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La nostalgia è un balsamo e un veleno
Pubblicazione ◆ Il saggio di Lucrezia Ercoli riflette su un sentimento universale e ambivalente
Giovanni Fattorini
Yesterday. Filosofia della nostalgia (il più recente saggio di Lucrezia Ercoli, docente di Storia dello spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Bologna, ideatrice e direttrice artistica del festival di filosofia del contemporaneo «Popsophia») si apre con alcuni enunciati fortemente assertivi: «Il passato non è mai stato così presente […] La nostalgia ha infettato tutto: dal remake cinematografico al techetechetè televisivo, dal vintage modaiolo al design retrò […] Non c’è nuova produzione culturale che non sia un reboot, non c’è nuovo fenomeno che non sia una citazione del già detto o un omaggio al già visto». Facendo proprio il titolo di una famosa canzone di Paul McCartney, il saggio di Lucrezia Ercoli vuole «ricostruire l’anamnesi di un’antica malattia che è tornata a paralizzare l’Occidente. Un viaggio nella filosofia della nostalgia, il sentimento contemporaneo più affascinante e più pericoloso».
Chi ha medicalizzato per primo tale sentimento è lo stesso che ne ha coniato il nome: lo studente svizzero Johannes Hofer, che nella sua tesi di laurea in medicina, pubblicata nel 1688 e intitolata Dissertatio medica de nostalgia, lo definisce «una tristezza ingenerata dall’ardente brama di ritornare in patria»: una tristezza che può avere un esito mortale. Tra le opere letterarie che hanno dato più intensamente voce «al mal du pays», Ercoli privilegia il racconto omerico del nostos di Odisseo e i Tristia di Ovidio, esiliato da Roma nella lontana e inospitale Tomi. Che il sentimento nostalgico sia una «malattia antica», lo comprovano le innumerevoli declina- zioni del mito dell’età dell’oro, che in Occidente viene descritta per la prima volta nel poema Le opere e i giorni, composto tra il VII e VI secolo a.C. da Esiodo.
Nel secolo scorso, in America, sono sembrati un’età dell’oro gli anni a cavallo tra il Cinquanta e il Sessanta – «i meravigliosi anni mai esistiti» – rievocati da Happy Days, una sitcom di straordinario successo, andata in onda dal 1974 al 1984, che raccontava i «giorni felici» della famiglia Cunningham. Secondo Lucrezia Ercoli, è nel campo della serialità televisiva che l’immaginario nostalgico si esprime più distesamente e puntualmente, perché «solo le serie tv hanno la possibilità di creare mondi abitabi- li dallo spettatore per un tempo indefinito, universi dove sostare a lungo alla ricerca dei dettagli nostalgici che ci fanno sentire a casa». Oltre ad alcune serie televisive, Ercoli analizza alcuni film appartenenti a quello che si potrebbe chiamare «genere nostalgico»: American Graffiti, di George Lucas (un «archetipo» girato nel ’73 e ambientato nell’estate del ’62); Pleasantville, di Gary Ross; The Truman Show, di Peter Weir; Chiamami col tuo nome, di Luca Guadagnino, in cui «la città di Crema, dove è girato il film, non esiste. Così come non esiste l’Italia dove la storia è ambientata»: Guadagnino dipinge «un Eden metafisico» e «non racconta un’estate degli anni ’80», gli anni della sua gio-