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Ci difendono dall’osteoporosi

Fitoterapia ◆ Ci permettono di prevenire o rallentare il progressivo indebolimento della struttura ossea: sono i fitoestrogeni

Eliana Bernasconi

Meno trasfusioni, più sicurezza e più salute

Medicina ◆ Chiare linee guida dell’OMS per l’uso appropriato della «risorsa sangue»

Maria Grazia Buletti

A inizio anno, in Svizzera le riserve di sangue scarseggiavano, in particolare quelle del gruppo zero negativo (quello dei donatori universali). I media ticinesi ne hanno riportato l’appello, poi rassicurati da Mauro Borri, direttore operativo del Servizio Trasfusionale della Croce Rossa Svizzera, che ha affermato come nel nostro Cantone «non si tratta di una vera e propria emergenza, ma di una mancanza di questo gruppo a causa delle scarse riserve, per cui abbiamo chiesto ad alcuni donatori di sangue di venire a donare».

Questa volta il Ticino non ha vissuto una vera criticità, sebbene gli appelli alla donazione in certi periodi dell’anno indichino la sporadica mancanza di tali riserve. «Dobbiamo prendere atto che con l’incremento dell’età della popolazione si riduce il numero dei giovani possibili donatori di sangue, e aumentano i pazienti con comorbidità e maggiori necessità, pure trasfusionali. Se il trend della vera emergenza denunciato dall’OMS si confermasse, già nei prossimi anni non ci sarà più sufficiente sangue disponibile per soddisfare il fabbisogno. A fronte di ciò, sembra vi siano ancora grossi sprechi di prodotti emoderivati che vengono ancora somministrati con insufficiente valutazione di rischi e benefici».

Alla premessa del dottor Andrea Saporito, primario di anestesiologia all’Ospedale Regionale Bellinzona e Valli (ORBV), fa eco il nefrologo e Capo Area Medica EOC, professor Paolo Ferrari, che parla della trasfusione di sangue, analizzandone rischi e benefici sui quali oggi più che mai bisogna chinarsi, pure sulla base di evidenze scientifiche e delle chiare linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): «L’uso della trasfusione di sangue deve essere ponderato e limitato, secondo le circostanze, non solo per la paventata scarsità di emoderivati, ma per i diversi effetti collaterali potenzialmente nocivi che una trasfusione può comportare. Non dimentichiamo che essa si rende necessaria per compensare un deficit di globuli rossi, ma è pur sempre un trapianto. Dunque, anche se pare naturale, bisogna considerare le eventuali relative reazioni avverse o gli effetti secondari. È necessario ponderare bene rischi e benefici, in relazione a nuovi parametri dei livelli di fascia di norma dell’emoglobina nella circolazione che può variare individualmente da paziente a paziente».

A questo proposito, con gli obiettivi di migliorare i risultati clinici, prevenire trasfusioni evitabili e ridurre i costi di gestione, l’OMS dal 2010 invita caldamente all’adozione di programmi di Patient Blood Management (PBM): una strategia multidisciplinare e multimodale che mette al centro la salute e la sicurezza del paziente, e migliora i risultati clinici basandosi sulla risorsa sangue dei pazienti stessi.

«Il concetto di PBM non è focalizzato su una specifica patologia, ma mira a gestire la risorsa di sangue del paziente che, quindi, insieme al suo medico di famiglia, acquista un ruolo centrale e prioritario», chiarisce Saporito sulla stessa linea esplicitata nella definizione di PBM secondo la Society for Advancement of Blood Management per la quale per PBM si intende «l’applicazione tempestiva di principi medici e chirurgici basati sull’evidenza, concepiti e progettati per il mantenimento della concentrazione di emoglobina, l’ottimizzazione dell’emostasi e la minimizzazione della perdita di sangue, tutto con lo scopo di migliorare gli esiti dei pazienti».

Da un lato l’applicazione del PBM nell’uso appropriato delle trasfusioni di sangue comporta la loro riduzione fino al 20%, unitamente al risparmio economico e, soprattutto, ai relativi benefici di cui il paziente può godere.

Lo dimostrano i dati pubblicati dalla rivista «Transfusion», risultati di un programma PBM completato in cinque anni in Australia, dove peraltro ha pure operato il professor Paolo Ferrari fino al 2018, quando è rientrato in Ticino dove ha portato queste esperienze, forte della sua rappresentanza per EOC nel gruppo di lavoro OMS per l’implementazione internazionale del PBM: «Nei pazienti aderenti al PBM, i risultati su 605’046 pazienti ricoverati nei maggiori ospedali per adulti dell’Australia occidentale mostrano una riduzione del 28% della mortalità ospedaliera, una riduzione del 15% della degenza media in ospedale, una diminuzione del 21% delle infezioni acquisite in ospedale (ndr : i pazienti trasfusi sono più soggetti alle infezioni), e una diminuzione del 31% di infarto o ictus. L’uso di prodotti del sangue è stato ridotto del 41%, raggiungendo significativi benefici per il paziente e un notevole risparmio sui costi sanitari». Coinvolgere i medici di famiglia e i professionisti della salu- te in questo cambiamento di paradigma, è quanto l’EOC mette in atto da qualche anno, come ci spiega Saporito: «Al netto degli interventi in emergenza, un paziente su tre arriva anemico in sala operatoria quando deve affrontare gli interventi di chirurgia maggiore programmata (ad esempio: cardiochirurgia, protesi all’anca…)». chissimo di minerali, come del resto lo sono tutte le piante di cui ci stiamo occupando. Contiene una quantità significativa di isoflavoni, che sono sostanze antiossidanti di origine vegetale simili agli estrogeni. Ha qualità nutritive straordinarie, è fonte di calcio, cromo, magnesio, silicio, fosforo, potassio e vitamine importanti per le ossa. In combinazione con la Cimicifuga e la soia è usato per osteoporosi e sintomi della menopausa.

È nota con il nome di osteoporosi, ma è giustamente anche chiamata «malattia silente». Si tratta di un subdolo e progressivo indebolimento della struttura ossea del nostro corpo. Così come i farmaci classici possono fare molto per prevenire, controllare, curare l’osteoporosi, anche la fitoterapia può venirci in aiuto con le piante cosiddette fitoestrogeni, da usare consultando sempre il proprio medico, utili a regolare gli ormoni responsabili della decalcificazione ossea.

Sono piante altamente rimineralizzanti e ricche di flavonoidi, che sono dei composti con caratteristiche simili a quelle degli estrogeni e sono presenti in grande quantità nel mondo vegetale.

Adottare il Patient Blood Management ottimizza la gestione della risorsa sangue del paziente e migliora gli esiti clinici: «L’obiettivo primario è quello di informare correttamente professionisti e pazienti sui presupposti scientifici della trasfusione evitabile, ovvero: un’attenta valutazione multidisciplinare del singolo paziente, dei rischi e dei benefici connessi alla trasfusione, e delle strategie, farmacologiche e non, che possono essere impiegate in alternativa a esse».

In pratica, Ferrari ricorda l’importanza di promuovere una presa a carico standard ragionata, prima dell’intervento chirurgico: «Curare l’anemia pre-operatoria e stabilizzare il quadro clinico del paziente prima dell’intervento chirurgico garantisce un notevole vantaggio per la sua salute, riduce la necessità di una terapia trasfusionale evitabile, minimizza i rischi (infezione, reazioni avverse) e riduce i tempi di degenza».

La standardizzazione di questo programma PBM è un fiore all’occhiello di EOC e della sanità ticinese, con benefici per i pazienti e risultati che parlano da sé, concludono gli specialisti: «Lo screening mirato sull’emoglobina di pazienti prima di un intervento chirurgico elettivo, in collaborazione coi medici del territorio, un programma standardizzato di controllo dei parametri, l’individualizzazione della soglia sotto la quale il paziente necessita di una trasfusione, la definizione di appropriatezza trasfusionale, la cartella informatizzata che riporta dati di alert : dal 2020 a oggi, questo programma ha visto una diminuzione del 13,2% delle trasfusioni inappropriate».

Ricordiamo che evitare o ridurre le trasfusioni inappropriate significa: «Tempi di degenza post-operatoria più brevi, minore incidenza di infezioni, ripresa più rapida del paziente e risparmio di risorse economiche». Tutto nell’ottica di una strategia (PBM), raccomandata dall’OMS, che mette al centro salute e sicurezza del paziente, migliorandone i risultati clinici e chirurgici.

Come è risaputo, una singola pianta tuttavia non cura mai un disturbo solo: nel suo fitocomplesso vi è la potenzialità di agire su disturbi ben diversi fra loro, vale a dire che molte differenziate indicazioni sono quasi sempre racchiuse e prescrivibili in una pianta sola. Lo aveva ben compreso il geniale medico, alchimista e astrologo svizzero Paracelso che nel lontano 1500 sentenziava: «…nel mondo c’è un ordine naturale di farmacie, tutti i prati e pascoli, tutte le montagne e colline sono farmacie».

Ha effetti analoghi Il Cardo mariano (Silybum marianum), chiamato anche Cardo della Madonna: è un’erbacea che cresce nel bacino del Mediterraneo in terreni incolti e aridi; è disintossicante, ha un effetto protettivo contro molte tossine, e incrementa la produzione del latte materno anche nelle mucche. Foglie, gambi e radici sono ottimi in cucina, crudi o bolliti. I ricercatori non sono ancora sicuri che il Cardo mariano possa veramente rallentare o impedire la progressione dell’osteoporosi, ma finora le ricerche sono positive e alcuni studi in vitro e sugli animali indicano che può effettivamente ridurre la perdita ossea e aumentare il calcio e il fosforo.

Anche la soia, il cui nome scientifico è Glycine max, contiene isoflavoni e minerali come calcio, fosforo e potassio. Combinata con Trifolium e Cimicifuga agisce contro osteoporosi e sintomi della menopausa. Un trattamento a base di isoflavoni ha effetti benefici sulla densità ossea dopo 6-12 mesi. Gli studi in questo campo sono molto promettenti, ma necessitano ulteriori ricerche per capire se questi risultati positivi comportino anche un minor rischio di fratture. I fagioli di soia possono essere gustati così come sono oppure trasformati in prodotti come tofu, tempeh, latte, salsa e olio di soia.

Contro l’osteoporosi, va anzitutto citata la Cimicifuga racemosa, una pianta dalla radice scura che cresce spontanea nelle zone umide del continente nordamericano. Era usata dai nativi da tempi immemorabili sia contro reumatismi, sia contro bronchiti, disturbi nervosi, infiammazioni della gola, scabbia e morsi di serpenti velenosi (per questo era chiamata anche «radice di serpente»). Molti di questi utilizzi sono stati confermati da studi clinici moderni, e oggi, in Occidente, è fra le piante più efficaci per intervenire su osteoporosi e disturbi della menopausa, come vampate, sudorazioni, insonnia. Ricerche preliminari di laboratorio indicano, infatti, che può prevenire la perdita di densità del tessuto osseo e preservarne la resistenza. Anche studi fatti su animali hanno dimostrato che gli estratti di Cimicifuga rallentano e inibiscono lo sviluppo dell’osteoporosi.

Un’altra pianta efficace a questi fini è il Trifoglio dei prati (Trifolium pratense); rosso e bianco, è coltivato in parecchie aree del mondo come foraggio per il bestiame, perché ric-

Altra pianta fortemente mineralizzante e quindi indicata anche per curare l’osteoporosi è la straordinaria ortica (Urtica dioica): usata per tanti disturbi, contiene molte vitamine, la C, la B e la K, sali di potassio, magnesio e altri composti, promuove l’attività diuretica e favorisce l’eliminazione delle scorie; ottimi risultati sono stati ottenuti trattando con l’ortica reumatismi e calcoli delle vie urinarie.

Pure rimineralizzante per il tessuto osseo e per tutto l’organismo, indicatissimo per osteoporosi e dolori articolari e molto diuretico è il famoso Equiseto dei campi, Equisetum arvense L., chiamato anche «coda cavallina». Cresce spontaneo in campi e boschi, sulla riva di fiumi e laghi, ai margini delle strade. È una pianta di enorme interesse, usata nella medicina popolare da secoli, contiene flavonoidi e vitamine, ed è un concentrato di sali minerali, in particolare ha un alto contenuto di silice e calcio: incrementa la crescita di unghie e capelli, protegge e rinforza le nostre ossa indebolite. È la pianta più antica della terra: era presente nell’era paleozoica.

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