Azione 14 del 3 aprile 2017

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 3 aprile 2017

Azione 14 ping -79 M shop ne 49-58 / 71 i alle pag

Società e Territorio Intervista ad Alberto Pellai che ci spiega le caratteristiche del bullismo al femminile

Ambiente e Benessere Inserite negli elenchi degli stupefacenti ben altre trentacinque nuove sostanze psicoattive. Ce ne parla il dottor PhD Alessandro Ceschi

Politica e Economia I servizi segreti interni americani sono l’altra faccia, invisibile, del potere

Cultura e Spettacoli Jazz, una storia da ripercorrere a Chiasso insieme allo scrittore ed esperto Bruce Boyd Raeborn

pagina 15

pagina 5

pagina 25

pagina 37

di Peter Schiesser pagine 2 e 3

Vincenzo Cammarata

Un Fiore in omaggio al Ticino

Sul carbone, più scena che sostanza di Peter Schiesser L’approccio dirompente di Donald Trump investe anche la politica ambientale del suo predecessore (vedi Federico Rampini a pagina 27). Tutto come previsto, lo aveva promesso in campagna elettorale, lo aveva preannunciato nominando Scott Pruitt alla testa del Dipartimento dell’ambiente, un convinto «negazionista» dell’impatto delle attività umane sul clima. E questo non è certamente una buona notizia. Ma cambierà davvero molto negli Stati Uniti? L’impressione è che anche in questo caso Trump abbia inscenato un cambiamento che è più facile a dirsi che a farsi, come abbiamo già visto in altri ambiti (la cancellazione dell’Obamacare e le limitazioni all’immigrazione sono impediti dal complesso sistema di checks and balances politico e giudiziario americano). Trump vuole resuscitare l’industria del carbone? Che ci riesca, non ci crede veramente nessuno, nemmeno i dirigenti delle società minerarie coinvolte, perché le ragioni del declino di questa fonte fossile di energia stanno al di là delle decisioni del governo precedente. Semplicemente, l’energia eolica e quella solare sono oggi competitive dal punto di vista

dei costi e molti Stati e città americane sono convinti sostenitori di queste energie pulite; chi prima investiva nel carbone si sta orientando verso il gas naturale e difficilmente farà un passo indietro; la perdita di impieghi nel settore carbonifero non è solo conseguenza della politica ambientale dell’Amministrazione Obama, ma anche della crescente automatizzazione dei processi di lavoro, servono quindi comunque meno minatori. Secondo una stima del «New York Times», l’annullamento delle restrizioni per l’industria del carbone potrebbe restituire a questa fonte fossile una quota di mercato del 10 per cento. Tuttavia, anche in questo caso le decisioni di Trump dovranno superare un monte di ostacoli legali, per cancellare la politica ambientale di Obama serviranno anni. Va sottolineato che l’evoluzione verso lo sfruttamento e l’uso di energie pulite in atto negli Stati Uniti è solo parzialmente influenzata dalle decisioni prese a Washington. L’abbandono del carbone è in atto nonostante le restrizioni decise a suo tempo da Obama con il Clean Power Act non siano nemmeno entrate in vigore poiché bloccate dai tribunali, perché la tendenza verso le energie pulite è un processo capillare sostenuto da autorità politiche, da imprenditori e

da cittadini in gran parte degli Stati Uniti, che continueranno ad investire nell’eolico, nel solare e nel gas naturale. Se vogliamo, la forza della politica ambientale obamiana è stata anche fortemente simbolica, ha rafforzato un orientamento in atto nella società americana (contrariamente all’Amministrazione Trump, la maggioranza della popolazione crede nell’influsso umano sui cambiamenti climatici). Ora bisognerà vedere quanta forza simbolica e quale impatto avrà l’impostazione della nuova Amministrazione. Ma basterebbe considerare le leggi di mercato per pronosticare che il carbone non tornerà ad essere una fonte di energia privilegiata. Tuttavia, non è da sottovalutare l’influsso che la posizione del governo americano potrebbe avere su altri paesi, in particolare su quelli emergenti e su quelli più poveri, in cui la riconversione alle energie pulite impone radicali cambiamenti e sacrifici economici. Se gli Stati Uniti rinunciano al loro ruolo di leader nella lotta ai cambiamenti climatici, altri dovranno prendere il loro posto in modo convinto. Al di là dei proclami e degli evidenti progressi nel campo delle energie pulite, la Cina deve ancora dimostrare di voler assumere questo ruolo. Sarà forse soprattutto l’Europa che potrà e dovrà assumerselo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Attualità Migros

Attualità Migros

M Un Fiore Generoso

L’affetto per il Generoso e per la Migros

Fiore di Pietra L’opera di Mario Botta commissionata dalla Migros è stata inaugurata il 29 marzo

Freddy Scherer

Non è vero che le persone sono sostituibili. Gottlieb Duttweiler era un gigante e senza di lui la Migros non avrebbe mai visto la luce. Egli ebbe un solo obiettivo: rendere felici le persone migliorando le loro condizioni di vita. Sono stato per diversi anni ai vertici di Migros e pure responsabile della Monte Generoso. Anni splendidi perché si sapeva di essere vicino alla gente. Come Duttweiler, anche Mario Botta è un gigante e non solo in campo architettonico ma pure umanamente. Da Duttweiler a Botta... era destino.

Presidente di Locarno Festival

Zeno Gabaglio

Maurizio Canetta

Vivo da sei anni nel Mendrisiotto e vedo il Monte Generoso ogni volta che guardo fuori dalla finestra. Ovviamente, ci sono già salito a piedi e ho potuto godere della splendida vista. Grazie all’impegno della Migros, il «Fiore di Pietra» di Mario Botta ha dato un nuovo volto al Monte Generoso. Unire la modernità al mondo della montagna non è cosa facile, ma Mario Botta ci è davvero riuscito e questo ci offre una ragione in più per una gita sul Monte Generoso.

Sono nato e cresciuto proprio sotto il Monte Generoso, a Campora in Valle di Muggio; la montagna è perciò stata una presenza costante: a volte incombente, altre volte rassicurante. Quel che Migros fa per il Monte Generoso rientra in una concezione ampia e pienamente moderna dell’idea di cultura, e ribadisce gli straordinari frutti dell’intuizione commerciale – ma soprattutto sociale – del visionario fondatore Gottlieb Duttweiler.

Se nel nome c’è il destino, il gioco di parole con il Monte Generoso è troppo facile. Per me – uomo di lago, non di montagna – il Generoso è più un’immagine iconica che non la somma di esperienze personali. È dunque il piacere di indirizzare amici che vengono dall’estero o che non ci sono mai stati verso una giornata che resta per sempre nella memoria. Investire in un fiore di pietra vicino al cielo è un colpo d’ala della Migros, che in pieno «spirito Duttweiler» ha scelto una percorso in perfetta sintonia con il nome del monte.

Manuela Balmelli

Daniela Testera

Delia Comi

Chitarrista dei Gotthard

Musicista

Direttore RSI

Martin Hausler

alla presenza di 200 ospiti del mondo della politica, dell’economia e del turismo ticinesi, e rappresentanti dei vertici della Federazione delle Cooperative Migros e di Migros Ticino

Marco Solari

Migros news

L’architetto Mario Botta e Fabrice Zumbrunnen, presidente della ferrovia Monte Generoso, posano per i fotografi. (Vincenzo Cammarata)

Eccolo, dunque, il «Fiore di Pietra», l’ultima opera dell’archi-star Mario Botta: risplende nitido in questa giornata inondata dalla luce del sole, con la sua forma ottagonale, le sue torri di cinque piani, i suoi petali che dapprima si sporgono verso l’esterno e poi si richiudono ai piani alti, le pareti esterne in pietra grigia con strisce alternate lisce o a spacco, come le descrive il suo creatore. L’inaugurazione non poteva svolgersi sotto auspici migliori, la giornata soleggiata e senza nubi, la vista a 360 gradi sulle Alpi, le Prealpi e la pianura padana ha immediatamente proiettato i 200 ospiti in una dimensione sospesa, dove la solidità della montagna e del «Fiore di Pietra» faceva da contrappunto alla vastità del cielo, instillando in tutti un senso di stupore. Una festa cui ha fatto da fondamento un senso di gratitudine per il «Fiore di Pietra», per questo luogo e per una regione, il Mendrisiotto, che con la nuova opera di Mario Botta viene ulteriormente valorizzato. Ed è stato infatti con un «Grazie Migros per il regalo, per essere generosa con il nostro Generoso» che il presidente del governo ticinese Paolo Beltraminelli ha aperto il suo discorso ufficiale, omaggiando «un’opera che si inserisce meravigliosamente in un ambiente particolare, in cui la mano dell’uomo si integra perfettamente nella natura». Per sottolineare quanto il Consiglio di Stato ticinese apprezza, sostiene e sosterrà il «Fiore di Pietra», Beltraminelli ha rivelato ai presenti che il governo ha anticipato la sua seduta settimanale al martedì, affinché tre consiglieri (con lui Christian Vitta e Claudio Zali) potessero presenziare all’inaugurazione

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

direzione generale della FCM): «Fra i molti cantieri che ho visitato questo è quello che mi ha impressionato di più, per la maestria con cui è stato costruito e per la serenità con cui hanno lavorato le maestranze» ha sottolineato nel suo discorso in italiano (un’intervista video con Fabrice Zumbrunnen è visibile su www.azione.ch). Zumbrunnen ha ripercorso la storia di questo luogo particolare e l’impegno del fondatore della Migros Gottlieb Duttweiler che nel 1941 acquistò la ferrovia salvandola dal sicuro fallimento, ricordando con ammirazione che per realizzare il «Fiore di Pietra» a 1700 metri di altitudine senza una strada d’accesso è stato necessario costruire una teleferica dalla Valle di Muggio fino alla vetta del Monte Generoso che in tremila corse ha trasportato

20 mila tonnellate di materiale, e sottolineando che questo progetto, realizzato in due anni di lavori e costato 22 milioni di franchi pagati interamente dal Percento culturale Migros, hanno lavorato 65 ditte, quasi tutte ticinesi. «La Migros intende regalare al Ticino questa meravigliosa opera che diventa un simbolo della regione, un valore aggiunto che aiuti a rilanciare il turismo del Mendrisiotto», ha concluso Fabrice Zumbrunnen, che ha tenuto a ringraziare tutte le persone e le ditte che hanno permesso la realizzazione del «Fiore di Pietra», in particolare lo studio d’ingegneria Brenni Engineering responsabile del progetto statico, lo studio Marzio Giorgetti Architetti che ha diretto i lavori, la FIP Studio Fischli che ha elaborato il concetto gastronomico e pro-

Vincenzo Cammarata

Peter Schiesser

della nuova opera di Mario Botta. Se possibile, ancora più accalorate sono state le parole del sindaco di Mendrisio Carlo Croci in cui si fondevano gratitudine e ammirazione, che sull’onda di ricordi personali e della storia del Monte Generoso, della sua ferrovia e degli alberghi che sono stati costruiti in vetta, ha reso evidente a tutti i presenti quante storie ed emozioni legano la popolazione del Mendrisiotto a questa montagna che si erge così maestosamente fra cielo e pianura. E tanta gratitudine l’ha espressa anche Fabrice Zumbrunnen, presidente della Ferrovia Monte Generoso (oltre che capo del Dipartimento risorse umane, tempo libero e cultura della Federazione delle Cooperative Migros e dall’anno prossimo presidente della

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Tiratura 101’614 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

gettato i due ristoranti, come anche l’ex direttore della ferrovia Monte Generoso Marco Bronzini che lanciò il progetto proponendo Mario Botta come architetto e l’attuale direttore Francesco Isgrò. Gli ha fatto eco Mario Botta, che oltre al progetto architettonico ha curato anche l’allestimento degli spazi interni, affermando che «ogni opera è sempre un lavoro collettivo, non solo dell’architetto». Mario Botta, particolarmente legato sentimentalmente al Generoso fin dalla gioventù, ha voluto elogiare la montagna e «la sua forza di essere un crinale che separa le montagne a nord e la pianura a sud», dipingendo la ferrovia a cremagliera come un «cordone ombelicale che, salendo lentamente, lega il lago e la montagna, strumento di conquista di questa montagna» (un’intervista video con Mario Botta è visibile su www.azione.ch). Ora, dopo la festosa inaugurazione, tutto è pronto per accogliere gli abitanti del Ticino e i turisti a partire dal prossimo 8 aprile, esattamente 150 anni dopo l’inaugurazione del primo albergo in vetta. Il «Fiore di Pietra» offre ai visitatori un ristorante con 125 coperti (con vini selezionati dal sommelier Paolo Basso, serate a tema ogni venerdì e serate ticinesi ogni sabato con tanto di musica e osservazione astronomica, oltre che un pranzo di stagione ogni prima domenica del mese), ma anche un self service con 120 posti a sedere con accesso alla terrazza panoramica ad est dell’edificio. Un accento particolare viene messo anche sulla sala conferenze «Belvedere», divisibile, che può ospitare da 10 a 100 partecipanti, per ogni tipo di incontro di lavoro. Ma il «Fiore di Pietra» offre altri piccoli gioielli, che vi lasceremo scoprire personalmente alla prima occasione. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–

Carla Baroni Pensionata

Mio padre era di Mendrisio e frequentava abitualmente il Generoso, che per lui era il «monte» per antonomasia. Poi ho imparato anch’io ad apprezzarlo, salendolo un po’ da tutti i versanti, per ammirare la fioritura delle peonie o le «nevere» che si trovano ancora sul versante meridionale. È un monte veramente Generoso, di nome e di fatto. E apprezzo anche la torta della Migros che porta il suo nome... La Migros ha fatto un gesto veramente lungimirante, ancora ai tempi di Duttweiler, nel salvare dallo smantellamento il trenino del Generoso. Ora col «fiore» di Botta continua nel suo ammirevole impegno in questo senso.

Assistente medica

Non sono mai stata sul Generoso ma ho sentito molto parlare del nuovo progetto dell’architetto Botta: mi ha incuriosito e ora voglio assolutamente salire per vederlo. Trovo che l’impegno Migros sia assolutamente importante per il modo con cui valorizza la nostra regione.

Felix Della Neve Pensionato

Pensionata

Già da bambina i miei genitori mi portavano sul Generoso e in Valle di Muggio a passeggiare. Ho quindi dei bellissimi ricordi di gite, pic-nic, pranzi nei grotti con i cugini, le prime sciate, la salita fino a Bellavista con il trenino. Sono contenta che Migros sostenga e salvaguardi la fauna e i luoghi tipici del Ticino. Pregevole anche l’investimento effettuato per la costruzione del fiore di Botta.

Casalinga e impiegata a tempo parziale

Abito da trent’anni ai piedi del Generoso ed è un punto di riferimento sia geografico sia emotivo. Per quello che riguarda l’impegno di Migros rispetto al Generoso, sono contenta che tutti possano salire sulla cima grazie al trenino perche da lassù la vista è stupenda e si possono godere i privilegi della montagna.... Io preferisco comunque salire a piedi.

Infermiera in pensione

Barbara Vassalli-Gentilini

Il mattino lo sguardo assonnato sul risveglio lontano del nostro paesaggio, il mezzogiorno permette un tranquillo e caldo ristoro, la sera ci offre i colori del tramonto sulle vette alpine e la notte ci copre di stelle facendoci perdere la dimensione terrena per proiettarci nell’infinito. Conosco diverse realtà paesaggisticamente valorizzate dalla Migros e sono convinta che oggi più che mai si debbano preservare e riscoprire luoghi che permettano alle famiglie di vivere momenti didattici o rilassanti in sintonia con la natura senza per questo rinunciare a certe comodità.

La vista del Monte Generoso rappresenta per me, oltre al bel ricordo della mia infanzia e tante gite insieme alla mia famiglia, il ritorno a casa: infatti ogni volta che tornavo dalle vacanze e da lontano vedevo questa montagna, pensavo con gioia che ormai ero arrivata. Migros, con la costruzione della ferrovia che porta alla vetta del Monte Generoso, ha aiutato moltissimo a promuovere turisticamente questa montagna e di conseguenza tutto il Mendrisiotto, attirando tanti turisti svizzeri e stranieri.

Graziella Bonacina

Ex hostess Swissair, attualmente casalinga e mamma di cinque figli

Gaia Mascetti Impiegata e mamma

Sono nata e cresciuta a Somazzo, un paesino sul Monte Generoso. Mi legano i ricordi di bambina e adolescente quando con la famiglia si andava a raccogliere castagne. Apprezzo molto l’impegno di Migros per valorizzare una parte così bella del nostro Ticino.

Il mio ricordo legato al Generoso è una scampagnata con amici, in motorino e con la tenda, nel 1963. Siamo saliti a campeggiare la sera con il proposito di assistere alla levata del sole la mattina dopo. Siamo andati a dormire in tenda molto tardi dopo una bella grigliata, e al mattino ci siamo svegliati quando il sole era già ben alto… La salvaguardia del Generoso è stato un tema difficile nel corso degli ultimi decenni, ci sono stati momenti difficili e progetti a cui sono stati messi bastoni tra le ruote. L’impressione è che si sia fatto il mimino indispensabile per tutelarlo: in questo contesto con il suo impegno Migros ha sicuramente contribuito a mantenerlo vivo.

FCM, fatturato in crescita in un mercato in contrazione Nel 2016 il Gruppo Migros ha registrato un andamento solido nonostante il difficile quadro generale. I ricavi sono aumentati dell’1,2%, toccando quota 27,7 miliardi di franchi. Anche il fatturato del commercio al dettaglio in Svizzera e all’estero è cresciuto dell’1,2% attestandosi a 23,269 miliardi di franchi. In un contesto economico caratterizzato dal perdurare di situazioni di difficoltà, Migros è riuscita ad ampliare ancora una volta le proprie quote di mercato di un significativo 0,7%. Nell’esercizio in rassegna, l’utile del Gruppo si è attestato a 663 milioni di franchi (–16,2%). Gli investimenti, per un totale di 1,663 miliardi di franchi, sono stati nettamente superiori all’anno precedente (+22,6%). A fine anno il Gruppo Migros occupava un organico di 102’851 persone, di cui 3775 apprendisti. Herbert Bolliger, presidente della Direzione generale della FCM, commenta in questi termini l’esercizio scorso: «La forza del franco e il conseguente turismo degli acquisti, nonché il commercio online, hanno inciso sulle nostre attività anche l’anno scorso. Il fatto di essere riusciti di nuovo ad incrementare la frequenza dei clienti, a conquistare ulteriori quote di mercato e ad accrescere il fatturato in questo contesto di mercato è un successo. Un ulteriore dato positivo è stata l’introduzione dell’iniziativa nel settore sanitario e il lancio della nuova piattaforma della salute iMpuls». Su www.azione.ch è consultabile il comunicato integrale, con tutti i dettagli delle attività di Migros. Fabrice Zumbrunnen eletto nel CdA della FCM Alla 182.esima assemblea dei delegati della Federazione delle cooperative Migros tenutasi a Zurigo il 25 marzo 2017, il neo-designato presidente della direzione generale della Federazione delle cooperative Migros Fabrice Zumbrunnen è stato eletto a grande maggioranza (con 94 voti a favore e 14 contrari) nel Consiglio d’amministrazione della FCM, che conta 23 membri. Zumbrunnen, che attualmente è membro della direzione generale dell FCM e capo del Dipartimento risorse umane, tempo libero e cultura, entrerà in carica come presidente della direzione generale il 1. gennaio 2018, subentrando a Herbert Bolliger, che a 64 anni entra a beneficio della pensione. I delegati hanno inoltre approvato all’unanimità sia il rapporto annuo, sia i conti della Federazione delle cooperative Migros per l’anno 2016. Prima della votazione, il presidente della FCM Andrea Broggini ha espresso alcune riflessioni sullo sviluppo in atto nella comunità Migros: «Sono convinto che ci troviamo di fronte ad una svolta», ha dichiarato, «dal 2010 il commercio al dettaglio svizzero ristagna, dal 2014 al 2016 il volume totale è calato di 3,7 miliardi di franchi a 93,9 miliardi. La nostra cifra d’affari è nel contempo cresciuta di 1,2 punti a 27,7 miliardi, abbiamo dunque accresciuto leggermente la nostra quota di mercato, ma l’utile netto è diminuito del 16,2 per cento a 663 milioni di franchi». Andrea Broggini ha ricondotto questa tendenza all’affermarsi del commercio online, oltre che al turismo degli acquisti. In questo contesto – ha continuato Broggini – Migros è ben posizionata, grazie a Digitec-Galaxus e ad altre iniziative, e risulta essere il numero uno in Svizzera del commercio online, ma dovrà affrontare le sfide della digitalizzazione con sempre nuove idee e progetti: «quanto stiamo facendo dimostra che abbiamo il coraggio di percorrere vie nuove», ha concluso il presidente della FCM.


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Attualità Migros

Attualità Migros

M Un Fiore Generoso

L’affetto per il Generoso e per la Migros

Fiore di Pietra L’opera di Mario Botta commissionata dalla Migros è stata inaugurata il 29 marzo

Freddy Scherer

Non è vero che le persone sono sostituibili. Gottlieb Duttweiler era un gigante e senza di lui la Migros non avrebbe mai visto la luce. Egli ebbe un solo obiettivo: rendere felici le persone migliorando le loro condizioni di vita. Sono stato per diversi anni ai vertici di Migros e pure responsabile della Monte Generoso. Anni splendidi perché si sapeva di essere vicino alla gente. Come Duttweiler, anche Mario Botta è un gigante e non solo in campo architettonico ma pure umanamente. Da Duttweiler a Botta... era destino.

Presidente di Locarno Festival

Zeno Gabaglio

Maurizio Canetta

Vivo da sei anni nel Mendrisiotto e vedo il Monte Generoso ogni volta che guardo fuori dalla finestra. Ovviamente, ci sono già salito a piedi e ho potuto godere della splendida vista. Grazie all’impegno della Migros, il «Fiore di Pietra» di Mario Botta ha dato un nuovo volto al Monte Generoso. Unire la modernità al mondo della montagna non è cosa facile, ma Mario Botta ci è davvero riuscito e questo ci offre una ragione in più per una gita sul Monte Generoso.

Sono nato e cresciuto proprio sotto il Monte Generoso, a Campora in Valle di Muggio; la montagna è perciò stata una presenza costante: a volte incombente, altre volte rassicurante. Quel che Migros fa per il Monte Generoso rientra in una concezione ampia e pienamente moderna dell’idea di cultura, e ribadisce gli straordinari frutti dell’intuizione commerciale – ma soprattutto sociale – del visionario fondatore Gottlieb Duttweiler.

Se nel nome c’è il destino, il gioco di parole con il Monte Generoso è troppo facile. Per me – uomo di lago, non di montagna – il Generoso è più un’immagine iconica che non la somma di esperienze personali. È dunque il piacere di indirizzare amici che vengono dall’estero o che non ci sono mai stati verso una giornata che resta per sempre nella memoria. Investire in un fiore di pietra vicino al cielo è un colpo d’ala della Migros, che in pieno «spirito Duttweiler» ha scelto una percorso in perfetta sintonia con il nome del monte.

Manuela Balmelli

Daniela Testera

Delia Comi

Chitarrista dei Gotthard

Musicista

Direttore RSI

Martin Hausler

alla presenza di 200 ospiti del mondo della politica, dell’economia e del turismo ticinesi, e rappresentanti dei vertici della Federazione delle Cooperative Migros e di Migros Ticino

Marco Solari

Migros news

L’architetto Mario Botta e Fabrice Zumbrunnen, presidente della ferrovia Monte Generoso, posano per i fotografi. (Vincenzo Cammarata)

Eccolo, dunque, il «Fiore di Pietra», l’ultima opera dell’archi-star Mario Botta: risplende nitido in questa giornata inondata dalla luce del sole, con la sua forma ottagonale, le sue torri di cinque piani, i suoi petali che dapprima si sporgono verso l’esterno e poi si richiudono ai piani alti, le pareti esterne in pietra grigia con strisce alternate lisce o a spacco, come le descrive il suo creatore. L’inaugurazione non poteva svolgersi sotto auspici migliori, la giornata soleggiata e senza nubi, la vista a 360 gradi sulle Alpi, le Prealpi e la pianura padana ha immediatamente proiettato i 200 ospiti in una dimensione sospesa, dove la solidità della montagna e del «Fiore di Pietra» faceva da contrappunto alla vastità del cielo, instillando in tutti un senso di stupore. Una festa cui ha fatto da fondamento un senso di gratitudine per il «Fiore di Pietra», per questo luogo e per una regione, il Mendrisiotto, che con la nuova opera di Mario Botta viene ulteriormente valorizzato. Ed è stato infatti con un «Grazie Migros per il regalo, per essere generosa con il nostro Generoso» che il presidente del governo ticinese Paolo Beltraminelli ha aperto il suo discorso ufficiale, omaggiando «un’opera che si inserisce meravigliosamente in un ambiente particolare, in cui la mano dell’uomo si integra perfettamente nella natura». Per sottolineare quanto il Consiglio di Stato ticinese apprezza, sostiene e sosterrà il «Fiore di Pietra», Beltraminelli ha rivelato ai presenti che il governo ha anticipato la sua seduta settimanale al martedì, affinché tre consiglieri (con lui Christian Vitta e Claudio Zali) potessero presenziare all’inaugurazione

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

direzione generale della FCM): «Fra i molti cantieri che ho visitato questo è quello che mi ha impressionato di più, per la maestria con cui è stato costruito e per la serenità con cui hanno lavorato le maestranze» ha sottolineato nel suo discorso in italiano (un’intervista video con Fabrice Zumbrunnen è visibile su www.azione.ch). Zumbrunnen ha ripercorso la storia di questo luogo particolare e l’impegno del fondatore della Migros Gottlieb Duttweiler che nel 1941 acquistò la ferrovia salvandola dal sicuro fallimento, ricordando con ammirazione che per realizzare il «Fiore di Pietra» a 1700 metri di altitudine senza una strada d’accesso è stato necessario costruire una teleferica dalla Valle di Muggio fino alla vetta del Monte Generoso che in tremila corse ha trasportato

20 mila tonnellate di materiale, e sottolineando che questo progetto, realizzato in due anni di lavori e costato 22 milioni di franchi pagati interamente dal Percento culturale Migros, hanno lavorato 65 ditte, quasi tutte ticinesi. «La Migros intende regalare al Ticino questa meravigliosa opera che diventa un simbolo della regione, un valore aggiunto che aiuti a rilanciare il turismo del Mendrisiotto», ha concluso Fabrice Zumbrunnen, che ha tenuto a ringraziare tutte le persone e le ditte che hanno permesso la realizzazione del «Fiore di Pietra», in particolare lo studio d’ingegneria Brenni Engineering responsabile del progetto statico, lo studio Marzio Giorgetti Architetti che ha diretto i lavori, la FIP Studio Fischli che ha elaborato il concetto gastronomico e pro-

Vincenzo Cammarata

Peter Schiesser

della nuova opera di Mario Botta. Se possibile, ancora più accalorate sono state le parole del sindaco di Mendrisio Carlo Croci in cui si fondevano gratitudine e ammirazione, che sull’onda di ricordi personali e della storia del Monte Generoso, della sua ferrovia e degli alberghi che sono stati costruiti in vetta, ha reso evidente a tutti i presenti quante storie ed emozioni legano la popolazione del Mendrisiotto a questa montagna che si erge così maestosamente fra cielo e pianura. E tanta gratitudine l’ha espressa anche Fabrice Zumbrunnen, presidente della Ferrovia Monte Generoso (oltre che capo del Dipartimento risorse umane, tempo libero e cultura della Federazione delle Cooperative Migros e dall’anno prossimo presidente della

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

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gettato i due ristoranti, come anche l’ex direttore della ferrovia Monte Generoso Marco Bronzini che lanciò il progetto proponendo Mario Botta come architetto e l’attuale direttore Francesco Isgrò. Gli ha fatto eco Mario Botta, che oltre al progetto architettonico ha curato anche l’allestimento degli spazi interni, affermando che «ogni opera è sempre un lavoro collettivo, non solo dell’architetto». Mario Botta, particolarmente legato sentimentalmente al Generoso fin dalla gioventù, ha voluto elogiare la montagna e «la sua forza di essere un crinale che separa le montagne a nord e la pianura a sud», dipingendo la ferrovia a cremagliera come un «cordone ombelicale che, salendo lentamente, lega il lago e la montagna, strumento di conquista di questa montagna» (un’intervista video con Mario Botta è visibile su www.azione.ch). Ora, dopo la festosa inaugurazione, tutto è pronto per accogliere gli abitanti del Ticino e i turisti a partire dal prossimo 8 aprile, esattamente 150 anni dopo l’inaugurazione del primo albergo in vetta. Il «Fiore di Pietra» offre ai visitatori un ristorante con 125 coperti (con vini selezionati dal sommelier Paolo Basso, serate a tema ogni venerdì e serate ticinesi ogni sabato con tanto di musica e osservazione astronomica, oltre che un pranzo di stagione ogni prima domenica del mese), ma anche un self service con 120 posti a sedere con accesso alla terrazza panoramica ad est dell’edificio. Un accento particolare viene messo anche sulla sala conferenze «Belvedere», divisibile, che può ospitare da 10 a 100 partecipanti, per ogni tipo di incontro di lavoro. Ma il «Fiore di Pietra» offre altri piccoli gioielli, che vi lasceremo scoprire personalmente alla prima occasione. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–

Carla Baroni Pensionata

Mio padre era di Mendrisio e frequentava abitualmente il Generoso, che per lui era il «monte» per antonomasia. Poi ho imparato anch’io ad apprezzarlo, salendolo un po’ da tutti i versanti, per ammirare la fioritura delle peonie o le «nevere» che si trovano ancora sul versante meridionale. È un monte veramente Generoso, di nome e di fatto. E apprezzo anche la torta della Migros che porta il suo nome... La Migros ha fatto un gesto veramente lungimirante, ancora ai tempi di Duttweiler, nel salvare dallo smantellamento il trenino del Generoso. Ora col «fiore» di Botta continua nel suo ammirevole impegno in questo senso.

Assistente medica

Non sono mai stata sul Generoso ma ho sentito molto parlare del nuovo progetto dell’architetto Botta: mi ha incuriosito e ora voglio assolutamente salire per vederlo. Trovo che l’impegno Migros sia assolutamente importante per il modo con cui valorizza la nostra regione.

Felix Della Neve Pensionato

Pensionata

Già da bambina i miei genitori mi portavano sul Generoso e in Valle di Muggio a passeggiare. Ho quindi dei bellissimi ricordi di gite, pic-nic, pranzi nei grotti con i cugini, le prime sciate, la salita fino a Bellavista con il trenino. Sono contenta che Migros sostenga e salvaguardi la fauna e i luoghi tipici del Ticino. Pregevole anche l’investimento effettuato per la costruzione del fiore di Botta.

Casalinga e impiegata a tempo parziale

Abito da trent’anni ai piedi del Generoso ed è un punto di riferimento sia geografico sia emotivo. Per quello che riguarda l’impegno di Migros rispetto al Generoso, sono contenta che tutti possano salire sulla cima grazie al trenino perche da lassù la vista è stupenda e si possono godere i privilegi della montagna.... Io preferisco comunque salire a piedi.

Infermiera in pensione

Barbara Vassalli-Gentilini

Il mattino lo sguardo assonnato sul risveglio lontano del nostro paesaggio, il mezzogiorno permette un tranquillo e caldo ristoro, la sera ci offre i colori del tramonto sulle vette alpine e la notte ci copre di stelle facendoci perdere la dimensione terrena per proiettarci nell’infinito. Conosco diverse realtà paesaggisticamente valorizzate dalla Migros e sono convinta che oggi più che mai si debbano preservare e riscoprire luoghi che permettano alle famiglie di vivere momenti didattici o rilassanti in sintonia con la natura senza per questo rinunciare a certe comodità.

La vista del Monte Generoso rappresenta per me, oltre al bel ricordo della mia infanzia e tante gite insieme alla mia famiglia, il ritorno a casa: infatti ogni volta che tornavo dalle vacanze e da lontano vedevo questa montagna, pensavo con gioia che ormai ero arrivata. Migros, con la costruzione della ferrovia che porta alla vetta del Monte Generoso, ha aiutato moltissimo a promuovere turisticamente questa montagna e di conseguenza tutto il Mendrisiotto, attirando tanti turisti svizzeri e stranieri.

Graziella Bonacina

Ex hostess Swissair, attualmente casalinga e mamma di cinque figli

Gaia Mascetti Impiegata e mamma

Sono nata e cresciuta a Somazzo, un paesino sul Monte Generoso. Mi legano i ricordi di bambina e adolescente quando con la famiglia si andava a raccogliere castagne. Apprezzo molto l’impegno di Migros per valorizzare una parte così bella del nostro Ticino.

Il mio ricordo legato al Generoso è una scampagnata con amici, in motorino e con la tenda, nel 1963. Siamo saliti a campeggiare la sera con il proposito di assistere alla levata del sole la mattina dopo. Siamo andati a dormire in tenda molto tardi dopo una bella grigliata, e al mattino ci siamo svegliati quando il sole era già ben alto… La salvaguardia del Generoso è stato un tema difficile nel corso degli ultimi decenni, ci sono stati momenti difficili e progetti a cui sono stati messi bastoni tra le ruote. L’impressione è che si sia fatto il mimino indispensabile per tutelarlo: in questo contesto con il suo impegno Migros ha sicuramente contribuito a mantenerlo vivo.

FCM, fatturato in crescita in un mercato in contrazione Nel 2016 il Gruppo Migros ha registrato un andamento solido nonostante il difficile quadro generale. I ricavi sono aumentati dell’1,2%, toccando quota 27,7 miliardi di franchi. Anche il fatturato del commercio al dettaglio in Svizzera e all’estero è cresciuto dell’1,2% attestandosi a 23,269 miliardi di franchi. In un contesto economico caratterizzato dal perdurare di situazioni di difficoltà, Migros è riuscita ad ampliare ancora una volta le proprie quote di mercato di un significativo 0,7%. Nell’esercizio in rassegna, l’utile del Gruppo si è attestato a 663 milioni di franchi (–16,2%). Gli investimenti, per un totale di 1,663 miliardi di franchi, sono stati nettamente superiori all’anno precedente (+22,6%). A fine anno il Gruppo Migros occupava un organico di 102’851 persone, di cui 3775 apprendisti. Herbert Bolliger, presidente della Direzione generale della FCM, commenta in questi termini l’esercizio scorso: «La forza del franco e il conseguente turismo degli acquisti, nonché il commercio online, hanno inciso sulle nostre attività anche l’anno scorso. Il fatto di essere riusciti di nuovo ad incrementare la frequenza dei clienti, a conquistare ulteriori quote di mercato e ad accrescere il fatturato in questo contesto di mercato è un successo. Un ulteriore dato positivo è stata l’introduzione dell’iniziativa nel settore sanitario e il lancio della nuova piattaforma della salute iMpuls». Su www.azione.ch è consultabile il comunicato integrale, con tutti i dettagli delle attività di Migros. Fabrice Zumbrunnen eletto nel CdA della FCM Alla 182.esima assemblea dei delegati della Federazione delle cooperative Migros tenutasi a Zurigo il 25 marzo 2017, il neo-designato presidente della direzione generale della Federazione delle cooperative Migros Fabrice Zumbrunnen è stato eletto a grande maggioranza (con 94 voti a favore e 14 contrari) nel Consiglio d’amministrazione della FCM, che conta 23 membri. Zumbrunnen, che attualmente è membro della direzione generale dell FCM e capo del Dipartimento risorse umane, tempo libero e cultura, entrerà in carica come presidente della direzione generale il 1. gennaio 2018, subentrando a Herbert Bolliger, che a 64 anni entra a beneficio della pensione. I delegati hanno inoltre approvato all’unanimità sia il rapporto annuo, sia i conti della Federazione delle cooperative Migros per l’anno 2016. Prima della votazione, il presidente della FCM Andrea Broggini ha espresso alcune riflessioni sullo sviluppo in atto nella comunità Migros: «Sono convinto che ci troviamo di fronte ad una svolta», ha dichiarato, «dal 2010 il commercio al dettaglio svizzero ristagna, dal 2014 al 2016 il volume totale è calato di 3,7 miliardi di franchi a 93,9 miliardi. La nostra cifra d’affari è nel contempo cresciuta di 1,2 punti a 27,7 miliardi, abbiamo dunque accresciuto leggermente la nostra quota di mercato, ma l’utile netto è diminuito del 16,2 per cento a 663 milioni di franchi». Andrea Broggini ha ricondotto questa tendenza all’affermarsi del commercio online, oltre che al turismo degli acquisti. In questo contesto – ha continuato Broggini – Migros è ben posizionata, grazie a Digitec-Galaxus e ad altre iniziative, e risulta essere il numero uno in Svizzera del commercio online, ma dovrà affrontare le sfide della digitalizzazione con sempre nuove idee e progetti: «quanto stiamo facendo dimostra che abbiamo il coraggio di percorrere vie nuove», ha concluso il presidente della FCM.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Società e Territorio Passi nell’immaginario È al via la terza edizione di Storie Controvento, il festival dedicato alla letteratura per ragazzi pagina 7

Genitori e lavoro La conciliazione famiglia-lavoro è difficile per molti neo-genitori e, in Ticino, prevalgono ancora modelli tradizionali

La stampa vacilla I giornali, anche ticinesi, sono in crisi soprattutto a causa del calo delle entrate pubblicitarie

A due passi Oliver Scharpf ci accompagna nelle strade di Mendrisio alla ricerca di un tarassaco gigante

Bullismo al femminile

Intervista Sono le dinamiche di inclusione ed esclusione ad essere alla base del bullismo tra ragazze.

pagina 8

Abbiamo approfondito il tema con il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai

essere soli e questa può rivelarsi una zona terapeutica, che, con un buon intervento da parte dell’adulto, può condurre a dei cambiamenti nelle relazioni.

Alessandra Ostini Sutto pagina 10

pagina 11

Secondo lo studioso Robert Sternberg la saggezza è una questione di equilibrio. (Keystone)

Televisione e stampa tendono a riportare episodi di violenza fisica fra ragazzi, contribuendo a diffondere nell’immaginario collettivo l’idea che siano esclusivamente i maschi i protagonisti del bullismo. Anche i primi studi condotti sul tema concentravano la propria attenzione sui ragazzi e attribuivano alle ragazze il ruolo di spettatrici o vittime passive. La realtà dei fatti è però un’altra: le ragazze sono capaci di episodi di violenza subdoli che, in genere, non si avvalgono della forza fisica ma di altre strategie per rendere difficile la vita delle vittime.

In apertura ha fatto un accenno al cyberbullismo; in che modo la tecnologia influenza il bullismo al femminile?

La tecnologia attiva molti comportamenti che vengono agiti nell’online senza essere pensati troppo. Anche al di fuori di un quadro di bullismo, è molto più facile che sul web le persone trattino male, parlino male o offendano gli altri o ancora utilizzino le immagini di altri in un modo disfunzionale. Vuole fare un esempio?

«Oggi le ragazze hanno sdoganato l’aggressività verbale e relazionale sull’online, trasferendola poi nella vita reale»

Diventare più saggi per vivere meglio Tempi moderni Alcune ricerche internazionali studiano i modi per riuscire a raggiungere la saggezza:

un sano distacco dalla realtà porta a essere più lucidi, concentrati, sereni e a vivere più a lungo

Stefania Prandi Saggi non si nasce, si diventa. Si può imparare a essere più equilibrati, senza perdere il controllo di fronte alle avversità, evitando di lasciarsi abbattere dalle difficoltà, considerando i punti di vista degli altri, le diverse prospettive, la visione di insieme, ricordandosi che il mondo è in continuo cambiamento. Nelle università statunitensi e canadesi si studiano la saggezza e i modi per raggiungerla perché, come sostengono filosofie orientali e occidentali, un sano distacco dalla realtà porta a essere più lucidi, concentrati e ad affrontare meglio la quotidianità. È in corso la riscoperta degli stoici, in particolare di Seneca, Epitteto e Marco Aurelio attraverso la ristampa di raccolte di aforismi e convegni. Quest’ultimo è molto apprezzato: da quel che si dice, Bill Clinton legge una volta all’anno i Pensieri dell’imperatore romano e, come suggerisce con una battuta un articolo del «Guardian», è probabile che li abbia dati anche alla moglie Hillary, dopo la sconfitta alle scorse elezioni americane. La BBC ha dedicato alla saggezza un programma radiofonico, durante il quale sono stati citati gli studi di Igor

Grossmann, docente di Psicologia e direttore del Wisdom and Cultural Lab dell’Università di Waterloo, in Ontario, Canada: le persone sagge hanno maggiori soddisfazioni, soprattutto quando invecchiano, e vivono più a lungo. L’intelligenza da sola non porta gli stessi benefici, perché non è detto che chi sia dotato di un alto quoziente intellettivo sappia costruire buone relazioni e prendere decisioni giuste nella vita di tutti i giorni. Per riuscire a «elevarsi» serve di più. In una delle sue ultime ricerche Grossmann ha analizzato i modi in cui le persone affrontano le difficoltà quotidiane, dal traffico, ai ritardi al lavoro, ai litigi con i colleghi e i familiari. Dal quadro complessivo è emerso che chi ragiona in modo più saggio in certe circostanze non è detto che riesca a fare lo stesso in altre. Ad esempio, quando si è insieme agli amici e si discute, si tende ad avere una visione più complessiva e «oggettiva» della realtà rispetto a quando si è da soli e ci si perde nel rimuginìo continuo. «Abbiamo osservato che quando si prendono decisioni da soli si tende a inibire la saggezza, e di conseguenza la capacità di avere un strategia per distanziarsi da quello che

sta accadendo» spiega Grossmann ad «Azione». «Inoltre si è molto più bravi con le situazioni degli altri che con le proprie». A riprova del fatto che sia più facile dare consigli che non ragionare su di sé, è stato chiesto a un campione di studenti di stimare quanto tempo servisse per finire un compito e poi di stabilire anche una previsione per i compagni. Il risultato è stato che gli studenti si sono dimostrati molto più bravi a indovinare le tempistiche corrette degli altri, prendendo in considerazione possibili ostacoli e interruzioni indipendenti dalla loro volontà, che venivano invece ignorate per sé stessi. Secondo un altro studioso, Robert Sternberg, psicologo della Cornell University, negli Stati Uniti, la saggezza è una questione di equilibrio: saper bilanciare la contingenza con la progettualità, il proprio interesse con quello degli altri, considerare le diverse opzioni, adattandosi alle situazioni ma allo stesso tempo condizionandole, e cercandone di nuove, più favorevoli. Atteggiamenti che potenzialmente potrebbero essere adottati da tutti, anche se non è così semplice. Come fa notare Howard Nusbaum, professore di Psicologia alla Chicago University negli Stati

Uniti, specializzato in ricerche cognitive e sui meccanismi neuronali alla base della saggezza, «il fatto che la saggezza sia qualcosa di acquisibile, non significa che tutti possiamo diventare saggi nel senso classico del termine, perché siamo persone con esperienze, capacità, motivazioni, conoscenze diverse. Comunque ognuno di noi può imparare a fare scelte o prendere decisioni migliori di quelle del passato. Non è detto, invece, che esperienze negative o persino tragiche aiutino a migliorare il nostro modo di essere. Si tratta di una credenza popolare che non ha trovato riscontro nelle nostre analisi. Piuttosto aiuta avere vissuto situazioni che aumentano la capacità di riflessione, di essere curiosi e interessati ai problemi del mondo, di avere a cuore il benessere degli altri». Non esistono ricette sicure ed efficaci per riuscire a percorrere la via dell’equilibrio. Fondamentale, da quel che emerge dalle ricerche di Nusbaum, è l’umiltà. «Questo significa riconoscere cosa sappiamo e cosa no e rispettare i valori delle altre persone, anche se non coincidono con i nostri. Risulta necessaria la capacità di sopportare l’incertezza e l’ambiguità. Crediamo,

ma non abbiamo ancora raccolto abbastanza conferme al riguardo, che sia fondamentale la disponibilità alla perseveranza e a riflettere sui problemi, così come l’abilità di riuscire a tenere a mente più cose insieme». Ci sono trucchetti che si possono imparare, che non garantiscono di ottenere il risultato, ma possono essere utili per avvicinarsi – anche se con fatica – alla meta. Ad esempio, pensare a sé stessi e ai propri problemi in terza persona, oppure immaginare di essere una mosca sul muro che osserva la stanza in cui ci troviamo, i nostri movimenti, e che ascolta la nostre parole. Tutto ciò che aiuta a distanziarci dalle situazioni, a riflettere con lucidità, senza perderci nella paranoia, rappresenta un buon metodo per cambiare atteggiamento. Allenandoci, giorno dopo giorno, riusciremo magari ad avere almeno un barlume di quell’illuminazione che ha portato saggi come Epitteto a formulare massime che hanno resistito allo scorrere dei secoli. Ci sembrerà forse sempre meno difficile fare come consiglia nel precetto 8 del Manuale: «Non devi adoperarti perché gli avvenimenti seguano il tuo desiderio, ma desiderali così come avvengono, e la tua vita scorrerà serena».

Quello femminile è infatti un bullismo di tipo psicologico: spesso la vittima stessa non si rende conto di subire una vera e propria violenza. E tantomeno chi la circonda percepisce facilmente i segnali di questo bullismo indiretto, poiché questi non sono visibili ma interiori. Le bulle prendono di mira ciò che per una ragazza è di cruciale importanza in questa fase della vita, e cioè le relazioni con le coetanee, facendo in modo che la vittima rimanga da sola. Il bullismo al femminile è soprattutto un’aggressione relazionale che si ripete senza tregua, con il risultato di calpestare l’autostima di chi ne è vittima. Abbiamo approfondito questo delicato argomento con Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano. Padre di quattro figli, Pellai è autore di molti bestseller per genitori, tradotti anche all’estero. L’ultimo in ordine di tempo è L’età dello tsunami. Come sopravvivere a un figlio pre-adolescente, che presenterà a Porza il prossimo 24 aprile (Sala Clay Regazzoni, ore 20.00). Un modo più «leggero» per farsi un’idea sul bullismo femminile è invece il film Mean girls, diretto nel 2004 dal regista Mark Waters. Dottor Pellai, il bullismo al femminile è un fenomeno che si sta diffondendo. Ciononostante l’impressione è che se ne parli poco, come mai?

In realtà si sta diffondendo la sregolazione emotiva dei nostri figli. Il bullismo si situa proprio in una zona dove da una parte si usano la forza e la prepotenza per affermare il proprio potere e dall’altra si è meno capaci di autoregolare le proprie emozioni, in particolare quelle impulsive, come la rabbia. La combinazione di questi due elementi fa sì che il fenomeno – che viene effettivamente raccontato più al maschile, in primis perché i ragazzi, essendo più fisici, lo manifestano in modo più evidente – sia di fatto ben presente pure tra le ragazze. Anche perché oggi le ragazze hanno sdoganato l’aggressività verbale e relazionale sull’online, trasferendola successivamente nella vita reale. In generale comunque il bullismo al femminile è basato su dinamiche di inclusione ed esclusione. Entrando maggiormente nello specifico, chi è la bulla e come agisce?

Potrebbe essere quello di un ragazzo che nella logica dello «scherzone» fotografa una compagna in reggiseno dalla finestra dello spogliatoio e mette la foto sul gruppo WhatsApp della classe. Improvvisamente la ragazza trova il suo corpo seminudo esposto e si sente spaventosamente vulnerabile. Si tratta di una situazione che si avvicina al sexting – e cioè l’invio, la ricezione o la condivisione di testi, video o immagini inerenti la sessualità – seppur fatta senza l’intento di nuocere. In una situazione come questa, un’azione di pochi secondi può essere presto dimenticata da chi ne è l’autore ma «congela» nell’online l’identità di chi ne è vittima, che può aver bisogno di anni per smaltire le conseguenze emotive di questo gesto. Questo è uno dei motivi per cui è fondamentale promuovere progetti di benessere digitale. Come ci si accorge che la propria figlia è vittima di bullismo? L’esclusione dal gruppo in un adolescente può produrre ansia e angoscia. (Marka)

Nella letteratura la bulla viene definita «l’ape regina». Essa acquisisce potere relazionale attraverso lo status della propria popolarità, legata al valore estetico, al codice del vestiario e al controllo sulle altre del gruppo, alle quali sottilmente fa intendere che, per essere incluse, devono aggregarsi a lei e condividerne lo stile. Chi non lo fa è fuori. E qui si entra nella prima zona di bullismo, legata al codice dell’esclusione. Non viene fatto nulla alla ragazza esclusa, ma non la si include in niente: non la si invita alle feste, non la si coinvolge nei propri discorsi, non si sta con lei nell’intervallo. Questo produce un senso di ansia e a volte anche di angoscia. In pre-adolescenza e adolescenza, quando l’inclusione all’interno del gruppo dei pari è una sfida evolutiva da vincere, scoprirsi soli è infatti molto doloroso. E la seconda zona di bullismo?

Il secondo meccanismo è quello attivo, che comprende fenomeni di denigrazione, umiliazione, presa in giro per il corpo, per il fatto di non avere uno stile, ecc.; l’aspetto esteriore della persona viene cioè indicato col dito da più ragazze che ridono in faccia o alle spalle. Questo fa estremamente male e suscita vergogna, l’emozione che più di tutte blocca in questa fase della crescita. Come si ripercuote il bullismo sulle ragazze prese di mira?

Queste ragazze vivono una sofferenza significativa. Innanzitutto si ha un’attivazione ansiosa, che rap-

presenta un’interferenza fortissima con i compiti di concentrazione, attenzione e apprendimento, impliciti nel percorso scolastico. Oltre a ciò, la vittima si pone ogni giorno l’obiettivo di riuscire a sopravvivere, ma poiché è continuamente oggetto di critiche perde progressivamente autostima, cominciando a pensare di essere effettivamente sbagliata e finendo per l’indossare l’abito che la bulla e le gregarie le cuciono addosso.

Cosa accomuna le vittime scelte dalle bulle?

Le vittime hanno un tratto che può facilmente connotare il concetto di diversità: un corpo troppo grasso, troppo alto, troppo basso, in poche parole diverso dal copione della Barbie o dell’«ape regina». Le gregarie partecipano a questa vittimizzazione perché così facendo si alleano contro qualcuno che incarna la diversità che temono per loro stesse. Puntare il dito su un altro significa evitare che il dito venga puntato su di me e auto-proteggersi così dalla sensazione di inadeguatezza o scarsa sicurezza rispetto al proprio corpo che in pre-adolescenza e adolescenza è particolarmente forte. Perché una ragazza diventa una bulla, cerca di comunicare qualcosa con questo comportamento?

Il bullo, in generale, è una persona che senza questo ruolo avrebbe meno riconoscimenti sul piano sociale. Per la fatica che fa a costruire relazioni

sane rischierebbe paradossalmente di essere lui quello escluso. Invece però di lavorare su questi suoi limiti sceglie di acquisire uno status che gli permette di manipolare gli altri, creando una «scorza» di inavvicinabilità rispetto alla propria interiorità, che spesso è travagliata.

Approfondiamo il rapporto tra la bulla e il suo gruppo…

L’«ape regina» assicura la regia di tutto il meccanismo. Paradossalmente però essa viene ammirata, seguita, emulata ma non amata. Tra la bulla e le gregarie non si generano mai relazioni di intimità perché per essere amici bisogna sentirsi alla pari. In questo caso si tratta invece di un rapporto gerarchico dove l’«ape regina» sta sul trono mentre le altre non possono attentare al suo primato. Tant’è che quando una gregaria acquisisce a sua volta «popolarità» e attacca il potere indiscusso della bulla nascono delle guerre incredibili. La bulla è cosciente di questa mancanza di reali legami?

In genere non se ne accorge e vive in uno stato di isolamento che si è autogenerata. Caratteristica dell’essere bulli è infatti la mancanza di empatia, la fatica di sentire quello che sente l’altro; spesso si sente solo il bisogno di affermare il proprio io, una spinta narcisistica a stare sopra gli altri. L’altro è un oggetto nelle relazioni che porta ad una conferma del proprio status. Capita però che i bulli si rendano conto di

Spesso i figli stanno in silenzio perché si tocca una sfera che ha a che fare con la vergogna, a volte con riferimenti al loro orientamento sessuale o ad un aspetto del loro corpo. Ci sono però diversi indicatori che un genitore può rilevare, soprattutto quando vede uno stato di tristezza cronica o addirittura di ansia legato all’andare a scuola, che non ha a che fare con il rendimento. Per esempio, quello che c’è nei loro social può essere d’aiuto, mentre osservare come entrano il mattino a scuola o come escono il pomeriggio può dire molto su quello che sta succedendo. Vuole dare qualche indicazione ai genitori su come agire?

Innanzitutto consiglio di rivolgersi ai professori, per sapere cosa hanno capito di nostra figlia nelle loro osservazioni. Successivamente va costruita un’alleanza sul piano alto, dove gli adulti devono mettere in atto una strategia protettiva non solo per la ragazza ma per il gruppo al quale appartiene, dal momento che all’interno di quest’ultimo sono state create delle dinamiche relazionali disfunzionali. Infine, consiglio di chiedere alla scuola che ci sia un monitoraggio costante e una serie di incontri supervisionati da adulti specializzati tra la vittima e la bulla. In questi momenti la vittima ha la possibilità di raccontare alla bulla cosa ha provato e perché sta male e la bulla deve prendere l’impegno di fronte agli adulti di riferimento di cambiare il proprio comportamento. Con l’aiuto di uno psicologo o di un terapeuta dell’età evolutiva, questa dovrebbe rivelarsi l’occasione affinché impari che conquistare potere nella vita non significa agire con prepotenza ma usare competenze.


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Società e Territorio Passi nell’immaginario È al via la terza edizione di Storie Controvento, il festival dedicato alla letteratura per ragazzi pagina 7

Genitori e lavoro La conciliazione famiglia-lavoro è difficile per molti neo-genitori e, in Ticino, prevalgono ancora modelli tradizionali

La stampa vacilla I giornali, anche ticinesi, sono in crisi soprattutto a causa del calo delle entrate pubblicitarie

A due passi Oliver Scharpf ci accompagna nelle strade di Mendrisio alla ricerca di un tarassaco gigante

Bullismo al femminile

Intervista Sono le dinamiche di inclusione ed esclusione ad essere alla base del bullismo tra ragazze.

pagina 8

Abbiamo approfondito il tema con il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai

essere soli e questa può rivelarsi una zona terapeutica, che, con un buon intervento da parte dell’adulto, può condurre a dei cambiamenti nelle relazioni.

Alessandra Ostini Sutto pagina 10

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Secondo lo studioso Robert Sternberg la saggezza è una questione di equilibrio. (Keystone)

Televisione e stampa tendono a riportare episodi di violenza fisica fra ragazzi, contribuendo a diffondere nell’immaginario collettivo l’idea che siano esclusivamente i maschi i protagonisti del bullismo. Anche i primi studi condotti sul tema concentravano la propria attenzione sui ragazzi e attribuivano alle ragazze il ruolo di spettatrici o vittime passive. La realtà dei fatti è però un’altra: le ragazze sono capaci di episodi di violenza subdoli che, in genere, non si avvalgono della forza fisica ma di altre strategie per rendere difficile la vita delle vittime.

In apertura ha fatto un accenno al cyberbullismo; in che modo la tecnologia influenza il bullismo al femminile?

La tecnologia attiva molti comportamenti che vengono agiti nell’online senza essere pensati troppo. Anche al di fuori di un quadro di bullismo, è molto più facile che sul web le persone trattino male, parlino male o offendano gli altri o ancora utilizzino le immagini di altri in un modo disfunzionale. Vuole fare un esempio?

«Oggi le ragazze hanno sdoganato l’aggressività verbale e relazionale sull’online, trasferendola poi nella vita reale»

Diventare più saggi per vivere meglio Tempi moderni Alcune ricerche internazionali studiano i modi per riuscire a raggiungere la saggezza:

un sano distacco dalla realtà porta a essere più lucidi, concentrati, sereni e a vivere più a lungo

Stefania Prandi Saggi non si nasce, si diventa. Si può imparare a essere più equilibrati, senza perdere il controllo di fronte alle avversità, evitando di lasciarsi abbattere dalle difficoltà, considerando i punti di vista degli altri, le diverse prospettive, la visione di insieme, ricordandosi che il mondo è in continuo cambiamento. Nelle università statunitensi e canadesi si studiano la saggezza e i modi per raggiungerla perché, come sostengono filosofie orientali e occidentali, un sano distacco dalla realtà porta a essere più lucidi, concentrati e ad affrontare meglio la quotidianità. È in corso la riscoperta degli stoici, in particolare di Seneca, Epitteto e Marco Aurelio attraverso la ristampa di raccolte di aforismi e convegni. Quest’ultimo è molto apprezzato: da quel che si dice, Bill Clinton legge una volta all’anno i Pensieri dell’imperatore romano e, come suggerisce con una battuta un articolo del «Guardian», è probabile che li abbia dati anche alla moglie Hillary, dopo la sconfitta alle scorse elezioni americane. La BBC ha dedicato alla saggezza un programma radiofonico, durante il quale sono stati citati gli studi di Igor

Grossmann, docente di Psicologia e direttore del Wisdom and Cultural Lab dell’Università di Waterloo, in Ontario, Canada: le persone sagge hanno maggiori soddisfazioni, soprattutto quando invecchiano, e vivono più a lungo. L’intelligenza da sola non porta gli stessi benefici, perché non è detto che chi sia dotato di un alto quoziente intellettivo sappia costruire buone relazioni e prendere decisioni giuste nella vita di tutti i giorni. Per riuscire a «elevarsi» serve di più. In una delle sue ultime ricerche Grossmann ha analizzato i modi in cui le persone affrontano le difficoltà quotidiane, dal traffico, ai ritardi al lavoro, ai litigi con i colleghi e i familiari. Dal quadro complessivo è emerso che chi ragiona in modo più saggio in certe circostanze non è detto che riesca a fare lo stesso in altre. Ad esempio, quando si è insieme agli amici e si discute, si tende ad avere una visione più complessiva e «oggettiva» della realtà rispetto a quando si è da soli e ci si perde nel rimuginìo continuo. «Abbiamo osservato che quando si prendono decisioni da soli si tende a inibire la saggezza, e di conseguenza la capacità di avere un strategia per distanziarsi da quello che

sta accadendo» spiega Grossmann ad «Azione». «Inoltre si è molto più bravi con le situazioni degli altri che con le proprie». A riprova del fatto che sia più facile dare consigli che non ragionare su di sé, è stato chiesto a un campione di studenti di stimare quanto tempo servisse per finire un compito e poi di stabilire anche una previsione per i compagni. Il risultato è stato che gli studenti si sono dimostrati molto più bravi a indovinare le tempistiche corrette degli altri, prendendo in considerazione possibili ostacoli e interruzioni indipendenti dalla loro volontà, che venivano invece ignorate per sé stessi. Secondo un altro studioso, Robert Sternberg, psicologo della Cornell University, negli Stati Uniti, la saggezza è una questione di equilibrio: saper bilanciare la contingenza con la progettualità, il proprio interesse con quello degli altri, considerare le diverse opzioni, adattandosi alle situazioni ma allo stesso tempo condizionandole, e cercandone di nuove, più favorevoli. Atteggiamenti che potenzialmente potrebbero essere adottati da tutti, anche se non è così semplice. Come fa notare Howard Nusbaum, professore di Psicologia alla Chicago University negli Stati

Uniti, specializzato in ricerche cognitive e sui meccanismi neuronali alla base della saggezza, «il fatto che la saggezza sia qualcosa di acquisibile, non significa che tutti possiamo diventare saggi nel senso classico del termine, perché siamo persone con esperienze, capacità, motivazioni, conoscenze diverse. Comunque ognuno di noi può imparare a fare scelte o prendere decisioni migliori di quelle del passato. Non è detto, invece, che esperienze negative o persino tragiche aiutino a migliorare il nostro modo di essere. Si tratta di una credenza popolare che non ha trovato riscontro nelle nostre analisi. Piuttosto aiuta avere vissuto situazioni che aumentano la capacità di riflessione, di essere curiosi e interessati ai problemi del mondo, di avere a cuore il benessere degli altri». Non esistono ricette sicure ed efficaci per riuscire a percorrere la via dell’equilibrio. Fondamentale, da quel che emerge dalle ricerche di Nusbaum, è l’umiltà. «Questo significa riconoscere cosa sappiamo e cosa no e rispettare i valori delle altre persone, anche se non coincidono con i nostri. Risulta necessaria la capacità di sopportare l’incertezza e l’ambiguità. Crediamo,

ma non abbiamo ancora raccolto abbastanza conferme al riguardo, che sia fondamentale la disponibilità alla perseveranza e a riflettere sui problemi, così come l’abilità di riuscire a tenere a mente più cose insieme». Ci sono trucchetti che si possono imparare, che non garantiscono di ottenere il risultato, ma possono essere utili per avvicinarsi – anche se con fatica – alla meta. Ad esempio, pensare a sé stessi e ai propri problemi in terza persona, oppure immaginare di essere una mosca sul muro che osserva la stanza in cui ci troviamo, i nostri movimenti, e che ascolta la nostre parole. Tutto ciò che aiuta a distanziarci dalle situazioni, a riflettere con lucidità, senza perderci nella paranoia, rappresenta un buon metodo per cambiare atteggiamento. Allenandoci, giorno dopo giorno, riusciremo magari ad avere almeno un barlume di quell’illuminazione che ha portato saggi come Epitteto a formulare massime che hanno resistito allo scorrere dei secoli. Ci sembrerà forse sempre meno difficile fare come consiglia nel precetto 8 del Manuale: «Non devi adoperarti perché gli avvenimenti seguano il tuo desiderio, ma desiderali così come avvengono, e la tua vita scorrerà serena».

Quello femminile è infatti un bullismo di tipo psicologico: spesso la vittima stessa non si rende conto di subire una vera e propria violenza. E tantomeno chi la circonda percepisce facilmente i segnali di questo bullismo indiretto, poiché questi non sono visibili ma interiori. Le bulle prendono di mira ciò che per una ragazza è di cruciale importanza in questa fase della vita, e cioè le relazioni con le coetanee, facendo in modo che la vittima rimanga da sola. Il bullismo al femminile è soprattutto un’aggressione relazionale che si ripete senza tregua, con il risultato di calpestare l’autostima di chi ne è vittima. Abbiamo approfondito questo delicato argomento con Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano. Padre di quattro figli, Pellai è autore di molti bestseller per genitori, tradotti anche all’estero. L’ultimo in ordine di tempo è L’età dello tsunami. Come sopravvivere a un figlio pre-adolescente, che presenterà a Porza il prossimo 24 aprile (Sala Clay Regazzoni, ore 20.00). Un modo più «leggero» per farsi un’idea sul bullismo femminile è invece il film Mean girls, diretto nel 2004 dal regista Mark Waters. Dottor Pellai, il bullismo al femminile è un fenomeno che si sta diffondendo. Ciononostante l’impressione è che se ne parli poco, come mai?

In realtà si sta diffondendo la sregolazione emotiva dei nostri figli. Il bullismo si situa proprio in una zona dove da una parte si usano la forza e la prepotenza per affermare il proprio potere e dall’altra si è meno capaci di autoregolare le proprie emozioni, in particolare quelle impulsive, come la rabbia. La combinazione di questi due elementi fa sì che il fenomeno – che viene effettivamente raccontato più al maschile, in primis perché i ragazzi, essendo più fisici, lo manifestano in modo più evidente – sia di fatto ben presente pure tra le ragazze. Anche perché oggi le ragazze hanno sdoganato l’aggressività verbale e relazionale sull’online, trasferendola successivamente nella vita reale. In generale comunque il bullismo al femminile è basato su dinamiche di inclusione ed esclusione. Entrando maggiormente nello specifico, chi è la bulla e come agisce?

Potrebbe essere quello di un ragazzo che nella logica dello «scherzone» fotografa una compagna in reggiseno dalla finestra dello spogliatoio e mette la foto sul gruppo WhatsApp della classe. Improvvisamente la ragazza trova il suo corpo seminudo esposto e si sente spaventosamente vulnerabile. Si tratta di una situazione che si avvicina al sexting – e cioè l’invio, la ricezione o la condivisione di testi, video o immagini inerenti la sessualità – seppur fatta senza l’intento di nuocere. In una situazione come questa, un’azione di pochi secondi può essere presto dimenticata da chi ne è l’autore ma «congela» nell’online l’identità di chi ne è vittima, che può aver bisogno di anni per smaltire le conseguenze emotive di questo gesto. Questo è uno dei motivi per cui è fondamentale promuovere progetti di benessere digitale. Come ci si accorge che la propria figlia è vittima di bullismo? L’esclusione dal gruppo in un adolescente può produrre ansia e angoscia. (Marka)

Nella letteratura la bulla viene definita «l’ape regina». Essa acquisisce potere relazionale attraverso lo status della propria popolarità, legata al valore estetico, al codice del vestiario e al controllo sulle altre del gruppo, alle quali sottilmente fa intendere che, per essere incluse, devono aggregarsi a lei e condividerne lo stile. Chi non lo fa è fuori. E qui si entra nella prima zona di bullismo, legata al codice dell’esclusione. Non viene fatto nulla alla ragazza esclusa, ma non la si include in niente: non la si invita alle feste, non la si coinvolge nei propri discorsi, non si sta con lei nell’intervallo. Questo produce un senso di ansia e a volte anche di angoscia. In pre-adolescenza e adolescenza, quando l’inclusione all’interno del gruppo dei pari è una sfida evolutiva da vincere, scoprirsi soli è infatti molto doloroso. E la seconda zona di bullismo?

Il secondo meccanismo è quello attivo, che comprende fenomeni di denigrazione, umiliazione, presa in giro per il corpo, per il fatto di non avere uno stile, ecc.; l’aspetto esteriore della persona viene cioè indicato col dito da più ragazze che ridono in faccia o alle spalle. Questo fa estremamente male e suscita vergogna, l’emozione che più di tutte blocca in questa fase della crescita. Come si ripercuote il bullismo sulle ragazze prese di mira?

Queste ragazze vivono una sofferenza significativa. Innanzitutto si ha un’attivazione ansiosa, che rap-

presenta un’interferenza fortissima con i compiti di concentrazione, attenzione e apprendimento, impliciti nel percorso scolastico. Oltre a ciò, la vittima si pone ogni giorno l’obiettivo di riuscire a sopravvivere, ma poiché è continuamente oggetto di critiche perde progressivamente autostima, cominciando a pensare di essere effettivamente sbagliata e finendo per l’indossare l’abito che la bulla e le gregarie le cuciono addosso.

Cosa accomuna le vittime scelte dalle bulle?

Le vittime hanno un tratto che può facilmente connotare il concetto di diversità: un corpo troppo grasso, troppo alto, troppo basso, in poche parole diverso dal copione della Barbie o dell’«ape regina». Le gregarie partecipano a questa vittimizzazione perché così facendo si alleano contro qualcuno che incarna la diversità che temono per loro stesse. Puntare il dito su un altro significa evitare che il dito venga puntato su di me e auto-proteggersi così dalla sensazione di inadeguatezza o scarsa sicurezza rispetto al proprio corpo che in pre-adolescenza e adolescenza è particolarmente forte. Perché una ragazza diventa una bulla, cerca di comunicare qualcosa con questo comportamento?

Il bullo, in generale, è una persona che senza questo ruolo avrebbe meno riconoscimenti sul piano sociale. Per la fatica che fa a costruire relazioni

sane rischierebbe paradossalmente di essere lui quello escluso. Invece però di lavorare su questi suoi limiti sceglie di acquisire uno status che gli permette di manipolare gli altri, creando una «scorza» di inavvicinabilità rispetto alla propria interiorità, che spesso è travagliata.

Approfondiamo il rapporto tra la bulla e il suo gruppo…

L’«ape regina» assicura la regia di tutto il meccanismo. Paradossalmente però essa viene ammirata, seguita, emulata ma non amata. Tra la bulla e le gregarie non si generano mai relazioni di intimità perché per essere amici bisogna sentirsi alla pari. In questo caso si tratta invece di un rapporto gerarchico dove l’«ape regina» sta sul trono mentre le altre non possono attentare al suo primato. Tant’è che quando una gregaria acquisisce a sua volta «popolarità» e attacca il potere indiscusso della bulla nascono delle guerre incredibili. La bulla è cosciente di questa mancanza di reali legami?

In genere non se ne accorge e vive in uno stato di isolamento che si è autogenerata. Caratteristica dell’essere bulli è infatti la mancanza di empatia, la fatica di sentire quello che sente l’altro; spesso si sente solo il bisogno di affermare il proprio io, una spinta narcisistica a stare sopra gli altri. L’altro è un oggetto nelle relazioni che porta ad una conferma del proprio status. Capita però che i bulli si rendano conto di

Spesso i figli stanno in silenzio perché si tocca una sfera che ha a che fare con la vergogna, a volte con riferimenti al loro orientamento sessuale o ad un aspetto del loro corpo. Ci sono però diversi indicatori che un genitore può rilevare, soprattutto quando vede uno stato di tristezza cronica o addirittura di ansia legato all’andare a scuola, che non ha a che fare con il rendimento. Per esempio, quello che c’è nei loro social può essere d’aiuto, mentre osservare come entrano il mattino a scuola o come escono il pomeriggio può dire molto su quello che sta succedendo. Vuole dare qualche indicazione ai genitori su come agire?

Innanzitutto consiglio di rivolgersi ai professori, per sapere cosa hanno capito di nostra figlia nelle loro osservazioni. Successivamente va costruita un’alleanza sul piano alto, dove gli adulti devono mettere in atto una strategia protettiva non solo per la ragazza ma per il gruppo al quale appartiene, dal momento che all’interno di quest’ultimo sono state create delle dinamiche relazionali disfunzionali. Infine, consiglio di chiedere alla scuola che ci sia un monitoraggio costante e una serie di incontri supervisionati da adulti specializzati tra la vittima e la bulla. In questi momenti la vittima ha la possibilità di raccontare alla bulla cosa ha provato e perché sta male e la bulla deve prendere l’impegno di fronte agli adulti di riferimento di cambiare il proprio comportamento. Con l’aiuto di uno psicologo o di un terapeuta dell’età evolutiva, questa dovrebbe rivelarsi l’occasione affinché impari che conquistare potere nella vita non significa agire con prepotenza ma usare competenze.


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Società e Territorio

Le storie sono tesori

Festival Dal 5 all’8 aprile la quarta edizione di Storie Controvento, sostenuto dal Percento culturale di Migros Ticino

Letizia Bolzani I due ragazzi del logo, che leggono camminando controvento, ne hanno fatta di strada: il festival ticinese di letteratura per ragazzi Storie Controvento (5-8 aprile 2017) è giunto alla sua quarta edizione, con molti eventi nel Sopraceneri e prestigiosi ospiti internazionali. Storie Controvento è dedicato in particolar modo ai ragazzi di terza e quarta media e delle scuole post obbligatorie del Ticino, che hanno letto con il loro docente uno dei libri proposti dal festival e il cui autore incontreranno nelle giornate a loro dedicate. «Teniamo molto all’incontro dei ragazzi con

l’autore» dice Paolo Buletti, uno dei responsabili del festival. «Non si tratta di un’intervista allo scrittore ma di un’occasione per lasciarsi interrogare e interrogare la storia che lui propone. Ogni anno scegliamo un tema conduttore perché ci piace avere un filo che cuce le storie tra di loro, pensare a un contesto, a un significato che orienti il nostro sguardo. “Respirare l’altrove, passi nell’immaginario” sono le parole che abbiamo scelto per legare le trame tra di loro. Le storie sono possibilità, ci permettono di uscire dalla quotidianità e andare altrove, in un’isola in mezzo al fiume o nel mare immenso sentendo la nostalgia della terra ferma».

Incontri aperti al pubblico Oltre agli incontri degli studenti con gli autori, il festival, sostenuto dal Percento culturale Migros Ticino, offre anche incontri aperti al pubblico: Mercoledì 5 aprile 17.30 Aula Magna Locarno, Angela Nanetti sul tema «Scrivere per bambini e ragazzi». Giovedì 6 aprile 18.00 Biblioteca cantonale Bellinzona – Aperitivo letterario: «Scrivere per indagare l’altrove» Andrea Fazioli a colloquio con Gianni Biondillo. 20.30 Biblioteca cantonale Bellinzona – Fabio Geda e Stefano Laffi, sociologo, a colloquio sul tema «Un mondo senza adulti».

20.30 Biblioteca comunale di Airolo – Angela Nanetti incontra il pubblico. Sabato 8 aprile 10.00 Sala parrocchiale dietro la Collegiata. Laboratorio con Giulia Orecchia, «Personaggi saporiti», dai 7 agli 11 anni. 10.15 Libreria Casagrande – Bellinzona. «Luoghi dove perdersi e ritrovarsi». Paolo Buletti, Storie Controvento, a colloquio con Melvin Burgess. 11.30 Libreria Casagrande – Bellinzona. «Fuga da Nirgendwo». Daniele Dell’Agnola a colloquio con Rolf Lappert. Informazioni: www.storiecontrovento.ch o sulla pagina Facebook.

Come vengono scelti i libri? «Sono libri che ci piacciono e nello stesso tempo devono avere un alto tasso di “adolescenzialità”. Le nostre scelte tengono conto del fatto che i protagonisti delle storie possano diventare dei punti di riferimento per i ragazzi, permettere loro di identificarsi o distanziarsi da personaggi che potrebbero essere loro stessi. I libri che scegliamo devono poter interpellare i ragazzi e non sottrarsi ai grandi interrogativi della vita. I libri permettono anche di constatare che le domande che ci poniamo sono riflesse nelle storie degli altri e questo è molto incoraggiante per chi si appresta a imparare il mestiere di vivere». Le storie funzionano come specchi magici, ci permettono non solo di conoscere altri punti di vista, ma anche di capire meglio chi siamo, di vedervi riflesse le nostre emozioni. E se questo è importante ad ogni età, a maggior ragione lo è per chi è in età evolutiva, l’età della ricerca di sé. Infatti per Paolo Buletti uno degli obiettivi del festival è far percepire ai ragazzi che le storie hanno qualcosa a che fare con la loro vita. Questo li potrà appassionare alla lettura, una passione da coltivare insieme agli insegnanti, come ci spiega. «Per noi è importante la collaborazione con le docenti e i docenti: la nostra proposta è quella di offrire spunti e modalità di avvicinamento alla lettura in modo che si aprano tante strade alla possibilità che i ragazzi si affezionino alle storie. C’è una specie di patto non esplicitato tra noi adulti che proponiamo il festival e i docenti (compresi quelli in

Il logo del festival di letteratura per ragazzi.

formazione): si tratta di cercare storie che senza ammiccamenti possano far sentire vicinanza e far trovare parole adatte per orientarsi nel guazzabuglio della vita». Al quarto anno di rassegna, ci sono certamente tanti ricordi emozionanti da poter citare, ad esempio? «Una ragazza che non ama molto la lettura e divora in poco tempo i libri di Kevin Brooks, una classe che fa saltare il laboratorio previsto dopo l’incontro per continuare a dialogare con Aidan Chambers, Marie-Aude Murail che si racconta in modo molto personale ed emoziona i ragazzi, la prima cena con gli autori allo Zoccolino e la sensazione di fraternità. Malgrado le difficoltà

che incontriamo spesso nella fase organizzativa del festival, i contraccolpi che ogni tanto rischiano di lasciarci col fiatone, il festival è un momento in cui si fa l’esperienza che le storie trasformano un insieme di persone in un gruppo. Oso la parola comunità e ci aggiungo anche la passione per speziare questo breve racconto. Le storie sono tesori, come suggerisce l’anagramma». Le storie di quest’anno sono: Per sempre giovane, di Gianni Biondillo; Innamorarsi di April e Storia d’amore e di perdizione di Melvin Burgess; Berlin, I fuochi di Tegel, di Fabio Geda; Pampa blues, di Rolf Lappert; Mistral e Mio nonno era un ciliegio di Angela Nanetti. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio

Lavori tu, lavoro io?

Genitori L a conciliazione famiglia-lavoro

è un affare ancora prevalentemente femminile, ma qualcosa sta cambiando

Sara Rossi Guidicelli Il Ticino offre moltissime occasioni di incontri per neo genitori. Ci vanno quasi sempre solo le mamme. Faccio un giro in due strutture, per chiacchierare con loro. Come si sono organizzati in famiglia? Certe coppie hanno bisogno di due stipendi, altre no, qualcuno può scegliere quello che più gli si addice, qualcun altro si sente imprigionato in una situazione che non vorrebbe. Raccolgo storie, qua e là, poi parlo con un’esperta. Vanessa: «A me sarebbe piaciuto riprendere il lavoro. Anzi, avevo anche la mia attività in proprio, creata da me. Mio marito però ha un lavoro che non gli permette di abbassare la sua percentuale, e così io sono stata costretta a stare a casa con i tre bambini. Forse, facendo salti mortali e portandoli nelle strutture come culla, preasilo o mamma diurna, ce l’avrei fatta. Ma non è la stessa cosa. Io, se stessero con mio marito non mi farei nessun problema a lavorare qualche giorno. Se però devo darli a un professionista, mi sento più in colpa, come se tornare alla mia attività fosse un lusso... Mio marito è impiegato cantonale. Ha chiesto di ridurre la percentuale lavorativa per stare con i bimbi ma non glielo hanno permesso, mentre con lo stesso ruolo in Svizzera interna o romanda potrebbe lavorare a tempo parziale. In Ticino non è ancora possibile, siamo indietro...» Ilaria: «Noi abbiamo fatto la scelta di lavorare entrambi a metà tempo, già prima di avere figli. Tutti e due volevamo del tempo per stare insieme, per coltivare ognuno i suoi progetti creativi e poi adesso anche per occuparci dei bambini. Viviamo fuori dai centri urbani e questo ci permette di avere un appartamento bello e spazioso che in una città sarebbe troppo caro. Ora lavoriamo tre giorni a testa e i piccoli stanno o con noi o con i nonni; se non avessimo avuto qui i nostri genitori sa-

rebbe stato difficile, ma non impossibile, perché esistono le mamme diurne e avremmo potuto avvalerci di quel servizio fino all’età del preasilo o dell’asilo. Credo però che la fortuna più grande sia aver trovato due datori di lavoro che ci permettono questa vita in cui non c’è solo lavoro...» Stefania: «Mi arrabbio quando sento i discorsi del tipo ‘peccato che molte donne non tornano al lavoro’, come se fare la casalinga e stare a casa con i figli fosse degradante. La gente crede di sapere cosa desidera una donna. Ora facciamo figli sempre più tardi, lavoriamo dieci-quindici anni, e poi possiamo decidere di cambiare esperienza, se il planning familiare ce lo permette: io ho avuto una figlia sola e mi andava di fare la mamma a tempo pieno. Magari quando sarà grande cercherò di rientrare nel mondo del lavoro, non lo so; non credo sia impossibile anche se non mi aspetto che sia facile. Ma non si pensi che siamo isolate. Partecipo a molte attività con altre mamme, organizziamo spettacoli teatrali, feste, gite, visite al museo e in pedalò e mille altre cose. E a chi mi chiede perché ho studiato tanto rispondo: per mia figlia!». E poi c’è Maddalena, che lavora lei e il marito è casalingo. Felice, però le fa strano quando sono ai pic-nic con gli amici e i suoi bambini sono gli unici che se si fanno male corrono dal papà. E tante, tante altre donne, ognuna con la sua storia e i suoi desideri e i suoi successi. Parlo di tutto questo con Danuscia Tschudi, ricercatrice alla Supsi che si occupa proprio di temi relativi a lavoro e genere, percorsi formativi e professionali in conciliazione con gli impegni familiari. Mi dà da leggere alcune ricerche dell’Ufficio di statistica che dimostrano come la questione della conciliazione lavoro-famiglia sia ancora una questione prettamente femminile e non di coppia. In Ticino un terzo delle famiglie segue il modello detto

In Ticino prevale il modello di famiglia in cui solo l’uomo ha un’occupazione lavorativa a tempo pieno. (Keystone)

«tradizionale» (lui lavora, lei sta a casa con i figli), un 41% rientra nello stile «neotradizionale» (lui ha un’occupazione remunerata al 100% e lei a tempo parziale) e il 27% invece sono i casi in cui entrambi lavorano a tempo pieno. Anche nel resto della Svizzera, sebbene ci siano più donne che lavorano, non ci sono molti papà che lavorano meno. Famiglie come quella di Ilaria, in cui entrambi lavorano a tempo parziale sono solo il 2,3%. Perché? Premettiamo che stiamo parlando di lavori gratificanti: i genitori con una bassa formazione, o lavorano entrambi al 100% o la mamma sta a casa. Più invece una persona è formata più ha possibilità di ottenere un lavoro ben retribuito, che dia soddisfazione e con un datore di lavoro disponibile a concedere flessibilità sui tempi di lavoro. Sentiamo Danuscia Tschudi: «Il tempo parziale maschile è ancora molto poco diffuso. Le attese sociali sono maggiori sulla carriera dell’uomo che su quella della donna. Tuttavia sono sempre più numerosi gli uomini delle nuove generazioni che vorrebbero partecipare di più alla vita di famiglia diminuendo il proprio orario di lavoro. Capita però che si sentano a disagio a chiederlo, perché vi sono stereotipi che associano il tempo parziale maschile alla pigrizia o a un disinteresse verso la carriera professionale. I datori di lavoro

sono molto meno propensi a concedere un tempo parziale agli uomini che alle donne. Ce ne sono un po’ di più tra i docenti, nell’amministrazione pubblica e nelle organizzazioni parapubbliche, ma la percentuale è ancora molto bassa. In realtà anche lavorando a tempo parziale è possibile avere posizioni di responsabilità: dalla pratica e da diverse ricerche emerge che è fattibile con tempi parziali alti a partire dal 70% o praticando il Jobsharing, cioè condividendo con qualcun altro le mansioni dirigenziali. Vi sono numerose coppie nelle quali lui lavora al 100% e lei al 60%: se facessero un 80% a testa si aprirebbero maggiori opportunità per condividere i compiti familiari e per sviluppare il proprio percorso professionale. Credo che si possa favorire un maggiore equilibrio tra lavoro e famiglia, tra uomo e donna e si possano evitare situazioni come quella riportata da Vanessa. Come? In due modi: vincendo gli stereotipi che associano il tempo parziale esclusivamente alle donne e lo ritengono impossibile per posti di responsabilità, e proponendo soluzioni concrete nelle organizzazioni e nelle aziende riguardo al tempo di lavoro». Molti pensano che la mentalità ha bisogno di tempo per cambiare: in fondo non sono che due, tre generazioni che sentono bisogni di parità. Ma anche qui, Danuscia Tschudi ci riposizio-

na nella Storia: «Cinquant’anni fa si diceva: ci vuole tempo per i cambiamenti sociali. Sì, è vero. Ma qualcosa nel frattempo si può fare: il mondo del lavoro può attivarsi per precedere i cambiamenti di mentalità. Per esempio, a fine marzo abbiamo presentato i risultati della ricerca-azione Jobsharing: un’opportunità organizzativa per la gestione del tempo di lavoro in ospedale, realizzata in collaborazione con l’Ente ospedaliero cantonale per studiare la gestione del tempo di lavoro dei medici e la possibilità di introdurre il modello del Jobsharing. In ultimo vorrei aggiungere che è importante che anche il lavoro non retribuito sia riconosciuto e non svalutato. Il problema è ancora una volta culturale. Una mamma che ha un’attività professionale ha spesso la giornata doppia, a casa e al lavoro ma anche una casalinga lavora, eccome, pur non essendo retribuita. Ho sentito bambini dire “Mia mamma non lavora”... è una frase che non corrisponde alla realtà. Credo che l’educazione possa fare molto, sia per valorizzare il lavoro non retribuito sia per permettere reali scelte familiari e professionali. Inoltre si può anche operare sul piano delle assicurazioni sociali: per esempio la disoccupazione riconosce un allungamento del termine quadro per la riscossione della prestazione in caso di periodo educativo».

Bambini alla scoperta del mondo

Prima infanzia Una mostra-evento al Castelgrande di Bellinzona offre elementi di riflessione

sullo sviluppo dei bambini nei primi anni di vita Barbara Manzoni La prima infanzia, quel periodo che va dalla nascita ai quattro anni, è un momento decisivo della vita di ognuno di noi durante il quale acquisiamo competenze di vitale importanza per tutto l’arco della nostra esistenza. Ad affermarlo sono le ricerche scientifiche più

recenti, ma in fondo è anche il nostro istinto: chiunque, libero da preconcetti, abbia la fortuna e l’attenzione di seguire da vicino lo sviluppo del neonato e del bambino si può rendere conto di quanto sia cruciale questa fase di vita. È questa la riflessione alla base della mostra-evento «La scoperta del mondo» ospitata al Castelgrande di Bellin-

Una pallina avvicina adulti e bambini. (CdT - Reguzzi)

zona fino al prossimo 25 giugno e sostenuta da diverse fondazioni svizzere e dal Percento culturale Migros. Frutto della collaborazione di 35 organizzazioni e istituti di ricerca provenienti da tutte le regioni linguistiche e raggruppati nell’Associazione Voce per la qualità, la mostra raggiungerà sette altre località svizzere cercando di portare la riflessione sulla qualità della formazione, dell’accoglienza e dell’educazione della prima infanzia in tutto il Paese. Lo scopo è quello di avviare un dibattito che coinvolga la società tutta e, non da ultimo, la politica. La Svizzera ha, infatti, accumulato un notevole ritardo rispetto a molti altri Stati e presenta ancora una situazione di notevole eterogeneità, in modo particolare, scrivono gli organizzatori, «mancano criteri condivisi su ciò che sono le reali necessità del bambino con la conseguente mancanza di una definizione della qualità ambientale familiare e istituzionale». E questo nonostante si sia ormai consapevoli che «una buona qualità ambientale nei primi anni di vita riduce in modo massiccio le dispa-

rità che la scuola da sola non riesce ad attenuare. Maggiore equità, minori misure correttive, meno tassi di insuccesso, migliore integrazione significano minori costi e maggiori benefici». Un argomento questo toccato anche dal consigliere di Stato Paolo Beltraminelli in occasione dell’apertura della mostra che ha definito quello nella prima infanzia «un investimento dal ritorno sicuro». Un investimento che, ha continuato, sottintende non solo un progetto politico ma soprattutto un «progetto di società». Ed è proprio la società tutta ad essere invitata alla mostra, perché la tematica ci concerne come genitori, come nonni, come zii, padrini, educatori, insegnanti, cittadini. Di che cosa ha bisogno un bambino nei primi anni di vita? Come imparano, come giocano e come comunicano i bambini? Cosa possiamo, o meglio cosa dobbiamo fare noi adulti per accompagnare in modo ottimale il suo sviluppo? Su queste domande si china la mostra e l’invito è quello di seguire la pallina colorata che fa da fil rouge del percorso espositivo. Per i bambini sarà

sicuramente un’occasione di gioco ed esplorazione, per gli adulti un evento che saprà rimettere in discussione lo sguardo sul mondo del bambino attraverso filmati, registrazioni audio, esempi di buone pratiche, pareri autorevoli. In parallelo sono inoltre previsti più di 90 eventi territoriali in tutto il Cantone: una ricchezza che attesta la varietà e l’importanza della custodia educativa nella Svizzera italiana. Una parentesi infine va dedicata alla Commissione svizzera per l’UNESCO, alla quale va il merito di aver iniziato la riflessione sul tema della prima infanzia in Svizzera, perché come ha sottolineato Dieter Schürch, membro della stessa, occuparsi di prima infanzia equivale a «costruire la ricchezza delle nazioni». Dove e quando

La scoperta del mondo, Castelgrande (Sala Arsenale), Bellinzona. Orari: tutti i giorni, 10.00-18.00. Fino al 25 giugno. Informazioni: www.scopertadel-mondo.ch


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Società e Territorio

La crisi della carta stampata

Media Anche in Ticino i giornali faticano sempre più a sopravvivere, tra le cause il calo delle entrate pubblicitarie

e la crescente concorrenza delle notizie online

Enrico Morresi Le ombre della crisi della carta stampata si allungano anche sul Ticino. È uscito allo scoperto «il Caffè», confermando la soppressione di quattro posti di lavoro: due nella tecnica, due nella redazione (Giò Rezzonico, «il Caffè», 19 marzo). Gli altri tacciono, ma si sa, perché se ne occupano le associazioni di categoria, che «laRegione» ha in corso una riorganizzazione che riguarda sia la sede di Bellinzona sia gli uffici di corrispondenza nelle altre località del Cantone, e informazioni confidenziali fanno stato di disavanzi d’esercizio per il 2016 sia al «Corriere del Ticino» sia al «Giornale del Popolo». Per il «Corriere» garantisce il «tesoretto» che la fondazione proprietaria ha accumulato durante i grassi anni Novanta dello scorso secolo e i primissimi del nuovo. Quanto al «Giornale del Popolo», la Diocesi ne è proprietaria solo per il 50 per cento più un’azione: è il limite per cui si può ancora dire che il giornale le appartiene.

Dal 2000 ad oggi il numero degli abbonati ai media scritti in Svizzera è calato del 39% La spiegazione di questo generale peggioramento della situazione finanziaria delle tre testate è una sola: il calo delle entrate pubblicitarie («praticamente dimezzate dal 2009 a oggi», precisa Giò Rezzonico). Nei singoli casi vi possono essere situazioni particolari di disagio («il Caffè», per esempio, è penalizzato dal fatto di essere distribuito gratis e perciò di reggersi solo sulle entrate pubblicitarie: gli mancano quelle degli abbonati): tutte però soffrono del rapporto deludente che si è instaurato con l’informazione online, da quando chiunque è in grado di ricevere l’essenziale dell’informazione, «cliccando» sul sito Internet delle testate. Le cifre relative al Ticino non si conoscono, ma quelle dell’editoria nazionale sì. Il 40% del pubblico, sondato da un’inchiesta condotta dall’università di Zurigo (Qualität der Medien, Jahrbuch 2016), preferisce informarsi in rete piuttosto che sulla carta stampata. Ma mentre gli abbonati pagano l’abbonamento e chi compra il giornale all’edicola paga la copia che compra, più della metà dei consumatori di notizie online non spende un centesimo. I costi per i giornali, intanto, sono esplosi. Nessuno

Le tirature calano e molti giornali sono in crisi, c’è chi ridimensiona e chi scompare, come «L’Hebdo». (CdT - Reguzzi)

volendo rinunciare ad acquisire nuovi lettori grazie al nuovo mezzo, tutti hanno creato una sotto-redazione online, che ovviamente lavora anche il sabato (se il giornale la domenica non esce) e anche di notte perché le notizie non si fermano mai. L’Annuario citato dà la consistenza di queste redazioni per i giornali ticinesi: sei giornalisti addetti alla redazione online al «Corriere del Ticino» (cdt.ch), quattro alla «Regione» (laregione.ch) e due al «Giornale del Popolo» (gdp.ch). Si sperava che i siti dei giornali attirassero quel tanto di pubblicità da compensare almeno la maggior spesa. Ma non è stato così. La stampa svizzera nel 2016 ha introitato 1,1 miliardi di franchi dalla pubblicità cartacea e soltanto 129,5 milioni dal digitale. E poiché, dal 2001, le tirature sono calate del 39%, persino testate di qualità come «L’Hébdo» e «Le Temps» sono andate in crisi: il primo ha cessato le pubblicazioni, il

secondo ha dovuto accettare una cura dimagrante. È vero che alcuni grandi gruppi, come Tamedia e Ringier, chiudono sempre i conti in attivo: ma questo si deve alla loro capacità di diversificare il tipo di pubblicazioni su scala europea, possibile solo a queste grandi imprese. In ogni caso, il numero degli abbonati ai media scritti in Svizzera è pure calato del 39% dall’inizio del nuovo secolo e niente fa prevedere che sia vicina un’inversione della tendenza. Possiamo consolarci guardando quel che succede altrove, per esempio in Italia? Anche nel Belpaese tra il 2011 e il 2015 le copie vendute ogni anno dei quotidiani cartacei sono calate del 36%, da 4,8 a 3,1 milioni di unità (HomeMediatech.ch, 13 gennaio). Le tirature giornaliere stanno letteralmente precipitando (tra ottobre 2015 e novembre 2016: da 308’087 a 249’662 copie il «Corriere della Sera», da 262’053 a 214’880 «la Repubblica», da 175’698 a 149’698 «La

Stampa», primaonline, 28 marzo 2017). La pubblicità sui quotidiani è calata nel 2016 di un altro 5,7% (Osservatorio Stampa FCP, 6 febbraio) e la condizione dei giornalisti è drammatica: solo una percentuale di anziani è assunta con contratto fisso, la maggior parte è pagata a prestazione – una drammatica vicinanza a una condizione di sfruttamento. Su una situazione già tanto precaria è calata la notizia che persino «Il Sole/24 Ore» – come organo della Confindustria, insegna alle imprese come gestirsi! – ha truffato gli organismi di controllo delle tirature. Il direttore è stato messo in congedo provvisorio senza paga, la magistratura indaga e finirà di sicuro a condanne penali. La prima reazione degli editori svizzeri è parsa più vicina al panico che alla riflessione calma e ponderata. Alcuni si spingono fino a sostenere l’iniziativa «No Billag» accusando la SSR di far loro concorrenza con i soldi del ca-

cima alla classifica ci sono Copenhagen e Amsterdam seguite da Londra, Barcellona e Berlino. La Svizzera conosciuta per essere uno dei paesi più bike friendly d’Europa tra le città più dinamiche su due ruote annovera Berna e Ginevra. Ma torniamo per un attimo al 1817 per scoprire che allora l’invenzione della bicicletta nacque in risposta alle sfide climatiche che l’Europa e il resto del mondo si trovarono ad affrontare. A causa dell’eruzione del vulcano indonesiano Tambora – registrata come una delle più potenti della storia – il pianeta nel 1816 conobbe un anno senza estate che andò ad inserirsi in un’epoca di estati mancate e di inverni rigidissimi. In Europa triplicarono i prezzi del grano, del riso e dell’avena mettendo a rischio la vita dei cavalli. Fu in queste circostanze che Drais immaginò un mezzo di trasporto che potesse sostituire le tradizionali carrozze. Oggi, il vulcano Tambora sembra

tranquillo, in compenso il presidente di una delle più potenti nazioni al mondo dichiara guerra all’ambiente mentre il Canada si appresta ad inaugurare quest’anno il percorso ciclabile più lungo al mondo (thegreattrail.ca): oltre 12’000 km attraverso tredici province del paese secondo il motto: «Non importa quali siano la tua età, il tuo credo, le tue passioni, c’è un link che ci connette tutti». Slogan a parte, l’apporto positivo che in termini di qualità della vita, impatto sociale, ambientale ed economico la ciclabilità urbana è in grado di apportare è dimostrato da diverse ricerche internazionali. Quando per un anno ho vissuto in città a Lugano ricordo con quale felicità la mattina scendevo in bici da Loreto verso il lago e con quali occhi riuscivo a vedere cose e sentire profumi che in auto ti sono preclusi (certo non devi viaggiare con le cuffie in testa o distrarti con il cellulare!). E poi sentire il

none. Ma bisogna distinguere. Stephan Russ-Mohl ha ragione quando considera «inverecondo» (wenig zimperlich) il comportamento della RSI, che pratica il dumping sulla pubblicità nei confronti dei giornali (Jahrbuch, cit., p. 11), ma rimproverare la SSR perché si paga il lusso di dotare di dozzine di addetti la redazione online è assurdo: anche l’online è servizio pubblico, e non è privando di risorse la SSR che si sanano le finanze dei giornali. La stampa deve anzitutto trovare in sé la forza di reagire, perché il problema è comune a tutti i giornali, in tutto il mondo. I proventi della diffusione di «Le Monde», per esempio, sono per il 79% dovuti al cartaceo e solo per il 21% all’online, ma il giornale stupisce per le innovazioni che introduce, settimana dopo settimana, e regolarmente spiega e giustifica agli utenti (Groupe Le Monde: une transformation en bonne voie, 28 gennaio 2013). I lettori apprezzano… e seguono, magari tempestando di commenti, ma seguono! Solo pochissimi, come il «Wall Street Journal» riescono a finanziarsi a partire dalle informazioni messe in rete. Si danno anche soluzioni d’avanguardia, come il gruppo del «Tages-Anzeiger»/«20 Minuti», che ha costituito un gruppo redazionale specializzato nelle ricerche «difficili». Non solo dunque i digitali puri, come il sito «Médiapart» fondato da un reduce di «Le Monde»: Edwy Plenel, o un satirico come «le Canard enchaîné», che sono in attivo. Una proposta che in Svizzera trova gli editori contrari è l’aiuto pubblico alla stampa. Ma la loro è una posizione assurda. Non si vede come la logica del servizio pubblico, adottata per la SSR e per le private radiotelevisive, non debba eventualmente valere anche per una scena linguisticamente e culturalmente frazionata (e, di più, in pericolo) come quella dei giornali. Non è una soluzione «svizzera», semmai, quella in cui i grandi gruppi mediatici (NZZ, «Tages-Anzeiger») divorano i più piccoli. Cantoni come Lucerna e San Gallo non hanno più un quotidiano di proprietà regionale: non è un impoverimento che contraddice il federalismo? L’idea dell’aiuto pubblico, oggi sostenuta anche dai rappresentanti dei giornalisti (il presidente del sindacato, Christian Campiche, intervistato dal «Courrier» del 20 marzo), dovrebbe essere discussa senza pregiudizi. Se si difende l’autonomia redazionale delle stazioni di radio e televisione, perché escludere che quel valore potrebbe essere difeso anche nei giornali che ricevessero un aiuto pubblico?

La società connessa di Natascha Fioretti La bicicletta per un nuovo umanesimo Non so se lo avete notato anche voi ma dal 2 marzo in Svizzera circolano due francobolli da 1 franco in bianco e nero raffiguranti uno la draisina, l’altro la bicicletta moderna. Un omaggio che la posta elvetica ha voluto rendere alla bicicletta e al suo inventore Karl Friedrich Christian Ludwig Freiherr Drais von Sauerbronn in occasione del bicentenario dalla sua invenzione. Il 12 giugno 1817 Karl Drais in sella al suo prototipo a due ruote attraversò la città di Mannheim a una velocità circa tre volte superiore al normale passo. E da allora grazie a questo velocipede in legno con due ruote in linea e senza pedali nulla fu più lo stesso. La copertura di distanze, l’esperienza del tempo, le opportunità di incontro, movimento e scambio si rivoluzionarono dando modo a tutti, indipendente-

mente dalla classe sociale, di beneficiare di questa geniale invenzione. Erano altri tempi in cui si invocava un’accelerazione mentre oggi si valorizzano forme di lentezza. Oggi in cerca di forme di locomozione più sostenibili, con un minore impatto ambientale e una filosofia di vita slow più in armonia con i ritmi e l’essenza della natura, molte città europee negli ultimi anni hanno puntato sul traffico su due ruote implementando le piste e i percorsi ciclabili. In

corpo sempre in movimento, pensare quale percorso fare per raggiungere un punto, vivi lo spazio e il tempo in modo completamente diverso, più umano innanzitutto. E non si può non pensare al filosofo e antropologo Marc Augé e al suo elogio alla bicicletta «la prima pedalata è l’inizio di una nuova e propria autonomia, è un bel tentativo di fuga, la percezione della libertà, il movimento delle punte delle dita dei piedi quando il mezzo reagisce agli impulsi e alle richieste del corpo e contemporaneamente lo anticipa. Nel giro di pochi secondi l’orizzonte si espande e il paesaggio stesso inizia a muoversi. Io sono altrove. Sono un altro, eppure contemporaneamente sono così tanto me stesso come mai prima, sono ciò che scopro». La bici ci rimette al centro di reti, spazi, tessuti e significati e apre ad un nuovo umanesimo di cui possiamo farci promotori pedalando e scegliendo un preciso stile di vita.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Il rumore del silenzio Qualche tempo fa, in una limpida mattina di marzo, mi sono avviato per un sentiero fuori dell’abitato, per il solo gusto di vagabondare. Il sole splendeva sui rami ancora spogli, l’erba ondeggiava verde sui prati e sulla collina: tutto era bello, incantato, e però, a un tratto, tutto mi sembrava strano, come se fossi finito fuori del mondo. Poi ho capito: tutt’intorno non c’era il minimo rumore, il silenzio era assoluto. Il silenzio mi aveva colpito; e poi, pensandoci, mi sorpresi d’essere rimasto colpito dal silenzio. Già: ci colpisce quel che è raro, insolito: e il silenzio, ormai, è diventato tale, almeno per chi vive in città. Così, quell’inaspettata assenza di suoni mi ha turbato come un rumore improvviso, che fa sobbalzare quando non te l’aspetti. Non c’è verso, quando si gira per le strade, di avvertire il silenzio: il traffico delle automobili, il rombo delle

motorette lanciate a tutto gas, l’abbaiare dei cagnolini al guinzaglio… Poi ti passa accanto un uomo, tutto solo, che parla ad alta voce; tempo fa lo si sarebbe detto un matto, oggi è semplicemente uno con il cellulare acceso che conversa con qualcun altro, magari in capo al mondo. Non c’è un bar, un ristorante, dove non ci sia una radio che spande chiacchiere, o un televisore che blatera, o un registratore che lancia musica di sottofondo – anzi, quasi mai di sottofondo, ma ben al di sopra; cosa curiosa, perché spesso si va al bar o al ristorante con amici giusto per conversare; ma è difficile farsi sentire nel rumore circostante, e così si deve alzare la voce, e quando tutti alzano la voce nessuno capisce più nulla. Anche nei supermercati è di regola la musica costante, intervallata da allettanti offerte pubblicitarie ad alto volume. Insomma, il silenzio è per lo più bandito dalle nostre vite.

Credo di capire perché nella vita d’oggi si voglia cancellare il silenzio. Certo, le esigenze commerciali impongono che gli avvisi pubblicitari risuonino ovunque e potentemente; ma la musica o i ritmi incalzanti e monotoni che accompagnano nei luoghi pubblici rispondono probabilmente a un’altra funzione: quella di illudere che non si è mai soli. È la solitudine, mi pare, che è diventata intollerabile: e se è così, è perché si è più soli che mai. Già a metà del secolo scorso il sociologo David Riesman aveva evidenziato in un libro, La folla solitaria, la nuova solitudine del nostro tempo: non il quieto isolamento del monaco, o del viandante solitario alla Rousseau, ma la diversa solitudine della nostra epoca – quella di chi è solo in mezzo a una folla d’altri. Paradossalmente l’essere tra la gente – che apparentemente dovrebbe essere il contrario della solitudine – diventa invece

l’isolamento triste di tante condizioni umane. Lo sfaldarsi della comunità, l’allentarsi dei legami interpersonali, l’anonimato che caratterizza l’affollamento nelle grandi città – questi sono i fattori che fanno patire la solitudine in mezzo alla folla: tutto è pieno di gente, i caffè, i negozi, i palazzi sovraffollati, gli stadi pieni di spettatori, le spiagge piene di bagnanti. A tutto quel pieno corrisponde un vuoto interiore; un vuoto che la fantasia e la meditazione non sanno più colmare, perché il sogno, per nascere, dev’essere avvolto nel silenzio: così i «sovrumani silenzi» e la «profondissima quiete» dell’Infinito leopardiano ben difficilmente potrebbero essere evocati nel frastuono tumultuoso della folla. E proprio il Leopardi, nello Zibaldone, indicava la solitudine come la condizione per il recupero di se stessi, quando si è «disingannati, stanchi ed esauriti di tutti i desideri».

Così, non c’è un’unica solitudine, ma almeno due, secondo le condizioni esistenziali e le caratteristiche dell’individuo: c’è la solitudine voluta e quella subìta. Quest’ultima ferisce l’anima, specie se affonda nell’anonimato della folla dove ci si sente sperduti e privi di ogni riconoscimento individuale; o anche se ci si sente abbandonati e sciolti da vincoli affettivi. Cesare Pavese, che per questo ebbe molto a soffrire, scrisse: «Passavo la sera seduto davanti allo specchio per tenermi compagnia». Ma l’altra solitudine, quella desiderata come temporaneo ritiro dal mondo e salutare ripiegamento nell’interiorità, è quello «stare soli con se stessi» che la saggezza antica raccomandava per dialogare con il proprio io, conoscersi a fondo, esaminarsi, fantasticare e sognare: in altri termini, per crescere dentro se stessi. Così diceva Leonardo da Vinci: «E se tu sarai solo – tu sarai tutto tuo».

pazienza delle illustrazioni botanicoscientifiche dei libri ottocenteschi e l’esuberanza del muralismo messicano degli anni Trenta del quale sono noti i nomi di Rivera, Siqueiros, Orozco. Sempre Alberto Nessi, nel suo scritto letto il giorno dell’inaugurazione e pubblicato il giorno dopo sul «Corriere del Ticino», utilizzava a giusto titolo la parola «danza»: La magica danza sul muro del tarassaco officinale. In questi anni si è formata una specie di compagnia di danza a distanza fatta da piante selvatiche murali, una costellazione di fiori umili che dal cosiddetto «magnifico borgo» ci conduce innanzitutto a Malvaglia. Dove sulla casa Merogusto di Meret Bissegger – nota autrice di La mia cucina con le piante selvatiche (2011) nonché sorella di Mona Caron – svetta un delicato raponzolo montano (Phyteuma betonicifolium). Poi una linea parte dritta verso un ex lebbrosario di Barcellona dove è pennellata un’ortica (Urtica dioica). Da lì il tragitto diventa transatlantico e porta a

Portland: sul vecchio ufficio postale in mattoni s’innalza sinuoso un enorme garofanino maggiore noto anche come Erba di Sant’Antonio (Chamerion angustifolium). Il grazioso azzurro del fragile fiore della cicoria selvatica (Cichorium intybus) lo trovate invece per strada, sulle mura rossastre all’esterno di uno studio di registrazione di Asheville, Carolina del Nord. A San Francisco infine volteggiano una piantaggine (Plantago lanceolata) gigante su un palazzo moderno, un grespino comune (Sonchus oleraceus) dentro l’Equator café, e su due ripostigli sui tetti una lappolina americana (Coronopus didymus) e un grespino spinoso (Sonchus asper). La botanica minore che giganteggia sulle città: una specie di rivincita delle erbacce messa in atto con acrobatica minuzia da Mona Caron. Com’è successo filologicamente a Union City, dove la muralista di Intragna, attorno all’edificio dove le è stato chiesto di realizzare un murale, trova un’unica pianta. La Amsinckia

menziesii, nativa della California. E allora la rimette in scena sul nuovo palazzo ingigantendola a più non posso. Tornando al nostro monumentale, iperrealistico e al contempo fiabesco piscialetto, va detto, che qui ben si accorda alle persiane, il verde delle sue grandiose foglie danzanti. Proprio in un cortile, carcerario però, il protagonista recluso del racconto Die Hundeblume (1944) di Wolfgang Borchert s’innamora di un Taraxacum officinale che arriva a chiamare «una geisha in miniatura». Nella parola di origine greca tarassaco sono combinate infatti due parole: rimedio e scompiglio. Un valido motto da utilizzare magari, ogni tanto, anche per la vita in generale. Oggi prima di pranzo, neanche a dirlo, passo nei prati a raccogliere qualche ciuffo d’insalata matta. Due uova sode sopra, un filo d’olio d’oliva, una spruzzata di limone. Ci andrebbe anche qualche pezzetto di pancetta o meglio ancora, guanciale, ma sono in fase salutista e va bene così.

cuore all’autore, sul piano linguistico, apparivano ostici, e come traduttori ci davano filo da torcere. Adesso, però, mi tornavano utili e mi offrivano lo spunto per avviare una conversazione e superare lo scoglio del mio tedesco scolastico e del suo italiano improvvisato. Ma Duttweiler apparteneva alla categoria di quelli che, comunque, si fanno capire e l’attenzione la rubano. Fatto sta che quell’incontro merita un posto importante nel bagaglio dei miei momenti più preziosi, vissuti sia sul piano professionale sia umano. Sfidando il rischio della ripetitività, o peggio il culto delle rimembranze, vale la pena di riproporlo. Ciò che sorprende, infatti, è l’attualità di un discorso, ascoltato più di mezzo secolo fa, in particolare sul conto di un Ticino, con il quale Duttweiler aveva stabilito un legame, tutto particolare, e ben diverso dall’affettuoso paternalismo che gli svizzeri tedeschi riservano alla «Sonnenstube», luogo in fondo a parte. Anche lui apprezzava le amenità del nostro paesag-

gio, e non a caso aveva scelto il Ticino per festeggiare i suoi settant’anni, il 15 agosto del ’58, al Monte Ceneri ed era orgoglioso della cittadinanza onoraria, conferitagli dal municipio di Capolago. Tuttavia, come mi doveva raccontare, mentre il trenino saliva fra i castani e le felci del Generoso, nel Ticino vedeva altre dimensioni e opportunità, ancora da percepire e sfruttare: un terreno di sperimentazione per il nuovo. Dove, lui, aveva osato muoversi. Nel 1933, con Migros Ticino aveva testato il passaggio dell’azienda privata alla cooperativa. E, nel 1935, scelse Lugano per lanciare, con l’Hotel Plan (allora si scriveva così) una formula turistica rivoluzionaria e avveniristica: l’all inclusive. Cioè, viaggio, soggiorno, ingressi al Lido, gite in battello, come dire una settimana di vacanza: per 65 franchi, con alloggio in pensione, e 79.50, in albergo. Nella memoria di Duttweiler, però, quel ricordo continuava a essere legato a un episodio amaro: a Lugano, i primi ospiti Hotel Plan, furono accolti

da un concerto di fischi, organizzato dall’Associazione degli albergatori. E gli fa dire: «Non si erano accorti che il turismo stava cambiando, radicalmente. Non poteva continuare a rivolgersi soltanto alle élite che trascorrevano le vacanze d’autunno nei grandi hotel. Ormai si apriva un’altra epoca: il tempo libero, le vacanze e i viaggi per tutti». E il Ticino stentava a tenere il passo del cambiamento che Duttweiler avvertiva: con l’intuito del precursore e con sensibilità sociale. In proposito, affiora, dalla biografia curata da Curt Riess, un altro episodio che sembra di stretta attualità. Invece risale al 1956, quando la Svizzera si trovò alle prese con l’ondata dei rifugiati ungheresi. Ma dove sistemarli? Sembravano troppi e Berna intendeva limitarne l’afflusso a duemila. Duttweiler alzò la voce: «Non si possono imporre contingenti per le persone, come si fa per i formaggi e gli orologi». E per sistemarli propose gli alberghi: soluzione che suscitò proteste, ieri come oggi.

A due passi di Oliver Scharpf Il dente di leone gigante a Mendrisio Nei prati, in questi giorni, si acciuffano con gli occhi i punticini di giallo dei denti di leone (Taraxacum officinale). Un tarassaco gigante invece, in una corte di Mendrisio, è in fiore tutto l’anno. Dal cinque giugno 2014 fiorisce perenne sulle mura passando oltre due balconi e salendo su fin quasi al tetto. È l’opera di Mona Caron: giovane muralista e illustratrice di Intragna trapiantata a San Francisco. Alcuni acheni in volo del suo dente di leone murale li potete cogliere, dipinti, già alla stazione di Mendrisio dove sul binario due metto piede una di quelle speranzose mattine come solo ai primi di aprile. Ne avevo in mente uno che avevo intravisto tempo fa ma non lo trovo più, ne trovo un altro, dietro l’angolo della stazione. Sarà grande cento volte quelli che soffiavamo da bambini. I soffioni, che magnifica ossessione rimasta nel cuore. È da lì forse che nasce la mia stima per questa comunissima erba dalle proprietà depurative e diuretiche. Insalata matta

del resto è uno dei suoi tanti nomi, tra i quali amo in particolar modo quello usato spesso in francese, piscialetto. Tra l’altro sui soffioni Alberto Nessi ha scritto una bella poesia intitolata proprio Soffioni (2000) e mia mamma, oltre alle foglie in insalata, utilizza i fiori per fare un’ottima marmellata. Dieci minuti neanche a piedi ed ecco la corte di via Pontico Virunio numero uno dove il murale di Mona Caron, commissionato dalla Fondazione Agnese e Agostino Maletti, ha trovato il suo habitat. Più che il fiore, su in alto, sul muro di una casa settecentesca che ospitava un tempo l’Antica Osteria del Leone Barberini e oggi un’enoteca, riempiono gli occhi le foglie verdi dentellate. Sono nove, spuntate accanto al tubo pluviale e cresciute a dismisura, fuori scala. C’è un altro fiore in boccio ed è raffigurata anche la sua fase soffione, un po’ spennato, per via degli acheni sparsi in giro. Il dente di leone gigante a Mendrisio (359 m) sembra a metà strada tra la meravigliosa

Mode e modi di Luciana Caglio Sul Generoso con Duttweiler Al primo momento, prevalse l’imbarazzo. Una mattina di fine estate del ’59, a bordo della cremagliera, in partenza per la vetta del Generoso, mi trovai seduta proprio di fronte a Gottlieb Duttweiler, l’ospite d’onore della corsa speciale, dedicata al salvatore di quella storica ferrovia. Giornalisticamente parlando, era un caso fortunato, oggi si direbbe uno «scoop», termine allora inesistente. Certo, era una figura di rilievo nazionale e internazionale e dalla personalità singolare, a volte stravagante. Ma, per me, da poco redattrice di «Azione», si trattava del grande capo, al quale guardare con l’ammirazione e il timore, imposti da una gerarchia aziendale, a quei tempi tacitamente accettata. Tuttavia, me ne rendevo conto, era un’occasione da sfruttare: faccia a faccia con Duttweiler, lo svizzero che più faceva parlare di sé, che vedevo per la prima volta, ma in realtà ben conoscevo. Infatti, sulle pagine di «Azione», mi capitava di condividere, con il redattore capo Vinicio

Salati, il compito, anzi la responsabilità, di tradurre i suoi testi, destinati alla rubrica «Il giornale nel giornale», con cui Duttweiler, in prima persona, spiegava cos’era la Migros, oggetto di tanti malintesi. Erano testi che, se stavano a

Gottlieb Duttweiler.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Il lato buono della Natura Nel libro di Caroline Zoob Il giardino di Virginia Woolf si torna a indagare sul tenace e allo stesso tempo delicato legame fra scrittura e giardinaggio

Imparare a guardare Il viaggio come accompagnatore di ciechi cambia la prospettiva del viaggiatore stesso

Raffinati filetti di pesce Un piatto fresco e goloso, con zafferano, mandorle tostate e polpa di limone pagina 21

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Al di là dello sballo, gli effetti collaterali

Salute Ricercare effetti psicotropi e di

alterazione della coscienza attraverso le nuove droghe sintetiche può essere pericoloso per la salute

Maria Grazia Buletti «Chi fa uso di nuove droghe sintetiche non ne conosce i rischi», è la sintesi del comunicato emanato di recente dal Dipartimento federale dell’interno (DFI), che, pertanto, ha inserito 35 nuove sostanze negli elenchi degli stupefacenti. Un aggiornamento che «ha anche lo scopo di combattere il traffico di droga», afferma il DFI parlando delle nuove sostanze psicoattive come «sostanze sintetiche dagli effetti simili a quelli degli stupefacenti». Chiamate anche legal highs, designer drugs o research chemicals, il comune denominatore sta nel fatto che il loro consumo costituisce un rischio per la salute. «Si tratta di droghe “progettate” in laboratorio, letteralmente “disegnate” con lo scopo di mantenere o di potenziare gli effetti psicoattivi desiderati e, nel contempo, raggirare la legge che definisce e controlla la loro composizione chimica», ci conferma il dottor Ceschi, responsabile medico e scientifico dell’Istituto di scienze farmacologiche della Svizzera italiana (ISFSI) e viceprimario della Clinica di farmacologia e tossicologia clinica dell’EOC. Egli dice che «uno dei maggiori problemi» che si pone nell’uso (va da sé, illegale) di queste sostanze risiede nel fatto che i loro effetti collaterali sono poco noti: «Parliamo di sostanze nuove e illegali, non sviluppate dunque attraverso le procedure classiche con cui si producono i farmaci, per i quali invece la sperimentazione prima della commercializzazione (effettuata attraverso precise fasi obbligatorie stabilite legalmente) permette di conoscere preventivamente a fondo tutte le peculiarità, tra cui gli effetti collaterali più frequenti». Lo scenario di produzione di queste droghe sintetiche illustrato dal nostro interlocutore è preoccupante: «Sono sostanze prodotte in laboratori per lo più clandestini, da chimici più o meno esperti, e questo comporta una carenza della qualità di sintesi». Ne deriva che si formano «sostanze indesiderate o contaminanti oltre alla possibile variabilità nella composizione e

nelle concentrazioni delle sostanze». Chi le acquista e le utilizza si trova perciò a fare da cavia: «Da topo di laboratorio». Ceschi conferma che oggi la loro commercializzazione passa per lo più attraverso Internet (affiancato dallo spaccio classico) dove si riforniscono i cosiddetti «psiconauti»: «Nel 2013 l’EMCDDA (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction) aveva identificato 651 venditori in rete, rispetto ai 170 del 2010». Dal canto suo, la Fondazione Dipendenze Svizzera spiega chiaramente questo trend nel suo opuscolo Nuove sostanze psicoattive: «L’idea di svilupparle su misura è molto antica, ma è negli anni Settanta che il termine designer drugs viene usato per la prima volta negli USA per indicare sostanze dagli effetti simili a quelli dell’eroina. Poi vengono prodotti stimolanti della famiglia delle feniletilammine (quali il mefredone), fino al consumo dell’MDMA (ecstasy), il cui successo è strabiliante. Solo dall’inizio del nuovo secolo si entra nell’era delle Nuove sostanze psicoattive». Con l’inserzione negli elenchi degli stupefacenti delle 35 nuove sostanze, il DFI vuole dunque attirare l’attenzione proprio sulla loro pericolosità: «Il rischio clinico differisce da sostanza a sostanza» esordisce Ceschi nell’illustrare la situazione clinica di chi chiede aiuto dopo averne consumata una ed essersi sentito male. «La maggior parte delle persone che arriva al Pronto soccorso presenta un quadro clinico non estremamente grave che va dalla tachicardia, all’ipertensione, agli stati agitazionali e alla presenza di allucinazioni». Ma non bisogna trascurare quella percentuale di pazienti che presentano sintomi ben più gravi: «Crisi epilettica, depressione del sistema nervoso centrale, coma, grave aritmia, ipertermia: sintomi gravi che possono condurre anche al decesso del paziente». Proprio perché manca la conoscenza approfondita della tossicità di queste sostanze psicotrope, è necessario raccogliere il maggior numero di informazioni nella pratica clinica, valutando

Il dottor PhD Alessandro Ceschi. (Vincenzo Cammarata)

e idealmente registrando ogni singolo caso che si dovesse presentare al Pronto soccorso dell’Ospedale. «A questo proposito è nato il progetto Euro-DEN: una messa in rete dei Pronto soccorso di varie città europee in cui si registrano e si classificano in modo anonimo le informazioni e i casi clinici di pazienti che hanno consumato queste sostanze psicoattive», racconta Ceschi, affermando che la Svizzera sta aderendo a questa Rete: «Da qualche anno il nostro Paese è attivo nel progetto con l’Ospedale universitario di Basilea, a cui dall’anno scorso si è aggiunto l’Ospedale universitario di Berna». Non resta indietro il nostro Cantone: «Da quest’anno, insieme ai centri di Basilea e Berna, abbiamo creato una rete svizzera di monitoraggio di queste sostanze (Swiss-DEN) e, nel corso dell’anno, anche il centro

ticinese si candiderà per entrare a far parte della rete europea. Lo scopo finale del progetto è quello di aumentare le scarse conoscenze sulla tossicità clinica di queste sostanze e, quindi, offrire una migliore presa a carico, rispettivamente un’ottimale gestione clinica di chi si presenta al Pronto soccorso con una sintomatologia relativa alla loro assunzione». I dati relativi al Ticino risultano essere «migliori che in altri Paesi»: «Non siamo il Paese con l’uso più importante di queste sostanze; primeggiano quelli nordici come Inghilterra, Irlanda e alcuni Paesi nordici da dove queste droghe spesso si diffondono e dove se ne fa un uso più ampio che qui». Il nostro interlocutore consiglia comunque di non abbassare la guardia: «Bisogna sorvegliare il mercato, perché anche

noi vediamo casi e conseguenze di chi usa queste sostanze». Ad esempio: «A Zurigo abbiamo descritto per la prima volta nella letteratura medica l’uso della metoxetamina. In Ticino abbiamo osservato l’utilizzo di altre sostanze, e anche qui succede che vengano assunte in fase precoce dopo essere state immesse sul mercato». La sorveglianza tramite la rete Swiss-DEN, ad esempio, è importante perché «registrare d’un tratto una serie di casi può essere il segnale che qualcosa sta cambiando: qualche nuova sostanza, o qualche dose non calibrata, è sul mercato». La messa in rete dei centri specialistici è un mezzo efficace per aumentare l’evidenza attraverso la raccolta di singoli casi in modo condiviso: «Così si acquisisce conoscenza della tossicologia clinica di queste droghe sintetiche».


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Ambiente e Benessere

Dovere o piacere?

Il Giappone, esiste?

Viaggiatori d’Occidente Come trasformare un viaggio di lavoro in una vacanza

Bussole I nviti a

letture per viaggiare

Claudio Visentin Se il vostro capo sbaglia il calcolo del fuso orario e vi sveglia all’una di notte per parlare di un cliente, è tempo di fare qualcosa. C’è chi si difende scegliendo luoghi dove non è possibile essere raggiunti da telefonate, mail, SMS, Skype… ma sono sempre più difficili da trovare, a meno che non vogliate rifugiarvi in un’isola remota al largo della Scozia o in un piccolo paese sperduto tra i monti del Bhutan. In alternativa però potete prendervi la vostra rivincita portando la guerra nel territorio del nemico, ovvero trasformando i viaggi di lavoro in opportunità di vacanza. Gli americani chiamano questa strategia bleisure (business, lavoro + leisure, svago) e da qualche tempo se ne discute parecchio. I dati parlano di una crescita costante: secondo uno studio della rivista americana «Travel Weekly» i viaggi bleisure erano il 12% del totale nel 2014, il 14% nel 2015 e il 17% nel 2016. Di certo molti uomini d’affari combinano lavoro e divertimento, per esempio trattenendosi per il week end dopo aver sbrigato le proprie faccende. Naturalmente è una pratica più diffusa tra i giovani, ma anche chi ha moglie e figli spesso si fa raggiungere dai propri familiari. La moda del bleisure è nata in America perché i lavoratori hanno meno giorni di ferie (anche solo otto giorni per un impiegato nel primo anno dopo l’assunzione!) e quindi è maggiore la propensione a sfruttare ogni opportunità. Ma anche qui da noi capita abbastanza spesso di andare in un’altra città o Paese per ragioni di lavoro. E nel caso per esempio di meeting e convegni, la destinazione è quasi sempre una meta turistica, poiché si scelgono luoghi attraenti e con una buona disponibilità di stanze d’albergo. Se poi siete stati mandati in un Paese lontano, con un biglietto aereo costoso, la convenienza a restare è ancora maggiore. E dal momento che le spese di viaggio e alloggio sono pagate dal datore di lavoro, o comunque rimborsate, perché non approfittarne? Di solito la vacanza viene dopo il lavoro, quasi come un premio, con la

«Perché devo andare in giro come una botte piena di pregiudizi e informazioni, perché non si può mai andare in un posto di cui si ignora assolutamente tutto, come Pizarro andò nel regno degli Inca, o i primi europei in Giappone? … Quello che faccio io non si può quasi più chiamare viaggiare, non si scopre più niente, si digita, controlla, smentisce e conferma, immagini e idee vengono confrontate con la “realtà”, ciò che in ultima istanza vado a fare è vedere se il Giappone esiste davvero…»

Dicasi bleisure la moda di trasformare i viaggi di lavoro in opportunità di vacanza. (Keystone)

certezza di avere la mente sgombra da pensieri. Ma se andate in Australia per esempio, arrivare qualche giorno prima vi permetterà di superare il disagio del jet lag e quindi di essere poi più riposati ed efficienti quando dovrete lavorare. Per sfruttare al meglio questa opportunità è tuttavia necessario muoversi per tempo e prepararsi bene. Questi sono i consigli degli esperti. Chiedete di poter anticipare la partenza, o di spostare in avanti di qualche giorno il vostro viaggio di ritorno già pagato. Insistete per farvi confermare anche il trasferimento all’aeroporto, nella nuova data. Le aziende e gli organizzatori di convegni sono clienti importanti per gli alberghi e quindi ottengono tariffe molto vantaggiose. Chiedete ai vostri interlocutori di poter estendere quella tariffa anche per gli altri giorni, con il loro aiuto. In ogni caso anche gli alberghi sono ben consapevoli di questa opportunità e disponibili a favorire clienti con una buona capacità di spesa, come chi viaggia per affari. Se avete una stanza doppia per uso singolo, come sempre più spesso accade, potreste continuare a utilizzare la stessa camera e contratta-

re un piccolo aumento di prezzo quando vi raggiungerà il vostro accompagnatore. Più controversa la questione dei compagni di viaggio. Spesso vi suggeriranno l’opposto, ma non portate con voi nessuno nei giorni di lavoro. Ogni volta che l’ho fatto, me lo sono poi rimproverato. Anche se l’agenda non è troppo impegnativa, la vostra mente sarà inevitabilmente concentrata sulla ragione principale del vostro viaggio. Ci potrebbero poi essere imprevisti, difficoltà da risolvere o semplicemente l’opportunità di cenare con un collega per approfondire la conoscenza. Dunque meglio soli. Se poi vi troverete ad avere più tempo libero del previsto, potrete comunque recuperare sonno arretrato, rilassarvi alle terme o preparare il programma delle escursioni per quando sarete raggiunti dai vostri compagni di viaggio. Naturalmente ci possono essere eccezioni. Per esempio Deborah Zanke vive a Winnipeg, Canada, dove si occupa di pubbliche relazioni. Non ha figli né animali domestici. Suo marito Steve è un informatico che viaggia spesso per lavoro e Deborah ha cominciato ad accompagnarlo regolarmente nei suoi

viaggi, raccontati poi in un popolare blog (tagalongtravel.com). Ma lei per prima ammette di essere una persona molto indipendente, a cui non spiace passare del tempo da sola. La pratica del bleisure è caratteristica del viaggio contemporaneo. Se queste forme ibride si diffondono, è perché siamo sempre più esperti; abbiamo capito che lo spostamento fisico è comune a tante esperienze diverse e che il viaggio è prima di tutto una condizione mentale. È come se un interruttore scattasse dentro di noi: quando abbiamo concluso il nostro lavoro, percorriamo le stesse strade dei giorni precedenti, ma con occhi nuovi, da viaggiatori, aperti alla varietà e alla bellezza del mondo. Peraltro questa esperienza di cambiare sguardo senza cambiare luogo potete farla in qualunque momento. È la Staycation (Stay, stare + Vacation, vacanza), ovvero restare a casa propria ma comportandosi come se si fosse in vacanza, seguendo delle regole: cominciare e finire con una data precisa, non andare mai in ufficio, visitare i musei della propria città ecc. Provate, e poi raccontateci come è andata.

Se esiste un Paese più difficile degli altri da capire e raccontare, quello è il Giappone. Le contraddizioni sono numerose: una manciata di isole gettate di fronte alla massiccia compattezza continentale di Cina e Russia e tuttavia la terza potenza economica al mondo; modernissime città con periferie infinite e l’incanto di un minuscolo giardino zen; una civiltà millenaria di straordinaria raffinatezza seguita da una rapida occidentalizzazione e dall’abisso di un nazionalismo aggressivo e omicida. Qualcuno ha provato ad addentrarsi nell’identità nipponica, superando gli inganni dell’esotismo che disorienta il viaggiatore in Giappone. Per esempio Claudio Giunta con Il Paese più stupido del mondo (Il Mulino 2010, e naturalmente il Paese più stupido del mondo non è il Giappone). Anche questo nuovo libro di Cees Nooteboom aiuta. È una raccolta di scritti sgranati lungo quarant’anni di viaggi giapponesi: un dialogo continuato nel tempo, un tenace sforzo di comprensione, tra entusiasmo e delusione, identificazione ed estraneità. Una domanda fondamentale ritorna: quanto è radicale l’alterità giapponese? Ed è possibile scoprire una comune condizione umana universale, tale da consentire un dialogo, per quanto difficile. Bibliografia

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Ambiente e Benessere

Le meraviglie di Monk’s house

Il seme nel cassetto P er Virginia Woolf i fiori e i frutti che nascevano nel giardino di casa sua erano fonte

di tranquillità e ispirazione: nel libro di Caroline Zoob viene ricostruita la storia di questo spazio verde

Laura Di Corcia Abbiamo già parlato nel corso di questa rubrica del rapporto fra giardino e letteratura. Il bel volume corredato da immagini, scritto da Caroline Zoob, Il giardino di Virginia Woolf, ci spinge a indagare ancora una volta quel filone, il tenace e allo stesso tempo delicato legame fra scrittura e giardinaggio, che, come suggeriva già Duccio Demetrio in Green autobiography, hanno in comune il senso dell’attesa, la fiducia nel lato buono della Natura, la meraviglia di fronte alla bellezza. Caroline Zoob, che insieme al marito è stata per dieci anni affittuaria della casa che fu la residenza estiva dei coniugi Woolf, sulla scorta di documenti e immagini ne racconta con minuzia e precisione l’evoluzione, a partire dal 1919, anno in cui Leonard e Virginia acquistarono Monk’s house, dopo che la stessa Virginia era andata a vederla rimanendone fortemente colpita. Un luogo, quello che sorge a Rodmell, cittadina di campagna non lontana da Brighton, che sarebbe entrato anche nelle pagine dell’autrice della Signora Dalloway e di Gita al faro, la quale non amava tanto il giardinaggio e si intendeva poco o nulla di botanica – e la cosa le venne più volte segnalata dagli editori a fronte di grossolani errori rinvenuti nelle opere stesse, rimproveri ai quali lei rispondeva con una risata, ammettendo la sua ignoranza sul tema; ma per Virginia i fiori e i frutti che nascevano a

poco a poco dalle abili mani del marito, appassionatissimo e infaticabile lavoratore, erano fonte di tranquillità e ispirazione, a tal punto che lei stessa ebbe a scrivere «ogni fiore che cresce qui esplode. A colazione mangiamo pere». Leggere queste pagine significa innanzitutto calarsi nella vita quotidiana di Leonard e Virginia, conoscerne le preferenze e le idiosincrasie – niente di eccezionale o nuovo, come ammette la Zoob, ma qui è raccontato sulla scorta di un luogo che diventa una sorta di terzo personaggio, che acquisisce spessore e che si capisce aver attraversato e forse anche influenzato la scrittura di Woolf. E quindi veniamo a sapere che la scrittrice talvolta era gelosa delle attenzioni che il marito riservava alle piante, le quali temeva lo distraessero dal loro rapporto; che però amava profondamente Monk’s House, luogo in cui le pareva che, lontana dalle insidie del mondo letterario e dai suoi giudizi a volte troppo taglienti per un’anima delicata come la sua, potesse nascere e crescere per loro un po’ di felicità. E ancora che si adattava con facilità a una vita spartana, quale era quella che i coniugi conducevano inizialmente lì, in mancanza di servizi igienici e riscaldamento; che gli ospiti dopo un po’ la infastidivano, così come le voci dei bambini che giocavano nella scuola attigua alla proprietà e il petulante suono della campana, oltre al rumore che il marito produceva nell’atto di portare il legname su e giù per la scala fuori dallo

Vista dalla camera di Virginia Woolf. (thebmuffin. wordpress.com)

studio dove lei si ritirava a scrivere. Che però, contraddittoriamente, era contenta che Leonard si dedicasse a un’attività foriera di tanta felicità per lui, che amava che ciascuno dei due si occupasse delle proprie passioni in modo indipendente e che in fondo le piaceva anche che la casa fosse frequentata da

amici e persone esterne (come Vita Sackville-West, la sua amante, spesso in visita a Monk’s House). Queste pagine, con il difetto di essere gravate da troppi dettagli o forse di non aver saputo sempre e comunque organizzare gli stessi in una narrazione con un po’ di appeal per il lettore, sono

però una vibrante testimonianza degli amori di Virginia, quello per le marmellate di more, per i peri e i prugni carichi di frutti, per i mobili e i quadri, le cui composizioni cromatiche furono di ispirazione a Leonard per l’assembramento di alcune zone del giardino. All’autrice seccava investire troppo denaro nell’acquisto di piante e fiori, ma ogni tanto, per amore di Leonard comprava vasi, statue e peschiere. Nei sentieri dei quattromila metri di terreno ci si poteva perdere o nascondere, separati dal resto: il giro del giardino diventava, come scrive Caroline Zoob, «misterioso e magico perché ogni ambiente (era) nascosto agli altri, profumato, scintillante, o, per usare una delle parole preferite di Virginia, vibrante». L’autrice visitò da sola per prima la casa e scrisse a Leonard: «Ci sono ciliegie, prugne, pere, fichi, più tutti gli ortaggi. Sarà il vanto dei nostri cuori, sappilo». Ma il suo cuore non resse e un giorno, pesante come il piombo, la portò dritta dritta al fiume, con tante pietre nelle tasche: così si tolse la vita Virginia, in bilico fra Paradiso e Inferno. Leggere questo libro significa anche accostarsi al dolore di Leonard, un uomo che le donò tutto, per quanto a volte anche tutto non basta. Bibliografia

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Ambiente e Benessere

La Provenza attraverso gli occhi di un cieco

Altri viaggi Un’esperienza di accompagnamento a persone non vedenti permette di scoprire il mondo

nei suoi aspetti più umani Fredy Franzoni, testo e foto «I nostri occhi sono chi ci accompagna». Un motto udito molte volte frequentando il mondo dei ciechi. Camminare per le strade affollate di Lione, uscire sul golfo di Marsiglia ballonzolando sulle onde del mistral, percorre i cammini cari a Cezanne a Aix en Provence, ballare sul ponte di Avignone cantando il classico «sur le pont d’Avignon on y danse tout en rond…». Esperienze vissute accompagnando nel ruolo di guida un cieco durante l’uscita annuale di UNITAS, l’associazione dei ciechi e ipovedenti ticinesi. C’era curiosità, ma anche timore nell’affrontare l’esperienza di guida. Domande e dubbi forse banali. In che modo spiegare come muoversi nelle camere degli alberghi. Come comportarsi in mezzo alla gente, oppure a tavola. Sarà d’obbligo descrivere durante le tante ore di viaggio i paesaggi che attraverseremo? E poi, la prospettiva di vi-

vere fianco a fianco 24 ore su 24, conoscendo il proprio bisogno di ritagliarsi degli spazi di solitudine. Insomma, tante domande e poche, pochissime, certezze al momento della partenza. Già dopo poche ore di viaggio in torpedone una prima constatazione: guardare non significa sempre vedere. Il paesaggio scorre rapido davanti agli occhi. Le risaie piemontesi nella descrizione non sono solo vaste pianure oramai quasi brulle, ma disseminate qua e là si incontrano delle masserie, alcune diroccate. Grandi nuclei di edifici in cui in passato si viveva in comunità. «Ma sono ancora abitate?» mi chiede il compagno seduto di fianco. Allora si scruta, alla ricerca di un segno di vita. Qualcuno nell’aia, un filo di fumo che esce dal camino, un’automobile posteggiata, dei battenti alle finestre aperte. Si cercano i dettagli e ci si accorge che molte cose sarebbero sfuggite. Non le avremmo mai notate.

Poi l’impatto con la prima camera d’albergo. Un rapido giro assieme per conoscere dove sono situati i letti, la disposizione dei servizi, l’ubicazione degli armadi. Tanta invidia per la capacità di memorizzare in un baleno come muo-

versi. Lo confesso: ho provato alcune volte a spostarmi con la luce spenta. Ma ho subito desistito, mi sentivo ridicolo, ma soprattutto molto imbranato! Avere impressa nella mente l’immagine di uno spazio non basta, manca la dimen-

sione delle misure, delle distanze. E allora eccoti lì impacciato a cozzare contro il muro o a cercare più volte quella dannata porta di accesso al bagno. Ben presto il mercato non è solo l’insieme di bancarelle viste con gli occhi, ma è anche l’odore di pane fresco o di pelle delle borsette in vendita. In quei frangenti è il cieco che ti fa da guida, anticipando quanto non avevi ancora notato. La gita in battello è anche l’emozione e forse a tratti anche la paura per gli scossoni del mistral. Il piacere dei pasti cresce cercando i sapori delle pietanze. La bellezza e la forza delle cattedrali vanno percepite anche sfiorando le pareti con le dita. Una statua va apprezzata con la vista, ma anche con il tatto. Le mani scorrono avide nel cercare di vedere. Il carattere di un popolo può essere capito dai toni di voce della folla o dai rumori del traffico. Raccontare a un cieco ciò che si vede con gli occhi permette (anzi forse obbliga) di identificare dettagli, particolari che altrimenti sfuggirebbero. Insomma: si impara a guardare! Le guide saranno anche gli occhi di coloro che accompagnano, ma quegli occhi che non vedono più o che vedono poco, permettono a chi funge da guida di aprirsi sul mondo per scoprirlo in altre dimensioni, che in noi vedenti si stanno forse atrofizzando, se non lo sono già del tutto. Odorato, tatto, gusto, udito colmano il vuoto di occhi che vedono poco o sono spenti del tutto. E alla fine del viaggio cosa rimane? Nei giorni successivi cresce la mancanza quel lieve e continuo sentirsi stringere il braccio da parte del cieco a cui ci si è offerti come guida. Si scopre la ricchezza degli scambi avuti in quel convivere 24 ore su 24, in un continuo gioco di dare e ricevere.


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Ambiente e Benessere

Spezzatino di pesce allo zafferano

Migusto La ricetta della settimana

Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 presa di stimmi di zafferano · 2 dl di fumetto di pesce ·

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

4 cucchiai di mandorle a scaglie · 100 g di cipollotti · 2 limoni · 600 g di filetti di pesce misti senza pelle, ad esempio trota salmonata e di lucioperca · sale · pepe · 1 cucchiaio di farina bianca · 2 cucchiai d’olio d’oliva.

1. Pestate leggermente gli stimmi di zafferano in un mortaio, uniteli al fumetto di pesce e lasciate macerare per circa 30 minuti, poi filtrate e conservate il liquido. Nel frattempo, tostate le mandorle a scaglie in una padella antiaderente senza aggiungere grassi finché si dorino. Tagliate i cipollotti a pezzetti. Pelate i limoni a vivo con un coltello ben affilato. Dividete il limone in quattro parti, poi tagliate la polpa a fettine sottili. Tagliate il pesce a bocconi, conditeli con sale e pepe e infarinateli. 2. Rosolate i bocconi di pesce nell’olio a fuoco medio per circa 3 minuti. Unite i cipollotti e i pezzetti di limone e rosolateli insieme con il pesce. Estraete il tutto dalla padella e tenete in caldo. Sfumate il fondo di cottura con l’acqua allo zafferano filtrata. Fate ridurre un poco, poi regolate di sale e pepe. Mescolate il brodo con i pezzetti di pesce e guarnite con le mandorle. Accompagnate con del riso. Preparazione: circa 40 minuti + riposo di circa 30 minuti. Per persona: circa 34 g di proteine, 21 g di grassi, 7 g di carboidrati, 1500 kJ/360

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Ambiente e Benessere

Alla ricerca di formule magiche Sportivamente Molte cose si ripetono sui campi sportivi, dalle impostazioni di gioco

sino alle dichiarazioni alla stampa

Alcide Bernasconi L’ormai soltanto virtuale foglio bianco sul quale scrivere un paio di righe, poco importa di cosa, sembra non poterne più, neppure lui, di accogliere – in particolare quando si affrontano temi di sport – sempre le stesse parole. Se ne rendono conto un po’ tutti, dai lettori più avveduti fino a quelli occasionali. Ma i primi ad avvertire la noia che suscitano tante ripetizioni sono gli autori stessi di questi pezzi. Ormai essi hanno capito di essere caduti nel tranello del parlottìo, del tanto per dire, dal quale sono in pochi a tentare di evadere in un modo o nell’altro. Ciò succede soprattutto quando si vorrebbero analizzare certe situazioni che, a dire il vero, si ripetono pure sul campo, negli sport di squadra. Pare allora impossibile andare più in là anche in occasione di una rete, per quanto decisiva essa sia. «Non conta se ho segnato io – risponde l’autore del gol all’intervistatore, prima di affrettarsi a ripetere le stesse cose in varie lingue, se fosse il caso, a una sequela di cronisti – perché è la squadra che ha segnato!». Sulla stessa linea rispondono i difensori, perché è chiaro che a difendere il risultato sarebbe stato impossibile senza l’impegno dell’intera formazione. Come dar torto a chi, generosamente, ripete queste logiche affermazioni? Alla fine ecco gli allenatori, dalle cui dichiarazioni in generale si avverte come la squadra abbia voluto ribadire lo spirito di gruppo, e solo quello, quando le cose vanno per il verso giusto. L’altra settimana la Nazionale svizzera di calcio ha fatto un altro passo

Giochi

quindi ancora l’incertezza sulla classifica finale. Chi ancora si danna nella ricerca di un’improbabile formula magica che sorprenda gli avversari e… i cronisti? Intanto la prima nazionale a qualificarsi per la Russia è quella del Brasile che, in Sudamerica, ha fatto polpette degli avversari. Vedremo chi la seguirà. Se i rossocrociati del pallone hanno offerto un po’ di soddisfazione ai loro sostenitori, ecco che per i tifosi dell’hockey in particolare, nello stesso momento, c’era l’apprensione per le loro squadre impegnate a battersi per un posto nella finale dei playoff da una parte e per affrontare le insidie delle partite contro la retrocessione dall’altra. I nomi sono chiari: Lugano e Ambrì per quanto attiene ai sostenitori ticinesi. Nulla è facile quando si entra nella zona più calda del campionato. Lugano improvvisamente più forte rispetto al bislacco torneo di qualificazione e, oltretutto giustiziere di uno Zurigo che lo sovrastava sul piano spettacolare, quindi per bellezza ed efficacia nel gioCoi nomi a cui non si è abituati co offensivo, ma ancora carente in certe vien sempre da ricordare il caro Riva situazioni come s’è visto contro il BerIV, il nostro Puci, che sull’aereo ri- na, campione in carica e dominatore spondeva al cronista Tiziano Colotti, della stagione. spiegando una giocata in coppia, con il Quanto all’Ambrì, pur affrancato suo compagno, di cui non sapeva nep- all’ultimo posto quasi dall’inizio del pure lontanamente il nome tedesco, campionato, una volta ancora si è ritroprecisando che era «quel lì», indicanvato rinforzato spalle da migliaia di SUDOKU PER GENI - DICEMBRE BISalle 2016 do un biondino, seduto due fila davan- fedelissimi sostenitori. ti aN.loro. L’hockey ripropone così i suoi de49 per GENI Schema Soluzione dunque, e que- stini più 2Svizzera 8 vittoriosa, 5 2 1noti8 e la 5 febbre 4 3 che 7 da 9 quasi 6 sto è l’essenziale. Alla fine del girone sempre li accompagna mentre già sin 7 1 4 7 6 8 9 2 1 3 4 di qualificazione ci sarà pure sempre d’ora 5(ci mancherebbe altro) si pensa al 4 3 6 9 4 1 7(o potrà) 6 5 ritoccare 2 8 il Portogallo campione d’Europa da mercato, a chi3 dovrà affrontare in casa sua, per questa3o quella 8 cui rimane 2 9 formazione. 4 6 5 8 1 7

Giochi per “Azione” - Aprile 2017 Stefania Sargentini

(N. 13 - ... girasoli, mais e saggina)

Josip Drmic, al centro, mentre celebra il suo gol, nello stadio di Ginevra. (Keystone)

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G E S T M B O A R I C M I 7 N I S29 8

I O R G I A 7 8 L L A D M di avvicinamento alla qualificazione avrebbe potuto interrompere una serie 9 10 ai prossimi campionati del mondo in di risultati pieni, ma pure nel complesE I P O P Russia (2018). Cinque vittorie in cinque so un po’ troppo laboriosi. 11 12 partite: un colpaccio che forse non ha Era stato forse Shaqiri? «Macché! O R E N I precedenti, crediamo, nella storia del – risponde l’amico informatore – ha nostro calcio. segnato un altro, un bel gol di testa». 13 14 15 16 17 Chi si era perso la diretta televisiva E intanto cerca di ricordarne il nome, L I M A R E A o radiofonica, di un confronto presen- nemmeno 24 ore dopo la gara giocata 18 tato come una semplice formalità con- 19 a Ginevra. Seferovic? Mehmedi? «No, I S T E D I O tro la Lettonia, era naturalmente cu- no», risponde l’amico al suo interlocu21 22 rioso20 di conoscere il nome dell’autore tore e poi si scusa per aver scordato il del gol della vittoria. Anche se questa è suo nome. È stato Drmic l’eroe della seE L E S A R G avvenuta rata e l’allenatore25 Petkovic, 23 con una certa fatica 24 e con una 26 l’avveduto sola rete di scarto realizzata quando si tecnico che lo ha mandato in campo al T A S S E G O cominciava a temere che un pareggio momento giusto. 27 28 7 4 5 2 A6 M 2 T I 8 6A 1 9 3 N A 7 5 4 2 8 1 3 6 9 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con SUDOKU il cruciverba PER AZI 7 6 5 2 4 3 7 6 5 9 2 8 1 e una delle 2 carte regalo da il sudoku 9 5 50 7 franchi con 3 1 9 5 (N. 14 - ... alle venti, massimo alle venti e trenta) N. 9 FACILE 4

Cruciverba Massimo a tavola arriva sempre per ultimo perché si dice: «Venite tutti a cena…». Termina la frase leggendo a cruciverba risolto le lettere evidenziate. (Frase: 7, 4, 5, 1, 6)

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A L2 L U 3 4 1N Scoprire i 3 numeri T I E corretti3da inse-5 rire7nelle caselle I M O 5 colorate. 4 1 5 P E B 6 8 7 3 4 6 37 I 4 R E 8 N.C 51 perU GENIO R 1 2 9 O N6 E 2I 4 5 T3 D A N A8 9 T4 Soluzione: 1 6

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ORIZZONTALI 1. Fa parte del piede 6. Estro creativo 9. Possessivo francese 10. Il cereale che si sgrana 12. Tutt’altro che sommo 13. Ricevimento mondano 14. Le iniziali di Tolstoj 15. Paesini senza asini 16. Triste, oscura 17. Uomo in latino 18. Antica moneta spagnola 19. Famosi 20. Rossi a carte... 23. Carico di elettricità 24. Le iniziali della conduttrice Lanfranchi Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

25. Non hanno un alibi 26. Maledizione, scomunica VERTICALI 1. Singolarità, originalità 1 2 d’acciaio 3 4 5 2. Hanno denti 3. L’attore Gullotta 4. Un11 terzo di undici 5. Posta elettronica 6. Si incrocia in città 14 7. Le iniziali dell’attore Solfrizzi 8. Lo sono Betelgeuse e Aldebaràn 17 laterale 18 rispetto al centro 11. Parte 13. Il loro mare non piace... 14. Il21 letto dei wagons 22 16. Il verbo di Bacco 17. La precedono a tavola 25 18. Giro di vigilanza

21. Uomo senza cuore! 22. Profeta biblico 24. Una fase del sonno (N. - ...sovrana girasoli, mais e saggina) 25.13 Nota 7

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Giochi per “Azione” - Aprile 2017 9 Stefania 2Sargentini 7

(N. 15 - ... quattrocentotrentacinque ponti) 6

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V7 2E 1 N 8 6 A 5 3 6 7 3 9 4 2 8 A8 73 I 2 85S 6 4 9 S7 1 7 8 3 6 5 1 2 9 4 4 L4 1A9 8 72 L T 2 5 3 6 4 2 6 5 4 9 3 1 A6 9 8 1V 2 7I 83 R14 775 5 2 1 3 49 6 7 7 8 9 N O T I 3 7 4 9 8 5 1 6 2 9 E 3 8 15 5 44 2 9 7 6 L2 9 4 7 6 8 5 3 1 6 45 7 9 1 3 2 4 8 I7 3 8 4 2 1 6 9 5 1 1 6 5 3 8 9 4 2 7 A4 2 9 6 7 5 1 8 3

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5 6 GA I OL R 2 G 9 3 O 2 8 Q U E I A T7 1E5 6T 4 R 12 I vincitori 13 9 5 8 2 9 4 3 7 8 5 6 6 1 9 4 E 7 L L A6 D M U 3 S SCE 1 I I 9 R 6 3K8 5A 2 N 1 4 T 9 7 P7 O E P 15 16 2 T O R E N I 6 9 2 6 28 1 5 7 4 3 Vincitori del concorso Cruciverba E MT8 A 1 RE2 E R E5 7 3 4N9 A T su «Azione 12», del 20.3.2017 6 8 1 2 5 I M B O LO A 19 F. Schittone, 20 M. Mordasini, 8 9 4 8 1 7 3 2 9 5 6 I 4S A R T E D I 6O G. Bottani T A R S C I A O 3 6 9 1 5 7 2 8 4 9 7 8 E L I C E S A R G Vincitori del concorso Sudoku 1 7 9 5 23 24 su «Azione 12», del 20.3.2017 4 1 3 9 TA A5 N M ISS 4 SI1 E G O A O8 5T7 2R 6 E D. Vitali, F. Gilardi 1 4 4 2 9 83 3 6 7 5 A M N 2 I S T 37 I A N A 26 27 28 S Q E O Lin contanti O (N.Partecipazione 14 - ... alle venti, massimo alle ventiluzione, e trenta) I premi, cinque carte regalo Migros online: corredata da nome, 8 cognome,5 è possibile un pagamento 6 29 30 31inserire la del valore di 50 franchi, saranno sor- soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti C RIl nome dei EvincitoriPsarà A L spedita L U aC«Redazione E V Azione, E NU A perO teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato essere iscritto. 1 32 33 fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. Concorsi, T I E C.P. N 6315, M 6901 A I Lugano». S S pubblicato su «Azione». Partecipazione entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o Non si intratterrà L 8esclusivamente O Na lettori E che I M O G corrispondenza A L A O sui L IT riservata 6 7 1

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concorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono in Svizzera. P E B U I A V I R


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Politica e Economia Trump e la corsa al carbone Il presidente USA smantella la politica ambientalista del suo predecessore

Reportage da Mosul: 2. parte La riconquista della seconda città dell’Iraq procede a rilento, ne paga un alto prezzo la popolazione civile

Il ginepraio afghano Attorno a Kabul si gioca una partita geopolitica che coinvolge diversi attori: tranne l’Occidente

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Stipendi d’oro I salari dei manager in Svizzera restano alti, l’iniziativa popolare che intendeva limitarli risulta poco efficace pagina 31

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In primo piano da sinistra, James Comey, direttore dell’Fbi e Michael Rogers, direttore dell’Nsa. (AFP)

Il governo invisibile

Duello Trump-intelligence Gli apparati burocratici interni americani hanno un potere di condizionamento

molto forte nei confronti della Casa Bianca e di un presidente che può facilmente essere smentito Lucio Caracciolo Il presidente degli Stati Uniti contro la sua intelligence, e viceversa: difficile immaginare un duello più esplosivo di questo. Eppure è quanto sta accadendo in questi primi mesi di operatività dell’amministrazione Trump. Il futuro di The Donald dipenderà in buona misura dall’esito di questo scontro. La vicenda ha un precedente immediato e significativo. Hillary Clinton è infatti convinta di dovere la sua sconfitta contro Trump proprio alle interferenze dell’intelligence nazionale, in particolare del Federal Bureau of Investigations (Fbi), diretto da James Comey. Il quale durante la campagna elettorale intervenne pubblicamente, criticando Hillary, sull’inchiesta che i suoi uffici stavano conducendo riguardo all’uso improprio che la candidata democratica avrebbe fatto della sua email privata mentre era a capo della diplomazia a stelle e strisce, discutendovi questioni riservate normalmente affidate al server del Dipartimento di Stato. Oggi lo stesso Comey è il protagonista di uno

scontro con l’uomo che Hillary considera lui stesso abbia indirettamente installato alla Casa Bianca. Il 20 marzo, durante una seduta insolitamente pubblica e assai infuocata del Comitato per l’Intelligence della Camera dei Rappresentanti, Comey e il collega ammiraglio Michael S. Rogers, direttore della National Security Agency (Nsa), hanno rivelato che è in corso un’indagine per accertare se e come la Russia abbia interferito nell’elezione del presidente degli Stati Uniti. Sotto scrutinio sono in particolare i rapporti con Mosca di alcuni esponenti di primo piano del «cerchio magico» trumpiano, da Carter Page (consigliere di politica estera) a Paul Manafort (manager della campagna elettorale), da Roger Stone Jr. (consigliere politico) al generale Michael Flynn, costretto a dimettersi da consigliere per la Sicurezza nazionale pochi giorni dopo la nomina per le non chiarite conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington. Nulla di criminale, per ora, dato che tecnicamente si tratta di un’indagine di contro-intelligence, ma certa-

mente una notevole ipoteca sulla nuova amministrazione. La posizione di Manafort è piuttosto delicata, visto che secondo alcune inchieste mediatiche avrebbe collaborato in passato con un amico miliardario di Putin per favorire gli interessi russi. In termini stretti, uno dei principali collaboratori del presidente sarebbe un traditore della patria. Comey stesso ha inoltre dichiarato di non dubitare che Putin intendesse favorire Trump, non fosse perché «odia» Hillary. Deputati democratici e repubblicani del Comitato per l’Intelligence hanno litigato su tutto, ma si sono ritrovati d’accordo nel criticare la Russia, che nella definizione di Comey e Rogers è da considerarsi «potenza nemica». In parole povere, siamo tornati alla retorica della Guerra fredda, con la Russia trattata alla stregua della defunta Unione Sovietica. Infine, a suggellare l’attacco a tutto tondo dell’Fbi e della Nsa contro Trump, è giunta la smentita dei capi dell’intelligence relativa alle mai provate accuse del presidente di essere stato spiato da Obama durante la campagna

elettorale. Quanto all’insinuazione del presidente che Obama abbia dato mandato ai servizi britannici di spiarlo, per Rogers si tratta di un «non senso, qualcosa di assolutamente ridicolo». Uno scontro pubblico di queste proporzioni non ha precedenti e invita a due considerazioni di fondo. La prima è che gli apparati burocratici, specie se di intelligence, hanno un potere di condizionamento fortissimo nei confronti della Casa Bianca. L’America sarà pure un impero, per quanto peculiarissimo, ma Trump non è un imperatore. I poteri del presidente sono limitati dal Congresso, dall’intelligence e dal Pentagono, come pure dal potere giudiziario e dalla pressione delle competizioni elettorali ravvicinate (il voto di mezzo termine per il rinnovo di parte del Congresso dista solo un anno e mezzo). Nel caso specifico, il passato (?) imprenditoriale del presidente lo espone a inchieste ed eventualmente ricatti sulle sue attività professionali. Questa, al di là delle intenzioni e dei proclami di Trump, è una spada di Damocle permanente sulla sua testa. E

sulla possibilità che mantenga le promesse fatte ai suoi elettori. La seconda annotazione è che di fronte all’incertezza sul futuro di un presidente già sotto schiaffo dei «poteri forti» gli altri paesi, a partire dalla maggiori potenze, appaiono sconcertate. Che cosa vuole, che cosa può effettivamente Trump? Quanto forte è il rischio di stringere accordi impegnativi con un leader che può essere smentito da altri poteri, visibili e invisibili, interni agli Stati Uniti? Qualcuno a Mosca sostiene che, tutto sommato, sarebbe stato meglio avere a che fare con un nemico conosciuto, Hillary Clinton, piuttosto che con un presidente che a parole si era detto incline a un accordo con Putin, salvo poi fare parziale retromarcia anche per l’ostilità di Congresso, Pentagono e servizi di intelligence. Oltre che di gran parte dell’opinione pubblica, dove la russofobia è tornata di gran moda. Un primo bilancio sarà presto stilato, allo scadere dei «cento giorni», la luna di miele più o meno assicurata di cui gode ogni presidente appena insediato. Per ora, di miele per Trump ce n’è davvero poco.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Politica e Economia

Trump, lo sporco rilancio

USA Dopo l’umiliante disfatta sulla controriforma sanitaria che non gli permette di cancellare l’Obamacare,

AFP

il presidente americano cerca di rifarsi un’immagine smantellando la politica ambientale che ha ereditato

Federico Rampini Nell’ottica di Donald Trump si potrebbe riassumere così il bilancio degli ultimi dieci giorni: due passi avanti, un passo indietro. Visto dal resto del mondo, probabilmente è l’esatto contrario. Sta di fatto che il presidente ha incassato una sconfitta seria quando ha dovuto ritirare il suo progetto di contro-riforma sanitaria perché gli mancavano dei voti repubblicani al Congresso. Poi ha reagito con due mosse che rappresentano la realizzazione di altrettante promesse elettorali: il primo passo verso la costruzione del Muro anti-immigrati col Messico; e lo smantellamento delle leggi ambientaliste di Barack Obama. Il disastro sulla sanità ha ricadute politiche e di sostanza. Cominciando dalla seconda: gli americani si tengono Obamacare. Quell’imperfetta riforma del 2010 ha allargato la platea degli assicurati con quasi 20 milioni di cittadini che per la prima volta hanno avuto il rimborso dell’assistenza medica e ospedaliera. Inoltre è stato vietato alle compagnie assicurative rifiutare dei clienti «perché già ammalati in passato», una pratica che prima era corrente. Obamacare ha costi elevati, però, in certi casi a carico delle aziende, in altri dei cittadini stessi come utenti delle polizze o come contribuenti. Non ha calmierato i prezzi: né le tariffe assicurative, né quelle medico-ospedaliere, né i prezzi dei farmaci. Obamacare ha aggravato i costi per alcune categorie ma tra i beneficiati ci sono redditi mediobassi per i quali le sovvenzioni pubbliche coprono parte dell’assicurazione. La dimensione politica è dirompente per Trump. Finora si era urtato ai «nemici» prevedibili: la stampa, l’opposizione democratica, i giudici, i governi stranieri urtati dalle sue gaffes. La débacle sulla sanità invece lo mette contro i suoi, spacca la destra, pone le premesse per feroci regolamenti di conti tra la base più aggressiva e i parlamentari che non hanno mantenuto le promesse. E getta un’ombra sulla pre-

sunta capacità del tycoon immobiliare di rinnovare i metodi di Washington. Trump fece campagna come l’outsider per eccellenza, l’anti-politico, il nemico della casta parlamentare, colui che avrebbe messo in riga deputati e senatori. Vantò la sua abilità di negoziatore, sul modello del suo best-seller The Art of The Deal, promise di applicare al mondo politico i metodi decisionisti del businessman. È scivolato su una prova fondamentale. Lo smantellamento di Obamacare era un trofeo simbolico. Molto prima che Trump entrasse in politica, il movimento populista del Tea Party lo aveva preceduto dal 2009, con le prime manifestazioni di protesta che avevano segnato il revival della destra. I bersagli del Tea Party erano i banchieri di Wall Street salvati a spese del contribuente; e la riforma sanitaria Obamacare. Al dunque, i deputati repubblicani si sono divisi tra l’ala intransigente (Freedom Caucus) che voleva spazzare via tutto Obamacare; e la componente moderata che voleva salvare gli aspetti più popolari, sia pure con dei costi per il bilancio pubblico.

Donald Trump ha cancellato le restrizioni imposte da Obama per rispettare gli accordi di Parigi sul clima Fresco reduce da quella disfatta, Trump all’inizio della scorsa settimana ha fatto quello che gli riesce meglio: ha cambiato discorso. È passato ad altri aspetti della sua agenda, più adatti a ricucire la sua immagine almeno tra i fedelissimi. Ha messo a punto la richiesta del primo stanziamento al Congresso per costruire la fortificazione promessa al confine col Messico. Un pezzettino iniziale: 62 miglia (100 chilometri), sono la tratta per la quale il ministero competente (Department of Homeland Security) richiederà un miliardo di dollari. Un

costo elevato, per una modesta prolunga del Muro che già c’è. È poca cosa rispetto all’idea originaria – più volte ripetuta da Trump in campagna elettorale – di una Grande Muraglia da oceano a oceano, dalle rive californiane del Pacifico fino all’altra estremità del confine messicano dove il Texas è bagnato dalle acque del Golfo del Messico che sono parte dell’Atlantico. Inoltre la promessa di far pagare il conto ai messicani per ora rimane una sparata da comizio. È al contribuente americano che viene presentata la fattura, visto che è al suo Congresso che Trump chiede lo stanziamento di questi primi fondi. Martedì scorso è arrivato un altro colpo all’eredità obamiana, stavolta riuscito nei suoi intenti distruttivi: Trump ha cancellato di fatto l’adesione americana agli accordi di Parigi sul cambiamento climatico. Senza mai nominarli, li ha svuotati nella loro applicazione, da parte della potenza economica leader (nonché seconda nazione per emissioni carboniche dopo la Cina). Anche se l’opposizione – dagli Stati a governo locale democratico come la California, alle grandi organizzazioni ambientaliste come il Sierra Club – già prepara una guerriglia di resistenza a base di ricorsi presso tutte le sedi di giustizia. Trump ha voluto distruggere l’ambientalismo del suo predecessore in una cerimonia spettacolare, a cui ha invitato una delegazione di minatori del carbone: «Voglio ringraziarvi perché avete attraversato tempi duri. Ma da oggi creiamo nuovi posti di lavoro grazie alle energie fossili. L’America ricomincia ad essere vincente, con gas e petrolio». Lo strumento è un decreto presidenziale intitolato Energy Independence Order. Pur di raggiungere l’autosufficienza energetica la nuova Amministrazione toglie ogni restrizione alle emissioni di CO2, vuole dare libertà di trivellare ovunque. «È finita l’intrusione del governo – ha proclamato Trump – perché quelle regolamentazioni uccidevano il lavoro. Celebriamo

una nuova èra per l’energia americana». A differenza di quanto è accaduto finora per l’immigrazione, qui siamo ben oltre gli effetti-annuncio. L’ambiente è un terreno sul quale buona parte delle riforme di Obama avvennero proprio usando i poteri regolamentari dell’esecutivo – anche attraverso l’authority federale che è l’Environmental Protection Agency (Epa). Obama usò spesso lo strumento dell’ordine esecutivo perché durante sei dei suoi otto anni di presidenza la destra comandava al Congresso e non gli avrebbe approvato nulla. Quindi oggi è più facile per Trump cancellare con un tratto di penna i decreti presidenziali del suo predecessore. L’elenco delle distruzioni è lungo, sostanzioso. Si comincia con il Clean Power Plan che imponeva l’abbattimento delle emissioni carboniche da parte delle centrali elettriche: revocato. Basterebbe questo per dire addio agli accordi di Parigi: la riduzione delle emissioni di CO2 da parte delle centrali era cruciale perché gli Stati Uniti rispettassero gli impegni presi con la comunità internazionale. Trump abolisce anche le restrizioni che Obama impose sulle trivellazioni costiere, sui permessi di sfruttare miniere nelle terre di proprietà pubblica (federale), sulle emissioni di metano dagli oleodotti. Infine la deregulation cancella quelle «valutazioni d’impatto ambientale» che potevano rallentare e ostacolare le grandi opere infrastrutturali. Si torna indietro di otto anni e forse anche di più. Per certi aspetti il balzo all’indietro riporta agli anni Settanta, perché fu un presidente repubblicano, Richard Nixon, a creare quell’Environmental Protection Agency di cui Trump sta smantellando i poteri. Trump ha scelto l’ambiente per tentare un rilancio della propria immagine dopo l’umiliante disfatta sulla contro-riforma sanitaria. È su un terreno più sicuro, gioca in casa. Da un lato la destra repubblicana sposa le tesi negazioniste – rifiuta le schiaccianti

prove scientifiche sul ruolo dell’inquinamento carbonico nel cambiamento climatico – fin dai tempi di George W. Bush, altro presidente allineato con la lobby carbo-petrolifera. D’altro lato Trump premia una categoria operaia a cui deve voti decisivi per la sua elezione: i minatori, così come i metalmeccanici dell’auto, si sono sempre sentiti penalizzati dalla svolta verde del partito democratico. Mantenendo le sue promesse in questo campo Trump si ri-accredita come l’uomo giusto per i petrolieri e per gli operai. Rispolvera i temi del nazionalismo economico che gli sono cari: «Torniamo a vincere». L’autosufficienza energetica è un obiettivo popolare. Negli ultimi anni in realtà la produzione domestica di energia era già aumentata in modo notevole. In parte grazie alle fonti rinnovabili, sostenute da Obama. Ma un’altra ragione è quella rivoluzione tecnologica (fracking e trivellazioni orizzontali) che hanno reso competitive riserve come lo shale gas. Al punto che l’America ha superato la Russia nell’estrazione di gas, e potrebbe arrivare a superare l’Arabia Saudita nel petrolio. Da anni ormai gli Stati Uniti non importano più una goccia di petrolio dal Golfo Persico, le loro importazioni sono prevalentemente dal Canada e dal Messico. Hanno perfino ricominciato ad esportare. Salvo che la caduta delle quotazioni del greggio ha reso meno redditizio lo sfruttamento di quelle risorse fossili che Trump vuole rilanciare. A contrastare la contro-rivoluzione carbonica di Trump oggi non ci sono solo gli ambientalisti; c’è anche una dinamica di mercato che rende il carbone troppo caro, e il petrolio meno redditizio di una volta. Non a caso l’85% degli Stati Usa stavano applicando senza troppe resistenze gli obiettivi fissati da Obama. Ora quegli obiettivi vanno in fumo, letteralmente. E Trump regala alla Cina un ruolo politico inatteso, quello della maggiore potenza economica rimasta fedele agli accordi di Parigi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Politica e Economia

Mosul, battaglia a suon di bombe

Iraq – 2. parte La riconquista della seconda città del Paese da parte delle truppe governative prosegue a rilento,

la città sembra ormai il set di un film catastrofico in cui i civili pagano il prezzo più alto Daniele Raineri La luce colpisce radente la collina poco a sud di Mosul. I corpi sono posati in fila e avvolti nelle coperte, per alcuni ci sono dei fogli di carta tenuti fermi con le pietre, indicano i nomi, ma non tutti i corpi hanno il foglietto accanto. «Sono diciotto, anzi diciannove perché un cadavere è di una donna incinta, vale per due vite», ci dice un uomo che aiuta nella sepoltura. «Appartenevano tutti alla stessa famiglia, sono morti di colpo a Mosul per un’esplosione». Colpiti dai jet americani che bombardano la città oppure dallo Stato islamico, chiediamo. «Non si sa, non si è capito, Daesh mette trappole esplosive ovunque, gli aerei bombardano i guerriglieri che si nascondono fra le case, alla fine ci sono così tante esplosioni che non sappiamo chi è stato a ucciderli». Alza il lembo di una coperta, sotto c’è una bambina con i capelli riccioli, non avrà più di otto anni, è tutta annerita, «vedete, i corpi portano i segni dello scoppio». Un bulldozer apre e allarga una fenditura nel terreno, quando arriva a un metro di profondità gli uomini sollevano le coperte con dentro i corpi e le adagiano in fila sul fondo della fossa comune. Poi sopra mettono un telo di plastica in modo che quando la terra cadrà nella fossa non colpirà direttamente i morti. Un uomo con la mascherina di garza sulla bocca e un paio di soldati con i fucili guardano le operazioni. C’è stato un tempo recentissimo in cui questa zona era un feudo dello Stato islamico ma ora la battaglia infuria dentro Mosul, i guerriglieri islamisti sono occupati qualche chilometro più in là.

L’Isis tratta gli abitanti come collaborazionisti del governo, mentre i soldati li considerano complici dei terroristi Di solito le fosse comuni le scavano (o le fanno scavare) i carnefici per sbarazzarsi delle vittime. Poco distante da qui ne hanno trovato una dello Stato islamico che contiene più di duecento corpi, erano di ex poliziotti, di ex soldati e delle loro famiglie, avevano accettato il dominio islamista e avevano fatto buon viso a cattivo gioco per due anni e mezzo – a partire dal giugno 2014, che qui in Iraq ha segnato il dilagare dello Stato islamico in un terzo del paese come un’esondazione. La loro docilità non è

Il recupero dei corpi di alcuni civili morti durante un bombardamento a Mosul. (Keystone)

servita a nulla, gli estremisti li hanno trucidati lo stesso prima di ritirarsi perché non volevano che quelli facessero da pionieri per il governo iracheno che ora torna in queste zone. Senza di loro, senza gli uomini massacrati, quest’area resterà debole e vulnerabile e per lo Stato islamico sarà molto più facile fra qualche mese infiltrarsi di nuovo. Di solito, si diceva, sono i carnefici ad avere il problema dei cadaveri, ma questa sulla collina è una fossa comune scavata da mani amiche perché a volte i morti sono così numerosi che non c’è altra possibilità di sistemarli. Se si volge lo sguardo, poco lontano e in basso sulla strada principale ci sono i checkpoint dei soldati iracheni che sorvegliano i veicoli in uscita da Mosul e sopra le loro teste sventolano i vessilli sciiti, soprattutto quello verde con la faccia altera di Ali – così detestata dallo Stato islamico. Il ritorno del «Califfato» proclamato nel 2014 da Abu Bakr al Baghdadi con indosso la veste nera dei Califfi della dinastia Abbaside avrebbe dovuto proteggere la comunità sunnita irachena dalle minacce esterne – almeno così dicevano gli estremisti

nei loro video e nella loro propaganda. Ecco invece che cosa ha portato: fosse comuni per seppellire in massa la gente del posto e i suoi figli piccoli. E dappertutto l’esercito governativo con le bandiere sciite issate, per proclamare nel modo più chiaro possibile la disfatta del Califfo e il trionfo dei suoi nemici. Non c’è traccia della gloria, della prosperità economica, della cultura e della fama globali che molti secoli fa caratterizzarono il Califfato degli Abbasidi, quando la città di Baghdad fu un faro per il mondo dell’epoca. E pensare che in teoria chi occupa il posto di «Califfo» avrebbe tra i suoi compiti anche la tutela di tutti i musulmani del mondo. Questo, s’intende, a voler prendere per buona la versione dei baghdadisti, ovvero che al Baghdadi è davvero un Califfo, ma come è noto questa versione è contestata con tutte le forze dalla maggioranza dei musulmani. Qui appena fuori Mosul, dove il bulldozer sta coprendo i poveri resti dei morti, si vede bene come è finita: il Califfato dei fanatici ha portato soltanto una guerra disastrosa sulle teste della stessa gente che pretendeva di difendere.

Nella vicina Siria l’avvento dei baghdadisti ha trasformato la rivoluzione del 2011 contro l’esercito di Bashar al Assad in un bagno di sangue senza senso, in cui sono finiti dentro tutti, civili, soldati, governo, ribelli e anche alcuni giornalisti. Soprattutto c’è finita la maggioranza sunnita del paese, che ha dovuto abbandonare ogni speranza di un futuro pacifico. Oggi è stretta tra gli estremisti e il governo di Damasco, senza una soluzione in vista. Nel nord dell’Iraq che include Mosul lo scenario è più lineare, ma anche lì i sunniti si domandano: cosa resta di questi quasi tre anni di utopia ultraislamista a Mosul? I fanatici ci trattavano come collaborazionisti del governo e i soldati ci trattavano come complici dei terroristi. Rientriamo a Mosul ovest, dove c’è la prima linea dei combattimenti, grazie all’unica strada che arriva a quel settore della città da quando i cinque ponti che lo univano a Mosul est sono stati distrutti dai bombardamenti. La strada taglia attraverso l’aeroporto – tutto bucherellato da fossati che gli islamisti hanno scavato prima di riti-

rarsi in modo da rendere inservibili le piste – e poi per un tratto sterrato così stretto che ci passa soltanto un mezzo blindato per volta. Ha appena piovuto, è così allagata che in certi punti sembra un guado, ma è comunque il passaggio che collega il fronte e mezzo milione di civili al resto del mondo. La città è come il set di un film catastrofico un po’ eccessivo, muri crivellati di proiettili, montagne di detriti, i pochi pali della luce ancora in piedi sono sghembi. Da vicoli laterali spuntano civili a due-tre per volta dietro una bandiera bianca. Arriviamo vicino alla sagoma lunga di un hotel che pochi giorni prima è stato bombardato dai jet americani perché lo Stato islamico lo aveva trasformato in una base operativa, si può vedere il video dell’operazione sul sito del Pentagono: le bombe non lo hanno raso al suolo, sono penetrate dentro e sono esplose dall’interno, ma la struttura è ancora in piedi. I guerriglieri capiscono che ora dietro l’hotel devastato si stanno ammassando carri armati e truppe irachene, lanciano tre razzi che piovono in sequenza e feriscono in modo grave un soldato, un razzo esplode all’angolo del palazzo vicino e apre una voragine nella facciata all’altezza del quarto piano. È il botta e risposta tipico dell’operazione dentro Mosul. Un palazzo che ieri gli aerei centravano con le bombe oggi diventa la base operativa dei soldati che avanzano ed è di nuovo bombardato, questa volta però dagli occupanti di prima. Nello stesso punto dove sono caduti i razzi, il giorno dopo lo Stato islamico manda un camion bomba – anzi è un bulldozer bomba, una ruspa che riesce a spostare le auto dei civili che i soldati mettono di traverso nelle strade per bloccarle (e così non farsi prendere di sorpresa alle spalle mentre avanzano). La ruspa arriva vicino ai soldati, s’infila fra i veicoli blindati perché cerca di fare il maggior danno possibile ed esplode. Ci sono un paio di giornalisti inglesi chiusi in un mezzo vicino, ma sono fuori dal raggio dello scoppio e non si fanno nulla. Un fotografo francese poco più avanti si gira in tempo e scatta una foto bella della palla di fuoco che si alza sopra il profilo dell’hotel, prima distrutto dagli americani e ora diventato il bersaglio di razzi e dei guidatori suicidi dello Stato islamico. Viene in mente l’incertezza dell’uomo incontrato alla fossa comune, che aveva rinunciato a sapere di chi fosse la colpa dell’esplosione che aveva ucciso le diciotto persone davanti a sé. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

L’Afghanistan è ancora talebano

Scenari Nel Paese la vera partita geopolitica è il gioco di alleanze fra Pakistan, Russia e Cina da una parte

Francesca Marino «La Russia vuole riempire il vuoto nell’Asia del Sud ritagliandosi un ruolo di leader per ciò che riguarda l’Afghanistan. Il suo coinvolgimento con il Pakistan ha ormai preso il via, e la partnership con la Cina mira a creare un bastione globale contro l’Occidente. È in questo contesto più ampio che le direttrici emergenti nella geopolitica dell’Asia del sud diventano importanti. La questione afghana non è di facile soluzione, ma quello che è in gioco è il futuro di tutta l’area strategica». Così commentava l’analista indiano Harsh V. Pant l’annuncio di una conferenza, la seconda in pochi di mesi, ospitata a Mosca per discutere il futuro dell’Afghanistan. Conferenza in un certo senso riparatrice, visto che lo scorso dicembre i russi avevano invitato per parlare di Afghanistan soltanto pakistani e cinesi. Non gli afghani, non l’India. Questa volta Putin e i suoi hanno fatto le cose perbene invitando a discutere del futuro dell’Afghanistan cinque nazioni: Pakistan, Cina, India, Iran e lo stesso Afghanistan. Rimasti fuori dai giochi, non invitati a sedere al tavolo di discussione, gli americani e i rappresentanti della Nato. Non invitati di proposito, si dice per sottolineare quanto commentava Pant: il futuro della regione si decide senza l’Occidente. Sottolineare il ruolo di Washington in Afghanistan è stato lasciato soltanto alla buona volontà del governo di Kabul. D’altra parte, in Occidente, «la guerra più lunga» mai combattuta dagli Stati Uniti è stata ormai dimenticata dai più dopo i trionfali annunci di vittoria che si sono succeduti negli anni e gli annunciati e parzialmente messi in pratica ritiri di truppe che dovevano essere conseguenza proprio delle vittorie succitate. E nonostante negli ultimissimi giorni si siano alzate a Washington da più parti voci riguardanti la situazione afghana, ricordando che gli Stati Uniti sono ancora in guerra, la narrativa ufficiale sull’argomento rimane quella mirabilmente espressa dal generale Mc Kiernan: «Non è che in Afghanistan stiamo perdendo, in alcune zone stiamo soltanto vincendo più lentamente». I numeri, però, raccontano una storia diversa. Soltanto il sessantatré per cento del territorio afghano è in

qualche modo, e in alcune zone molto remotamente, sotto il controllo di Kabul. Nella regione di Kunduz, settemila soldati non sono stati in grado di tenere a bada una manciata di talebani. L’esercito afghano, faticosamente formato e addestrato dall’Occidente, è un’Armata Brancaleone soggetta a corruzione, mancanza di equipaggiamento appropriato, e si spacca inevitabilmente lungo consolidate linee di appartenenza etnica e tribale al momento cruciale. La produzione di oppio, nonostante tutti i miliardi spesi per contrastarla, non è mai stata così florida. Gli attentati a Kabul si succedono con inquietante regolarità, ultimo in ordine di tempo l’attacco all’ospedale militare Sardar Daud Khan: quarantanove morti e sessantatré feriti. L’attentato è stato rivendicato dal solito Stato Islamico, ma pare invece, e fondatamente, che dietro ci fosse l’inossidabile rete Haqqani vicina ai talebani. L’attentato è stato il culmine di un periodo che ha visto le relazioni tra Kabul e Islamabad raggiungere un minimo storico. Il Pakistan aveva incolpato Kabul di non tenere a bada i talebani che attraversano il confine per colpire in territorio pakistano: in sostanza, Islamabad aveva incolpato «terroristi oltre confine» per i recenti attacchi di Lahore e del santuario Sufi di Sewan. Non solo: ha sigillato le frontiere con l’Afghanistan e inviato a Kabul una lista di terroristi ricercati dal governo pakistano che si troverebbero in Afghanistan. Con un qualche sprezzo del ridicolo, bisogna aggiungere, visto che a stretto giro di posta Kabul ha fatto arrivare in Pakistan una lista molto più lunga di terroristi da consegnare al governo afghano. Tra cui brillano, al solito, i famigerati Haqqani. Che sono uno degli assetti strategici dei militari pakistani, così come il mullah Mansour che secondo voci non ufficiali si aggira libero a Quetta e dintorni. Le frontiere sono state infine riaperte, ma le polemiche tra due vicini ormai ai ferri corti continuano. Ghani e i suoi incolpano il Pakistan della continua avanzata dei talebani e della totale incapacità di Islamabad di portarli, come promesso, al tavolo delle trattative e a una sospensione delle ostilità. Il fatto è che il Pakistan, a questo punto, non ha alcun interesse, nella sua ottica, a una pacificazione dell’Afghanistan

AFP

e Afghanistan, Iran e India dall’altra. Che si deciderà senza l’Occidente

alle condizioni attuali. Kabul si è avvicinata molto, troppo, all’India: che in Afghanistan ha fatto e continua a fare investimenti importanti, che si è impegnata nella ricostruzione e che sostiene il governo in carica nella richiesta di un processo di pace guidato dagli afghani. India, Iran e Afghanistan si sono coalizzati per realizzare tutta una serie di opere importanti, come il porto di Chabahar, che renderebbero l’Afghanistan in qualche modo indipendente dai vicini pakistani e, soprattutto, renderebbero il Pakistan non più necessario per assicurare le rotte commerciali (e anche militari) nell’area. I malpensanti sostengono che la recente ondata di attentati che ha colpito il Pakistan e l’Afghanistan (uccidendo in gennaio anche alcuni diplomatici della UAE) farebbe parte del solito gioco alla maniera di Islamabad: in momenti in cui gli Stati Uniti mostrano di essere stufi dei continui doppi giochi pakistani e cercano soluzioni alternative al caos (in larga parte da loro stessi creato) in Afghanistan, una serie di attentati ricorda al mondo un paio di cose. Che il Pakistan è esso stesso vit-

tima di terroristi, e che è sempre fondamentale per mantenere la situazione sotto controllo. Continuando, vale appena la pena di sottolinearlo, a foraggiare i propri assetti strategici come gli Haqqani e mullah Mansour. Perdere l’Afghanistan, per il Pakistan, perdere il controllo a distanza su Kabul e dintorni, significherebbe l’isolamento strategico e geografico. E nessuno a Islamabad è disposto a perdere questa battaglia. Specialmente perché se il Pakistan perde, perde anche la Cina, che si è legata, non si sa con quanta imprudenza, a doppio filo a Islamabad per creare la sua grandiosa (almeno sulla carta) One Belt – One Road. E perde Mosca, che in Afghanistan come nell’Asia Centrale gioca la sua partita per estromettere di fatto gli americani e l’Occidente da un nodo geopolitico cruciale. D’altra parte, in un certo senso, anche Islamabad ha le mani più o meno legate per ciò che riguarda i talebani: e il fatto che a legarle siano stati i suoi stessi militari non cambia poi tanto. Come diceva la buonanima del generale Hamid Gul: «Non è sempre opportu-

Di Battista, il grillino di successo

Figurine d’Italia La stella del deputato pentastellato non si appanna mai nonostante le gaffe Alfio Caruso Alle soglie dei quarant’anni Alessandro Di Battista di mestiere fa il piacione. Bella presenza, ciuffo curato e malandrino, barba di tre giorni, abiti di discreta fattura, eloquio suadente, tono perennemente colloquiale anche quando dà del mafioso a due malcapitati deputati, Civati e Cuperlo, lontani anni luce da Cosa Nostra e da quei comportamenti. Seguono imbarazzati chiarimenti e scuse, ma in forma privata per non rovinare l’effetto Torquemada. Quisquilie per quanti accorrono alle sue convocazioni sulla pubblica piazza, dove può sciorinare il meglio di un repertorio mezzo inventato, che non prevede contraddittorio, secondo gli aurei insegnamenti di Grillo. Di Battista ha il merito di aver conferito un proprio stile alla marcata impudenza che caratterizza gli esponenti del Movimento 5 Stelle allorché vengono interrogati. Lui è il campione della risposta a vanvera, mascherata da pensosa asserzione con una perentorietà dai toni ultimativi e il sottinteso che

soltanto una canaglia in malafede può rivolgere una simile domanda. Nel febbraio 2015 il «New York Times» lo ha designato vincitore della speciale classifica sulle bugie più grandi del 2014. L’articolo si riferiva alla frase pronunciata da Di Battista durante una manifestazione al Circo Massimo. In quell’occasione descrivendo la situazione della Nigeria, definito «Paese tranquillo» dal ministro Beatrice Lorenzin, aveva replicato che «il 60% è in mano a Boko Haram, il resto è in mano a Ebola». Tesi smontata dal giornale statunitense grazie anche ai dati provenienti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Incidenti di percorso, al pari del ricorrente uso improprio del congiuntivo, epidemia assai affliggente il M5S, che niente tolgono al successo pubblico di Di Battista. L’ha certificato il tour elettorale in scooter, sulle orme di Che Guevara, compiuto lo scorso agosto per promuovere il No al referendum di dicembre, risoltosi con la disfatta di Renzi. «Costituzione coast to coast», l’ha ribattezzato il «Dibba», nomignolo molto amato dai fan: talmente infa-

tuato della nostra Magna Charta, da ritenere che fosse stata votata in modo plebiscitario dal popolo italiano nelle elezioni del 1948; fu viceversa redatta e approvata dall’assemblea costituente nel 1947. Come il fratello siamese Di Maio, anch’egli è nato in una famiglia della destra nostalgica. Dal Movimento sociale italiano ad Alleanza Nazionale, dalla Fiamma Tricolore al Fronte Nazionale papà Di Battista, imprenditore nel campo delle ceramiche, ha girato tutti i partiti e le conventicole riconducibili in qualche modo al suo vecchio mito di Mussolini. Sostiene di aver inoculato nel figlio l’avversione per il capitalismo liberale e per la globalizzazione; si vanta di aver inventato il «Vaffaday», poi copiato da Grillo, e di aver impedito il diffondersi del verbo pentastellato nel paesello d’origine, Civita Castellana. Malgrado la laurea con master, della quale va giustamente fiero, Di Battista non sempre riesce a liberarsi dalle contraddizioni di un pensiero che ambirebbe includere lo scibi-

le umano in funzione antipartitica, soprattutto contro il Pd. Il banco di prova più impegnativo sono l’Europa e l’euro dai quali, a giorni alterni, vorrebbe uscire stando dentro o nei quali vorrebbe stare dentro uscendone. L’ultima iniziativa, lanciata nei giorni scorsi, ha suscitato un florilegio di battute e di sfottò a causa dello slogan: «Come sarebbe l’Italia, se lo Stato stamperebbe i soldi». Viaggiatore indefesso in Sud America, ne ha tratto libri e reportage ogni volta offerti con il crisma delle verità mai raccontate. Gli hanno procurato la fama di esperto di questioni internazionali e garantito la futura nomina a ministro degli Esteri, qualora il Movimento riuscisse a formare un governo. L’una e l’altra nemmeno scalfite dal post pubblicato sul blog di Grillo, titolo «Isis che fare», nel quale la comprensione del «Dibba» per i poveracci presi di mira dai droni si spingeva fino a giustificare gli attentati terroristici dei kamikaze. Dinanzi alle immancabili polemiche, aveva chiarito che intendeva parlare di Hamas.

no rompere del tutto e andare contro i propri vecchi alleati». Lui parlava della Cia, a dire la verità, ma la sostanza è la stessa: eliminare gli haqqani e la shura di Quetta significherebbe anzitutto consegnare le uniche armi rimaste a Islamabad per cercare quella famosa profondità strategica da sempre vagheggiata in Pakistan. E significherebbe destabilizzare ulteriormente un Paese ormai da molto tempo sull’orlo del precipizio. Difatti, la conseguenza più disastrosa della guerra in Afghanistan non è stato l’Afghanistan stesso ma le conseguenze che ha avuto sul sempre precario equilibrio della «Terra dei Puri». E se nei giorni scorsi il facente funzioni di Ministro degli esteri Sartaj Aziz si è sentito in dovere di dichiarare che «il Pakistan non cederà mai armi di distruzione di massa ad alcuno Stato o a organizzazioni non-statali», un motivo ci sarà pure. Forse stiamo vincendo «più lentamente» in Afghanistan, ma la guerra diplomatica con il Pakistan, continuando così, l’abbiamo persa da un pezzo e le conseguenze rischiano di essere più disastrose che mai. A differenza di altri colleghi, su tutti Di Maio, ha evitato d’impelagarsi nelle beghe interne del Movimento: pure il suo appoggio alla Raggi mai ha superato il minimo sindacale. Sempre allineato e coperto con Grillo – ha rivelato che spesso gli capita di piangere ascoltandone gl’ispirati interventi – ne ha condiviso anche l’ultima, sconcertante decisione: cancellare la votazione indetta sul web per la scelta del candidato sindaco a Genova. Anziché la mite professoressa, risultata prima, ma accusata di non aver sempre appoggiato le decisioni del vertice, è stato designato il tenore giunto secondo, però protetto dalla pretoriana di «BeppeMao». Un suo recente cavallo di battaglia è stato l’interrogatorio di Buzzi, principale imputato assieme all’ex estremista nero Carminati nel processo per Mafia Capitale. Di Battista si è lanciato contro le omissioni dei tg e dei quotidiani collusi nel proteggere l’odiato Pd, senza accorgersi, forse distratto dall’ennesimo abbraccio a Grillo, che da sei giorni Buzzi rilasciava dichiarazioni, delle quali i mezzi d’informazione avevano fornito ampia testimonianza soprattutto in funzione anti Pd. E che proprio nel giorno da lui scelto per l’intervento – «Buzzi sta parlando… dove sono i giornalisti» – in pratica taceva.



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Politica e Economia

Un’iniziativa con scarsi effetti

«Contro rimunerazioni esagerate» Il salario del massimo dirigente del Credit Suisse ha suscitato stupore

in Svizzera, dato che la banca ha registrato una perdita di 2,6 miliardi di franchi. L’iniziativa non ha provocato grandi cambiamenti, ma ha forse permesso di evitare esagerazioni Ignazio Bonoli La rimunerazione di 11,9 milioni versata al direttore generale del Credit Suisse Tidjane Thiam per l’anno scorso ha sollevato discussioni in Svizzera. Non solo perché conferma i timori che la celebre iniziativa contro salari spropositati per i massimi dirigenti dell’economia non trova pratica applicazione, ma anche perché il Credit Suisse stesso è in una situazione delicata. Infatti, il 2016 si chiude per la grande banca con una perdita di 2,6 miliardi di franchi, aumentata perfino di 272 milioni a causa di accantonamenti di 300 milioni per la copertura di rischi giuridici. Accantonamenti resi necessari dall’accordo con la giustizia americana il relazione al problema delle ipoteche immobiliari cartolarizzate. Multa che va ad aggiungersi a 2,5 miliardi di franchi concordati con le autorità americane per concludere la vicenda dei «subprime» ed evitare il processo.

Considerate le masse salariali dei dirigenti delle grandi aziende dal 2014 si nota una leggera tendenza all’aumento, ma sono scomparse le rimunerazioni esagerate La rimunerazione di Thiam è giustificata dal Consiglio d’amministrazione con il fatto che il massimo responsabile operativo della banca è tuttora alle prese con una profonda ristrutturazione dell’istituto che esige tempi lunghi. Nell’anno precedente (dopo sei mesi dall’entrata in funzione) era stata fissata in 4,6 milioni, ma l’interessato aveva rinunciato a parte del bonus, mentre nella funzione precedente aveva guadagnato 14,3 milioni di franchi. D’altro canto,

la rimunerazione 2016 si compone di 3 milioni del salario di base, un bonus contante di 4,17 milioni, di cui solo la metà incassata subito, e un bonus legato ai risultati futuri di 4,05 milioni, da riscuotere negli anni tre, quattro e cinque dopo l’assegnazione, se i risultati previsti verranno raggiunti. La rimunerazione è comunque inferiore a quella del CEO di UBS Sergio Ermotti, pari a 13,7 milioni, ma con risultati ben migliori a quelli del CS. Anche su UBS pende comunque la spada di Damocle della vicenda con il fisco francese che potrebbe costare più di un miliardo e per la quale UBS non ha accettato una transazione preferendo andare a processo. Il mondo finanziario attende l’esito di questa diatriba, per vedere se finalmente le pressioni contro le banche svizzere potranno finire. L’esame di questi dati non basta per dire se l’iniziativa contro le rimunerazioni esagerate ha avuto successo o no. Guardando alle medie degli anni a partire dal 2011 non si notano però grandi cambiamenti. È vero però che gran parte delle rimunerazioni dipende dal risultato d’esercizio ed è perfino collegata – come visto nell’esempio precedente – ai risultati futuri. Altro fattore determinante sono i confronti con quanto avviene all’estero su questo mercato molto particolare, e anche qui la situazione non è cambiata di molto, nonostante la crisi che ha colpito alcuni settori in particolare. Da ricordare inoltre che l’iniziativa in questione concede ampie facoltà ai consigli d’amministrazione nella fissazione dei salari e questi rispondono agli azionisti, che votano su un rapporto particolare. I dati di cui abbiamo riferito sono contenuti in questo rapporto. Un’analisi globale della situazione mostra che, anche dopo il voto dell’iniziativa popolare, i salari degli alti dirigenti non sono diminuiti di molto. Anzi, considerate le masse salariali dei dirigenti delle grandi aziende quotate in

A Tidjane Thiam sono stati corrisposti 11,9 milioni di franchi nel 2016, nonostante il Credit Suisse abbia chiuso in perdita. (Keystone)

borsa, si nota, dal 2014, una leggera tendenza all’aumento, anche se sono scomparse le rimunerazioni esagerate che avevano sollevato l’indignazione popolare. La media delle migliori si muove ancora fra i 10 e i 15 milioni di franchi. Uno studio pubblicato dalla zurighese HCM, che considera 76 delle 100 maggiori ditte che pubblicano i dati, indicano nel 2016 un aumento medio del 3%. Il valore mediano delle 48 aziende confrontabili indica però un aumento del 20% e lo stesso salario mediano è aumentato del 14%. Questo può signi-

ficare un avvicinamento alla media dei salari che è di 3,6 milioni. Il salario base è comunque in media del 40% della rimunerazione totale. Un quarto è dato dal bonus annuale e un altro terzo dai bonus rinviati a più tardi, generalmente sotto forma di azioni o altre carte-valori delle società gestite. Secondo l’esperienza della HCM, dall’applicazione dell’iniziativa nel 2014 non si sono notati forti aumenti delle rimunerazioni, ma nemmeno diminuzioni. Generalmente il voto degli azionisti su questi temi ha avuto influs-

si positivi, ma non è detto che ciò sia dovuto all’iniziativa, ma sicuramente alla discussione che ha accompagnato il controprogetto delle Camere federali. In questo campo la Svizzera sta facendo le stesse esperienze di altri paesi. Per esempio la Gran Bretagna conosce già il sistema del voto consultivo degli azionisti fin dal 2003. Il voto degli azionisti ha in genere avuto l’effetto di un calmiere. Di regola, gli azionisti badano più alla commisurazione dei salari al risultato d’esercizio, che non alla rimunerazione stessa.

Stati: macrospese, ma microrisparmi

Finanze pubbliche Non sempre «spesa pubblica» è sinonimo di miglior welfare. Dietro ad essa si celano, invece,

spesso inefficienze strutturali Edoardo Beretta Evidentemente, non sarebbe fattibile affrontare la tematica dell’imposizione fiscale nella sua complessità – a maggior ragione, avendo i decisori economico-politici da sempre dimostrato grande inventiva in ambito tributario e tariffario sorprendendo regolarmente i contribuenti. Vi sono, però, macrotrend ormai da tempo palesi, fra cui l’uso più massiccio di forme «alternative» di tassazione. Se nell’articolo IVA, la più amata dai Governi europei (in «Azione», 9.11.2015) si è già avuto modo di evidenziare quale e quanta leva facciano i Paesi membri della UE (ed, ancor più, dell’Area Euro) su vigorosi rialzi dell’IVA (pari nel 2015 a quasi +2,6% rispetto al 2002, anno di riferimento principale per l’introduzione dell’Euro), le risorse a copertura del (crescente) fabbisogno statale sono crescentemente attinte da accise, commissioni varie o forme esattive una tantum. Se l’imposizione indiretta è sì priva di quell’impatto sul reddito disponibile individuale (che è, invece, generalmente attribuito a quelle dirette), essa grava sulla principale variabile di contributo al PIL, cioè i consumi. Almeno se combinato con fattori quali restrizioni legali all’utilizzo di mezzi

di pagamento contanti laddove ancora prediletti, tale trend può costituire in epoche di saturazione commerciale un potenziale disincentivo alla spesa. Quest’ultimo aspetto potrebbe apparire per certi versi positivo, se collegato al fatto che l’indebitamento privato (purtroppo sottovalutato, ma galoppante) sia un dato di fatto: chi è effettivamente intenzionato all’acquisto – si potrebbe pensare – non si lascerebbe certo scoraggiare da tali

misure. In realtà, non deve essere necessariamente così, in quanto affiancate dalle forme impositive sui redditi individuali oltre che sulla sostanza (cioè la tanto in Italia evocata o esorcizzata a seconda dei proponenti «patrimoniale»). Se l’imposizione fiscale di nuovi redditi è legittima (in quanto, fino ad allora, non sottoposti a prelievi fiscali), lo è meno comprensibile (perlomeno, ai fini di evitare una doppia tassazione) quella su patrimonio, im-

L’evoluzione di ricavi e spese pubblici rispetto al PIL (in %) 1980 1990 2000 2010 2013 Germania 24,6 24,5 29,8 27,8 28,4 Ricavi (escl. donazioni) 10,3 9,9 11,7 11,1 11,5 Ricavi da tassazione –1,3 0,5 1,3 –3,1 0,4 (Dis)avanzo pubblico Italia 29,7 – 36,1 37,4 39,0 Ricavi (escl. Donazioni) 17,4 24,3 22,5 22,3 23,7 Ricavi da tassazione –8,7 – –1,2 –3,8 –3,1 (Dis)avanzo pubblico Mondo 22,5 22,2 25,7 22,2 23,3 Ricavi (escl. donazioni) 14,2 14,3 16,0 13,6 14,4 Ricavi da tassazione – 1,1 –5,7 – (Dis)avanzo pubblico Svizzera 16,8 – 22,4 16,5 17,6 Ricavi (escl. donazioni) 7,5 8,2 10,2 9,6 9,6 Ricavi da tassazione 0,0 0,0 2,0 0,0 – (Dis)avanzo pubblico 19,1 18,2 20,5 16,5 19,0 Ricavi (escl. donazioni) USA 12,1 10,4 12,9 8,6 10,6 Ricavi da tassazione –1,8 –4,4 2,2 –10,1 –3,8 (Dis)avanzo pubblico Elaborazione propria sulla base di http://data.worldbank.org/

mobili oltreché rendite pensionistiche. Come si è potuto già illustrare in Reddito e rendita, simili eppur diversi (in «Azione» 11.4.2016) con riferimento agli assegni pensionistici, trattasi di voci contabili già tassate in precedenza (sotto forma di redditi da lavoro, ad esempio): quindi, «pensione» non deve essere intesa quale «reddito» (ma quale «rendita») ed, in quanto tale, non dovrebbe essere tassata se non per la sola parte in eccedenza rispetto a quanto versato dal contribuente nell’arco lavorativo e poi indicizzato. Lo stesso dicasi per patrimonio ed eredità, che – allorquando già imposti nella forma primordiale di reddito – non dovrebbero subire ulteriori prelievi. Se poi si volesse spostare il focus sul macro-tema «eticità», allora le argomentazioni potrebbero anche variare, sebbene la necessità di redistribuire il reddito (motto trasversalmente en vogue) sia un «falso problema». La verità è che gli Stati hanno saputo troppo poco risparmiare rispetto all’ampliamento del bacino di competenze (e, di converso, dei costi connessivi), di cui si sono presi carico. La crisi economico-finanziaria globale con i suoi «salvataggi a catena» di attori finanziari (ed il fisiologico decremento di PIL ed entrate tributarie a parità di

tassazione) è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. Se il debito pubblico non è equiparabile a quello privato (essendo il primo grazie ai suoi bond anche una forma di detenzione del reddito da parte della società stessa), non significa che non vi sia un limite alla sua sostenibilità. Ma dov’è il potenziale di risparmio, quindi? Gli apparati statali dovrebbero iniziare a spogliarsi di quell’istinto di sostegno «genitoriale», che li contraddistingue ed – in fin dei conti – li ha fatti impoverire (senza necessariamente avere ottenuto i risultati sperati). Come dimostrano i dati statistici, l’aumento degli introiti da tassazione (rispetto al PIL) è stato diffuso, mentre l’indebitamento pubblico «galoppava». «Mantenere lo stato sociale», slogan assai gradito nel Vecchio Continente, dovrebbe essere riletto in chiave di «darvi sostenibilità» in quanto preziosa conquista. Al bando, quindi, le misure draconiane imposte a taluni Paesi, bensì ritorno alla quintessenza del benessere, cioè la crescita economica (sostenibile). Lo scopo ultimo dei policymaker dovrebbe, infatti, essere quello di creare nuovo reddito – non meramente di trasferirlo, ritornando alla logica del gioco infantile di travasare l’acqua del mare da un bicchierino all’altro.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Politica e Economia

Paura esagerata di una crisi economica globale La consulenza della Banca Migros Christoph Sax

Crescita del PIL mondiale

30%

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32%

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2015

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1995

1990

1985

-30%

Rendimento annuo delle azioni su scala mondiale (MSCI World, rendimento totale depurato dell’inflazione in USD) Crescita reale del PIL dell’economia mondiale (in USD)

tra le aree geografiche, soprattutto nella situazione attuale, in cui alcuni indici azionari hanno raggiunto record assoluti. A chi predilige la cautela consigliamo

di attendere l’esito delle presidenziali francesi. È poco probabile che la vittoria di Marine Le Pen scateni una recessione globale, ma provocherà sicuramente

Fonti: FMI, Banca mondiale, Thomson Reuters

-10%

1980

Christoph Sax, capo economista della Banca Migros

Da quanto ci riportano i media il futuro dell’economia mondiale appare poco rassicurante. Una nuova ondata di protezionismo incombe dopo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, la stabilità dell’Eurozona è tuttora fragile e in Cina il sistema finanziario sembra minacciato da una crescita esorbitante dei crediti. I pericoli che tutto ciò comporta non devono essere sottovalutati. Ma se guardiamo al passato ci accorgiamo che l’economia mondiale dimostra, nel complesso, una notevole resistenza. Negli ultimi settant’anni ha subito una contrazione un’unica volta, nel 2009, sulla scia della crisi dei mutui ipotecari negli Stati Uniti. Tuttavia, anche allora il calo del prodotto interno lordo globale è risultato appena dello 0,1%, grazie al fatto che la crescita dei paesi emergenti ha controbilanciato il deteriorarsi della congiuntura negli Stati Uniti e in Europa. Queste sono notizie positive per gli investitori azionari con un lungo orizzonte temporale. Occorre tuttavia considerare che le borse tendono all’esagerazione e sono molto sensibili a una variazione delle prospettive in materia di utili societari. Le quotazioni di borsa registrano oscillazioni molto più massicce del prodotto interno lordo mondiale. Ecco perché è opportuno scaglionare nel tempo gli investimenti e diversificarli

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Gli effetti economici del frontalierato Dal 2002 in misura limitata e dal 2007 in modo completo è stata introdotta in Svizzera la libera circolazione della manodopera proveniente dai paesi dell’Ue. Accolta dapprima come la riforma che avrebbe consentito il rilancio dell’economia, dopo la lunga fase di stagnazione degli anni Novanta, la libera circolazione, con il crescere e degli effettivi e della proporzione di lavoratori stranieri nel totale degli occupati, è andata perdendo sempre più appoggio sia nella popolazione, sia nel parlamento. E questo nonostante tutte le ricerche sugli effetti economici del fenomeno concludessero sempre che la libera circolazione favoriva la crescita, non influenzava in alcun modo la disoccupazione e non era probabilmente responsabile nemmeno della stagnazione dei salari. In Ticino «libera circolazione» significa

soprattutto libero afflusso di lavoratori frontalieri ed è sui frontalieri e i loro effetti sull’economia che si è concentrata, da noi, molta parte della discussione sugli effetti della libera circolazione. I risultati delle ricerche a livello nazionale sono sempre stati accolti, in Ticino, con grande scetticismo. I ticinesi (con il loro governo in testa) sostenevano e sostengono che questi risultati non valgono per le zone di frontiera perché le stesse sono maggiormente esposte alla concorrenza che i frontalieri esercitano sul mercato del lavoro locale. Si rilevava inoltre che l’aumento dell’effettivo di lavoratori frontalieri non solo provocava un forte aumento dei costi sociali dovuti al traffico, ma induceva un fenomeno di sostituzione di manodopera e conteneva l’aumento dei salari nell’edilizia, nell’industria e nei servizi. Che questi effetti non

risultassero statisticamente significativi nelle ricerche empiriche fatte sin qui lo si doveva, secondo i critici di questi studi, al fatto che le stesse consideravano gli effetti per l’insieme della Svizzera e non tenevano conto del fatto che le regioni di frontiera vivevano una realtà diversa. Ora disponiamo finalmente di un primo studio sugli effetti della libera circolazione nelle zone di frontiera. Lo ha pubblicato qualche settimana fa il KOF, l’Istituto di ricerche economiche del Politecnico di Zurigo e riguarda il periodo 2002-2007 ossia il periodo nel quale le zone di frontiera, che potevano far capo liberamente ai frontalieri, erano avvantaggiate sulle altre regioni del paese nelle quali la libera circolazione era ancora limitata. Detto altrimenti, nel periodo 2002-2007, le regioni di frontiera hanno goduto di un vantaggio localizzativo particolare, un

po’ come nella seconda metà degli anni Sessanta dello scorso secolo quando l’immigrazione dei lavoratori era contingentata ad eccezione dei flussi di frontalieri. Stando allo studio del KOF il fatto di poter ricorrere liberamente ai frontalieri ha, fino al 2007, fatto crescere l’effettivo di aziende localizzate nelle zone di frontiera più rapidamente che nel resto del paese. Di conseguenza sono aumentati più rapidamente anche gli effettivi di lavoratori occupati e il fatturato delle aziende alla frontiera. Secondo gli studiosi del KOF sono tre le ragioni che spiegano questa evoluzione. Due sono legate alla libera circolazione dei frontalieri. Stando alla prima di queste spiegazioni, la libera circolazione ha permesso alle aziende delle zone di frontiera di soddisfare la loro domanda di manodopera meglio di quanto non potessero fare prima del

2002. La seconda sostiene che la libera circolazione dei frontalieri ha fatto affluire nelle zone di frontiera aziende che avevano bisogno di lavoratori con le qualifiche di cui dispongono i frontalieri. Infine lo studio del KOF dimostra che le aziende delle zone di frontiera sono diventate più innovative, dopo il 2002. Lo studio si ferma, per la ragione che abbiamo già evocato, al 2007. In quell’anno i frontalieri in Ticino erano solo 40’000. Sarebbe stato interessante sapere se, una volta terminato il vantaggio localizzativo di cui si è detto più sopra, l’ulteriore aumento dei frontalieri abbia continuato a produrre gli effetti positivi appena ricordati. È probabile che sia stato così, altrimenti non si spiegherebbe come il Ticino, dal 2009 a oggi, abbia sempre avuto tassi di crescita del Pil uguali o superiori a quello medio nazionale.

to nella sua torre newyorkese come primo leader straniero Nigel Farage dello Ukip (partito per l’indipendenza del Regno Unito), e dopo l’insediamento ha voluto subito incontrare la premier britannica Theresa May, per incoraggiarla a proseguire sulla via della Brexit. Ho intervistato Farage alla vigilia del referendum del giugno scorso. L’avevo inseguito per mezza Inghilterra, dopo aver avuto il suo numero dal portavoce alcolizzato in cambio di tre pinte di birra, bevute al Westminster Arms, il bar di fronte al Parlamento. Alla fine l’ho trovato a Folkestone, nel Kent, dove abita, e dove sbuca il tunnel sotto la Manica: la porta dell’Inghilterra. In attesa di intercettarlo, ho seguito il telegiornale al bar del paese. Quando passarono le immagini degli sbarchi di Lampedusa, che per un inglese è un posto remoto dove si fa il bagno quando da loro fa freddo, gli avventori si guardarono l’un l’altro terrorizzati, come a dire: questa è roba vostra, non ci riguarda. Mancavano due settimane al referendum, e mi convinsi che Brexit avrebbe potuto vincere, come scrissi in

fondo al pezzo. Farage mi parlò della nuova Europa che sarebbe seguita alla vittoria sua e di Grillo. Questa più o meno la sua teoria: «Il Paese-chiave, l’anello debole della catena che imprigiona i popoli del continente, è l’Italia. Fine anni Novanta: Prodi e Ciampi portano Roma nell’euro. Io tengo il mio primo discorso a Strasburgo e dico: “L’euro è fatto per il Nord Europa, non per i Paesi mediterranei: li getterà in rovina”. 2004: Prodi porta in Europa i Paesi ex comunisti, che non sono ancora diventati vere democrazie; e oggi la seconda lingua di Londra è il polacco. 2008: Berlusconi viene eletto in libere elezioni e prende le distanze da Bruxelles e da Berlino. 2011: un colpo di Stato destituisce Berlusconi e lo rimpiazza con un governo fantoccio, affidato a Monti, uomo della Goldman Sachs; che al governo ha fatto quello che la Merkel gli ha detto di fare. Ricordo quando arrivò a Strasburgo: tutti si alzarono ad applaudire, come se fosse entrato il messia. Io rimasi seduto. Mi dicevo: l’Italia è un grande Paese, non può farsi trattare come una colonia tedesca. Infatti alle elezioni

del 2013 Grillo è il primo partito. 2015: referendum in Grecia; il popolo vota no all’Europa, ma Tsipras si piega. Il 2016 è l’anno della svolta. Viviamo un momento cruciale della storia. Grillo e io distruggeremo la vecchia Unione europea. Il 19 giugno i 5 Stelle eleggeranno il sindaco della capitale e cambieranno l’Italia. Il 23 giugno la Gran Bretagna uscirà dall’Unione e cambierà l’Europa. Avremo un effetto domino. Dopo di noi gli altri Paesi del Nord se ne andranno uno dopo l’altro. Per prima la Danimarca; poi l’Olanda, la Svezia, l’Austria. Questo referendum è l’evento più importante degli ultimi cinquant’anni. L’Europa ne uscirà disintegrata». Farage su un punto aveva ragione: Brexit ha vinto. Eppure la sua profezia è destinata a restare incompiuta. Perché il 2017 potrebbe rivelarsi l’anno della sconfitta dei populisti, dall’Olanda alla Francia alla Germania. Se poi davvero la Scozia lascerà il Regno Unito per unirsi all’Europa, potrebbe essere l’inizio della riscossa. L’unico Paese dove i populisti potrebbero vincere davvero è l’Italia.

pubbliche, chino sui testi di Hegel e di Aristotele. Perché Lenin era sì uno stratega e un sobillatore, ma anche un intellettuale di prim’ordine, con alle spalle una solida formazione. In esilio aveva concepito e pubblicato libri come Che fare?, Un passo avanti e due indietro, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, testi che procurarono all’autore una fama imperitura, soprattutto durante il periodo della Terza Internazionale comunista. Lenin attendeva da anni la scintilla dell’insurrezione generale antizarista. L’aveva teorizzata e propugnata di fronte agli odiati riformisti dell’Internazionale socialista, che nell’agosto del 1914 non avevano saputo impedire la guerra tramite un’azione coordinata. Adesso quel segnale era giunto e bisognava reagire con tempestività. Il treno era pronto al binario per ricondurlo in patria, a Pietrogrado (San Pietroburgo), dove i compagni bolscevichi l’aspettavano con trepidazione.

Ma chi aveva organizzato quel convoglio, e perché? Quell’iniziativa era stata escogitata dai servizi segreti del Reich tedesco, allo scopo di chiudere al più presto il fronte orientale. La Germania di Guglielmo II, infatti, si era ritrovata a combattere su due fronti, da una parte contro la Francia, dall’altra contro la Russia. Lenin, scatenando il caos rivoluzionario, avrebbe permesso di stipulare una pace separata, cosa che effettivamente avvenne a BrestLitovsk nel marzo del 1918. Il Kaiser conosceva i propositi di Lenin; era al corrente del suo progetto di «trasformare la guerra imperialista in guerra civile», come il capo bolscevico aveva ancora ribadito alla vigilia della partenza in una lettera di commiato indirizzata agli operai svizzeri (che peraltro nemmeno sapevano chi fosse). Il treno lasciò Zurigo il 9 aprile (calendario gregoriano); raggiunse la frontiera con la Germania in poche ore; di qui

il gruppo fu fatto proseguire attraverso il territorio tedesco alla volta della Svezia e del Granducato di Finlandia. Tre porte su quattro della carrozza erano sbarrate, di fatto nessun passeggero poteva salire o scendere (da questa condizione di extraterritorialità nacque la leggenda del «vagone piombato»). Il suo arrivo alla stazione di Pietrogrado fu salutato da una folla eccitata e festante; nel frattempo Lenin aveva steso le «Tesi di aprile» che aprivano la seconda tappa del suo piano rivoluzionario, ovvero l’istituzione della «repubblica dei Soviet dei deputati operai, dei salariati agricoli e dei contadini, in tutto il paese, dal basso in alto». Robert Service, uno dei più noti biografi del leader bolscevico, ha scritto che i «segni della strategia per la rivoluzione d’Ottobre del 1917» erano germogliati in Svizzera ben prima del crollo della monarchia dei Romanov. Il treno rivoluzionario si era messo in moto con puntualità elvetica.

In&outlet di Aldo Cazzullo L’anno della sconfitta del populismo Siamo così sicuri che la Brexit sia davvero una rivoluzione? Di sicuro sarà più difficile per un giovane italiano, spagnolo, francese, polacco andare a Londra per studiare o lavorare. E già questo è un bel problema. Inoltre, la reazione di scozzesi e irlandesi fa pensare che il Regno Unito non sopravviverà all’uscita di Londra dall’Europa. Però non bisogna pensare che l’Inghilterra intenda isolarsi. Al

contrario, dietro il voto per Brexit c’è la volontà di sganciarsi dalla burocrazia di Bruxelles e dall’egemonia di Berlino per giocare un ruolo a tutto campo nel mondo, anche coltivando un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti. Non a caso, mentre Obama ha fatto chiaramente intendere di preferire un’Inghilterra inserita nel sistema di alleanze europeo, Trump subito dopo la vittoria elettorale ha ricevu-

Nidel Farage: la sua profezia sull’avvento dei populismi si avverrà? (Keystone)

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Il treno della rivoluzione Il lunedì di Pasqua del 1917 un variopinto corteo di esuli russi si avviò con passo pesante verso la stazione centrale di Zurigo; una trentina di persone, uomini, donne e un bimbo di quattro anni. Con sé trascinavano ceste, zaini, valigie di varia dimensione, provviste per un’odissea ferroviaria che si preannunciava lunga e non priva di imprevisti attraverso Germania, Svezia e Finlandia. Tra loro c’era anche Lenin, vero nome Vladimir Il’ič Ul’janov, un avvocato bolscevico che allo scoppio della guerra era di nuovo riparato in Svizzera dalla Galizia. Personaggio irascibile, irruente, nemico di ogni compromesso, Lenin era giunto la prima volta a Ginevra nel 1895. Complessivamente era rimasto nella Confederazione oltre sei anni, prendendo alloggio di volta in volta a Ginevra, Zurigo e Berna. Soggiorni di varia durata, tappe elvetiche di una peregrinazione europea che l’aveva condotto a Parigi, Bruxelles, Berlino, Londra e persino a Capri.

La rivoluzione di febbraio l’aveva colto di sorpresa nelle sue disadorne stanze zurighesi. Da anni Lenin cospirava, fondava giornali, redigeva articoli e opuscoli, teneva conferenze, organizzava congressi per finalmente rovesciare la dinastia dei Romanov, i cui sgherri avevano impiccato il fratello. Ora finalmente era arrivato il momento di far ritorno in patria, in quella Russia zarista che l’aveva visto nascere, e che nei primi mesi del 1917 era precipitata in un vortice di scioperi, manifestazioni quotidiane, rivolte. Nel corso delle sue intermittenti parentesi elvetiche pochi si erano accorti di lui. La sua presenza, sempre discreta, non aveva mai fornito pretesti alle autorità di polizia per un arresto. La sua occupazione principale consisteva nello scrivere, nello studiare e nell’azzuffarsi incessantemente con i rivali menscevichi. Trascorreva molte ore delle sue giornate nelle biblioteche


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Cultura e Spettacoli Preziosi fogli La nuova visione del passato di J.J. Winckelmann al m.a.x. museo di Chiasso

Elogio dell’asino Un affascinante viaggio letterario alla scoperta dell’asino, animale spesso bistrattato, sia nel mondo reale sia nell’immaginario comune

Un giovane sul podio A soli 26 anni Alpesh Chauhan si appresta a diventare un grande direttore d’orchestra pagina 43

Musica ticinese in vetrina Al Foce di Lugano il Festival La Tessinoise presenta il Ticino, la Svizzera e il mondo

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Un secolo con lo swing

Mostre Allo Spazio Officina di Chiasso,

fino al 30 aprile dischi, film, fotografie, manifesti documentano la storia del jazz È il primo oggetto, quello che attira l’interesse: l’esposizione «Un secolo di Jazz. La creatività estemporanea» che si è aperta allo spazio Officina di Chiasso mette ben in evidenza, all’inizio del suo percorso, il 78 giri centenario della Original Dixieland Jass Band. Il jazz, quello che molti definiscono il più originale contributo musicale della cultura americana del 900, trova in questo disco nero di lacca il suo tassello originario. L’incontro è un po’ deludente, inutile nasconderlo. Oltretutto, se osserviamo da vicino l’etichetta per trovare Livery Stable Blues (che le storie del jazz registrano come il primo brano di jazz mai inciso) dobbiamo girare intorno all’espositore e rivolgerci al lato B del disco. Il lato A è occupato infatti da un molto meno appariscente e conosciuto Dixieland Jass Band One-Step. Ci sono molte altre occasioni in questa eclettica esposizione di sorprendersi e scoprire sfaccettature inconsuete in cui la cultura jazz si è manifestata. Il jazz non è solo musica, infatti, ma un movimento estetico che ha informato di sé le arti grafiche e plastiche, il cinema, i fumetti e la letteratura, per non parlare della meccanica strumentale e fonografica. La mostra di Chiasso è insomma un’occasione per dare al termine «jazz» un connotato estetico ampio e curioso. Prima dell’inaugurazione abbiamo incontrato Bruce Boyd Raeborn, scrittore e curatore dello Hogan Jazz Archive dellla Tulane University di New Orleans, che ha offerto all’esposizione alcuni «reperti» storici. Professor Raeborn, il primo disco della ODJB non segna sicuramente l’anno di nascita del jazz. Quale anno sceglierebbe lei per definirne l’inizio?

Questa è una delle domande più grosse che ricorre nell’ambito degli studi sul jazz. Difficile, anche perché è difficile definire cosa sia il jazz. Prendiamo ad esempio il caso interessante di Buddy Bolden, trombettista storico di New Orleans. Si dice all’inizio del 900 suonasse già una musica che poteva essere definita così. La data del disco è una convenzione comoda che ha peraltro permesso ai musicisti che l’hanno inciso di affermare che l’avevano inventato, cosa che non era vera. Ad esempio il banjoista e chitarrista Cyril Saint Cyr, che era attivo in quegli anni, dice che Bolden non era nemmeno necessariamente il più bravo in quel contesto. C’erano altre band molto migliori di quella di Bolden, che si era ritirato nel 1906. E d’altro canto non si tratta di

parlare di singole band ma piuttosto di un movimento che si era generato.

Ma quali sono gli elementi che definiscono una performance di jazz?

Potremmo indicare: l’uso del blues; l’improvvisazione collettiva; un certo tipo di strumentazione e di arrangiamento in cui gli strumenti parlano tra loro e interagiscono collettivamente. Poi persino la presenza di una batteria: la tecnologia necessaria alla costruzione di un simile strumento è importantissima, perché il jazz originariamente è una musica da ballo. Va notato che i bianchi non chiamavamo quella musica jazz: la chiamavano ragtime, la chiamavano gutbucket music, hot music. C’erano molti termini per descriverla a New Orleans nel 1917. «Jazz» è un nome che circolava nell’ambiente e si registra per la prima volta nel nome di una band attorno al 1910: e prima della Original Dixieland Band anche i gruppi neri e creoli che suonavano musica di New Orleans e arrivavano a Chicago facevano quel tipo di musica. Si ritiene oggi che i primi arrangiamenti suonati da quei gruppi fossero largamente improvvisati. È vero?

Tutti gli arrangiamenti erano improvvisati e si definivano «head arrangements» ciò che significa che invece di essere composti istantaneamente, contenevano elementi preordinati nel corso di prove, imparati a memoria. Poi nella performance c’era la libertà di intervenire per modificarli, inserendo nuove idee, cose che i musicisti facevano tra l’altro anche negli studi di registrazione. Poi arrivò Jelly Roll Morton e disse: «Io sono l’inventore del jazz». Come poteva?

Poté farlo perché la sua composizione Jelly Roll Blues, un brano che è simile al jazz, è forse la prima pubblicazione a stampa di questa musica. L’ha pubblicata a Chicago, ma non è riuscito a trarne molto profitto: infatti è dovuto andare via da lì e ha scelto di spostarsi a Los Angeles, nel 1917. Penso cercasse di evitare la competizione e avesse scelto un posto meno battuto, dove poteva avere in qualche modo il monopolio del jazz. In quel periodo a New Orleans, da dove lui veniva, c’era musica di diversi tipi: classica e operistica, poi la musica che veniva dai Caraibi; c’erano le marching band nelle strade. In ogni caso l’affermazione di Jelly Roll, il suo pretendere d’essere l’inventore del jazz è importante. Ma in realtà è questo immergersi della musica di New Orleans nelle molteplici voci vive in quella città, questa ispirazione alle molte fonti musicali, che crea il jazz. Non può essere

Locandina disegnata da Max Huber per i Jazz Weeks di Chiasso, del 1985. (Collezione Privata)

una cosa dovuta a una persona sola. Se prendi una canzone e la suoni da solo è una cosa, ma se la adatti per una formazione, fosse anche la forma minima di un trio, e ci aggiungi l’improvvisazione collettiva, ecco che quella canzone diventa un’altra cosa.

seguire cambiamenti ed evoluzioni. Ci permettono di riconoscere le voci dei singoli musicisti e di vedere come sono evoluti nel tempo: Louis Armstrong del 1923 è diverso dall’Armstrong del 1928. Solo 5 anni dopo, ha completamente modificato il suo stile strumentale.

È vero: ma come sostengono molti studiosi, un disco è un oggetto congelato nel tempo, mentre il vero artefatto jazzistico vivente, quello che andrebbe valutato, è la performance dal vivo. Il disco, spesso è incompleto. Certo, se non avessimo i dischi a cui fare riferimento saremmo davvero in difficoltà, perché anche i frammenti più piccoli e persino imperfetti ci permettono di

È la «forma concerto» ad aver cambiato molte cose. Una volta il jazz era musica da ballo ma per ballare ci vuole lo spazio. Se lei frequenta oggi la Preservation Hall di New Orleans, dove si preserva lo stile tradizionale, nota che è piccola e non ci si può ballare. Quindi si sta seduti e si ascolta. Più in generale i padroni dei locali preferiscono

Al di là di tutto, comunque, i dischi sono documenti che permettono una valutazione più concreta della storia del jazz.

Nel corso degli anni il jazz si è trasformato da genere popolare a genere molto più intellettualizzato, concettuale. Come è successo secondo lei?

riempirli di pubblico, ed è più facile quando la gente sta ferma. Bisogna dire comunque che a New Orleans ballano in tutte le condizioni, anche per strada. Ai funerali, alle sfilate, alle parate e processioni. I ragazzi seguono le bande, le circondano e ballano. Alan Lomax, il grande etnomusicologo americano, aveva confrontato le second line con certe processioni rituali che si tengono in Africa. Le due tradizioni sono molto legate. Per la gente di New Orleans il jazz è ancora una musica da ballo, ma per i turisti, la dimensione preferita è ancora il concerto. Molti intellettuali hanno iniziato a credere che l’ascolto da seduti sia più rispettoso della musica. Per gli abitanti di New Orleans, invece, qualsiasi luogo, le vie, il portico che dà sulla strada, la piazza, sono luoghi appropriati per l’ascolto del jazz. /AZ


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Cultura e Spettacoli

L’intramontabile bellezza dell’antico Mostre Al m.a.x. museo di Chiasso un’opera illustrata di Winckelmann

Alessia Brughera Johann Joachim Winckelmann, figlio di un ciabattino, giunge a Roma nel 1755 dopo avere per anni alimentato con la lettura di testi classici la sua profonda passione per l’antico. La permanenza nella Città eterna dello studioso tedesco originario di Stendal si svolge sotto l’egida del più grande collezionista e cultore della classicità del momento, il cardinale Alessandro Albani, che fa della propria dimora sulla Via Salaria il luogo eletto per il conversare di poche, sceltissime, personalità erudite. La liberalità e la stima del prelato romano nei suoi confronti permettono a Winckelmann di realizzare il sogno a lungo accarezzato di vivere dedicandosi all’esplorazione delle vestigia del passato, di scrivere i suoi saggi più significativi e di acquisire quella fama universalmente riconosciuta che gli frutta nel 1763 l’incarico di Commissario delle Antichità di Roma. Villa Albani è il suo regno, qui Winckelmann trascorre le giornate ad ammirare la ricca raccolta del cardinale conservata ed esposta come in uno scrigno, maturando la convinzione che «l’unico modo per divenire grandi e, se possibile, inimitabili, è di imitare gli antichi» e arrivando a compendiare le caratteristiche salienti dell’arte classica in «una nobile semplicità e una quieta grandezza».

Secondo Goethe leggendo Winckelmann non si impara nulla ma si diventa qualcosa Dalle pagine dei suoi scritti traspira un impegno entusiastico nell’affermare che le statue antiche non sono semplicemente le reliquie di una civiltà scomparsa ma opere d’arte vive che hanno valore per i contemporanei in quanto incarnano l’essenza dello spirito greco. Troppo appassionato per essere un archeologo accade-

mico, Winckelmann scrive da uomo di sentimento che non può nascondere il suo ardore nei confronti di un’arte che reputa perfetta. Aprendo le porte alla critica soggettiva e alle evocazioni impressionistiche, insegna alla sua epoca a guardare con occhi diversi tutta la cultura greca: «leggendo Winckelmann», diceva Goethe, «non impariamo nulla, ma diventiamo qualcosa». Notevole, dunque, è il suo contributo alla nascita di una nuova visione del passato. Winckelmann può essere a buon diritto considerato il padre della storia dell’arte in senso moderno, in quanto è stato il primo ad applicare un metodo organico all’analisi delle opere. Con lui i prodotti artistici antichi cessano finalmente di essere accomunati in un tutto indistinto e vengono inseriti in una compiuta dimensione storica. Merito di Winckelmann è stato superare l’arida erudizione archeologica attraverso un’idealizzazione mitica dell’arte greca che non è tuttavia semplice vagheggiamento della sua bellezza: lo sguardo retrospettivo si attualizza nel presente proponendo la fondazione di un’estetica per il mondo moderno. Proprio a uno dei lavori di Winckelmann che ha tra i suoi obiettivi la ricerca del «bello ideale» è dedicata una mostra al m.a.x. museo di Chiasso, una rassegna concepita per riscoprire il fondamentale, seppur non molto noto, volume illustrato dal titolo Monumenti antichi inediti, nell’anno in cui si celebra il terzo centenario della nascita del teorico tedesco. Winckelmann incomincia a lavorare a questo titanico progetto nel 1761, impegnandosi con instancabile tenacia per diverse primavere e vedendo finalmente il risultato delle sue fatiche sei anni più tardi. Unico suo scritto in lingua italiana, Monumenti antichi inediti si pone subito come impresa singolare nella produzione dell’autore per il ricco apparato di immagini che affianca il testo, un dispositivo iconografico puntuale che viene utilizzato da Winckelmann per accompagnare ciascuna delle descrizioni riportate.

Anonimo, Bassorilievo di marmo raffigurante Cerere, Nettuno e Arione, presente nella collezione del palazzo Albani, incisione inserita in Monumenti antichi inediti no. 19, 1767, 9,8 x 17 cm. (Collezione d’arte m.a.x. museo, Chiasso)

Nelle oltre duecento grafiche esposte in mostra – l’intero corpus di tavole contenute nell’editio princeps in due tomi del 1767, a cui sono state affiancate anche numerose matrici in rame e alcuni reperti prestati dal Museo Archeologico di Napoli – si possono ammirare sculture, busti, vasi, mosaici, bassorilievi, gemme ed edifici scelti con cura da Winckelmann per la loro capacità di trasmettere il valore esemplare dell’antico. Finanziate di tasca propria e commissionate a diversi artisti, queste incisioni rappresentano opere che egli ha modo di esaminare durante i suoi tanti viaggi a Firenze, Napoli, Portici, Pompei, Ercolano, Paestum e Caserta o che ha modo di visionare ogniqualvolta lo desidera nella villamuseo dell’Albani. Gli oggetti appartenenti alla collezione del colto cardinale romano costituiscono una parte rilevante di quelli riferiti nell’opera, come a voler omaggiare per la sua munificenza colui che Winckelmann considera «il conoscitore più illumi-

nato» delle belle arti. Non per nulla il trattato viene dedicato proprio all’Albani, a cui tra l’altro Winckelmann decide di lasciare nel testamento tutti i suoi averi. Sebbene la pubblicazione sia di estrema importanza, non riscuote però l’interesse sperato. Poche sono le copie vendute, con grande rammarico dell’autore che vi ha investito energia e denaro e che, come testimonia in mostra il manoscritto originale con il progetto del terzo volume, intendeva dare anche un seguito all’opera. Proposito, questo, impedito dalla sua morte prematura e inaspettata nel 1768. Dovranno trascorrere alcuni decenni perché Monumenti antichi inediti possa godere appieno della meritata attenzione. Una ricca sezione della rassegna documenta la sua fortuna critica tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, quando per l’innovativo approccio allo studio dell’arte diviene un riferimento per tanti autori e per i primi musei nascenti.

L’esposizione chiassese raccoglie anche alcuni ritratti incisi e dipinti che rappresentano Winckelmann: tra questi spicca a fine percorso una copia del quadro del pittore austriaco Anton von Maron che effigia lo studioso tedesco vestito con un’elegante pelliccia di lupo e taffetas rosso mentre siede allo scrittoio, con Monumenti antichi inediti in primo piano aperto sulla stampa raffigurante l’Antinoo. Accanto a lui il busto del poeta Omero viene posto come simbolo di tutta quella cultura greca che, con i suoi scritti, Winckelmann ha avvolto di un’eterna primavera, diventandone il cantore e il grande visionario. Dove e quando

J.J. Winckelmann (1717-1768). I «Monumenti antichi inediti». Storia di un’opera illustrata. m.a.x. museo, Chiasso. Fino al 7 maggio 2017. Orari: ma-do 10.00-12.00 / 14.00-18.00; lu chiuso. www.centroculturalechiasso.ch

Circo e teatro per una ricetta di lunga vita In scena La tournée Circoncerto di Marco Camani, ex-responsabile dell’ambiente del Cantone, e di Luzia Bonilla,

artista svizzero-peruviana, ha toccato diverse località del Ticino Giorgio Thoeni Per il dottore in fisica Mario Camani, la lunga carriera amministrativa come responsabile dell’ambiente per il Canton Ticino, conclusa nel 2006, aveva già iniziato a intrecciarsi con l’inizio di una nuova avventura: il teatro. Anche se, a ben vedere, entrambi i capitoli di vita hanno avuto (e hanno) a che fare con la luce dei riflettori. Come primo responsabile dell’energia in Svizzera e precursore della difesa dell’ambiente, Camani aveva infatti già vissuto un lungo periodo da protagonista in cui i suoi punti di vista si sarebbero inseriti in una somma di vivaci, frequenti e controversi dibattiti d’attualità. Oggi, a bocce ferme, è giusto ammettere che il calore dei fari che si sono poi accesi sulle sue esibizioni è decisamente preferibile a quelli più chiassosamente massmediatici che sono stati puntati su controversie spesso condizionate dall’umore della politica. E poi, a ben vedere, la sua passione teatrale si è trasformata in una sorta di elisir di

Luzia e Marco hanno appena concluso la tournée di Circoncerto.

lunga vita: all’alba dei suoi 75 anni portati splendidamente, ecco che vederlo in scena ci fa capire quanto cuore ha da vendere Mario Camani grazie a una coraggiosa e conquistata bravura. Ma non è solo. Da una quindicina d’anni gli fa compagnia Luzia Bonilla, svizzeroperuviana nata e cresciuta ad Arcegno, un’artista che vanta un fitto curricolo professionale nell’ambito delle arti circensi e dello spettacolo. Luzia è davvero molto brava, elegante e sicura di sé. Ma è proprio nel contrasto con la passione amatoriale di Mario che l’atmosfera circense prende forma, animata da un grande spirito di onesta e contagiosa semplicità. Però ammettiamolo: se Camani non fosse stato il Camani che abbiamo conosciuto in passato, quello del «dopo Cernobyl», probabilmente non ce ne saremmo occupati. Eppure è proprio questo suo salto in avanti ad averci affascinato. Quell’omino dallo sguardo stralunato, con un casco di capelli grigi perennemente arruffati e una fisionomia che ricorda Stan Laurel, si è tra-

sformato in un personaggio pronto a far sorridere grandi e piccini. In un’ora circa di divertimento, il duo Luzia-Mario ha appena concluso la piccola tournée ticinese di Circoncerto, una serie di numeri di jonglage, di acrobazia in un misto di clownerie. Come far ruotare sfere di cristallo sul palmo di una mano, come far volteggiare in aria le classiche palline o le clave o addirittura una mazza da baseball, come lasciarsi ipnotizzare dai vortici dell’hula hoop sull’elegante corpo di Luzia, come rimanere in equilibrio su un pallone o su un monociclo. Ci vuole maestrìa per tutto questo. E anche laddove la perfezione sembra essersi distratta, la complicità del pubblico non abbandona quella loro tenera complicità. Ci piace infine aggiungere che aver visto Circoncerto ci ha dato anche l’occasione di riscoprire la bellezza delle piccole sale ticinesi, quelle degli oratori, spesso dei gioiellini sottovalutati ma importanti per il ruolo che hanno nella diffusione dell’intrattenimento e della cultura.


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Cultura e Spettacoli

Le regole della letteratura

Sulle tracce di Alien

le conversazioni radiofoniche sulla scrittura dell’indimenticato Giuseppe Pontiggia

Filmselezione Fantascienza, horror,

Scrittura Belleville (sigla editoriale nata dall’omonima scuola) ha recentemente pubblicato

Mariarosa Mancuso I manoscritti non saranno restituiti perché smarriti. Questo voleva scrivere il direttore di una rivista (vero, tanti anni fa, diciamo il peccato ma non il peccatore) ai questuanti che inviavano articoli non richiesti. Elio Vittorini, direttore negli anni 50 della collana einaudiana I Gettoni, a Giuseppe Pontiggia che gli aveva telefonato dicendo «Avrei un manoscritto da farle leggere» rispose in maniera più articolata. «Bene, me lo mandi, poi mi telefoni, io non l’avrò letto, e allora lei mi ritelefoni e io non l’avrò letto neanche allora; mi telefoni una terza volta, io sarò irritato che lei mi telefoni per la terza volta, dopodiché ci incontreremo». Il manoscritto era intitolato La morte in banca (dove l’aspirante scrittore era andato a lavorare a 17 anni, dopo la morte del padre). Di lì a quattro mesi, seguite puntualmente le istruzioni, Giuseppe Pontiggia fu ricevuto da Vittorini, incoraggiato a lasciare la banca, dissuaso a usare «le recensioni dei sentimenti», vale a dire frasi come «Gli sembrava che…» oppure «Aveva la sensazione che…». L’allievo seguì il consiglio e scrisse libri bellissimi come Vite di uomini non illustri e Nati due volte. A rendere l’aneddoto ancora più gustoso, sono gli altri Gran Rifiuti dello scrittore siciliano: Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il tamburo di latta di Günter Grass, Il Dottor Zivago di Boris Pasternak. A metà degli anni 80, Giuseppe Pontiggia iniziò al Teatro Verdi di Milano – allora era un quartiere di periferia con la sede del PCI, oggi è l’Isola, luogo di elezione degli hipster milanesi, poco lontano dal bosco verticale di Stefano Boeri – i suoi corsi di scrittura. Materia di cui in Italia si era a fatica sentito

parlare, mentre negli Stati Uniti erano numerosi (all’interno delle università, perlopiù). Dieci anni dopo, nel maggio 1994, Aldo Grasso commissionò a Giuseppe Pontiggia una serie di conversazioni radiofoniche sulla scrittura. In onda sulla seconda rete della RAI, ora sono pubblicate da Belleville editore, sigla editoriale nata dalla scuola di scrittura creativa con lo stesso nome pennacchiano (a Milano dal 2014). Tra gli insegnanti: Ottavio Rossari, Edgardo Franzosini, Luca Crovi, Walter Siti. Oltre al corso annuale, propone una serie di corsi serali, mentre il prossimo libro – in autunno – sarà Writers in Hollywood di Ian Hamilton. Ovvero, le avventure e le disavventure degli scrittori arruolati dal cinema. Per esempio William Faulkner, che in cambio di un’ottima paga settimanale chiese «posso lavorare da casa?». Dallo studio gli risposero di sì, e lui non si mosse dal Mississippi, giacché odiava Los Angeles. La relazione andò malissimo, e non migliorò in corso d’opera. Chi ha conosciuto Giuseppe Pontiggia ne ricorda la smisurata biblioteca (aveva affittato l’appartamento al piano di sopra per farci entrare tutti i libri) e la brillante conversazione, ricca di aneddoti che riguardavano sia i poeti amici sia gli scrittori dei secoli passati. È il modello Carlo Fruttero di chiacchiera letteraria, come lo si trova esposto in Mutandine di chiffon: parlare di Zola, di Dickens, di Jonathan Safran Foer, di Salman Rushdie con il tono dei padroni di casa che commentano gli ospiti, a festa appena finita. Tutto si ritrova in queste pagine, e volendo anche nel CD allegato al libro. Giuseppe Pontiggia sfata l’idea che Marcel Proust sia «uno scrittore dotato di prodigiosa memoria» – definizione che ebbe il risultato di tenerlo lontano

Fabio Fumagalli ** Life – Non oltrepassare il limite, di Daniel Espinosa, con Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson, Ryan Reynolds, Hiroyuki Sanada, (Stati Uniti 2017)

Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere è edito da Belleville.

per un po’ dalla Recherche. Non erano i ricordi che gli interessavano, era la costruzione gigantesca e fascinosa che se ne poteva trarre. Questo – e non altro – segna la differenza con gli scrittori dilettanti che cominciano a raccontarci delle loro zie, prozie, cognate annoiandoci a morte. Prende in giro «i narratori irresponsabili». Insomma, i velleitari che annunciano «voglio raccontare un paese dove non succede niente» – e li invita subito a cambiare mestiere. Chiarisce

che per raccontare la noia non bisogna essere noiosi, una cosa è la vita e altra cosa è l’arte. A una signora che davanti a un suo dipinto commentò «la donna ha un braccio più lungo dell’altro», Braque rispose «Non è una donna, è un quadro». Avverte «contano solo le cose che capitano sulla pagina». Perfetta risposta per chi – quando gli fai notare che il dettaglio è insulso, la precisazione noiosa, la battuta stantia – risponde «ma è andata proprio così». Certo, nella vita. Per fortuna la letteratura ha regole più rigorose.

Una brillante apologia dell’asino Pubblicazioni Realtà, metafore e pregiudizi attraverso i secoli Giovanni Fattorini Chi qualifica o apostrofa qualcuno col termine «asino», il più delle volte gli vuole dare dell’ignorante. Ma un tale epiteto può anche significare: sei uno stupido, uno zotico, un testardo. Roberto Finzi – storico del pensiero economico e dell’agricoltura, autore fra l’altro de L’onesto porco. Storia di una diffamazione – ha recentemente dato alle stampe Asino caro, o della denigrazione della fatica, un saggio scritto con l’intenzione di chiarire «perché si sia sedimentata l’equazione asino = ignorante e non altre, che pure sono presenti nella storia culturale di molti paesi». Oggi l’asino, scrive Finzi nel Prologo, è «una realtà concreta abbastanza ridotta. Intorno al 2% dell’intera popolazione di animali allevati nel nostro pianeta». E il 96,2% di tale popolazione si trova in Asia, Africa e America Latina. Vale a dire: è «appannaggio di realtà povere. E prevalentemente agricole». «Un animale stupido, lento e pigro», ma anche «coraggioso, resistente al lavoro e paziente», la cui alimentazione costa davvero poco. Ragion per cui è «la risorsa delle persone di campagna che non possono acquistare un cavallo e nutrirlo». Così recita la voce «Asino» redatta da Louis Jean Marie Dauberton per il Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers – la celebre Encyclopédie – diretto da Diderot con la collaborazione di d’Alembert. Non meraviglia che l’antico e stretto legame con questo prezioso quadrupede sia stato per l’uomo un’occasione di rispecchiamento e una fonte di metafore e di

L’asino, un animale ingiustamente sottovalutato.

simboli, contraddittori e non di rado opposti, raggruppabili – come si legge in un saggio di Nuccio Ordine su Giordano Bruno che sembra aver orientato il discorso di Finzi – «all’interno di tre grandi coppie oppositive: benefico/demoniaco, potente/umile, sapiente/ ignorante». Esprime pieno apprezzamento la descrizione cinquecentesca dell’asino – «una quasi appassionata lode», la definisce Finzi – fatta dall’agronomo bresciano Agostino Gallo, secondo il quale non fu certo un caso che il Figlio di Dio abbia voluto nascere avendo accanto a

e infine thriller

sé questo animale, né che «la intemerata Madre sua» lo cavalcasse durate la fuga in Egitto. A farne una figura di rilievo nella tradizione cristiana contribuisce anche il fatto che la domenica delle palme Gesù entrò in Gerusalemme in groppa a un’asina seguita dal suo puledro (secondo Matteo), o a un asinello (secondo Marco). Come dice un racconto riportato dall’ugonotto francese François-Maximilien Misson nel suo Nouveau Voyage d’Italie (1691), l’asino dell’ingresso in Gerusalemme fu gratificato dal Redentore con la concessione della libertà, che l’animale esercitò muovendosi dapprima in Palestina, e poi in vari paesi, finché giunse a Verona, dove prese dimora e visse onorato fino alla morte, che suscitò il cordoglio generale. In seguito, i devoti veronesi ne conservarono le reliquie «nel ventre di un asino finto costruito appositamente», che era custodito nella chiesa di Santa Maria in Organo, e che due o tre volte l’anno veniva portato in processione. L’asino è però figura ambivalente nella tradizione cristiana. Tra i suoi caratteri satanici, lo storico Franco Cardini – citato da Finzi – annovera la propensione alla lussuria, connessa all’enormità del suo organo sessuale, che richiama la mitica figura di Priapo. Muovendosi in ambito pagano, Finzi menziona Luciano di Samosata, l’Asino d’oro di Apuleio (di cui si coglie un’eco anche nel Pinocchio di Collodi), e la misogina Satira VI di Giovenale, dove si legge che durante la festa della dea Bona – alla cui celebrazione non potevano partecipare i maschi – le donne,

al colmo dell’eccitazione, mandavano a chiamare i loro amanti, e se questi non erano immediatamente disponibili, ricorrevano agli schiavi o si servivano di un asino. Nel suo De minore asello, Lucio Giunio Moderato Columella – agronomo del primo secolo d.C. – scrive che era tipico degli asini l’essere attaccati alla mola per macinare il grano: un lavoro gravoso, aggiunge Roberto Finzi, che li assimilava agli schiavi impiegati per la molitura, e che ricorda il biblico Libro del Seracide, dove il maestro di sapienza ammonisce: «Foraggio, bastone e pesi per l’asino; / pane, castigo e lavoro per lo schiavo». Ecco allora una delle conclusioni a cui l’autore giunge nel capitolo finale di un libro – al tempo stesso erudito e di piacevolissima lettura –, di cui ho sintetizzato solo alcune parti. «Nell’immaginario, specie in quello “alto”, colto, l’asino è stato al centro […] di una coincidentia oppositorum, di una convergenza degli opposti». Ma nell’uso e nella percezione comune, il termine «asino» – quando è indirizzato a una persona – «è un insulto che richiama l’ignoranza» e l’umile condizione di chi appartiene ai livelli inferiori della società. «È il riflesso del disprezzo sociale per chi è povero: disprezzo che la lezione evangelica combatte senza riuscire a sradicarlo nemmeno in chi cristiano si professa».

Parte bene, Life – Non oltrepassare il limite. Con uno spaccato, immobile e prolungato di quella che un tempo era sufficiente definire la volta celeste. Al cospetto, da sempre affascinante, dei milioni di stelle e galassie apparentemente immobili, ma fra le quali appare, improvvisamente e a malapena, un minuscolo punto luminoso in movimento. Si tratta di una Stazione Spaziale Orbitante, con a bordo un equipaggio internazionale in procinto di compiere la scoperta più attesa da anni, la prova dell’esistenza della vita su Marte. Parte bene, insomma, il film: anche perché, da quel momento in poi, il regista (Daniel Espinosa, cileno d’origine, nato in Svezia, al suo sesto lungometraggio, ma con Hollywood che sembra essersi accorta di lui) s’impone di non più abbandonare gli interni dell’immensa astronave. Accompagnando per mano lo spettatore – con eleganza e profusione di mezzi tecnici – in un minuzioso esame dei suoi anfratti più reconditi, gli permetterà di scoprirne il futurismo tecnologico e soprattutto di fargli assaporare la vertigine dovuta all’assenza di gravità. Saranno questi i primi segnali di una dilagante inquietudine dovuta, ma solo in parte, a uno spazio materialmente e psicologicamente claustrofobico. A mutare quel vago malessere in più tangibile angoscia ci penserà la natura, assai meno inoffensiva del previsto, dei reperti prelevati su Marte, appartenenti a una sorta di mollusco che il biologo di bordo riporterà in vita... A quel punto ecco il mostro dalla crescita e l’aggressività inarrestabili. Lo spettatore è riportato a questo punto alla più celebre delle invasioni spaziali, quella dell’Alien (1978) di Ridley Scott. Sarebbe infatti ingiusto risalire fino a 2001: Odissea nello spazio di Kubrick o alla fantascienza più recente di Interstellar (2014) in cui Nolan riflette su certi interrogativi scientifici attuali. Espinosa non è Kubrick, né Nolan, ma è per altri motivi che un film apparentemente nato sotto una buona stella finisce «soltanto» in una onorevole deriva. Più che fantascienza, quella di Life voleva essere soltanto fantahorror? Nulla di più probabile, soprattutto quando, da un riferimento più che legittimo ad Alien, da un’elegante attenzione formale che si riaggancia encomiabilmente a quella del Gravity di Alfonso Cuaron, il film prende la strada più spiccia. Che, a quel punto, diventa quella a rischio quasi inevitabile di approssimazione, del thriller. Della «ce la faranno i nostri Eroi a tornare sulla terra?» Un interrogativo al quale non intendiamo rispondere.

Bibliografia

Roberto Finzi, Asino caro, o della denigrazione della fatica, Bompiani, pp. 265, euro 13.

Dall’alto al basso, Gyllenhaal, Ferguson e Reynolds sulla locandina del film.


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Cultura e Spettacoli

Dialetto e dialetti

Pubblicazioni Le statistiche sulla dialettofonia (e quelle sulla cultura, la sua pratica e la sua fruizione)

nell’ultimo numero dell’Annuario statistico ticinese Stefano Vassere L’ultimo numero dell’Annuario statistico ticinese, il numero 78 della serie millesimata, ha un capitolo di una ventina di pagine dedicate a statistiche sulla cultura e la società dell’informazione, oltre a una cover story sulla diffusione numerica del dialetto secondo gli ultimi rilevamenti. La parte sul dialetto porta le percentuali relative a persone che parlano dialetto in casa (coi só gént secondo colorita dicitura a didascalia); come prevedibile, il tasso ogni cento abitanti è chiaramente variabile: dal 23% del luganese al 69% della valle di Blenio.

La presenza del dialetto nel nostro quotidiano pare inesorabilmente destinata a scemare Ma colpiscono alcuni dati che parlano di una situazione sociolinguistica almeno curiosa. Nell’ordine: il fatto che tra valle di Blenio e valle Leventina ci sia una differenza percentuale a favore della prima che sfiora il 20%; il fatto che la Leventina abbia un tasso di dialettofonia appunto abbastanza basso (inferiore a Blenio e valle Maggia, di poco superiore alla valle Riviera); il fatto che il Mendrisiotto

abbia percentuali lusinghiere, essendo il suo 31% superiore a Luganese e Locarnese e di poco sotto a quello del Bellinzonese. Incrociando tutte le dita possibili e preso atto che nel frattempo sono cambiati i sistemi di rilevazione, il 30% della media cantonale, che è raccolto nella migliore delle situazioni possibili e cioè quando il dialetto è usato insieme all’italiano e ad altre lingue a domicilio, parla di un regresso ormai chiaro di queste varietà. Le quali seguono destino simile a quello delle lingue più deboli in tutte le situazioni di bilinguismo del mondo, dagli ispanici di New York, agli italofoni di Zurigo, a molte e molte altre situazioni: se la prima generazione è monolingue nella lingua di origine, la seconda è quasi perfettamente bilingue e la terza è ormai quasi del tutto monolingue nella lingua dominante. È probabilmente una questione di conguagli tra lingue del matrimonio e succedersi di generazioni. Seppur con un sistema di rilevazione statistica leggermente diverso (che peraltro pare aumentare le percentuali, per fatti propri della statistica), nel 2000 le persone che usavano il dialetto insieme ad altri codici in famiglia erano in numero di quattro punti percentuali superiore; non si può insomma essere sicuri del fatto, sostenuto dai più, che la dialettofonia tiene bene nelle situazioni comunicative miste con l’italiano. Sul posto di lavoro, anche lì,

L’Annuario dà soprattutto indicazioni quantitative.

scendono le percentuali dell’uso esclusivo del dialetto (ormai all’1,9%) e dell’uso del dialetto insieme ad altri codici (21,8%): erano, con il vecchio sistema ricordiamolo, rispettivamente il 4,1% e quasi il 25% all’inizio del

millennio. In pratica, parla solo dialetto un lavoratore su venti e anche dialetto uno su cinque: tolto lo scarso settore primario, alcune nicchie di dialettofonia storica come il settore militare e parte del settore pubblico,

col jazz contemporaneo

Nato nel 1945, è uno dei caposcuola del jazz europeo. (Sylvain Gripoix )

Un progetto musicale che vuole trarre ispirazione dalla cultura dei nativi americani: il contrabbassista francese, che spesso ha preso spunto da temi sociali per dare fondamento alla sua attività, ha riunito attorno a sé un gruppo di eccezionali strumentisti per il suo più recente progetto musicale, confluito di recente in un album Sky Dancers. La rassegna di rete Due ci offre dunque la possibilità di seguire l’evoluzione creativa di uno dei migliori solisti europei, personalità assolutamente di spicco sulla scena jazz internazionale. Regolamento

Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» biglietti gratuiti per le manifestazioni organizzate tramite il Percento culturale. Il concorso è riservato a chi non ha beneficiato di vincite nel corso degli scorsi mesi. Per vincere basta inviare martedì 4 aprile una email all’indirizzo giochi@

Bibliografia

Annuario statistico ticinese 2017, Bellinzona, Ufficio cantonale di statistica, 2017. Annuncio pubblicitario

I danzatori celesti di Henri Texier

Concorso All’auditorio RSI appuntamento

e al netto di situazioni sociolinguisticamente marginali come le valli o, al contrario, tenuto conto del ruolo percentuale che dovrebbe essere frenante dell’invecchiamento della popolazione, la perdita secca dei tassi di dialettofonia è fuori di dubbio. Non ci dice l’Annuario statistico, perché non è il suo mestiere e non ce lo potrebbe comunque dire da quell’osservatorio, quanti pezzi stia perdendo il sistema dialettale nella sua qualità oltre che nei numeri; se nelle riserve di resistenza percentuale ai margini del territorio cantonale, i sistemi linguistici tendono a mantenere caratteristiche strutturali se non immutate almeno discretamente conservatrici, la contaminazione, la soluzione intermedia, l’enunciazione mistilingue nelle quali il dialetto è tritato nei settori geografici più centrali allentano la sua presenza in modo ancora più pronunciato. Mettiamoci pure anche ambiti di uso sempre più ristretti e asfittici e un lessico inadatto alla modernità imperante e la frittata è fatta. A meno di prevederne se non l’insegnamento almeno una qualsivoglia «copertura» scolastica, che a questo punto parrebbe idea non del tutto infelice.

Bye-bye monotony.

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Cultura e Spettacoli

Nulla va lasciato al caso

Incontri A colloquio con il giovanissimo direttore d’orchestra di origini indiane Alpesh Chauhan,

recentemente al Dal Verme di Milano

stanza dalla loro patria e poi di andare a vivere altre migliaia di chilometri più a Il suo nome sta iniziando a circolare nord». Il destino scelse una via piuttocon frequenza sempre maggiore negli sto particolare per fargli incontrare la ambienti musicali. Col debutto sul pre- musica: «In casa nessuno suonava uno stigioso podio della London Symphony strumento e non c’era nessun disco di Orchestra i riflettori della grande ribal- Mozart o Beethoven, ma vedevamo i ta si sono ormai accesi e nonostante sia film di Bollywood. La Hollywood insolo agli esordi di una carriera intra- diana usa colonne sonore sinfoniche, di presa appena cinque anni fa c’è già chi largo respiro, così pur non conoscendo lo indica come l’erede di Zubin Metha, Bach o Brahms avevo assoluta dimeil direttore indiano noto a tutti gli ap- stichezza con i timbri di flauti e violini, passionati della classica ma anche al trombe e violoncelli». grande pubblico per aver diretto i mitiChauhan si innamorò della muci concerti dei Tre Tenori e varie volte il sica, a otto anni iniziò a suonare il vioConcerto di Capodanno a Vienna. loncello, ma quando volle trasformare E forse non è stato un caso che a la passione in professione la famiglia inizio marzo debuttasse a Milano ne- non nascose un certo malumore: «Dica gli stessi giorni in cui Mehta dirigeva pure una vibrata contrarietà. Non solo alla Scala la Sagra della primavera di da parte dei miei genitori, ma anche di Stravinskij; Alpesh Chauhan era im- nonni e zii: per gli Chauhan la musica pegnato con l’orchestra dei Pomeriggi poteva essere solo un hobby. Per fortuMusicali al Dal Verme, il teatro che sor- na ero scarso in tutte le materie scolage a uno sguardo dal Castello Sforzesco; stiche, me la cavavo, ma neanche tanto, la sera prima del suo concerto è andato giusto in matematica, così diventava ad applaudire Mehta alla Scala, e questi difficile pensare a un qualche percorso il giorno dopo ha ricambiato la visita. di studi, a un ipotetico futuro lavoratiUn’investitura, se non ancora un pas- vo. Il mio sogno era di fare il pilota, il saggio di consegne. bello di fare il musicista è che viaggio Chauhan è nato 26 anni fa a Bir- molto in aereo». Non aveva la stoffa del mingham da genitori indiani: «In real- medico, dell’ingegnere, dell’avvocato, tà mio padre è nato in Tanzania e mia del commercialista, «l’unico ambito madre in Kenya, ma entrambe le loro dove riuscivo, e piuttosto bene, rimanefamiglie sono indiane; come fossero ar- va la musica, così alla fine si arresero e rivate lì non so proprio dirlo e loro non anzi dopo un po’ iniziarono addirittura me l’hanno mai saputo spiegare; evi- a sostenermi». dentemente così voleva il destino, che Oggi sorride ricordando quei primi ha permesso a mamma e papà di inpassi, quando1 fu29.03.17 ammesso09:12 nell’orcheAnnonce_Smarties_Paques_289x220mm_IT_exe_HD.pdf contrarsi a migliaia di chilometri di di- stra giovanile della City of BirmingEnrico Parola

Alpesh Chauhan ha solamente 26 anni. (www.alpeshchauhan.com)

ham: «Era meraviglioso sentirsi avvolti dai suoni dell’orchestra, mi sentivo immerso in una dimensione fantastica. Eppure, prova dopo prova, concerto dopo concerto, sentivo crescere la curiosità verso quella persona che agitava le braccia sul podio e soprattutto verso la sua arte – per me allora oscura – che gli permetteva di farci suonare non come volevamo noi ma come pensava lui. Appena ci fu la possibilità di provarci non me la feci scappare». In quella masterclass venne notato subito e fu scelto come assistente di Andris Nelssons, direttore della formazione professionale della City of Birmingham. Tutto questo accadeva cinque anni or sono. In questo lustro Alpesh ha bruciato le tappe, ora la sua agenda è sem-

pre più fitta di impegni e la musica determina e scandisce le sue giornate. «La musica è sempre presente nella mia vita, anche fisicamente: quando viaggio ho sempre delle cuffie per ascoltare qualcosa; in casa ho delle casse in due camere, nel salotto e nello studio, così ovunque mi trovi posso ascoltare qualcosa». E non si pensi che chi sia uscito da un Conservatorio debba necessariamente essere un conservatore, con i suoi 26 anni Chauhan è figlio del suo tempo: «Le casse non sono collegate a uno stereo ma collegabili allo smartphone o al laptop: iTunes o Spotify sono fonti fantastiche per scoprire brani ma soprattutto per confrontare interpretazioni differenti; talvolta anche youtube è comodo, lo considero un sussidiario

per lo studio, soprattutto per le incisioni antiche». La tecnologia non come fine e neppure come entertainment, ma come mezzo per camminare verso il cuore della musica: qui Alpesh svela il suo metodo di lavoro: «Quando devo affrontare un brano ascolto il maggior numero possibile di versioni, sento come i grandi del passato o del presente l’hanno eseguito; poi però, quando da queste suggestioni devo arrivare a una mia visione e quindi devo trovare delle mie soluzioni per rendere certi passaggi, mi rifugio nella cara, vecchia penna. I miei spartiti sono letteralmente ricoperti di segni rossi e blu: annoto, cerchio, sottolineo, poi cancello e riscrivo su quel poco di carta che è rimasta dopo il passaggio della gomma. E quando riprendo un brano dopo un po’ di tempo ricompro lo spartito e riparto da capo, ricominciando a tatuare i pentagrammi». Ciò che colpisce i professori che si trovano davanti Chauhan è la serietà e la maturità che esibisce; sembra un piccolo Karajan, non perché abbia vezzi o pretese divistiche, ma per l’atteggiamento deciso e pieno di tensione: sa quel che vuole e come fare perché l’orchestra lo realizzi, quando serve sa anche essere severo. «Perché non metto mai sul leggìo uno spartito a caso: dirigo solo quello che sento mio, che mi trasmette qualcosa di profondo e che posso comunicare innanzitutto agli orchestrali e poi al pubblico. I gesti di chi sul podio non sente suo il brano eseguito sono solo una distrazione, un disturbo: rompono le scatole». Annuncio pubblicitario


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Cultura e Spettacoli

Un festival per la musica ticinese che si apre al mondo Rassegne Aris Bassetti ci introduce La Tessinoise, dal 14 al 16 aprile tra Studio Foce e Living Room

Zeno Gabaglio «In questi dieci anni abbiamo condiviso il palco con più di mille gruppi provenienti da tutto il mondo che fanno musica originale, personale e ispirata; abbiamo chiacchierato con loro, ascoltato la loro musica, abbiamo cenato insieme. A volte siamo rimasti in contatto, altre no; a volte è stato bellissimo e altre no. Ma anche quando non c’era feeling la serata non andava mai male per davvero. È una questione di rispetto reciproco, perché si sa cosa vuol dire cavarsela, ricercare una propria identità musicale, trovare un abito sonoro che vesta la propria urgenza espressiva. Ognuno di noi era sempre consapevole di cosa significasse agire senza rifarsi a musiche del momento o a schemi già noti; creare senza imitare nessun altro». Se fossimo in un’epoca in cui i manifesti artistici avessero ancora senso – e soprattutto avessero ancora un appeal – questo potrebbe e dovrebbe essere uno dei più lucidi manifesti della nuova scena musicale della Svizzera italiana. Non a caso a proferirlo è Aris Bassetti – frontman del gruppo Peter Kernel, ghostman del gruppo Camilla Sparksss e demiurgo dell’etichetta On the Camper Records, la più premiata realtà produttiva della nostra regione – sulla base della propria decennale esperienza tra i palchi d’Europa e Nord America. Ma il contesto non è quello dei

manifesti o dei proclami, perché nelle parole di Bassetti non c’è nulla di profetico né tantomeno di sobillatorio: il suo è un flusso di coscienza su dati di fatto, che risponde alla semplice domanda «cosa vi è saltato in mente?». Cosa vi è saltato in mente di creare un festival come La Tessinoise, vero e proprio ricettacolo di musiche non convenzionali all’interno della grande famiglia popular? Cosa vi ha spinto a integrare così tante proposte ticinesi in una terra come la nostra, da sempre musicalmente esterofila? Chi ve l’ha fatto fare di invitare alcuni tra i maggiori operatori nazionali ed europei, mettendo in gioco la credibilità che personalmente vi siete guadagnati – in anni di dura gavetta – a favore dell’intera scena locale? Curiosità più che legittime, che possono però essere spiegate solo con un passo indietro. «Nel 2016 abbiamo deciso di festeggiare i dieci anni dell’etichetta On the Camper con un nostro festival: due sere al Foce di Lugano con le band a noi vicine per estetica e amicizia. Per condividere sia l’anniversario sia il valore di questa scena svizzeroitaliana avevamo deciso di invitare alcuni dei più importanti operatori europei del nostro settore musicale. Per molti di questi – giornalisti, promoter, booker e rappresentanti istituzionali – era la prima volta in Ticino, e la prima volta a contatto con gruppi ticinesi diversi da Peter Kernel o Camilla Spar-

I Rocky Wood saliranno sul palco il 15 aprile al Foce. (www. latessinoise.com)

ksss. E di sicuro era anche la prima volta che il Ticino si attivava in questo modo per far conoscere unitariamente la propria produzione musicale». Un’operazione pionieristica e forse anche azzardata, ma «il successo è stato sorprendente, nei numeri – due sere sold out – e nella riuscita qualitativa, sancita dall’esplicito apprezzamento di tutti gli ospiti convenuti dalla Francia, dalla

Germania, dall’Italia e dal resto della Svizzera, oltre che ovviamente dei molti ticinesi». Malgrado lo sforzo organizzativo non indifferente, si è voluto ripetere l’esperienza anche nel 2017, con un titolo diverso – La Tessinoise – e senza più un legame diretto con l’etichetta: «per il programma abbiamo mantenuto un attento focus sul Ticino ma ci siamo anche

aperti al resto della nazione e dell’Europa». Tratto distintivo della selezione musicale è quella di «proposte che – sulla base di una conoscenza diretta – stimiamo per l’attitudine, la ricerca musicale e l’intraprendenza. Qualità non solo musicali, perché un’espressione artistica efficace non si compone di sole note, ma anche di una visione più generale dello stare al mondo». Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta «Scusi ma ci conosciamo?» I saggi consigliano di registrare su un diario i sintomi e le conseguenze del trascorrere del tempo. Aiuta a fronteggiarli. Io ci provo. Tanto per cominciare, bisognerebbe imitare Luciano De Crescenzo: se gli capita di conoscere qualcuno, subito lo mette in guardia, scusandosi in anticipo se, incontrandolo in un’altra occasione, non sarà in grado di riconoscerlo, poiché si dichiara affetto da una sindrome che gli impedisce di ricordare i tratti del viso delle persone. Non ho il coraggio di dichiararmi affetto da questa sindrome perché si è fatta strada con gli anni poco per volta. «Non ti ricordi più di me?»: nell’esclamazione che arrivava dal finestrino abbassato di un’auto accostata al mio marciapiede c’era una nota di sincero rammarico. «Come no?», ho risposto. «Certo che mi ricordo». Ho frugato invano nella memoria alla ricerca di un indizio per arrivare al suo nome ma lui per fortuna mi ha preceduto, dicendo come si chiamava. La rivelazione non ha acceso nessuna luce;

vista la sua aria giovanile ho pensato che potesse essere un compagno di studi di uno dei miei figli, uno dei tanti che girava per casa quando preparavano esami. Ipotesi confermata dal fatto che ha voluto aggiornarmi, in un diluvio di parole, sui traguardi raggiunti: «Vivo a Barcellona, mi sono sposato e ho un figlio. Faccio il general manager di una catena di 130 oreficerie sparse in tutta l’Europa di proprietà dei miei suoceri». «Mi congratulo con te», gli ho detto. Era su di giri, sembrava sincero: «Sono così contento di averti rivisto che voglio lasciarti un mio ricordo. Lo prendo dal campionario, tanto non me lo lasciano portare in aereo». Aveva già pronta sul sedile di fianco una scatoletta, l’ha aperta e mi ha dato un orologio da polso dicendo: «Ti piace? È tuo». Ero frastornato, ignoravo che fosse vietato portare orologi sull’aereo per Barcellona. Intanto lui già apriva un’altra scatola con un orologio da donna, un oggetto di rara bruttezza: «Questo è per la tua signora». Non li volevo ma non sapevo come

gestire il rifiuto per non offenderlo. Ci ha pensato lui a togliermi dall’imbarazzo dicendo: «In cambio mi fai fare un po’ di gasolio». Eh, no, caro! Non avrò la silhouette di un bronzo di Riace ma non mi puoi scambiare per la colonnina di un distributore di carburante! Ho corso un bel rischio. Posseggo diversi orologi da polso e ognuno mi ricorda la persona che a suo tempo me l’ha regalato, la moglie, un figlio, un amico. Se avessi accettato quello del campionario, indossandolo mi sarebbe venuto in mente ogni volta il pieno di gasolio. Non so se avrei avuto altrettanta forza di rifiutare l’omaggio se l’amico avesse avuto un paio di tartufi. Devo camminare un’ora al giorno ma devo imparare a non dare retta agli sconosciuti che mi interpellano per la strada. «Vieni amore mio, non farmi aspettare!». L’invocazione mi arriva nitida da una signora che ho appena incrociato camminando sul marciapiede buio e deserto di un corso di Torino, in un tratto di soli palazzi d’abitazione. Non ho visto com’è la

titolare della voce che mi chiamava «amore» perché, come fanno molti vecchi, mentre cammino tengo lo sguardo abbassato per non inciampare nelle sconnessure del marciapiede. Nel mio curriculum manca la voce «rottura del femore» e vorrei che questa assenza perdurasse nel tempo. Cosa faccio? Vado avanti facendo finta di non aver sentito quella invocazione angelica, oppure mi fermo, torno indietro e affronto quella sirena tentatrice? Le cronache sono piene di storie di anziani truffati, magari quella voce appartiene a una che vuole abbindolarmi per farsi sposare e incassare la pensione di reversibilità. È vero che sono felicemente sposato da più di cinquant’anni, ma lei non può saperlo, magari usa la tecnica di pescare nel mucchio, Torino è piena di pensionati vedovi. E se fosse una mia ex compagna di classe? Ne ricordo tre che per me erano tanto belle quanto inarrivabili, quando abbiamo dato la maturità nel 1956. Però la voce ha detto «non farmi aspettare»: nel caso delle mie com-

pagne sarei io quello che aspetta, e da sessanta anni. Non quadra. La titolare della voce potrebbe avermi scambiato con qualcun altro, sarà una di quelle signore che pensano «gli occhiali da vista mi invecchiano, preferisco andare in giro cieca come una talpa». Ma con chi potrebbe avermi scambiato? Una sola volta mi hanno preso per Piero Chiambretti ma non era una signora, si trattava di un primario napoletano; l’ho capito quando mi ha detto: «Oggi sono andato a pranzo nel suo ristorante». Non volevo che si sentisse in imbarazzo; gli ho domandato: «Si è trovato bene?». «Sì. Però mi è sembrato un po’ caro». Sono stato al gioco: «Sapesse quante spese abbiamo». Tornando al richiamo di quella sera, ho deciso di lanciarmi, di tentare l’avventura: «Scusi, dice a me?», ho domandato alla signora. Si è messa a ridere: «Mi rivolgevo alla mia cagnetta». Me l’ha indicata, una specie di botticella obesa di pelo scuro caracollava verso di noi. «Ma davvero pensa che qualcuno possa chiamarla amore mio?»

buio ma se ne va presto. Sei dolce e porti turbamento come i nidi sotto i cornicioni. Cara felicità, puoi rischiararci e sorprenderci, però purtroppo non saprai mai ripagare il dolore della perdita: «ma nulla paga il pianto del bambino a cui fugge il pallone tra le case», perché il dolore del bambino è assoluto, il palloncino era la pienezza della sua felicità, perderlo significa rimanere nudo e solo. Il bambino non ha passato, non sa che esistono altre felicità, altri palloncini, e che tra tutte le disgrazie perdere un gioco non è tra le più gravi. Ora noi pretendiamo di raggiungere stabilmente ciò che ha la resistenza di un piede che s’appoggia al ghiaccio che si incrina, di un flebile barlume, e lo vorremmo anche fare in sette step, o in mezz’ora, o grazie ad azioni come mettere in ordine un armadio, non mangiare carne, salutare il sole al mattino. Oppure ci affidiamo a culture diverse, magari esiste una via danese o norvegese alla felicità, magari i giapponesi sono esper-

ti di come si fa, nonostante pochi popoli siano tristi come gli abitanti delle isole nipponiche, stipati nei treni, costretti a lavorare fino allo stremo, pronti al suicidio per disonore. Tra l’altro per le donne è considerato un atto di maleducazione lasciar vedere i denti, come potranno essere felici senza poter fare una bella risata liberatoria ogni tanto? Insomma, questa «felicità raggiunta» è davvero misteriosa. Gli antichi, per mettersi al sicuro, la ritenevano un’attività della mente, la più alta, ossia la contemplazione del primo principio o l’identificazione con il logos e i suoi ordini. Aristotele, Platone, Plotino invitavano a una vita più o meno ascetica in vista dell’unica attività garante della vera felicità. Stoici, Cinici ed Epicurei consigliavano di non farsi prendere da alcun desiderio, di astenersi da tutto ciò che non fosse assolutamente necessario, per poi essere un inerte trastullo dell’intelligenza del mondo o degli eventi che si susseguono, non necessa-

riamente secondo un ordine razionale. Nel complesso ne viene un’idea di felicità umana senza la vita dell’uomo, vuoi perché concessa solo a chi ha intelligenza, educazione filosofica (quindi denari e lo stato di uomo libero senza necessità di lavorare), doti in grado di portarlo al livello della contemplazione; vuoi perché vissuta da umani snaturati, privati del desiderio e di un contatto con il mondo, che di per sé porterebbe a volere qualcosa o qualcuno, e a rischiare dunque delusione ed entusiasmo, pessime emozioni da eliminare. Meglio allora leggere «Fatti un progetto di vita e sarai felice», «La felicità in quattro mosse», «La dieta del dr. Tale per una vita felice», per parafrasare qualche titolo? Secondo me, meglio arrendersi, ascoltare il cuore e (non o, e) quello che accade intorno, senza escludere né mente né emozioni. Far silenzio, così da non farci trovare distratti al suo passaggio, lieve come un mattino che rischiara «le anime invase di tristezza».

che non è più tenuto a rispettare gli orari d’ufficio, ma ha compiti di traduttore a domicilio. Abita in una camera in affitto di via Solferino 8 senza bagno ma con un giro di «donnine allegre», come si diceva allora, e soprattutto a due passi da Brera, la zona degli artisti bohémien, pittori, scrittori, fotografi, attori, vagabondi, squattrinati e stonati dall’alcol bevuto prima al banco della tabaccheria gestita dall’emiliana Titta, poi ai tavolini del mitico caffè Giamaica. Bianciardi si trascina, odia Milano, ha sempre in bocca parole sferzanti e risate distruttive, non raccoglie grande solidarietà: come avrebbe detto una sua collega, «aveva un po’ rotto l’anima a tutti». Scrive nel 1961 a un amico: «A Milano non ho amici, sono stato solo fin dal primo momento. Quando ho avuto bisogno, nessuno mi ha dato una mano, e tutto questo credo che mi abbia cambiato in peggio». Non leggete i libri, fateveli raccontare è il titolo di un divertente intervento-saggio

(6–) in cui Bianciardi, cinquant’anni fa, si faceva beffe degli intellettuali, dando consigli spassionati a coloro i quali, pur non avendo talento, volessero ottenere successo nel mondo della cultura. Non iscriversi all’università, non laurearsi perché la laurea è un limite; per poter meglio evitare di studiare, trasferirsi in una grande città, dove si sformano «formaggini culturali» e dove indossando la cravatta si può sempre essere chiamati «dottore». Poiché escono un sacco di libri al giorno, continua Bianciardi, e non avendo il tempo di leggerne neanche i risvolti di copertina, anche a chi decide di rimanere in provincia conviene frequentare i pochi poveri diavoli che passano le giornate chini sulle pagine: il candidato intellettuale di successo «saprà da loro tutto quel che occorre sapere». Bianciardi si sofferma anche sulla mimica e sulla gestualità necessarie a raggiungere l’obiettivo della fama intellettuale: la mano aperta con dita allargate sul petto dà forza a

un certo tipo di discorso; i polpastrelli di pollice e indice che sfregano la pelle degli occhi esibiscono la stanchezza dovuta allo studio eccessivo; le dita poggiate sulla sella del naso fanno molto filologo; molleggiare il peso del corpo sulle ginocchia comunica un giusto senso inquietudine… Il vademecum di Bianciardi per l’intellettuale di successo andrebbe, ovviamente, aggiornato ai nostri tempi da talk show. Per esempio, consigliando che una mano passi regolarmente con le dita aperte a ravviare i capelli grigi, né troppo lunghi né troppo corti; che la parlata sia un po’ sciatta, con esibite inflessioni dialettali, perché anche l’intellettuale ha un’anima popolare; che si citino i social come «pancia del paese»; che il tono della voce sia sempre piuttosto sostenuto e che ogni tanto sfugga una parolaccia in modo che circoli subito in rete un video destinato a diventare virale e il giorno dopo se ne parli sui giornali. Vita agra di un intellettuale due punto zero.

Postille filosofiche di Maria Bettetini L’eterna ricerca della felicità Più di cento: questo il numero dei libri sulla felicità pubblicati in italiano nel 2017, quindi in tre mesi. Da come trovare la felicità nello yoga alla felicità di golose ricette, da come risorgere dopo una storia finita a esercizi di magia per vivere felici. Manuali in cui la promessa è la più alta e il mezzo per raggiungerla è rappresentato da alcuni gesti non lontani dalla vita quotidiana. Un segno della corruzione della nostra società: il capitalismo spinto agli estremi ha insegnato alle masse, con molta convinzione, che tutto si può comprare e che in base alla disponibilità economica la merce sarà «su misura». In sé un traffico innocente, mettiamo il caso delle bambine. Tutte vorrebbero essere una principessa, ma non tutte hanno la «fortuna» di Kate, o delle belle Casiraghi. Quindi innanzitutto si semplifica ed eleva il modello, le bambine non vogliono essere come le Borromeo, ma desiderano diventare Bella, Elsa, Anna, Pocahontas. Preferiranno vestitini

leggeri, gialli come Bella o azzurri come Elsa, avranno i quaderni con le immagini delle ragazze dei loro sogni, basterà poi un cerchietto di plastica con i lustrini per farle sentire incoronate e principesse. Poi su per la scala economica: chi può acquisterà per la piccola un vero vestito da Bella, veri gioiellini con Swarovski colorati, prometterà balli delle debuttanti, investirà un migliaio di euro o franchi in riproduzioni in cristallo delle principesse. Così accade anche per la felicità. Montale, senza tante smancerie, le aveva dedicato una poesia tremenda, pubblicata in Ossi di seppia nel 1948, in cui si rivolge alla «felicità raggiunta», quindi non sognata o discussa, e le dice «si cammina per te sul fil di lama». Sei talmente difficile da trattenere che «agli occhi sei barlume che vacilla, / al piede, teso ghiaccio che s’incrina; / e dunque non ti tocchi chi più t’ama». Quando arrivi alle anime «invase di tristezza», sei come la luce del mattino, che rischiara il

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Vita agra due punto zero Sessant’anni fa usciva da Feltrinelli il primo «romanzo» di Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale (5+), un libro ironico, a tratti satirico, tra narrazione autobiografica, saggio sociale e pamphlet: il toscano Bianciardi vi narrava la voglia di cambiare dei giovani nel dopoguerra e la cappa plumbea che veniva loro opposta dai benpensanti di destra e di sinistra, con tutto il fermento velleitario di cineclub, circoli culturali, dibattiti pubblici, riviste e rivistine. E insieme prefigurava i mutamenti in vista nell’industria culturale e nella società politico-letteraria con i suoi assurdi stereotipi di linguaggio e di comportamento. Nel 1954 il provinciale Bianciardi era partito dalla sua Grosseto, che – gli aveva fatto notare un ufficiale americano nel ’45 – somigliava a Kansas City, per trasferirsi a Milano, nel cuore della modernità, senza mai accettarla: questa repulsione un po’ romantica e un po’ anarcoide la racconterà ancora meglio ne La vita agra (5½),

il suo capolavoro, un romanzo in cui l’ironia prende le forme dell’invettiva rabbiosa. Nel 1957, Luciano sarebbe stato licenziato, per scarso rendimento (si addormentava spesso alla scrivania), dalla casa editrice Feltrinelli, dove aveva lavorato come redattore al fianco di Mario Spagnol, Valerio Riva e dei due Nanni, Balestrini e Filippini. Refrattario al posto fisso, ostile a ogni tipo di integrazione, Bianciardi non amava il capo, Giangiacomo, «detto il giaguaro», che descriveva così: «ventotto anni, occhiali, baffi, alto e robusto, ignorante come un tacco di frate, e ricco da far schifo. Ha le mani nel legname, nelle costruzioni edili, nei frigoriferi, nella Coca Cola. Ha atteggiamenti esterni molto cordiali e sbracati: quando ci incontriamo parliamo sempre a base di manate sulle spalle e pacche sullo stomaco. Mi ha in simpatia». Simpatia non ricambiata, evidentemente, che però garantisce lo stesso stipendio di prima al quasi quarantenne Luciano,


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Idee e acquisti per la settimana

shopping A Pasqua solo il meglio Regionalità Sono tre i pasticceri della Svizzera Italiana che riforniscono Migros Ticino di squisite

colombe per le feste pasquali. Abbiamo incontrato uno di loro, Gianfranco Cuoco di Lostallo, produttore della Colomba ai Marrons Glacés

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Colomba Poncini 500 g Fr. 20.–

Colomba F.lli Buletti 1 kg Fr. 34.40 500 g Fr. 18.60 Sopra, l’invitante Colomba ai Marrons Glacés. Sotto, le colombe raffreddano a testa in giù per evitare che si «siedano». (Flavia Leuenberger)

Gianfranco Cuoco, Pasticcere a Lostallo.

Dopo l’apprendistato di panettiere/pasticcere, nel 1997 Gianfranco Cuoco ha rilevato una panetteria a Soazza. Nel 2009, insieme alla moglie, inaugurano un laboratorio in proprio a Lostallo, dove impiegano cinque collaboratori e un apprendista. Possiedono un negozio a Mesocco e riforniscono dei loro prodotti tutta la Mesolcina. «L’idea della Colomba ai Marrons Glacés è nata un po’ per caso. Già da alcuni anni produco per Migros Ticino il panettone ai Marrons Glacés durante il periodo natalizio, prodotto che riscontra un buon apprezzamento da parte della clientela. Di conseguenza, ho voluto provare a proporre anche la colomba pasquale con

l’aggiunta di questo delicato ingrediente e devo dire che sta andando bene. Gli altri semplici ingredienti impiegati sono farina, zucchero, tuorlo d’uovo, lievito madre prodotto da noi e 40 per cento di burro di caseificio alpino. Per fare una colomba ci vogliono dalle 30-35 ore, tra rinfresco del lievito madre, primo impasto, maturazione della pasta, secondo impasto, decorazione, cottura e raffreddamento. Per non compromettere il risultato finale è importante prestare attenzione che il lievito madre sia ben nutrito, che l’ambiente di lavoro sia igienicamente impeccabile e che vengano mantenute le temperature giuste durante tutta la fase di produzione».


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Idee e acquisti per la settimana

La torta salata tradizionale

Sono molti coloro che a pasquetta usano concedersi una bella scampagnata fuori casa con tutta la famiglia. Dopo il copioso pranzo del giorno prima, il pasto del lunedì dell’Angelo è spesso costituito da pietanze fredde e veloci da preparare; magari, se è bel tempo, persino da consumare all’aria aperta. Tra queste, non può mancare la torta pasqualina, tipica specialità della cucina genovese. I banchi gastronomia Migros propongono questa torta salata a base sfoglia con un ricco ripieno di ricotta, spinaci e uova sode. Viene preparata con grande cura da abili gastronomi ed è pronta al consumo, sia

fredda che tiepida dopo un breve passaggio in forno. Una curiosità: un tempo la torta pasqualina si preparava tradizionalmente per il giorno di Pasqua ed era fatta con 33 strati di sfoglia, in riferimento agli anni di vita di Gesù. Infine, nei reparti gastronomia di Migros Ticino troverete ancora molte altre stuzzicanti specialità ideali per i prossimi giorni di festa: dal foie gras all’aragosta, dalle insalate di mare al cocktail di gamberetti, passando per i vol-au-vent di gamberi, il filetto di storione affumicato, fino ai sempre apprezzati paté e terrine nei più svariati gusti.

Ci pensiamo noi…

Il dessert perfetto

Attualità Il Party-Service di Migros Ticino diventa un prezioso alleato

per tutti coloro che desiderano dedicare più tempo ai propri ospiti

A volte l’organizzazione degli aperitivi e dei banchetti pasquali comporta un impegno non indifferente. Perché allora non lasciar fare ai professionisti? Il Party-Service di Migros Ticino è a vostra completa disposizione per ogni evento che richieda un savoir-faire gastronomico di alto livello. Dall’aperi-

tivo a base di salumi nostrani a quello vegetariano, dal piatto gastronomico di carne o pesce alla selezione di salatini di pasta sfoglia, passando per il pain surprise marittimo e quello classico, fino ai dessert più delicati per la gioia di tutti i golosi… le proposte culinarie sono particolarmente ricche e variegate, sempre preparate in modo competente con ingredienti selezionati. Affinché possiate contare su un servizio accurato, le ordinazioni vanno inoltrate con almeno 48 ore di anticipo, in tutti i De Gustibus, Ristoranti e banchi

pasticceria di Migros Ticino. Oppure anche telefonicamente al numero 0848 848 018 o inviando un’e-mail a partyservice@migrosticino.ch. Per saperne di più: www.migrosticino.ch/party-service A proposito: da subito presso i banchi pasticceria, i De Gustibus e i Ristoranti Migros sono disponibili le colombine artigianali di sfoglia ripiene di crema pasticcera, le mini mousse decorate a festa, i coniglietti e gli ovetti di cioccolato, senza scordare le simpatiche figurine di marzapane fatte a mano.

Dopo un ricco banchetto di festa non c’è dessert migliore di un bel gelato cremoso. Tra le moltissime variazioni di gelato disponibili alla Migros, troverete anche quelli dell’azienda italiana G7, specialità che si distinguono per la creatività delle composizioni, le materie prime genuine utilizzate e per la vocazione artigianale con cui vengono prodotte. Attiva da tre generazioni, G7 è oggi una realtà moderna e certificata, impegnata a preservare e promuovere le ricette ed i metodi di lavorazione tipici della Tradizione Gelatiera Italiana. Cremosi come quelli della gelateria, questi gelati accontentano tutti i palati grazie alle cinque variegate varianti disponibili alla Migros. Chi predilige la tradizione sceglie l’Affogato al caffè con finissimi chicchi di cioccolato al caffè, la Spagnola con deliziose amarene candite oppure ancora il Nocciolato, un gelato di nocciole con gianduia e granella di nocciole tostate. Freschezza e leggerezza sono invece garantite scegliendo i due sorbetti alla frutta lampone e mela. Entrambi sono senza latte e lattosio e contengono oltre il 50 per cento di puro succo di frutta.

Spagnola* 500 ml Fr. 3.90

Affogato al caffè* 500 ml Fr. 3.90

Sorbetto alla mela* 500 ml Fr. 3.30 *Nelle maggiori filiali


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Idee e acquisti per la settimana

Il buon pane 100% ticinese *Azione 20% sul Pan Nostran dal 4 al 10.4

Flavia Leuenberger

Pane Passione Nostrano 420 g Fr. 3.80

mettere in risalto al meglio la genuinità degli ingredienti. La scelta non può che cadere sui due pani nostrani di Migros Ticino, entrambi realizzati con sapienza artigianale e creatività dai panettieri della Jowa. Il grano utilizzato è coltivato sul Piano di Magadino e nel Mendrisiotto e viene

Il pane con plusvalore sociale Al reparto pane di Migros Agno questo mese la Fondazione La Fonte propone il pane alle cipolle. Questa specialità deve la sua bontà alla lavorazione artigianale e all’utilizzo di ingredienti di qualità. Grazie al suo sapore pronunciato, conferito dai pezzetti di cipolla aggiunti all’impasto, è ottimo sia da solo, sia accostato a formaggi molto saporiti (stagionati o grassi) oppure anche a

poi macinato con cura dal Mulino di Maroggia. La farina così ottenuta viene impastata con semplici ingredienti quali acqua, lievito e sale per ottenere due prodotti ben distinti. Il «Pan Nostran» è fatto con farina bigia e spicca per il suo sapore pronunciato. La sua forma riprende quella

del classico pane alla ticinese, ossia quattro micche facilmente staccabili con le mani. Il «Pane Passione» è dal canto suo prodotto con farina chiara e infine ritorto a mano: possiede una crosta croccante e una mollica morbida e areata che conquisterà chi è alla ricerca di sapori più genuini.

Pan Nostran 300 g Fr. 1.75* invece di 2.20

Flavia Leuenberger

Un saporito formaggino di capra, un ricco piatto di salumi misti e una croccante insalatona di stagione: con l’arrivo della primavera ritorna la voglia di piatti freddi del nostro territorio. Per accompagnare queste pietanze tradizionali è importante scegliere un buon pane che sappia

A Migros Agno ogni mese un pane diverso della Fondazione La Fonte

composte di frutta, mostarde o terrine. Come tutti i pani del mese della Fondazione La Fonte, anche il pane alle cipolle è realizzato all’interno della struttura «Fonte 7» di Agno. La produzione è affidata e supervisionata da tre panettieri qualificati con il supporto di tre utenti beneficiari di una rendita d’invalidità, due in possesso del diploma di panettiere e uno in formazione.

Pane alle cipolle 300 g Fr. 3.90. In vendita dal lunedì al venerdì, fino al 28.4.17, solo presso Migros Agno. L’intero ricavato della vendita viene ritornato alla Fondazione La Fonte


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Idee e acquisti per la settimana

In bici verso la bella stagione

Attualità Tutti pronti per una nuova stagione in sella alla bicicletta: da SportXX tante scelte per ogni gusto

e per pedalate in sicurezza

Gerardo Ceraudo dello SportXX di S. Antonino. (Flavia Leuenberger)

Le temperature salgono, le giornate s’allungano e la voglia di pedalare aumenta. Con la primavera appena iniziata comincia anche la stagione delle biciclette, delle gite in famiglie delle uscite domenicali o delle scalate a qualche montagna ticinese. Molti appassionati, è vero, non abbandonano mai la bicicletta, neppure con la neve o la pioggia, ma questo sport ha il suo apice tra aprile e ottobre e lo intuiamo subito sbirciando nel negozio SportXX di S. Antonino, dove tanti modelli e innumerevoli accessori sono già esposti in prima fila. Ad accoglierci c’è Gerardo Ceraudo, collaboratore del punto vendita, a cui chiediamo di mostrarci l’assortimento per la stagione 2017. «Il nostro assortimento è vasto e s’indirizza soprattutto alle famiglie e ai ciclisti popolari, che qui trovano tutto il necessario per affrontare le gite in bicicletta ben attrezzati e in sicurezza». Già, la sicurezza: un aspetto spesso sottovalutato dai ciclisti. «Sì, un buon casco non è sufficiente per essere sicuri in sella. Oltre a una guida attenta del mezzo è necessario avere una bicicletta in buone condizioni e funzionante, dai freni alle gomme, senza dimenticare i riflettori o il campanello che sono degli accessori obbligatori, così come un lucchetto». La sicurezza

è strettamente legata alla manutenzione. Quali consigli per avere una bici sempre pronta? «La bicicletta va tenuta con cura, pulendola regolarmente e depositandola in un luogo sicuro e al coperto. Con regolarità va poi effettuata la lubrificazione della catena,

il controllo dei freni e della pressione delle gomme». Ma non tutti sono esperti in questi lavori e li sanno eseguire da soli, a casa. SportXX può aiutarli? «Certo, il nostro servizio di manutenzione offre varie possibilità e offerte, dal servizio

completo alla pulizia. Ricordo che non è necessario portare la bicicletta a S. Antonino: il cliente può consegnare e poi ritirare il proprio velocipede in qualsiasi filiale Migros del cantone. Da qui viene poi trasportato senza spese aggiuntive nella nostra officina, dove ci occupiamo di eseguire il servizio». Non dimentichiamo che anche una bici nuova ha bisogno di manutenzione. «Esatto, dopo l’acquisto consigliamo sempre di fare un controllo dopo le prime pedalate, dato che la bicicletta va incontro a degli assestamenti. Spesso si devono quindi regolare il cambio, i raggi o qualche vite: è un servizio che offriamo gratuitamente ai nostri clienti nei tre mesi seguenti l’acquisto». Quali invece le novità per il 2017? «Il nostro assortimento si è ulteriormente arricchito con alcuni nuovi modelli e attualmente ne abbiamo quindi a disposizione una sessantina tra e-bike, bici da città, da trekking o mountain bike, a cui aggiungere quelle per i più piccoli. Per le e-bike ci sono ulteriori

modelli e i motori, assieme alle batterie, che sono sempre più performanti. Abbiamo più modelli da donna ed è sempre di più in voga la ruota da 27.5’’ o 29’’, che stanno soppiantando le classiche ruote da 26’’. Le marche che offriamo ai nostri clienti sono la Ghost, la Diamant e la Crosswave, una marca propria di Migros». Una buona bicicletta s’abbina poi a un buon abbigliamento. Anche qui ci sono delle novità per il 2017? «Sì, nel nostro assortimento è entrata la linea di abbigliamento della marca Fox, in cui la scelta è veramente ampissima, aggiungendosi ai molti accessori utili o indispensabili per una gita in bicicletta: oltre a scarpe e vestiti, portapacchi, borse, parafanghi, borracce, guanti, occhiali, utensili, pompe…». Insomma, da SportXX si trova tutto l’occorrente per indimenticabili avventure sulla due ruote. I consulenti del negozio specializzato saranno lieti di fornirvi ogni informazione necessaria. / Elia Stampanoni


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Idee e acquisti per la settimana

Total

Perfetto gioco di camere Le Multicaps ottimizzate di Total lavano efficacemente praticamente tutto: dalla biancheria bianca alla T-Shirt colorata, fino alla camicetta più delicata. La parte smacchiante (il componente rosa) e quella protettiva dei colori e delle fibre (componente blu) sono – come novità – combinate in due specie di camere separate. In questo modo l’efficacia degli enzimi (proteine del corpo) rimangono più a lungo stabili. Una capsula è sufficiente per un lavaggio. Il foglio è totalmente idrosolubile già a basse temperature. Fare il bucato non è mai stato così comodo. È tuttavia importante lavare separatamente i tessili chiari e scuri, come pure altri specifici tessuti.

Il componente di colore rosa elimina le macchie. Gli speciali enzimi contenuti scindono diversi tipi di macchie e le lavano via. Inoltre contiene anche sostanze efficaci contro le macchie proteiche. Poiché gli enzimi combinati con quelli della camera blu possono perdere col tempo la loro efficacia, entrambi i liquidi sono stati separati. In questo modo il detersivo mantiene la sua efficacia anche in caso di lunga conservazione.

Il componente blu cura i colori e i tessuti. Esso contiene tra l’altro cellulasi. Questi speciali enzimi sciolgono i nodi dai tessuti ed evitano che si riformino. Inoltre i colori risultano più brillanti e freschi. La formulazione non contiene sbiancanti ottici, cosicché i colori mantengono la loro brillantezza.

Total Multicaps 28 pezzi Fr. 15.90


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Idee e acquisti per la settimana

Torta tiramisù M-Classic

Strato dopo strato

Con i Pan di Spagna di M-Classic realizzare una torta diventa un gioco da ragazzi. La torta al tiramisù è solo una delle molte dolci possibilità per stupire i propri ospiti con pochi accorgimenti. Come novità su ogni confezione è stampata una ricetta e un suggerimento decorativo Foto Christine Benz; Styling Vera Guala; Ricetta Katrin Klaus

Ingredienti 500 g di mascarpone 40 g di zucchero a velo 2 cucchiaini di pasta di vaniglia 2,5 dl di panna intera 1 bustina di consolidante per panna 1 base di pan di Spagna M-Classic 1,6 dl di caffè freddo ca. 1 1⁄2 cucchiai di cacao in polvere 5 cucchiai di trucioli di cioccolato

Preparazione (ca. 25 min.) 1. Mescolate il mascarpone e aggiungete lo zucchero a velo poco per volta setacciandolo. Incorporate la pasta di vaniglia. Montate la panna ben ferma con il consolidante, poi unitela con delicatezza al mascarpone con l’ausilio di una spatola, mescolando dal basso verso l’alto.

1

2. Separate i tre strati di pan di Spagna. Irrorate la parte inferiore (= la base) con la metà del caffè. 3. Spalmate un terzo scarso della crema al mascarpone sulla parte inferiore. Procedete allo stesso modo con il secondo strato accomodato sul primo. Sistemate la parte superiore sulla crema. Versate la crema rimasta sulla torta. Spalmatene un velo sottile sul bordo con l’ausilio di una spatola. 4. Distribuite la crema sulla torta in modo irregolare. Guarnitela con il cacao e i trucioli di cioccolato. Conservate la torta in frigo fino al momento del consumo.

2

M-Classic Pan di Spagna chiaro 320 g Fr. 3.20

Nuovo imballaggio 30% meno di rifiuti grazie alla pellicola migliorata più sottile

3

4 I «Naked Cakes» sono di moda: non c’è niente di più goloso dello scoprire gli strati fetta dopo fetta.

M-Classic Pan di Spagna cioccolato 340 g Fr. 3.40

M-Classic Pan di Spagna per torte alla frutta 200 g Fr. 2.10

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i Pan di Spagna di M-Classic.


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Idee e acquisti per la settimana

Torta tiramisù M-Classic

Strato dopo strato

Con i Pan di Spagna di M-Classic realizzare una torta diventa un gioco da ragazzi. La torta al tiramisù è solo una delle molte dolci possibilità per stupire i propri ospiti con pochi accorgimenti. Come novità su ogni confezione è stampata una ricetta e un suggerimento decorativo Foto Christine Benz; Styling Vera Guala; Ricetta Katrin Klaus

Ingredienti 500 g di mascarpone 40 g di zucchero a velo 2 cucchiaini di pasta di vaniglia 2,5 dl di panna intera 1 bustina di consolidante per panna 1 base di pan di Spagna M-Classic 1,6 dl di caffè freddo ca. 1 1⁄2 cucchiai di cacao in polvere 5 cucchiai di trucioli di cioccolato

Preparazione (ca. 25 min.) 1. Mescolate il mascarpone e aggiungete lo zucchero a velo poco per volta setacciandolo. Incorporate la pasta di vaniglia. Montate la panna ben ferma con il consolidante, poi unitela con delicatezza al mascarpone con l’ausilio di una spatola, mescolando dal basso verso l’alto.

1

2. Separate i tre strati di pan di Spagna. Irrorate la parte inferiore (= la base) con la metà del caffè. 3. Spalmate un terzo scarso della crema al mascarpone sulla parte inferiore. Procedete allo stesso modo con il secondo strato accomodato sul primo. Sistemate la parte superiore sulla crema. Versate la crema rimasta sulla torta. Spalmatene un velo sottile sul bordo con l’ausilio di una spatola. 4. Distribuite la crema sulla torta in modo irregolare. Guarnitela con il cacao e i trucioli di cioccolato. Conservate la torta in frigo fino al momento del consumo.

2

M-Classic Pan di Spagna chiaro 320 g Fr. 3.20

Nuovo imballaggio 30% meno di rifiuti grazie alla pellicola migliorata più sottile

3

4 I «Naked Cakes» sono di moda: non c’è niente di più goloso dello scoprire gli strati fetta dopo fetta.

M-Classic Pan di Spagna cioccolato 340 g Fr. 3.40

M-Classic Pan di Spagna per torte alla frutta 200 g Fr. 2.10

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i Pan di Spagna di M-Classic.


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Idee e acquisti per la settimana

Informazioni utili Una volta all’anno l’agenzia di controllo indipendente ProCert sottopone a un esame ogni azienda certificata IP-Suisse. Il controllore verifica punto per punto il rispetto di tutte le linee guida. Circa l’80 per cento di tutta la carne di vitello venduta da Migros reca il marchio TerraSuisse.

L’allevatore Wendelin Jud (58 anni) di Necker, in Turgovia, ha previsto per i suoi vitelli un’ampia area di stabulazione.

TerraSuisse

Tanto spazio per uscire all’aperto Le linee guida di IP-Suisse che riguardano i prodotti a base di carne TerraSuisse sono molto rigide. L’agricoltore turgoviese Wendelin Jus ha scelto per i suoi vitelli un sistema di allevamento vicino alla natura Testo Sonja Leissing; Foto Markus Bühler-Rasom

Wendelin Jud

«Vicino alla natura e alle necessità della specie» Cosa ha di speciale il suo allevamento di vitelli?

Da due anni cresco i miei animali secondo le regole definite da IP-Suisse, cioè rispettando le abitudini e le esigenze naturali dei vitelli. Queste regole sono per molti aspetti più restrittive di quelle proposte dalla Società svizzera di protezione degli animali per l’allevamento convenzionale. Quali prescrizioni le impone IP-Suisse, concretamente?

I vitelli devono potere avere la possibilità di uscire e muoversi all’aria aperta ogni volta che lo vogliono. L’allevamento all’aperto è condizione obbligatoria per la produzione di carne di vitello IP-Suisse: significa che gli animali devono potersi spostare liberamente fuori dalla stalla. I vitelli hanno un istinto che li porta a giocare e secondo il regolamento devono poter essere mantenuti in gruppo. Se rimangono nella stalla, anche qui devono avere più spazio. Abbiamo previsto un’area per il riposo, una per l’alimentazione e una per la stabulazione. Gli animali ricevono due volte al giorno dello strame fresco. La carne dei vitelli che crescono in aziende con accesso a grandi spazi e all’aria aperta è prodotta in fattorie certificate IP-Suisse. Queste adottano una tecnica di allevamento vicina alla natura e rispettosa degli animali. Lo scrupoloso trattamento dei vitelli e l’accurata produzione, così come praticati ad esempio da Wendelin Jud, agricoltore di Necker, nel canton Turgovia, garantiscono carne Terra-Suisse della migliore qualità.

Come sono alimentati gli animali?

TerraSuisse Salsiccia di vitello da arrostire 2 pezzi da 140 g Fr. 5.50

TerraSuisse Fleischkäse 100 g Fr. 2.–

TerraSuisse Costolette di vitello per 100 g prezzo del giorno

TerraSuisse Fesa di vitello per 100 g prezzo del giorno

TerraSuisse Sminuzzato di vitello per 100 g prezzo del giorno

Parte di TerraSuisse Spezzatino di vitello per 100 g prezzo del giorno

TerraSuisse garantisce un allevamento vicino alla natura e rispettoso degli animali e si basa sulle linee-guida di IPSuisse

Anche qui vigono regolamenti molto restrittivi. Un vitello, nei circa cinque mesi della sua vita, beve approssimativamente 1000 l di latte intero. Oltre a quello, integriamo l’alimentazione con latte in polvere. Soltanto con il latte però i vitelli non potrebbero raggiungere un grado di crescita ottimale. Per questo è necessario nutrirli con fieno, fiocchi di mais ed acqua.


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Idee e acquisti per la settimana

Informazioni utili Una volta all’anno l’agenzia di controllo indipendente ProCert sottopone a un esame ogni azienda certificata IP-Suisse. Il controllore verifica punto per punto il rispetto di tutte le linee guida. Circa l’80 per cento di tutta la carne di vitello venduta da Migros reca il marchio TerraSuisse.

L’allevatore Wendelin Jud (58 anni) di Necker, in Turgovia, ha previsto per i suoi vitelli un’ampia area di stabulazione.

TerraSuisse

Tanto spazio per uscire all’aperto Le linee guida di IP-Suisse che riguardano i prodotti a base di carne TerraSuisse sono molto rigide. L’agricoltore turgoviese Wendelin Jus ha scelto per i suoi vitelli un sistema di allevamento vicino alla natura Testo Sonja Leissing; Foto Markus Bühler-Rasom

Wendelin Jud

«Vicino alla natura e alle necessità della specie» Cosa ha di speciale il suo allevamento di vitelli?

Da due anni cresco i miei animali secondo le regole definite da IP-Suisse, cioè rispettando le abitudini e le esigenze naturali dei vitelli. Queste regole sono per molti aspetti più restrittive di quelle proposte dalla Società svizzera di protezione degli animali per l’allevamento convenzionale. Quali prescrizioni le impone IP-Suisse, concretamente?

I vitelli devono potere avere la possibilità di uscire e muoversi all’aria aperta ogni volta che lo vogliono. L’allevamento all’aperto è condizione obbligatoria per la produzione di carne di vitello IP-Suisse: significa che gli animali devono potersi spostare liberamente fuori dalla stalla. I vitelli hanno un istinto che li porta a giocare e secondo il regolamento devono poter essere mantenuti in gruppo. Se rimangono nella stalla, anche qui devono avere più spazio. Abbiamo previsto un’area per il riposo, una per l’alimentazione e una per la stabulazione. Gli animali ricevono due volte al giorno dello strame fresco. La carne dei vitelli che crescono in aziende con accesso a grandi spazi e all’aria aperta è prodotta in fattorie certificate IP-Suisse. Queste adottano una tecnica di allevamento vicina alla natura e rispettosa degli animali. Lo scrupoloso trattamento dei vitelli e l’accurata produzione, così come praticati ad esempio da Wendelin Jud, agricoltore di Necker, nel canton Turgovia, garantiscono carne Terra-Suisse della migliore qualità.

Come sono alimentati gli animali?

TerraSuisse Salsiccia di vitello da arrostire 2 pezzi da 140 g Fr. 5.50

TerraSuisse Fleischkäse 100 g Fr. 2.–

TerraSuisse Costolette di vitello per 100 g prezzo del giorno

TerraSuisse Fesa di vitello per 100 g prezzo del giorno

TerraSuisse Sminuzzato di vitello per 100 g prezzo del giorno

Parte di TerraSuisse Spezzatino di vitello per 100 g prezzo del giorno

TerraSuisse garantisce un allevamento vicino alla natura e rispettoso degli animali e si basa sulle linee-guida di IPSuisse

Anche qui vigono regolamenti molto restrittivi. Un vitello, nei circa cinque mesi della sua vita, beve approssimativamente 1000 l di latte intero. Oltre a quello, integriamo l’alimentazione con latte in polvere. Soltanto con il latte però i vitelli non potrebbero raggiungere un grado di crescita ottimale. Per questo è necessario nutrirli con fieno, fiocchi di mais ed acqua.


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Idee e acquisti per la settimana

Farmer

Insieme verso la vittoria

Azione 20% su tutte le barrette ai cereali Farmer Dal 4 al 10 aprile

Le barrette Farmer forniscono energia e preziose fibre alimentari.

Le barrette ai cereali Farmer sono il compagno ideale durante le escursioni o le attività sportive: confezionate singolarmente, sono talmente leggere che anche nello zainetto o nella borsa sportiva non influiscono sul peso. L’unica difficoltà sta nella scelta: che sia Crunchy o Soft, con frutta o cioccolato – nell’assortimento composto da una ventina di varietà ognuno potrà comunque trovare la barretta che meglio soddisfa i suoi gusti.

Farmer Crunchy Miele 12 barrette, 240 g Fr. 3.50 invece di 4.40

Farmer Soft More & Mela 9 barrette, 234 g Fr. 3.50 invece di 4.40

Farmer Lamponi 12 barrette, 240 g Fr. 3.50 invece di 4.40


Azione 33%

2.60 invece di 3.90 Fragole bio Spagna, vaschetta da 400 g

20% Tutte le mezze uova con praliné Frey, UTZ per es. Pralinés du Confiseur, 225 g, 10.15 invece di 12.70

40%

2.10 invece di 3.50 Mele Braeburn agrodolci Svizzera, al kg

50%

9.50 invece di 19.– Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, in conf. da 2 x 500 g, 1 kg

30%

5.40 invece di 7.80 Mozzarella di Bufala Campana DOP «Il Parco» confezione da 250 g

– .4 0

di riduzione

50%

2.85 invece di 5.70 Vittel in conf. da 6, 6 x 1,5 l

20% Tutto l’assortimento Monini per es. olio d’oliva Classico extra vergine, 1 l, 10.20 invece di 12.80

Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.4 AL 10.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

2.55 invece di 2.95 Il Burro panetto, 250 g


Pura freschezza. 40%

11.40 invece di 19.– Salmone selvatico Sockeye MSC pesca, Alaska, 280 g

– .4 0

di riduzione

30%

2.10 invece di 2.50 Pane alla ticinese TerraSuisse 400 g

20%

6.95 invece di 8.70 Carne secca dei Grigioni affettata in conf. speciale Svizzera, 100 g

Salmone fresco norvegese (bio escluso), per es. filetto di salmone senza pelle, d’allevamento, in vaschetta, Norvegia, per 100 g, 2.70 invece di 3.90

30%

1.40 invece di 2.– Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente per 100 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.4 AL 10.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30%

4.60 invece di 6.60 Prosciutto crudo ticinese prodotto in Ticino, affettato finemente in vaschetta, per 100 g

40%

2.40 invece di 4.–

30%

2.55 invece di 3.65

Bistecca di lonza di maiale TerraSuisse marinata Spezzatino di vitello TerraSuisse per 100 g Svizzera, imballato, per 100 g

30%

1.85 invece di 2.70 Mini filetti di pollo M-Classic Ungheria/Germania/Francia, per 100 g

30%

1.70 invece di 2.45 Affettato di vitello M-Classic Svizzera, affettato in vaschetta, per 100 g

20%

2.40 invece di 3.– Arrosto spalla di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

33%

1.25 invece di 1.90 Costine di maiale Svizzera, imballate, per 100 g

20%

2.85 invece di 3.60 Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g


Pura freschezza. 40%

11.40 invece di 19.– Salmone selvatico Sockeye MSC pesca, Alaska, 280 g

– .4 0

di riduzione

30%

2.10 invece di 2.50 Pane alla ticinese TerraSuisse 400 g

20%

6.95 invece di 8.70 Carne secca dei Grigioni affettata in conf. speciale Svizzera, 100 g

Salmone fresco norvegese (bio escluso), per es. filetto di salmone senza pelle, d’allevamento, in vaschetta, Norvegia, per 100 g, 2.70 invece di 3.90

30%

1.40 invece di 2.– Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente per 100 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.4 AL 10.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30%

4.60 invece di 6.60 Prosciutto crudo ticinese prodotto in Ticino, affettato finemente in vaschetta, per 100 g

40%

2.40 invece di 4.–

30%

2.55 invece di 3.65

Bistecca di lonza di maiale TerraSuisse marinata Spezzatino di vitello TerraSuisse per 100 g Svizzera, imballato, per 100 g

30%

1.85 invece di 2.70 Mini filetti di pollo M-Classic Ungheria/Germania/Francia, per 100 g

30%

1.70 invece di 2.45 Affettato di vitello M-Classic Svizzera, affettato in vaschetta, per 100 g

20%

2.40 invece di 3.– Arrosto spalla di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

33%

1.25 invece di 1.90 Costine di maiale Svizzera, imballate, per 100 g

20%

2.85 invece di 3.60 Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g


20%

1.50 invece di 1.90 Tilsiter alla panna bio per 100 g

20%

1.05 invece di 1.35 Quark affinato con yogurt ai lamponi, alla stracciatella e alle more, 150 g , per es. ai lamponi

20%

19.20 invece di 24.– Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» a libero servizio, al kg

30%

4.80 invece di 6.90 Lamponi extra Spagna, confezione da 250 g

–.10

di riduzione

–.95 invece di 1.05 Tutti gli iogurt Nostrani per es. castégna (alla castagna), 180 g

25%

2.40 invece di 3.20 Patate novelle Israele/Egitto, imballate, 1,5 kg

25%

2.40 invece di 3.40 Pomodorini cherry a grappolo Italia, vaschetta da 500 g

40%

30%

–.45 invece di –.80

3.40 invece di 4.90 Asparagi verdi fini Spagna/Italia, mazzo da 400 g

Kiwi Extra Francia/Italia, il pezzo

conf. da 3

20%

4.30 invece di 5.40 Mozzarella Galbani in conf. da 3 3 x 150 g

25%

18.20 invece di 24.35 Caseificio Leventina prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.4 AL 10.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

a partire da 2 pezzi

25%

Avocado Cile/Spagna, per es. 2 pezzi, 3.30 invece di 4.40, a partire da 2 pezzi, 25% di riduzione

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. re e c ia p ro e v n u è ì s Far la spesa co 20% Tutti i prodotti di pasticceria alle fragole per es. trancio alle fragole, 2 pezzi, 2 x 190 g, 5.50 invece di 6.90

15%

20%

11.45 invece di 13.50 Tulipani M-Classic, mazzo da 20 disponibili in diversi colori, per es. gialli e rossi, il mazzo

Tutto l’assortimento Andros per es. composta al naturale 0%, 4 x 97 g, 2.70 invece di 3.40

20% Cake alla tirolese, alla finanziera e all’albicocca per es. alla tirolese, 340 g, 2.85 invece di 3.60

20% Tutto l’assortimento Glacetta per es. cappuccino, 800 ml, 4.– invece di 5.–

20% Tutto l’assortimento di barrette ai cereali Farmer per es. crunchy al miele, 240 g, 3.50 invece di 4.40

20x PUNTI

Tutti i prodotti pasquali Smarties per es. uovo di Pasqua con smarties, 50 g, 1.65

conf. da 2

Hit

1.45

Gerani in vaso, 10 cm disponibili in diversi colori, per es. rossi, la pianta

conf. da 2

40% Tortelloni M-Classic in conf. da 2 per es. ricotta e spinaci, 2 x 500 g, 6.90 invece di 11.60

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.4 AL 10.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

40%

3.75 invece di 6.30 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml

30% Tutte le confetture e gelatine Extra in vasetto da 500 g per es. confettura di fragole, 2.05 invece di 2.95

20x PUNTI

Tutti i prodotti pasquali Celebrations e M&M’s per es. coniglio di Pasqua Celebrations, 220 g, 5.60

30%

13.40 invece di 19.20 Miscela pasquale Frey in sacchetto da 1 kg, UTZ


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20% Maionese, Thomynaise e senape dolce Thomy in conf. da 2 per es. maionese à la française, 2 x 265 g, 4.– invece di 5.–

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Tutte le farine Tutte le linee di bicchieri Cucina & Tavola per es. farina bianca TerraSuisse, 1 kg, 1.45 invece di a partire da 2 confezioni, 50% di riduzione, 1.85 valida fino al 17.4.2017

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9.80

Asciugapiatti in microfibra Cucina & Tavola in set da 2 valida fino al 17.4.2017

conf. da 3 conf. da 6

33% Tutte le bevande Passaia in conf. da 6 per es. regular, 6 x 50 cl, 4.80 invece di 7.20

40%

10.30 invece di 17.20 Crispy di pollo impanati Don Pollo surgelati, 1,4 kg

20%

7.20 invece di 9.– Fleischkäse Malbuner in conf. da 6 prosciutto, tacchino, vitello e Delikatess, per es. Delikatess, 6 x 115 g

149.–

20%

Gasatore Crystal SodaStream con 2 caraffe di vetro nero o bianco, per es. bianco, il pezzo, valida fino al 17.4.2017

Tutte le salse Bon Chef liquide e in bustina a partire da 3 pezzi, 20% di riduzione

a partire da 2 confezioni

20%

Tutte le olive in sacchetto (escl. Alnatura), a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.4 AL 10.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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–.60

di riduzione l’una Tutti i tipi di riso M-Classic da 1 kg a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. Carolina, 1.65 invece di 2.25

50% Tutto l’assortimento di padelle Greenpan in acciaio inox, indicate anche per i fornelli a induzione, per es. padella a bordo basso Miami Marathon, Ø 28 cm, il pezzo, 29.50 invece di 59.–, valida fino al 17.4.2017

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Slip a vita bassa o slip midi Ellen Amber in conf. da 3 disponibili in nero, bianchi o lilla, tg. S–XL, per es. slip a vita bassa, biancho, tg. S, valida fino al 17.4.2017

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Altre offerte. Gnocchi e fettuccine Anna’s Best in conf. da 2, per es. gnocchi alla caprese, 2 x 400 g, 7.80 invece di 9.80 20%

Pesce, carne e pollame

Altri alimenti

Terrina alle spugnole a fette in conf. da 2 Rapelli e paté pasquale alle spugnole Rapelli, per es. paté pasquale alle spugnole, Svizzera, 500 g, 14.95 invece di 25.– 40%

Pane e latticini

15% Prodotti per l’igiene intima Always e Tampax in confezioni multiple e speciali per es. salvaslip Always Normal in conf. speciale, 80 pezzi, 4.25 invece di 5.05

Pacific Prawns Costa in conf. speciale, surgelati, 800 g, 19.30 invece di 27.60 30%

Novità

Cornetti Fun alla vaniglia e alla fragola in conf. da 12, surgelati, 12 x 145 ml, 9.10 invece di 13.05 30%

Aproz for Kids mela-fragola, 33 cl e 6 x 33 cl, per es. 33 cl, 1.20 Novità ** Deodorante Pure Sensitive I am Natural Cosmetics, 50 ml, 3.90 Novità **

Mini pizze alla mozzarella o al prosciutto Casa Giuliana in conf. da 2, surgelate, per es. al prosciutto, 2 x 270 g, 6.70 invece di 9.60 30%

Exelcat in confezioni speciali, alimenti umidi da 24 x 100 g, alimenti secchi da 2 x 950 g e Snackies al pollo da 3 x 60 g, per es. squisitezza alla carne in salsa, 24 x 100 g, 14.15 invece di 17.70 20%

Aproz Mint-Lime, 1 l e 6 x 1 l, per es. 1 l, 1.20 Novità ** Schorle mela-lampone-rabarbaro Aproz, 50 cl, 1.40 Novità **

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 17.4 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.4 AL 10.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Da giovedì 6.4 fino a sabato 8.4.2017

50%

a partire da 2 pezzi

20%

Tutte le colorazioni Syoss e Schwarzkopf a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

40%

5.85 invece di 11.75

Carta igienica Soft in conf. speciale, FSC per es. Comfort, 32 rotoli, 11.30 invece di 18.90, valida fino al 17.4.2017

Cervelas TerraSuisse in conf. da 5 5 x 2 pezzi, 1 kg, offerta valida dal 6.4 all’8.4.2017

Per scarificare spendendo poco. conf. da 9

30%

79.90 invece di 119.– Pattini in linea K2 per bambine e bambini, misura regolabile dal n. 29, per es. Raider Boy, grigi, n. 29, il paio

40%

23.70 invece di 39.60 Salviettine umide per bebè Pampers in conf. da 9 Fresh Clean o Sensitive, per es. Fresh Clean, 9 x 64 pezzi

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.4 AL 17.4.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

3 per 2 Tutti i pannolini Pampers (confezioni speciali escluse), offerta valida per 3 prodotti con lo stesso prezzo, per es. Baby-Dry 4, 3 x 44 pezzi, 33.60 invece di 50.40, valida fino al 17.4.2017

MIOGARDEN Classic Scarificatore e arieggiatore elettrico VL3315 Potenza motore 1500 W, larghezza operativa 33 cm, profondità operativa regolabile centralmente su 4 posizioni, sacco raccoglierba da 40 l, 14,5 kg 6307.737

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20x PUNTI

Near Food/Non Food

Tutti i tipi di birra senz’alcol, per es. Erdinger in conf. da 6, 6 x 33 cl, 5.10 invece di 7.50 30% Rosette di formaggio Tête de Moine in conf. da 2, 2 x 120 g, 9.25 invece di 11.60 20%

Tutti gli articoli M-Plast (confezioni da viaggio escluse), a partire da 2 conf. 20% **

Nutella in barattolo di vetro da 1 kg, 6.20 Hit

Pasta Subito in conf. da 3, ai funghi, alla carbonara e all’arrabbiata, per es. all’arrabbiata, 3 x 160 g, 5.40 invece di 8.10 33%

33% Fazzoletti di carta e salviettine cosmetiche Linsoft e Kleenex in confezioni multiple per es. fazzoletti di carta Linsoft Classic, FSC, 56 x 10 pezzi, 3.65 invece di 5.50

Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 6, UTZ, al latte e alle nocciole e Noir Special 72%, per es. Noir Special 72%, 6 x 100 g, 8.80 invece di 12.60 30%

Azione valide fino al 10. 4. 2017, fino a esaurimento dello stock.

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Pesce, carne e pollame

Altri alimenti

Terrina alle spugnole a fette in conf. da 2 Rapelli e paté pasquale alle spugnole Rapelli, per es. paté pasquale alle spugnole, Svizzera, 500 g, 14.95 invece di 25.– 40%

Pane e latticini

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8.40 Cantucci con gocce di cioccolato Sélection 250 g

Ideali per un aperitivo.

5.90 Mini strudel assortiti bio* surgelati, 400 g

Gustosi hamburge vegani.

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4.90 Coppia di ferri da maglia, 30 cm, 5 mm 2 pezzi

Burger speziati a base di fagioli.

3.60 Red Bean Burger* surgelati, 2 x 100 g

Estremamente maneggevoli.

6.20 Ferri da maglia, 20 cm, 4 mm 5 pezzi

Con impugnatura soft. Peeling e pulizia in profondità.

5.90 I am Face Beauty Peeling Pads 30 pezzi

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4.30 I am Triple Oil Body Lotion 250 ml

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3.90 Uncinetto, 4 mm il pezzo


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Idee e acquisti per la settimana

Valflora

Il puntino sulla i

Basta aggiungere uno sbuffo o una nuvoletta di panna montata su un gran numero di cibi per farli diventare vere leccornie. Succede ad esempio con le dolcissime tortine alle fragole

Valflora Panna intera UHT, 500 ml* Fr. 3.15 Azione 40% all’acquisto di due confezioni dal 4 al 10 aprile

Valflora Panna semigrassa UHT, 500 ml Fr. 2.40

Valflora Panna acida semigrassa 180 ml Fr. 1.15

Valflora Crème Fraîche nature 200 g Fr. 2.55

Dessert

Tortine di fragole con panna alla fragola Per 8 fondi di tortina Su 400 g di fragole, sminuzzatene 120 g e frullatele con 3 cucchiai di zucchero a velo. Montate ben ferma 1,25 dl di panna intera mescolata con 3 cucchiai di crème fraîche. Incorporate 4 cucchiai di purea di fragole. Tritate 100 g di cioccolato bianco e fatelo fondere con 2 cucchiai di panna (a ca. 37 °C). Spennellate di cioccolato i fondi delle tortine. Riempiteli di panna alle fragole. Dimezzate le fragole rimaste e accomodatele sulla

panna. Decorate le tortine con il cioccolato fuso rimasto, versandolo sulle fragole a zig zag con un cucchiaio. Tempo di preparazione ca. 30 minuti Per persona Una tortina ca. 3 g di proteine, 17 g di grassi, 23 g di carboidrati, 1100 kJ/260 kcal

M-Industria crea molti prodotti Migros, tra cui quelli della linea Valflora.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Idee e acquisti per la settimana

Il piacere del gusto

Un fiore croccante

Seguendo il ritmo delle stagioni, anche le panetterie della casa propongono un ambasciatore della primavera: il «Fiore di primavera», pane del mese di aprile, si compone di sette michette cosparse con semi di papavero e sesamo, che conferiscono un leggero gusto di noce Testo Claudia Schmidt

Mauro Pizzagalli (41)

è panettiere presso la filiale Migros di S. Antonino e uno dei circa 900 panettieri che più volte al giorno preparano il pane in una delle 130 panetterie della casa. In questo modo il pane è sempre fresco e caldo fino all’orario di chiusura.

Che il sapore del «Fiore di primavera» rammenti quello della corona croccante non è un caso. Infatti il pane del mese di aprile è fatto della stessa pasta. A differenza della corona croccante, il «Fiore di primavera» consiste in più panini, alternativamente cosparsi di semi di papavero e di sesamo. Durante la cottura i semi sviluppano l’aroma di nocciola tostata. Sotto la crosta croccante, la pasta si mantiene soffice e finemente porosa, una consistenza ideale per abbinamenti dolci e salati. Gli aromi del pane spiccano in particolare con gli accostamenti saporiti. Un burro leggermente salato dà soddisfazione anche ai palati più dolci, dando risalto alla dolcezza di marmellata e miele e al dolce sapore del pane. Anche la combinazione con l’avocado, che esalta la percezione dei sapori, risulta deliziosa per le papille gustative. / MM

«La lavorazione manuale assicura pane soffice dalla forma unica.» Mauro Pizzagalli, per quale motivo è diventato panettiere?

Un nostro vicino aveva una piccola panetteria. Già da ragazzino il suo lavoro mi affascinava. E così da 25 anni sono anch’io panettiere. Qual è il suo pane preferito?

Il pane ticinese della Val Morobbia, che mi piace mangiare con il salame nostrano e con un buon bicchiere di vino rosso. Immagini: Veronika Studer (Food) / Gaëtan Bally (ritratto) Suggerimento di presentazione: Regula Brodbeck

www.migros.ch/pane

Consiglio

Sandwich con avocado e crescione Tritare un uovo sodo. Mischiare con ca. 1 cucchiaio di maionese. Aggiungere sale. Tagliare un avocado a fettine, quindi i panini e spalmare con l’impasto di uovo e maionese. Aggiungere le fettine di avocado e crescione in abbondanza.

Per fare il «Fiore di primavera» è necessario del lavoro manuale. Quali i vantaggi?

La lavorazione manuale assicura pane soffice dalla forma unica. Cambiano le abitudini alimentari relative al pane?

Si, oggi i clienti acquistano volentieri i piccoli pani, probabilmente poiché le famiglie sono meno numerose. Inoltre qui in Ticino attualmente i clienti prediligono anche i pani rustici. / MM

Serie Il sapore del pane del mese Attuale in aprile: «Fiore di primavera»

Terra Suisse è sinonimo di un’agricoltura naturale e rispettosa degli animali e si basa sulle direttive IP-Suisse. Parte di

Fiore di primavera 360 g Fr.3.20 L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.

In vendita nelle panetterie della casa di S. Antonino e Serfontana


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 aprile 2017 • N. 14

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Idee e acquisti per la settimana

Il piacere del gusto

Un fiore croccante

Seguendo il ritmo delle stagioni, anche le panetterie della casa propongono un ambasciatore della primavera: il «Fiore di primavera», pane del mese di aprile, si compone di sette michette cosparse con semi di papavero e sesamo, che conferiscono un leggero gusto di noce Testo Claudia Schmidt

Mauro Pizzagalli (41)

è panettiere presso la filiale Migros di S. Antonino e uno dei circa 900 panettieri che più volte al giorno preparano il pane in una delle 130 panetterie della casa. In questo modo il pane è sempre fresco e caldo fino all’orario di chiusura.

Che il sapore del «Fiore di primavera» rammenti quello della corona croccante non è un caso. Infatti il pane del mese di aprile è fatto della stessa pasta. A differenza della corona croccante, il «Fiore di primavera» consiste in più panini, alternativamente cosparsi di semi di papavero e di sesamo. Durante la cottura i semi sviluppano l’aroma di nocciola tostata. Sotto la crosta croccante, la pasta si mantiene soffice e finemente porosa, una consistenza ideale per abbinamenti dolci e salati. Gli aromi del pane spiccano in particolare con gli accostamenti saporiti. Un burro leggermente salato dà soddisfazione anche ai palati più dolci, dando risalto alla dolcezza di marmellata e miele e al dolce sapore del pane. Anche la combinazione con l’avocado, che esalta la percezione dei sapori, risulta deliziosa per le papille gustative. / MM

«La lavorazione manuale assicura pane soffice dalla forma unica.» Mauro Pizzagalli, per quale motivo è diventato panettiere?

Un nostro vicino aveva una piccola panetteria. Già da ragazzino il suo lavoro mi affascinava. E così da 25 anni sono anch’io panettiere. Qual è il suo pane preferito?

Il pane ticinese della Val Morobbia, che mi piace mangiare con il salame nostrano e con un buon bicchiere di vino rosso. Immagini: Veronika Studer (Food) / Gaëtan Bally (ritratto) Suggerimento di presentazione: Regula Brodbeck

www.migros.ch/pane

Consiglio

Sandwich con avocado e crescione Tritare un uovo sodo. Mischiare con ca. 1 cucchiaio di maionese. Aggiungere sale. Tagliare un avocado a fettine, quindi i panini e spalmare con l’impasto di uovo e maionese. Aggiungere le fettine di avocado e crescione in abbondanza.

Per fare il «Fiore di primavera» è necessario del lavoro manuale. Quali i vantaggi?

La lavorazione manuale assicura pane soffice dalla forma unica. Cambiano le abitudini alimentari relative al pane?

Si, oggi i clienti acquistano volentieri i piccoli pani, probabilmente poiché le famiglie sono meno numerose. Inoltre qui in Ticino attualmente i clienti prediligono anche i pani rustici. / MM

Serie Il sapore del pane del mese Attuale in aprile: «Fiore di primavera»

Terra Suisse è sinonimo di un’agricoltura naturale e rispettosa degli animali e si basa sulle direttive IP-Suisse. Parte di

Fiore di primavera 360 g Fr.3.20 L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.

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Idee e acquisti per la settimana

Sun Queen

Home made Un muesli fatto in casa con noci e frutta secca Sun Queen si prepara in un batter d’occhio. La miscela si abbina molto bene allo yogurt nature o più semplicemente al classico latte freddo o caldo.

Granola con noci e frutta secca miste Per una teglia o per ca. 12 porzioni Tritate 150 g di noci miste e mescolatele con 100 g di fiocchi di 5 cereali, 50 g di farina di spelta, 50 g di zucchero greggio e 1 presa di sale. Aggiungete 80 g di burro liquido, mescolate, distribuite la massa sulla teglia foderata con carta da forno e appiattite. Tostate nel forno preriscaldato a 140 °C per ca. 30 minuti, poi fate raffreddare. Sminuzzate 120 g di frutta secca, ad es. cranberries, datteri e albicocche e mescolate la frutta con la granola sbriciolata. Conservate in un barattolo ermetico. Tempo di preparazione 10 minuti + cottura in forno ca. 30 minuti

Sun Queen Noci miste 200 g Fr. 3.95

Per persona Una porzione ca. 4 g di proteine, 14 g di grassi, 22 g di carboidrati, 900 kJ/220 kcal

Suggerimento Chi ama il gusto fruttato, dopo la cottura può mischiare il muesli con albicocche o mirtilli rossi secchi spezzettati

Sun Queen Noci 130 g Fr. 3.30

Sun Queen Mirtilli rossi 150 g Fr. 2.10

Sun Queen Albicocche secche 200 g Fr. 3.90

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche la linea Sun Queen.


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Oli naturali, Aloe vera ed estratto di cotone. Lozione per il corpo in formato mini.

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3.20 Balsamo per le labbra Pure Sensitive I am Natural Cosmetics 4,8 g


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Idee e acquisti per la settimana

Milette

Detersivi delicati e affidabili Milette Detersivo speciale in polvere 1,5 kg Fr. 13.50

Milette Detersivo speciale liquido 1,5 l Fr. 12.–

Milette Detersivo per stoviglie* 500 ml Fr. 3.60

La pelle dei neonati e dei bambini è molto sensibile. Per questo motivo ciucci, biberon, stoviglie, giocattoli e vestiti devono essere lavati con un detersivo specifico. I prodotti Milette sono stati appositamente sviluppati per la pulizia di accessori e prodotti tessili per la prima infanzia. Grazie a ingredienti attentamente bilanciati, questi prodotti risultano particolarmente delicati sulla pelle, rimuovendo nel contempo anche le macchie più ostinate.

*In vendita nelle maggiori filiali Migros

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i detersivi Milette.


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Idee e acquisti per la settimana

Passion

Cambiamenti stagionali

Gli amanti degli Joghurt Passion apprezzano in modo particolare questi spuntini per il loro intenso sapore di frutta e per la consistenza cremosa. Attualmente l’assortimento si arricchisce delle due Special-Edition stagionali al melone e al kiwi. Entrambi gli joghurt si caratterizzano per il contenuto di irresistibili pezzetti di frutta. Come tutti gli altri Joghurt Passion sono prodotti in Svizzera con pregiato latte svizzero.

Passion Joghurt Special Edition Melone 180 g Fr. 1.-

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* Vale per tessili per finestre (incl. lavoro su misura per tende), Sunlight, biancheria da letto (piumini a cuscini esclusi), tessili per il bagno, cuscini ornamentali e cuscini da giardino, coperte, tessili per la cucina e il tavolo (Cucina & Tavola esclusi) nonchÊ tappeti e zerbini su misura. Offerta valida dal 4.4 al 24.4.2017. In vendita in tutte le filiali Micasa e nello shop online. Lo sconto è valido solo per le nuove ordinazioni.


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