Azione 1 del 30 dicembre 2024

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MONDO MIGROS Pagina 4

SOCIETÀ Pagina 2

Antropocene? I geologi smentiscono che siamo entrati in un’era in cui la Terra è plasmata dall’uomo

Una serie di fatti e fenomeni che hanno segnato il 2024 in Svizzera, nel bene e nel male

ATTUALITÀ Pagina 7

Giovanni Pintori: creatività e rigore dell’arte grafica, in mostra al m.a.x. museo di Chiasso

CULTURA Pagina 13

Quali luci per l’anno che verrà?

Kolmanskop, l’inferno dei diamanti: sogni, avventure e città fantasma divorate dal deserto

TEMPO LIBERO Pagine 20-21

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Il tempo di perder tempo

Guardo l’immagine di copertina (sopra) scelta per augurarvi un incantevole 2025 e penso che sarebbe rincuorante sapere che dall’anno prossimo vincerà l’ottimismo degli scout. La foto trasmette dolcezza e felicità, eppure è stata scattata lo scorso 15 dicembre in un rifugio antiaereo a Kiev, durante un’allerta per possibili attacchi dal cielo sulla capitale ucraina. Mostra una gioiosa bambina del Plast, l’organizzazione scout nazionale ucraina, che ha acceso la propria candela con la fiamma proveniente dalla «Luce della Pace di Betlemme», un progetto grazie al quale ogni anno, dal 1986, prima di Natale, la fiamma della lampada ad olio che arde da secoli nella Grotta della Natività di Betlemme viene portata in vari Paesi del mondo dal movimento scout. Tecnicamente l’iniziativa si chiama «Luci nel buio» ed è stata ideata dalla Radio-Televisione ORF-Landestudio Oberoesterreich di Linz. Mai più di quest’anno la fiamma passa da una

zona buia del pianeta all’altra. Mentre l’Ucraina, destinataria del dono, continua a subire le incursioni russe in attesa di qualcosa che somigli a una disperata pace, per il secondo anno consecutivo le celebrazioni natalizie nella città di Betlemme, in Cisgiordania, sono avvenute in sordina, in solidarietà con la Striscia di Gaza. Un sottile filo luminoso attraversa le tenebre di queste due guerre maggiori, fra tante altre guerre minori che oscurano il mondo. Cosa augurarci per il 2025, allora, se non che queste trame calde e invisibili che uniscono i bambini innocenti di uno scenario bellico ai bambini innocenti di un altro scenario bellico, accendano luci non dico nei cuori (sarebbe sperare troppo), ma almeno nei cervelli degli adulti che li stanno consegnando a un presente di bombe e macerie e devono imperativamente tentarle tutte per non abbandonarli a un futuro di nuove violenze?

Se pensiamo ai loro legittimi sogni per l’anno che verrà c’è quasi da vergognarsi dei nostri. Eppure, un piccolissimo desiderio per chi come noi ha l’immensa fortuna di vivere in Paesi in pace, io ce l’avrei. Vorrei trovare il tempo di perder tempo. Non avete anche voi l’impressione che, perfino sotto le Feste, nessuno abbia un minuto per fermarsi, posare il corpo, la mente, e riposarsi?

Le giornate iniziano con individui che si infilano in ufficio mentre stanno ancora smaltendo l’ultima telefonata e ne escono già digitando un nuovo numero da chiamare, idem per le e-mail e i messaggi nelle chat. Balliamo ritmi scalmanati che si impongono fin dai banchi di scuola. Trasferiamo le logiche del web nella routine quotidiana: abbiamo dieci finestre aperte sul desktop del computer e saltiamo dall’una all’altra senza sosta. Perciò nel mondo reale corriamo parlando, guidiamo telefonando, salutiamo scappan-

do. Non c’è un attimo per consacrarsi agli altri, che – si sa – hanno la fastidiosa abitudine di sottrarci tempo. Il senso sociale della convivenza va a farsi friggere. Sapremo prenderci il tempo di perder tempo, almeno nelle Feste? Riusciremo a vivere «in presenza» con gli altri senza interrompere un abbozzo di discussione per consultare i messaggi «urgenti»? Almeno noi che abbiamo il privilegio di campare senza l’incubo dei missili o dei droni che uccidono, invece di chiuderci nella crisalide della messaggistica elettronica, o di intasare l’agenda di impegni che si accavallano e ci soffocano, dovremmo avere il buon gusto di onorare la vita godendola appieno. Andando di tanto in tanto a zonzo, trascorrendo le ore migliori a dispositivi spenti: nell’amore, con gli amici, nella natura pulsante che ci avvolge. Che non vengano un giorno gli scampati alle guerre a dirci: voi che avevate una vita, perché l’avete sprecata?

Aldo Cazzullo
Carlo Silini

SOCIETÀ

Tra scienza e fede

Nuovi studi dimostrano in che modo il cervello si attiva quando si vivono esperienze spirituali

Spuntano discipline inedite, come la neuroteologia

Tre anniversari storici

Nei trasporti pubblici ticinesi si sono festeggiati nel 2024 i 30 anni della prima legge cantonale, i 20 anni del TILO e i 10 della riforma nel Bellinzonese

2025, siamo ancora nell’Olocene

L’epoca dell’Uomo ◆ È stata bocciata l’idea del Gruppo di lavoro sull’Antropocene di definire una nuova epoca basata sull’uomo come fattore plasmante del sistema Terra – Ma c’è chi provoca: forse siamo nel «Trumpocene»

L’Antropocene non ce l’ha fatta, o per usare un gioco di parole, non è giunta l’epoca per l’Antropocene.

Facciamo un po’ di ordine. Il periodo geologico più recente, quello in cui viviamo, è il Quaternario, iniziato 2,58 milioni di anni fa; comprende al suo interno l’Olocene, l’epoca che ha avuto inizio 11’700 anni fa, con la fine dell’ultima glaciazione ed è attualmente in corso.

Il 4 marzo 2024, la commissione responsabile del riconoscimento delle unità temporali all’interno del Quaternario ha respinto la proposta del Gruppo di lavoro sull’Antropocene di decretare la fine dell’epoca Olocene e vararne una nuova, basata sull’uomo (anthropos) come fattore plasmante del sistema Terra. Secondo la commissione, questo passo non sarebbe sostenuto dagli standard usati per definire le epoche.

Non ci sono basi scientifiche solide a sufficienza per attribuire alle attività antropiche un’intera epoca geologica

Dopo 15 anni di ricerche, il Gruppo di lavoro aveva proposto di definire l’Antropocene come un’epoca nella scala del tempo geologico il cui inizio risale al 1952. Il marcatore scelto era, infatti, il fallout radioattivo dei test della bomba all’idrogeno e in particolare i radioisotopi del plutonio. Tale data di inizio è stata anche motivata dalla «Grande Accelerazione», identificata dal climatologo Will Steffen e caratterizzata da un drastico aumento dell’attività umana a livello globale. Questo si è espresso nella rapida crescita della popolazione mondiale, dell’urbanizzazione, dell’industrializzazione, del consumo di risorse naturali e delle emissioni di gas serra. Il tutto accompagnato da una drastica perdita di biodiversità. Durante questo periodo, i radioisotopi hanno lasciato tracce riconoscibili a livello globale. A questi si è affiancata la dispersione di inquinanti organici e altri derivati di origine antropica, come cemento, plastiche e microplastiche. Il limite tra due unità del tempo geologico viene visualizzato fisicamente dall’infissione del cosiddetto «golden spike» (chiodo d’oro) tra due strati che esprimono tale passaggio. Si tratta di un punto di riferimento che deve essere riconoscibile a livello globale e, per l’inizio dell’Antropocene, era stato individuato nei sedimenti intatti del remoto lago Crawford in Canada. Qui sono riconoscibili il richiesto incremento di radioisotopi ma anche quello di azoto derivato dai fertilizzanti e di residui dell’uso di combustibili fossili.

A far dubitare sulla valenza scientifica del termine sono stati diversi fattori. Secondo la commissione, non ci sono basi scientifiche solide a sufficienza per attribuire alle attività antropiche un’intera epoca geologica. In altre parole, la sua storia così recente (inclusa addirittura nell’arco di una vita umana!) sarebbe troppo limitata per comprendere gli effetti più profondi del cambiamento globale causato dalle nostre attività. È stato inoltre obiettato che l’impatto delle attività antropiche ha radici molto più antiche, risalendo alle prime forme di deforestazione a scopo agricolo, circa 10.000 anni fa. Ma in tal caso da un lato sarebbe impossibile riconoscere un punto definito per il golden spike, dall’altro ci si avvicina sempre più all’inizio dell’Olocene togliendo coerenza all’introduzione di una nuova epoca. La bocciatura è pertanto conseguenza di una sorta di «recentismo» e ha a che fare con la connotazione intrinseca di una disciplina come la geologia. Una scienza esclusivamente descrittiva rivolta all’indietro, non predittiva. La questione ruota pertanto non sul riconoscimento dei cambiamenti globali ma su quanto permanentemente questi saranno riconoscibili nel registro geologico. La mancanza di un riconoscimento dell’Antropocene a livello di epoca

non è un problema per la scienza, che gli può comunque attribuire lo status di evento. L’Evento Antropocene potrebbe separare l’Olocene da un’epoca successiva di cui ignoriamo ancora i connotati. Se così fosse, le microplastiche che ammantano ormai il pianeta avrebbero lo stesso ruolo del sottile strato di iridio che separa le rocce dell’era dei dinosauri da quelle successive, e che secondo i geologi rappresenta la polvere dell’asteroide caduto sulla Terra 66 milioni di anni fa. Questa bocciatura «geologica» di tipo formale contribuirà comunque a stimolare il dibattito, sviluppandolo ulteriormente su un livello più ampio, di tipo storico, politico, etico e antropologico. In questi 15 anni di attività del Gruppo di lavoro sull’Antropocene sono comunque già emersi anche approcci che spostano la discussione dal piano della storia geologica a quello della geo-storia. Quello più conosciuto è il «Capitalocene» introdotto da Andreas Malm e sviluppato dallo storico dell’ambiente Jason W. Moore, individuando nel capitale il fattore di organizzazione della natura. Con ciò Moore prende le distanze dalla razionalità moderna, fondata sulla contrapposizione tra natura e umanità, vista come un tutto indifferenziato e astratto dalle dimensioni di classe e di potere. Includere la

crisi climatica sotto il nome di Antropocene ne attribuirebbe le cause all’umanità tutta e non a quella parte responsabile di un particolare sistema di produzione. Sistema che ha generato drastiche diseguaglianze economiche e sociali e ha interpretato la natura come esterna all’umanità tanto che quest’ultima poteva infinitamente attingere ad essa. Secondo Moore, il cambiamento climatico non è il risultato dell’azione umana in astratto – l’Anthropos – bensì la conseguenza più evidente di secoli di dominio del Capitale. Piuttosto che antropogenico, il cambiamento climatico è pertanto capitalogenico.

L’epoca del Capitale precede necessariamente il golden spike proposto per l’Antropocene. Lo spostamento dall’Anthropos al Capitale comporta infatti una retrodatazione degli inizi del fenomeno. Non sarebbe la «Grande accelerazione» degli anni 50 del secolo scorso, ma il 1450, quando gli Europei cominciano a ricercare nuovi spazi di «natura a buon mercato». Appropriazione di nuove terre, legittimazione di schiavismo e colonialismo consentirono quell’accumulo originario che ha permesso lo sviluppo del capitalismo stesso.

Altri termini si sono affiancati al dibattito offerto dalla coppia Antropocene/Capitalocene e, per quan-

to curiosi, hanno avuto il pregio di aprire la strada a correnti di pensiero innovative. Citiamo quelli legati alle forme di produzione moderna che annientano ecosistemi interi eliminando persino i refugia, a partire dai quali un giorno potrebbero di nuovo diffondersi specie nuove (il Piantagionicene di A. Tsing, 2015). O quelli connessi alle astrazioni violente generate dallo sviluppo coloniale (il Crescitacene di E. Chertkovskaya e A. Paulsson, 2016 e l’Econocene di R.B. Norgaard, 2013) o alla miscelazione globale di persone, piante e animali un tempo separati (l’Omogenocene di C. Mann, 2013), che a sua volta rappresenta un’opportunità senza precedenti per la diffusione dei virus (il Pandemicene di E. Yong, 2022). Fino ad arrivare, in modo provocatorio, al Trumpocene, nuova epoca in cui un presidente degli USA nega il cambiamento climatico o perlomeno i suoi effetti deleteri (G. Readfearn, The Guardian, 2016).

In ogni caso anche se ormai si tratta di un termine ampiamente utilizzato, seppure in modo informale, dal punto di vista geocronologico l’Antropocene non ha fatto epoca. Siamo ancora nell’Olocene. D’altronde questo nome deriva dalle parole greche hólos («del tutto») e kainós («recente»). Nomen omen.

La questione dibattuta dagli esperti ruota non sul riconoscimento dei cambiamenti globali, come il surriscaldamento terrestre, ma su quanto permanentemente questi saranno riconoscibili nel registro geologico. (Freepik)
Rudolf Stockar
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Un toccante alfabeto dell’integrazione

Pubblicazioni ◆ Nell’ultimo libro curato da Silvia Bello Molteni le voci di una

Acqua, dolore, fame, mamma, identità, nome, parto, zitta. Sono alcune delle significative parole dalle quali prendono avvio i racconti di giovani uomini e donne giunti in Ticino dopo un cammino migratorio e riusciti a costruirsi una vita indipendente frequentando il percorso d’inserimento scolastico e professionale Progetto Sociale del Gruppo Ospedaliero Moncucco. A dar voce alle persone fuggite da undici diversi Paesi in cui la popolazione subisce le conseguenze di flagelli come guerre, discriminazioni e povertà, è Silvia Bello Molteni, insegnante del Progetto Sociale. Nel suo ultimo libro, edito da Salvioni, riunisce una trentina di testimonianze attraverso il fil rouge dell’alfabeto italiano dal quale parte il non facile apprendimento da parte dei migranti della lingua italiana, primo passo per poter raggiungere un’integrazione professionale e sociale. Il volume è intitolato In italiano le parole suonano in bocca, frase riferita alla curatrice da un giovane afghano. Alla Clinica Moncucco di Lugano, accolti dal responsabile delle risorse umane Cristiano Canuti, abbiamo raccolto la testimonianza di un altro afghano, Sayed / Ali, che terminerà la formazione di addetto alle cure sociosanitarie l’anno prossimo.

Il libro nasce dal desiderio di rendere pubbliche le testimonianze e il difficile cammino d’integrazione di molti giovani

Sulla copertina del libro spicca l’immagine di un ponte composto da parole a ricordare da un lato la nascita del Progetto – che ha preso spunto dall’appello lanciato da Papa Francesco nel 2015 a favore dei migranti invitando a dar loro «una speranza concreta», a «costruire ponti» – e dall’altro il ponte che ognuno degli allievi della scuola interna del Gruppo Ospedaliero Moncucco ha superato o sta attraversando. Sono infatti oltre cinquanta le persone che dal 2016 hanno seguito la formazione, di cui una trentina diplomati e inseriti nel mondo del lavoro. La coordinazione del Progetto Sociale è affidata a Monica di Bacco, responsabile della formazione in clinica. Silvia Bello Molteni, dopo aver avviato e gestito il Progetto, accompagna ora gli allievi quale insegnante di italiano ed educatrice unitamente a un educatore e a due formatori (infermieri) per le conoscenze professionali. La docente, con una lunga esperienza nell’insegnamento elementare e nell’inserimento professionale, sottolinea il coraggio e l’impegno dei suoi allievi in un percorso non certo privo di difficoltà. Riguardo alla pubblicazione spiega: «Il libro nasce dal

desiderio di rendere pubbliche le loro testimonianze, offrendo loro la possibilità di raccontarsi nella lingua con la quale oggi vivono, studiano e lavorano. Sono tutte storie che partono dalla sofferenza, vissuta per cause e in forme diverse, ma che nella parte finale esprimono speranza, oltre a un sentimento di gratitudine». La pubblicazione è anche un riconoscimento al Gruppo Ospedaliero Moncucco. Prosegue la curatrice: «Va ricordato che il progetto è stato avviato quando ancora non esistevano percorsi strutturati per l’inserimento professionale dei migranti. Siamo partiti con pochi allievi, affinando di anno in anno il percorso e le collaborazioni».

A questo proposito il responsabile delle risorse umane Cristiano Canuti ricorda come nel 2016 la formazione sia stata promossa e finanziata dalla Clinica Moncucco con il nome

di Progetto Integra-Ti. «L’iniziativa è stata subito sostenuta dalle Autorità cantonali e federali», afferma il rappresentante della Clinica. «Nel 2020 è diventata Progetto Sociale con l’accoglienza estesa ogni anno a 4/6 giovani ticinesi senza formazione e beneficiari di prestazioni assistenziali. Per loro il programma è stato appositamente adattato». La formazione standard si compone di un anno di Pre-Apprendistato d’Integrazione (PAI) che abbina il lavoro a due giorni di scuola. Il PAI permette di migliorare le competenze scolastiche (in particolare la lingua italiana) in modo da poter proseguire con i due anni di apprendistato federale quale addetto/a alle cure sociosanitarie. Ogni anno vengono ammessi 6/7 allievi dopo un colloquio che ne valuta motivazione, livello linguistico e attitudine attraverso uno o più stage.

Oggi allieve e allievi, la cui età media tende ad abbassarsi attorno ai 20 anni, possono svolgere il PAI e l’apprendistato anche all’esterno della Clinica Moncucco, presso una struttura sanitaria partner dove in seguito sono sovente assunti. Cristiano Canuti sottolinea come il Progetto abbia fatto le sue prove pure dal punto di vista della sostenibilità. «Al di là del forte impatto umano – precisa al riguardo – uno studio commissionato alla SUPSI nel 2020 dimostra il favorevole rapporto costi-benefici economici». Le persone formate raggiungono infatti un’indipendenza economica, lavorando in un settore sempre alla ricerca di personale. Per Canuti, in conclusione, «il Progetto Sociale del

Gruppo Ospedaliero Moncucco potrebbe essere esteso con successo ad altri ambiti lavorativi, favorendo la formazione e l’integrazione professionale di un maggior numero di persone alle quali viene offerta una chance che spetta comunque a loro cogliere e condurre a buon fine». La storia di Sayed/Ali, giovane afghano di 34 anni, conferma proprio quest’ultima riflessione. Nel libro troviamo il suo racconto alla lettera N, corrispondente alla parola nome. «Sono stato Ali fino all’età di dieci anni – racconta nel volume – poi, quando in Afghanistan sono arrivati al potere i talebani per la prima volta, sono cominciati i problemi: il nome Ali è infatti legato alla religione sciita che i talebani combattono». Il padre decide pertanto di cambiare nome al figlio unico che diventa Sayed Mohammad. Oggi questo è il suo nome ufficiale, a scuola e sul posto di lavoro. Nel cuore e per gli amici afghani e ticinesi rimane però Ali. Nel nostro incontro si sofferma soprattutto sul radicale cambiamento di vita che ha dovuto affrontare per sfuggire alle minacce nel suo Paese. Come altri protagonisti della raccolta In italiano le parole suonano in bocca, Sayed/Ali ha attraversato fra mille peripezie Iran, Turchia e Grecia. «Ho lasciato il mio Paese perché la mia attività di giornalista stava diventando sempre più pericolosa. Avevo un lavoro che è tuttora la mia passione, una vita sociale intensa e studi di psicologia alle spalle. Arrivato qui mi sono sentito molto solo e ho faticato ad accettare la nuova situazione che non mi permetteva di trovare lavoro

nel mio settore. Un primo tentativo di frequentare il PAI è fallito. Quando, dopo un lungo periodo e tanto stress, sono finalmente riuscito ad ammettere a me stesso che era questa la mia nuova vita, ho ripreso la scuola. Ora il giornalismo è diventato un hobby caratterizzato dalla realizzazione di podcast e dalla collaborazione con la diaspora afghana in Svizzera. Vivo in maniera indipendente in un piccolo appartamento e sono ben integrato con contatti sia ticinesi che afghani grazie anche all’associazione Comunità Afghana Ticino». La sua gratitudine si estende a Silvia Bello Molteni per l’aiuto ricevuto. Una gratitudine generale traspare da diverse pagine del libro con le voci di uomini e donne, fra le quali giovani madri, che apprezzano la libertà, la sicurezza, la possibilità di affermarsi come persone e di lavorare che hanno trovato in Svizzera, senza dimenticare l’importanza di gesti quotidiani per noi scontati, come l’acqua che esce dal rubinetto. Silvia Bello Molteni ha già affrontato il tema della migrazione nel romanzo Non sei solo (Salvioni, 2020) con protagonista Mahdi e il suo viaggio dall’Afghanistan all’Europa. Ora, riunendo i racconti dei suoi allievi ed ex allievi nel fedele rispetto di come i pensieri sono stati espressi, è consapevole di aver offerto loro «un esercizio di libertà per esprimere la vita passata, i sentimenti e i desideri che li hanno condotti al presente. Hanno dovuto scappare per potersi raccontare e lo fanno nella loro nuova lingua che per molti è quella in cui le parole suonano in bocca».

Prima di arrivare in Ticino, Sayed/Ali ha attraversato fra mille peripezie Iran, Turchia e Grecia. Oggi vive in maniera indipendente in un piccolo appartamento e si considera bene integrato nella nostra società.

Re per un giorno?

Attualità ◆ Gustando la nostra Torta dei Re Magi, è possibile…

Alla Migros la scelta di Torte dei Re Magi è in grado di soddisfare qualsiasi gusto e preferenza. Ogni torta è preparata con cura dagli abili pasticceri del panificio Migros che utilizzano ingredienti di qualità. Che si tratti della variante con ingredienti di origine biologica, di quella mini, perfetta per la merenda o la colazione dei più piccoli, della tradizionale con uva sultanina o dell’alternativa senza, fino all’irresistibile torta con gocce di cioccolato, tutti troveranno sicuramente qualcosa che stuzzichi il proprio palato. Naturalmente, all’interno di ogni torta, non può mancare la classica statuina a forma di re magio, che dà diritto a «regnare» per un giorno.

La tradizione di gustare la Torta dei Re Magi in occasione dell’Epifania, il 6 gennaio, è particolarmente diffusa da noi e alcuni altri Paesi europei. La festa vuole celebrare l’arrivo dei Re Magi a Betlemme per rendere omaggio a Gesù Bambino. Si ritiene che l’idea di celebrare questo giorno con una torta sia tuttavia da attribuire agli Antichi Romani, i quali, in occasione di una festa dedicata a Saturno, dio dell’agricoltura e del raccolto, usavano preparare in suo onore una torta contenente una fava. L’usanza della Torta dei Re Magi nel nostro Paese è stata rilanciata negli anni Cinquanta dallo specialista del pane Max Währen, in collaborazione con l’associazione svizzera dei panettieri.

Tradizioni e sapori della regione

Attualità ◆ I salumi da cuocere ticinesi per un Capodanno e un inverno gourmet

Quando si parla di specialità della salumeria ticinese, accanto a quelle stagionate, non possiamo certo dimenticare alcune tradizionali delizie da cuocere, nella fattispecie la luganighetta, le luganighe e il cotechino, quest’ultimo particolarmente apprezzato a Capodanno accompagnato dalle classiche lenticchie. Nei supermercati di Migros Ticino questi insaccati sono prodotti da due rinomati salumifici, impiegando carni suine svizzere seguendo delle ricette tradizionali locali. Una volta selezionate, le carni magre e grasse vengono miscelate con un mix di spezie e vino rosso. Dopo un periodo di riposo, l’impasto viene insaccato in un budello naturale e lasciato asciugare per qualche giorno.

La preparazione di questi salumi è alquanto semplice: se per la luganighetta il modo più classico per gustarle è quello di grigliarle, il cotechino e le luganighe sono ideali da

Oggigiorno in Svizzera in occasione dell’Epifania vengono vendute qualcosa come un milione e mezzo di Torte dei Re Magi. Buona parte di esse sono confezionate nelle panetterie regionali della Migros. Se la versione originale viene prodotta con l’aggiunta di uva sultanina, negli ultimi anni hanno preso piede anche delle varianti alternative (vedi sopra).

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Cotechino ticinese per 100 g, in self-service Fr. 1.35 invece

cuocere in acqua. Per un risultato ottimale, si consiglia di immergere i salumi in acqua fredda e portare ad ebollizione (l’acqua non deve bollire vigorosamente). Questa modalità di cottura permette di preservare

al meglio il sapore e la succosità della carne. I tempi di cottura sono di ca. 30 minuti per le luganighe e 45 minuti per il cotechino. Non bucare mai il budello per non disperderne i succhi.

Sabato 4 gennaio 2025, dalle 8.30 e fino ad esaurimento delle scorte, ti aspetta un’invitante attività presso la Mall del Centro S. Antonino. All’entrata nel negozio ti verrà consegnato un buono che ti dà diritto a ritirare una rosetta di Torta dei Re Magi. Non perdere l’occasione di gustare questa deliziosa specialità dell’Epifania prodotta dal panificio della Migros. Ricorda che la disponibilità delle rosette è limitata, pertanto affrettati a venirci a trovare! Maggiori info su centrosantantonino.ch o FB

Quando arriva la Befana

Attualità ◆ Una calza piena golosi dolcetti

In occasione dell’Epifania non solo si gusta la deliziosa Torta dei Re Magi, ma secondo la tradizione molti piccoli golosi non vedono l’ora di ricevere anche la calza della Befana, piena di tanti dolcetti da sgranocchiare lasciati nella notte dalla simpatica vecchietta sulla scopa. La nostra calza accontenta davvero tutti, buoni e birbanti, grazie ad un irresistibile mix di caramelle gommose alla frutta, monete di cioccolato, carbone dolce e sorpresina.

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La dimensione «spirituale» del cervello

Salute ◆ I nuovi orizzonti scientifici confermano che la salute spirituale nasce dalla nostra biologia, ovvero nel cervello che la genera

«Dottore, perché ci ammaliamo? E come facciamo a guarire?». Il dottor Gianluigi Marini dice di essere stato «letteralmente spiazzato» da questa domanda che un suo paziente gli ha posto all’inizio degli anni 90. Egli è attivo da trentanove anni come medico specialista in medicina interna generale e oncologia, occupandosi di emodialisi, oncologia e trapianti. «Allora non riuscivo a trovare una risposta, e decisi di cercarla in una “medicina altra"…». I suoi studi, approfondimenti e pratica di Medicina spirituale, parallelamente alla sua professione di medico, sono iniziati con un percorso che più avanti ci espliciterà. Ma per prima cosa Marini tiene a precisare: «Non tutti gli ambiti di Medicina complementare possono identificarsi come spirituale e ritengo che il termine Medicina spirituale identifichi la nostra apertura morale e mentale verso una dimensione superiore a quella del nostro corpo fisico, anche trascendente, dunque non necessariamente relativa alla religiosità». Si delinea il concetto di «cervello spirituale» che le neuroscienze stanno sondando sempre meglio, con sempre maggiori evidenze scientifiche. Queste ultime hanno pure spinto l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a introdurre la definizione di «benessere spirituale» come «quarta dimensione» che permette di recuperare la dimensione biologica della spiritualità per gestire cervello e tempo, rivedendo così la definizione di salute come: «Una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità».

I monaci buddisti, dopo anni di meditazione, mostrano un minore invecchiamento cerebrale, migliore memoria e conservazione delle informazioni

Le neuroscienze stanno quindi dimostrando sempre meglio che la salute spirituale nasce dalla nostra biologia, e secondo i nuovi orizzonti scientifici è il cervello a generarla. Nulla di esoterico o strettamente legato a qualsivoglia credo religioso: autori come lo psicologo statunitense Daniel Goleman o lo psicologo e docente statunitense Howard Gardner (conosciuto per la sua teoria sulle intelligenze multiple) ritengono che l’elemento spirituale vada ben oltre l’ambito religioso e cognitivo e sia affine al bisogno di raggiungere una conoscenza più profonda e sensibile della nostra realtà, verso un benessere più elevato e lontano dall’ego e dall’ossessione delle cose materiali. I neurologi chiamano questo bisogno «coscienza egoica o limbica» perché, più che di mistico, si parla di emozioni e processi mentali ben precisi di cui è responsabile il nostro cervello. Sempre le neuroscienze indicano «una realtà che si trova proprio lì, nel nostro cervello e in una serie di strutture che, se stimolate, provocano subito dei cambiamenti nella nostra percezione e nel modo in cui ci sentiamo e percepiamo il mondo che ci circonda». Tutto è suffragato da neuroscienziati del calibro di Andrew Newberg, direttore di Ricerca presso il Myrna Brind Center for Integrative Medicine al Thomas Jefferson University Hospital di Philadelphia e autore del libro

Principles of Neurotheology (Principi di Neuroteologia): uomini di scienza che hanno dimostrato come il cervello dei monaci buddisti, abituati da anni a praticare la meditazione, mostra un minore invecchiamento cerebrale, migliore memoria e conservazione delle informazioni, oltre a una maggiore resistenza al dolore.

Dal canto suo, il professor Pierluigi Rossi (specialista in Scienza della Alimentazione, in Igiene e Medicina preventiva) conferma che nella ricerca scientifica più attuale sta emergendo il ruolo della spiritualità come «determinante della salute umana» e la accoglie come novità interessante che «supera medioevali definizioni della spiritualità»: «Essa nasce dalla biologia del corpo umano, non è una

“cosa” scesa dal cielo, ma la capacità che il corpo ha di trascendere la materia di cui è composto; essa prescinde dalla religione e dalla fede ed è determinante di salute».

La spiritualità non è una «cosa» scesa dal cielo, ma la capacità che il corpo ha di trascendere la materia di cui è composto

Comunque, già nel 2016 la scoperta dell’area del cervello che ci consente di entrare in relazione con la nostra spiritualità ha messo in accordo scienziati e teologi sul fatto che, ad esempio, pregare o meditare fosse come una medicina: «Il raccogli-

Ma allora è tutta un’illusione?

Le importanti scoperte descritte nell’articolo di Maria Grazia Buletti potrebbero indurre qualche lettore a ritenere che, in fondo, la trascendenza e con essa la dimensione spirituale e/o religiosa della vita siano «fabbricate», se non addirittura «inventate» dal cervello. Del resto è piuttosto diffusa tra gli studiosi l’idea che buona parte di quelle che un tempo ritenevamo istanze costitutive irrinunciabili e indiscutibili del nostro essere umani –come la volontà e la libertà – siano in realtà sensazioni determinate dal nostro cervello. In ballo, in questa complessa diatriba accademica, non c’è quindi solo la rimessa in discussione della reale esistenza o inesistenza del divino o comunque di una dimensione trascendentale delle cose,

ma la stessa definizione dell’essere umano come “animale” capace non solo di intendere, ma anche di volere, cioè di scegliere tra ciò che ritiene giusto o sbagliato. Tornando alla «spiritualità del cervello», tuttavia, ci sono studiosi come il neurologo Kevin Nelson convinti che la scoperta delle basi neurali dell’esperienza spirituale non dimostri, come in campo scettico si è sostenuto, l’illusorietà di tale esperienza. Le neuroscienze, per Nelson, ci offrono piuttosto una prospettiva interessante di integrazione, dalla quale guardare alla religiosità. Al pari della conoscenza logica, infatti, anche la fede passa attraverso il cervello dando alla persona sensazioni che sostanziano l’esperienza del credere. / RED

mento attiva la funzione parasimpatica, riducendo frequenza cardiaca e pressione sanguigna, rafforzando la risposta immunitaria e abbassando i livelli ematici di cortisolo (l’ormone dello stress)». Newberg descrive cosa accade, osservandolo con la tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (Spect): «Nel concreto, durante l’esperienza spirituale (intesa come preghiera solitaria o collettiva, meditazione, lettura di testi sacri o partecipazione a riti religiosi) il cervello “spegne” gli stimoli sensoriali che normalmente attingono informazioni dall’ambiente esterno (luce, rumori e odori), permettendo di concentrarsi sulla propria interiorità.

I moderni esami diagnostici consentono di visualizzare che, oltre ad aumentare l’attività della corteccia prefrontale (ndr: la parte anteriore del lobo frontale che governa le emozioni), si mettono maggiormente in moto il nucleo caudato, l’insula e il giro del cingolo: tre centri cerebrali importanti per memoria, apprendimento e innamoramento. Fra gli effetti tangibili c’è l’aumento dei livelli di serotonina nel sangue, trasmettitore responsabile della regolamentazione di tante funzioni cerebrali e correlato ai disturbi dell’umore». La medicina di domani sarà anche spirituale: è con un tocco di audacia che lo scorso mese di settembre Palliative Vaud ha dedicato la giornata delle cure palliative alla medicina integrativa, psichedelica e sciamanica e, per voce dello psichiatra e psicoterapeuta, professore ordinario all’UNIL Jacques Besson, ha sottolineato: «È giunto il momento di affrontare la questione della salute spirituale. Con pratiche che trascurano questa dimensione, la medicina attuale

(dominata da un approccio materialista) non è sufficiente per una cura approfondita». Questo ha pensato, dopo gli interrogativi posti dal suo paziente, il nostro dottor Gianluigi Marini alla ricerca di quella «medicina altra» da integrare alla sua pratica medica: «Iniziai a studiare Ayurveda, la medicina tradizionale indiana all’Imperial College e poi all’Accademia Maharishi di Milano, fondando in seguito con colleghi una Scuola di Ayurveda per medici e operatori a Milano. Mi sono poi diplomato a una scuola di Medicina spirituale (Snowlion School), ed ebbi pure la fortuna di studiare con due importanti sciamani hawaiani, fino a scoprire la medicina spirituale di Bruno Groening, uno dei guaritori spirituali più importanti del nostro secolo».

Oggi egli applica «a rigore» queste conoscenze come una psicosomatica avanzatissima, piuttosto che un evento spirituale: «Dobbiamo osservare che qualsiasi nostro sforzo che trascenda la lettura fisica del corpo e delle malattie diventa un moto spirituale altamente auspicabile». È chiaro che le neuroscienze non accettano l’esistenza di entità soprannaturali e cercano anzitutto di comprendere le nostre motivazioni nel praticare attività che generano calma e benessere come yoga o meditazione: «Attività che liberano la dopamina nell’organismo, aumentando la connettività della corteccia prefrontale o potenziando la nostra plasticità cerebrale». Possiamo concludere che è ormai provato come l’essere umano non cerchi solo il benessere interiore, la calma mentale e il risanamento emotivo, ma anche i significati di un mondo che, in generale, fornisce più domande che risposte.

La meditazione, la preghiera e tutte le pratiche che portano a trascendere la dimensione materiale della realtà attivano configurazioni neurali e meccanismi altamente specifici. (Pixabay)

Tre pietre miliari per i trasporti pubblici ticinesi

Bilanci ◆ I trent’anni della prima Legge cantonale, i

Il 2024 si chiude lasciando alle spalle tre eventi di rilievo per la storia dei trasporti pubblici in Ticino. Sono infatti caduti quest’anno il trentesimo anniversario della prima Legge cantonale sui trasporti pubblici, il ventesimo della costituzione della Società TILO e i dieci della riforma dei trasporti pubblici del Bellinzonese. Questi eventi riflettono momenti significativi del percorso che ha portato a un profondo , anche se non risolutivo, mutamento della mobilità in Ticino. Per rendersene conto occorre ricordare quale era la situazione di partenza, che affonda le radici nello smantellamento di alcune linee ferroviarie regionali negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, riflesso di una evoluzione generale in cui la motorizzazione individuale e la diffusione degli insediamenti conoscevano un incremento esponenziale. Le difficoltà raggiunsero anche le Ferrovie federali svizzere, che nel 1994 cessarono il servizio regionale in Leventina. L’attrattività dei servizi stava scemando e i disavanzi d’esercizio erano in forte aumento. Il materiale rotabile era vetusto, le frequenze erano ormai ridotte al minimo (ogni ora) e le stazioni chiudevano o erano abbandonate a sé stesse.

Paradossalmente, nel momento della crisi si riscoprirono le virtù e le potenzialità di un mezzo di trasporto che, dopo più di un secolo di vita,

pareva al tramonto. La Concezione globale svizzera dei trasporti, un poderoso documento concluso su mandato del Consiglio federale nel 1979, vagliò gli scenari del futuro ed evidenziò i potenziali pregi della ferrovia, dati dalla sua elevata capacità, dal suo vantaggioso profilo ambientale e dalle possibilità di ridurre i tempi di percorrenza. Il rilancio necessitava tuttavia di rilevanti investimenti, troppo a lungo trascurati. Risultato fu il lancio dei progetti «Ferrovia 2000» nel 1987 e della Nuova trasversale alpina al Lötschberg e al San Gottardo nel 1992.

Anche in Ticino la progettazione della trasversale alpina diede il via a una riflessione sulle nuove opportunità. Un «Piano di sviluppo per il trasporto ferroviario delle persone in Ticino» allestito dal Cantone nel 1992 delineò i principi per ridare slancio al servizio, in particolare pensando alla galleria di base del Ceneri, che prometteva il dimezzamento dei tempi di percorrenza. Gli obiettivi essenziali del rilancio ferroviario furono indicati nell’incremento delle frequenze, nella realizzazione di un collegamento diretto tra Locarno e il Sottoceneri, nell’ampliamento dei servizi verso Como, Milano e, con la costruzione di una nuova linea, verso Varese e Malpensa. Si perseguiva inoltre l’ammodernamento delle stazioni e il rinnovo completo della flotta dei treni.

Treno della linea S10 della rete celere del Canton Ticino, in corsa fra le stazioni di Capolago e MaroggiaMelano. (Wikimedia)

Il tutto doveva essere accompagnato da una ristrutturazione dei servizi su gomma in modo da estendere i benefici all’intero territorio. La costituzione nel 2004 della Società TILO tra le FFS e, inizialmente, Trenitalia (poi Trenord) è stata la chiave di volta per compiere un decisivo passo dal profilo organizzativo e gestionale. Una serie di accordi tra Cantone, Ufficio federale dei trasporti, la società AlpTransit San Gottardo SA, FFS, Regione Lombardia, Rete ferroviaria italiana RFI e i rispettivi Stati nazionali die-

dero il via alle opere e progressivamente luce verde ai servizi.

Tutto questo necessitava di un quadro di riferimento giuridico che stabilisse obiettivi, mezzi e modalità entro le quali collocare il ruolo e le competenze del Cantone. Fu così approvata nel 1993 la prima Legge sui trasporti pubblici, che entrò in vigore proprio trent’anni fa. Sul terreno fu accompagnata da uno studio e da una riforma «pilota» dei trasporti pubblici su gomma del Mendrisiotto e dall’avvio del progetto di armonizzazione delle

tariffe, che si concretizzò nel 1996 con la costituzione della Comunità tariffale Ticino e Moesano (oggi Comunità tariffale Arcobaleno). In parallelo a questi sviluppi Cantone, Comuni e imprese di trasporto hanno concretizzato a tappe una riprogrammazione generale dei servizi su gomma e un loro potenziamento mirato attraverso i Piani regionali dei trasporti e i Programmi di agglomerato. La rivoluzione del Trasporto pubblico del Bellinzonese, che ha festeggiato a dicembre i dieci anni, è un tassello della nuova rete, che progressivamente ha toccato tutte le regioni. I risultati sono stati ovunque positivi. L’incremento della domanda è stato costante e addirittura vertiginoso dopo l’apertura della galleria del Ceneri. Oggi in Ticino circa 100’000 utenti frequentano quotidianamente i servizi bus e circa 55’000 salgono sui convogli ferroviari regionali. Se pensiamo che, secondo una media generale, quattro spostamenti su cinque avvengono con l’automobile, esiste un grande potenziale per andare oltre. Un buon motivo dunque per festeggiare ma anche per cogliere i segnali del disagio dovuto agli affollamenti nelle ore di punta, ai problemi tecnici del materiale rotabile e alla gestione dei cantieri, e per guardare avanti. Il successo non è dunque definitivo, occorre prefigurarlo con largo anticipo e conquistarlo giorno per giorno.

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ATTUALITÀ

Sulla disparità salariale

Le cause del fenomeno, ancora diffuso anche nel nostro Paese, affondano le radici nella cultura di segregazione dei ruoli di genere

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Reportage dal confine tra le due Coree Mentre Seul destituisce il presidente Yoon Suk-yeol, alla frontiera con Pyongyang la tensione non accenna a diminuire

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Quella brama di tempi migliori

Dall’Europa pigra e sonnolenta del 1825 al terribile 1925 nazifascista: uno sguardo al passato per vedere meglio il futuro

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Dal Bürgenstock al crack passando per l’Europa

Svizzera ◆ Una serie di fatti e fenomeni che hanno segnato il 2024 e influenzeranno gli anni a venire

A – Alluvioni

Il 2024 ha lasciato dietro di sé una scia di lutti e distruzioni. La scorsa estate temporali e inondazioni hanno colpito in particolare la Mesolcina, la Vallemaggia, alcune zone del Vallese e l’Oberland bernese. Regioni ora alle prese con la ricostruzione e con la ricerca dei fondi necessari per poter svolgere questi lavori. Al di là della generosità della popolazione non sono mancate le brutte sorprese, a cominciare dai limiti di legge che impediscono alla Confederazione di finanziare con maggiore generosità gli investimenti necessari, a danno soprattutto delle regioni più periferiche, a cominciare proprio dalla Vallemaggia.

B – Bürgenstock

Un vertice sulla pace in Ucraina in un lussuoso albergo del Canton Nidvaldo. A metà giugno la diplomazia svizzera vi ha riunito più di 80 Paesi per discutere di pace. Presente il presidente ucraino Zelensky, assente la Russia. Diverse le critiche interne sollevate da questo summit, che al di là delle dichiarazioni del momento non ha finora lasciato un’impronta decisiva sull’esito del conflitto.

C – Crack

È una piaga che si sta sempre più diffondendo. Nel nostro Paese il consumo di questa droga, a base di cocaina, è triplicato negli ultimi quattro anni. Colpita in particolare la Romandia, ma questo incremento si sta facendo sentire un po’ dappertutto in Svizzera, Ticino compreso. Al parco Ciani di Lugano l’80% dello spaccio di stupefacenti è legato proprio a questa sostanza.

D – Demografia

Per la prima volta la popolazione residente nel nostro Paese ha superato la quota di nove milioni di abitanti. Un tema che chiama in causa direttamente la libera circolazione delle persone, in un contesto segnato da una crescente carenza di personale. Immigrazione e necessità dell’economia, in Svizzera i dati demografici saranno sempre più spesso al centro del dibattito politico. E all’orizzonte si staglia già l’iniziativa popolare dell’UDC «No ad una Svizzera da 10 milioni».

E – Europa

Lo scorso 20 dicembre si sono concluse le trattative per dare forma e

contenuti nuovi ai bilaterali. Un trattato che tocca vari punti controversi, a cominciare dalla ripresa dinamica del diritto europeo e dai meccanismi con i quali si intendono risolvere le dispute tra Berna e Bruxelles. Ora si sa che la Corte di giustizia dell’Unione europea avrà un ruolo di secondo piano, l’ultima parola spetterà ad un tribunale arbitrale misto. L’accordo prevede anche una clausola di salvaguardia per regolare l’immigrazione in arrivo dall’Ue. Un dispositivo che va ora precisato, con una modifica della legge federale sugli stranieri. Tra i principali nodi ancora da sciogliere, quello della protezione delle condizioni di lavoro. Su questo punto ci saranno ulteriori negoziati tra sindacati e padronato alla ricerca di misure alternative in difesa del mercato del lavoro svizzero. In ogni caso siamo all’inizio di un lungo percorso, il popolo sarà chiamato al voto fra tre o quattro anni.

F – Firme

Sono alla base della democrazia diretta svizzera. La loro raccolta viene effettuata sempre più spesso da agenzie specializzate e da operatori che vengono pagati a cottimo, in base al numero di firme messe in bisaccia. Meccanismi che possono portare a

frodi e irregolarità. Non per nulla il Ministero pubblico della Confederazione sta conducendo delle inchieste in questo ambito, mentre la Cancelleria federale ha convocato una tavola rotonda per forgiare un codice di condotta. Dal canto suo il Governo non intende comunque vietare la pratica delle firme a pagamento.

G

– Gender

La vittoria di Nemo all’Eurosong ha riaperto il dibattito sul riconoscimento delle persone non-binarie. Proprio con questo obiettivo il cantante di Bienne ha ottenuto un incontro con il Consigliere federale Beat Jans, che da responsabile politico dell’Ufficio federale di giustizia può attivarsi per concretizzare queste rivendicazioni. Nel 2022 il Governo si era espresso su questo argomento, ritenendo che «non esistono le premesse sociali per introdurre un terzo sesso». Vedremo se Jans vorrà ora cambiare questo parere, ma per farlo dovrà metter mano anche alla Costituzione federale.

Q – «Quei cinque»

C’è chi la considera una rottura della collegialità governativa. Nel suo discorso sulla Piazza federale in occa-

sione del Primo maggio, lo stesso Jans ha usato questa espressione: «Chissà cosa combinano quei cinque?». Loro, i cinque, sono i suoi colleghi di Governo non di sinistra. Come a dire che la maggioranza che comanda il Governo è ormai quella. Ed è una maggioranza piuttosto compatta, che ha permesso, ad esempio, di riaprire la porta all’energia nucleare di nuova generazione, di accrescere gli abbattimenti dei lupi e di ridurre il canone radiotelevisivo. Sempre «quei cinque» hanno difeso a spada tratta il freno all’indebitamento, strumento che quest’anno ha imposto tagli in settori sensibili, come ad esempio quello della cooperazione internazionale, a favore di un aumento degli investimenti nell’esercito. A volte, ma più raramente, gli equilibri in Governo cambiano. Un esempio? È molto probabile che sull’accordo con l’Ue i due ministri dell’UDC si siano ritrovati da soli. Ma questa è piuttosto l’eccezione che conferma la regola.

S – Stalking

Perseguitare ripetutamente una persona va considerato un reato penale. Lo hanno deciso le due camere del Parlamento, anche se tra loro ci sono ancora delle divergenze tecniche da appianare. Per il nostro Paese si trat-

ta di un passo avanti decisivo nel perseguire questi casi e nel difenderne le vittime, che molto spesso sono donne.

T – Tredicesima

Il 3 marzo di quest’anno Popolo e Cantoni hanno approvato l’aggiunta di una rendita AVS mensile in favore dei pensionati. Un risultato storico, anche per il fronte sindacale che aveva lanciato l’iniziativa in favore di questa misura. Ora si tratta di trovare il modo di finanziarla. In ogni caso i pensionati riceveranno questa rendita supplementare a partire dal mese di dicembre del 2026.

Z – Zuffa

A Palazzo federale non si era mai visto nulla di simile. Il 12 giugno è arrivato a Berna il presidente del Parlamento ucraino Ruslan Stefanchuk e due deputati dell’UDC, il capogruppo Thomas Aeschi e il vallesano Michael Graber, sono venuti alle mani con alcuni agenti di sicurezza, che vigilavano sulla visita dell’ospite ucraino. Sul caso è stata aperta un’inchiesta, che non è si è ancora conclusa. In ogni caso il 2024 sarà ricordato anche per questa baruffa, decisamente fuori luogo.

Il 3 marzo 2024 Popolo e Cantoni hanno approvato la tredicesima
Roberto Porta

Disparità salariale

Svizzera ◆ Non si tratta di una scelta femminile

Marialuisa Parodi

L’Ufficio federale di statistisca (UFS) ci informa che la disparità salariale tra uomini e donne è scesa dal 18 al 16,2% tra il 2020 e il 2022. Una buona notizia, anche se permangono nodi strutturali ancora da sciogliere: il settore privato è meno virtuoso di quello pubblico; gli ambiti dalle differenze più marcate sono quelli tradizionalmente maschili (e caratterizzati da remunerazioni molto diverse tra le funzioni di front e back office, come la finanza); il gap salariale aumenta con età e seniority ed è più pronunciato nelle aziende di piccole dimensioni.

Sappiamo che la differenza salariale si nutre della segregazione orizzontale e verticale di cui soffre il lavoro femminile. Si pensi, da una parte, alla forte concentrazione di lavoratrici nei settori meno remunerati e, dall’altra, alla graduale scomparsa delle donne man mano che si sale lungo la scala gerarchica, a prescindere da professione o settore (quelli tipicamente femminili non fanno eccezione). Un complesso di condizioni fragilizzanti quindi, che non mancano di lasciare le impronte più dolorose nei momenti di crisi economica.

L’UFS pubblica regolarmente un’informazione aggiuntiva che distingue la differenza salariale spiegabile da quella inspiegabile. Per quanto interessante sul piano squisitamente statistico, essa non sposta di un millimetro – né è suo compito farlo – le barriere che le donne incontrano nell’affermazione professionale, in un contesto culturale che ancora le ritiene prioritariamente responsabili della cura e dello spazio privato. Per esempio, è impossibile quantificare ex-ante la rinuncia delle ragazze ai percorsi STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica) indotta dalla perdita di fiducia nelle proprie competenze, che già le colpisce a 5-6 anni, come diretta conseguenza di pregiudizi ambientali. E nemmeno si può valorizzare quell’assenza di congedi parentali, o posti nido a prezzi accessibili, che contrae l’investimento nella carriera, ineluttabile per la stragrande maggioranza di neo-madri.

Tuttavia, di questi fatti accertati (come di molti altri), si rintraccia nei dati il risultato tangibile ex-post: sia in termini di busta paga più leggera, sia nella spiegazione oggettiva che la statistica riesce a dare, appunto, di questa differenza. Bisogna però rifuggire la tentazione di rilanciare nel campo delle «scelte» femminili la parte spiegabile del gap salariale; ovvero, per riprendere gli esempi precedenti, un’ipotetica preferenza delle donne per un certo tipo di studi o per il part-time dopo la maternità. A

parte che non dovrebbe sfuggire l’irrazionalità, financo il masochismo, di talune «scelte», in effetti si tratta di tutt’altro. Far di necessità virtù, adattarsi a norme sociali e vincoli economici, mantenere in equilibrio la cura e il lavoro: di questo si fanno perlopiù carico le lavoratrici, spesso in nome e per conto della famiglia. «Scegliere» è tutt’altra faccenda ed è privilegio di poche. Sono precisazioni importanti, anche per contrastare il rischio di una certa deresponsabilizzazione della politica e dell’economia, che talvolta accompagna la diffusione di questi dati e che purtroppo non aiuta a progredire.

Lo si evince anche dall’altro fronte, quello della differenza salariale non spiegabile statisticamente. Si potrebbe discutere se sia l’unica propriamente discriminatoria e quindi l’unica che conti davvero, come viene spesso mediatizzata, ma tant’è: l’UFS ci informa che il gap salariale non imputabile a fattori tangibili, anziché contrarsi, nel 2022 è salito al 48,2% (era 47,8% nel 2020 e 39,6% nel 2008). Curiosamente, da questo punto di vista, il privato fa meglio del pubblico, anche se poi le escursioni settoriali sono ampie. Nel farmaceutico, che storicamente vanta una certa equità degli stipendi, non si spiega quasi il 73% del gap; al contrario, della grave disparità salariale della finanza (29,4%), oltre due terzi sono attribuibili a fattori oggettivi. Al di là dei virtuosismi statistici, nella sostanza i numeri non smentiscono, e semmai confermano (in Svizzera come altrove), ciò che altre discipline hanno appurato da tempo: la disparità salariale è la punta di un iceberg e le sue cause affondano le radici nella cultura di segregazione dei ruoli di genere che, seppur anacronistica e non più giustificata dalle odierne condizioni di vita, tarda e fatica ad allinearsi ai tempi. Una fatica di cui sono prova, nella nostra attualità, gli ostacoli a trovare un accordo politico anche per poche settimane di congedo parentale; oppure a cogliere l’asimmetria strategica tra un fermo impegno di spesa pubblica per il potenziamento dei nidi e un mini assegno ai genitori per sostenere le rette più care del mondo. Che ne penseranno le «scelte» femminili?

Per ulteriori informazioni vedi Résultats de l'analyse des différences salariales entre femmes et hommes sur la base de l'enquête suisse sur la structure des salaires (ESS) 2022, GNP Diffusion e https://www.bfs.admin.ch/ bfs/it/home/statistiche/lavoro-reddito/salari-reddito-lavoro-costo-lavoro/struttura-salari/disparita-salariale.html.

Il gap salariale aumenta con l’età. (Keystone)

Mine, K-pop e ginseng al confine tra le due Coree

Reportage ◆ Mentre Seul destituisce il presidente Yoon Suk-yeol, alla frontiera con Pyongyang la tensione non accenna a diminuire

A vedere svettare la bandiera nordcoreana sulla cima di un pilone d’acciaio alto 160 metri in mezzo al nulla, viene da chiedersi che senso abbia tutto questo. «È una vera e propria gara per toccare il cielo!» commenta scherzosamente la nostra guida, portando il binocolo agli occhi e scrutando il confine. «Quando noi sudcoreani abbiamo issato la nostra bandiera a 100 metri d’altezza, loro hanno immediatamente raccolto la provocazione spingendosi ancora più in alto. Ma questa è solo una sconfitta temporanea…».

Sulla bandiera del regime di Pyongyang, la stella rossa simboleggia il comunismo, mentre il disco bianco rappresenta la luce e l’equilibrio eterno dell’universo. Ma qui, nella zona di confine demilitarizzata che separa i due Paesi, la cosiddetta DMZ, una striscia di quattro chilometri di terra di nessuno attraversata da campi minati, filo spinato elettrificato e checkpoint, l’equilibrio è tutt’altro che eterno. Anzi, qui tutti sono in costante allerta, giorno e notte, non si sa mai. Il terzo e ultimo piano del punto di osservazione sudcoreano di Dora, da cui si possono scorgere i grattacieli di Kaesong, terza città della Corea del Nord e antica capitale del regno medievale di Goryeo, è stato chiuso recentemente ai turisti. «La tensione è più alta che mai in questi mesi», ci confida preoccupato un giovane soldato. «Abbiamo paura che qualche cecchino nordcoreano possa aprire il fuoco».

Nel 1953 il Consiglio federale decise di inviare 150 soldati e oggi Berna mantiene il suo impegno con 5 ufficiali in servizio

Dora, un luogo strategico per osservare il Nord. A poche decine di chilometri da Seul e a pochi passi dalla storia recente: aguzzando lo sguardo, più giù, su una collina, si vedono gli edifici azzurri della Joint Security Area dove cinque anni fa Donald Trump e Kim Jong-un si sono incontrati davanti alle telecamere di tutto il mondo. Un momento di speranza che oggi sembra lontanissimo. Recentemente, in un’operazione scenografica dall’alto valore simbolico, i nordcoreani hanno fatto saltare in aria le strade a ridosso del confine. La decisione di Pyongyang sarebbe stata presa per proteggersi meglio dal rischio di un’invasione, a causa delle esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti riprese a novembre. L’esercito di Seul, in risposta, ha sparato colpi di avvertimento innalzando la tensione.

Negli anni Novanta l’allora presidente americano Bill Clinton aveva definito la zona demilitarizzata tra le due Coree come «il luogo più spaventoso sulla Terra». Fa una strana sensazione rendersene conto: a differenza nostra, a differenza dell’Europa, qui al 38esimo parallelo il Novecento non è mai finito e la Guerra fredda continua a bruciare, giorno dopo giorno, da oltre 70 anni. Tecnicamente il conflitto tra le due Coree, esploso tra il 1950 e il 1953 e costato la vita a tre milioni di persone, è ancora in corso. Fu molto più di una guerra locale. Una feroce proxy war tra gli Stati Uniti e il blocco comunista capeggiato dall’allora neonata Cina di Mao Tse-tung, che trasfor-

il vecchio osservatorio di Dora e gli altoparlanti sudcoreani rivolti verso nord. (foto Marti)

mò la penisola coreana in un micidiale campo di battaglia per spartirsi i territori liberati dall’occupazione giapponese. Da allora nessun trattato di pace è mai stato firmato e l’unico argine alle ostilità aperte resta il fragile armistizio firmato 71 anni fa.

Un caso unico al mondo, come unico è il panorama naturale in questo lembo di frontiera dove la guerra ha cancellato ogni traccia di vita

umana. In quasi tre quarti di secolo, l’assenza dell’uomo ha lasciato spazio ad una natura incontaminata che i volantini destinati ai turisti pubblicizzano con enfasi, tra immagini di fiori, lontre e gru coronate rosse. Qui prosperano centinaia di specie vegetali uniche e mammiferi quasi estinti altrove, come l’orso nero asiatico, il cervo d’acqua cinese e forse addirittura il leopardo dell’Amur e la tigre siberiana. Un gioiello di biodiversi-

L'impeachment del presidente Yoon Suk-yeol

Intanto in Corea del sud il presidente Yoon Suk-yeol è stato messo sotto impeachment dal Parlamento per aver tentato di imporre, a inizio dicembre, la legge marziale nel Paese. «Proclamo lo stato di emergenza per sradicare le forze pro Corea del nord e proteggere l’ordine costituzionale della libertà», aveva dichiarato, ma era apparso subito evidente che Pyongyang c’entrasse ben poco. Yoon, tra le motiva -

zioni, aveva indicato anche le richieste di impeachment, le normative contro la magistratura, il ridimensionamento del budget, imposti dall’Assemblea nazionale, dove la maggioranza è appannaggio del Partito democratico d’opposizione al presidente stesso. Si tratta della prima dichiarazione di legge marziale d’emergenza dopo quella che, nel 1880, diede il via alla dittatura di Chun Doo-hwan. / Red.

tà che fiorisce lungo tutti i 257 chilometri della linea di confine e che rappresenta un monumento spontaneo della natura alla follia umana. È paradossale: nella iper-industrializzata Corea del sud solo la guerra e la violenza degli uomini sono riuscite a proteggere gli ultimi territori vergini. Al margine della zona cuscinetto si coltivano anche eccellenti prodotti agricoli, curati da pochi contadini sotto la protezione dei soldati. «I loro raccolti sono squisiti perché, senza l’inquinamento umano, sono davvero biologici», ci spiega la proprietaria del negozio di alimentari riservato ai militari delle Nazioni unite, tra cui anche alcuni svizzeri. Quella in Corea è la missione di pace elvetica più datata. Appena concluso l’armistizio, nel 1953 il Consiglio federale decise di inviare 150 soldati e ancora oggi la Svizzera mantiene il suo impegno con cinque ufficiali in servizio. Nella zona più militarizzata del pianeta la natura trionfa. Un cielo blu cobalto si stende sopra i boschi di querce, mentre il sole al tramonto incendia i campi di riso e di

ginseng in un vivido arancione. Ma questa strana bellezza dura solo un istante. Tra le piante spoglie, giganteschi altoparlanti sudcoreani puntati verso nord emettono ad altissimo volume un profluvio di messaggi di propaganda anti-regime e di K-pop. Un’altra assurdità del 38esimo parallelo, un contesto sonoro totalmente surreale e quasi distopico. Il fruscio del vento tra le fronde degli alberi si mescola con le assordanti canzoni d’amore delle pop band coreane, vietate oltre confine e simbolo della spensieratezza, così almeno si vorrebbe, delle democrazie di stampo occidentale. Una forma di guerra psicologica contro la dittatura del nord, ripresa lo scorso giugno dopo anni di silenzio. Mentre volgendo lo sguardo in alto, sopra queste assurde vicende umane si scorgono folti stormi di uccelli. Il rumore degli altoparlanti soffoca persino il loro canto. Ma poco importa. Ignari di tutto, gli storni planano leggiadri sulle risaie millenarie, beccano, decollano in formazione di squadriglia e poi si posano di nuovo su un raccolto più ricco nelle vicinanze.

Reti e filo spinato nella zona demilitarizzata o «Korean demilitarized zone» (Keystone). Sotto, da sinistra:

Quella fortissima fame di tempi migliori

Prospettive ◆ Dall’Europa sonnolenta del 1825 al terribile 1925 nazifascista: uno sguardo al passato per vedere meglio il futuro

Questo 2024 che sta per lasciarci non ci riempie certo di buoni ricordi, a parte le auspicabili eccezioni individuali. È stato un anno di grandi inquietudini, di catastrofi climatiche e di crisi economiche e finanziarie. È stato soprattutto un anno di guerra sul duplice fronte del Medio Oriente e dell’Europa orientale, due conflitti ottusamente prolungati oltre ogni limite. Ma lasciamoci alle spalle l’anno che muore e guardiamo piuttosto avanti, al 2025 cui tocca il compito di chiudere il primo quarto di questo secolo, che come ricordiamo molto bene fu segnato per sempre, a meno di due anni di vita, dall’orrenda strage di New York.

Il 2024 è stato soprattutto un anno di guerra sul duplice fronte del Medio Oriente e dell’Europa dell’Est

Ebbene, chiunque si azzardi a pronunciare pronostici e tentare previsioni sembra concludere su un unico punto: l’anno che viene sarà ancora peggiore di quello che se ne va. Niente da fare: nell’immaginario pubblico gli indicatori puntano verso il basso. Si parla di scenari che procedono e si trasformano con movimenti simili a quelli di piani inclinati, verso un futuro apocalittico fatto di guerre spaventose in cui la sal-

vifica deterrenza nucleare fondata sulla reciproca minaccia di distruzione totale sarà roba del passato. Nessuna deterrenza, c’è da pigiare il pulsante atomico, così dicono i profeti di sventura sospinti da un vento a favore.

In realtà forse ci converrebbe insistere sull’ottimismo della volontà, piuttosto che rinchiuderci nel pessimismo della ragione. E trarre dal passato, perché no, qualche efficace termine di paragone che ridimensioni lo

stato attuale delle cose e dunque delle previsioni. Per esempio andiamo a vedere come si concluse il primo quarto di secolo che precedette l’attuale.

Nel 1925 Adolf Hitler pubblicò Mein Kampf, in cui elencava con spietata lucidità le fasi della sua imminente campagna di dominio e di sterminio. Inoltre rifondò il Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori che era stato sciolto d’autorità dopo il fallimento del Putsch di Monaco.

Nel 1925 Hitler pubblicò Mein Kampf e si concesse un altro strumento di potere: le Schutzstaffeln, le micidiali SS

Lui stesso in seguito a quel fiasco fu condannato a cinque anni di carcere, poi largamente scontati e trasformati in una sorta di rituale esoterico. Infine quell’anno epocale Hitler si concesse un altro strumento di potere, le Schutzstaffeln, le micidiali SS. Gli farà molto comodo negli otto anni che ancora lo separavano dal potere assoluto. Proprio nella cella del carcere di Landsberg am Lech in cui scontava quella parvenza di pena Hitler aveva avviato la stesura del Mein Kampf. Lo aiutava un fedelissimo segretario, il compagno di prigionia Rudolf Hess. Ancora nel 1925, proviamo a spostare l’attenzio-

ne dalla Baviera a Roma. Nei primissimi giorni di quell’anno fatale, Benito Mussolini pronunciò un durissimo discorso parlamentare che conteneva una dichiarazione capace di sciogliere molti dubbi. Sostenete che il fascismo è un’associazione a delinquere? Ebbene, «a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato». Erano i giorni del delitto Matteotti e schierandosi al fianco degli assassini Mussolini si bruciava i ponti alle spalle inaugurando di fatto la stagione della dittatura. Al discorso del 3 gennaio fece seguito la promulgazione delle «leggi fascistissime»: il Parlamento sottoposto al Governo, all’Esecutivo le nomine nelle amministrazioni locali, soppressione della libertà di stampa, della libertà sindacale, della libertà di associazione, inasprimento della normativa sulla sicurezza pubblica. Stando così le cose del recente passato, questo 2025 potrebbe forse essere peggiore? D’altra parte perché le cose cambino bisogna che qualcosa accada, altrimenti la storia si ferma. Ecco un altro fra gli anni che condividono con quelli fin qui considerati la singolarità di chiudere il primo quarto del loro secolo. È il 1825, l’anno, uno degli anni, in cui la Santa Alleanza vegliava su un’Europa pigra e sonnolenta. Di fatto inerte o quasi, ma non per questo priva di elementi che un giorno o l’altro avrebbero innescato l’inversione di tendenza. In quel caso furono le ricadute dell'illuminismo e le sferzate inferte alla società, nei decenni precedenti, dalla rivoluzione francese e dall'avventura napoleonica a determinare la reazione, sia pure a scoppio ritardato. A i nostri giorni nulla di questo genere si affaccia alla ribalta del mondo prestandosi alla nostra necessaria ricerca di fattori ottimistici. Se non la fortissima fame di futuro che ci attanaglia di fronte a tante cronache sanguinanti e apparentemente immutabili. Di fronte a tutto questo si impone una catarsi, radicale e umanitaria. Ecco, il 2025 potrebbe essere l’anno della grande catarsi… Certo, non è pretendere poco ma almeno proviamoci. Ne abbiamo abbastanza di incomprensioni fatali e di fatalità incomprensibili, di ghiacciai che arretrano e di oceani che salgono, di guerre talmente inutili da costringerci a considerare la possibilità che una guerra possa essere utile. Così non può continuare e allora leviamo i lieti calici e brindiamo per un 2025 davvero diverso da tutti gli anni che l’hanno preceduto.

Nel 1925 Adolf Hitler pubblicò Mein Kampf. (Keystone)
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Persone che abbandonano la città di Pokrovsk, in Ucraina, per fuggire dalla guerra. (Keystone)

Il Mercato e la Piazza

L’economia secondo l’etica kantiana

Non vogliamo chiudere questo anno di celebrazioni kantiane (Immanuel Kant nacque nel 1724) senza parlare della sua posizione nei confronti dell’economia. L’importanza di Kant, nell’evoluzione del pensiero filosofico è tale che il lettore ci perdonerà se, per una volta, mettiamo i piedi su un terreno che, per insufficienza di conoscenze, potrebbe rivelarsi sdrucciolevole. Il posto che le riflessioni sull’economia hanno nel pensiero kantiano è abbastanza esiguo. Rispetto a questa scienza che ai suoi tempi era agli albori, la posizione di Kant è prossima a quella dei rappresentanti della Staatskunde. Essi, nel Settecento, si occupavano soprattutto di descrivere le cose attinenti allo Stato. Una gestione oculata delle finanze pubbliche poteva essere la loro maggiore preoccupazione. È una posizione che può interessare più gli esperti di statistica che gli economisti. In economia Kant resta in-

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vece importante per la sua concezione dell’etica anche se era lontano mille miglia dall’utilitarismo dei primi economisti. Stando a contributi recenti di studiosi americani e tedeschi, la teoria economica potrebbe comunque trarre vantaggio dall’integrazione di alcuni concetti della sua filosofia morale come l’autonomia, ossia il potere della ragione di dare a sé stessa la propria morale, prescindendo da condizionamenti esterni, la dignità e il carattere. Come si sa, nell’economia tradizionale impera la figura dell’ homo oeconomicus che cerca di massimizzare l’utilità o il profitto seguendo i suoi interessi, senza preoccuparsi di principi o aspetti etici. L’economia tradizionale, che mette l’accento sull’efficienza del mercato e sulle scelte secondo le preferenze dell’essere razionale che è l’ homo oeconomicus, trascura così il ruolo che possono giocare nelle decisioni economiche di tutti i giorni i diritti uma-

ni, la dignità e l’autonomia. Come si è già ricordato, scelte basate su principi morali non figurano nella teoria delle decisioni economiche. I critici odierni di ispirazione kantiana, come per esempio il professore americano Mark D. White o il filosofo tedesco Armin Brosch, affermano che un approccio del genere è lacunoso. Essi auspicano perciò che si faccia dell’ homo oeconomicus un vero essere umano integrando l’etica kantiana nella scienza economica. L’analisi economica ne uscirebbe modificata in tre modi. In primo luogo si comprenderebbero meglio le scelte degli agenti economici perché le stesse sono sempre influenzate non solo dalle loro preferenze in rapporto al reddito di cui dispongono, ma anche da principi etici. In secondo luogo una simile integrazione metterebbe più in evidenza l’importanza dell’economia del benessere che è all’origine di politiche che influen-

Cosa dobbiamo aspettarci dal 2025?

Ricordo di aver letto sul municipio di Belize City, sonnacchioso Staterello caraibico, una targa che diceva: «Qui nel 1839 non accadde nulla». Un giorno forse qualcuno potrà scrivere lo stesso del 2024. Ovviamente nell’anno che finisce sono successe un sacco di cose. Ma sono state conseguenze di avvenimenti accaduti negli anni precedenti. La guerra in Ucraina è del febbraio 2022. La guerra di Gaza comincia il 7 ottobre 2023. Il vero grande evento del 2024 è la rielezione di Donald Trump. Eppure non è tra le prime trenta notizie più lette sui siti dei giornali italiani. Ha avuto qualche click in più la notizia dell’attentato a Trump, preceduta dalle regole per dimagrire e per invecchiare bene. Nel 2016 non era andata così. Nel 2016 il mondo era rimasto senza fiato di fronte alla sorpresa di Trump. Tutti si aspettavano Hillary Clinton. Stavolta invece la sua vittoria era prevista. E

per quanto sia stato un ritorno clamoroso – dopo il fallito assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 – l’opinione pubblica internazionale si è come assuefatta. E adesso si aspetta grandi cose dal nuovo presidente. Non condivido l’ottimismo che circonda il ritorno di Trump. Certo, nei quattro anni in cui è stato alla Casa Bianca non è tornato il fascismo. Ma è stata una presidenza mediocre, che ha lasciato campo libero alle autocrazie in Medio Oriente e in Africa. Chi lo dice che Trump sia migliorato e non peggiorato? La collezione di mostri che ha portato al Governo, da quello che si è tatuato in caratteri gotici il motto dei crociati a quella che ha sparato al cane indisciplinato, non promette nulla di buono. E con il tweet a sostegno dei post-nazisti di AfD, Elon Musk ha confermato di essere il vero capo della nuova destra globale. Ma cosa dobbiamo aspettarci dal 2025? Il nuovo anno si

preannuncia, per la causa dell’Ucraina libera, un anno drammatico. Vladimir Putin ha detto con chiarezza che non intende negoziare con Zelensky, bensì con il leader che uscirà dalle prossime elezioni ucraine; come a dire che Zelensky non sarà più tra i piedi. Le parole di Putin sono utili a capire come stanno le cose, e quanto sia falsa la narrazione secondo cui il povero Putin, provocato dall’Occidente e vessato dagli ucraini, sia stato costretto ad aggredirli. Putin non ha attaccato l’Ucraina per la Crimea, che indisturbato si era preso nel 2014, e per il Donbass. Putin ha attaccato l’Ucraina per attrarla nella sua sfera d’influenza, deporre Zelensky, mettere a Kiev un suo uomo, un Governo fantoccio, che rompesse con l’Occidente. Non a caso i carri armati russi nel febbraio 2022 hanno puntato su Kiev. Sono stati fermati, ed è iniziata una guerra orribile il cui obiettivo da parte russa non è solo l’occupazione di

Votazioni che hanno fatto la storia

Sono sempre più numerosi i libri che fin dal titolo preannunciano un destino infausto per la democrazia: crisi, collasso, morte, tramonto, suicidio… Diagnosi allarmanti, per un sistema che è alla base della civiltà occidentale, fondato sui princìpi repubblicani, su un grappolo di libertà riguardante l’opinione, la religione, la stampa, il commercio, la proprietà, i diritti politici e civili, la separazione dei poteri. Un cammino lento, tortuoso e irto di ostacoli, osteggiato dai poteri conservatori legati alla tradizione dinastica, ma che alla fine, attraverso lotte e conflitti, è riuscito ad imporsi come il sistema più aderente alle legittime aspirazioni dei cittadini non più sudditi. Sistema imperfetto quello democratico, aggiungono gli studiosi, perché sempre alle prese con «impurità» e difetti, come la tendenza all’oligarchia, la prevalenza nei Parlamenti dei gruppi organizzati, l’apatia del cittadino-elettore, l’in-

formazione orientata e sbilanciata (per una descrizione analitica rimandiamo alla conferenza che Norberto Bobbio tenne a Locarno 40 anni fa, al convegno 1984: comincia il futuro). Imperfetto e lacunoso ma pur sempre preferibile agli altri sistemi finora sperimentati, per riprendere la celebre formula di Churchill. Le voci che lamentano l’affievolimento del senso civico non risparmiano nemmeno la nostra Svizzera, sempre meno considerata un modello di partecipazione. Anche le nostre urne piangono, ed è ormai un’eccezione l’affluenza che supera la soglia del 50% degli aventi diritto. Occorre tuttavia distinguere tra votazioni ed elezioni: non sempre le due curve corrono in parallelo. Le prime sono ben più numerose delle seconde: dal 1848 ad oggi, contando le ultime quattro del 24 novembre, le consultazioni sono state 676, con una vigorosa accelerazione negli ultimi de-

zano non solo le condizioni materiali di vita dell’individuo ma anche la sua autonomia e la sua dignità. Da ultimo essa riconcilierebbe l’approccio individualista della teoria micro-economica con la responsabilità sociale su cui insiste l’etica. Ma come fare? I filosofi che si sono occupati del problema di integrare l’etica kantiana nell’approccio teorico tradizionale della scienza economica non suggeriscono soluzioni pratiche. Se vogliamo trovare soluzioni dobbiamo considerare come finora gli economisti, un po’ a tastoni, si sono occupati delle insufficienze morali della loro scienza. Secondo noi vi sono già tre campi di indagine interessanti. Il primo è quello dei costi sociali: si tratta di danni provocati da transazioni economiche che normalmente non vengono compensati dal meccanismo del mercato. Gli economisti, in questi casi, non modificano il loro approccio, ma cercano di

estenderlo anche a questi beni, internalizzando i costi sociali. Il secondo è quello della polemica sulla definizione del prodotto nazionale. Il prodotto nazionale non prende in considerazione costi importanti; anzi talvolta li considera come dei valori aggiunti, ossia come prestazioni positive. La presa in considerazione degli aspetti morali si fa qui con una estensione del metodo, aggiungendo nuovi conti al sistema di contabilità nazionale. Il terzo è rappresentato dall’economia del comportamento, un nuovo campo di indagine che torna a valorizzare i contributi della psicologia all’economia e che ha preso di recente un grande sviluppo, con più di un premio Nobel per l’economia. In questo caso si cerca di spiegare, con esperimenti, perché l’essere umano spesso non decide come farebbe l’ homo oeconomicus. Immaginiamo che, in un angolo di questi laboratori, sieda il fantasma di Kant.

territori, ma l’annientamento dell’avversario e il cambio di regime. Putin non accetterà mai di tenersi il Donbass e avere l’Ue, se non la Nato, dall’altra parte della frontiera. Del resto non si capisce perché dovrebbe farlo, ora che le offensive ucraine si sono arenate e l’appoggio americano a Kiev è in forse. Dalla soluzione della vicenda ucraina dipende anche l’andamento futuro dell’economia europea. Il 2024 è stato l’anno della crisi della Germania. Il modello individuato da Angela Merkel – la difesa militare garantita dagli Usa, l’approvvigionamento energetico a basso costo dalla Russia, le esportazioni dal ricco mercato cinese – si è frantumato. Ora Trump chiede ai tedeschi di spendere di più per la sicurezza, le sanzioni a Putin hanno fatto impennare il costo dell’energia, e la Cina ha alzato i ponti levatoi. Non a caso Scholz è caduto, e nelle elezioni anticipate del prossimo febbraio tor-

nerà al potere la Cdu, che però non è più quella europeista della Merkel ma quella più arcigna di Merz. In Italia Giorgia Meloni si rafforza e si indeboliscono i suoi nemici, a cominciare da Emmanuel Macron, grande sconfitto del 2024, nonostante i successi delle Olimpiadi e del restauro di Notre-Dame. Aver riaperto la cattedrale in così poco tempo non è stato solo un successo politico; è stata una pagina di storia di questo vecchio Continente che, con tutti i suoi orribili difetti, resta il cuore pulsante del mondo. Per questo l’augurio a tutti gli europei è di ritrovare nel 2025 la fiducia in loro stessi. Per l’Italia sarebbe una vera rivoluzione. Nel 2024 si sono fatti nella penisola molti meno figli di quelli venuti al mondo nel 1917, l’anno di Caporetto, e nel 1943, l’anno del disastroso armistizio dell’8 settembre. E fare figli è sempre segno di fiducia nella vita, nel futuro, nell’anno che verrà.

cenni. Di recente, in un saggio intitolato Heute Abstimmung! (Oggi si vota!) e pubblicato dal Limmat Verlag di Zurigo, due storici (David Hesse e Philipp Loser) hanno passato in rassegna le votazioni che hanno mutato il volto del Paese È vero che in alcuni casi l’affluenza è stata risibile, ma quando si è trattato di pronunciarsi su temi importanti, anche sul piano emotivo, il civismo si è risvegliato. Gli autori elencano 30 votazioni che hanno ingenerato effetti epocali, sotto il segno del progresso oppure della conservazione. Alla prima «famiglia» appartiene la Legge sulle fabbriche del 1877, che per la prima volta regolava sul piano federale la giornata lavorativa, stabilendo un orario massimo giornaliero di 11 ore (10 al sabato), vietando il ricorso ai minori sotto i 14 anni e introducendo una certa tutela per le donne e le puerpere. Hanno pure segnato tappe decisive il passaggio alla Confederazione

delle principali ferrovie private (1898), l’adozione della proporzionale per l’elezione del Consiglio nazionale (1918), il varo dell’AVS (1947), l’archiviazione dei pieni poteri dopo la seconda guerra mondiale (1949), la moratoria per la costruzione di centrali nucleari (1990). Alla famiglia conservatrice è invece ascrivibile il no alle ripetute campagne per ridurre l’orario di lavoro e per abbassare l’età di pensionamento promosse dai sindacati e dalla sinistra, come pure il rifiuto di avviare un percorso di avvicinamento alla Comunità europea (1992) e all’Onu (adesione giunta solo nel 2002). Molte proposte hanno avuto un iter accidentato, costellato da ripensamenti e bocciature. Ne hanno fatto le spese soprattutto le donne, sia sul piano dei diritti politici (voto ed eleggibilità nel 1971), sia sul piano dei diritti sociali (assicurazione maternità 2004). Altra questione accanitamente dibattuta, e quindi mobilitante, è stata

l’immigrazione, presente nel Paese di volta in volta nella figura del Gastarbeiter o del rifugiato. La votazione del 1970 sull’iniziativa Schwarzenbach ha avviato un ciclo che prosegue tuttora per impedire che la Svizzera raggiunga il fatidico traguardo dei dieci milioni di abitanti. Non mancano, nel libro citato, riferimenti all’infiacchito senso civico dei votanti. Le facilitazioni finora introdotte (voto per corrispondenza) non hanno sortito l’effetto ricostituente sperato. Alcuni movimenti caldeggiano il voto ai sedicenni, ma finora il passo è stato compiuto solo dalla Landsgemeinde di Glarona. Altri vorrebbero estendere il diritto di voto agli stranieri, dopo averlo concesso agli svizzeri all’estero (1977): ora questa opportunità è data solo in alcuni Comuni/Cantoni romandi. Altri ancora puntano tutto sul voto elettronico, visto come rimedio efficace contro ogni tentazione astensionistica. Sarà così?

di Aldo Cazzullo
di Orazio Martinetti

CULTURA

L’evoluzione dei Linkin Park Dopo la tragica scomparsa di Chester Bennington, il gruppo torna con una nuova cantante e l’attesissimo album From Zero

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Emilia Pérez: musica e trasformazione L’opera audace di Jacques Audiard, premiata a Cannes, mescola generi, emozioni e cultura mettendo in scena il cambiamento di identità

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La poesia di Mary de Rachewiltz

In un’antologia, la forza meditativa e biografica di una donna legata alla terra e alla memoria, una delle voci più indipendenti del Novecento

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Omaggio al grafico che creò lo «stile Olivetti»

Mostre ◆ Giovanni Pintori è il protagonista di una mostra al m.a.x. museo di Chiasso che documenta la sua produzione innovativa

Quando nel 1930, appena diciottenne, Giovanni Pintori lasciava il mondo ancora rurale della sua Sardegna per approdare a Monza, in molti avevano già intravisto in quell’adolescente determinato un talento promettente. Erano stati difatti i suoi primi maestri di pittura e di fotografia a suggerirgli di concorrere alla borsa di studio promossa dal Consiglio dell’Economia di Nuoro per frequentare l’ISIA, l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Monza, scuola prestigiosa considerata il «Bauhaus italiano». Il giovane Pintori partecipa e vince, ed è qui che ha inizio la lunga storia di un grande professionista della comunicazione visiva del Novecento.

A imprimere un carattere peculiare alla produzione di Pintori (che va dai manifesti alle locandine, dal corporate identity ai logotipi per imprese) è uno stile capace di coniugare creatività e rigore, due concetti apparentemente contrastanti ma che nei lavori del grafico italiano convivono in modo fluido e inatteso. La ricerca di Pintori si basa su un linguaggio essenziale, sintetico, in grado però di incarnare un messaggio nella sua pienezza, con eleganza, freschezza e precisione.

Pintori, abile nell’architettare il racconto in una sola immagine, elabora così un vocabolario espressivo minimalista che riesce a trovare, pur nell’estrema diligenza della composizione, sbocchi sorprendenti e poetici. E ciò è ancor più singolare se si pensa che, avendo sposato per trent’anni la causa di una sola azienda, la Olivetti di Ivrea, ai tempi una delle punte di diamante dell’imprenditoria italiana, Pintori si sia occupato quasi esclusivamente di tematiche legate alla computeristica e alla scrittura, di certo non facili da comunicare in maniera coinvolgente. Convinto assertore della grafica pubblicitaria come vera e propria arte autonoma, Pintori aveva ben compreso che proprio attraverso di essa poteva tradurre in forme più popolari e immediate le indagini estetiche del suo tempo. Per lui, che era anche pittore, questo significava diffondere il gusto moderno arrivando a un pubblico più vasto.

Il lavoro di Pintori si avvale di una solida base edificata nel tempo con tenacia e diligenza: c’è lo studio dei classici, ci sono le lezioni di nudo dal vero, c’è l’esercizio costante nel disegno e poi ci sono i grandi maestri da cui trarre ispirazione. Questi sono Paul Klee, ad esempio, di cui Pintori ammira il ritmo compositivo e l’uso del colore; i futuristi, da cui apprende l’importanza del dinamismo; Paul Cézanne, mirabile modello di sintesi geometrica e, ancora, i protagonisti del neoplasticismo olandese, da cui acquisisce le logiche formali avanguardistiche. Tutto ciò contribuisce a dar vita a una grafica giocata sulla raffinata in-

terazione tra linea, parola e colore, dove quest’ultimo elemento, centrale per Pintori, viene ogni volta ponderato con cura per potenziare il contenuto e trasmetterlo con efficace immediatezza. Fin dagli esordi della sua carriera, Pintori ha dato prova di un innato talento comunicativo e di grandi doti di disegnatore e di grafico che gli hanno permesso di conquistare la stima dei colleghi e di entrare nel novero delle figure più apprezzate in questo ambito.

L’iter creativo del designer italiano viene documentato in una mostra ospitata al m.a.x. museo di Chiasso at-

traverso un ricco allestimento, tematico e cronologico insieme, che racconta la modernità della sua produzione, sempre capace di farsi vivida espressione delle tendenze più aggiornate, rielaborandole però in maniera originale e fuori da schemi predefiniti. La rassegna, che ha il merito di presentare molti materiali esposti per la prima volta al pubblico, nasce come progetto integrato con il Museo d’Arte Provincia di Nuoro, istituzione a cui alla fine degli anni Ottanta la famiglia Pintori ha donato parte dell’archivio del graphic designer Che la cifra stilistica di Pinto-

ri avesse fin da subito un suo preciso carattere lo dimostrano i lavori a inizio percorso, forieri, appunto, della direzione che in seguito avrebbe preso il suo linguaggio. Durante gli anni di studio all’ISIA di Monza, dove insegnano maestri del calibro di Arturo Martini, Marino Marini, Edoardo Persico e Marcello Nizzoli, Pintori edifica la propria arte nel segno del rinnovamento dei canoni tradizionali della comunicazione pubblicitaria. La sua indole aperta alla sperimentazione è quindi già evidente nelle opere realizzate a partire dal 1936, anno in cui, insieme al conterraneo Costanti-

no Nivola, approda all’Ufficio sviluppo e pubblicità della Olivetti. L’intesa tra Pintori e Adriano Olivetti, uomo dal temperamento energico sempre alla ricerca di menti brillanti da inserire nel proprio staff, è fondamentale sia per il grafico italiano, per esprimere al meglio le sue potenzialità creative, sia per l’azienda di Ivrea, che grazie al lavoro di Pintori svilupperà il proprio stile identitario conosciuto in tutto il mondo. Diventato responsabile del settore pubblicitario nel 1940, Pintori imprime difatti un segno indelebile alla comunicazione visiva della Olivetti con opere dalla forte presenza cromatica, intrise di lirismo e ironia. Da questa prolifica collaborazione, durata un trentennio, nascono gli iconici manifesti dei prodotti di maggior successo dell’azienda (come le macchine per scrivere Lexikon 80 e Lettera 22 o le calcolatrici Divisumma 24 e Tetractys), grazie ai quali la comunicazione d’impresa diventa arte. Ciò che colpisce di questi materiali in mostra è che nelle composizioni di Pintori l’elemento meccanico si sposa spesso a quello naturale, in una geniale sintesi di linee, numeri, lettere, simboli e colori, al fine di rappresentare un’idea che vada oltre la promozione dell’oggetto e che seduca il consumatore facendolo sentire al passo con i tempi. Dopo la lunga parentesi olivettiana, conclusasi nel 1967, Pintori lavora per altri committenti in qualità di libero professionista, fino a che, negli anni Ottanta, abbandona definitivamente la grafica per dedicarsi al suo primo amore, la pittura. La rassegna non manca di esporre alcune opere che testimoniano questa nuova fase in cui l’artista riprende temi a lui cari già trattati in gioventù nonché soggetti legati alla sua terra d’origine. Ci piace concludere con una frase di Pintori che trasmette con chiarezza il suo modo di intendere il proprio lavoro: «Il messaggio grafico, quando riesce a diventare una forma d’arte, è il solo che raggiunga la totalità del suo pubblico potenziale. L’artista grafico, perciò, ha una responsabilità verso questo pubblico immenso e sconosciuto». Non solo un doveroso riconoscimento del valore della grafica pubblicitaria ma anche la piena consapevolezza, che appartiene solo ai grandi, di avere una precisa missione da compiere.

Dove e quando Giovanni Pintori (1912-1999). Pubblicità come arte, m.a.x. museo, Chiasso. Fino al 16 febbraio 2025. A cura di Chiara Gatti e Nicoletta Ossanna Cavadini. Orari: ma-do 10-12/14-18. Informazioni: www.centroculturalechiasso.ch

Giovanni Pintori, Olivetti Lettera 22, 1954, Manifesto Stampa offset 70 x 50 cm, Archivio privato Paolo Pintori. (© Matteo Zarbo, Milano)
Alessia Brughera

Una nuova era per il rock alternativo

Musica ◆ Dopo la morte di Chester Bennington nel 2017, i Linkin Park tornano con una nuova cantante, un nuovo album e un nuovo tour mondiale con una data anche in Svizzera

L’heavy metal, che nasce nei tardi anni Sessanta del secolo scorso con i Black Sabbath del giovane Ozzy Osbourne, nel tempo conosce numerose trasformazioni e viene contaminato da generi musicali diversi. Negli anni Settanta, per esempio, emergono gruppi come gli Iron Maiden, i Def Leppard, e i Judas Priest, che conferiscono al genere un nuovo stile caratterizzato da trame melodiche più rapide. Negli anni Ottanta entrano in scena i Mötley Crüe, i Poison, e gli Europe, band per le quali si rende necessaria l’invenzione della categoria di glam o hair metal.

La tribù di capelloni, e il suo seguito di biondine con calzamaglie sgargianti e reggiseni fluo, negli anni Novanta cede inesorabilmente il passo al grunge, che a tempo di record fa il giro del pianeta. Dalle ceneri del grunge, fenomeno folgorante ma di breve durata, nella seconda metà degli anni Novanta nasce il nu metal, sottogenere musicale che intreccia sonorità provenienti dall’heavy metal, dal rap, dal rock alternativo e dalla musica elettronica. Con i Korn, i Limp Bizkit, gli Slipknot, e i Linkin Park, si impone la sottocultura musicale che dominerà la scena hard rock del nuovo millennio.

All’inizio, i Linkin Park diventano una delle band più note a livello mondiale. Tutto comincia quando nel 1999 gli Xero, gruppo californiano di cui fa parte il rapper e polistrumentista Mike Shinoda, sono alla ricerca di un cantante e Chester Bennington, recentemente scaricato dalla propria band, di una nuova opportunità come cantante. Shinoda entra in contatto con Bennigton e gli chiede di registrare una demo, in seguito alla quale lo convoca per un’audizione. All’audizione partecipano diversi candidati, e pare che il tizio che si presenta dopo Bennington abbia detto alla band «se non prendete questo tizio siete pazzi». Chester, infatti, si trasferisce in California e diventa il cantante di una band che ora cerca anche un nuovo nome: inizialmente la scelta cade su Hybrid theory, poi abbandonato a favore di Lincoln Park e, infine, Linkin Park. Hybrid Theory sarà invece il titolo del primo album, prodotto dal-

la Warner Bros: successo istantaneo, sarà anche uno degli album più venduti del 2001. Meteora, il secondo album, viene realizzato nel 2003 e diventa uno degli album più venduti del 21esimo secolo.

L’ascesa dei Linkin Park è davvero folgorante. Il loro stile musicale, un sapiente mélange di rock, rap, metal e musica elettronica, diventa il loro marchio di fabbrica. Negli anni a venire il prestigio del gruppo viene ulteriormente amplificato anche grazie alla partecipazione alla colonna sonora della saga cinematografica Transformers e alle numerose collaborazioni, fra cui quella con il rapper Jay-Z. Tutto sembra filare liscio fino a quando, nel luglio del 2017, la scomparsa prematura di Chester Bennington lascia il futuro della band avvolto nell’incertezza.

Negli anni Ottanta, la scena metal si divide tra sonorità più commerciali, come il glam metal, e tendenze più aggressive e sperimentali

Avvenuta solo due mesi dopo quella di Chris Cornell, il cantante storico dei Soundgarden, una figura con un destino simile a quello di Bennington – un’infanzia difficile e anni di lotta contro la depressione –, la perdita di Bennington priva il mondo della musica di uno dei suoi interpreti più virtuosi. La scomparsa dei due frontmen lascia a una manciata di formazioni storiche superstiti – come i Pearl Jam, I Radiohead o i Tool – il difficile compito di tenere in vita la memoria della stagione d’oro del rock alternativo. Mike Shinoda, intanto, reagisce alla morte del collega e amico nel modo che gli è più consono: continua a fare musica. Così, il 18 settembre 2017 con i quattro rimanenti membri del gruppo organizza un concerto a Los Angeles in memoria di Bennington. Parallelamente, intraprende una carriera da solista e il 15 maggio 2018 annuncia l’uscita del suo album di debutto Post Traumatic, chiaro riferimento alla morte dell’amico. Poi, in un’intervista che concede alla radio tedesca

Echi di un passato tuttora presente

Musica ◆ L’insperata ricomparsa dei The Cure e della loro mai sopita malinconia esistenziale, «aggiornata» per i fan di vecchia data

Benedicta Froelich

«Rock Antenne», nel 2019 rivela che il gruppo potrebbe tornare a suonare qualora trovassero «qualcuno che è una grande persona […] che abbia una buona personalità e sia adatta stilisticamente […] possiamo provare a fare qualcosa ma non con lo scopo di rimpiazzare Chester, non vorrei mai sentirmi come se lo stessimo rimpiazzando. […] Ma deve accadere in maniera naturale, non voglio buttarmi alla ricerca di un cantante, è una cosa davvero inappropriata. E probabilmente un’idea terribile».

Da quell’intervista sono passati quasi cinque anni, e oggi possiamo dire le parole di Shinoda si sono rivelate premonitrici. Il 5 settembre 2024, infatti, i Linkin Park tornano con un concerto speciale a Los Angeles, dove presentano al pubblico la nuova cantante Emily Armstrong. Per l’occasione, eseguono anche il singolo The «Emptiness Machine», preludio a From Zero, l’ottavo album in studio del gruppo, che esce il 15 novembre. Nel frattempo, vengono pubblicate le date del From Zero World Tour, in occasione del quale il nuovo materiale verrà eseguito unitamente a brani iconici come In the End, Numb e One step Closer (segnaliamo, in proposito, la data svizzera del 20 giugno 2025 al Bernexpo Areal Openair).

Il ritorno dei Linkin Park è sicuramente una buona notizia per gli appassionati di musica rock. Considerando che Chester aveva un talento smisurato e uno stile, non solo vocale, inimitabile, sarebbe stato impossibile rimpiazzarlo con un altro cantante. Da questo punto di vista, la scelta di affidare a Emily Armstrong l’eredità di Bennington non poteva rivelarsi più azzeccata. Optare per una voce femminile riflette la volontà del gruppo di voltare pagina rendendo al tempo stesso omaggio al suo cantante storico, senza il bisogno di scimmiottare alcunché. Eppure è un po’ come se si avvertisse una strana aria di familiarità fra Chester e Emily. Beh, diciamo che se il Dalai Lama ascoltasse i Linkin Park – e chissà che non lo faccia –, direbbe che Emily Armstrong non è un rimpiazzo, ma qualcosa di più: una reincarnazione…

Forse a causa del fatto che gli adolescenti di allora veleggiano ormai verso la mezza età, è innegabile come la nostalgia per la musica anni Ottanta sia oggi più sentita che mai — cosa di primo acchito singolare, considerando quanto l’epoca patinata che vide imperversare spalline, trucco fluorescente e playback televisivo possa sembrare ben poca cosa, rispetto ai fasti rock dei due decenni precedenti. Eppure, complice il trasporto emotivo verso la gioventù perduta, per gli over quaranta il legame con gli artisti di allora sembra farsi sempre più forte, soprattutto nei (rari) casi di performers dimostratisi in grado di rimanere sulla breccia fino ai giorni nostri e continuare, seppur saltuariamente, la propria attività. Tra di essi, un caso particolarmente interessante è quello della formazione britannica dei The Cure, celebre per aver contribuito alla nascita del cosiddetto movimento dark (oggi ribattezzato goth). E se basta un rapido calcolo a ricordarci come la band abbia già superato il suo quarantacinquesimo anniversario (l’esordio risale al 1979), ciò che più stupisce sono gli ultimi sedici anni di silenzio, tempo non trascurabile perfino per un gruppo noto per aver più volte paventato un imminente scioglimento. Tuttavia, anche stavolta il pericolo sembra scongiurato, dato che, proprio quando i fan non ci speravano più, la formazione capitanata dall’inossidabile Robert Smith ha infine dato alle stampe il nuovo Songs Of A Lost World, per molti versi l’equivalente di un vero e proprio viaggio nel tempo. Sì, perché inserire questo CD nel lettore costituisce un flashback a tratti quasi surreale per l’ascoltatore, dal momento che ogni sua traccia potrebbe provenire da dischi quali Faith (1981) o Disintegration (1989): il parallelo con quest’ultimo è particolarmente evidente in Alone, prima, ipnotica traccia di quest’album, voluto richiamo alla struttura melodica di Plainsong, il piccolo capolavoro che apriva l’opera di trentacinque anni or sono.

La tracklist si dipana così tra lunghe digressioni gotiche, in tutto e per tutto reminiscenti dei The Cure che abbiamo imparato a conoscere a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta — una band per la quale la forma canzone rappresentava qualcosa di molto diverso rispetto alle idee di molti coetanei dell’epoca, troppo concentrati nella produzione di orecchiabili e radiofoniche hit da classifica per indugiare negli esperimenti di «rock alternativo» che il gruppo di Robert Smith intesseva nell’arco di dischi intrisi di palpabile malinconia e angoscia esi-

stenziale. Caratteristiche che in Songs Of A Lost World rivivono in tutta la loro magnificenza grazie a brani elaborati e inevitabilmente ossessivi, anche stavolta arricchiti da ampie sezioni strumentali e orchestrali: si vedano And Nothing Is Forever e All I Ever Am, i quali non mancano di riproporre il tipico sound elettropop del gruppo, a base di sintetizzatori e drum machines e coronato dal cantato vagamente strascicato di Robert.

Certo, ciò significa che Songs Of A Lost World non offre la benché minima sorpresa — nemmeno il più piccolo sussulto a smuovere la collaudata impalcatura che da sempre costituisce la peculiare cifra stilistica della band; del resto, la vera intenzione dietro questo CD sembra essere quella di una sorta di auto-tributo, come evidente fin nei più piccoli particolari (ad esempio le liriche, quasi intercambiabili con quelle di un qualsiasi disco del periodo d’oro dei The Cure). E la sensazione è che questa continua autocitazione sia, in fondo, l’ultimo, sentito omaggio della band ai fan di vecchia data — una nuova immersione nelle sonorità e suggestioni da loro tanto amate, e che Smith e i suoi sono ben felici di concedere, passando con disinvoltura da brani sentimentali quali A Fragile Thing e I Can Never Say Goodbye a piccole gemme di gusto enfaticamente dark quali le oscure e distorte Warsong e Drone:Nodrone. Fino alla traccia di chiusura del CD, appropriatamente intitolata Endsong — forse l’apice di quello che potrebbe essere interpretato, a seconda dei casi, come un addio o una rinascita: un brano di ben dieci minuti di lunghezza, che sembra riassumere in poche note l’emozione provata da chiunque, negli ultimi quarant’anni, abbia mosso i propri passi nel mondo accompagnato dalla colonna sonora fornita dal gruppo. Del resto, come un ammiratore di vecchia data ha sottolineato, «quest’album riassume i tempi recenti per come vissuti da ognuno di noi»; quasi a sottolineare che, con il passare degli anni, la magia è rimasta invariata, pur adattandosi al presente. Così, indipendentemente dal fatto che le note dolenti e sentite di Songs Of A Lost World rappresentino o meno il congedo ufficiale dei The Cure, è difficile non provare sentita gratitudine verso questo nuovo dono della formazione britannica: un modo di rinnovare il magnetismo di una presenza che, a dispetto della lunga latitanza, non si è mai attenuata — e, perché no, ricordare a tutti noi per quale motivo non abbiamo mai smesso di amare Robert Smith e colleghi.

I Linkin Park, a settembre 2024. (James Minchin III)
Robert Smith dei The Cure. (Goodfon.com)

Un’opera di più generi e trasformazioni

Cinema ◆ Emilia Pérez , nuovo film di Jacques Audiard in arrivo nelle sale ticinesi il 16 gennaio, mescola con maestria musica, cinema e riflessione sociale

Trottole uniche e decorazioni invernali

Un tutorial creativo per realizzare giocattoli originali e personalizzati con accorgimenti perfetti per riscaldare la stagione fredda

La poesia, la violenza, la musica, i colori, i balli, la transessualità, il narcotraffico, l’amicizia, le armi e la famiglia. Sono solo alcuni degli elementi presenti in Emilia Pérez , il grande film di Jacques Audiard che è nelle sale della Svizzera italiana dal 16 di gennaio.

quelle indimenticabili, che ti acca rezza e allo stesso tempo ti scaraven ta contro un muro emotivo per più di due ore. Un film che è già stato pre miato a Cannes (con la palma della giuria e quella per le protagoniste), ha sbancato ai recenti European Films Awards di Lucerna e ha ottenuto ben dieci nomination ai Golden Globes.

veva esser tale, ma un’opera lirica in quattro atti e che alla fine, con l’ap profondimento dei vari personaggi ha cambiato strada e si è trasformato in settima arte. E che arte. è anche l’emblema più riuscito di una tendenza avvertita negli ultimi anni e che è un chiaro segnale della dire zione che sta prendendo un certo tipo di cinema, che va oltre il postmoder no alla ricerca di nuove dimensioni e forme artistiche. E cioè, il miscuglio di generi, toni, atmosfere, livelli sen soriali e personaggi i quali, durante la visione, si trasformano letteralmente. Ma è anche un cinema-mondo, do ve i personaggi non esistono più co me tali, ma sono simboli di un’epoca. È il caso dei tre più bei film dell’anno: Anora mero del 18 novembre),

Viaggi 2024: tra eventi globali e nuove rotte

Dal Set-Jetting di serie TV agli eventi dal vivo, passando per le nuove tendenze dei nomadi digitali e vacanze alternative, ecco come abbiamo viaggiato quest’anno

more, la vendetta, la passione, eccetera) per mescolarli a una riflessione più alta come quella legata alla violenza maschile e alla questione della genitorialità, ma ancora in modo più profondo (o alto) alla questione del cambiamento. Un tema che è la base della transizione sessuale di cui è vittima o artefice il/la protagonista, ma anche del continuo mutamento formale del film. Come detto, passa da un genere legro, dai colori caldi e diurni a quelli

Parole di elogio, le meritano le protagoniste. Su tutte Zoe Saldaña, l’avvocato che funge da collante tra i sformazione. Un’interpretazione a cita cambiando tono ed espressione sonaggio che è, sì, centrale, ma non chiede mai di essere protagonista.

novelas (a conferma di quanto scritto naggio maschile e femminile accenti te, apprezzata da autori come Woody rine) è perfetta nel ruolo della moglie , uno dei film più belli dell’anno, ha iniziato il suo percorso con due premi a Cannes in maggio, passa ai Golden Globe il 5 gennaio, e sicuramente approderà anche agli

Marlon Brando: l’ombra di un mito inquieto

Anniversario

Kolmanskop, l’oasi fantasma del deserto del Namib

Enrico Martino, testo e foto

«Se non piove c’è la tempesta di sabbia. D’altronde si sa, l’estate è così» sentenzia con granitica certezza in un inglese gutturale l’anziana signorina appollaiata dietro il venerando bancone in legno della Luderitz Safaris and Tours. Sul retro, una radio tramusica tedesca degli anni Cinquanta mentre un vento furioso spara vagonate di sabbia contro le facciate jugendstil color pastello di Bismarckstraße. Una «vacanza da sogno sulle spiagge dell’Atlantico», promettono suadenti brochures dell’ufficio turistico, e magari è vero, ma a patto sopravvivere a quanto di più vicino all’Inferno si possa immaginare, il deserto del Namib.

Areias do Inferno, «Sabbie dell’Inferno», le aveva infatti già ribattezzate il navigatore portoghese Bartolomeo Diaz nel 1487 quando finalmente riuscì a uscire da quella che aveva chiamato Angra das Voltas, la Baia delle Giravolte. Non gli sarebbe mai passato per la testa che in futuro qualche folle fosse disposto a vivere in

Marlon Brando continua a essere un punto di riferimento e a dare scandalo. A cento anni dalla nascita, e venti dalla morte, il grande attore è stato oggetto di omaggi che hanno rinfocolato mai sopite polemiche. A fine novembre, il 42° Torino Film Festival gli ha dedicato un’importante retrospettiva in 24 lungometraggi che nelle settimane successive si è spostata alla Cinémathèque française di Parigi. Se le proiezioni torinesi non hanno suscitato reazioni, oltre a un buon afflusso di pubblico, in Francia si sono sollevate le voci di alcune attrici e attiviste, di nuovo contro il controverso Ultimo tango a Parigi (1972), censurato e condannato all’epoca e più volte oggetto di accuse della protagonista Maria Schneider verso il regista Bernardo Bertolucci e lo stesso Brando relative alla celebre scena del burro. La pellicola è diventata esempio di «cultura dello stupro» e di mancanza di consenso, mentre il regista ha sempre chiesto di contestualizzare il fatto in quegli anni e ribadito che sul set avvenne una simulazione del rapporto sessuale, sebbene alcuni elementi della messa in scena (e l’impiego del burro) fossero stati tenuti nascosti all’attrice per ottenerne una reazione più immediata. Un fatto che oggi non potrebbe verificarsi (è stata introdotta la figura dell’ intimacy coordinator per le

un posto simile, ma si sbagliava perché nel 1883 un mercante di Brema, Adolf Lüderitz, comprò questa striscia di costa (dandole il proprio cognome) per cento sterline e sessanta fucili, attirato dai ricchi banchi di pesce richiamati dal plancton della fredda corrente di Benguela e da isolotti coperti di prezioso guano lasciato da infinite generazioni di uccelli

Quando August Stauch acquistò tutti i lotti possibili, nessuno poteva ancora immaginare che le sabbie di quel deserto nascondessero diamanti

scene delicate), ma la polemica ricorda quanto ancora dobbiamo imparare a leggere i film e le opere d’arte, non fermandoci a informazioni superficiali o a interpretazioni del momento. Resta che le proiezioni parigine di Ultimo tango sono state cancellate per evitare incidenti, ma creando un brutto precedente di cedimento delle istituzioni culturali: se la storia d’amore tra due sconosciuti, scatenando passioni e pulsioni primordiali, divide ancora, è il caso di confrontarsi e rifletterne a partire dal testo e non rifiutandolo a priori. Il film di Bertolucci è centrale nel percorso di Brando e ben illustra quanto, al di là delle capacità attoriali (fu tra i primi a portare al cinema il metodo Stanislavskij) e del carisma, fu la sua presenza fisica magnetica e disturbante a renderlo unico. Per molti è stato l’attore per eccellenza, interprete tormentato, scostante e di forte personalità, capace di andare al fondo dei suoi personaggi, interprete di non molti titoli, ma in buona parte divenuti caposaldi del cinema mondiale.

Dio e ai prussiani nulla è impossibile», come dimostrano le tappezzerie dai tenui colori pastello ancora nascoste nelle viscere di un’architettura guglielmina che il deserto si sta ingoiando con spietata lentezza, pietra dopo pietra, salotto dopo salotto.

Dannazione e mistero

Reportage ◆ Dalle spiagge dell’Atlantico alle miniere di diamanti della Sperrgebiet, la storia affascinante e decadente di una città fantasma, dove le tempeste di sabbia hanno inghiottito i sogni di ricchezza e prosperità

Stauch, capì molto in fretta di che cosa si trattasse e corse a registrare come sua proprietà tutti i lotti di deserto acquistabili. All’inizio lo presero per un pazzo sognatore perché nessuno poteva immaginare che le sabbie del deserto nascondessero diamanti,

le caratteristiche di spicco di Brando, perfetto per interpretare il ribelle o il capo carismatico. Un uomo che non ha mai distinto l’attività professionale dall’impegno politico e sociale, sostenitore di John Fitzgerald Kennedy, amico di Martin Luther King, difensore di molte cause, dai diritti civili all’antirazzismo al sostegno ai nativi americani: quando si aggiudicò l’Oscar per Il padrino mandò sul palco in sua vece la squaw Sacheen Littlefeather.

bastarono però poche settimane, e la conferma di un geologo dell’amministrazione coloniale, per dare inizio a una delle più folli corse alla ricchezza della storia. Uffici e negozi del vicino porto di Lüderitz chiusero nel corso di una notte e l’intera popola-

Anche Joseph Fredericks, il capo nama che glielo aveva venduto e che in realtà si chiamava Khorebeb-Naixab, probabilmente pensò di aver fatto l’affare del secolo rifilando quell’inutile caos di vento e sabbia a un ingenuo straniero. Un errore madornale perché come si diceva un tempo «a

Il successo gli arrise giovanissimo con Un tram che si chiama desiderio del 1951, tratto dal testo di Tennessee Williams che l’attore aveva interpretato a fine anni Quaranta sui palcoscenici di Broadway. Il film fu diretto da Elia Kazan come i successivi Vi-

va Zapata! (1952) e Fronte del porto del 1954, la cui interpretazione gli valse l’Oscar.

L’esuberanza di Brando era apparsa già nel film d’esordio, Uomini (1950) di Fred Zinnemann, nel quale interpretava un reduce di guerra paraplegico ricoverato in ospedale. Tra i suoi film fondamentali ci sono Il selvaggio, Bulli e pupe (1950) di Joseph L. Mankiewicz, Gli ammutinati del Bounty (che a inizio anni Sessanta gli fece conoscere Tahiti), La caccia, La contessa di Hong Kong di Charlie Chaplin e Queimada di Gillo Ponte- Forza, fascino e ambiguità sono

Un clima di dannazione e mistero aleggia ancora su Kolmanskop, perché se è vero che il deserto è un grande equalizzatore, questa inquietante ghost town ne è l’esempio perfetto, con i suoi rispettabili fantasmi di ingegneri, architetti, contabili e impiegati che forse non se ne sono mai andati da questa microscopica capitale di un impero di sabbie e diamanti. Tutto iniziò un po’ in sordina maggio del 1908 quando Zacharias Lewala, un operaio che lavorava alla ferrovia, trovò una strana pietra luccicante tra queste dune. Il suo sovraintendente, il Bahnmeister August

Alcuni di questi episodi sono ricostruiti nel biografico Waltzing With Brando di Bill Fishman, presentato in anteprima mondiale proprio a Torino e in uscita nelle sale nel 2025. Si tratta della storia, situata tra il 1969 e il 1974, to Bernard Judge e il loro sogno di guardia in Polinesia. Il film descrive torio, ostile al sistema degli Studios (li definiva «fogna autoreferenziale» e usava la statuetta dell’Oscar come

tica di Billy Zane, ancora ricordato in quanto

setto, poco a che fare con le ribellioni

Un’immagine tratta dal film Emila Pérez, nei nostri cinema dal 16 gennaio.
Marlon Brando in visita alla Finlandia nel 1967. (Urpo Rouhiainen)
Il villaggio di Luderitz, si è sviluppato nel 1908, dopo la scoperta di diamanti nella zona. Il villaggio è stato costruito come una città tedesca.
Paesaggi della Namibia meridionale.
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Cent’anni di umanità

Editoria ◆ Nell’opera poetica di Mary de Rachewiltz è spesso protagonista l’universo contadino e la quotidianità di una famiglia tirolese

Daniele Bernardi

Come provenisse – oggi – da un altro mondo, Processo in verso (Bertoni, 2024), antologia a cura di Massimo Bacigalupo che riunisce «tutte le poesie italiane» di Mary de Rachewiltz, è un libro che rischiara il panorama dell’attuale editoria italofona, troppo spesso – specie se si parla di versi – strozzata da un proliferare di pubblicazioni ipertrofico, il cui mare magnum soffoca nell’indifferenziato quanto di prezioso potrebbe emergere. Controcorrente rispetto allo spirito contemporaneo, l’opera della de Rachewiltz si contraddistingue infatti per l’economia della parola così come dell’insieme: cinque plaquettes su un secolo di vita (quasi tutte pubblicate, fra 1965 e il 2002, con Scheiwiller e a cui ora si aggiunge una serie di «poesie disperse») in cui sono raccolti componimenti che sovente non superano la metà della pagina. Si tratta, quindi, di una poesia inevitabilmente meditata e cesellata, la cui lettura richiama il lento lavorio delle forze del tempo. «Consideravo i miei versi più che altro una trasgressione», si legge in una delle note riportate, «pagliuzze che hanno spezzato il dorso al mulo, in quanto pensavo che nel campo della poesia io ero semplice mezzadra che doveva

zappare la terra altrui, cioè tradurre».

Per chi non lo sapesse, a questa «semplice mezzadra» il lettore di lingua italiana deve, oltre che le traduzioni di Robinson Jeffers ed E. E. Cummings, nientemeno che la versione integrale de I cantos di Ezra Pound, forse la più importante opera in versi di tutto il Novecento. Figlia del grande poeta americano e della violinista Olga Rudge, la de Rachewiltz cominciò a dedicarsi alla traduzione del poema sotto la supervisione del padre, per poi portare a compimento l’edizione completa, con cui vinse il Premio Monselice, nel 1985. Eppure – come osserva Bacigalupo nella sua introduzione a Processo in verso – in poesia la sua voce non si perde «in futili esercizi formali, “alla maniera di”» e colpisce per la propria indipendenza e chiarezza d’identità.

Protagonista, qui, spesso è l’universo contadino, a cui l’autrice è visceralmente legata da un punto di vista biografico: affidata a una famiglia tirolese (vedeva i genitori nella vacanze estive), ebbe un’infanzia da pastora, che più volte si affaccia tra i versi attraverso il ricordo o tramite considerazioni che rivelano un’indole imparentata all’essenza delle cose, alle loro radici più

semplici e fonde: «Mille volte povera, / solo la neve / sul cappello di paglia / m’appartiene, leggero / dono del cielo, / in paese straniero».

Altro tratto che contraddistingue questo mondo in poesia è la riflessione amorosa, mai scontata e capace, anche, di soluzioni creative ironiche, come si legge, ad esempio, in questi versi di Fedeltà in cui rievoca il triangolo sentimentale Ezra Pound-Dorothy Shakespear-Olga Rudge: «Diceva mio padre / fedeltà coniugale / spesso e volentieri salta / una generazione, / ma dall’elenco ragionato / degli avoli fidi / e infidi escludeva se stesso / sicché io arrivata al bivio / non so quale strada / inforcare, né mi ha mai spiegato / il meccanismo della prova / del nove in ma – / tematica. (Chiaro mi è / solo che / sono la √ / di due.)

E, sempre a proposito del padre Pound, non mancano (a chi li sa cogliere) alcuni riferimenti alla sua poesia – superbamente incastonati nel proprio preciso ed elaborato dettato –così come altri dedicati al suo discusso côté biografico. Nella poesia Soluzione, ad esempio, è possibile ravvisare un rimando ai noti fatti del ’45, quando, a causa del suo innamoramento per il fascismo e dei radio-discorsi per Ra-

dio Roma, Ezra Pound fu imprigionato (a dir poco barbaramente) dall’esercito statunitense in un campo di concentramento nei pressi di Pisa e, successivamente, incarcerato per dodici anni nel Saint Elizabeths Hospital di Washington: «Chi ha trasgredito / e da giusto / è stato punito, / chi per onor di gioco / ha pagato in contanti, / capirà che l’assoluzione / giunge sempre quando / più non serve perché / di già dentro di noi / s’è trovata la soluzione».

Bellissime pure sono le poesie che ritraggono attimi di quotidianità domestica fra le torri del castello di Brunnenburg, a Tirolo nel Trentino-Alto Adige, dove l’autrice risiede dal ’48 accogliendo, da sempre, studiosi e traduttori de I cantos provenienti da ogni dove: «Cara vecchia casa / corrosa dal tarlo / dal fungo di pietra / di

legno a da muffa, / costruita su sabbia, / per quanto tempo ancora / potrò tenerti in vita / a furia d’amore / e forza di volontà?».

Leggere i versi della de Rachewiltz, forse, significa proprio questo: entrare in un libro quasi fosse un’abitazione in cui è passata la Storia con la «s» maiuscola – quella Storia che, secondo Montale, lascia «sottopassaggi, cripte, buche / e nascondigli» – per sentire tutto il peso degli incontri, degli eventi e delle perdite aleggiare come un odore antichissimo fra pagina e pagina, dove sono cadute le parole di chi è stato testimone e interprete di cent’anni di umanità.

Bibliografia:

Mary de Rachewiltz, Processo in verso, Bertoni Editore, Marsciano, 2024.

Ricordi, cani e scrittura intrecciati nel tempo

Letteratura ◆ Digressioni letterarie e autobiografiche di Sandra Petrignani in Autobiografia dei miei cani

Manuel Rossello

Per capire le ragioni profonde della scrittura di Sandra Petrignani è utile percorrere a ritroso la bibliografia dell’autrice romana fino al libro che nell’ormai lontano 1984 l’ha fatta conoscere in Italia: Le signore della scrittura, una serie di interviste a scrittrici italiane, edito dalla benemerita casa editrice La Tartaruga.

Se da un lato quel libro ha segnato un punto fermo nella rivendicazione di un’autonomia della scrittura femminile, dall’altro ci si stupisce di come in quegli anni fossero ancora attive tante personalità così interessanti (Romano, Ortese, Bellonci e Morante tra le altre), eppure sostanzialmente trascurate dalla critica.

Paradossalmente il successo editoriale di quel libro è dovuto anche all’accusa, infondata, all’autrice di essersi inventata l’intervista a Elsa Morante. In effetti nel 1983 la Morante era da tempo prigioniera di un male che le toglieva lucidità, per cui la Petrignani è dovuta ricorrere a un assemblaggio di interviste antecedenti, citate nel volume. Rileggere oggi quel suo primo libro significa ripercorrere la ricchezza di quelle esperienze, con l’avvertenza, tuttavia, che l’unica copia reperibile in

Ticino è depositata presso gli Archivi riuniti delle donne di Massagno. Ma venendo al suo ultimo lavoro, è stata avanzata l’ipotesi che i cani del titolo non siano che un pretesto (inteso in senso etimologico) per parlare d’altro. In effetti, convinto di avere per le mani un’autobiografia, il lettore è interdetto di fronte all’andamento ondivago del testo, che procede con un ritmo jazzistico in cui le divagazioni si alternano a punti fermi esistenziali. Eppure i cani c’entrano eccome. Per esempio in una bellissima scena infantile dove l’autrice bisticcia con un’altra bambina (questione di uno scambio di figurine), ma per tutto il litigio non smette di accarezzare il cane dell’amica, il quale simbolicamente funge da entità taumaturgica (non a caso si chiama Artù). Un libro in cui si racconta di un’«età dell’oro» fatta di nascondigli segreti, catechismo, giochi proibiti e nespole rubate. E cani, molti cani, con il loro pelo folto così adatto per asciugare le lacrime o per fantasticare affondando le dita in quei tiepidi corpi mai sazi di carezze.

Per un bambino non c’è nulla di più reale delle proprie fantasie infantili. La ragazzina che poi diventerà

scrittrice stringe un patto con il mondo animale: lei non avrebbe mai fatto un torto a nessun cane e in cambio sarebbe stata amata da essi, sentimentalmente più affidabili degli umani. Un rito di passaggio che sancirà il primato assoluto dei cani nella sua vita. E mentre scrive sente che ogni stagione della sua esistenza corrisponde all’arco vitale di uno dei suoi fedeli compagni. Contingenza biologica che diventa il criterio compositivo del libro: in ogni evento capitale della scrittrice, infat-

ti, è sempre implicato un quadrupede. Gli anni romani sono contrassegnati da frequenti traslochi e ogni quartiere è magicamente evocato in pochi tratti: le botteghe di Campo de’ Fiori, le rive alberate di Montesacro, i cineclub di Trastevere. E fino agli anni Ottanta del ventesimo secolo non era raro incontrare scrittori e artisti nei centri delle città (a Roma nei bar del Pantheon, a Milano a Brera). Proprio in uno di quei bar l’autrice sottopone ai «maestri» le sue prime prove di scrittura. E cerca di imporre la voce negletta delle donne in un campo dove il maschilismo imperava. La scelta del quartiere sembra dipendere dalla disponibilità di verde per far passeggiare i cani e da una stanza tutta per sé per le prime prove di scrittura. Perché amore per quelle bestiole e per la scrittura vanno di pari passo nella ragazzina. D’altronde chi possiede dei cani e ha pure un giardino appartiene alla schiera delle persone felici. Anche se sa che presto o tardi dovrà dire addio alle rose banksiae a cui tiene tanto.

Da una casa all’altra la seguono i libri (ovvio per una scrittrice), i suoi amati animali e una specchiera, oggetto-feticcio risalente alla bisnonna.

Quest’ultimo diventerà lo strumento di una potente evocazione perché custodisce – così lei crede – l’anima di chi vi si è specchiato.

Si deve notare, a questo punto, l’illogicità del titolo, che segnala l’alterità del libro rispetto al canone autobiografico. Infatti sotto il velame di un testo memorialistico Sandra Petrignani ha costruito una raffinata narrazione-conversazione alla Arbasino, intarsiata di digressioni che rilanciano continuamente l’interesse del lettore; ciò che l’apparenta agli inattingibili modelli di Sterne e Walser. Ma qui si ragiona anche su quell’impulso misterioso che ci fa scrivere del nostro passato. Per paura di un oblio incombente? Per rivivere la felicità della verde età? E ha ancora senso provarci, dopo i capolavori del secolo scorso (Canetti, Nabokov, Yourcenar, Neruda, Modiano…)? Sul libro aleggia infine una domanda: quanto è veritiera un’autobiografia? Una risposta l’ha data Marcel Pagnol: «Ho scritto attenendomi scrupolosamente alla verità poetica».

Bibliografia

Sandra Petrignani, Autobiografia dei miei cani, Milano, Feltrinelli, 2024.

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Foto di copertina.
Mary de Rachewiltz a Mantova per il Festivaletteratura 2012. (Niccolò Caranti)

GUSTO

Bontà surgelate

Fresche bontà, ma dal congelatore

Le verdure surgelate sono meglio di quanto si pensi. Contengono infatti più sostanze nutritive rispetto alle verdure che hanno già qualche giorno. Con le verdure surgelate si possono preparare piatti colorati e versatili in 30 minuti.

Testo: Dinah Leuenberger

One pot pasta con verdure

Ingredienti per 4 persone

1 cipolla

2 cucchiai d’olio d’oliva

300 g di pasta, ad es. fusilli

7 dl di brodo di verdura

200 g di spinaci in foglia surgelati

250 g di romanesco e verdura mista surgelata

200 g di taccole surgelate

2 dl di panna semigrassa

1 cucchiaio d’amido di mais sale pepe ½ mazzetto di basilico parmigiano grattugiato

1. Sminuzza la cipolla. Scalda l’olio in un tegame ampio e soffriggi la cipolla. Aggiungi la pasta e falla soffriggere brevemente, poi sfuma con il brodo. Aggiungi gli spinaci e lascia sobbollire tutto a fuoco medio per ca. 5 minuti, rimestando di tanto in tanto. Incorpora le verdure rimaste e continua la cottura, finché la pasta è cotta al dente.

2. Mescola la panna con l’amido di mais e incorpora alla pasta. Porta a ebollizione, regola di sale e pepe. Guarnisci con il basilico e servi con il parmigiano.

Farmer’s Best IP-SUISSE - Verdura mista svizzera - non condita 750 g, Fr. 5.20

Ricetta

Da 2 pezzi 20% di riduzione su tutte le verdure surgelate (ecluse M-Budget e Alnatura) valido dal 1.1 al 6.1.2025

spinaci

con uova

Questa sfoglia a base di spinaci, cipolle, formaggio erborinato, uovo e crème fraîche è arricchita di uova. Una delizia per occhi e palato.

Best IP-SUISSE Spinaci a foglie intere non conditi 800 g, Fr. 3.95

Fatti sui congelati

Gli ultimi da mettere nel carrello: i prodotti surgelati sono appositamente posizionati davanti alle casse proprio per consentirti di mantenere la catena del freddo fino a casa. Vanno infatti messi nel congelatore al massimo entro un'ora. Consiglio da professionista: porta con te una borsa termica per trasportare i prodotti fino a casa.

Fonti di nutrienti: dato che le verdure surgelate vengono congelate immediatamente dopo esser state raccolte, molti dei loro nutrienti si preservano intatti. Le verdure surgelate contengono quindi più vitamine rispetto, per esempio, a delle verdure comprate sì fresche ma ormai da qualche giorno.

Dritte in pentola:

le verdure congelate si possono mettere direttamente in pentola senza dover essere scongelate prima. Il che fa risparmiare tempo e preserva vividi i colori.

Ricongelabili:

le verdure surgelate si possono ricongelare più volte. Attenzione però a non lasciarle a lungo a temperatura ambiente o al caldo (altrimenti si possono formare germi) e a

farle scaldare bene cuocendole (per almeno due minuti a 70 gradi). Se aprendola la busta si è lacerata, metti le verdure ad esempio in un sacchetto con zip, che potrai poi riaprire e richiudere con facilità. Conservazione a lungo termine: i prodotti surgelati possono essere conservati per diversi mesi, ci sono però delle differenze a seconda delle varietà. Il sedano, ad esempio, andrebbe utilizzato entro sei mesi, mentre carote e piselli durano ben 18 mesi.

Bruciatura da congelamento: quando i prodotti congelati si scongelano, possono perdere dell'acqua, che a propria volta si scongela e poi si congela di nuovo. Se i punti interessati sono piccoli e pochi, basta tagliarli via. Se invece l'intero alimento surgelato è ricoperto da uno strato bianco di ghiaccio, non è il caso di mangiarlo perché il cibo surgelato non è più in grado di assorbire acqua quando lo si scongela e diventa secco. Puoi prevenire le bruciature da congelamento mantenendo la catena del freddo durante il trasporto e tenendo costante la temperatura nel congelatore: non lasciare aperto lo sportello inutilmente e riponi sempre i cibi congelati in confezioni ben chiuse.

Ricetta

Crema di piselli e broccoli con crostini

Ingredienti per 4 persone

100 g di pane, ad es. baguette

1 cipolla

1 l di brodo di verdura

300 g di piselli surgelati

300 g di broccoli surgelati

2 cucchiai d’olio d’oliva

sale

pepe

½ mazzetto d’erbe aromatiche, ad es. prezzemolo, menta

Taglia il pane a fettine sottili e tostale da entrambi i lati in un tegame senz’olio. Trita la cipolla. Porta a ebollizione il brodo. Fai bollire nel brodo per ca. 3 minuti poche verdure per guarnire, poi estraile e mettile da parte. Scalda l’olio, fai appassire la cipolla e aggiungi il resto dei piselli e broccoli. Sfuma con il brodo. Fai sobbollire la minestra per ca. 5 minuti. Aggiungi alla minestra due fette di pane e frulla tutto. Sala, pepa e guarnisci la crema con le verdure messe da parte e con le erbe aromatiche. Accompagna con i crostini.

Consigli utili

Per una variante della crema, sostituisci le verdure con il cavolfiore o il romanesco.

A piacere, affina con un tocco di panna.

Più ricette con verdure
Farmer’s
Farmer’s Best IP-SUISSE Rosette di broccoli 500 g, Fr. 3.95
Farmer’s Best Piselli extrafini non conditi 500 g, Fr. 2.75
Riduzione

Trottole uniche e decorazioni invernali

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Viaggi 2024: tra eventi globali e nuove rotte

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Kolmanskop, l’oasi fantasma del deserto del Namib

Reportage ◆ Dalle spiagge dell’Atlantico alle miniere di diamanti della Sperrgebiet, la storia affascinante e decadente di una città fantasma, dove le tempeste di sabbia hanno inghiottito i sogni di ricchezza e prosperità

Martino, testo e foto

«Se non piove c’è la tempesta di sabbia. D’altronde si sa, l’estate è così» sentenzia con granitica certezza in un inglese gutturale l’anziana signorina appollaiata dietro il venerando bancone in legno della Luderitz Safaris and Tours. Sul retro, una radio trasmette musica tedesca degli anni Cinquanta mentre un vento furioso spara vagonate di sabbia contro le facciate jugendstil color pastello di Bismarckstraße. Una «vacanza da sogno sulle spiagge dell’Atlantico», promettono suadenti brochures dell’ufficio turistico, e magari è vero, ma a patto di sopravvivere a quanto di più vicino all’Inferno si possa immaginare, il deserto del Namib.

Areias do Inferno, «Sabbie dell’Inferno», le aveva infatti già ribattezzate il navigatore portoghese Bartolomeo Diaz nel 1487 quando finalmente riuscì a uscire da quella che aveva chiamato Angra das Voltas, la Baia delle Giravolte. Non gli sarebbe mai passato per la testa che in futuro qualche folle fosse disposto a vivere in

un posto simile, ma si sbagliava perché nel 1883 un mercante di Brema, Adolf Lüderitz, comprò questa striscia di costa (dandole il proprio cognome) per cento sterline e sessanta fucili, attirato dai ricchi banchi di pesce richiamati dal plancton della fredda corrente di Benguela e da isolotti coperti di prezioso guano lasciato da infinite generazioni di uccelli marini.

Quando August Stauch acquistò tutti i lotti possibili, nessuno poteva ancora immaginare che le sabbie di quel deserto nascondessero diamanti

Anche Joseph Fredericks, il capo nama che glielo aveva venduto e che in realtà si chiamava Khorebeb-Naixab, probabilmente pensò di aver fatto l’affare del secolo rifilando quell’inutile caos di vento e sabbia a un ingenuo straniero. Un errore madornale perché come si diceva un tempo «a

Dio e ai prussiani nulla è impossibile», come dimostrano le tappezzerie dai tenui colori pastello ancora nascoste nelle viscere di un’architettura guglielmina che il deserto si sta ingoiando con spietata lentezza, pietra dopo pietra, salotto dopo salotto.

Dannazione e mistero

Un clima di dannazione e mistero aleggia ancora su Kolmanskop, perché se è vero che il deserto è un grande equalizzatore, questa inquietante ghost town ne è l’esempio perfetto, con i suoi rispettabili fantasmi di ingegneri, architetti, contabili e impiegati che forse non se ne sono mai andati da questa microscopica capitale di un impero di sabbie e diamanti. Tutto iniziò un po’ in sordina nel maggio del 1908 quando Zacharias Lewala, un operaio che lavorava alla ferrovia, trovò una strana pietra luccicante tra queste dune. Il suo sovraintendente, il Bahnmeister August

Stauch, capì molto in fretta di che cosa si trattasse e corse a registrare come sua proprietà tutti i lotti di deserto acquistabili. All’inizio lo presero per un pazzo sognatore perché nessuno poteva immaginare che le sabbie del deserto nascondessero diamanti,

bastarono però poche settimane, e la conferma di un geologo dell’amministrazione coloniale, per dare inizio a una delle più folli corse alla ricchezza della storia. Uffici e negozi del vicino porto di Lüderitz chiusero nel corso di una notte e l’intera popola-

Il villaggio di Luderitz, si è sviluppato nel 1908, dopo la scoperta di diamanti nella zona. Il villaggio è stato costruito come una città tedesca.
Enrico
Paesaggi della Namibia meridionale.
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zione maschile corse verso il deserto, seguita da un’orda di cercatori che arrivavano con ogni mezzo possibile: in cammello, a cavallo, su carri trainati da buoi, persino a piedi. Kolmanskop diventò un crocevia di avventurieri e speculatori ossessionati dal desiderio di accaparrarsi campi diamantiferi così ricchi che all’inizio le gemme venivano raccolte con le mani, di notte, quando il caldo infernale si attenuava e brillavano sulla sabbia alla luce della luna.

La Zona Proibita dei diamanti è diventata una impenetrabile mecca di sogni per ladri, avventurieri e sognatori

L’unico a non guadagnarci fu il povero Zacharias perché Stauch sarà anche stato un sognatore però pare che non gli abbia dato nulla, e quando scoppiò una crisi dell’industria dei diamanti il poveretto fu sbattuto senza neanche un grazie su una nave e deportato in Sud Africa con molti compagni di lavoro. Non andò molto meglio neanche ad Adolf Lüderitz che era riuscito a convincere uno scettico Bismarck a dichiarare la Namibia protettorato tedesco, perché morì nel 1886 in un naufragio alla foce del fiume Orange prima di sapere che tesoro nascondeva il «suo» deserto.

In soli sette anni le miniere del Süd West Afrika produssero oltre cinque milioni di carati, ma il caos diventò tale che l’ordinata amministrazione coloniale tedesca nel settembre del 1908 proclamò la Sperrgebiet, la Zona Proibita dei diamanti che da allora è diventata una impenetrabile mecca di sogni proibiti per generazioni di ladri, avventurieri, sognatori e truffatori. Sono stati la fortuna e la maledizione di Kolmanskop, i diamanti; loro l’hanno creata e loro ne hanno causato la lenta agonia quando la scoperta di nuovi giacimenti spostò il cuore della Sperrgebiet vicino a Oranjemund, la quinta città della Namibia tuttora chiusa a occhi estranei. Da allora i centri del primo boom diamantifero si sono trasformati in città fantasma, compresa Kolmanskop, l’ultima a essere abbandonata nel 1956, e il silenzio è calato su queste case allineate con rigore prussiano sul fianco della grande duna nel cui ventre stanno per scomparire. Ultime memorie di un mondo borghese che da una comoda vita nelle sofisticate città tedesche dell’epoca si ritrovò catapultato in uno dei luoghi più desolati della terra.

L’atmosfera germanica

In un piccolo museo, foto sbiadite fanno rivivere spezzoni di questo microcosmo tedesco tenuto in vita da balli, feste di carnevale, recite scolastiche, picnic tra le dune di signore costrette a trascinare tra vento e sabbia vestiti pensati per i viali di Berlino. Quello che le foto non mostrano sono le baracche lager dove vivevano ammassati come schiavi gli operai di colore, che quando chiedevano di andare a trovare le famiglie nei loro lontani villaggi prima venivano «purgati» con olio di macchina per controllare che non avessero ingoiato qualche gemma. Nel silenzio delle corsie del vecchio ospedale, uno dei più avanzati dell’Africa australe, sembra di sentire ancora il fruscio dei camici immacolati di medici e infermiere. Al tramonto gli ultimi raggi di sole illu-

La città è decaduta dopo la Prima guerra mondiale ed è stata abbandonata nel 1956.

Oggi i turisti camminano tra case immersi fino alle ginocchia nella sabbia.

sch, fromm, fröhlich, frei, ist die deutsche turnerin. «La ginnasta tedesca è Fresca, Devota, Allegra, Libera».

La speranza di un luccichio al chiar di luna

Il tempo sembra essersi fermato in questa città impregnata di nostalgia ma che da sempre deve lottare per sopravvivere perché, dopo l’indipendenza, Luderitz è cresciuta più di ogni altra città della Namibia sebbene adesso le flotte di pescherecci oceanici depredino la costa.

Luderitz, cittadina namibiana: nel 1883 Adolf Luderitz, di Brema, acquistò Angra Pequena dal capo locale Nama. La città è nota per la sua architettura coloniale tedesca Art Nouveau.

minano mulinelli di sabbia che scivolano dentro le case come un sudario mortale, magari insieme al fantasma di qualche contabile tornato nei luoghi dove ha consumato la sua vita e i vecchi infissi cominciano a cigolare come se fossero stanchi, anche loro, della fatica di vivere in questo deserto che fa impazzire in fretta.

Una lunare assenza di vita, non troppo diversa da quella della vicina Luderitz, che dopo la Prima guerra mondiale ha perso la «ü» tedesca passando sotto l’amministrazione sudafricana, ma non la sua skyline di tetti a punta da porto del Baltico perduto tra le dune da cui emerge la guglia della Felsenkirche. È la vecchia

chiesa dove un Lutero un po’ spaesato si affaccia da una vetrata guardando con rassegnazione una volontaria che rimette in ordine pile di libri di preghiera in una chiesa sempre più vuota. «Servono a poco ormai» sospira Karla che viene da Windhoek, la capitale, per dare una mano, «le persone di origine tedesca sono troppo poche per fare una comunità. Qui arrivano soprattutto poveracci in cerca di lavoro nella pesca o nelle miniere e i pochi giovani se ne vanno, a studiare o in cerca di un futuro migliore». Tra i vecchi rimasti c’è ancora qualcuno che ogni 27 gennaio festeggia il compleanno del Kaiser come facevano nonni e genitori, bevendo

l’unica birra distillata fuori dalla Germania che segue ancora i rigidi dettami della Reinheitsgebot, la «legge della purezza» proclamata nel 1516 dal duca di Baviera. Sono rimaste le tracce del loro passaggio, l’imponente Goerke Haus costruita secondo una leggenda locale nientemeno che per ospitare il principe ereditario tedesco, e strade dai nomi improbabili per queste latitudini. Molte sono dedicate a eroi e padri della patria della Germania imperiale, da Moltke a von Bülow, ma sotto la targa di Kort Straat affiora ancora un’imbarazzante Göringstrasse. Nella Turnhalle, la palestra d’epoca coloniale, si intravede il motto Fri-

Molti perdono il lavoro ma non riescono ad andare via da questa microscopica Germania guglielmina che si trova alla fine di una strada che porta solo qui, circondata dalla Sperrgebiet, una sorta di repubblica autonoma dei diamanti controllata dalla Namdeb, joint venture tra il colosso diamantifero De Beers e il Governo namibiano. Il loro motto, On diamonds we build, «Noi costruiamo sui diamanti», troneggia ovunque a Luderitz, dove, ai tempi d’oro, persino i baristi dell’hotel Kapps, estemporanea sede di una pittoresca borsa del diamante, venivano pagati in gemme.

Basta pagare qualche birra per sentirsi raccontare mirabolanti storie. C’è chi rievoca suo nonno, un maestro di scuola a cui i bambini ogni tanto offrivano diamanti avvolti in fazzoletti di cotone, e chi dice di conoscere un tale capace di fregare persino la polizia, che mentre lo perquisiva non aveva fatto caso a un blocco di cemento sul retro del pick-up, che ufficialmente serviva a sostenere il cric sulla sabbia in caso di foratura, ma in realtà nascondeva all’interno un bel gruzzolo di diamanti. Le hanno provate tutte per violare la Zona Proibita, dove è vietato persino tenere piccioni, utilizzati per nascondere le gemme in ferite appositamente inflitte agli uccelli, per non parlare di microscopiche mongolfiere o di altri sistemi di cui nessuno parla, forse perché hanno funzionato. Oggi i fantasmi di Luderitz si materializzano solo nei weekend, lavorano nelle fabbriche di pesce o nelle miniere, sono neri, parlano un tedesco degli anni Cinquanta e vengono qui per farsi una casetta nei loro villaggi, non certo per vivere tra queste strane case atterrate da un mondo lontano. Li vedi per un attimo, in fila davanti ai bancomat, prima che svaniscano in un bottle store a comprare qualcosa per sbronzarsi fino al lunedì, rintanati in casa per sfuggire al vento e al caldo. Magari sperando che un giorno i diamanti ricomincino a luccicare al chiaro di luna.

Informazioni

Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

Una stanza dell’ex ospedale di Kolmanskop.
Namibia meridionale: Kolmanskop è una città fantasma, a pochi chilometri nell’entroterra dal porto di Luderitz.

Trottole con i fiocchi di neve

Crea con noi ◆ Trasforma vecchi CD in giocattoli invernali fai-da-te con la possibilità di generare un effetto magico al buio

In questo tutorial scoprirete come realizzare delle bellissime trottole utilizzando dei CD di riciclo, decorati con fiocchi di neve. Queste trottole sono perfette per un’attività creativa invernale e possono essere personalizzate in vari modi, anche con elementi che reagiscono alla luce UV per un effetto sorprendente al buio! Vedremo anche come creare trottole con bastoncini di legno e morbidi fiocchi con i pulisci pipa. Il divertimento e l’effetto ottico di questo set sono garantiti.

Procedimento

Preparate la base della trottola. Prendete un vecchio CD da riciclare e assicuratevi che sia pulito. Rivesti-

telo con la pellicola adesiva nera aiutandovi con una spatola affinché non si creino bolle. Create ora i fiocchi di neve di carta. Tagliare un quadrato da 12x12cm di carta bianca fine (massimo 80gr).

1. Piegate il quadrato a metà lungo la diagonale. Otterrete un triangolo.

2. Piegate di nuovo a metà per ottenere un triangolo più piccolo.

3. Piegate ora il triangolo in 3 parti uguali.

4. R itagliate piccole forme lungo i bordi (triangoli, semicerchi, ecc.).

5. Aprite il triangolo per rivelare il vostro fiocco di neve.

Incollate i fiocchi di neve ritagliati al centro dei CD utilizzando il bastoncino di colla. Potete anche incollarne

Giochi e passatempi

Cruciverba

In Giappone, la sera dell’ultimo giorno dell’anno, le persone si recano nei templi a bere sakè aspettando il nuovo anno preceduto da … Trova il resto della frase a soluzione ultimata leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 9, 5, 2, 4)

Tatangelo

9. La patria di Anacreonte

10. Asso inglese

11. Preposizione francese

12. Può essere di trionfo

13. Detrito dei fiumi

14. Ai lati di Donnarumma

18. Isola delle Grandi Antille

20. Un programma comico in tv

21. Nasce in un attimo

22. Cambiano spesso espressione 23. Sigla di Network Address Translation 24. La sua capitale è Rabat 26. Pesci d’acqua dolce

27. Io per Cicerone

VERTICALI

1. C on le lenticchie l’ultimo dell’anno

2. Lo abitavano in due

3. Vicolo di Venezia

4. Un avverbio

alcuni sulla parte argentata, per avere un effetto diverso. Tagliate a metà un tappo di sughero e dipingetelo di nero con la pittura acrilica. Incollatelo al centro del fiocco di neve. Sarà la vostra manopola per poter far girare la trottola. Sotto, in corrispondenza, incollate una pallina di carta compressa che permetterà al CD di roteare. Trottole con bastoncini di legno:

Incrociate 3 dei bastoncini di legno lunghi per formare una stella e fissate il centro con la colla a caldo. Dividete in due i bastoncini in legno corti e utilizzateli per arricchire i fiocchi. Pitturate tutto con vernice acrilica bianca.

Incollate una perla di legno o di carta compressa al centro per creare il punto di rotazione.

Fiocchi di neve morbidi con pulisci pipa:

Dividete in 4 i pulisci pipa. Intrecciate 3 segmenti per creare una stella. Tagliate 6 pezzi più corti per formare le ramificazioni tipiche dei fiocchi di neve.

Idea in più

Amate i lavori di precisione? Disegnate o scaricate online i vostri fiocchi di neve preferiti, sovrapponeteli a una pellicola adesiva bianca e, con un taglierino, ritagliate i fiocchi da applicare sui CD.

Il vostro set è pronto, potete arricchirlo con piccoli pompon bianchi o fioc-

Materiale

• Vecchi CD o DVD

• C arta bianca

• Pellicola adesiva nera opaca

• Bastoncini di legno lunghi e corti

• Pulisci pipa bianchi

• Vernice acrilica bianca e nera. Pennello piatto.

• Forbici, taglierino

• Colla a caldo e bastoncino di colla

• Tappi in sughero e colore acrilico nero

(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)

chi di neve in feltro decorativi. Perfetto da utilizzare sia alla luce che in un angolo buio per un po’ di magia. Buon divertimento!

Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi

Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku

Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

5. Ci fa sembrare più alti 6. Lo era Sartre 10. Gli equipaggi dei canottieri 12. Soccorso poetico 13. Serena, gioiosa 14. Non si dà alle quisquiglie 15. Nome femminile

16. Pronome personale

17. La casa più fredda

19. Prima moglie di Esaù

20. Contenevano olio

22. Il «de» olandese

24. Le separa la «n»

25. Le iniziali di Goldoni

Soluzione della settimana precedente DOV’È BABBO NATALE? – «Babbo Natale è stato arrestato!» «E come mai?» Risposta risultante: «LO HANNO COLTO CON LE MANI NEL SACCO!»

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei

esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Viaggiatori d’Occidente

Nel 2024 Set-Jetting, live events e nuove tendenze

«Il 2020 sarà un anno di grandi viaggi» predisse un noto mago alla fine del 2019. Cos’avrà pensato quando il 16 marzo 2020 il Governo ha proclamato lo stato di emergenza nazionale, con la specifica raccomandazione di evitare qualunque viaggio? L’epidemia è stata la tempesta perfetta per il turismo, tanto che il settore si è ripreso pienamente solo nel 2023. Meglio dunque stare alla larga dalle previsioni… Possiamo però guardare all’indietro e riassumere le nuove forme di viaggio emerse in questo 2024, molte delle quali inevitabilmente daranno l’impronta anche al prossimo anno.

Di alcune tendenze abbiamo già parlato nei mesi scorsi, in particolare di Overtourism, Airbnb, affitti brevi eccetera; forse anche troppo dal momento che, specie d’estate, il tema ha davvero monopolizzato l’attenzione mediatica. Ma abbiamo racconta-

to anche il viaggio coi propri animali, la filosofia Dupe Travel (la ricerca di alternative economiche alle mete più visitate), Coolcation (le vacanze in Nord Europa per fuggire le torride estati mediterranee) o ancora i nomadi digitali: il termine non esisteva neppure prima del 1997, oggi accomuna 35 milioni di persone nel mondo, la popolazione di uno Stato di medie dimensioni (secondo una ricerca di MBO Partners).

Non è una novità assoluta ma certo ha cambiato scala il Set-Jetting : due terzi dei viaggiatori sono stati influenzati nelle loro scelte di viaggio da film, serie tv o programmi televisivi (+16% rispetto al 2023). Lo stesso presidente francese Macron è intervenuto perché nella quarta stagione della fortunata serie Emily in Paris –dove ha recitato in un cameo anche la moglie Brigitte – la protagonista si concedeva troppe… vacanze roma-

Cammino per Milano

Il

soffitto di Tiepolo

Da quattro finestre illuminate al primo piano, catturo già da giù nel cortile, alle sedici e trentanove di venerdì tredici dicembre, a sorpresa, piccole porzioni di stupore tiepolesco. Putti in volo, il volto di Venere, nubi, una proboscide: è la prima magia di Giambattista Tiepolo (16961770), pittore veneto etereo-fantastico ingaggiato dal marchese Giorgio Antonio detto anche Antonio Giorgio Clerici (1715-1768) che dilapida tutto per questo palazzo. Dal 1942 sede dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, il seicentesco Palazzo Clerici è visitabile un pomeriggio al mese, su prenotazione, per via del vasto soffitto affrescato da Tiepolo nel 1741. È così, un bel gruppo è riunito qui nel cortile d’onore, al cinque di via Clerici, in attesa di puntare gli occhi sul soffitto di Tiepolo, «esempio estremo di scioltezza taoista nell’arte» come lo pennella

Calasso, Il rosa Tiepolo (2006). Cinque minuti prima dell’ora del tè, naso all’insù, appena entrati nel salone siamo travolti dall’incanto di questo soffitto illusionisticamente come sfondato dove esplode un cielo mirabolante animato da divinità sulle nuvole, nereidi, putti, animali, uomini, un pipistrello, là, accanto a Proserpina. Nonostante la guida non sia la solita guida che cerca di fare la simpaticona con battute posse ripetute ogni volta né parla saccente come un libro stampato, vado in fuga. Calamitato dai dettagli di questo sterminato divertimento pittorico che corre per una ventina di metri, illuminato dai lampadari in cristallo. Ai margini del dipinto intitolato La corsa del carro del sole che appare nella Nuova guida di Milano per gli amanti delle belle arti e delle sacre, e profane antichità milanesi (1787) di Carlo Bianconi dove ieri notte ho afferrato che «Venere resta

Sport in Azione

ne. Puntuale la risposta del sindaco di Roma Gualtieri: «Caro Macron, stai tranquillo: Emily a Roma sta benissimo. E poi al cuor non si comanda: facciamo scegliere a lei».

Anche la serie HBO White Lotus, premiata agli Emmy per la sua rappresentazione del mondo dei ricchi, ha fatto aumentare del 300% le ricerche su Expedia di Hawaii e Sicilia, dove sono ambientate le prime due stagioni. Inutile dire che, una volta giunti sul posto, molti scoprono una realtà ben diversa da quella immaginata; Parigi sarà pure elegante e romantica, nelle sue ore e angoli migliori, tuttavia spesso è anche una città come tante altre, coi sacchi di spazzatura e i topi. Ma in fondo anche questo contrasto tra virtuale e reale, tra il mondo di Instagram e la realtà quotidiana, è parte del turismo contemporaneo. Milioni di persone hanno poi viaggiato per partecipare a grandi eventi,

il cosiddetto Live Tourism. La nostra società è allo stesso tempo iperconnessa e profondamente frammentata. I social collegano i continenti, ma molte vite restano solitarie. Condividere un’esperienza – lo chiamiamo Live Tourism – diventa così quasi un bisogno. Non a caso le olimpiadi parigine hanno stabilito un record per numero di biglietti venduti (oltre dodici milioni). Anche i grandi concerti spostano milioni di persone. A Woodstock nel 1969 una serie di artisti e band forse ineguagliabili (Joan Baez, Santana, The Grateful Dead, Janis Joplin, The Who, Jefferson Airplane, Joe Cocker, Jimi Hendrix, Blood, Sweat & Tears eccetera) richiamò 400mila spettatori, quando se ne aspettavano dieci volte meno. Le recinzioni furono abbattute e il festival divenne gratuito, entrando nell’immaginario di una generazione. Ma anche così la maggior parte

dei partecipanti arrivava da grandi città degli Stati Uniti, come la vicina New York, ma anche da Los Angeles, San Francisco e Boston. Nel 2024 invece i concerti di Taylor Swift, Coldplay, Bruce Springsteen, Depeche Mode hanno attirato un pubblico proveniente da tutto il mondo. E, secondo una ricerca di Allianz Partners, il 40% dei viaggiatori americani tra i 18 e i 34 anni ha in programma un viaggio per un grande evento pop quest’estate. Ovviamente gli effetti economici sono rilevanti. Si parla per esempio di un «effetto Taylor Swift»: circa un miliardo di dollari di entrate alberghiere aggiuntive negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Eppure proprio questo turismo di immensi flussi, incanalato, mediatico, concentrato, lascia ampio spazio per scoperte, imprevisti, personali illuminazioni: è quel che auguriamo ai nostri lettori.

in congiunzione a Saturno», non lontano dai due satiri, agguanto con lo sguardo una luna personificata o un pesceluna. Un fan-ciullo nudo capellone sdraiato a pancia in giù, come se fosse sdraiato sul cornicione dorato della boiserie rococò, stregato da tutto lo spettacolo del cielo all’alba popolato dalla tribù tiepolesca volante, abbraccia un pesce da una parte e dall’altra, il pesceluna immaginario o luna-personaggio con sguardo pure rivolto all’insù. Qualche passo, seguendo la traiettoria del suo sguardo e s’incontra un remo che identifica, dicono, una divinità fluviale personificata da un vecchio inghirlandato d’edera con un barbone. Ed ecco, lassù, Venere a cavallo di una nube grigio-azzurra attorniata da amorini in volo con ali trasparenti quasi da insetto, uno dei quale acchiappa una colomba a testa in giù. Da capogiro questa scena del rapimento

Prima che si arrivi all’irreparabile!

Una ventina di arresti in relazione al derby tra Ambrì-Piotta e Lugano dello scorso 11 ottobre. Dapprima, un uomo di ventisette anni, reo di aver lanciato un petardo contro una troupe televisiva. Sua madre lo copre. Poi, una banda di giovani che prendono a pugni e calci due ragazzini e una ragazza nei pressi della stazione di Rivera. Una vera e propria spedizione punitiva. Voluta e cercata, nei confronti di tre persone che avevano una sola colpa da espiare: vestivano le insegne della squadra «nemica». La prima ondata di arresti comprende sei maggiorenni e un solo minorenne. Nella seconda rete sono caduti altri dieci ultras bianconeri. Dai bollettini medici è emerso che le condizioni dei giovani aggrediti non sono mai state gravi. È una vera e propria fortuna. Quando colpisci con dei calci una persona stesa a terra non sai mai come può concludersi la vicenda. È una sto-

ria che deve far riflettere, prima che si giunga all’irreparabile, a causa della visceralità del tifo. Altrove è già capitato. Noi, in Ticino, finora siamo stati risparmiati. Per puro caso. Questo episodio mi ha riportato alla mente quanto mi era capitato nell’aprile del 2021. Da pochi giorni, migliaia di appassionati dell’Ambrì-Piotta avevano celebrato con amore e nostalgia l’ultima sfida giocata sul ghiaccio della Valascia. Erano tempi di Covid, quindi si erano riuniti sul piazzale esterno, mentre dentro, i Biancoblù se la vedevano con il Gottéron. Per questa rubrica scrissi un articolo in cui tentavo di riassumere le emozioni che la gloriosa pista aveva dispensato sull’arco di sessantadue anni. Mi pareva doveroso. A prescindere della fede sportiva dei lettori e della mia.

Un tifoso dell’Hockey Club Lugano aveva inviato una mail alla direzione

del settimanale, lamentandosi della mia scelta partigiana, scandalizzato che non avessi dedicato neppure una riga alla gloriosa Resega, dove i bianconeri avevano inanellato una serie di trionfi. Gli avevo risposto tentando di fargli capire che la festeggiata era la Valascia. Gli avevo pure garantito che, qualora fosse giunto l’ultimo atto per la pista sottocenerina, avrei fatto altrettanto. Non mi aveva creduto e aveva aggiunto che era ora di finirla con la favoletta del miracolo della squadra di paese che lotta contro i giganti cittadini, perché l’HCAP è un’azienda tanto quanto l’HCL. Mi dispiaceva chiuderla così, senza un minimo d’intesa. Dati i toni molto civili del dibattito decidemmo di incontrarci. Propose il ristorante della Resega. Ridendo gli dissi che sarei sceso con le guardie del corpo. Fu un incontro piacevolissimo, davanti a un paio di birre. Mettemmo presto da parte la questione del mio

di Venere sul carro di Saturno, collocata magistralmente da Tiepolo in modo da mostrarne un frammento a chi vede dove deve, già dal cortile, come assaggio. «Venere non è la più rapinosa fra le bionde-fulve di Tiepolo» sostiene Calasso nel libro citato prima dal titolo trovato leggendo Proust. Un rosa antico, confetto, di fiori di ciliegio al mattino. Come il colore dell’ampia gonna svolazzante della bionda misteriosa – molto più rapinosa di Venere, almeno per me – con capelli raccolti, lì ai piedi del nuvolone di Venere e Saturno. Noto anche come Crono, Dio del Tempo, ci volta la schiena muscolosa, i capelli bianchi spettinati sembrano di un vecchietto spaurito per strada mentre le ali maestose metallico-azzurrine, sono d’aquila. La falce è rovesciata, la lama poggia su un drappo indaco inutile se non per fare scena. Idem per la stoffa in aria color ros-

so robbia annacquato. Mercurio nuota nel cielo sopra il carro apollineo del sole che sorge. Attraverso, da una sponda all’altra – incontrando, senza tregua, con il torcicollo, nel pulviscolo rugginoso-dorato e tra squarci azzurrastri tenui, sileni sbronzi, cani da caccia, maghi-filosofi orientali – la volta del lungo salone-galleria. Per raggiungere un delfino, tra ninfe incoronate di coralli. Il turbinare senza meta dei personaggi come coreografie di balletti contemporanei, detta allo spettatore un andirivieni. Acciuffo un gufo, uno spartito musicale che ci cade in testa, l’elefante che simboleggia l’Africa, l’orologio che corrisponde a quello del palazzo, sul tetto. Un gioco tra reale e fantastico che culmina con il nano dipinto, ritratto del nano dei Clerici che si aggirava qui: tiene con una catena vera di ferro, intarsiata nel legno, una scimmia.

articolo. Lui convenne che, in fondo, ci poteva stare. Parlammo di hockey, di derby, tifoserie, slogan, episodi, di campioni di ieri e di oggi, di presidenti bravi, bravini, meno bravi. Rientrando a casa mi dicevo: ecco, la visceralità del tifo dovrebbe risolversi così. Davanti a un boccale. Serenamente. Arrabbiarsi, insultarsi, prendersi a botte non modifica di una virgola l’esito di una partita. Purtroppo, ci sono frange estreme per le quali la maglia è un oggetto di fede e di culto. Un culto pagano che contempla anche una ritualità violenta spinta fino al sacrificio estremo. Questo non può e non deve accadere. Chi è coinvolto nel fenomeno sport, chi ama lo sport, deve intervenire. Non voglio spendere una sola riga sulle risorse umane e finanziarie investite nella prevenzione e nella sicurezza e che potrebbero essere utilizzate per fini più nobili. Mi preme piutto-

sto puntare il dito sul disagio sociale e mentale che spinge alcuni scalmanati a ricorrere alla violenza estrema. Dobbiamo interrogarci sul perché. Tutti: federazione, squadre, giocatori, media, la parte sana e non violenta della tifoseria. E soprattutto abbiamo tutti il dovere di cercare degli anticorpi. Da più parti ho percepito la tentazione di fare ricorso alla repressione dura, all’insegna delle manganellate. Quella, forse, può servire nell’immediato, per spegnere sul nascere battaglie che potrebbero avere esiti preoccupanti. Ma sul lungo termine non sarebbe pagante. Meglio il dialogo costante e aperto. Perché non immaginare una serie di incontri regolari tra società, giocatori, media, e tifosi? Per ritrovare la perduta serenità. Per tornare a concepire lo sport come un gioco. Non come un pretesto per farsi la guerra. Ci saranno ancora derby. Facciamo in modo che siano una festa!

di Claudio Visentin
di Oliver Scharpf
di Giancarlo Dionisio

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Sugo all'arrabbiata Agnesi 400 g, 2.07 invece di 2.95, (100 g = 0.52)

Mandorle o noci miste tostate, Sun Queen in conf. speciale, per es. mandorle, 500 g, 5.85 invece di 7.38, (100 g = 1.17)

–.50 di riduzione

3.20

invece di 3.70

Insalata del re Anna's Best 150 g, (100 g = 2.13)

Migros Ticino

–.70 invece di –.90 Cetrioli Spagna, il pezzo 22%

2.20 invece di 3.15

Italia/Spagna, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.44) 30%

Pomodori a grappolo Migros Bio

2.40 invece di 3.–Pere Kaiser Alexander Svizzera, al kg 20% Avocado Cile/Marocco/Spagna, il pezzo, 1.– invece di 1.25 a partire da 2 pezzi 20%

Marocco/Spagna, 250 g, confezionati, (100 g = 1.29) 23% 2.95

di 3.95

3.20 invece di 4.20

Tagli pregiati

6.95 invece di 9.60

Salametti Rapelli Svizzera, 4 pezzi, 280 g, in self-service, (100 g = 2.48) 27%

5.90 invece di 7.40

Roastbeef affettato Svizzera, per 100 g, in self-service, (100 g = 7.40), valido dal 2.1 al 6.1.2025

5.25 invece di 6.60

12.90 invece di 19.50 Leckerli finissimi in conf. speciale, 1,5 kg, (100 g = 0.86)

Tutti i dessert refrigerati in coppetta (prodotti Daily esclusi), per es. coppetta ai vermicelles, 95 g, 2.– invece di 2.50, (100 g = 2.11)

Migros Ticino

Formaggi

Qualità che si scioglie in bocca

Raclette al naturale Raccard, IP-SUISSE in blocco maxi o a fette in conf. da 2, per es. in blocco, per 100 g, 1.80 invece di 2.25 20%

22.30

Formaggella grassa Nostrana per 100 g 16%

2.–

invece di 2.40

2.04 invece di 2.55 Le Maréchal Original IP-SUISSE circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato

2.40

Migros Ticino
Migros Ticino

Di tutto un po’ per menu veloci

33%

7.90

invece di 11.85

Tortelloni Anna's Best, refrigerati ricotta e spinaci o alla carne di manzo, 3 x 300 g, (100 g = 0.88)

Nel piatto in 15 minuti

20%

Piatti pronti liofilizzati a base di riso e pasta Subito per es. risotto al pomodoro, 3 x 250 g, 6.45 invece di 8.10, (100 g = 0.86)

4.–

Pizze dal forno a legna Anna's Best, referigerate prosciutto, lardo & cipolle o raclette, per es. prosciutto, lardo & cipolle, 2 x 430 g, 9.90 invece di 13.90, (100 g = 1.15)

a partire da 2 pezzi 30%

Tutti i sughi Agnesi per es. sugo al basilico, 400 g, 2.07 invece di 2.95, (100 g = 0.52)

a partire da 2 pezzi

20%

Tutto l'assortimento di purea di patate

Mifloc M-Classic

per es. 4 x 95 g, 4.– invece di 5.–, (100 g = 1.05)

2 30%

8.30 invece di 11.90

Sofficini M-Classic prodotti surgelati, al formaggio, agli spinaci o ai funghi, 2 x 8 pezzi, 960 g, (100 g = 0.86)

conf. da 3
conf. da
conf. da 2
di riduzione
conf. da 3

20%

Tutto l'assortimento Knorr per es. brodo di verdure, barattolo da 228 g, 7.60 invece di 9.50, (100 g = 3.33)

da 3 30%

5.65 invece di 8.10

a partire da 2 pezzi 20%

Tutti gli antipasti Le Conserve della Nonna, Polli, La trattoria, Da Emilio e Dittmann per es. pomodori essiccati Le Conserve della Nonna, 220 g, 4.08 invece di 5.10, (100 g = 1.85)

Petit Beurre M-Classic con cioccolato al latte o cioccolato fondente, 3 x 150 g, (100 g = 1.26)

Cards o Delice, Kinder in conf. speciale, per es. Cards, 10 pezzi, 256 g, 5.75 invece di 6.80, (100 g = 2.25) 15%

9.50 invece di 14.88 Sugus Classic in conf. speciale, 1 kg 36% 4.–invece di 5.–Chips Zweifel alla paprica o al naturale, 2 x 90 g, (100 g = 2.22)

a partire da 2 pezzi

Per una pelle profumata e denti ben curati

per l'igiene orale Meridol per es. spazzolino morbido, 6.45 invece di 8.60, (1 pz. = 3.23)

con note di profumi provenzali

Un colorato bouquet di prodotti

Tutto l'assortimento Handymatic Classic (sale rigeneratore escluso), per es. Classic All in 1, 50 pastiglie, 11.60 invece di 14.50

sostenibile

Carta igienica o salviettine umide, Soft in confezioni multiple o speciali, per es. Deluxe Ultra, FSC®, 24 rotoli, 17.50 invece di 25.–30%

6.20 invece di 7.80

sintetiche Clean Soft e Strong, 4 x 3 pezzi

Padelle Pro

Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Gourmet per es. i piaceri del mare, Perle, 4 x 85 g, 3.96 invece di 4.95, (100 g = 1.16)

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI

Come far fiorire le orchidee regolarmente: una volta che lo stelo è sfiorito, reciderlo 2 cm sopra il secondo ispessimento. Bagnare e concimare la pianta per sei settimane e successivamente porla per circa 20 settimane in un luogo fresco (15 gradi) e luminoso. Quando il nuovo stelo di fiori raggiunge una lunghezza di 20 cm, si può riportare la pianta in soggiorno.

Ancor più risparmio

9.95

invece di 16.90

Filetti di salmone senza pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, 380 g, in self-service, (100 g = 2.62)

invece di 18.–Aproz Gazéifiée o Naturelle, 24 x 500 ml, (100 ml = 0.08)

Sovracosce di pollo Optigal al naturale e speziate, Svizzera, per es. al naturale, 4 pezzi, al kg, 8.40 invece di 14.–, in self-service 40%

LO SAPEVI?

a partire da 3 pezzi 33%

Fazzoletti di carta o salviettine cosmetiche, Linsoft, FSC® in confezioni multiple o speciali, per es. fazzoletti di carta Classic, 56 x 10 pezzi, 4.25 invece di 7.09 40%

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Tutti i pannolini Pampers (confezioni multiple escluse), per es. Premium Protection, tg. 1, 24 pezzi, 6.53 invece di 9.75, (1 pz. = 0.27)

Detersivi Ariel in confezioni speciali, per es. Color+, 4 litri, 25.90 invece di 51.80, (1 l = 6.48) 50%

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