sandøy approda una scialuppa con a bordo sedici uomini allo stremo delle forze. È tutto ciò che resta di un viaggio commerciale partito nell’aprile dell’anno precedente. Salpato da Creta, il mercantile «Querina» era diretto nelle Fiandre con un grosso carico di vino di malvasia. Doppiato il Capo Finisterre in Galizia, la nave viene travolta da una tempesta e va alla deriva per molti mesi, fino ad affondare. Il capitano della sfortunata spedizione, il mercante veneziano Pietro Querini, si mette in salvo su una scialuppa con pochi uomini. Per mesi i naufraghi vagano tra le onde dell’Atlantico prima e del mare del Nord poi fino a quando, stanchi e affamati, approdano a Sandøy. L’isola è deserta, i marinai si accampano sulla costa e per una decina di giorni sopravvivono mangiando molluschi marini e poco altro. Vengono poi soccorsi da alcuni pescatori della vicina isola di Røst, che li accolgono nelle loro case. È appena iniziata la stagione della pesca del merluzzo, sicché i veneziani assistono a tutto il processo di lavorazione, dalla cattura alla pulitura fino all’essiccazione sui tralicci di legno. A metà maggio, quando Querini e i suoi uomini riescono finalmente a tornare a Venezia, portano con sé questi pesci secchi che chiamano stocfisi. Di quell’avventuroso viaggio Pietro Querini redige una memoria, oggi conservata nella Biblioteca apostolica vaticana. Oltre a raccontare la tragica morte di gran parte dell’equipaggio e la perdita della nave con tutto il suo prezioso carico, Querini descrive con precisione la vita dei pescatori norvegesi, incluse le tecniche di pesca e di conservazione del merluzzo. Sono pesci di «poca umidità grassa» – scrive – e per-

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Nusfjord: museo della pesca.

ciò, grazie all’aria secca delle Lofoten, «diventano duri come legno». Narra anche gli usi e i costumi di quel popolo lontano, soffermandosi sulla loro generosità, sulla mancanza di tabù e sull’emancipazione delle donne. Nel secolo successivo il commercio dello stoccafisso, già importante per l’economia norvegese, diviene ancora più florido, al punto che la corona norvegese proibisce alle navi (e ai pescatori) della Lega anseatica di spingersi a nord di Tromsø. Intanto il Concilio di Trento (15451563) incoraggia il consumo di stoccafisso perché facilmente conservabile e trasportabile, e naturalmente perché può essere mangiato di venerdì in sostituzione della carne. Lo stoccafisso è anche economico, sicché rapidamente si diffonde soprattutto tra le classi meno abbienti e diventa un piatto tradizionale dell’Europa meridionale e mediterranea; apre le porte anche al baccalà, cioè alla versione sotto sale del merluzzo, e ad altri pesci nordici come l’aringa e il salmone. Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Museo dello stoccafisso sull’isola Moskenes.

Museo dello stoccafisso.

Teste di stoccafisso.

Merluzzo (da maris lucis cioè luccio di mare) è un termine generico utilizzato per indicare diverse specie di pesci. Il merluzzo nordico (Gadus

morhua) è diffuso in tutto l’Atlantico settentrionale, dalle coste canadesi del Labrador a quelle spagnole del golfo di Biscaglia. Quello dei mari norvegesi è

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però ben diverso: proviene dal freddo Mare di Barents, la varietà si chiama skrei ed è rinomata per la sua carne particolarmente bianca e magra. Inoltre il periodo di maggior presenza nel mare delle Lofoten, cioè la stagione della pesca, coincide col periodo più asciutto, ideale per l’essiccazione. Oggi alle Lofoten si vedono un po’ ovunque gli hjell, i tralicci in legno che a partire da febbraio si ricoprono completamente di merluzzi messi a essiccare. Grazie anche a questi legami storici, il principale mercato dello stoccafisso norvegese è l’Italia, soprattutto Venezia e Napoli. Ma il suo viaggio va oltre il Mediterraneo e si spinge sino in Nigeria. Qui sono molto apprezzate le teste che, condite con spezie piccanti, sono considerate un’autentica prelibatezza (insomma anche del merluzzo non si butta via niente). E in tutti questi luoghi, così diversi tra loro, lo stoccafisso è considerato un piatto «locale». Spesso le nostre tradizioni più gelose sono condivise e figlie di viaggi lontani nel tempo e nello spazio. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


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Ambiente e Benessere

La musica che gira intorno Viaggiatori d’Occidente Ogni viaggio ha la sua colonna sonora

Navi sempre all’ancora Bussole I nviti a

letture per viaggiare «Le isole sono come navi sempre all’ancora. Mettere piede su un’isola è come salire su una passerella d’imbarco: si è presi dallo stesso senso di magica sospensione, sembra che nulla di brutto e di volgare possa accadervi…»

Claudio Visentin Il nome di questa rubrica, Viaggiatori d’Occidente, ricalca il titolo di una canzone di Ivano Fossati: racconta la complessità del viaggiatore contemporaneo, «poco convinto di appartenere a questa o a un’altra terra», dopo essersi lasciato alle spalle i troppo facili sogni del turismo. Ogni viaggio del resto ha la sua colonna sonora. Canzoni che ci incuriosiscono e ci spingono a conoscere meglio un Paese lontano; canzoni che portiamo con noi nella memoria digitale del nostro smartphone e scorrono in sottofondo nel tempo sospeso del transito; oppure canzoni incontrate per via, che rimangono per sempre associate ai luoghi visti e ce li richiamano alla mente ogni volta che le ascoltiamo. Gli esempi sono numerosi. Per esempio di canzoni è tutto intessuto il viaggio lungo la rotta hippie, negli anni Sessanta, alla scoperta del favoloso Oriente. «I tempi stanno cambiando» («The Times They are a-Changin») cantava Bob Dylan nel 1964 rivolto a padri e madri di una generazione ribelle: «Non criticate ciò che non capite. I vostri figli non sono ai vostri ordini…». Ma un brano più di ogni altro dava voce all’incanto della meta lontana, Katmandu (1975), del cantante rock Bob Seger, con la caratteristica, martellante ripetizione della «k» iniziale. Curiosamente quando scrisse quei versi Bob Seger non era mai stato nella capitale del Nepal. Celebrava piuttosto il desiderio di lasciarsi alle spalle il vecchio mondo della famiglia, della scuola, del lavoro, del consumo: «Se mai mi tiro fuori da qui, voglio andare a Katmandu». E un giorno, proprio lungo la rotta hippie, il verso mal compreso di una canzone (Space Captain di Joe Cocker, 1970), dove si raccontava di un lovely planet, diede il nome alle famose guide turistiche Lonely Planet. Gli echi di quella straordinaria esperienza continuano a risuonare nel tempo. A distanza di decenni lo scrittore australiano Peter Moore ha ripercorso lo stesso itinerario (La strada sbagliata. Da Londra a Sidney per la via più lunga, 1999) spinto da una genuina

Ingresso alla casa natale (sulla destra) e al mausoleo dove è sepolto Bob Marley a Nine Mile.

invidia generazionale – «Gli hippy avevano la musica migliore, le droghe più buone, potevano fare sesso con chi volevano ma soprattutto facevano i viaggi più belli» – e quasi inevitabilmente si è trovato a scandire ogni tappa del viaggio (e ogni capitolo del libro) con una diversa canzone. Nel frattempo il carisma di Bob Marley ha imposto la musica reggae in tutto il mondo. Dopo la morte prematura nel 1981 migliaia di viaggiatori hanno visitato la sua casa natale e la tomba nel villaggio di Nine Mile, in Giamaica. Ma le sue canzoni più famose sono anche un inno alla globalizzazione. Puoi essere nelle Filippine, nella costa orientale dell’Africa o in Sud America, ma quando stai passeggiando sulla spiaggia e senti una canzone di Bob Marley, per esempio Three Little Birds, con quel ritmo così caratteristico, allora sai che ci sono dei viaggiatori indipendenti (backpacker), sai che è cominciato il conto alla rovescia ed è solo una questione di tempo prima dell’arrivo dei villaggi vacanza, dei pullman e dei voli charter pieni di turisti.

Così mi spiegava qualche anno fa un grande viaggiatore americano, Rolf Potts. E ancora Potts mi raccontò di un suo soggiorno mediorientale e di un curioso equivoco legato a una canzone. Quando andò a Beirut fu rapito da un tale Mr. Ibrahim, un facoltoso libanese che eccedeva in ospitalità, sino a controllare ogni momento della giornata del suo protetto. Ebbene Mr. Ibrahim era un devoto, molto orgoglioso di non aver mai toccato una donna nonostante avesse già passato i trent’anni, e tuttavia ascoltava sempre nella sua macchina la canzone Sex Bomb di Tom Jones. Ma quando il suo ospite americano gli tradusse il testo, inorridì: aveva sempre pensato che il titolo fosse «Six Bombs», cioè «Sei bombe», credeva insomma che la canzone parlasse di guerra, non di una bomba del sesso. E da allora non volle più ascoltarla… Scegliere la colonna sonora del proprio viaggio prima della partenza è sempre un’ottima preparazione a nuove esperienze; e riflettere sulle nostre scelte spontanee ci aiuta a capire meglio cosa ci aspettiamo, cosa cerchia-

mo davvero. La rete trabocca di suggerimenti, ma è difficile trovare quel che fa al caso nostro; meglio fare da soli. Si può compilare una playlist di brani diversi, ma uno solo dovrebbe essere il vero tormentone del viaggio. Non dev’essere necessariamente un successo. Ricordo per esempio un’estate siciliana a Marsala, il luogo dello sbarco dei Mille, scandita da Il Garibaldi innamorato di Sergio Caputo, ingloriosamente ultimo nel Festival di Sanremo del 1987: «E il Garibaldi fissa il mare e tira un sorso di rhum…». Lo scambio di idee e brani con i futuri compagni di viaggio è naturalmente benvenuto. Potrete poi decidere se confermare la canzone adottata prima della partenza, o sceglierne invece un’altra incontrata strada facendo. Perché naturalmente c’è tutta la musica dei luoghi attraversati: una radio locale ascoltata in un bar, dei giovani musicisti di strada, un vecchio negozio di dischi ecc. Tutte occasioni per conoscere meglio un altro Paese attraverso la sua musica, allargando con nuove sonorità il vostro orizzonte: lasciatevi tentare.

Così scriveva Truman Capote, in una meravigliosa descrizione di Ischia, visitata nel 1949. In quegli stessi anni sull’isola era stata esiliata Rachele Mussolini, vedova del dittatore, con i suoi figli. E ancora si raccontava del terribile terremoto del 1883, quando un ragazzo di diciassette anni rimase sepolto tra le macerie ma si salvò miracolosamente, il solo della sua famiglia: era il grande filosofo e storico Benedetto Croce. Il libro di Ambrogio Borsani è tutto così. Si aggira tra 51 isole minori d’Italia, compensando la ridotta estensione geografica con la profondità del tempo. Le isole sembrano essere laboratori in miniatura di vite improbabili. Possono essere lo scenario di delitti clamorosi, come nel caso dei nove frati tagliati a pezzi sull’isola di San Paolo, nel Lago d’Iseo; oppure il campo d’azione di personaggi stravaganti, come l’ex camionista sardo che si mise a capo di un microstato sull’isola di Mal di ventre; o culla di una miriade di amanti clandestini, come il pittore Umberto Boccioni e la principessa Vittoria Colonna di Teano sull’isola di San Giovanni, nel Lago Maggiore; e non mancano dissidenti politici, utopisti e sognatori, come quelli esiliati a Ventotene, dove nelle ore più tragiche della Seconda guerra mondiale intravidero l’Unione europea. Nell’insieme, in queste storie c’è più male che bene, più fatica di vivere che felicità; e forse proprio perché perplesse dall’uso che ne fanno gli uomini, alcune isole si sono congedate con discrezione dalla scena, come l’isola Ferdinandea, emersa dagli abissi nel giugno 1831, rivendicata da diversi Stati, e presto nuovamente discesa nelle profondità marine… Bibliografia

Ambrogio Borsani, Avventure di piccole terre. Cinquantuno isole italiane da leggere e immaginare, Neri Pozza, 2015, pp. 160, € 16. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Minestra di spinaci con fagioli

Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 cipolla · 2 spicchi d’aglio · 1 carota grande · 1 cucchiaio d’olio d’oliva · 150 g di pancetta affumicata in un pezzo · 150 g di fagioli bianchi secchi · 1 dl di vino bianco secco · 230 g di pelati tritati · 1.2 l di brodo di verdura leggero · 200 g di spinaci freschi · sale, pepe · formaggio grattugiato a piacere, ad es. Alpe Vallemaggia. 1. Tritate la cipolla e l’aglio. Dimezzate la carota per il lungo, tagliatela a fettine

oblique di circa 5 mm e mettete da parte. Scaldate l’olio e la pancetta intera. Unite la cipolla, l’aglio e i fagioli e soffriggete. Sfumate con il vino e fatelo ridurre un poco. Aggiungete i pelati e il brodo. Lasciate sobbollire semicoperto per circa 1 ora e 25 minuti, in ogni caso finché i fagioli sono cotti al dente. 2. Nel frattempo sciacquate accuratamente gli spinaci. Aggiungete la carota, condite generosamente con sale e pepe e continuate la cottura ancora per circa 5 minuti. Estraete la pancetta dalla minestra. Se necessario eliminate la cotenna e le cartilagini. Tagliatela a fette e aggiungetela alla minestra con gli spinaci. Regolate di sale e pepe. Distribuite la minestra nei piatti e a piacere guarnite con il formaggio grattugiato.

Un esemplare gratuito si può richiedere a: telefono 0848 877 869* fax 062 724 35 71 www.saison.ch * tariffa normale L’abbonamento annuale a Cucina di Stagione, 12 numeri, costa solo 39.– franchi.

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degli spinaci. Eliminate le costole dure, tagliate a pezzetti il resto delle foglie e aggiungetele alla minestra con la carota.

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Ambiente e Benessere

Quando la natura incontra la scrittura Il seme nel cassetto N el Giardini di carta di Évelyne Bloch-Dano, i territori appartenuti a diversi scrittori

e a diverse scrittrici francofoni che con sensibilità differenti raccontano le sfaccettature dei «loro» giardini

Laura di Corcia Giardino come specchio degli agi della classe borghese o come sconfinamento delle sue regole rigide; spazi verdi chiusi al resto e quindi portatori di verità altre, che siano quelle metafisiche o amorose, forieri di illusioni, intinti nel brodo dolciastro dell’amore romantico o nella più focosa zuppa della passione erotica. Il rapporto fra il giardino e la scrittura è in fondo il tema di questa rubrica, Il seme nel cassetto, quindi perché non tentare un viaggio fra alcune fra le più significative pagine dedicate al tema, sulla scorta del bel libro di Évelyne Bloch-Dano, scrittrice e giornalista francese, Giardini di carta?

Il nesso fra la natura e la scrittura sfugge dal pensiero cartesiano per approdare nei territori del pensiero poetante Anche in questo libro si coglie il nesso fra la natura e la scrittura, perché quando la riflessione su pagina si apre alle meraviglie offerte dagli alberi, dai prati e dai fiori, improvvisamente riesce a sfuggire come un’anguilla dalle secche del pensiero cartesiano, dove il soggetto e l’oggetto sono rigorosamente separati da una cortina di ferro, per approdare nei più fecondi – almeno a livello artistico – territori dell’armonia, dell’analogia, del pensiero poetante. Con queste preziosità ci troviamo confrontati addentrandoci nella lettura, e passando in rassegna i territori appartenuti a diversi scrittori e a diverse scrittrici francofoni, che con sensibilità differenti ci raccontano le sfaccettature di un microcosmo – il giardino – volto a riflettere come uno specchio le credenze e le speranze dell’epoca, così come si è incarnata nella penna di volta in volta analizzata. Con Rousseau, quindi, scopriamo che la paura che il giardino diventi troppo addomesticato, troppo urbano – che si allontani quindi dalla sua natura selvaggia e ctonia – non pertiene

Per Sartre, la vera realtà sono i libri, l’astrazione: il rapporto con la natura è quindi mediato dalla lettura. (Kumiko)

solo ai nostri tempi e nello specifico a Gilles Clément, ma attraversò anche i secoli dei Lumi. Nota bene: il filosofo svizzero non riteneva che le erbe e le aiuole non fossero da toccare punto, e non a caso a lui e alle sue opere è attribuita la diffusione della moda del giardino all’inglese nell’Europa continentale; ma la moderazione e il rispetto erano a suo avviso l’ingrediente primo per evitare, lavorandoci troppo, di snaturare la materia. George Sand lavorava più volentieri di lui la terra, senza avvertire la stanchezza ed era una profonda conoscitrice della botanica, che non riteneva un’occupazione da ragazza di buona famiglia, ma una modalità conoscitiva atta a comprendere i meccanismi regolanti l’organizzazione della

natura. Il che comprendeva anche il selvaggio e le erbacce. In Flaubert, Stendhal e Balzac il giardino è un luogo a cavallo fra purezza e sensualità, la culla dell’illusione amorosa vissuta dalle loro protagoniste anche e soprattutto nelle speculazioni solitarie; con Hugo il giardino diventa più ampio e si fa portatore di istanze di uguaglianza, in Zola la natura esuberante apre la strada all’ansia intollerabile del desiderio sessuale, schiacciato da una morale – quella cattolica dell’epoca – poco in linea con le esigenze della carne. Nella Recherche di Proust i personaggi recitano i loro ruoli proprio sotto i pergolati, alienati per sempre dai roseti, dalle aiuole e dagli altri fiori, con i quali non riescono a stabilire alcun contatto; il giardino si fa meta-

fora di un luogo inaccessibile, l’altro da noi, che non conosciamo al di là delle nostre proiezioni e dei nostri pregiudizi. Come in Zola, anche nell’Immoralista di Gide la natura permette lo sconfinamento nelle terre dell’erotismo e del desiderio, l’esplosione delle sensazioni anche laddove esse siano in contrasto con i principi dell’eterosessualità. Per Colette, nomade e con una vita fuori dai canoni, il giardino è il luogo che crea radicamento, che dà una stabilità al nomadismo: se è vero che ad ogni nuovo compagno o ad ogni nuova compagna corrisponde una nuova casa, è anche vero che ci sarà di fronte un piccolo pezzo di terra, una distesa d’erba che la farà sentire centrata. Il giardino è, come spiega Bloch-Dano,

«il punto fisso verso cui tutto converge, da cui tutto parte – compresa la bambina vagabonda innamorata dell’alba». La presenza materica del giardino di Colette svapora e si fa di nuovo memoria impalpabile in Patrick Modiano, in Sartre, invece, la vera realtà sono i libri, l’astrazione: il rapporto con la natura è quindi mediato dalla lettura. «Ci saranno altri alberi, altri fiori. Il tempo non risparmia né i romanzi né la natura», si legge alla fine del libro. Questo è vero; ma forse il senso di tutto è proprio la cura, occuparsi di tutto ciò che nutre l’anima. Bibliografia

Évelyne Bloch-Dano, Giardini di carta, Add editore, 2016, 288 pp, 16 euro. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Ambiente e Benessere

Da Kübler a Federer via HC Lugano

Sportivamente Ci ha lasciati il campione ciclista Ferdi Kübler, lo sportivo svizzero del secolo; aveva 97 anni.

Nel frattempo le competizioni di fine anno registrano un secondo posto dell’HC Lugano alla Coppa Spengler di Davos, mentre tutti si felicitano per il rientro di Roger Federer

SUDOKU PER A

Alcide Bernasconi Pur essendo di non molti giorni fa, è ormai una storia vecchia quella del FC Lugano che si separa dall’allenatore Andrea Manzo, per decisione del presidente Angelo Renzetti, e che ingaggia Paolo Tramezzani, un buon tecnico che non ha però mai agito quale allenatore principale. Per il resto si attendono i primi risultati della ripresa del campionato, dove il Lugano dovrà puntare al salvataggio o – chissà? – magari perfino a un posto di maggior prestigio nella classifica finale. Più recenti sono i racconti degli ultimi giorni dell’anno, a partire dalla scomparsa del campionissimo del ciclismo svizzero, Ferdinand Kübler, chiamato da tutti familiarmente Ferdi. Nella corsa della vita, Kübler ha tirato abilmente il freno: per la prima e unica volta forse ha preferito che lo precedessero al traguardo altri grandi campioni, resistendo fino all’età di 97 anni. Può darsi che nell’aldilà, dietro una nube e prima di una curva ci sia una folla di appassionati del ciclismo ad attenderlo. Fra questi certamente anche quelli che non l’hanno mai molto amato, preferendogli il più elegante in sella (e non solo) Hugo Koblet, l’altro grande «K» svizzero della bici, col quale ci fu negli anni d’oro (attorno al 1950) una forte rivalità, ma anche un po’ di amicizia. I più grandi avversari dei due elvetici (Kübler fu giudicato dagli esperti dello sport l’atleta rossocrociato del

Giochi Cruciverba Una coppia va dal dentista e l’uomo al dottore: «Mi deve fare un’estrazione, molto velocemente perché tra poco inizia la partita!» «Non posso, prima devo fare l’anestesia!» «No, no macché anestesia, proceda!» «Ma che coraggio, complimenti!». Trova la risposta dell’uomo leggendo a soluzione ultimata le lettere evidenziate. (Frase: 4, 3, 6, 2, 5, 2, 7) ORIZZONTALI 1. Nome femminile 7. Un disco in cielo 8. La memoria del PC 9. Le iniziali del regista Avati 10. Raggi radioattivi 11. Ministro del sultano 12. Sostiene il credente 15. Restituiti 16. Potente allucinogeno 17. Uma famosa Mara 19. Due nella foresta 20. Fatto con giunchi intrecciati 21. Le iniziali di Lincoln 23. Colto, erudito 24. Andate alla latina Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

N. 1 GENItempo fa guadagnò parecchio facendo una pubblicità come uomo dal buon Schema fiuto.

secolo) erano allora gli italiani Coppi e Bartali, i francesi Bobet e Geminiani, e il belga Ockers. A stimolare Kübler sul piano agonistico era però il bell’Hugo Koblet. Infatti, Ferdi vinse il Tour de France nel 1950, anno in cui Koblet era stato il primo straniero a imporsi nel Giro d’Italia. L’anno successivo, fu Koblet a vincere quasi con irrisoria facilità il Tour, e allora Ferdi (che non vinse mai la corsa a tappe italiana) si impegnò a fondo per puntare al titolo mondiale. In disaccordo con la propria Federazione, soprattutto col presidente di allora, Kübler si allenò da solo, scalando cinque volte il passo del Susten, poi rifiutò di alloggiare con la squadra, accettando l’invito del ticinese Emilio Croci-Torti che gli preparò un minestrone e un buon filetto la sera prima della corsa sul circuito di Varese e l’obbligò poi a dormire nel più comodo letto matrimoniale. Kübler vinse quei mondiali in volata, beffando all’ippodromo di Varese i sette avversari che erano in fuga con lui, fra cui tre italiani (Bevilacqua, il capitano designato degli azzurri Fiorenzo Magni, e Minardi). Il cronista di radio Monteceneri, Giuseppe Albertini, descrisse quello sprint ripetendo quasi all’infinito: «Kübler, Kübler, Kübler…»). Ferdi deve averlo sentito, perché non ci fu nulla da fare contro di lui. Invitato a partecipare alla cena di gala dal suo presidente, Kübler si rifiutò, poiché a Lugano l’attendevano per una grande festa in Piazza della Riforma. Lui amava il pubblico

7 5 8 3

La neve quest’anno ha dimenticato ancora una volta Davos e 8 altre famose località alpine. Ma il ghiaccio artificiale ha attirato 1 3nuovamente un pubblico traboccante a tutte le gare dell’attesissima Coppa 6 9Spengler. 3 Per il secondo anno consecutivo l’HC Lugano rinforzato, ospite d’onore, si è classificato 5 secondo, perdendo soltanto la finale (andata nuovamente al Team Canada) 3 di prestigio 1 contro avverdopo successi sari dell’Europa dell’Est e il Davos. Una squadra 2 8bianconera che pare 7 aver preso lo slancio per riscattarsi nei playoff e puntare, 4 magari, al titolo nazionale. 8 Non sarà facile: la qualità degli avversari e le difficoltà negli incontri in tra2 4 che sferta dei bianconeri sono ostacoli la squadra di capitan Hirschi dovrà ri2 9 uscire a superare. Dal disco su ghiaccio alle palline da tennis. Eccoci, infine, all’atteso ritorno di Roger Federer. 6 Fermatosi lo9scorso58 luglio, il nostro campione della racchetta parteciperà alla Hopman Cup, conside7 8 rato un mondiale di doppio misto. La prima volta Federer lo vinse insieme a 2 Stavolta la sua compa1 Martina Hingis. gna di gioco è Belinda Bencic. Il prono6 è praticamente impossibile, data stico la lunga assenza, ma il suo preparatore Pierre 1 Paganini 4 è convinto che Roger ha risolto tutti i suoi problemi fisici. Lo spera il campione di Basilea e l’immen9 sa folla dei suoi sostenitori.

Giochi per “Azione” - Gennaio 2017 9 Ferdi Kübler al traguardo di Parigi: è il vincitore del Tour di France (1950). (Marka) Stefania Sargentini ticinese e al cronista Marco Blaser telefonava alla radio comunicando il suo passaggio a ogni località, fino al traguardo luganese. Credo che regalò la maglia iridata al papà di Bigio Biaggi, proprietario del Caffè della Posta. Con Emilio Croci-Torti accolse poi la proposta di formare il cast che disputò la prima corsa a cronometro denominata Premio Panettone Vanini, che attirò sulle strade del circuito luganese centinaia di migliaia di appassionati, soprattutto accorsi dall’Italia. Kübler si impose quindi anche contro Coppi che nella successiva edizione batté il favorito Koblet e, qualche anno dopo, fu il francese Jaques Anquetil a diventare l’eroe di quella prova vincendola per ben sette volte.

Non stiamo qui a ripetere quanti altri titoli conquistò il Ferdi, che la regia 4 del Tour, qualche anno7fa, onorò quale vincitore del Giro di Francia ancora in vita! Di Kübler si continuerà a raccontare le mille storie, come quella dei due successi consecutivi nel «Weekend delle Ardenne, Freccia Vallona e LiegiBastogne-Liegi», della Bordeaux-Parigi 6 (quasi 600 km) che si correva in una sola frazione, con partenza sotto la luce 9 5 dei fari! Con un velo di tristezza abbia1 corridore 2 di mo preso commiato dal Adliswil. Atleta completo, finita la carriera sulle due ruote, egli 7 si trasformò 6 in ottimo maestro di sci, con clienti famosi sulle nevi di Davos e, per via del 8 suo naso aquilino, ancora fino a poco

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GIOCO N.1di Capodanno (BUON ANNO) allegato a parte

1 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 5 7 e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku (N. 2 - “Cara fai vedere il dente al dottore”) 2 4 1 2 3 4 5 6 Sudoku N. 3 GENI

C A R M E L 5 Scoprire i 3 numeri U 9F O R 8A corretti da inserire nelle caselle P A B E 6T colorate. 3 I V I S I 6 F E D SUDOKU E RAZIONE E -S I 2017 PER GENNAIO 18 4 8 5 7 1 L N. 1SGENID V E N I Soluzione E R Schema 21 22 98 2 1 3 7 4 2 5 O T75 1 C E S T9 O A 6 5 8 1 3 3 1 4 3 8 4 22 7 6 9 6 9 3 R83 D O T T O3 7 1 5I 9 T4 5 4 7 GIOCHI PER AZIONE - Dicembre 2016 4 2 8 3 1 Stefania SARGENTINI A V O R I O T E6 3 A7

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2 5 9 1 4 6 7 3 8 9 4 8 25. Dentina 18. Si paga a scadenza fissa DONI SOTTO L’ALBERO GIOCO NATALIZIO N. 48 26. Un gruppo di lavoro 20. Cuore di vate Soluzione del numero 2 50 (2016) 4 6 8 3 9 7 2 5 1 4 (Uscita del 19 Dicembre 2016) VERTICALI 22. Modulo lunare DONI SOTTO L’ A LBERO – La nostra redazione quest’anno metterà sotto l’albero: 7 1 4 3 5 8 6 2 9 7 4 2 9 1. Tenebrosi, oscuri 23. «Ut» per Guido d’Arezzo AMORE, COMPRENSIONE, CARITÀ8E SORRISI A VOLONTÀ. SCHEMA N. 2 GENI 2. Finisce... al2 fresco3 senza consonanti 1 4 24. Scritte 5 6 7 8 SOLUZIONE 3. Astro al tramonto 4 68 7 3 6 1 32 91 5 6 9 79 5 A M A R A T E A T R O 4. Dicesi di opinioni assurde, insostenibili 2 1 6 5 9 7 8 3 4 6 7 8 9 10 11 R O M A O R I À B A 5. Elementi del poligono ` 3 3 9 54 8 4 2 7 62 1 6. Penose, dolorose F R A2 G O L 1 E A R9 E 5 1 2 3 6 8 9 4 5 7 10. Un tv 1 A2 N C 6I G C O L I S 12 Claudio attore e conduttore 13 14 15 7 4 5 2 Vincitori del concorso Cruciverba 11. Lo è l’ostro O L A O N E A G O 7 6 9 1 5 4 3 2 8 7 6 1 4 su «Azione 50», del 12.12.2016: 12. Il complesso delle piante N E M O R A G R R 17 18 19 8 9 13. Si16distingue all’alba B. Sangiorgio, M. Biava, E. Grassi. 6 5 74 8 7 2 3 16 13 9 A P A I N P A9R E I 8 7 1 2 3 5 9 4 6 Vincitori del concorso Sudoku: 14. Le iniziali del filosofo Diderot R A1 S P O S I I 6 T À ` 15. Lo dà il cassiere 20 21 su «Azione 50», del 12.12.2016: 9 6 3 43 9 51 8 5 7 2 5 I 7S E N M E N S E E 17. Opposizioni all’approvazione L. Planzi, A. Ghielmini. A V O L O I D E 2 A 4R E 9 5 2 4 7 6 1 8 3 di una legge 22 23 6 7 4 8 N. 3 GENI I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 5 AMORE, 9 7 15 9 6 4 3 8 19 2 SOLUZIONE - La nostra redazione metterà sotto l’albero: COMPRENSIONE, 4 8 deve dei premi. 24 del valore di 50 franchi, 25 saranno sor- 26soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, email del partecipante I vincitori saranno avvertiti CARITÀ E SORRISI A VOLONTÀ! 6 Azione, 8 1 Il4nome 7 dei 2 vincitori 9 6 3 sarà 5 teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato essere spedita a «Redazione per iscritto. fatto pervenire la27soluzione corretta sulla pagina del sito. Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». pubblicato su «Azione». Partecipazione 2 4 3 3 6 2 8 1 5 9 7 4 28 entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o Non si intratterrà corrispondenza sui riservata esclusivamente a lettori che 6 escluse. Non 2 7 3 4 5 6 1 8 9 zione del gioco. la cartolina postale che riporti la so- concorsi. Le vie legali sono risiedono in Svizzera.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Politica e Economia Crepe nel liberalismo Spinte anti-globalizzazione, populismi, guerre e terrorismo mettono in crisi l’ordine mondiale

Rimpasto in Argentina Insuccessi e proteste popolari, spingono il presidente Macri a licenziare il ministro delle finanze Prat-Gay

Nei panni dei profughi Un’esposizione al Museo nazionale di Zurigo invita i visitatori a cambiare prospettiva

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Le sfide dell’AI L’assicurazione invalidità viene lentamente risanata, ma i disavanzi non sono ancora cancellati. Oggi si punta sul reinserimento professionale e meno sulle rendite pagina 21

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Un graffito a Vilnius, Lituania, ispirato al famoso bacio tra il leader dell’Urss Breznev e il presidente della Germania dell’Est Honecker, scambiato poco prima del crollo del Muro di Berlino. (Keystone)

Un disgelo improbabile

Geopolitica Nonostante la simpatia reciproca fra Trump e Putin, a Washington altri poteri si oppongono e rendono

improbabile un riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia – Si prospetta una strategia geopolitica americana ondivaga Lucio Caracciolo Barack Obama ha speso le sue ultime settimane alla Casa Bianca nell’intento di rendere la vita del suo successore la più complicata possibile. In particolare, si è concentrato sulla politica estera, disegnando in extremis un profilo geopolitico degli Stati Uniti per molti versi opposto a quello che Donald Trump promette di scolpire. Il lascito geopolitico più significativo di Obama è lo scontro con la Russia, che è anche (non solo) frutto della sua personale allergia per Putin. In questo, il presidente uscente segue gli umori e le abitudini degli apparati di Washington, delle strutture militari e di intelligence, della maggioranza del Congresso, al di là della stessa partizione democratici/ repubblicani. L’idea di fondo è che esista una incompatibilità strutturale fra gli interessi e i valori dell’impero russo e di quello americano. La causa occasionale è il presunto hackeraggio compiuto su ordine di Mosca a scapito di Hillary Clinton e del Partito democratico per favorire la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali. Su questo il battage mediatico, specie del «New York

Times» – che in questa come in altre vicende si è schierato apertamente con il presidente, quindi con Hillary – è stato assordante, con toni da guerra fredda. La decisione di espellere 35 diplomatici russi voleva essere il segno tangibile della profondità della crisi nei rapporti tra Mosca e Washington, già drammaticamente peggiorati soprattutto a fronte della guerra in Ucraina. Come è ovvio, più che di diplomatici si trattava di spie. Obama si attendeva una risposta parallela di Putin, che non c’è stata. Con mossa abile, da vero scacchista, il presidente russo ha evitato di espellere per rappresaglia 35 diplomatici – leggi: spie – americani, come formalmente suggerito dallo stesso ministro degli Esteri Lavrov. Così limitando gli effetti della scelta di Obama e favorendo il promesso riavvicinamento con Washington, non appena Trump si sarà installato alla Casa Bianca (20 gennaio). Fra l’altro, Putin è un ex agente del secondo direttorato del Kgb, dunque ha una certa esperienza sul mondo delle spie. E sa che con l’espulsione di massa delle spie russe la Cia e le altre agenzie di intelligence americane hanno perso un tesoro: infatti conoscevano vita e mira-

coli di coloro che Obama ha voluto cacciare dagli Stati Uniti, mentre dovranno ricominciare da zero non appena arriveranno i loro sostituti. Al contrario, i russi possono continuare serenamente a spiare le spie americane – travestite da diplomatici – a Mosca, loro vecchie conoscenze. Resta da capire fino a che punto la possibilità di un disgelo MoscaWashington diventerà concreta sotto Trump. Non dimentichiamo che Obama stesso volle inaugurare la sua presidenza con il «reset» – affidato a Hillary Clinton, non proprio famosa per le simpatie pro russe – salvo poi finirla in un clima gelido con Putin. È molto probabile che nei primi mesi di Trump vi sia fra Mosca e Washington un’ampia gesticolazione e anche qualche intesa minore. In specie nella lotta al terrorismo e sul fronte mediorientale, dove si può trovare una parziale coincidenza di interessi fra le due potenze storicamente rivali. Difficilmente invece qualcosa potrà muoversi anche sul fronte delle sanzioni cui la Russia è sottoposta in seguito all’annessione della Crimea e della penetrazione in Ucraina. Ma è difficile che qualcosa di dav-

vero sostanziale possa accadere. Perché alla fine i poteri del presidente sono limitati. La sua agenda russa sarà in gran parte dettata dal Pentagono, dalla Cia e dal Congresso. Qui l’atteggiamento prevalente è semmai quello di irrobustire lo sbarramento geopolitico antirusso e di rafforzare lo schieramento Usa-Nato in Europa. La politica di Washington verso Mosca rischia per conseguenza di apparire alquanto erratica. Alla simpatia e alle aperture fra Trump e Putin non seguiranno insomma necessariamente passi concreti. Il secondo fronte anti-Trump aperto in extremis da Obama riguarda Israele. Come spesso accade ai presidenti americani in scadenza di mandato, Obama ha improvvisamente inasprito la sua già poco amichevole linea sullo Stato ebraico. Astenendosi per la prima volta su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che condanna in termini forti la politica degli insediamenti ebraici illegali in Cisgiordania – cioè in quello che dovrebbe essere il nucleo del futuro Stato palestinese – gli Stati Uniti ne hanno consentito il varo. Certo, si tratta di parole. La situazione sul terreno non ne sarà mutata.

Ma in geopolitica anche le parole pesano, specie nell’èra delle comunicazioni di massa e dei social media. La reazione di Netanyahu è stata prevedibilmente furiosa. Tutto questo va contro le intenzioni dichiarate di Trump, deciso a imprimere una svolta nettamente pro-israeliana alla politica mediorientale di Washington. A cominciare dall’annunciato spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a quella che per Israele è la sua capitale una e indivisibile, Gerusalemme. Smarcandosi su questo sia dagli alleati europei – su cui Trump non fa gran conto – sia da tutti gli altri paesi che contano. Rispetto alla Russia, le posizioni sono rovesciate: mentre gli apparati appoggiavano Obama nella linea dura anti-Putin, qui sono allineati con Trump nel sostegno a Israele, senza se né ma. In ogni caso gli Stati Uniti avranno difficoltà a delineare una strategia geopolitica chiara sotto Trump. La confusione sotto il cielo di Washington è notevole. Al nuovo presidente provare a mettere un po’ d’ordine in un ambiente avvelenato dalle rivalità e dalle polemiche intestine.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Politica e Economia

Il liberalismo scricchiola

Riflessioni L e spinte anti-globalizzazione, con un incombente protezionismo, i populismi, le guerre e il terrorismo

islamico mettono in crisi l’ordine mondiale – Riusciranno le forze liberali a reinventare una stabilità per il pianeta? Paola Peduzzi Il mondo s’è capovolto e non si sa più come fare per rimetterlo dritto. Gli esperti, gli storici, gli specialisti, i politici sono al lavoro per trovare definizioni ed etichette rassicuranti – e temporanee – e da lì ripartire, ma per ora non c’è nulla di rasserenante. A levare le certezze all’ordine mondiale liberale sono stati due eventi rivoluzionari, in particolare: la Brexit nel Regno Unito e la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. Ma attorno a questi grandi stravolgimenti – delle attese e delle prospettive – si sono formate alleanze, poli, linee di pensiero che stanno contagiando mondi diversi, soltanto apparentemente lontani.

«Il liberalismo è stato un successo economico, morale e politico, ma non ha convinto le persone della sua efficacia a confronto con le alternative» Sul banco degli imputati c’è quel centro moderato e riformatore che ha costituito l’ossatura politica – con qualche variazione – del post comunismo: dalla caduta del muro di Berlino fino a oggi, la formula liberale, ispirata alla globalizzazione e alla circolazione libera di beni e persone, ha ispirato politiche e leadership in Occidente, predisponendo un effetto-calamita anche nei paesi circostanti. L’Unione europea, pur con i suoi tanti difetti e le sue contraddizioni, ha rappresentato il collante più potente di questa politica: per molti paesi che avevano gravitato nell’orbita dell’Unione Sovietica, l’opportunità occidentale, incarnata dall’Europa comunitaria, era imprescindibile, molti processi riformatori in nazioni guidate da leader autoritari sono nati proprio dall’ambizione di diventare europei. Quello slancio è andato perdendosi, pur se ancora oggi le statistiche dicono che il processo è tutt’altro che fallito: secondo «Our World in Data», ogni giorno circa 130 mila persone escono dalla povertà estrema – nel 1990 il 37 per cento della popolazione mondiale viveva nell’indigenza totale, oggi questa percentuale è al 9,6. Ci sono altri dati che confermano il trend positivo del benessere mondiale e ce n’è uno in

Vista su Canary Wharf al tramonto. Londra è (stata) uno dei simboli del liberalismo e della globalizzazione, ora dovrà fare i conti con la Brexit. (Keystone)

particolare che registra il successo della transizione democratica messa in atto all’inizio degli anni Novanta: il 56 per cento della popolazione mondiale ora vive in una democrazia, quando nel 1980 questo valeva soltanto per il 35 per cento (nel 1816, la percentuale era pari allo 0,87 per cento). Politicamente però la formula liberale non è mai stata tanto debole. La vittoria di Trump negli Stati Uniti ha confermato non soltanto la nota «rabbia dell’uomo bianco», che sogna un ritorno al passato (circa anni Sessanta) e rifiuta i progressi sociali ed economici prodotti negli ultimi 40 anni, ma anche la volontà di isolarsi un pochino dal mondo, dalla concorrenza non sempre leale dei paesi in via di sviluppo, dai guai delle guerre e delle instabilità altrui. Quale strada ideologica e politica Trump voglia imboccare è difficile dirlo: alterna nomine di «finanzieri» di Wall Street che fanno imbestialire la sua base ad altre dalla forte impronta protezionista. Ma dovendo descrivere un’istantanea dell’Amministrazione che si sta costruendo, si potrebbe dire che tutto quel che di tradizionalmente liberale c’è

nella retorica della Casa Bianca è stato alquanto annacquato. Allo stesso modo nel Regno Unito, il premier Theresa May fatica a difendere una vocazione aperturista tipica degli inglesi (l’hanno inventato loro, il liberalismo) adattandola alle politiche per i «dimenticati», per quelli che sono rimasti ai margini dell’arricchimento globale. La May è assediata a destra dagli indipendentisti che chiedono un maggior ripiegamento su se stessi – e via gli immigrati! – e una rinuncia al dominio del libero mercato, e a sinistra da un Labour debolissimo che però cerca di intercettare il malcontento popolare per rinverdire una formula keynesiana di interventismo statale che nasce nel proprio milieu culturale. Il centro resta sguarnito, per ora lo occupa la May, ma la Brexit rischia di stravolgere tutto, perché il paese non soltanto è diviso su quale tipologia di rapporto instaurare con l’Ue a 27, ma dalla stessa ideologia ispiratrice: il fatto che dal team trumpiano arrivino minacce del tipo «prendiamoci il business inglese, visto che Londra è tanto in affanno» non aiuta la May, e nemmeno i liberali.

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La rivista di geopolitica più istituzionale che c’è, «Foreign Affairs», la pubblicazione del Council on Foreign Relations americano, ha sintetizzato questo momento di crisi con una formula accattivante: Out of order? titola l’ultimo numero, con quel punto interrogativo che suona purtroppo un po’ superfluo e con un meccanico con gli attrezzi in tasca infilato dentro a un globo terrestre. Si può allora sistemare l’ordine internazionale? Gli articoli contenuti nel bimestrale fanno pensare che sì, qualche strada esiste, anche se non semplicissima, però bisognerebbe intanto mettersi d’accordo sulle ipotesi iniziali. L’ordine post Seconda guerra mondiale s’è fondato su una cooperazione di cui tutti potevano beneficiare rispetto a una competizione egoistica di ogni Stato. Ora questa pietra fondante rischia di rotolare via, ma andrà lontano? E se sì, è sostituibile? Joseph Nye, già autore di un saggio sulla fine del secolo americano, scrive che potrebbe essere un errore evincere da questo nuovo corso trumpiano (e dalla Brexit) un trend inesorabile che ributta il mondo all’indietro. È vero – scrive Nye – che i trattati di libero scambio sono sospesi, in particolare quello con la riottosa Europa che pare anzi destinato al collasso, ma non si può dire che si è tornati al livello di protezionismo che c’era negli anni Trenta. La globalizzazione è qui per restare, insomma, sono i leader politici che devono imparare a gestirne anche gli effetti collaterali, rinunciando al «dominio» ma aiutandosi reciprocamente a trovare stabilità. Questa postilla riguarda in particolare gli Stati Uniti, che non devono abdicare al loro ruolo di superpotenza ma allo stesso tempo devono trovare il modo di garantire sicurezza e prosperità al resto del mondo senza essere percepiti come «i padroni del mondo». È chiaro che la via è tortuosa, soprattutto perché qui non si parla di procedure o di manuali di geopolitica: si parla di valori. Se i leader occidentali restano portatori di una visione di libertà, di partecipazione e di apertura – quella che, con le lacrime agli occhi, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha ribadito all’indomani dell’attentato terroristico a Berlino – devono contrastare le forze che indeboliscono questa prospettiva, anche nel caso che, come

sta accadendo ora, siano forze interne. La difficoltà sta proprio in questo: se le piazze, le urne e il dibattito mediatico spingono verso una disgregazione dei progetti multilaterali, verso un ritorno all’interesse nazionale (egoistico) e verso un riequilibrio del bipolarismo americano e russo a favore di Mosca (che questi valori non li condivide affatto), come si può invertire la tendenza? Anne Alpelbaum, autrice del libro imprescindibile Gulag e attenta analista degli equilibri geopolitici, dice che ormai il processo è avviato e che non è possibile tornare indietro. Bisognerebbe cancellare il 2016, ma non si può; bisognerebbe poter dimostrare che se l’Ue va in pezzi e l’America si ritira dalla scena internazionale tutti siamo destinati a stare peggio, ma non si può – o almeno, quando si potrà sarà ormai troppo tardi. C’è chi propone di non piegarsi di fronte alla crisi, il liberalismo sa come reinventarsi (lo ha scritto il magazine liberale «Economist»); c’è chi dice che alla crisi della globalizzazione si risponde con più globalizzazione – lo dice l’ex premier inglese Tony Blair, che è molto convinto del fatto che il populismo di destra non si sconfigge con il populismo di sinistra, per il semplice fatto che quello di sinistra è molto più debole, verrebbe sconfitto. Poi c’è chi invece dice che questo disordine è figlio della noia, e questa forse è la versione più rasserenante in circolazione. Il commentatore Thomas Well ha scritto che la crisi del liberalismo gli ricorda il meccanismo che Hyman Minsky indentificò per i mercati finanziari: la stabilità e la prosperità permettono di prendere rischi eccessivi che creano fragilità ed eventualmente collassi, e a quel punto la gestione del rischio diventa eccessiva e i mercati rallentano. «Il liberalismo – scrive Well – è stato un successo economico, morale e politico. Ma non ha raggiunto il risultato più facile: convincere le persone della sua efficacia morale e pratica messa a confronto con le alternative. Peggio: pare che chi sia cresciuto cogliendo i frutti della prosperità sia particolarmente propenso al rischio». Si votano i populismi per noia, per una voglia stanca di provare una cosa nuova: sembra una di quelle storie d’amore in cui lui fa i capricci, cerca avventure, s’allontana per un po’, e poi torna. Chiedendo perdono.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Politica e Economia

Correzione di rotta

Argentina Di fronte agli scarsi risultati raggiunti e alle crescenti proteste popolari contro il governo, il presidente

Macri licenzia il ministro dell’economia, senza però specificare come cambierà la politica economica

Angela Nocioni Mauricio Macri cambia ministro dell’economia. Esce la super star PratGay, l’artefice del complicato accordo con i fondi statunitensi creditori di Buenos Aires e dell’abbandono del cambio fisso tra moneta nazionale (il peso) e dollaro. Entra un’altra super star. Dal 2 gennaio il ministero è stato affidato a Nicolas Dujovne, firma di lusso dei commenti economici del quotidiano «la Nación» e volto noto della TV. Duvojne, 49 anni, destra liberale, era da tempo un consulente di Macri. Durante la campagna elettorale ha fatto parte della Fundación Pensar, laboratorio di strategia politica macrista, da cui uscì il manifesto programmatico del futuro presidente. È stato consulente della Banca mondiale a Buenos Aires e a Washington. Nei primi anni Novanta, durante l’era di Carlos Menem, lavorò con l’allora ministro Roque Fernández. Da un paio d’anni ha fondato una società di consulenza economica a Buenos Aires che porta il suo nome. A lui, che nell’ultimo anno dalle pagine de «la Nación», ha fatto le pulci all’azione economica dell’Argentina post kirchnerista, Macri ha messo in mano l’indirizzo economico del governo nella speranza di incassare, quanto meno, i risultati mediatici di un colpo di scena. A Dujovne il presidente argentino chiede di iniettare con sapienza piccole dosi di keynesismo, almeno apparente, per tener buona quella parte di società delusa dai costi sociali del nuovo corso politico argentino. Missione complicata per uno che, da osservatore, ha sempre sostenuto la necessità di diminuire la spesa per ridurre il deficit fiscale, anche perché il clima attorno al governo Macri non è lo stesso che, l’anno corso, accolse con curiosità e ottimismo il debutto della sua annunciata «Revolución de la alegria». A Buenos Aires il clima economico-sociale è pesante. L’inflazione cresce (era annunciata al 20% e invece supera il 50%). I licenziamenti aumentano. La scomparsa dei sussidi governativi alle tariffe della luce e del gas rende impossibile per moltissime persone pagare le bollette. E non serve a placare le piazze spiegare ragionevolmente che quei sussidi, sparsi a piene mani dai governi kirchneristi, non avevano copertura finanziaria. Esattamente un anno fa l’allora neoministro Prat-Gay, in grande sintonia con il neopresidente Macri, così annunciò la fine del cambio fisso con il dollaro: «D’ora in poi chi vuole comprare dollari li potrà comprare, chi vorrà vendere dollari li potrà vendere. Così funzionano le economie del mondo». Cominciato il lavoro di normalizzazione delle relazioni internazionali di Buenos Aires, si tornava alla possibilità di investire legalmente in risparmi in

dollari e si apriva la possibilità di acquistare fino a 2 milioni di dollari al mese. Per riuscire a ripristinare relazioni di reciproca fiducia con alcune potenze straniere, per esempio gli Stati uniti, la diplomazia argentina sta lavorando sodo, perché durante l’intera epoca kirchnerista, dal 2003 in poi, l’assetto tradizionale delle priorità diplomatiche di Buenos Aires è stato stravolto. Con la Cina si è spalancato un rapporto che è andato di pari passo con l’allontanameto dagli Stati uniti. Con conseguenze politiche complesse. Quando, per dirne una, la presidente Cristina Kirchner allora in carica non pagò il miliardo e mezzo di dollari dovuti al finanziere Paul Singer, lui poté chiedere l’embargo dei finanziamenti cinesi in Argentina. Quel conflitto economico portò a una guerra di nervi e di bluff tra il governo Kirchner e i suoi creditori americani che si giocò sul tavolo delle relazioni diplomatiche tra Argentina e Cina. Sulla scrivania del giudice newyorkese Thomas Griesa – lo stesso a cui erano già ricorsi in precedenza tre hedge founds, tre fondi speculativi, per congelare i depositi del governo argentino alla Bank of New York – planò allora una richiesta del privato Paul Singer, da recapitare alla Bank of China che doveva avere eco inevitabili nei rapporti diplomatici tra i due paesi. Singer chiedeva che Griesa esigesse dalla banca informazioni sui finanziamenti di Pechino all’idroelettrica costruita dai cinesi a Santa Cruz, la copia dei contratti cinesi per la linea ferroviaria Belgrano-Cargas e i dettagli della linea di apertura di credito per 11 miliardi di dollari firmata qualche mese prima dal presidente Xi Ping con la Banca centrale argentina. Lo scopo era stanare il denaro fresco a disposizione dell’allora governo in carica, presieduto dalla Kirchner, e farlo congelare da una sentenza. Squisitamente politiche, in un piano di ribaltamento delle tradizionali alleanze internazionali argentine, furono anche la conseguenze della scelta di mandare l’Argentina in default tecnico per non aver onorato i suoi debiti con i fondi pensionistici americani. Il governo Kirchner non aveva trovato un accordo con i tre fondi statunitensi suoi creditori che, non avendo tanti anni fa accettato la rinegoziazione (con lo sconto del 70%) dei tango bond in loro possesso, sono andati a riscuotere quando hanno voluto. Nonostante avessero rastrellato negli anni quote di debito argentino andando a bussare a risparmiatori disperati dopo il default del 2001, quando cioè quei bonus erano cartastraccia, i fondi volevano che il loro credito venisse pagato per intero e avevano gli strumenti giuridici per esigerlo. A condurre l’offensiva era una società privata, Nml Capital, una controllata di Elliott Management di proprietà di Paul Singer, specializzato negli investimenti in obbligazioni in crisi. Ma gli effetti politici di quella guerra furono

Migliaia di persone manifestano davanti al Parlamento il 18 novembre 2016 per chiedere misure contro la povertà. (Keystone)

quelli di una guerra diplomatica pesante con una potenza straniera. Singer, da osso duro, si manteneva inflessibile, sperava che alla fine l’Argentina lo avrebbe pagato fino all’ultimo centesimo perché ipotizzava che Cristina stesse solo aspettando che arrivasse a scadenza, nel dicembre successivo, la clausola Rufo, la clausola dell’accordo che obbliga ad estendere la migliore condizione contrattata a tutti i debitori. L’applicazione di quel codicillo avrebbe potuto far trovare Buenos Aires di fronte a tutti i creditori, anche quelli con cui era stato già concordato lo sconto del 70%, con in mano la richiesta di rimborso del totale. Molto meglio politicamente quindi per la presidente Cristina era gridare al complotto dei poteri forti «gringos» (come se la Cina, suo apparente salvagente, fosse un potere debole) e aspettare la scadenza della clausola per poi rimborsare tutti i soldi dovuti agli odiati «fondi avvoltoi» liquidando con pochi spiccioli tutti gli altri. Per questo Singer si spinse a minacciare Cristina con un’altra clausola dell’accordo, la clausola Discovery. La norma permette di esigere ai finanziatori dei propri debitori, in questo caso dalla Bank of China, ogni informazione sui conti in cui è transitato denaro argentino e sulla destinazione dei depositi. Di fronte al rifiuto

della banca, la Discovery permette al giudice di ordinare perquisizioni per ottenere le informazioni richieste. Cristina Kirchner non poteva permettersi per ragioni di sussistenza politica di far innervosire il presidente cinese. Questo permise che la Electroingeniería, una delle società che si occupano della centrale idroelettrica che la impresa cinese Ghezouba ha costruito nello Stato argentino di Santa Cruz, definisse Singer «un superbo, uno che crede che la giustizia imperiale arriverà alla Repubblica cinese. Errore. Se la Cina smette di comprare il debito americano, falliscono gli Stati Uniti e fallisce pure il fondo Nml». Con l’arrivo di Macri al governo le relazioni diplomatiche con gli Stati uniti si sono spalancate, questo è un indubbio successo di Macri. Ma sul piano economico, di meriti simili, non ne ha avuti. Il governo può vantare il merito di aver eliminato il cambio fisso, fatto sta che la svalutazione del peso, ovvia conseguenza della fine del cambio fisso, sommata agli aumenti delle bollette di luce e gas non più tenute artificialmente basse dai sussidi statali, sommata all’inflazione, ha alzato il costo medio della vita a livelli che minacciano l’esplosione sociale. Esplosione che è cominciata a covare sotto la cenere già quando Prat-

Gay, per annunciare la fine dei sussidi, disse in TV: «L’aumento della bolletta della luce che passa da 150 pesos a 350 pesos equivale al prezzo di due pizze». Non fu un’uscita felice per un governo accusato dai suoi critici di essere insensibile alle esigenze dei non ricchi, attaccato dai peronisti di destra e di sinistra come un governo fatto da soli amministratori delegati cresciuti nella bambagia e del tutto estranei alla vita dei poveri cristi. Il nuovo ministro Dujovne, qualche giorno fa, prima della nomina, da ancora battitore libero esterno, scriveva che «l’identità del programma macrista è ancora in via di costruzione per due ragioni: in alcune aree l’esecutivo non ha ancora deciso dove esattamente pensa di avanzare e, in altri casi, le idee non sono state adeguatamente comunicate (…). Riempire in maniera coerente questo vuoto di programma e di comunicazione deve essere, a partire da adesso, l’obiettivo numero uno del governo». Poi domandava: «È un obiettivo di medio periodo per il governo ridurre o perlomeno non aumentare le spese in termini reali? Non lo sappiamo. Se lo fosse, il governo lo dovrebbe spiegare: aiuterebbe così a risolvere la maggiore incognita macroeconomica dell’Argentina». Tocca a lui, ora, mostrare come fare. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Politica e Economia

Dalla parte di chi è in fuga

Esposizione L a mostra «Fuggire» presso il Museo nazionale svizzero chiede al visitatore di vestire i panni

del profugo e di mettersi in cammino per conoscere le tragedie che si nascondono dietro ai numeri

Luca Beti È una doccia gelata quella che ti sorprende all’entrata dell’esposizione. È una doccia fatta di scene di violenza, di urla, spari, sguardi vuoti rivolti verso l’ignoto, verso il mare simbolo di speranza. Le immagini scorrono su tre schermi in una sala in penombra. Sparsi sul pavimento nel disordine lasciato da un bombardamento, blocchi squadrati dove il visitatore può prendere posto. Sono sgabelli scomodi, quasi graffianti per scalfire la corazza di indifferenza che abbiamo indossato per proteggerci dalle troppe tragedie umane. I nostri radiogiornali e telegiornali ne sono pieni e così non ci turbano più per legge di assuefazione e finiscono risucchiate nel frenetico vorticare della nostra quotidianità. È con le emozioni forti che la mostra «Fuggire» al Museo nazionale svizzero a Zurigo vuole scuotere il visitatore. «L’obiettivo del mio film è di smuovere, ma anche di spiegare che i profughi non sono numeri, bensì persone come noi, come i nostri vicini, che ridono e piangono, che provano i nostri stessi sentimenti», illustra il produttore e regista curdo-siriano Mano Khalil, autore della videoinstallazione. «In questa mostra per una volta è possibile abbandonare il ritmo dei radiogiornali e dei telegiornali che in venti minuti ci raccontano il mondo», continua il regista del film documentario «L’apicoltore» con cui ha vinto il premio delle Giornate di Soletta nel 2013. L’esposizione «Fuggire» non racconta brandelli, bensì vite intere, anche se fittizie. Sono le biografie di cinque profughi, due donne e tre uomini, fuggiti dal Libano, dal Sudan del Sud, dalla Somalia, dalla Siria e dall’Afghanistan, narrate in maniera interattiva e didattica perché la mostra è pensata per le scuole. Sono le storie che si nascondono dietro ai numeri. Sono oltre 65 milioni i profughi al mondo, a cui ogni giorno se ne aggiungono circa 35mila (pari a quasi due volte la popolazione di Bellinzona). Più della metà sono minorenni. «Nascondiamo questi destini dietro ai numeri e alle statistiche. Creiamo così una certa distanza tra noi e loro.

I volti di Hayat, Mohammed, Aziz, Abdi e Malaika, l’esposizione invita a condividere le loro storie. (Keystone)

Una distanza che ci permette di sorseggiare tranquillamente il caffè alla mattina, mentre nei territori in guerra i bambini vengono sepolti dalle macerie», ha ricordato la consigliera federale Simonetta Sommaruga in occasione del vernissage della mostra. «Sono rare le occasioni in cui ci lasciamo prendere dalla tristezza. È successo quando abbiamo visto l’immagine di Aylan, bambino di tre anni sospinto dai flutti su una spiaggia turca. Oppure la fotografia di Lamar, bambina afghana di cinque anni ritratta mentre dormiva per terra, in una foresta in Serbia alle porte della frontiera ungherese chiusa». L’esposizione «Fuggire», frutto di un progetto comune della Commissione federale della migrazione, della Segreteria di Stato della migrazione, dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite e della Direzione dello sviluppo e della cooperazione, chiede al visitatore di indossare i panni del profugo e di mettersi in cammino. Lasciate le macerie della prima sala, si supera un corridoio umanitario costituito da pareti nere, d’inchiostro, graffiate dai disegni di bambini traumatizzati dalle esperienze vissute in guerra o durante la fuga. Ad attenderci

dall’altra parte, cinque volti: quelli di Hayat, Mohammed, Aziz, Abdi e Malaika. Accompagnando questi profughi durante la fuga, scopriamo passo dopo passo le loro vite. Noi seguiamo per un’ora le vicissitudini di Malaika, una ragazza di etnia Dinka fuggita dal Sudan del Sud, Paese dilaniato da una guerra civile dal 2013. L’adolescente lascia il suo villaggio per cercare rifugio in un campo profughi in Kenya. «Mentre raccolgo la legna per il fuoco di campo, vengo aggredita e stuprata. È stata la cosa più terribile che io abbia mai vissuto», si legge nel suo diario di viaggio. Consapevoli del fatto che verranno molto probabilmente violentate, le donne che possono permetterselo si fanno delle iniezioni di ormoni prima di mettersi in viaggio per evitare almeno una gravidanza indesiderata. Malaika si ritrova invece con un bimbo che gli cresce in grembo. Nel campo profughi di Kakuma, in Kenya, una città di tende che accoglie circa 185’000 persone, la giovane sud-sudanese impara a leggere, scrivere e far di conto e segue un corso di formazione per sarte. È il progetto pilota «Skills for life» di Swisscontact, finanziato dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione della Svizzera,

che intende dare una prospettiva e un reddito ai profughi per affrancarli dalla dipendenza dagli aiuti umanitari. Fintanto che non cesserà la guerra civile in Sudan del Sud, Malaika non potrà abbandonare il campo profughi di Kakuma; la sua sarà una vita sospesa senza possibilità di integrarsi nel Paese d’accoglienza o di ritornare in quello d’origine. I profughi trascorrono in media 17 anni in questa specie di limbo. Per altri, invece, il viaggio continua. Mohammed e Aziz raggiungono la Svizzera. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite conferisce a Mohammed, ingegnere siriano, lo statuto di rifugiato e viene inserito nel programma di reinsediamento. La domanda d’asilo di Aziz viene invece rifiutata. Il profugo afghano viene ammesso provvisoriamente e ottiene il permesso F. Siamo giunti nell’ultima stanza, in cui viene presentata in maniera dettagliata la procedura d’asilo della Confederazione. In un angolo un letto a castello, alla parete cinque armadietti di metallo contenenti alcuni oggetti personali, uno schermo trasmette le scene di un’audizione sui motivi di asilo da parte della Segreteria di Stato della migrazione (SEM).

«Con questa esposizione vogliamo informare in maniera oggettiva la popolazione su uno degli argomenti maggiormente dibattuti negli ultimi anni», indica Gieri Cavelty, membro della direzione e capo della comunicazione presso la SEM. «A scadenze regolari i cittadini devono esprimersi su oggetti in votazione riguardanti l’asilo oppure sono confrontati con l’apertura di un centro d’accoglienza. Per questo motivo è importante che la gente possa informarsi in maniera dettagliata su questo tema estremamente complesso e di stretta attualità». Che cosa significa essere in fuga? L’obiettivo dell’esposizione al Museo nazionale svizzero era di dare una risposta a questo interrogativo. C’è riuscita? Non poteva riuscirci. La mostra «Fuggire» suscita forti emozioni, soprattutto con la videoinstallazione di Mano Khalil, e ha il pregio di accompagnare il visitatore, in maniera didattica, lungo l’intero viaggio, permettendogli di comporre tassello dopo tassello un quadro completo di questo complesso tema. Non riesce però a farci entrare nei panni di un profugo. Chi non ha mai sofferto la fame, non ha visto la morte negli occhi, non ha vissuto i traumi della guerra, non può nemmeno lontanamente immaginare che cosa significhi essere un profugo. Inoltre, l’esposizione si dimentica di interrogare il pubblico su alcuni controversi temi dell’attuale politica d’asilo elvetica. Per esempio, sull’abolizione della possibilità di presentare una domanda d’asilo presso le ambasciate svizzere oppure sulla mancata istituzione di un corridoio umanitario per permettere ai migranti bloccati alla frontiera di Chiasso di raggiungere i propri familiari in Germania o nei Paesi del Nord. Anche questi temi avrebbero contribuito a formare l’opinione pubblica in Svizzera. Dove e quando

Fuggire, Museo nazionale svizzero, fino al 5 marzo. Dal 6 aprile al Museo della città di Aarau. Per le classi, dossier didattico scaricabile al sito www. flucht-fuir.ch. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Assicurazione invalidità: difficile cammino verso il risanamento Previdenza sociale Notevoli i miglioramenti ottenuti con i provvedimenti che però scadranno nel 2017.

Previsti un ritorno dell’assicurazione ai suoi scopi primari e la soluzione del problema dei giovani invalidi

Ignazio Bonoli Che l’assicurazione contro l’invalidità (AI) soffrisse di carenze strutturali lo si è visto da tempo, non fosse che per l’accumularsi di un debito di 15 miliardi di franchi. Nel 2014 sono però iniziate le operazioni di risanamento, tra le quali anche la separazione dei conti da quelli dell’AVS. Il cambiamento più importante è di fondo: il diritto a una rendita non è più prioritario rispetto al mantenimento dell’abilità al lavoro. Le conseguenze del cambiamento di fanno ora sentire: il numero di nuove rendite nel 2015 si è dimezzato rispetto al record toccato nel 2003. Nel frattempo sono migliorati anche i flussi finanziari verso l’AI: per creare il proprio fondo, l’AI ha ricevuto 5 miliardi dall’AVS. L’aumento temporaneo dell’IVA nel 2011 ha fatto entrare 1,1 miliardi all’anno nelle casse dell’AI, accanto al pagamento degli interessi sui debiti da parte della Confederazione. Questi provvedimenti scadranno però nel 2017. Che cosa succederà dopo? A partire dal 2014, come detto l’AI ha avviato tutta una serie di riforme: il ricorso sistematico all’AI è stato bloccato e le domande esaminate a fondo. Nel 2015 le nuove rendite erano solo la metà rispetto a quelle del 2003 e all’AI-

Nell’assicurazione invalidità oggi l’accento viene posto sul reinserimento professionale anziché sulle rendite. (Keystone)

sono arrivati i mezzi finanziari di cui si diceva. Ma questi mezzi supplementari termineranno nel 2017. Secondo le previsioni della Confederazione, a partire dal 2018 l’AI non dovrebbe più accumulare disavanzi. Il debito totale – che è ancora di 11 miliardi – dovrebbe estinguersi entro il 2030. Previsioni che sembrano piuttosto ottimistiche, poiché le entrate si basano in gran parte su un aumento della forza lavorativa e quindi anche su una forte

immigrazione. Sul fronte opposto, le spese dovrebbero invece rimanere costanti. Il previsto aumento dell’età di pensionamento delle donne sgraverà l’AVS, ma si ripercuoterà certamente sull’AI, così come lo sarà per una decisione favorevole dei tribunali per le rendite dei lavoratori a tempo parziale. Infine, sono già sul tavolo richieste di tipo politico che chiedono interventi più copiosi da parte dell’AI a favore della parte più debole della popolazione.

Nel frattempo il passaggio da quello che è stato definito «priorità della rendita» alla «priorità del lavoro» comincia a dare i suoi frutti. Il principio si applica nel senso di fornire un sostegno all’invalido (temporaneo), ma soprattutto di aiutarlo a ritrovare un posto di lavoro. In passato si è invece esagerato nell’utilizzare l’AI come sostituto dell’assicurazione contro la disoccupazione, come una specie di prepensionamento e perfino per evitare il sostegno sociale, generalmente a carico dei comuni. Secondo l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali questo fenomeno non avrebbe provocato il temuto trasferimento di invalidi verso l’aiuto sociale. Nel frattempo anche le cause della malattia da invalidità sono analizzate con maggior attenzione, benché nuove forme siano difficili da verificare. In qualche caso è stata perfino necessaria una sentenza del Tribunale federale. L’esperienza ha anche insegnato che per ogni allentamento del giudizio si trovano schiere di medici, terapisti, avvocati e associazioni pronte ad approfittarne. La riforma dell’AI non è però completa, nonostante i miglioramenti (non solo finanziari) ottenuti dopo il trend negativo del 2003. All’inizio del 2017, il Consiglio federale dovrebbe presentare un nuovo messaggio, che avrebbe come punto principale della riforma la

soluzione del problema dei giovani invalidi. Si constata infatti che il numero di nuovi beneficiari di rendite AI continua a rimanere alto: nella categoria fra i 18 e i 24 anni si contano circa 2000 giovani a carico dell’AI. Due terzi dei quali soffrono di problemi psichici. In questo ambito è certamente necessario intervenire con misure che impediscano, o almeno rallentino, questo afflusso di giovani nell’AI. Un deterrente importante potrebbe essere una riduzione dell’ammontare delle prestazioni finanziarie, dal momento che oggi le rendite AI sono talvolta superiori al salario che l’interessato potrebbe percepire lavorando. Se un giovane riesce a guadagnare di più come «invalido» che lavorando, vuol dire che qualcosa non funziona nel sistema svizzero di assicurazione contro l’invalidità. D’altro canto è molto probabile che l’interessato tenda a rimanere il più a lungo possibile a carico dell’AI, evitando così, proprio nell’età più adatta, a imparare o perfezionarsi in una professione. Il sistema di protezione sociale solo da poco cerca di trovare una soluzione a questo grosso problema. In fondo il suo compito è quello di venire in aiuto alle persone che, a causa di malattie o infortuni, non riescono da sole a risolvere il loro problema esistenziale, ma non deve sostituirsi a una normale vita lavorativa. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Perché il franco forte è una benedizione per la Svizzera La consulenza della Banca Migros Albert Steck La forza della crescita del nostro Paese viene regolarmente sottovalutata. Per questo mostriamo l’ottima tenuta della nostra economia nel raffronto internazionale e spieghiamo il ruolo del franco forte.

Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros

74’000 miliardi di dollari: questo è l’ammontare raggiunto dai beni e servizi prodotti nel nostro pianeta lo scorso anno. Il prodotto interno lordo mondiale è più che raddoppiato nell’arco di vent’anni. Vi ha senz’altro contribuito la crescita della popolazione mondiale, pari a 1,6 miliardi di persone. Ma un altro fattore è ancora più importante: le persone vivono molto meglio di prima. Sono soprattutto i paesi emergenti a beneficiare del maggiore benessere. La loro quota nel Pil mondiale è aumentata infatti dal 22 al 39 percento. D’altro canto il peso dei paesi industrializzati è retrocesso dal 78 al 61 percento. In termini relativi i paesi occidentali escono dunque chiaramente sconfitti dagli ultimi due decenni. Come ben evidenzia il grafico, esistono tuttavia grosse discrepanze tra i paesi industrializzati. È molto positivo l’andamento della Svizzera, che è riuscita a difendere la sua quota nel Pil mondiale. Ma com’è stato possibile questo successo? Il nostro paese è cresciuto costantemente, ma

Il grafico illustra la crescita nominale del Pil in diversi paesi rispetto al Pil mondiale. Esempio di lettura 1: la quota dei paesi emergenti è salita dal 22% al 39% dal 1997 a oggi, dunque il loro peso nel Pil mondiale rappresenta ora l’80% in più rispetto a vent’anni fa. (Dati: Fmi )

I vincitori e i vinti degli ultimi vent’anni Svizzera Germania Stati Uniti Paesi industrializzati Paesi emergenti

non ha vissuto un vero e proprio boom (in concreto il Pil è aumentato dai 420 miliardi di franchi del 1997 ai 650 miliardi dello scorso anno). La risposta è l’andamento del franco svizzero. Per confrontare la crescita dei diversi paesi, i dati del Pil devono essere misurati in un’unica valuta, solitamente il dollaro. Dal momento che il franco si è continuamente apprezzato in qualità di valuta più forte al mondo, anche la crescita della Svizzera è risultata superiore rispetto

Giappone Mondo

a quella di gran parte dei paesi industrializzati. Dal grafico emerge chiaramente il sempre maggiore vantaggio rispetto alla Germania: anche se il nostro vicino di casa settentrionale è tra i «virtuosi» europei in termini di crescita, la sua quota nel Pil mondiale diminuisce. Perché? Una sostanziale differenza rispetto alla Svizzera risiede nell’andamento della moneta: a differenza del franco, l’euro si è continuamente svalutato, quindi la

Germania, così come l’Eurozona nel suo insieme, ha fornito un contributo sempre inferiore del Pil mondiale. Nel nostro paese ci lamentiamo spesso del franco forte. Eppure è fondamentalmente una benedizione per l’economia. Infatti consente alla Svizzera di mantenere la sua posizione di punta nel raffronto internazionale. Attualità su www.blog.bancamigros.ch: Perché il franco forte è una benedizione per la Svizzera. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Effetti perversi Una trentina di anni fa si era diffusa, tra i politologi, l’abitudine di commentare gli effetti perversi di misure e programmi politici. Questi effetti sono quelli di cui non si tiene mai conto quando, negli organi esecutivo e legislativo, si decide sugli stessi. Purtroppo non è raro il caso che gli effetti perversi delle nuove politiche siano superiori a quelli positivi che si volevano raggiungere con le stesse. A me sembra che, da questo profilo, la liberalizzazione nel settore energetico sia un caso da manuale. Facciamo un passo indietro. Quando, nel 2007, il parlamento federale approvò la nuova legge sull’approvvigionamento elettrico, che prevedeva una liberalizzazione del mercato in due fasi, politici e commentatori dei fatti politici si affrettarono a mettere in evidenza i grandi benefici che avrebbe apportato: libertà di scegliere l’azienda e il tipo di energia, diminuzione dei prezzi per i consumatori. Nessuno si preoccupò allora di mettere in evidenza che la diminuzione dei prezzi sarebbe stata

la diretta conseguenza dell’aumento della concorrenza sul mercato e che, eventualmente, le aziende di produzione svizzere avrebbero avuto più difficoltà a contrastare la concorrenza delle aziende dei paesi confinanti, in particolare di quelle tedesche. Che qualcosa non girava lo si realizzò però subito dopo, durante la prima fase di applicazione delle nuove norme, quella tra il 2009 e il 2013. Furono le grosse perdite dell’Alpiq a far tirare il segnale di allarme a commentatori e a politici: una delle maggiori aziende private di produzione e distribuzione di energia del paese si trovò d’improvviso a dover far capo a perdite di esercizio dell’ordine delle centinaia di milioni di franchi. Si citarono allora molti fattori, in particolare in relazione con la politica dell’azienda che aveva cercato di affrontare la liberalizzazione acquistando altre aziende per aumentare la sua quota di mercato. La verità, venuta a galla un paio di anni dopo, era però che l’azienda in questione, con i prezzi venutisi a

determinare sul mercato dell’energia elettrica con la liberalizzazione, non era più concorrenziale. Qualcuno pensò dapprima che quello dell’Alpiq fosse un caso unico e che le aziende statali e parastatali di produzione dell’energia elettrica, invece, continuavano ad essere al riparo dalla concorrenza. Purtroppo non è così. Ce lo ha insegnato, nel corso degli ultimi due anni, il caso dell’Axpo, il gruppo energetico dei Cantoni della Svizzera nord-occidentale noto per il ruolo di pioniere che aveva svolto nella costruzione di grandi bacini idroelettrici e nella realizzazione delle prime centrali nucleari. Anche l’Axpo è nelle cifre rosse. Nell’ultimo esercizio ha perso qualcosa come 1,25 miliardi di franchi. Le altre aziende statali e parastatali non è che stiano molto meglio. Per più ragioni, che sarebbe troppo lungo dover elencare, l’energia elettrica prodotta in Svizzera è, per il mercato liberalizzato, troppo cara. Allora, cosa fare? Le aziende svizzere hanno sviluppato la

loro strategia di lotta contro la concorrenza nel corso degli ultimi cinque anni, gradino dopo gradino. Dapprima si è cercato di tagliare i costi. In seconda battuta si sono messe in vendita le parti di azienda meno redditizie, in particolare quelle legate agli investimenti che le aziende elettriche svizzere avevano effettuato all’estero per rafforzare la loro posizione. Poi si è arrivati alla terza fase, a proporre la vendita degli impianti idroelettrici situati in Svizzera. Purtroppo senza grande successo, perché questi impianti non hanno trovato compratori disposti ad investirvi. Oggi siamo alla quarta fase che prevede l’adozione di una strategia molto simile a quella che avevano adottato molte banche dopo la crisi del 2008. L’azienda viene suddivisa in due: le parti che rendono – come , per esempio, la produzione di energia da fonti rinnovabili – vengono accorpate in una nuova azienda che si pensa possa continuare a svilupparsi in modo positivo. Quelle che non rendono, invece,

restano nella vecchia azienda in attesa, probabilmente, di trovare investitori che siano interessati a rilevarle. Per il momento, tuttavia, questi investitori mancano. Ragione per cui non mancano i suggerimenti di commentatori e politici che vedrebbero volentieri che la produzione di energia idroelettrica fosse statalizzata, secondo la formula usuale del «privatizzare i benefici e statalizzare le perdite». Come alternativa si suggerisce che lo Stato sussidi la produzione di energia idroelettrica per renderla maggiormente concorrenziale. Vedremo! Per il Ticino la situazione è abbastanza chiara, in quanto la produzione di energia elettrica è già statalizzata. Fino a qualche fanno fa, la statalizzazione ha portato milioni nelle casse degli enti pubblici. In futuro, purtroppo, saranno invece i contribuenti che dovranno assicurare il pareggio dei conti dell’Azienda Elettrica Ticinese. Ah, se avessimo una Banca nazionale dell’energia alla quale rifilare le perdite!

remoto, dove si fa il bagno quando qui si gela, e tale deve restare; noi non c’entriamo. La cameriera del pub era polacca. Gli avventori la conoscevano e avevano simpatia per lei. Ma il retropensiero è che tutti questi camerieri polacchi, italiani, spagnoli, romeni, francesi tolgono lavoro ai ragazzi di Folkestone. Ancora poco tempo fa, gli Stati europei erano grandi in un mondo piccolo. Ora sono piccoli in un mondo grande. Nel pianeta globale contano solo gli Stati continentali: gli Usa, la Russia, la Cina, l’India, il Brasile. E l’Europa, se ci fosse. Ma se l’Europa fa stare peggio gli europei, non ha futuro. Se nel 2017 vincerà Marine Le Pen – non lo credo, ma ormai non ci si può più stupire di nulla – l’Europa sarà finita. Se vincerà François Fillon, come probabile, allora si andrà avanti così: maluccio. L’Europa non è una confederazione; è una sovrastruttura. Me ne sono accorto quando Elisa Di Francisca ha fatto sventolare la prima bandiera europea alle Olimpiadi: il fastidio delle autorità sportive; l’esultanza degli Schulz e dei Verhofstadt. Come se

l’Europa non fosse il futuro, l’organizzazione che i popoli europei si sono dati per difendere i propri valori e i propri interessi, ma una setta di burocrati e politici che mangiano ostriche a Bruxelles e foie-gras a Strasburgo. Diffidate di quelli che ora dicono: io l’avevo detto. Neppure Trump e il suo staff pensavano di vincere. I repubblicani lo consideravano un impiastro; invece la sua candidatura ha allargato la base del partito e ha eroso quella democratica negli Stati postindustriali del Nord e del Mid West. Non c’era un sondaggio, tranne quello del «Los Angeles Times», che lo desse vincitore. Non c’era un sondaggio che desse anche solo in bilico il Wisconsin, dove Trump ha prevalso. Il No del referendum italiano è tutta un’altra storia. La vittoria del No era ampiamente prevedibile e prevista. Non c’era un sondaggio che non desse il No in vantaggio, sia pure non 60 a 40. Contro Renzi c’erano tutti i partiti, compreso metà del suo, e tutta la classe politica, con poche eccezioni. Ma non hanno vinto loro; hanno vinto il disagio, la protesta.

Il mondo globale ha fallito. E ora si tenta di chiudere le frontiere e alzare muri, come quello al confine con il Messico. Forse è troppo tardi. I manager continuano a ricevere buonuscite con cui si potrebbero pagare per anni i salari di tutti i loro dipendenti. La rivoluzione digitale continua a bruciare posti di lavoro, mentre i nuovi padroni delle anime sono venerati dal culto popolare, anche se pagano malvolentieri le tasse. Non ci sono colpevoli, ma solo capri espiatori. La protesta ha vinto e prima o poi andrà al governo. Ma cosa farà? Il reddito di cittadinanza, mille euro a tutti in cambio di nulla? E chi li paga? I migranti a casa: e chi ce li riporta? Né si può chiudere il bilancio senza ricordare il terrorismo. Il 2016 è stato aperto e chiuso da due attacchi al Paese più solido d’Europa, la Germania: a Capodanno contro le donne di Colonia; a Natale contro il mercatino di Berlino. In mezzo, l’attacco al rito laico del 14 luglio francese. Tenere i nervi saldi non basta; ma è la prima cosa da fare nel 2017.

promettenti nel campo del turismo e della formazione universitaria. Anche la piazza finanziaria, colpita al cuore, ha saputo rialzarsi e riprendersi parte delle postazioni perdute. Non solo banche e grotti, c’è dell’altro, c’è di più. Ma quanto è pertinente la categoria di «laboratorio» per il caso ticinese? Qui è bene interrogarsi perché questa definizione implica un programma di ricerca in qualche modo coerente, basato su ipotesi, sperimentazioni e verifiche: un percorso non rintracciabile nel Ticino leghista degli ultimi due decenni. Anzi, l’impressione è semmai quella di una cacofonia generale, espressione di un’orchestra mal assortita, priva di direttore, solisti e persino di uno spartito. L’ultima «esibizione» dei musici granconsigliari, alla vigilia di Natale, ha risvegliato la platea soprattutto per le ripetute stecche e le persistenti distrazioni. Nei partiti si litiga senza sosta, con gravi conseguenze sulla «leadership», che

difatti muta continuamente: nominato un presidente già si pensa al prossimo, in una spirale senza fine. A Berna un tempo si inviavano «rivendicazioni»; oggi si mandano «segnali». Il fatto è che le prime erano doglianze documentate, i secondi messaggi estemporanei, a volte contraddittori, frutto di sbalzi d’umore e accessi d’ira. Potesse il Ticino diventare un vero laboratorio di cui andar fieri per l’originalità delle analisi e l’audacia delle proposte... Oggi è solo una cittadella assediata, intimorita, ingrugnita, ripiegata sul proprio ombelico. L’augurio che formuliamo per il 2017 è che la politica riesca ad interrompere questa corsa verso l’auto-avvitamento, che cessi di inseguire le emozioni del momento per elaborare un progetto credibile, solido e documentato. Qualche tentativo in tal senso è stato fatto, raccogliendo stima e consensi anche negli austeri, e severi, uffici bernesi.

In&outlet di Aldo Cazzullo L’anno della grande rivolta Ci sono anni che scivolano leggeri come piume, e altri che pesano come macigni. Il 2016 è uno di questi. Temo che sarà ricordato come uno degli anni più importanti della nostra vita. Gravido di conseguenze che non riusciamo ancora a immaginare. L’anno della grande rivolta. Da tempo scrivo che il segno della nostra epoca è la ribellione contro l’establishment, le élites, le forme tradizionali di rappresentanza e di comunicazione, i sindacati, i partiti, i media. Non si poteva pensare che questo spirito del tempo che attraversa il pianeta, che produce fenomeni diversi come Grillo e Trump, Marine Le Pen e Salvini, Alternative für Deutschland e Podemos, non portasse capovolgimenti clamorosi nelle urne. Eppure Brexit e Trump hanno comunque colto tutti di sorpresa. Sono stato a Londra dieci giorni prima del referendum. Tutte le macchine avevano gli adesivi del Leave: uscire dall’Unione europea. Non c’era un tassista che votasse per il Remain. La rete era al 95% contro l’Europa (anche se la

maggioranza dei giovani ha poi votato a favore); ma la rete è sempre contro per definizione, sono sempre tutti ladri, tutti uguali: tutti colpevoli, nessun colpevole. Nel Kent, dove vive il grande vincitore del referendum, Nigel Farage – che si è poi dimesso dalla guida del suo partito: missione compiuta –, l’onda isolazionista era ancora più forte. L’appuntamento era al pub di Folkestone, punto d’arrivo del Canale sotto la Manica e quindi dei treni dal continente. Un luogo simbolico: la porta dell’Inghilterra, a dieci chilometri dalle scogliere di Dover che da secoli la proteggono dagli invasori. Al pub, tra una partita di calcio e una di rugby, davano il telegiornale. C’erano le immagini degli sbarchi di Lampedusa. Gli avventori si guardavano l’un l’altro sgomenti, come se i barconi stessero per attraccare nel bel porticciolo turistico del paese. Anche prima di Brexit Londra era fuori da Schengen, nessuno di quei migranti stremati sarebbe mai arrivato in Inghilterra. Eppure la reazione degli inglesi era chiarissima: questa è roba vostra; Lampedusa per noi è un posto

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Ticino: laboratorio di idee o fortino sotto assedio? L’immagine è quella di un rivellino medievale: un cuneo murato conficcato in Lombardia. Attraverso alcune porte sorvegliate transitano le auto dei meteci pendolari che al far della sera lasciano il perimetro fortificato. All’interno, in spazi angusti e sovraffollati, una piccola comunità lotta per la sua sopravvivenza. Due banchieri confabulano all’ombra della sede luganese della Banca della Svizzera italiana, mentre leghisti muniti di megafono sobillano la folla. Così il mensile «Bilanz» ha raffigurato il Ticino nel numero di dicembre, sotto il titolo Il laboratorio di destra dalla Svizzera. Il servizio, pezzo forte dell’edizione, si prefigge di mettere in luce il ruolo originale che il cantone ha assunto negli ultimi anni, il suo essere precorritoreanticipatore di un modello che presto potrebbe estendersi a tutta la Confederazione. Quale modello? Beh, il disegno non lascia dubbi: quello imperniato sulla difesa ad oltranza dei confini domestici

contro chi si accalca ai valichi, ossia frontalieri, profughi, migranti economici, emissari di Bruxelles, apostoli della libera circolazione, donne velate. «Il Ticino – scrive l’autrice del servizio Florence Vuichard – è un buon sismografo di possibili sviluppi, un laboratorio in cui i cambiamenti si manifestano prima che altrove; siamo quindi in presenza di un affidabile sistema di pre-allarme di cui il resto della Svizzera dovrebbe tener conto». Insomma, un’officina del populismo avanti lettera; un populismo, beninteso, «alla ticinese», in cui chi governa sta un po’ all’opposizione e chi contesta rimane aggrappato al carro delle élites dirigenti. Un doppio binario condiviso anche dalle famiglie altolocate e dalle cerchie intellettuali, tutte dedite – al di là degli screzi contingenti – alla collaudata pratica del nepotismo. D’altronde, spiega l’autrice, i trambusti politici di cui pullula la storia ticinese sono sempre nati come faide tra clan familiari, come rivalse per un

appalto rifiutato, una spartizione negata, una cooptazione respinta. Il Ticino dunque come «laboratorio della destra», destinato a far scuola oltre la catena alpina? Difficile fare previsioni in questo campo, perché i fattori imponderabili sono numerosi. Nessuno è in grado di sapere come evolverà l’Unione europea dopo le elezioni francesi, tedesche e probabilmente italiane in agenda quest’anno; nessuno sa predire come si comporterà la valuta comune. Ma soprattutto nessuno osa avanzare previsioni sull’efficienza della macchina economica, fondamentale per l’Europa ma soprattutto per il Ticino, alle prese con una pressione sul mercato del lavoro mai vista negli ultimi due secoli. Il servizio di «Bilanz» non è però una requisitoria contro la «Tessiner Familie» fatta di cordate, connessioni, agganci ed entrature varie. C’è anche un Ticino che ha saputo scrollarsi di dosso i retaggi più ingombranti e varare iniziative


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Cultura e Spettacoli L’inverno secondo Adam Gopnik Nel nuovo libro dello scrittore statunitense Gopnik storie che ruotano intorno alla neve e al ghiaccio pagina 26

Raclette musicale Il gruppo Iacampo inaugura il 12 gennaio la rassegna allo Studio Foce

In equilibrio tra fede e letteratura La scrittrice statunitense Flannery O’Connor, di cui Bompiani ha appena pubblicato Diario di preghiera, viveva la realtà come una continua fonte di stupore pagina 28

Il visionario della natura Mostre Mendrisio dedica una retrospettiva all’artista danese Per Kirkeby

Alessia Brughera È davvero sorprendente la poliedrica attività di Per Kirkeby, nato a Copenhagen nel 1938 e tra le figure più interessanti del panorama culturale scandinavo. A ripercorrere il suo cammino professionale si rimane difatti sbalorditi dalla molteplicità degli ambiti a cui si è dedicato con ingegno e competenza, spaziando tra scienza e arte alla ricerca di un sentire condiviso che potesse condensare realtà ed emozione. Kirkeby è geologo, è pittore, scultore, grafico e architetto, è poeta, scrittore e saggista, e, ancora, è regista e scenografo. Grande amante della natura, si laurea nel 1964 in geologia artica e intraprende una lunga serie di avventurose spedizioni in giro per il mondo, eleggendo a luogo prediletto delle sue esplorazioni la Groenlandia, terra meravigliosa dove «il mare penetra dappertutto e i fiordi tagliano il paesaggio». Kirkeby è autore di opere letterarie in versi e in prosa, una produzione che prende avvio negli anni Sessanta con la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie e del suo primo romanzo, e che prosegue poi costante anche con numerosi saggi monografici su grandi artisti del passato quali Delacroix, Friedrich, Turner, Monet e Cézanne, solo per citarne alcuni. A partire dagli anni Settanta realizza film, documentari e lungometraggi collaborando con registi del calibro di Lars von Trier, con cui lavora all’esecuzione dei titoli nei singoli capitoli della celebre pellicola del 1996 Breaking the Waves (Le onde del destino) e alla sequenza iniziale di Dancer in the Dark, e dagli anni Novanta crea scenografie e costumi per il teatro. Tra tutte queste attività è però quella di pittore ad avere la meglio, diventando con il tempo «il mestiere» di cui Kirkeby decide di occuparsi con maggiore dedizione, nonché il campo in cui far confluire le riflessioni scaturite dalle sue esperienze. Una mostra al Museo d’Arte di Mendrisio ci racconta proprio il Kirkeby autore di dipinti, in cui non si stenta a riconoscere l’importante ascendente della sua formazione in geologia, «scienza delle forze dietro le forme»,

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Vent’anni, la retrospettiva Mostre Anniversario per il Migros Museum

di Zurigo

Gianluigi Bellei Il Migros Museum di Zurigo compie vent’anni. Per l’occasione si è scelto di allestire un’esposizione riassuntiva della collezione dal 1957 a oggi con alcune iniziative collaterali fra le quali la realizzazione di un volume di prossima pubblicazione – scritto in collaborazione con l’Istitut d’histoire de l’art de l’Université di Berna e l’Haute École de graphisme et d’art du livre di Leipzig – il quale tenta di fare il punto sulle funzioni di un museo d’arte contemporaneo attraverso vari punti di vista e diverse prospettive. Sul concetto espositivo del museo della Migros abbiamo già scritto in alcune occasioni (vedi «Azione» del 12 novembre 2012 e 18 marzo 2013) tracciandone il profilo che si inserisce, per quel che riguarda gli ultimi anni, all’interno della cosiddetta arte relazionale propugnata nel 1998 da Nicolas Bourriaud, futuro direttore di Palais de Tokyo a Parigi, il quale nel suo libro Esthétique relationnelle sostiene che l’arte consiste nel produrre «rapporti» tra artista, curatore e pubblico in un dialogo e uno scambio fra l’opera e chi gli sta di fronte con un’interazione partecipe e costruttiva. Le mostre presentate nel museo sono circa otto all’anno e le acquisizioni di opere seguono le esposizioni stesse. Gli artisti sono quasi tutti di caratura internazionale. Ne citiamo alcuni: Ugo Rondinone con Dog Days Are Over nel 1996; Rirkrit Tiravanija con Das soziale Kapital nel 1998; Anglela Bulloch con Superstructure del 1998; Maurizio Cattelan con La rivoluzione siamo noi nel 2000; Yoko Ono con Horizontal Memories nel 2005; Tadeusz Kantor nel 2008; Tatiana Trouvé con A Stay Between Enclosure and Space nel 2009/2010; Ragnar Kjartansson con The Visitors nel 2012/2013. La collezione è iniziata verso il 1950 per iniziativa di Gottlieb

Duttweiler (1888-1962), fondatore della Migros, il quale nel 1957 ha fissato una cifra d’affari da dedicare a progetti sociali e culturali. Nel 1976 Arina Kowner è stata incaricata di creare la Direction des affaires sociales et culturelles della Federazione delle cooperative Migros. Nel 1977 si è avvalsa della collaborazione dell’artista Urs Rausmüller che è stato incaricato di acquisire opere d’arte. L’anno successivo Rausmüller ha fondato a Zurigo uno spazio per l’arte contemporanea chiamato InK – Halle für internationale neue Kust – aperto fino al 1981. Vi hanno esposto, tra gli altri, Georg Baselitz, Marcel Broodhaers, Martin Disler, Donald Judd, Jannis Kounellis. Nel 1996 viene fondato il Migros Museum für Gegenwartskunst per iniziativa dell’allora direttrice degli Affari sociali e culturali la quale incarica della programmazione Rein Wolfs. Nel 2004 la nuova direttrice Affari sociali e culturali Hedy Graber, con Heike Munder direttrice del Museo, ha aperto una nuova era. Nel 2012 viene inaugurato lo spazio attuale del LöwenbräukunstAreal. Il museo dispone di due livelli e consta di 1300 metri quadrati. Comprende 1300 opere di 700 artisti dei quali il 37% è nato dopo il 1964 e il 52% prima. Il pubblico è composto dal 46% di visitatori zurighesi, dal 24% svizzeri e dal 30% proveniente da altri paesi. I visitatori complessivi per anno variano tra i 23’954 nel 2005 e il 28’092 nel 2013. Le mostre maggiormente frequentate sono state It’s Time For Action (There’s No Option). About Feminism del 2006 con 9079 entrate e Ragnar Kjartansson e Collection on Display nel 2012 con 15’625 visitatori. Dal 1987 al 2001 il museo si è fatto promotore della realizzazione di borse della spesa in carta disegnate da artisti svizzeri. Distribuite in 500’000 esemplari portano la firma, per esempio, di Rolf Iseli, Daniel Spoerri o Sylvie

Per Kirkeby, Senza titolo, 2010. (Courtesy Galerie Michael Werner, Märkisch Wilmersdorf)

che ne scandisce la struttura compositiva e ne detta motivi e tavolozza cromatica. La rassegna si concentra sul periodo che va dal 1983 al 2012, quello che viene considerato il momento della maturità e che vede il linguaggio di Kirkeby raggiungere esiti peculiari nell’orientarsi verso una pittura che si alimenta delle meditazioni sull’arte del passato e dello stretto legame con l’elemento naturale. Una pittura uscita ancor più consapevole e salda dalle sperimentazioni degli anni Sessanta e Settanta che hanno visto l’artista danese accostarsi alle tendenze avanguardistiche del Minimalismo, dell’Arte Concettuale, della Pop Art e del movimento Fluxus, per le quali il mezzo pittorico era ormai estremamente antiquato. L’esposizione di Mendrisio parte dunque dai dipinti realizzati nei primi anni Ottanta, in cui emerge con forza

un profondo sentimento per il paesaggio. Interessante è l’accostamento di queste opere di grande formato, sulle cui superfici il colore viene steso a strati sovrapposti, con alcune coeve sculture in bronzo di Kirkeby che testimoniano come l’arte plastica abbia contribuito allo sviluppo di una pittura basata sulla visione compatta della natura e sulla delicata modulazione della luce. Ben lontane dai più lineari e architettonici lavori in mattoncini rossi che l’artista crea fin dal 1966, queste sculture dalla materia corrugata e dai contorni indefiniti (memori della libertà formale di Auguste Rodin) rimarcano il rapporto fra volume e luminosità, svelando a Kirkeby la possibilità di riportare sulla tela i medesimi risalti chiaroscurali. Di un cromatismo più contrastato sono gli esiti pittorici degli anni Novanta, dove il pigmento è deposto a grandi macchie e percorso da un in-

treccio caotico di segni che evocano gli elementi del mondo organico analizzati dall’artista durante le sue esplorazioni geologiche. Via via i dipinti si fanno più ordinati, acquistando un vigoroso senso della struttura e arricchendosi di componenti ornamentali che Kirkeby desume dai suoi numerosi viaggi e dalla sua passione per l’arte bizantina. Ne è un esempio Ritorno dall’Egitto I, del 2000, un olio in cui le forme sgretolate dei lavori precedenti si ricompongono in una trama più fluida e ritmata. Il confronto con la storia dell’arte si fa evidente nei dipinti degli ultimi anni, tele dove Kirkeby ama inserire in paesaggi dalle tinte sempre più livide figure e oggetti desunti dalle opere degli artisti del passato a cui si sente più affine, in una mescolanza di motivi naturali e frammenti di memoria che perdono il contatto con il reale per rivestirsi di un valore simbolico. Ci aiuta a comprendere meglio

la produzione pittorica di Kirkeby e il suo intenso rapporto con la natura un’ampia selezione di acquarelli realizzati dall’artista nei suoi soggiorni in Groenlandia: eseguiti di getto durante le escursioni, negli accampamenti o in mezzo al mare a bordo di una nave, queste preziose carte, essenziali e quasi eteree, sono frutto del piacere immediato dell’osservazione di quelle terre nordiche a cui Kirkeby si sente intimamente legato e a cui vuole avvicinarsi attraverso la sua arte per coglierne la grandiosa e struggente bellezza. Dove e quando

Per Kirkeby. I luoghi dell’anima del grande maestro scandinavo, Museo d’Arte Mendrisio. Fino al 29 gennaio 2017. Orari: da ma a ve 10.0012.00/14.00-17.00; sa, do e festivi 10.00-18.00; lu chiuso. www.mendrisio.ch/museo Annuncio pubblicitario

L’allestimento presentato al Migros Museum für Gegenwartskunst è di tipo ottocentesco.

Fleury. Dal 2007 sono state distribuite soltanto nella zona di Zurigo in 70’000 esemplari. Fra gli artisti incaricati troviamo Pipilotti Rist e Peter Regli. L’attuale mostra si apre con un piccolo bar, che serve per offrire ai visitatori il caffè o il tè gratuitamente, e l’installazione minimale di Olaf Nicolai Landschaft, metaphysisch und konkret (nach Max Bill) del 1998 che presenta una serie di grandi parallelepipedi di diverso colore sui quali ci si può sedere, parlare o leggere uno dei libri sparsi (molti dei quali cataloghi delle precedenti esposizioni, come i manifesti appesi alle pareti circostanti). Nell’altra sala vengono esposte alcune delle opere della collezione del Museo. Solo alcune, ovviamente, per ragioni di spazio. Per lo stesso motivo l’allestimento è di tipo ottocentesco: come in una vecchia quadreria, con le opere una sopra all’altra, sino al soffitto. Sono disposte in ordine crono-

logico e, così tutte assieme, fanno un certo effetto straniante. Si parte con lavori di artisti svizzeri acquisiti fra il 1957 e il 1975 con personalità quali Ignaz Epper, Giovanni Giacometti, Ferdinand Hodler, Hermann Scherer e Marianne Werefkin. Segue, più o meno, il periodo di Rausmüller fra il 1976 e il 1985 con lavori appunto di Georg Baselitz, Martin Disler, Donald Judd e Yannis Kounellis. Diverso ovviamente il decennio successivo con Alighiero Boetti, Marlene Dumas, Martin Kippenberger e Fischli/Weiss. L’ultimo decennio vede la presenza di John Armleder, Maurizio Cattelan, Douglas Gordon, Pamela Rosenkranz e Rirkrit Tiravanija. La mostra, e il relativo futuro catalogo, pongono interrogativi sul concetto di museo contemporaneo attraverso temi quali «la produzione di nuove opere, la documentazione tecnica e conservativa, il restauro,

l’immagazzinamento, il trasporto, il montaggio e lo smontaggio di una mostra, le assicurazioni e le questioni giuridiche relative alle opere d’arte contemporanee». Tantissima carne al fuoco! Dato che l’operazione è in corso risulta difficile darne un giudizio. Un appunto però viene spontaneo: constatato che l’ultimo periodo espositivo del museo ha una vocazione e una predilezione per l’arte partecipativa non sarebbe più coerente offrire al visitatore l’entrata gratuita invece che a pagamento? Come nella vecchia InK di Urs Rausmüller. Dove e quando

20 – An Exhibition in Three Acts, Migros Museum für Gegenwartskunst, Zurigo. A cura di Heike Munder, Raphael Gygax, Nadia Schneider Willen. Fino al 5 febbraio. www.migrosmuseum.ch

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Raclette musicale Il gruppo Iacampo inaugura il 12 gennaio la rassegna allo Studio Foce

In equilibrio tra fede e letteratura La scrittrice statunitense Flannery O’Connor, di cui Bompiani ha appena pubblicato Diario di preghiera, viveva la realtà come una continua fonte di stupore pagina 28

Il visionario della natura Mostre Mendrisio dedica una retrospettiva all’artista danese Per Kirkeby

Alessia Brughera È davvero sorprendente la poliedrica attività di Per Kirkeby, nato a Copenhagen nel 1938 e tra le figure più interessanti del panorama culturale scandinavo. A ripercorrere il suo cammino professionale si rimane difatti sbalorditi dalla molteplicità degli ambiti a cui si è dedicato con ingegno e competenza, spaziando tra scienza e arte alla ricerca di un sentire condiviso che potesse condensare realtà ed emozione. Kirkeby è geologo, è pittore, scultore, grafico e architetto, è poeta, scrittore e saggista, e, ancora, è regista e scenografo. Grande amante della natura, si laurea nel 1964 in geologia artica e intraprende una lunga serie di avventurose spedizioni in giro per il mondo, eleggendo a luogo prediletto delle sue esplorazioni la Groenlandia, terra meravigliosa dove «il mare penetra dappertutto e i fiordi tagliano il paesaggio». Kirkeby è autore di opere letterarie in versi e in prosa, una produzione che prende avvio negli anni Sessanta con la pubblicazione della sua prima raccolta di poesie e del suo primo romanzo, e che prosegue poi costante anche con numerosi saggi monografici su grandi artisti del passato quali Delacroix, Friedrich, Turner, Monet e Cézanne, solo per citarne alcuni. A partire dagli anni Settanta realizza film, documentari e lungometraggi collaborando con registi del calibro di Lars von Trier, con cui lavora all’esecuzione dei titoli nei singoli capitoli della celebre pellicola del 1996 Breaking the Waves (Le onde del destino) e alla sequenza iniziale di Dancer in the Dark, e dagli anni Novanta crea scenografie e costumi per il teatro. Tra tutte queste attività è però quella di pittore ad avere la meglio, diventando con il tempo «il mestiere» di cui Kirkeby decide di occuparsi con maggiore dedizione, nonché il campo in cui far confluire le riflessioni scaturite dalle sue esperienze. Una mostra al Museo d’Arte di Mendrisio ci racconta proprio il Kirkeby autore di dipinti, in cui non si stenta a riconoscere l’importante ascendente della sua formazione in geologia, «scienza delle forze dietro le forme»,

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Vent’anni, la retrospettiva Mostre Anniversario per il Migros Museum

di Zurigo

Gianluigi Bellei Il Migros Museum di Zurigo compie vent’anni. Per l’occasione si è scelto di allestire un’esposizione riassuntiva della collezione dal 1957 a oggi con alcune iniziative collaterali fra le quali la realizzazione di un volume di prossima pubblicazione – scritto in collaborazione con l’Istitut d’histoire de l’art de l’Université di Berna e l’Haute École de graphisme et d’art du livre di Leipzig – il quale tenta di fare il punto sulle funzioni di un museo d’arte contemporaneo attraverso vari punti di vista e diverse prospettive. Sul concetto espositivo del museo della Migros abbiamo già scritto in alcune occasioni (vedi «Azione» del 12 novembre 2012 e 18 marzo 2013) tracciandone il profilo che si inserisce, per quel che riguarda gli ultimi anni, all’interno della cosiddetta arte relazionale propugnata nel 1998 da Nicolas Bourriaud, futuro direttore di Palais de Tokyo a Parigi, il quale nel suo libro Esthétique relationnelle sostiene che l’arte consiste nel produrre «rapporti» tra artista, curatore e pubblico in un dialogo e uno scambio fra l’opera e chi gli sta di fronte con un’interazione partecipe e costruttiva. Le mostre presentate nel museo sono circa otto all’anno e le acquisizioni di opere seguono le esposizioni stesse. Gli artisti sono quasi tutti di caratura internazionale. Ne citiamo alcuni: Ugo Rondinone con Dog Days Are Over nel 1996; Rirkrit Tiravanija con Das soziale Kapital nel 1998; Anglela Bulloch con Superstructure del 1998; Maurizio Cattelan con La rivoluzione siamo noi nel 2000; Yoko Ono con Horizontal Memories nel 2005; Tadeusz Kantor nel 2008; Tatiana Trouvé con A Stay Between Enclosure and Space nel 2009/2010; Ragnar Kjartansson con The Visitors nel 2012/2013. La collezione è iniziata verso il 1950 per iniziativa di Gottlieb

Duttweiler (1888-1962), fondatore della Migros, il quale nel 1957 ha fissato una cifra d’affari da dedicare a progetti sociali e culturali. Nel 1976 Arina Kowner è stata incaricata di creare la Direction des affaires sociales et culturelles della Federazione delle cooperative Migros. Nel 1977 si è avvalsa della collaborazione dell’artista Urs Rausmüller che è stato incaricato di acquisire opere d’arte. L’anno successivo Rausmüller ha fondato a Zurigo uno spazio per l’arte contemporanea chiamato InK – Halle für internationale neue Kust – aperto fino al 1981. Vi hanno esposto, tra gli altri, Georg Baselitz, Marcel Broodhaers, Martin Disler, Donald Judd, Jannis Kounellis. Nel 1996 viene fondato il Migros Museum für Gegenwartskunst per iniziativa dell’allora direttrice degli Affari sociali e culturali la quale incarica della programmazione Rein Wolfs. Nel 2004 la nuova direttrice Affari sociali e culturali Hedy Graber, con Heike Munder direttrice del Museo, ha aperto una nuova era. Nel 2012 viene inaugurato lo spazio attuale del LöwenbräukunstAreal. Il museo dispone di due livelli e consta di 1300 metri quadrati. Comprende 1300 opere di 700 artisti dei quali il 37% è nato dopo il 1964 e il 52% prima. Il pubblico è composto dal 46% di visitatori zurighesi, dal 24% svizzeri e dal 30% proveniente da altri paesi. I visitatori complessivi per anno variano tra i 23’954 nel 2005 e il 28’092 nel 2013. Le mostre maggiormente frequentate sono state It’s Time For Action (There’s No Option). About Feminism del 2006 con 9079 entrate e Ragnar Kjartansson e Collection on Display nel 2012 con 15’625 visitatori. Dal 1987 al 2001 il museo si è fatto promotore della realizzazione di borse della spesa in carta disegnate da artisti svizzeri. Distribuite in 500’000 esemplari portano la firma, per esempio, di Rolf Iseli, Daniel Spoerri o Sylvie

Per Kirkeby, Senza titolo, 2010. (Courtesy Galerie Michael Werner, Märkisch Wilmersdorf)

che ne scandisce la struttura compositiva e ne detta motivi e tavolozza cromatica. La rassegna si concentra sul periodo che va dal 1983 al 2012, quello che viene considerato il momento della maturità e che vede il linguaggio di Kirkeby raggiungere esiti peculiari nell’orientarsi verso una pittura che si alimenta delle meditazioni sull’arte del passato e dello stretto legame con l’elemento naturale. Una pittura uscita ancor più consapevole e salda dalle sperimentazioni degli anni Sessanta e Settanta che hanno visto l’artista danese accostarsi alle tendenze avanguardistiche del Minimalismo, dell’Arte Concettuale, della Pop Art e del movimento Fluxus, per le quali il mezzo pittorico era ormai estremamente antiquato. L’esposizione di Mendrisio parte dunque dai dipinti realizzati nei primi anni Ottanta, in cui emerge con forza

un profondo sentimento per il paesaggio. Interessante è l’accostamento di queste opere di grande formato, sulle cui superfici il colore viene steso a strati sovrapposti, con alcune coeve sculture in bronzo di Kirkeby che testimoniano come l’arte plastica abbia contribuito allo sviluppo di una pittura basata sulla visione compatta della natura e sulla delicata modulazione della luce. Ben lontane dai più lineari e architettonici lavori in mattoncini rossi che l’artista crea fin dal 1966, queste sculture dalla materia corrugata e dai contorni indefiniti (memori della libertà formale di Auguste Rodin) rimarcano il rapporto fra volume e luminosità, svelando a Kirkeby la possibilità di riportare sulla tela i medesimi risalti chiaroscurali. Di un cromatismo più contrastato sono gli esiti pittorici degli anni Novanta, dove il pigmento è deposto a grandi macchie e percorso da un in-

treccio caotico di segni che evocano gli elementi del mondo organico analizzati dall’artista durante le sue esplorazioni geologiche. Via via i dipinti si fanno più ordinati, acquistando un vigoroso senso della struttura e arricchendosi di componenti ornamentali che Kirkeby desume dai suoi numerosi viaggi e dalla sua passione per l’arte bizantina. Ne è un esempio Ritorno dall’Egitto I, del 2000, un olio in cui le forme sgretolate dei lavori precedenti si ricompongono in una trama più fluida e ritmata. Il confronto con la storia dell’arte si fa evidente nei dipinti degli ultimi anni, tele dove Kirkeby ama inserire in paesaggi dalle tinte sempre più livide figure e oggetti desunti dalle opere degli artisti del passato a cui si sente più affine, in una mescolanza di motivi naturali e frammenti di memoria che perdono il contatto con il reale per rivestirsi di un valore simbolico. Ci aiuta a comprendere meglio

la produzione pittorica di Kirkeby e il suo intenso rapporto con la natura un’ampia selezione di acquarelli realizzati dall’artista nei suoi soggiorni in Groenlandia: eseguiti di getto durante le escursioni, negli accampamenti o in mezzo al mare a bordo di una nave, queste preziose carte, essenziali e quasi eteree, sono frutto del piacere immediato dell’osservazione di quelle terre nordiche a cui Kirkeby si sente intimamente legato e a cui vuole avvicinarsi attraverso la sua arte per coglierne la grandiosa e struggente bellezza. Dove e quando

Per Kirkeby. I luoghi dell’anima del grande maestro scandinavo, Museo d’Arte Mendrisio. Fino al 29 gennaio 2017. Orari: da ma a ve 10.0012.00/14.00-17.00; sa, do e festivi 10.00-18.00; lu chiuso. www.mendrisio.ch/museo Annuncio pubblicitario

L’allestimento presentato al Migros Museum für Gegenwartskunst è di tipo ottocentesco.

Fleury. Dal 2007 sono state distribuite soltanto nella zona di Zurigo in 70’000 esemplari. Fra gli artisti incaricati troviamo Pipilotti Rist e Peter Regli. L’attuale mostra si apre con un piccolo bar, che serve per offrire ai visitatori il caffè o il tè gratuitamente, e l’installazione minimale di Olaf Nicolai Landschaft, metaphysisch und konkret (nach Max Bill) del 1998 che presenta una serie di grandi parallelepipedi di diverso colore sui quali ci si può sedere, parlare o leggere uno dei libri sparsi (molti dei quali cataloghi delle precedenti esposizioni, come i manifesti appesi alle pareti circostanti). Nell’altra sala vengono esposte alcune delle opere della collezione del Museo. Solo alcune, ovviamente, per ragioni di spazio. Per lo stesso motivo l’allestimento è di tipo ottocentesco: come in una vecchia quadreria, con le opere una sopra all’altra, sino al soffitto. Sono disposte in ordine crono-

logico e, così tutte assieme, fanno un certo effetto straniante. Si parte con lavori di artisti svizzeri acquisiti fra il 1957 e il 1975 con personalità quali Ignaz Epper, Giovanni Giacometti, Ferdinand Hodler, Hermann Scherer e Marianne Werefkin. Segue, più o meno, il periodo di Rausmüller fra il 1976 e il 1985 con lavori appunto di Georg Baselitz, Martin Disler, Donald Judd e Yannis Kounellis. Diverso ovviamente il decennio successivo con Alighiero Boetti, Marlene Dumas, Martin Kippenberger e Fischli/Weiss. L’ultimo decennio vede la presenza di John Armleder, Maurizio Cattelan, Douglas Gordon, Pamela Rosenkranz e Rirkrit Tiravanija. La mostra, e il relativo futuro catalogo, pongono interrogativi sul concetto di museo contemporaneo attraverso temi quali «la produzione di nuove opere, la documentazione tecnica e conservativa, il restauro,

l’immagazzinamento, il trasporto, il montaggio e lo smontaggio di una mostra, le assicurazioni e le questioni giuridiche relative alle opere d’arte contemporanee». Tantissima carne al fuoco! Dato che l’operazione è in corso risulta difficile darne un giudizio. Un appunto però viene spontaneo: constatato che l’ultimo periodo espositivo del museo ha una vocazione e una predilezione per l’arte partecipativa non sarebbe più coerente offrire al visitatore l’entrata gratuita invece che a pagamento? Come nella vecchia InK di Urs Rausmüller. Dove e quando

20 – An Exhibition in Three Acts, Migros Museum für Gegenwartskunst, Zurigo. A cura di Heike Munder, Raphael Gygax, Nadia Schneider Willen. Fino al 5 febbraio. www.migrosmuseum.ch

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Cultura e Spettacoli

La centralità del manicotto

Biglietti in palio

Libri Un viaggio tra mode, musiche, libri, artisti che hanno forgiato la visione dell’inverno

che ci portiamo dentro, nell’ultimo libro di Adam Gopnik

Mariarosa Mancuso «…cri…i…i…i…icch»… È il ghiaccio che si incrina secondo Guido Gozzano, comprensivo di puntini e virgolette ben piazzati da uno dei più simpatici poeti italiani – pochissimo letto, però, e citato soltanto per «le buone cose di pessimo gusto». E noi, pur considerando i puntini di sospensione la morte della letteratura (nonché il trionfo del poeta dilettante, due sciagure che vanno insieme come il pane e il companatico) dobbiamo inchinarci alle sue volontà. Prendendo nota dell’eccezione a conferma dell’altrimenti inviolabile regola. (Vuol dire: non provateci a casa, e neppure nel manoscritto che custodite nella chiavetta USB). Il ghiaccio rumorosamente si incrina, nel laghetto gelato al Parco del Valentino torinese. Un brivido corre tra i pattinatori che cercano di mettersi in salvo: «Ognuno guadagnò la riva / disertando la crosta malsicura / un soffio di paura / disperse la brigata fuggitiva». Tutti tranne uno, che si sente sussurrare «Resta!» dalla signorina che lo accompagna. Le mani al caldo nel manicotto, così la immaginiamo: le pattinatrici hanno sempre un manicotto, a volte anche un colbacco. Conferma la centralità del manicotto Adam Gopnik, nel suo libro intitolato «L’invenzione dell’inverno» (Guanda editore). Il capitolo dedicato al pattinaggio è tra i più riusciti, non ci

sentiamo di dire lo stesso per le pagine dedicate all’hockey su ghiaccio (sicuramente è un problema nostro che non siamo come lui cresciuti in Canada, e che non amiamo neppure il calcio, nessuno si senta offeso). Il pattinatore, all’origine, era solitario e immerso nelle proprie meditazioni filosofiche. Preferiva l’imbrunire al pomeriggio rischiarato dal tiepido sole. Tutta colpa del romanticismo tedesco, un movimento capace di far danni come nessun altro. Decise di vedere nel rigido e purissimo inverno una stagione da contrapporre alla primavera illuminista, piena di luce e di speranza. Niente allegri gruppi, quindi. E niente risate. Si pattina da soli, lo fanno soprattutto i maschi (le donne, come vedremo leggendo più avanti la poesia di Gozzano, sono frivole e maligne). Esistono, per esempio, un paio di dipinti che ritraggono Goethe mentre scivola sul ghiaccio. In uno viene rispettosamente salutato dagli ammiratori, come una star della sua epoca senza selfie. Nell’altro viene osservato dalle ammiratrici, con un po’ di disappunto. «Come faremo ad attirare la sua attenzione, basterà una palla di neve?» è la lettura proposta da Adam Gopnik, giornalista del «New Yorker» che aveva raccontato la sua vita parigina in Dalla terra alla luna (e il suo rientro a New York in Una casa a New York, e il suo punto di vista sulla storia della cucina e le recenti manie cuochi-

L’ultimo libro dell’autore americano.

stiche in In principio era la tavola, tutti da Guanda). Il passaggio dal pattinatore solitario alle vacanze invernali in allegra compagnia (vanno bene anche sci o slittino) avviene secondo Adam Gopnik in Svizzera, attorno al 1850. Complici quattro inglesi rimasti sconosciuti: il saggista ammette che pare una leggenda montana, ma ricorda che le mode devono pur cominciare da qualche parte. Manca purtroppo all’elenco dei pattinatori la coppia di Guido Gozzano. Per maggiore sicu-

rezza abbiamo controllato il lunghissimo indice dei nomi, utilissimo nelle compilation dove alla fine capita di far confusione tra citazioni proprie e citazioni appena lette. Manca appunto «Invernale», che come tutte le poesie di guidogozzano – così il poeta si firmava, con le minuscole prima dell’americano e. e. cummings e del televisivo enrico ghezzi racconta una storia. Ecco perché, tra tanti poeti lirici, viene fatto sparire in secondo piano: raccontava storie ed era divertente, altra qualità che i critici italiani non perdonano. Manca anche Ethan Frome, il grande e straziante racconto montano di Edith Wharton. Lo abbiamo letto con ritardo, non avendo gran passione per il freddo e il gelo. Colpisce come una pugnalata e ricorda l’incipit di Ford Maddox Ford: «Questa è la storia più triste che abbia mai sentito». In cambio, leggendo Gopnik abbiamo scoperto decine di storie (e anche brani musicali, il libro propone una sua colonna sonora) che ignoravamo. «Resta, se tu m’ami!» aveva detto la signorina. E il malcapitato resta, non senza qualche patema. Cerca disinvoltamente di pattinare, mentre «Dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più tetro… / dall’orlo il ghiaccio fece cricch, più sordo…». Poi molla la mano della bella e si mette in salvo. Lei, dopo aver molto volteggiato, lo raggiunge a riva e gli sussurra «Vile!».

Minispettacoli 15 gennaio 2017, ore 15.00 / 17.00 Oratorio San Giovanni, Minusio «Senza paura» Compagnia Fantulin con Eneas e Mauro Medeot, Firenze Una fiabesca ed eroica prova iniziatica che, attraverso il teatro dei burattini, incoraggia ad affrontare le inevitabili asperità della vita. Spettacolo con burattini e buffone per bambini dai 4 anni. LAC Edu 17 gennaio 2017, ore 13.45 Sala Teatro LAC, Lugano Virgilio Brucia Testi ispirati dalle opere di Publio Virgilio Marone, Hermann Broch, Emmanuel Carrère, Danilo Kiš, Alessandro Barchiesi, Alessandro Fo e Joyce Carol Oates Regia di Simone Derai. Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» biglietti gratuiti per le manifestazioni organizzate attraverso il Percento culturale (massimo due biglietti per economia domestica). La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi. Per aggiudicarsi i biglietti basta scrivere una email contenente nome, cognome, indirizzo e titolo dello spettacolo scelto martedì 10 gennaio all’indirizzo giochi@ azione.ch. I vincitori saranno estratti a sorte tra tutti partecipanti e riceveranno una conferma via email. Buona fortuna! Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli Il progetto musicale Iacampo, con il produttore Leziero Rescigno (secondo da destra).

Sulla carta

Pubblicazioni Il mondo infinito

e affascinante delle rappresentazioni geografiche in un libro di Simon Garfield

Stefano Vassere

Iacampo e i suoi «Flores»

Rassegna Raclette Il prossimo giovedì sera allo Studio Foce,

con anche il reading di Oliver Scharpf

Zeno Gabaglio Facce da cocaina, alcol e crack. I tre ritratti promozionali – veri e propri testimonial al contrario – lasciano inevitabilmente il segno, anche se quel che conta è la sintesi, ovvero il quarto volto sorridente (affiancato alla desolazione dei primi tre) che spiega come la rassegna Raclette allo Studio Foce non lasci nessuno strascico negativo sulla salute di chi vi prende parte diventandone dipendente. Perché il vero rischio del cartellone Raclette – al di là del divertente stratagemma promozionale sui social network, macabro forse solo per quei bacchettoni che al Foce non metterebbero comunque mai piede – è proprio quello di diventare dipendenti: appena svelata la lineup primaverile non si può infatti che cominciare a prender nota di ogni singola data, per un insieme di concerti che ancora una volta si conferma nel perfetto epicentro della cultura musicale contemporanea: del Ticino, della Svizzera e dell’Europa. Il place to be per chi – tra Chiasso e Airolo – non vuole perdere il contatto con le musiche in perenne movimento. Si comincia giovedì 12 gennaio con il concerto di Iacampo (cantautore veneto che sul finire del 2015 ha pubblicato Flores, disco tra i più attuali e apprezzati dell’anno appena concluso) preceduto da un reading di Oliver Scharpf. Per introdurre la parte musicale della serata abbiamo incontrato

Leziero Rescigno – musicista e produttore già ben noto per i suoi lavori con Mauro Ermanno Giovanardi, Amor Fou e La Crus, nonché per la stretta collaborazione con Francesca Lago – che di Flores è stato produttore. Volendosi prestare all’ingrato gioco delle etichettature artistiche «Iacampo incarna una specifica tipologia del cantautorato italiano, di quella tradizione aperta al melting pot culturale e sonoro che in passato è nata e si è sviluppata con Pino Daniele (che mischiava la canzone italiana al blues, all’Africa e al Brasile) e con Paolo Conte (che ancora oggi unisce nelle sue canzoni la milonga argentina, lo swing e il jazz)». Cantautorato? Esistono ancora i cantautori? «Il termine rimanda ovviamente a schemi e ideologie oggi poco attuali. Ma l’idea di impegno e di riflessione sociale – attraverso una scrittura che guardi e racconti la società attorno a noi – non è certo sparita dall’orizzonte di chi fa musica. Casomai sono diversi gli ambiti in cui andare a cercarla: il rap, per esempio, da questo punto di vista dovrebbe essere considerato una delle forme più stringenti di cantautorato, inteso in senso classico». La centralità dell’autore, quindi; un elemento che nel nostro modello di cultura, non solo musicale, rimane imprescindibile. Un dubbio che però ha sempre attraversato la popular music è quello relativo al rapporto tra

l’autore (colui che campeggia sulle copertine dei dischi) e il produttore artistico (colui che invece è spesso il vero responsabile dei contenuti dei dischi). Tra Iacampo e Leziero Rescino chi ha deciso cosa? «Il rapporto tra autore e produttore è effettivamente delicato: il filo che separa la fertile collaborazione dall’invasione dei rispettivi campi è davvero sottile. Io sono per il profondo rispetto della scrittura originale, cioè dell’autorialità, e quindi il mio lavoro è stato quello di provare a potenziare la stesura delle canzoni, lavorando su armonia, melodia ma soprattutto sull’arrangiamento, sui suoni e sulle strutture». Un modo di procedere poco autoritario – a dispetto di certe infauste leggende rock’n’roll – in cui «il produttore non deve prendere il sopravvento, né in modo tecnico né in modo analitico. Sin dai primi incontri e confronti con l’autore deve nascere un’alchimia, un piano di comunicabilità che getti le basi di un lavoro proficuo». E il risultato? «L’idea di Iacampo – che ho abbracciato e condiviso – è stata quella di contaminare il solco della sua poetica, cioè la canzone d’autore italiana, con altre forme di espressione sonora e musicale. L’Africa, il Brasile, il jazz».

«In breve quello che davvero lo emozionava nelle mappe era, per Joseph Conrad, qualcosa di molto semplice: le “regioni sconosciute”. Ossia, non le certezze mostrate con precisione, ma il loro contrario: il mistero e la possibilità di fare scoperte che rendono affascinante il nostro viaggio in questo mondo». È cinquecento pagine di passione, questo Sulle mappe. Il mondo come lo disegniamo di Simon Garfield, dedicato a storia, geografia e cultura delle mappe e delle rappresentazioni geografiche. Le prime riproduzioni del mondo, la cartografia estetizzante e immaginifica del Medioevo, le forzature graficamente ineccepibili delle metropolitane del mondo, gli atlanti, la tecnica per costruire i mappamondi, le follie dei moderni navigatori automatici, le guide turistiche, le mappe inventate dei giochi di società, stradari, mappe del tesoro. Un mondo, insomma, perché occuparsi di geografia significa banalmente tentare di rappresentare la Terra e tutta la sua umanità. Ci sono cartine, oggi, che scelgono vie alternative alla pura dimensione delle terre: mappe economiche, ad esempio, che tracciano le dimensioni dei paesi in base alla ricchezza o al prodotto interno lordo e quindi l’Europa pare gigantesca e tondeggiante nella sua opulenza, mentre l’Africa è piccola piccola. O anche c’è la mappa tracciata dai soli collegamenti amicali di Facebook dove biancheggia il nord del mondo e sono pallidissimi l’appena percepibile Africa e parte notevole del Sudamerica. In fondo, non siamo molto lontani dalla medievale Mappa di Hereford, una vera e propria opera d’ar-

te e quindi di finzione con peraltro una stupefacente quanto assurda sincronia: «ci sono la Torre di Babele, l’arca di Noè che approda sulla terraferma, il vello d’oro, il Labirinto di Creta abitato dal Minotauro», ci sono animali che sparano escrementi, strane creature a metà tra l’uomo e l’animale, scritte in varie lingue, una rivoluzione disorientante dei punti cardinali, errori toponomastici, una sorta di fantastica follia, insomma, molto lontano dalla realtà. Certo è che, piegati ormai tutti noi dal non spazio delle moderne cartenavigatore elettroniche, non possiamo che concepire questo libro come uno sterminato omaggio alla cartografia tradizionale e soprattutto all’unicità degli esemplari. I creatori di carte-stradario inglesi usano inserire ogni tanto dei nomi di via inesistenti, per dare un tocco di autenticità e smascherare malintenzionati plagi; le cartine delle vie di una città sono composte come i dizionari: si parte sempre dal lavoro di qualcun altro (altrimenti come si farebbe, via!). Ma poi ci sono anche il mappamondo di Churchill, che, come succede con certe carte dei mezzi pubblici (a Milano non è difficile accorgersene, in metropolitana), tradisce l’interesse dell’utente perché scritte e disegni sono consumati in corrispondenza di regioni strategiche, la Francia del Nord, New York, il mare di Barents a nord della Norvegia. Anche la Mappa di Hereford porta segni di dita, sul vetro, spesso sul luogo di provenienza dei turisti che vanno a vederla, nella cattedrale della cittadina inglese. Ora, nessuna map di nessun navigatore elettronico pareggerà mai questa antica e così spontanea esperienza; sono i poderosi colpi di coda (ma magari non solo quelli) della carta sull’elettronico; niente di elettronico paga come lo struggimento dovuto a certi ritrovamenti, anni dopo, di cartine piegate e sgualcite di antichi viaggi, biglietti d’entrata a qualche rassegna di talune triennali, ticket di parcheggi o mezzi pubblici. «Il contatto fisico è molto importante. Sebbene non sia incoraggiato, nessuno riprende i visitatori se fanno ciò che viene istintivo fare, ovvero compiere il gesto primitivo di toccare il vetro con il dito per navigare sulla superficie della mappa. Il punto più sporco è attorno a Hereford stessa». Bibliografia

In collaborazione con

La copertina della versione inglese.

Simon Garfield, Sulle mappe. Il mondo come lo disegniamo, Milano, Ponte alle Grazie, 2016. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

La signora dei pavoni che parlava con Dio

Letteratura Il diario inedito di Flannery O’Connor, una scrittrice di racconti degna di Kafka e Hemingway

Pietro Montorfani Per Flannery O’Connor la realtà era qualcosa di semplice e allo stesso tempo stupefacente come l’aprirsi improvviso della coda di un pavone. Difficile era semmai, per lei, comprendere le profondità dell’agire umano, con tutte quelle incongruenze e contraddizioni. Gli uccelli erano diversi. Per questo aveva iniziato ad addestrarli sin da bambina, con un successo tale da convincere la Pathé News, nel 1932, a riprenderla assieme ai suoi polli che camminavano all’indietro (il breve filmato, Do you reverse?, è visibile su Youtube).

Nella O’Connor la vocazione cristiana e quella letteraria si fondono creando un equilibrio perfetto Se però le avessero chiesto la sua maggiore soddisfazione come allevatrice, avrebbe ricordato di certo il giorno in cui, verso la fine della sua breve vita, ben undici dei suoi venti pavoni fecero la ruota contemporaneamente, lasciandola senza fiato. La storia di Flannery e dei suoi uccelli è molto nota, negli Stati Uniti, al punto che è diventata di recente un libro per bambini (The King of the Birds, 2016). La cosa sorprendente è che questa esperienza eccezionale ha in qualche modo a che vedere con la vocazione letteraria di questa donnina del Sud, cresciuta in una famiglia cattolica di origini irlandesi e morta di lupus all’età di 39 anni. Sì perché tra questi due estremi, la bambina entusiasta che cerca di convincere i polli a procedere contro natura e la donna malata che si commuove davanti alla bellezza dei pavoni in amore, è racchiusa tutta l’evoluzione della sua scrittura, il suo crescere e maturare secondo una dinamica che contemplava equamente il merito e la gratitudine, lo sforzo e la grazia. I risultati, altissimi,

stanno lì a dimostrarlo: due romanzi e una manciata di racconti che hanno dato una scossa alla letteratura americana a cavallo degli anni Cinquanta. Lasciata la nativa Georgia per l’Università dell’Iowa, dove professori e compagni faticavano a comprendere il suo accento del Sud (parlò sempre in dialetto, come John Keats), abbandonò presto i propositi di diventare giornalista per dedicarsi soltanto alla narrativa. Di lì a poco uscì il suo primo romanzo, Wise Blood (La saggezza nel sangue, 1952), storia di un veterano in lotta con la propria fede in una società intimamente caratterizzata dalla dimensione religiosa. Simile ma non identico è il protagonista del secondo libro, The Violent Bear It Away (Il cielo è dei violenti, 1960), un professore rimasto vedovo che prova a rieducare alla sua visione razionalista un nipote cresciuto da un vecchio che si credeva un profeta. L’orizzonte metafisico, sovrapposto a quello reale del paesaggio agricolo degli Stati meridionali, è lo sfondo sul quale si proiettano tutte le sue storie, i cui attori, sovente segnati nel fisico da menomazioni e malattie, dispiegano la loro umanità in termini che molti lettori non esitarono a giudicare «brutali». Questo era Flannery O’Connor: un’au-

La copertina del libro.

Flannery O’Connor (1925-1964) in una foto degli Anni Cinquanta. (Keystone)

trice che non faceva sconti, né ai lettori né tantomeno ai personaggi delle proprie storie. Forse persino più dei due romanzi, il volume con tutti i racconti, pubblicato in Italia da Bompiani, è di quelli da tenere sempre sul comodino, assieme alle raccolte di Poe, Kafka, Hemingway, Raymond Carver. Una produzione letteraria così ridotta, costantemente sottoposta al severo vaglio della scrittrice, è comunque andata arricchendosi negli ultimi anni di titoli laterali che raccolgono lettere, conferenze, pagine sparse. Per chi conosca già il mondo della O’Connor (il percorso a rovescio è possibile ma sconsigliato) si tratta di materiali preziosi e in un certo senso rivelatori: quanta consapevolezza dei propri mezzi, e insieme quanta accettazione della propria fragilità umana, nelle lettere ad amici ed editori (The Habit of Being, apparso in italiano da Einaudi con il fuorvian-

te titolo Sola a presidiare la fortezza). Al ricco carteggio si aggiungono ora le pagine del diario inedito, e anche in questo caso il numero esiguo di pagine, un centinaio compreso il facsimile dei manoscritti, è bilanciato dalla densità del suo pensiero: ad esempio laddove ritiene che una sincera «visione d’amore» sia tutto quello che serve al racconto del mondo. Oppure nelle disarmanti richieste, al tempo stesso pratiche e spirituali, al «caro Dio» cui nel diario si rivolge, giorno dopo giorno, con il cuore in mano: «che io non sia altro che lo strumento della Tua storia, proprio come la macchina da scrivere lo è per me». O ancora: «Per favore aiutami caro Dio a essere una brava scrittrice», sostenuta dalla ferma convinzione che il bene possa mostrarsi «anche attraverso qualcosa di banale». Bisogna risalire a Dante per trovare un autore in cui la vocazione cristia-

na e quella letteraria si fondono in un equilibrio così perfetto, finendo quasi per coincidere. E non sarà un caso se, a distanza di secoli, il grande affresco della Commedia sia ancora il punto di riferimento per ogni discorso sull’aldilà: «Posso immaginare le torture dei dannati, però non riesco a immaginare le anime disincarnate sospese in un cristallo a lodare Dio per tutta l’eternità». Di disincarnato i protagonisti delle sue storie non hanno davvero nulla, in quel Purgatorio di destini incrociati che è andata costruendo finché le forze non sono venute meno. La sua eredità letteraria è di quelle che, con il tempo, acquisteranno sempre più peso. Sarei pronto a scommetterci.

l’orizzonte espositivo e aiutano a contestualizzare i preziosi reperti. Quattro le parti nelle quali si articola la mostra che porta il visitatore a solcare idealmente i mari sulle tracce degli antichi vascelli commerciali. Il viaggio parte dai regni di sabbia della mitica Arabia felix con alcune preziose parures datate tra l’VIII secolo a.C. e il III d.C. accostate a gioielli tradizionali dello Yemen, dell’Oman e dell’Arabia saudita. Si passa poi agli splendori dell’India meridionale con una serie di collane, pendenti, orecchini, bracciali baroccheggianti che bene illustrano quel gusto per l’esuberanza estetica che riporta ai tempi antichi, tipico di quella parte del mondo. Una terza sezione ricca di reperti archeologici (bella una corona in oro decorata) è invece dedicata a quelli che vengono definiti gli «imperi dimenticati», vale a dire Birmania, Cambogia, Thailandia e Vietnam; una regione vasta come mezzo continente con testimonianze storiche che ci fanno pensare ai fasti di Angkor (IX-XV secolo), capitale dell’impero dei Khmer, tanto per citare uno dei luoghi archeologici più famosi al mondo. Infine le innumerevoli Isole delle spezie sparse tra Indonesia e Filippine

(Giava, Bali, Sumatra – da non perdere un diadema nuziale in oro – Sulawesi, Nias) con gioielli esuberanti di particolare valenza culturale e religiosa a significare il rango sociale di chi li portava. Per la verità è una cosa che succede un po’ ovunque nel mondo di ieri e di oggi, a testimonianza di una continuità culturale che trascende il tempo e lo spazio, seppure con modalità specifiche. Un discorso complesso dunque che si propone di suscitare qualche riflessione al di là del godimento estetico dei gioielli esposti. Per esempio, si riflette sulla persistenza di tratti culturali tradizionali in società apparentemente entrate nell’ottica della globalizzazione odierna, infatti ci sono pezzi antichi e altri datati XIX-XX secolo ma di gusto tradizionale. Oppure sull’importanza degli incontri umani al di là delle frontiere; o ancora sugli esiti di scambi tra civiltà diverse per cultura in campo sociale e quindi anche artistico.

Bibliografia

Flannery O’Connor, Diario di preghiera, Bompiani 2016, 110 pagine.

Una traccia dorata sull’acqua

Mostre Alla Fondazione Baur di Ginevra antichi gioielli arabi e asiatici Marco Horat Si dice spesso che le montagne più che dividere le popolazioni le uniscano; la stessa cosa vale per i deserti e gli oceani. In terre distanti tra loro molte miglia, separate da mari a prima vista invalicabili, si ritrovano tratti culturali comuni, segno inequivocabile di contatti, di scambi materiali e spirituali intensi. Una constatazione che ci deve accendere nella testa una lampadina: gli incontri come pure gli scontri tra genti di cultura diversa sono sempre avvenuti nel corso della storia umana fin dalla più lontana antichità, con risvolti positivi da una parte (ogni sfida può essere un arricchimento, una crescita per l’uno e l’altro dei protagonisti) e negativi dall’altra, con incomprensioni, paure, distruzioni, piccoli e grandi drammi. In tempi di pace, ma in fondo anche di guerra, uno dei principali canali lungo i quali si sono sviluppati questi contatti è stato il comAnnuncio pubblicitario

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mercio, che insieme alle cose ha fatto viaggiare le persone e le idee. È questa la storia che ci illustra la mostra di Ginevra allestita presso la Fondazione Baur, specialista di primissimo piano nell’arte asiatica grazie alle sue collezioni e ai prestiti internazionali, che presenta più di trecento gioielli archeologici ed etnici che ci fanno ripercorrere le rotte antiche che univano l’Europa occidentale – via Mediterraneo, Mar Rosso e Golfo Persico – all’India, al Sud-est asiatico e alla Cina, da dove provenivano spezie, profumi, perle, pietre e metalli preziosi, seta, tessuti pregiati e opere d’arte di ogni genere. Vie marittime che facevano il paio con le strade carovaniere sulla terraferma. Un mondo vasto e variato tra i regni di Arabia e l’Insulindia con culture, lingue, tradizioni, costumi, modi di vivere e religioni diversi tra di loro. Una storia fatta di regni e imperi che si sono succeduti nel tempo, di guerre e di conquiste che hanno mutato i confini dei singoli paesi: Yemen, Oman, India, Cina, Vietnam, Cambogia e Indonesia. Diversi sì, ma con alcuni tratti culturali comuni, come si diceva all’inizio, ai quali la mostra ci permette di risalire al di là delle differenze stilistiche e

Indonesia, Sumatra dell’est, Batusangkar, Minangkabau, XIX-XX sec. (Mauro Magliani © Collections privées)

di lavorazione dei materiali esposti. A fare da filo conduttore è l’oro, per definizione metallo prezioso caro agli dèi e agli uomini. Lo ritroviamo quale simbolo di potere o di rispetto per i defunti di rango, metallo sprigionante l’energia del Sole capace di penetrare il buio dell’eternità. Ad accrescere il suo fascino un’esplosione di luce che ci viene dalle innumerevoli pietre preziose che lo accompagnano. Insieme a gioielli e parures vengono esposti a Ginevra tessuti e sculture che allargano un poco

Dove e quando

Ginevra, Fondazione Baur, «Bijoux d’orients lointains, au fil de l’or au fil de l’eau». Fino al 26 febbraio 2017. www.baur.ch


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Il cappone onorario Come è andato questo Natale? Mi domandano gli amici che, conoscendo la mia passione per la tavola imbandita, sottintendono «dal punto di vista gastronomico»? La risposta è «come tutti gli altri anni»: il Natale in Piemonte è la festa del Piacere Differito. Se durante l’anno ci arriva in dono qualche leccornia, un barattolo di funghi sott’olio, di confettura di fichi e noci, di piccoli peperoni rotondi con l’acciuga e il cappero, la reazione in famiglia è sempre la stessa: «sarebbe un peccato aprirlo adesso, teniamolo per Natale». Con due possibili conseguenze: o l’eccesso di offerta spegnerà il nostro piacere o dovremo assistere impotenti allo spettacolo di un commensale che inforna uno dopo l’altro funghi interi come se inghiottisse patate. Confesso che talvolta, per non aspettare il Natale, correggo di nascosto la data di scadenza sui barattoli, dando un preavviso di sole 24 ore. Nelle nostre famiglie la data di scadenza è un dogma inderogabile, una bomba a orologeria. Così facendo, metto in cattiva luce il donatore. Mia moglie:

«Begli amici che hai! Potevano fare a meno di regalarti un cibo che sta per scadere. Bei cafoni». Pazienza. Intinta nel senso di colpa la prelibatezza è ancora più gustosa. Le leccornie sono gradite anche se piovono il giorno di Natale, portate in dono dagli invitati a pranzo. Accompagnate però dalla tetragona vocazione pedagogica dei piemontesi, per cui la consegna del dono procede parallela alle istruzioni per l’uso: «ti ho portato dalla Lapponia questa mostarda, per apprezzarla al meglio devi usarla solo per accompagnare lo stufato di alce, mi raccomando, guai a sprecarla su un volgare bollito di manzo». No! Se mi gira la tua mostarda la spalmo a colazione sulle fette biscottate e la immergo nel caffè latte! In Piemonte il Natale a tavola è anche rispetto per i piatti tradizionali, primo fra tutti il cappone. Da cucinare sia arrosto che bollito, usando il brodo, dopo averlo sgrassato sia per fare la gelatina che per la minestra con la pasta reale. Citiamo da una storia dell’alimentazione in Piemonte: «da tempo immemorabile, pare addi-

rittura da origini precristiane, il cappone costituisce il piatto principale del Pranzo di Natale e di tutte quelle feste propiziatorie che prima si tenevano nel solstizio d’inverno». L’impresa di procurarsi un cappone è diventata col tempo sempre più ardua. Bisogna prenotarlo per tempo, mesi prima, come se fosse una poltrona in platea al festival di Salisburgo. Per approfondire l’argomento abbiamo incontrato il presidente dell’Associazione Capponi d’Italia, il commendatore Alceste Farinelli. L’abbiamo sorpreso mentre dirigeva una prova del coro di voci bianche, pochi giorni prima del Natale. L’impegno dei coristi era venato da una certa mestizia per la consapevolezza che ben pochi di quei cantori avrebbero visto l’alba di Santo Stefano. Siamo rimasti incantati dalla loro bravura. Per la verità, fra un cappone che canta e un cappone in gelatina noi propendiamo per quest’ultimo, ma evitiamo per delicatezza di farlo sapere al presidente. Terminato il concerto, senza inutili preamboli, siamo entrati subito in argomento: «Davvero il classico

dei nostri menù natalizi è a rischio di estinzione?». «È stato ed è ancora sempre un evento possibile», ci ha risposto con la sua voce angelica il presidente. «Per crederlo possibile è sufficiente riflettere sul fatto che la nostra religione ci vieta di riprodurci. Tranne rarissimi casi, caro lei, capponi non si nasce, si diventa». «Possiamo parlare perciò di una vocazione al capponaggio?» «Bé, non parlerei di una vera e propria vocazione, quanto di una predisposizione, di caratteri tali da attirare l’attenzione, e le forbici, della massaia. Da sempre il cappone ha popolato le aie del nostro Piemonte, libero di circolare ma affidato all’occhio vigile delle donne della famiglia». «Perché c’è bisogno dell’occhio vigile? C’è forse il rischio che qualcuno torni alle abitudini di prima delle forbici?». «No», è stata la risposta. «Noi siamo destinati all’ingrasso e la massaia vigila che il cibo destinato a noi, che siamo per definizione pacifici e tranquilli, non ci venga sottratto da quelle brutte gallinacce sozze che si contendono i favori del gallo». «Scusi, presidente, ma

lei, osservando un gallo in azione non ha provato un po’ di nostalgia per una sorte diversa?» «Vuole scherzare? Li ha mai visti i galli? Arruffati, tesi come corde di violino, sempre in azione, sempre lì a fare gli stantuffi, sotto stress per il timore di perdere colpi e finire in padella. Capirei ancora se potessero scegliere, questa sì quella no, invece devono coprirle tutte, basta che facciano coccodè». «Avete avvertito qualche cambiamento dopo che è stato lanciato l’allarme sul rischio della vostra estinzione?». «Sì, certamente, ci sentiamo osservati con sguardi diversi, più consapevoli delle nostre qualità. Non c’è fiera di paese che non ci veda presenti in prima fila, lodati e apprezzati oltre ogni immaginazione. Sono molte le località che si contendono il privilegio e l’onore di potersi chiamare “città del Cappone”. Non vediamo l’ora che la disputa sia risolta, perché a quel punto potremo istituire due prestigiosi riconoscimenti, “Il Cappone dell’anno” e “Il Cappone Onorario”. Lei non immagina quanto è lunga la lista dei candidati».

considerazione che la tartaruga partita con un minimo anticipo, per quanto lenta, non potrà mai essere raggiunta da Achille dal piede veloce, perché quando il guerriero avesse superato i dieci metri di distanza tra loro, la povera tartaruga sarebbe comunque avanzata di un centimetro, e poi di un millimetro, quando Achille avesse superato quel centimetro di distanza e così via. Già Aristotele ebbe da ridire, è vero, spiegò che in potenza la distanza tra i due è incolmabile in quanto l’avanzamento della tartaruga diventa infinitamente piccolo ma sempre passibile di ulteriore frazionamento, ma è altresì vero che in atto tutto ciò non ha senso. La fisica quantistica, nel secolo scorso, avrebbe definito insignificanti rispetto alla misurazione le distanze piccolissime. Ma Zenone voleva aiutare il Maestro. Ben diverso fu l’atteggiamento di Aristotele verso Platone. Per più di vent’anni l’uomo amico dei Macedoni, quasi turco di nascita, frequentò l’Accademia dell’ateniese Platone. Lo straniero

tacque, pubblicamente, forse intervenne nelle dispute interne alla scuola. Non manifestò la sua opinione fino alla morte del Maestro. Estrema finezza? Superba viltà? Non lo sapremo mai, né ci interessa più di tanto, se pure lascia senza parole la virulenza del non più giovane Aristotele nell’attaccare le teorie platoniche: così, se per definire il gatto Simeone occorre rifarsi all’idea della «gattità», dovremo anche considerare l’idea di animalità, di bianchezza (se il gatto è bianco), di pelosità, di appartenenza alla cugina Clotilde, di essere Simeone… e così all’infinito. A cosa serve una follia di idee per pensare a un gatto o parlare di un gatto? Aristotele apprezzò il maestro, così tanto da confutarlo con precisione e senza misericordia, come è giusto che si conducano le diatribe scientifiche. Ma andiamo avanti nei secoli: Eloisa ebbe un ottimo maestro, Abelardo bello e intelligente, troppo bello, troppo intelligente, non finì bene, anche se la riconoscenza della ragazza non diminuì

mai. San Tommaso studiò a Colonia da Alberto Magno, e con giovamento: un raro caso di napoletano di origini siciliane che volentieri studia alla scuola di un tedesco del nord, nemmeno un bavarese. Inutile poi citare Cartesio, maestro che rimase ucciso dallo zelo per insegnare a Cristina, regina di Svezia, che amava studiare filosofia all’alba: in dieci giorni una polmonite portò via il maestro, che seguiva le tristi tracce di Ugo Grozio, valente studioso di diritto venuto a mancare già sulla strada per raggiungere la regale allieva Cristina. E per venire allo scorso secolo, fu Bertrand Russell maestro di Ludwig Wittgenstein? Per età, sì. Per quanto riguarda l’aiuto del maestro all’allievo, sì, perché senza la prefazione di Russell mai si sarebbe pubblicato il Tractatus di Wittgenstein. Ma quanto l’uno aiutò l’altro? Per fortuna non lo sappiamo, tra adulti non si può stabilire in maniera definitiva chi riceve cosa da chi. Ma quando si è bambini, sì, si sa chi è la Maestra. Grazie maestra Vittoria.

limitare tra vita e morte, sulla malattia, sulle relazioni possibili e impossibili tra uomini e donne, tra genitori e figli, sull’amicizia. Troppa vertigine, troppa molteplicità di livelli tematici, narrativi, stilistici, vocali in questo diarioresa-dei-conti sulla senescenza e sulla trascendenza in cui un padre e una figlia finalmente si parlano (e forse si capiscono). Con pagine piene di poesia, specie quando si descrive la natura della Provenza (scenario della narrazione): che cos’è la poesia, pensa il narratore, se non l’incontro della necessità e del caso, di ciò che sappiamo e di ciò che non sappiamo? «I contrari, insomma: dove tutto si ricongiunge». Il libro di Cordelli non è libro da classifiche, ma risponde a un’esigenza di Milan Kundera: «la conoscenza è l’unica moralità del romanzo». Potente, inarrestabile flusso quello di Massini, il giovane autore (classe 1975) della Lehman Trilogy portata in scena da Luca Ronconi: non c’è grande narra-

zione senza sfida. La saga dei Lehman, che comincia con il viaggio di Henry a metà ’800 dalla Baviera a Montgomery in Alabama, è una lunga ballata-cavalcata (in versi sciolti) nel capitalismo, dal commercio alla finanza, dall’America schiavista alla bancarotta mondiale del 2008: una sorta di trattato sulla caducità del denaro («de caducitate pecuniae») in forma di chanson de geste, dove gli ideali «cavallereschi» che nel Medioevo avevano il compito di consacrare il potere feudale – lealtà, prodezza e generosità – sono invece finalizzati a legittimare l’accumulazione di capitale, divenuta la sola religione dei Lehman, persino superiore alla religione ebraica che apparteneva alla loro tradizione familiare. È il racconto di questa sostituzione di una fede con l’altra, attraverso vari passaggi storici: la Guerra di Secessione, la Grande Guerra, la depressione del ’29, il secondo conflitto mondiale, il boom economico, la società dei consumi. Né Scarpa né Cordelli né Massini sono

stati segnalati tra gli autori dei romanzi migliori dell’anno: sarà persino difficile trovarli in librerie stracolme di gialli. Un’ossessione poliziesca. Solo e sempre gialli. In compenso, bisognerà faticare per trovare i Sillabari di Goffredo Parise, capolavoro di delicatezza (voto: 6) sui sentimenti umani, datato 1972. Non c’è anniversario, né di nascita né di morte, ma ugualmente sotto il segno di Parise si potrebbe cominciare questo 2017. Per esempio con due suoi pensieri rimasti utilissimi oltre quattro decenni dopo essere stati scritti (avvertenza: sostituire «mondo» alla parola «paese»): 1. «Il nostro paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano senza conoscere nulla e poi buttano via e poi ricomprano». 2. «Il nostro paese è un’enorme bottega di stracci non necessari (perché sono stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori». Tra gli stracci non necessari ci sono diversi libri segnalati come i migliori del 2016.

Postille filosofiche di Maria Bettetini Indimenticabili maestri Antichi maestri, maestri cattivi. Si sprecano gli aggettivi per il maestro, la maestra, come si chiama chi insegna ai livelli minimi, scuole materne e primarie, e a quelli superiori: maestri di vita, maestri d’arte, «maestro», come si chiama per non sbagliare chiunque pratichi un’arte e non voglia o non possa essere «professore», nemmeno dottore. Maestro è quindi chi è più e meno di un qualunque docente. A ben pensarci, è più e più. Per lasciare una traccia nei piccoli è necessaria vera maestria, invece tutti sono capaci di trasmettere nozioni a giovinetti delle medie e del liceo, che devono comunque ottenere precise conoscenze in vista del loro futuro. Altro è intercettare la funambolica mistura di intuito sensibilità e intelligenza che attraversa la mente del bambino. Confesso di avere avuto l’immensa fortuna di una brava maestra alle scuole che allora si chiamavano elementari. La sua voce mi torna in mente per sciogliere i dubbi di una «i» nei composti di «scienza», così come nel mettere

a punto un corretto atteggiamento verso le religioni, le diverse religioni. L’Odissea raccontata come una fiaba, le tabelline giocate con collane di pietruzze colorate. Cara maestra Vittoria, come dimenticarti. E dire che nel mondo accademico ci si libera in fretta dei maestri. Vogliamo dare un’occhiata alle primizie della filosofia? Non andò a tutti bene come a Parmenide, che si trovò discepoli in grado di spiegare con paradossi e teoremi una dottrina di per sé oscura. Per lui, Parmenide, l’essere è e il non essere non è. Tutto è ciclica ripetizione, tutto è eterna staticità, il movimento e il divenire costituirebbero una sorta di terza via, la via dell’apparenza, non del tutto senza senso ma nemmeno, suvvia, nemmeno degna dell’essere. E come mai? Parmenide non lo spiega, per fortuna intervengono devoti i suoi allievi, Zenone e Melisso. Non vi azzardate ad attaccare il Maestro, adesso vi spieghiamo perché. Ed ecco per esempio Zenone di Elea con il paradosso di Achille e la tartaruga, dunque la

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Se i migliori sono i peggiori Il romanzo migliore del 2016? Ognuno ha sparato il suo. Classifiche, sulla «Lettura» del «Corriere della Sera», sulla «Repubblica» e in Rete. A mio avviso, alcuni dei premiati avrebbero meritato fra il 2 e il 3, ma lasciamo perdere. Per quanto mi riguarda, tra gli italiani segnalerei tre titoli da 5½: Il brevetto del geco di Tiziano Scarpa (Einaudi), Una sostanza sottile di Franco Cordelli (Einaudi), Qualcosa sui Lehman di Stefano Massini (Mondadori). Romanzi difficili, per cui la fatica, come (a volte) il santo, vale la candela. Quello di Scarpa è un libro che si affida quasi interamente alle descrizioni, bellissime, ormai bandite dalla narrazione perché rallentano troppo il ritmo, la trama, l’intreccio. Ecco la Stazione Centrale di Milano: «Pilastri a forma di faro sostenevano lanternoni ottogonali; i muri erano costellati di zodiaci, fregi, bassorilievi istoriati, modanature in ottone, mensole dove sono andate ad appollaiarsi aquile di pietra, colossi gagliardi, ma-

scheroni ingrugnati, mosaici arcaizzanti, panorami piastrellati; e dappertutto pareti tirate a lucido, come pavimenti signorili issati in verticale». Resteranno, queste pagine, nella memoria letteraria? Il protagonista Federico Morpio, quasi quarantenne, è un video artista in crisi immerso in un’epoca, la nostra, che «non era in grado di sopportare la disperazione senza che fosse avvolta in un packaging scherzoso». La sua sfida è la ricerca della perfezione al tempo del mercato, l’investimento totale nella parola, nell’intenzione creativa (o talento). Nella società del consumo di massa di solito i libri considerati migliori sono quelli che si vendono di più. Quello di Scarpa non è libro da classifiche. Nemmeno il romanzo di Cordelli, figurarsi, troppo denso, troppo pieno di incubi, di angoscia, di divagazioni, di pensieri che vanno avanti e indietro, di ricordi sgradevoli, di resoconti e interrogativi sulla vita, sulla morte, su quella «sostanza sottile» che è il


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Sapore, genuinità e salute...

Flavia Leueberger

Novità Trasparente anche nella confezione, ecco sugli scaffali la farina di segale dei nostrani

C’è profumo di novità sugli scaffali delle filiali Migros ticinesi. La farina di segale del Mulino di Maroggia si aggiunge alla ricca selezione dei nostrani, una nuova farina locale al 100 per cento. La segale è un cereale tipico delle zone di montagna che spicca per le sue proprietà nutritive. La farina di segale nostrana è semi integrale, caratteristica chiaramente visibile dalla confezione trasparente molto innovativa, perciò ricca di fibre. Le fibre vegetali saziano molto in fretta e a lungo, aiutano l’organismo ad espellere le tossine e ci aiutano a tenere sotto controllo il colesterolo nel sangue facendo di questa farina un prodotto particolarmente benefico per la nostra salute. Altra caratteristica della farina di segale è quella di avere un indice glicemico più basso rispetto ad altre farine aiutando inoltre a tenere sotto controllo i livelli di zuccheri nel sangue. La segale ticinese viene prodotta da Daniele Bettoni di Novazzano, che per ora è l’unico produttore di questo cereale nel nostro cantone. Dopo il raccolto i chicchi vengono macinati e la farina imballata dal Mulino Maroggia, mulino in funzione dal lontano 1888 e l’unico rimasto ad oggi attivo in Ticino. La farina di segale è poco usata nelle nostre zone, mentre è più comune ritrovarla in ricette dell’est e nord europa, ma sta iniziando ad essere più usata anche nelle nostre cucine. Estremamente versatile, ben si presta per ricette di prodotti da forno quali pagnotte, dolci e biscotti. Può essere utilizzata per confezionare dei deliziosi pan di spezie da condividere durante i pomeriggi freddi invernali o per impastare pane di tipo vallesano o Val Morobbia. In genere, quando viene impiegata per le ricette di pane, la farina di segale viene mischiata con farina di frumento con una percentuale del 10-20 per cento su tutto il peso della farina. Questo perché di per sé la farina di segale è meno ricca di glutine e non permette di ottenere pani ariosi. Le pagnotte con farina di segale però acquistano in sapore, risultando più aromatiche e rustiche rispetto ai pani fatti con farina di frumento. La farina di segale dei nostrani è disponibile solo in quantità limitata, perciò conviene approfittare e farne scorta quando la si trova sullo scaffale... / Luisa Jane Rusconi Farina di Segale 500 g Fr. 1.80


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Idee e acquisti per la settimana

Il porro

Attualità Con il suo bel colore verde intenso questo ortaggio ravviva le giornate invernali

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Il porro fa parte della famiglia delle Liliacee, la medesima delle cipolle e dell’aglio, di cui ricorda anche il gusto. La pianta selvatica era già conosciuta e utilizzata dagli Egizi, Greci e Romani. È un tipico ortaggio invernale, anche se oggi è ormai disponibile tutto l’anno.

Padellata di porri e patate con saucisson

2

Ricco d’olio di senape, ha un effetto riscaldante. L’acido folico è presente in grandi quantità nel porro, come pure la vitamina C, il beta-carotene e altri preziosi sali minerali. Le sue sostanze sulfuree hanno un effetto antibiotico naturale. Grazie alle fibre contenute, è un alleato dell’intestino.

Piatto Principale per 4 porzioni Ingredienti 2 saucisson di 300 g ciascuo 1 kg di patate resistenti alla cottura 500 g di porri 1 cucchiaino di carvi 4 cucchiai d’olio d’oliva 0.5 limetta 2 dl di brodo di verdura sale e pepe

3

Conservazione: al momento dell’acquisto fare attenzione a che le foglie non siano danneggiate o marroni. Nel cassetto delle verdure del frigo si conserva bene fino a due settimane. Avvolgerlo nella pellicola alimentare a causa del suo odore intenso.

4

Consumo: tagliare il porro a pezzetti o rondelle solo poco prima di essere cucinato. L’ortaggio è ottimo cotto al vapore, saltato in padella con burro o olio, oppure nelle minestre. Si abbina bene a salsicce, risotto, omelette o pesce.

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Preparazione Cuocete i saucisson in abbondante acqua, appena sotto il punto di ebollizione, per ca. 30 minuti. Tagliate le patate a pezzetti, i porri ad anelli. Fate soffriggere i semi di carvi nell’olio. Unite le patate e rosolatele brevemente. Aggiungete la scorza grattugiata della limetta, il succo spremuto e il brodo e portate a ebollizione. Condite con sale e pepe. Mettete il coperchio e cuocete le patate a fuoco medio per ca. 20 minuti, devono essere ancora sode. Aggiungete i porri e continuate la cottura finché anche i porri sono cotti ma ancora croccanti. Estraete i saucisson e appoggiateli sulle patate, incoperchiati, per ca. 5 minuti. Condite il tutto con sale e pepe. Tagliate i saucisson a fette e accomodatele sulla padellata di porri e patate. Tempo di preparazione ca. 40 minuti

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Idee e acquisti per la settimana

Mantenimento del peso

Tutto sotto controllo Una volta raggiunto il peso desiderato, incombe il pericolo dell’effetto yo-yo. Un rischio che si può evitare con l’atteggiamento giusto, con un’alimentazione appropriata e con molto movimento. Inoltre: allenate i muscoli! Perché tanto più è grande la massa muscolare, tanto più grasso viene bruciato

La bilancia WLAN misura il peso, la massa magra, la percentuale di grasso corporeo e l’indice di massa corporea (BMI). Si può abbinare al rilevatore d’attività Fitbit. Fitbit Aria Bilancia intelligente Fr. 149.– Da Melectronics Il monitore d’attività rileva i passi, le distanze, la frequenza cardiaca e le calorie bruciate.

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Le ricette per i piatti leggeri della linea Délifit sono sviluppate in collaborazione con esperti nutrizionisti e preparate quotidianamente con ingredienti equilibrati. Délifit Porzioni di insalata da Fr. 6.50 Nei take-away Migros

A chi fa particolarmente attenzione ad una dieta proteica piacciono gli yogurt della linea «Oh! Yogurt Greek Style». Oh! Yogurt Greek Style Arancia sanguigna 170 g Fr. 1.85

Compatto, maneggevole e ideale per la preparazione di smoothies: miscelatore personale con motore da 600 watt. La coppa del mixer serve anche da bicchiere. L-Carnitina con magnesio sostiene le normali funzioni muscolari. Actilife L-Carnitina 200 mg 30 compresse da succhiare Fr. 8.60

Nutribullet Estrattore di sostanze nutrienti 600 W, 8 componenti Fr. 111.– Da Melectronics

Perle di saggezza

L’eterno su e giù Chi non l’ha vissuto: dopo una drastica dieta i chili tornano ad accumularsi sui fianchi. È il famigerato effetto yo-yo, che comunque costituisce una funzione vitale: infatti, il corpo interpreta il calo calorico durante la dieta come se fosse un periodo di «carestia». Esso reagisce andando in panico e per precauzione, non appena ha di nuovo abbastanza cibo, mette da parte depositi energetici in vista di altri tempi duri. Se ricominciamo a mangiare di più, ogni caloria in eccesso si riflette sulla bilancia. Un dimagrimento lento è perciò più sostenibile di una dieta lampo, perché il corpo può accumulare riserve intermedie senza impostarsi sulla modalità risparmio.

Suggerimenti

Verso il peso ideale con buon senso I divieti non aiutano quando si tratta di dimagrire. Meglio concentrarsi sul nostro comportamento alimentare. Scoprire di più sul sito: migros-impuls.ch Piattaforma d’allenamento multifunzionale: antiscivolo, pedana stabile pesante 7 Kg, regolabile in altezza. Fr. 149.– Da SportXX

iMpuls è la nuova iniziativa della Migros in favore della salute.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Idee e acquisti per la settimana

Mantenimento del peso

Tutto sotto controllo Una volta raggiunto il peso desiderato, incombe il pericolo dell’effetto yo-yo. Un rischio che si può evitare con l’atteggiamento giusto, con un’alimentazione appropriata e con molto movimento. Inoltre: allenate i muscoli! Perché tanto più è grande la massa muscolare, tanto più grasso viene bruciato

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Compatto, maneggevole e ideale per la preparazione di smoothies: miscelatore personale con motore da 600 watt. La coppa del mixer serve anche da bicchiere. L-Carnitina con magnesio sostiene le normali funzioni muscolari. Actilife L-Carnitina 200 mg 30 compresse da succhiare Fr. 8.60

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Perle di saggezza

L’eterno su e giù Chi non l’ha vissuto: dopo una drastica dieta i chili tornano ad accumularsi sui fianchi. È il famigerato effetto yo-yo, che comunque costituisce una funzione vitale: infatti, il corpo interpreta il calo calorico durante la dieta come se fosse un periodo di «carestia». Esso reagisce andando in panico e per precauzione, non appena ha di nuovo abbastanza cibo, mette da parte depositi energetici in vista di altri tempi duri. Se ricominciamo a mangiare di più, ogni caloria in eccesso si riflette sulla bilancia. Un dimagrimento lento è perciò più sostenibile di una dieta lampo, perché il corpo può accumulare riserve intermedie senza impostarsi sulla modalità risparmio.

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9.90 invece di 19.80 Salmone affumicato ASC d’allevamento, Norvegia, 330 g

30% Filetti di salmone bio (surgelati esclusi), per es. d’allevamento, Irlanda/Norvegia, in vaschetta, per 100 g, 3.25 invece di 4.80

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1.40 invece di 2.– Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente per 100 g

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4.90 invece di 7.– Petto di tacchino M-Classic affettato finemente in conf. da 2 Francia/Brasile, 2 x 144 g

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2.70 invece di 3.65 Spezzatino di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g


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2.60 invece di 3.80 Arance Tarocco extra Italia, al kg

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4.80 invece di 6.90 Lamponi extra Spagna, in conf. da 250 g

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4.90 invece di 6.20 Porro tagliato Svizzera, imballato, al kg

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1.– invece di 1.30 Lattuga iceberg Spagna, il pezzo

conf. da 2

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13.10 invece di 16.40 Fondue fresca moitié-moitié in conf. da 2 2 x 400 g

conf. da 2 a partire da 2 pezzi

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25%

21.– invece di 28.10 Caseificio Canaria prodotto in Ticino, in self-service, al kg Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 10.1 AL 16.1.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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2.80 invece di 3.50 Cavolfiore Italia, imballato, al kg

–.10

di riduzione

–.95 invece di 1.05 Tutti gli iogurt Nostrani per es. castégna (alla castagna), 180 g

30%

2.90 invece di 4.40 Patate per raclette Svizzera, busta da 2,5 kg

30%

4.– invece di 5.80 Pesto al basilico Anna’s Best in conf. da 2 x 150 ml

30%

1.95 invece di 2.80 Lattuga rossa Anna’s Best in conf. da 150 g

30%

1.75 invece di 2.60 Peperoni misti Paesi Bassi, 500 g

20%

6.40 invece di 8.– Formentino Anna’s Best in conf. da 2 2 x 120 g


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i. s io g g ta n a v i z z re p a e rt e Fantastiche off conf. da 4

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1.90 invece di 2.40

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Quark alla frutta M-Classic in conf. da 4 per es. ai lamponi, 4 x 125 g

IL RICHIAMO DELLA MONTAGNA Riscalda e rinvigorisce come la zuppa servita nei rifugi di montagna, ma è ancora più deliziosa. È la minestra di gulasch con cubetti di manzo, una delizia da gustare con il pane delle Alpi. Una squisita consolazione per tutti coloro rimasti sotto la coltre di nebbia. Trovi la ricetta per la minestra di gulasch su saison.ch/consigliamo e tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.

20% Tutti i cake e i biscotti M-Classic per es. cake al cioccolato, 700 g, 4.75 invece di 5.95

50% Tutti i tipi di Pepsi e Schwip Schwap in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. Pepsi Max, 5.50 invece di 11.–

– .4 0

di riduzione

10%

2.20 invece di 2.60 Pane delle Alpi TerraSuisse 380 g

Kinder Schoko-Bons e Kinder Bueno Ferrero in confezioni speciali per es. Schoko-Bons, 500 g, 7.60 invece di 8.60

conf. da 2

15%

11.45 invece di 13.50 Tulipani M-Classic, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, per es. gialli e rossi

20%

6.60 invece di 8.25 Mini Babybel in retina, 18 x 22 g

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 10.1 AL 16.1.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

3.80 invece di 4.80 Mezza panna UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml

30% Tutto l’assortimento di prodotti spalmabili alla frutta Extra Fit & Well per es. albicocca, 365 g, 1.45 invece di 2.10

conf. da 3

33%

4.20 invece di 6.30

Hit

6.20

Magdalenas al limone e marmorizzate M-Classic in conf. da 3 Nutella in barattolo di vetro da 1 kg per es. marmorizzate, 3 x 225 g

20% Tutto l’assortimento Kellogg’s per es. Special K, 500 g, 3.80 invece di 4.75


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50%

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20%

3.50 invece di 4.40 Pom-Bär in conf. da 2 per es. original, 2 x 100 g

33%

8.80 invece di 13.20 Bastoncini di nasello azzurro Pelican, in conf. da 3, MSC surgelati, 3 x 450 g

a partire da 2 pezzi

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di riduzione l’uno Tutto l’assortimento Salsa all’italiana a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. alla napoletana, 250 ml, 1.10 invece di 1.60

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12.90 invece di 19.35 Additivo per il bucato Oxi Booster Total in conf. speciale 1,5 kg, offerta valida fino al 23.1.2017

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30% Involtini primavera J.Bank’s in conf. da 2 alle verdure e al pollo, surgelati, per es. alle verdure, 2 x 6 pezzi, 740 g, 8.95 invece di 12.80

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5.90 invece di 9.– Fleischkäse Malbuner in conf. da 6 Delikatess, tacchino, prosciutto e vitello, per es. Delikatess, 6 x 115 g

Detergenti Potz in conf. multipla per es. Calc in conf. da 3, 3 x 1 l, 9.80 invece di 14.70, offerta valida fino al 23.1.2017

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conf. da 3 a partire da 2 confezioni

20% Tutto l’assortimento Chop Stick, Saitaku, Kikkoman e Nissin per es. latte di cocco Chop Stick, bio, Fairtrade, 400 ml, 2.20 invece di 2.80

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11.85 invece di 23.70 Carta per fotocopie Papeteria in conf. da 3, FSC bianca, 80 g/m2, 3 x 500 pezzi, offerta valida fino al 23.1.2017


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Altre offerte. Pesce, carne e pollame

Fiori e piante

Pollo Optigal, Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg, 6.60 invece di 9.50 30%

Phalaenopsis in conf. da 2, vaso da 12 cm, per es. lilla, 19.90 Hit

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Croissant pur beurre, 70 g, –.20 di riduzione, 1.– invece di 1.20

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Saponi I am, Esthetic, pH balance e Nivea in conf. da 2 per es. sapone Milk & Honey I am, 2 x 300 ml, 4.60 invece di 5.80, offerta valida fino al 23.1.2017

Near Food/Non Food

Tutto l’abbigliamento da donna e da uomo Switcher, disponibile in diversi colori e misure (SportXX escluso), per es. maglietta da donna, color acqua, tg. M, 20.30 invece di 29.– 30% ** Tutti gli alimenti per cani Matzinger, per es. Shapes, 800 g, 2.05 invece di 2.60 20% Candele profumate Créateur d’Ambiance in conf. da 2, per es. Cassis Noir, 9.20 invece di 11.60 20% ** Tutto l’assortimento Grether’s Pastilles, per es. pastiglie senza zucchero in bustina di ricarica, 100 g, 5.80 invece di 7.30 20% **

Contrex in conf. da 6, 6 x 1,5 l, 4.10 invece di 6.90 40%

Caffè Caruso Oro in chicchi e macinato in conf. da 3, UTZ, per es. in chicchi, 3 x 500 g, 17.80 invece di 26.70 33%

Michette soffiate, M-Classic, TerraSuisse, 5 pezzi/250 g, 2.– invece di 2.50 20%

Olio d’oliva Monini Bios, 750 ml, 12.40 invece di 15.50 20%

Tutte le salse per insalata M-Classic pronte, a partire da 2 pezzi 30%

Red Bull in conf. da 24, 24 x 250 ml, standard e sugarfree, per es. standard, 25.90 invece di 40.80 35%

Fiori Anna’s Best in conf. da 3, per es. alla rucola e al mascarpone, 3 x 250 g, 11.70 invece di 14.70 20%

conf. da 2

Tutto l’assortimento Nescafé, per es. Gold de Luxe, in busta da 180 g, 8.45 invece di 10.60 20%

Minestrone 15 verdure e Verdurì 5 colori, Orogel, 450 g e 600 g, per es. Verdurì 5 colori, 600 g, 4.40 invece di 5.50 20%

Pane e latticini

Dentifricio Meridol in conf. da 2 2 x 75 ml, offerta valida fino al 23.1.2017

Salviettine umide per bebè Pampers in conf. da 5, sensitive e fresh clean, per es. sensitive, 5 x 56 pezzi, 14.65 invece di 22.– 33% **

Tutti gli antipasti e tutte le olive Polli, per es. carciofi tagliati, 285 g, 3.95 invece di 4.95 20%

Altri alimenti

Cordon-bleu di pollo Don Pollo, prodotto in Svizzera con pollo dall’Argentina/Brasile/Ungheria, in conf. da ca. 300 g, al kg, 16.– invece di 21.90 25%

Les Dragées Original e Princess Frey in confezioni speciali, UTZ, per es. Original, 1 kg, 10.20 invece di 12.80 20%

Slip da bambina in conf. da 7, disponibile in diversi colori, taglie 92–122/128, per es. rosa, 98/104, 12.90 Hit ** Biancheria intima da donna Ellen Amber in conf. multipla, disponibile in diversi colori, taglie S–XL, per es. top, bianco, tg. S, in conf. da 2, 12.90 Hit ** Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Vital Balance, per es. Adult con pesce, 4 x 85 g, 3.90 20x PUNTI Tutte le colorazioni Garnier, a partire da 2 pezzi 20% ** Spago riciclato Papeteria in conf. da 4, 4 x 100 m, 5.80 invece di 11.60 50% **

Tutti i prodotti da bagno (prodotti Kneipp e confezioni regalo esclusi), per es. bagnoschiuma all’eucalipto Herbs, 400 ml, 4.40 invece di 5.50 20% **

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

55

Idee e acquisti per la settimana

Sanissa

Versatile come sempre

Sanissa festeggia quest’anno il suo 50° compleanno. La margarina è uno dei prodotti Migros da più tempo sul mercato Testo Anna Bürgin; Fotografie Guy Jost

Quando in Svizzera si impasta, si spalma e si cuoce, dal 1967 lo si fa per lo più con Sanissa. La margarina facilmente spalmabile è da sempre prodotta con olio di colza svizzero senza aggiunta di ingredienti artificiali. E’ disponibile in due versioni. Sanissa classic è adatta alle persone intolleranti al lattosio, dal momento che non contiene componenti del latte. Sanissa au beurre contiene il dieci per cento di burro, che gli conferisce un gusto particolarmente cremoso. Grazie alla sua morbida consistenza, Sanissa è consigliata anche per la preparazione di dolci, come i delicati cupcake.

Sanissa au beurre 4 x 125 g Fr. 3.75

Sanissa au beurre 250 g Fr. 2.15

Ricetta base dei cupcake

Sanissa au beurre si trova non solo nei cupcake, bensì anche nelle colorate decorazioni.

Per 10 cupcake Ingredienti 125 g di Sanissa au beurre 125 g di zucchero
 3 uova 125 g di farina 1 cucchiaio da tè di lievito in polvere scorza di limone grattugiata Preparazione 1. Mischiare Sanissa e lo zucchero e montare a neve. Aggiungere a poco a poco le uova (a temperatura ambiente) fino a ottenere un composto ben legato. 2. Incorporare la farina, il lievito in polvere e la scorza di limone e amalgamare bene. Con la tasca da pasticciere riempire le forme in carta e sistemarle in una teglia per cupcake. 3. Preriscaldare il forno a 195° C. Cuocere i cupcake per ca. 20 minuti.

Sanissa Classic 250 g Fr. 1.90

Sanissa Classic 400 g Fr. 2.85 Nelle maggiori filiali

La ricetta per le decorazioni è disponibile su www.sanissa.ch

M-Industria produce numerosi prodotti Migros, tra cui anche Sanissa.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Idee e acquisti per la settimana

Sanissa

Versatile come sempre

Sanissa festeggia quest’anno il suo 50° compleanno. La margarina è uno dei prodotti Migros da più tempo sul mercato Testo Anna Bürgin; Fotografie Guy Jost

Quando in Svizzera si impasta, si spalma e si cuoce, dal 1967 lo si fa per lo più con Sanissa. La margarina facilmente spalmabile è da sempre prodotta con olio di colza svizzero senza aggiunta di ingredienti artificiali. E’ disponibile in due versioni. Sanissa classic è adatta alle persone intolleranti al lattosio, dal momento che non contiene componenti del latte. Sanissa au beurre contiene il dieci per cento di burro, che gli conferisce un gusto particolarmente cremoso. Grazie alla sua morbida consistenza, Sanissa è consigliata anche per la preparazione di dolci, come i delicati cupcake.

Sanissa au beurre 4 x 125 g Fr. 3.75

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Ricetta base dei cupcake

Sanissa au beurre si trova non solo nei cupcake, bensì anche nelle colorate decorazioni.

Per 10 cupcake Ingredienti 125 g di Sanissa au beurre 125 g di zucchero
 3 uova 125 g di farina 1 cucchiaio da tè di lievito in polvere scorza di limone grattugiata Preparazione 1. Mischiare Sanissa e lo zucchero e montare a neve. Aggiungere a poco a poco le uova (a temperatura ambiente) fino a ottenere un composto ben legato. 2. Incorporare la farina, il lievito in polvere e la scorza di limone e amalgamare bene. Con la tasca da pasticciere riempire le forme in carta e sistemarle in una teglia per cupcake. 3. Preriscaldare il forno a 195° C. Cuocere i cupcake per ca. 20 minuti.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 9 gennaio 2017 • N. 02

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Idee e acquisti per la settimana

Herbs

Un piacere per corpo e anima Quando il clima freddo dell’inverno influenza l’umore, un bagno può fare miracoli. Al benessere provvedono i bagni alle erbe Herbs. Arricchiti con oli essenziali naturali selezionati, sciolti nell’acqua calda viziano il corpo, mentre i vapori esalati liberano dal malessere legato al maltempo e allo stress quotidiano. Tra le preziose piante da cui vengono estratti gli oli per i bagni alle erbe Herbs si contato tra le altre la lavanda e l’eucalipto. L’effetto rilassante del bagno con il nuovo prodotto «deep breath» è da ricondurre alla combinazione di menta e salvia.

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Un bagno rilassante alle erbe è un mezzo collaudato per far fronte agli effetti del maltempo e allo stress della vita quotidiana.

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