Azione 16 del 14 aprile 2020

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Per l’emergenza Covid-19 è stato mobilitato l’esercito: incontro con il colonnello Nicola Guerini

Ambiente e Benessere Il dottor Christian Garzoni, infettivologo e direttore sanitario della Clinica Luganese di Moncucco, ci parla di notizie e pregiudizi sul Covid-19

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIII 14 aprile 2020

Azione 16 Politica e Economia La casa comune europea durante questa pandemia mostra tutte le sue crepe

Cultura e Spettacoli Il rapporto tra Günter Grass e Marcel Reich-Ranicki fu sempre teso: ora lo racconta un libro

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Covid-19, fra colpe e sottovalutazioni

Riflessioni dalla quarantena

di Peter Schiesser

di Mannocchi, Capossela e Ferracuti

In questi giorni, sono sempre stupito dello stupore che colgo nel tono di amici e colleghi che vivono a Zurigo, quando racconto della nostra quarantena di massa, qui in Ticino. Ci percepisco su due pianeti lontani. Il significato di lockdown nella Svizzera tedesca è diverso dal nostro. Certo, l’economia funziona al minimo ovunque, le scuole sono chiuse, si mantengono le distanze sociali, assembramenti con più di cinque persone sono vietati, ma se guardo la fotografia sul «Tages Anzeiger» del 9 aprile e ne leggo la dicitura capisco che intendiamo qualcosa d’altro quando diciamo «restiamo a casa»: su gradini che scendono a lago (forse a Zurigo?) una ventina di persone stanno sedute a gruppi di due-tre-quattro in uno spazio di una quindicina di metri, dietro a loro sul viale corrono, biciclettano, passeggiano altre persone, si vede pure un veicolo della polizia; la dicitura recita: «Ancora si veglia sul rispetto delle misure». Mi chiedo: è una questione culturale? Di fronte alla pandemia, ticinesi e romandi sembrano più simili. Sullo stesso giornale, la consigliera di Stato neocastellana Monika Maire-Hefti afferma che «i romandi sono più sensibili ai rapporti personali, gli svizzero tedeschi più sensibili all’economia». Oppure, è semplicemente perché non sono ancora arrivati al punto in cui ci troviamo noi? In realtà pare che la curva dei contagi si stia appiattendo ovunque in Svizzera e mister pandemia Daniel Koch ha dichiarato che nella Svizzera tedesca il picco è stato raggiunto. Speriamo in bene. Troppe volte in troppi paesi questo coronavirus è stato sottovalutato, ignorato – fino al momento in cui diventava presente in tutta la sua evidenza, scardinandoci il senso della realtà e la quotidianità. È successo anche a noi: ricordo la sorpresa generale quando giunse la notizia della chiusura della Lombardia. Ci sembrava inverosimile. Una settimana dopo eravamo noi a quel punto. Ci sono dunque stati errori perché ignoravamo la virulenza e la contagiosità di questo virus. Ma ci sono stati errori ben più gravi per i singoli paesi e per il mondo intero. Il primo fra tutti è quello commesso nello Hubei nel negare l’esistenza dell’epidemia. Secondo una ricostruzione del «Tages Anzeiger» (7 aprile), la prima volta che in documenti ufficiali del governo di Pechino si parla di un paziente infettato da Covid-19 è il 17 novembre, il primo contagio potrebbe risalire a ottobre, ma le autorità locali e pure la commissione nazionale per la salute fanno di tutto per tenere nascosta l’epidemia di coronavirus, mettendo a tacere medici e laboratori, fino a quando il 30 dicembre il capo del centro nazionale di lotta alle epidemie Gao Fu ne viene a conoscenza per caso in una chat. Gao Fu si precipita immediatamente a Wuhan e informa l’Organizzazione mondiale della sanità. Eppure, ancora per settimane le autorità centrali minimizzano, fino a quando il 23 gennaio Wuhan viene chiusa. Intanto l’epidemia era fuori controllo. Nel mentre, per due mesi negli Stati Uniti il presidente Trump ha minimizzato il pericolo, dichiarando che era tutto sotto controllo, che il coronavirus sarebbe scomparso con la primavera, che si trattava di una grande frottola messa in giro dai Democratici, fino a dichiarare il 17 marzo che sì, era una pandemia (e che lui lo aveva capito già molto prima di altri). Siamo tristemente abituati alle frottole di questo presidente americano, ma in questo caso hanno favorito l’inazione della sua Amministrazione e di diversi Stati dell’Unione. In un memorandum del 29 gennaio al presidente, il consigliere economico Peter Navarro ha messo in guardia contro il pericolo di mezzo milione di morti per il coronavirus negli Stati Uniti, ma è riuscito ad ottenere solo la chiusura delle frontiere per chi proveniva dalla Cina, il 31 gennaio. E questo nonostante un’esercitazione condotta solo l’anno scorso dal Ministero della sanità avesse messo in evidenza le grosse lacune del piano pandemico degli Stati Uniti: mancavano scorte adeguate di mascherine e di materiale di protezione in generale, c’era confusione su chi avesse quali competenze, gli ospedali non erano sufficientemente attrezzati, il coordinamento era lacunoso – in breve, gli Stati Uniti non erano pronti ad affrontare una pandemia. Di fronte alle decine di migliaia di vittime negli Stati Uniti (e non siamo ancora al picco), come definire l’atteggiamento delle autorità, del presidente per primo? Ignoranza? Presunzione? Irresponsabilità? Un atto criminale? Atti criminali ce ne sono stati tanti. La speranza è che vengano indagati e perseguiti, e non insabbiati. Penso in questo momento alle notizie provenienti dall’Italia, dove in certe strutture ospedaliere si è celata la presenza del virus, si sono falsificate le cifre e manomessi i referti, mentre medici e infermieri hanno dovuto lottare (e alcuni ammalarsi e morire) senza le precauzioni adeguate. Abbiamo visto il meglio dell’umanità in questi mesi, ma stiamo anche pagando il prezzo del peggio.

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Keystone

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