Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Grazie alla Fondazione Vacanze in edifici storici scopriamo Casa Portico a Moghegno
Ambiente e Benessere Alessandro Diana, medico vaccinologo e docente, fa il punto della situazione sulla ricerca di un vaccino contro il Covid-19
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIII 24 agosto 2020
Azione 35 Politica e Economia Posizioni opposte sul voto del 27 settembre che vuole rimettere in discussione la libera circolazione
Cultura e Spettacoli Lorenzo Da Ponte fu un ottimo librettista che contribuì ad alcuni capolavori mozartiani
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Un uomo normale La poesia di Tonino Guerra come antidoto a Trump nel museo diffuso a Pennabilli Che cosa prevarrà il 3 novembre negli Stati Uniti, il desiderio di un ritorno ad una qualche forma di normalità o ancora il rabbioso istinto di rottura? Joseph Biden è ufficialmente nominato candidato alla presidenza da parte democratica e se questa volta i sondaggi rispecchiano la realtà (e se a Trump non riesce il colpo di vincere le elezioni grazie ad alcuni Stati chiave e non alla maggioranza dei votanti) gli Stati Uniti avranno il più anziano presidente della storia, 78 anni, e la prima donna di colore alla vice presidenza, Kamala Harris (vedi Rampini a pagina 25). Ma se ci riuscirà, anche questa volta sarà più un no al presidente uscente che un sì a quello entrante. La vittoria di Trump nel 2016 fu molto anche la sconfitta di Hillary Clinton, la vittoria di Biden sarebbe ancora di più la sconfitta di Trump. Perché Biden, se proprio non possiamo definirlo un candidato senza qualità, di queste ne spicca una sola: la tenacia, la resistenza, quell’andare avanti un passo dopo l’altro. Non ha carisma, idee brillanti non riecheggiano, le decisioni in politica estera che ha preso come senatore non lo caratterizzano come lungimirante (disse no alla prima guerra in Irak per liberare il Kuwait, sì alla seconda guerra in Irak sulla base di prove risibili), è facile alle gaffe e gli è rimasta appiccicata un’accusa di molestie sessuali. Ma Biden è ancora qui, quasi protetto dall’isolamento determinato dal Coronavirus (i comizi oceanici sono spettacoli da Trump, non da Biden), è l’ultima carta in mano ai democratici, poco convinti del progressista Sanders e ancor meno del miliardario Bloomberg. Non ha avuto vita facile. Eletto quale più giovane senatore a 30 anni, perde in un incidente stradale la moglie e la piccola figlia, e ritrova in ospedale i due fratellini sopravvissuti. Accetterà il mandato facendo giuramento nella camera d’ospedale. Nel 2015 muore suo figlio Beau. Nel 1987 (!) si lancia per la prima volta nella corsa per la presidenza, ma le accuse di plagio per frasi contenute nei suoi discorsi decretano anzitempo la sua rinuncia, poco dopo ha un’emorragia cerebrale che quasi gli costa la vita. Nel 2008 si ricandida, restando nell’ombra, la lotta è fra Hillary Clinton e Barak Obama, ma diventa vice-presidente. Ha accarezzato l’idea di abbandonare tutto dopo le tragedie, ma qualcosa lo ha fatto andare avanti. In lui, chi lo vota vede l’anima compassionevole segnata dalle difficoltà, cui ha saputo rispondere risollevandosi ogni volta, che incarna un certo tipo di animo americano. Tanto più in mezzo a questa pandemia, disseminata di lutti, di incertezze, di ansie per il futuro. Se è vero quanto indicano i sondaggi, ossia che Trump perderebbe le elezioni per la cattiva conduzione della lotta contro la pandemia, l’empatia di Biden ha senz’altro più presa dell’anafettività di Trump. Ma quella che nasce come una risposta a Trump, da un desiderio di un ritorno alla normalità, di un rispetto delle regole istituzionali, di valori democratici e di giustizia, porta in sé una carica innovativa prorompente, che porta il nome di Kamala Harris. Questa senatrice, di padre caraibico e di madre del sud dell’India, di 22 anni più giovane di Biden, viene considerata la vera spina dorsale dell’eventuale futura presidenza, grazie alla sua carica e alla sua determinazione. Considerato che Biden avrà 78 anni al momento di entrare in carica, è improbabile che si ricandidi a 82 anni. Come vice presidente Kamala Harris gli subentrerebbe in caso di decesso o inabilità, o al più tardi nel 2024 sarebbe la candidata principe del partito democratico. Anche perché oggi la carica di vice presidente, a lungo poco più di un titolo onorifico, prevede molte più competenze e dispone di un ampio staff. Questo le permetterebbe di accumulare esperienza, credibilità e potere. Ma Trump non è battuto. I sondaggi sbagliarono clamorosamente quattro anni fa, la tesi è che i suoi elettori non rivelano le preferenze nei sondaggi. E poi non è detto che accetterà il responso delle urne, se gli sarà sfavorevole. Ha già dichiarato che prevede brogli, sta cercando di evitare come può il voto per corrispondenza. Un gruppo di politici, attivisti, analisti elaborano da tempo gli scenari più impensabili: che fare se si rifiuta di lasciare la Casa Bianca perché non riconosce la sconfitta, come parare cause legali, come comportarsi se adducendo la pandemia tentasse di posticipare le elezioni (cosa che ha già ventilato). La base elettorale del presidente sarà ben motivata a riconfermarlo alla Casa Bianca, e poi ci sono gli adepti del misterioso gruppo QAnon, che in internet propaga assurde teorie complottiste (secondo cui le élite del mondo bevono il sangue dei bambini per allungarsi la vita), che in Trump vedono il salvatore del mondo, da lui ripagati con la definizione di «persone che amano il nostro paese». Ma questa volta è immaginabile che i democratici fedeli a Bernie Sanders vadano a votare per Joseph Biden, più di quanto fecero per Hillary Clinton.
di Alessandro Zanoli
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Franco Cattaneo
di Peter Schiesser
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Società e Territorio Svago e natura Incontriamo i tre animatori del progetto di conservazione per il prezioso ecosistema nella golena in Vallemaggia
I media e le donne Una pubblicazione di Nora Bader e Andrea Fopp indaga il giornalismo svizzero da un punto di vista tutto femminile pagina 7
A scuola in motoslitta Maria Pia Signorell vive sull’Alp Flix e insegna da 43 anni in lingua italiana ai bambini e ai ragazzi di Bivio pagina 9
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Edifici storici per le vacanze Restauro conservativo A Moghegno
abbiamo visitato l’ultima casa valorizzata dalla Fondazione Vacanze in edifici storici
Stefania Hubmann Sperimentare il vivere quotidiano in un edificio storico amplifica la conoscenza del suo passato e l’attenzione verso questo tipo di bene culturale. Ecco perché l’iniziativa della Fondazione Vacanze in edifici storici, oltre a salvare oggetti di valore dall’abbandono conferendogli una nuova destinazione, svolge un importante ruolo di sensibilizzazione. In questa estate anomala, caratterizzata dalle vacanze legate al territorio, il Ticino offre una nuova possibilità di godere di questa esperienza. Nella lista della Fondazione, che nel nostro cantone conta da diversi anni due case d’epoca, si è aggiunta una nuova proposta: Casa Portico a Moghegno. L’abbiamo visitata con l’architetto Antonio Pisoni di Losone che ne ha curato il restauro conservativo grazie al quale ci si può immergere nell’atmosfera rurale di un nucleo pregiato e ancora vissuto, inserito per questi motivi nell’Inventario federale degli insediamenti svizzeri da proteggere di importanza nazionale (ISOS). Disabitata da una cinquantina d’anni e appartenente a una comunità ereditaria, la piccola casa in pietra, risalente al Settecento e all’Ottocento su preesistenze medievali, rischiava come molte altre proprietà di questo genere di non avere futuro. La Società Ticinese per l’Arte e la Natura (STAN), di cui l’architetto Pisoni è stato presidente per 25 anni fino all’anno scorso, ha portato questo oggetto all’attenzione della Fondazione Vacanze in edifici storici, alla quale è stato successivamente ceduto dai proprietari in diritto di superficie per 30 anni. La Fondazione ne ha curato il rinnovamento anche attraverso altri enti di utilità pubblica, in particolare l’Aiuto svizzero alla montagna. Il restauro, come tiene a evidenziare Antonio Pisoni, non solo ha mantenuto le caratteristiche dell’abitazione, ma le ha valorizzate riducendo al minimo gli interventi volti a renderla confortevole secondo i parametri attuali. Dal cortile che garantisce l’accesso alla casa si nota subito il collegamento dei tre livelli tramite scale esterne. Una peculiarità conservata, così come l’apertura dei singoli locali – camera da letto, cucina e bagno al primo piano e sog-
giorno al secondo – sulle gallerie esterne evitando collegamenti interni. Va inoltre evidenziato come la ristrutturazione di Casa Portico abbia permesso di intervenire anche sul passaggio coperto che le dà il nome e attraverso il quale si raggiunge il cortile. «Le trattative con il Comune di Maggia – precisa la nostra guida – hanno portato al suo riconoscimento quale passaggio pubblico che sfocia in un’altra viuzza del nucleo». Tempo e passione per l’indagine storica tradottasi anche in ricerca pratica di materiali originali (travi e assi di legno, maniglie, chiodi) hanno animato il lavoro dell’architetto Pisoni, iniziato nel 2018 con il rifacimento del tetto in piode. Il resto del rinnovamento è durato due anni e dalla primavera di quest’anno la casa è agibile per vacanze. Pure l’arredamento rispecchia la volontà di rendere partecipe chi soggiorna a Casa Portico della sua storia. Spiega l’architetto Pisoni: «Il letto matrimoniale è stato realizzato in legno della Vallemaggia, il grande lavello della cucina mantenuto, così come le porte e i pavimenti in legno, rinunciando in quest’ultimo caso a rendere uniforme il loro livello. Non è inoltre presente nessun impianto di riscaldamento, ma una stufa economica in cucina e una stufetta a legna in sala. L’antica dimora contadina, insieme casa d’abitazione e deposito, affascina oggi turisti svizzeri e stranieri. La custode ci informa infatti che le prenotazioni per quest’anno sono esaurite, mentre per il 2021 rimangono ancora libere alcune settimane. Ciò dimostra come le operazioni della Fondazione Vacanze in edifici storici, sebbene impegnative da tutti i punti di vista, siano molto apprezzate. In Ticino ad inaugurare una lista che nei prossimi anni potrebbe essere ulteriormente allungata è stata Casa Döbeli a Russo, in valle Onsernone. In questo caso l’elegante dimora borghese costruita nei secoli XVII e XVIII appartiene alla STAN, alla quale è stata lasciata in eredità dal suo ultimo proprietario, il filosofo svizzero-tedesco Markus Döbeli. L’accordo fra la Fondazione Vacanze in edifici storici e la STAN, sezione ticinese della Fondazione Patrimonio svizzero, risale al 2009. Erano allora trascorsi quattro anni
Casa Portico a Moghegno: il collegamento tra i piani solo tramite scale esterne è stato mantenuto. (S. Hubmann)
dall’istituzione della prima da parte di Patrimonio svizzero per sottolineare il suo centenario. A Casa Döbeli si è poi aggiunta Casa Regina, situata a Calonico e costruita nel 1684. Testimonianza dell’influenza dei Confederati nella regione, la grande casa leventinese è costruita in pietra e legno secondo una tecnica poco diffusa in Ticino. Gli immobili scelti dalla Fondazione Vacanze in edifici storici rivestono tutti un interesse particolare legato alla storia e alla cultura del nostro Paese. Le tre strutture ricettive ticinesi rappresentano altrettante tipologie di case. La lista completa, che comprende una trentina di edifici, offre una grande diversità che spazia dalle fattorie tradizionali alle case borghesi, dalle testimonianze dell’industrializzazione a quelle dell’avvento del turismo fino a casi esemplari dell’architettura moderna. Li accomuna il loro ruolo essen-
ziale nel contesto di località e paesaggi preservati. Raccontano storie e creano un’identità. Kerstin Camenisch, direttrice della Fondazione, sottolinea l’importanza di questo aspetto, motivo per cui le case sono lasciate il più possibile allo stato originale, riducendo al minimo gli interventi di conservazione e rinnovamento. Anche questo particolare settore turistico registra quest’anno un aumento delle richieste probabilmente legato alle conseguenze della pandemia. Il tasso di occupazione delle case è comunque sempre molto buono. Kerstin Camenisch: «Abbiamo notato che diversi ospiti ripetono l’esperienza ogni anno, cambiando casa e regione. Questo favorisce la diffusione della cultura del costruito e una particolare sensibilità verso il patrimonio storico e culturale. Trascorrere una o più settimane in una di queste case è un’esperienza
arricchente che permette di percepire attraverso tutti i sensi il vissuto che la caratterizzava quando era all’apice della sua funzione primaria. Solo provando si capisce cosa significa avere magari un po’ freddo perché non c’è il riscaldamento o dover uscire all’esterno per passare da un locale all’altro, come succede a Moghegno». Anche se al momento questo tipo di esperienza è sfruttata soprattutto da svizzeri tedeschi e germanici, la situazione di incertezza riguardo ai viaggi all’estero che si è venuta a creare a causa del Coronavirus potrebbe far scoprire maggiormente anche ai residenti delle altre regioni svizzere, compresa la nostra, la possibilità di immergersi in un contesto storico e culturale di valore. L’attività della Fondazione vacanze in edifici storici allea due obiettivi meritevoli: preservare i monumenti storici e promuovere il turismo sostenibile.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Mark Graf, Francesco Mariotta e Debora Tollardo cercano di responsabilizzare chi frequenta la golena a un comportamento corretto che non causi danni all’ecosistema.
Un mondo di carta tutto da esplorare Videogiochi Il nuovo Paper Mario
lotta contro il Re degli Origami Davide Canavesi
Animatori della golena Vallemaggia Un progetto di conservazione del patrimonio naturale
e della biodiversità mira a sensibilizzare chi al fiume ci va per svago Nicola Mazzi Si chiamano Debora Tollardo, Mark Graf e Francesco Mariotta e sono gli animatori della golena in Vallemaggia, l’ecosistema lungo il fiume che si estende da Bignasco ad Avegno per circa 20 km. In quella zona, infatti, la Maggia scorre in un territorio rimasto in gran parte inalterato, ramificandosi a treccia fino ad una larghezza di ben 700 metri, nel tratto tra Giumaglio e Riveo, modellando un paesaggio naturale estremamente diversificato. «Il progetto-pilota è nato nel 2013 su stimolo dell’Ufficio cantonale della natura e del paesaggio e del Comune di Maggia. Nel 2014 si sono poi uniti i Comuni di Avegno, Gordevio e Cevio. Inoltre, partecipano al progetto anche il Centro Natura Vallemaggia e l’Organizzazione Turistica Lago Maggiore e Valli. Negli anni il progetto è quindi cresciuto e si è strutturato», spiegano i tre. Debora, biologa e responsabile degli animatori, arrivata nel 2016, è anche colei che partecipa al progetto da più tempo. «Fin dall’inizio, c’è sempre stato personale qualificato: con una laurea in scienze naturali o comunque professionisti nell’ambito dell’educazione». Come sottolinea il decreto attuativo, lo scopo di istituire una zona protetta «è quello di garantire un’adeguata gestione delle attività che si svolgono all’interno della zona protetta, di disciplinarne l’utilizzo e di proporre misure volte alla salvaguardia e al recupero dei contenuti naturalistici presenti, in modo tale da permettere la conservazione nel tempo del patrimonio naturale e della ricchezza biologica. In altre parole, evidenziano i tre: «l’obiettivo principale del nostro lavoro è quello di sensibilizzare le persone che frequentano la golena: sia i turisti sia i locali. Ma senza essere poliziotti. La nostra è una figura da vedere in modo positivo per chi si trova in valle. Se perciò osserviamo un atteggiamento scorretto cerchiamo di farlo notare e di spiegare il modo corretto di comportarsi per non causare problemi all’ecosistema, ma sempre in modo costruttivo».
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Entrando nel merito, l’attività svolta è variegata «visto che il territorio deve soddisfare diverse esigenze. Da un lato è un’area importante, un corridoio di biodiversità, una riserva di acqua potabile, acqua di falda, e zona di nidificazione. Ma d’altro lato, oltre al ruolo prettamente naturalistico, si unisce un grande richiamo turistico. Sono due mondi che sembrano essere in contrapposizione, ma che possono convivere. Noi cerchiamo di trovare il migliore equilibrio tra le due realtà che hanno bisogni diversi. In particolare sensibilizziamo sul giusto comportamento da tenere per chi viene a campeggiare, ma anche sui rifiuti, o sui cani da tenere al guinzaglio». Un lavoro che negli anni ha fatto diventare gli animatori un punto di riferimento per la regione. Sia i turisti sia gli autoctoni, quando hanno bisogno di informazioni di qualsiasi tipo, o necessità, spesso si rivolgono a loro. E il lavoro è costante. Basti pensare che in generale, in una giornata tipo, gli animatori si confrontano e interagiscono con una sessantina di persone e ne incontrano altre centinaia. Il progetto è d’importanza sovraregionale. Tant’è che è finanziato in buona parte (per l’80%) dal Cantone e dalla Confederazione. I Comuni della regione coprono, invece, il restante 20%. Il credito, oltre a finanziare il lavoro dei tre animatori prevede il rimborso dei chilometri fatti, le divise, i kit e tutto ciò che serve per il pattugliamento e il materiale informativo che viene distribuito ai frequentatori della golena. Interessante fare qualche esempio concreto sul lavoro svolto durante la giornata da Debora, Mark e Francesco. «Con l’introduzione del divieto di accendere fuochi all’aperto, sensibilizziamo costantemente, soprattutto nelle ore serali, quando cioè è più probabile che si facciano falò. Sempre restando sulla questione oraria sappiamo che alcuni temi come l’accampamento abusivo o le passeggiate con i cani senza guinzaglio vengono fatti la sera o la mattina preso e quindi cerchiamo di
coprire anche quelle ore e di sensibilizzare sui divieti in atto. E lo facciamo, a turni, sette giorni su sette». Come aggiungono gli animatori della golena il progetto è nato per coprire la stagione estiva, quella più affollata, e quindi dal mese da giugno a quello di agosto. Ma con l’esperienza ci siamo accorti che vi era la necessità di allungare il periodo e perciò quest’anno è partito a maggio e terminerà a fine settembre. Anche perché a causa della pandemia notiamo molta più affluenza rispetto agli anni scorsi. Non dimentichiamo che all’inizio dell’estate, quando erano chiusi i campeggi e i lidi, tutti si sono riversati in valle a rinfrescarsi e a passare delle ore in relax e questo ha sicuramente messo sotto pressione la golena. Molti i turisti, giunti soprattutto della Svizzera interna (70%), ma anche diversi gli autoctoni (30%). «C’è sicuramente più gente in valle e di conseguenza anche più lavoro per noi. Inoltre, le restrizioni che ci sono state per combattere la pandemia hanno incrementato l’informazione che abbiamo fornito. Il nostro ruolo, anche in relazione a questo tema, è stato apprezzato». I nostri interlocutori si dicono soddisfatti delle risposte avute dai frequentatori. «Noi cerchiamo di sensibilizzare in ogni occasione, lavoriamo al meglio e speriamo che seguano le nostre raccomandazioni, ma come detto non siamo e non vogliamo essere poliziotti o agire in modo autoritario e repressivo. Un atteggiamento che piace e ciò porta, in generale, a una responsabilizzazione degli utenti e un comportamento corretto». Ovviamente ci sono anche coloro che arrivano in valle con un atteggiamento diverso. «Per fortuna sono pochi, ma è vero che alcuni utenti hanno un grado di inconsapevolezza del luogo in cui si trovano. La nostra è davvero una bellissima regione, ma lo è perché ci sono moltissimi che la trattano con il dovuto rispetto. Quando glielo fai notare, spesso e volentieri, capiscono e addirittura, chi è arrivato senza nessuna cognizione del luogo, poi diventa il primo a fare prevenzione verso gli altri».
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La serie Paper Mario è l’ennesima dimostrazione di come la creatività nipponica non abbia confini: nata negli anni 2000 su Nintendo 64 e successivamente riproposta su diverse altre piattaforme targate Nintendo è Super Mario ma in versione cartoncino. I personaggi che popolano il mondo di Paper Mario sono cartoncini squisitamente bidimensionali, come fossero degli autocollanti senzienti. Il mondo è in tre dimensioni ma pur sempre realizzato in carta e cartoncino. Uno stile particolare ma che funziona, visto che è anche stato ripreso da Sony con la serie Tearaway su PlayStation. In Paper Mario: The Origami King su Nintendo Switch dovremo affrontare un nuovo nemico: Oliver, il misterioso Re degli Origami, il quale ha deciso di conquistare il pacifico Regno dei Funghi iniziando proprio dalla principessa Peach, trasformandola in un origami. Perse le sue naturali sembianze tridimensionali, la poverina si ritroverà in versione cartoncino piegato. Il malefico Oliver ha lanciato un attacco su vasta scala, trasformando sia gli abitanti del regno che gli scagnozzi di Bowser in perfidi origami. In tutto il caos, Mario si ritrova separato da Luigi e dagli altri amici ma, per fortuna, incontra Olivia, la sorella di Re Oliver. Scocciata dalla malvagità del fratello, la ragazza decide di unirsi a Mario per fermarne i piani malvagi. Come spesso accade, la premessa narrativa di un gioco dedicato a Super Mario e compari è piuttosto debole. La principessa si ritrova nei guai e tocca al giocatore salvarla. Sarebbe bello avere un gioco in cui i ruoli siano invertiti in futuro. Nonostante una trama debole però The Origami King riesce a divertire il giocatore, con una miscela di personaggi buffi, qualche piccolo colpo di scena e scenette piuttosto divertenti che coinvolgono i poveri abitanti del Regno dei Funghi, finiti accartocciati come carta straccia. Durante il gioco avremo anche modo di scoprire segreti
Il Regno dei Funghi trasformato in origami. (Nintendo of Europe) Tiratura 101’634 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
e raccogliere monete e sarà sempre premiato il giocatore dedito all’esplorazione. Una delle meccaniche più simpatiche è sicuramente quella della raccolta dei coriandoli che potremo poi usare per riparare degli strappi nel mondo di carta, coprendo i buchi e liberando nuovi percorsi da esplorare. Il gioco in sé è quindi un misto di esplorazione di livelli principalmente piuttosto lineari in cui saremo chiamati anche a tornare in luoghi già visti al fine di completare certi obiettivi. Durante l’esplorazione ci imbatteremo sovente in nemici che dovremo sconfiggere. I combattimenti in Paper Mario: The Origami King si svolgono seguendo il canone del gioco di ruolo. Gli scontri si fanno a turni in un’arena circolare divisa in spicchi. I nemici si posizionano sempre all’interno di queste zone delimitate che potremo far ruotare e scorrere per un determinato numero di volte. Prima ancora di scegliere le armi (che possono essere un martello, saltare in testa al nemico, fiori di ghiaccio o fuoco) dovremo quindi valutare bene la posizione dei cattivi in base alle aree che possiamo colpire coi nostri poteri offensivi. Si tratta di una sorta di piccolo rompicapo sul quale dobbiamo riflettere bene. Il sistema è piuttosto intelligente e ben realizzato anche se sul lungo periodo risulta essere un po’ fine a sé stesso e rallenta il progresso del giocatore specialmente perché non sono state inserite particolari varianti per vivacizzare gli scontri. Una volta posizionati i nemici, l’attacco sarà solo una questione di premere i pulsanti giusti con il giusto tempismo. Diversi invece i combattimenti contro i boss, nettamente più impegnativi. Rimangono le arene circolari ma questa volta è necessario creare un percorso che ci conduca davanti al nemico in modo da causare danni sostanziali. Ci vorrà una certa destrezza per evitare trappole ed ostacoli. Ad ogni nemico sconfitto otterremo delle monete che potremo spendere per acquistare potenziamenti o reclutare alleati ma non fornirà punti esperienza, rendendo inesistente la crescita di Mario in senso ruolistico tradizionale. Visivamente Paper Mario: The Origami King è ben realizzato sebbene non si possa definire un gioiello tecnico. Detto questo, i livelli sono interessanti da esplorare e sia i nemici che gli alleati sono contraddistinti da tanta fantasia e un buon design. Il mondo di gioco è ricco, colorato e zeppo di piccoli dettagli da scoprire. L’adattamento in italiano è molto buono, una costante per quanto riguarda le produzioni Nintendo. Complessivamente questo nuovo Paper Mario è un buon gioco, semplice nel gameplay con solo la componente di combattimento a diventare un po’ tediosa a lungo andare. Non siamo di fronte ad un capolavoro ma piuttosto ad un gioco onesto e simpatico per questa fine estate 2020. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Idee e acquisti per la settimana
Una festa per il palato
Attualità «Pan Passiún Classich»: un inno alla genuinità degli ingredienti 100% ticinesi
e alla sapiente lavorazione
Dorato e croccante fuori e ben alveolato dentro: ecco cosa rende così irresistibile il Pane Passione Classico dei Nostrani del Ticino. Preparato dagli abili panettieri Jowa con farina chiara ottenuta da frumento coltivato e macinato nel nostro cantone, questo pane si caratterizza per la lievitazione molto lunga dell’impasto. Un processo che dura ben 24 ore, a bassa temperatura, e che viene costantemente monitorato dagli addetti alla produzione. Altra peculiarità è il basso contenuto di lievito tra gli ingredienti, che viene però compensato con un alto tenore di acqua. La prolungata e delicata fermentazione permette alla pasta del pane di sviluppare un aroma e un sapore ben specifici, che risultano molto pronunciati, come anche una migliore conservabilità. La lunga lavorazione prosegue con la spezzatura e l’attorcigliatura manuale, ciò che conferisce al prodotto finale la sua caratteristica e inconfondibile forma allungata e ritorta. Infine, dopo una cottura lenta, il pane esce dal forno con la sua tipica doratura, alveolatura e croccantezza. Spalmato con del miele o della confettura fatta in casa, il Pane Passione trasforma la colazione in un piacevole e gustoso momento. Ma sa anche accompagnare a meraviglia salumi e formaggi del nostro territorio (eccellente con i formaggi d’alpe), come anche carni e verdure alla griglia o semplicemente piatti della cucina di tutti i giorni.
Azione 20%
Pane Passione Classico Nostrano 420 g Fr. 3.– invece di 3.80 dal 25 al 31.8
Flavia Leuenberger Ceppi
Panetteria e pasticceria nostrana
Insalata subito in tavola
Accanto al Pane Passione Classico, il panificio Jowa di S. Antonino produce per Migros diverse altre bontà firmate Nostrani del Ticino, ovvero solo a base di ingredienti della nostra regione. Per gli amanti dei dolci, la scelta annovera le croccanti Ciambelle e
Attualità La lattuga iceberg nostrana pronta da condire questa settimana è in offerta speciale
La lattuga iceberg, o lattuga ghiaccio, è una delle insalate più consumate in Svizzera, dove la sua coltivazione ebbe inizio negli anni Settanta. Sapore delicatamente dolce e croccantezza sono tra i suoi punti forti. Inoltre si distingue per la sua forma sferica, che ricorda quella di un cavolo. La iceberg matura misura ca. 30 cm di diametro. Le foglie esterne hanno un colore verdognolo, tendente al giallo chiaro o quasi bianco man mano che ci avvicina al centro del cespo. È un’insalata originaria della California, dove un tempo veniva trasportata da una costa all’altra degli Stati Uniti su camion refrigerati con grandi blocchi di ghiaccio simili ad iceberg. Da qui il suo nome.
zione integrata, vale a dire nel massimo rispetto dell’ambiente. Il processo di lavorazione avviene nel più breve tempo possibile secondo severi criteri di sicurezza e igiene alimentare. Dopo un’attenta mondatura manuale, le insalate vengono tagliate, lavate e subito asciugate al fine di preservarne la massima freschezza. Una volta confezionate, entro poche ore sono già sugli scaffali dei supermercati Migros di tutto il Cantone.
Insalate pronte «Made in Ticino»
La «Iceberg» è una delle insalate pronte al consumo introdotte con successo la scorsa primavera nell’assortimento dei Nostrani del Ticino. Le altre varietà sono «Estiva», «Filante», «Saporita» e «Rucola». Sono prodotte dall’azienda Quarta Gamma Ticino SA di Riazzino. Tutte già accuratamente tagliate e lavate, necessitano solo di essere condite con la propria salsina preferita. Non contengono nessun tipo di conservante. Per identificarle con il territorio, la confezione riporta anche il nome dialettale. Gli ortaggi sono coltivati in Ticino secondi i criteri della produ-
Azione 21% Insalata Giascia (Insalata ghiaccio), Ticino 250 g Fr. 2.05 invece di 2.60 dal 25 al 31.8
la tradizionale Torta di Pane, disponibile in tranci o intera. Per quanto riguarda il pane, impossibile resistere al gusto e al profumo di specialità appena sfornate quali la Ciabatta, il Pane Val Morobbia, il Pane Nostrano bigio e le Ciabattine.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Idee e acquisti per la settimana
Quali mobili scegliere da Micasa?
Il carpaccio di manzo
Attualità Un piatto intramontabile preparato freschissimo
ogni giorno nelle macellerie Migros con l’utilizzo della migliore carne di manzo svizzera
Carpaccio di manzo dalla Svizzera, in vaschetta Nature, per 100 g Fr. 6.– / con rucola e parmigiano, per 100 g Fr. 5.80 In vendita nelle maggiori filiali Migros
Molti potrebbero pensare che il carpaccio sia un piatto di origini molto antiche, ma in realtà la specialità è nata solo negli anni Cinquanta, in Italia. All’epo-
ca, un certo Giuseppe Cipriani, ristoratore e titolare dell’Harry’s Bar di Venezia, rimase colpito dalla vista di un quadro del maestro del Rinascimento
italiano Vittore Carpaccio, la Predica di Santo Stefano a Gerusalemme. Per rendere omaggio alle straordinarie tonalità rosse e bianche dell’opera, Cipriani ebbe l’idea di creare un piatto ad hoc: sottilissime fettine di carne di manzo crude accompagnate da una delicata salsa alla maionese. Il contrasto estetico e gustativo fu talmente ben riuscito che il piatto raggiunse in poco tempo un successo straordinario, diventando un vero e proprio must della cucina mondiale. Oggi il carpaccio di manzo non si accontenta più della sua più semplice espressione, ma viene rivisitato in molte saporite varianti, per esempio con l’aggiunta di scaglie di parmigiano, rucola, tartufo, balsamico, pinoli, pomodorini… Inoltre il nome sta a indicare anche altre pietanze – di pesce, verdura o frutta – nelle quali l’ingrediente base viene presentato sul piatto tagliato a lamelle sottili. Nei supermercati Migros con banco macelleria il carpaccio viene preparato ogni giorno utilizzando la migliore carne magra di manzo svizzero TerraSuisse. La specialità è venduta in una pratica confezione richiudibile, nella variante al naturale oppure già condita con scaglie di parmigiano e rucola.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Società e Territorio
Donna e giornalista
Pubblicazioni Nora Bader e Andrea Fopp indagano il giornalismo svizzero da un punto di vista tutto femminile
Natascha Fioretti Nel caso non vi foste ancora accorti, la Svizzera ha bisogno di più giornaliste. Ce lo dicono Nora Bader, «20 Minuti», e Andrea Fopp, redattrice di «Bajour», nella loro recente pubblicazione Frau macht Medien uscita per l’editore svizzero tedesco Zytglogge. Galeotto sono stati un bicchiere di vino bianco in una fresca serata autunnale basilese e una chiacchierata tra giornaliste locali su come va il settore e quali sono le opportunità per giovani professioniste come loro. Ne è nato un saggio che attraverso quindici interviste offre un’istantenea del giornalismo svizzero da un punto di vista tutto femminile. La domanda di partenza è molto chiara: «Quanto conta il genere nel giornalismo?». La risposta scontata, parecchio. Ma c’è anche una buona notizia, diversi editori hanno finalmente deciso di vedere la competenza femminile come una risorsa nella quale investire promuovendo strategie mirate per valorizzarla. Secondo Andrea Bleicher, già vicedirettrice della «SonntagsZeitung» e del «Blick», è tempo che gli editori realizzino che i team devono rispecchiare la composizione dei loro clienti attuali e potenziali. Seguono l’onda le due autrici: «Come quarto potere è nostro compito controllare i potenti della politica e dell’economia ma lo possiamo fare soltanto se conosciamo bene la popolazione. Il giornalismo può assolvere al suo compito soltanto se le donne sono equamente rappresentate nelle redazioni, nei dibattiti, nell’agenda tematica». Stando ai dati, nelle redazioni quat-
tro giornalisti su dieci sono donne ma i posti di direzione tre su quattro sono affidati a uomini che rappresentano la maggioranza, il 70%, anche nelle redazioni economiche e politiche, notoriamente i settori che godono di più potere. Non per niente gli editori amano affidare la redazione a chi proviene dalla politica o dall’economia. I dati ci dicono anche che in media i giornalisti guadagnano 700 franchi in più al mese delle giornaliste. La testata più virtuosa sembra essere la testata digitale «Republik» con il 44% di donne in redazione, il 53% in posizioni quadro e parità di salario rispetto ad esempio al 35% di donne in redazione alla NZZ (che da pochi giorni ha la prima caporedattrice agli interni nella storia del giornale), solo il 25% nelle posizioni quadro. Tra gli editori virtuosi figurano Ringier con l’iniziativa EqualVoice lanciata per promuovere la parità di genere. Oppure la SRF che nel 2019 ha raggiunto il tetto prefissato del 30% di donne nelle posizioni quadro e ora tramite un diversity board creato ad hoc dalla direttrice Nathalie Wappler, insieme alla rete «idée femme» punta a promuovere ulteriormente le giornaliste della radiotelevisione di servizio pubblico verso posizioni di responsabilità. Patrizia Laeri, economista, imprenditrice e già volto noto di diversi programmi di economia della SRF elogia il modello BBC e la sua strategia 50:50 che non è soltanto virtuosa e giusta ma ha portato all’ammiraglia inglese più pubblico femminile. La ricetta è semplice: puntare ad un maggiore equilibrio nella presenza in video, nelle moderazioni, nella selezioni dei temi e
degli ospiti in studio o ai microfoni. La giornalista lo dice senza mezzi termini: «è un fatto che le aziende che puntano sulle donne portano a casa ottimi risultati mentre quelle che non le coinvolgono si privano di una fetta di potenziali clienti». Anche il caso della «Woz – Die Wochenzeitung» la dice lunga sui benefici di una leadership femminile: Susan Boos nel 2005 ha preso in mano le redini del settimanale a un passo dalla bancarotta e ne ha risollevato le sorti. Katia Murmann dal 2017 responsabile digitale di Ringier ha da subito coinvolto più editorialiste, più giornaliste, e trattato temi di genere. Le nuove lettrici non si sono fatte attendere. L’introduzione delle quote potrebbe essere una soluzione. Tornando a Patrizia Laeri, il saggio ricorda come nel 2016 fu vittima di sessismo. In quell’anno era tra le candidate per la moderazione del programma d’informazione 10vor10. Il domenicale «Schweiz am Sonntag» scrisse che la SRF stava prendendo in considerazione di assumere una «Hobbymodel» senza fare accenno ai suoi studi o alle sue competenze. Fu l’inizio di quello che in gergo si chiama shitstorm (ondata di protesta), ricevette centinaia di commenti critici in cui si diceva che la bellezza non era un criterio per condurre un programma d’informazione. L’economista chiese aiuto all’avvocatessa dei media Rena Zulauf. La «Schweiz am Sonntag» uscì con una rettifica e nella versione online sostituì il termine «Hobbymodel» con «economista». Michèle Binswanger sul «Tages-Anzeiger» criticò l’articolo sessista mentre
Nelle redazioni svizzere 3 posti di direzione su 4 sono affidati a uomini. (Pixnio)
la rivista di settore «Persönlich» fece un’ampia intervista a Patrizia Laeri perché potesse difendersi e fare chiarezza. Lo shitstorm si trasformò in uno smartstorm, giornaliste e lettrici criticarono nei social media la narrazione sessista e difesero la giornalista. Insieme alla rete femminile Medienfrauen Schweiz venne anche promossa una campagna social dal titolo: «Attenzione, donna intelligente!» che ebbe grande successo e seppellì la narrazione sessista del domenicale. C’è anche chi come Andrea Bleicher già direttrice del «Blick» ha deciso di lasciare il giornalismo perché il settore non la soddisfava più: «vedevo declinare il modello di business e non c’e-
rano le prospettive per una risalita, non vedevo più opportunità di crescita». Le condizioni di lavoro non sono più attrattive come in passato e molti cambiamo per posizioni meglio retribuite, spesso in aziende che permettono di conciliare meglio lavoro e famiglia. Tra le quindici giornaliste intervistate c’è anche Marianne Baltisberger, direttrice della «Tessiner Zeitung», che racconta della sua redazione formata da quattro donne e un uomo come un’eccezione in un panorama, quello della stampa ticinese, dominato da uomini. In particolare nei posti decisionali anche se spesso «al comando ci sono uomini incapaci scelti solo perché uomini». Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Società e Territorio
La maestra dell’alpe
Incontri Maria Pia Signorell vive da quarant’anni sull’Alp Flix, nel canton Grigioni, e da 43 anni insegna,
in lingua italiana, ai bambini e ai ragazzi di Bivio
Fabio Dozio Come ogni mattina invernale Maria Pia Signorell, a bordo della motoslitta, scende a valle per raggiungere la scuola di Bivio, dove insegna. La strada, poco dopo le sei di mattina, è però ostruita da un albero caduto nella notte a causa della neve. Niente di grave, si torna a casa, all’Alp Flix, si recupera la motosega e si libera il passaggio. «In quarant’anni credo di non essere mai arrivata in ritardo a scuola», racconta. «Forse una volta, quando una valanga ha chiuso la strada a Marmorera. Se non va la motoslitta, si prendono gli sci. Sono quarant’anni che io e mio marito facciamo su e giù, dall’Alp Flix (quasi duemila metri di altitudine) a Sur, Bivio o Savognin. È una questione di abitudine. Mio figlio, da piccolo, scendeva con noi con la motoslitta, poi, da ragazzo, prendeva il suo slittino e via». Vivere sull’alpe e lavorare in valle. Non è una questione di chilometri, una decina per raggiungere Bivio e una dozzina per Savognin, ma il fatto che d’inverno la strada è chiusa al traffico e rimane innevata per mesi, percorribile solo con motoslitte, sci o slitte.
Maria Pia Signorell. (F. Dozio)
Oggi sull’alpe vivono tutto l’anno solo due famiglie. I Signorell si sono stabiliti quarant’anni fa, trasformando una piccola baita di famiglia in una bella casa con muri di gneiss della Bregaglia. «Qui si sta bene – dice Maria Pia – quando ti alzi al mattino e ti guardi attorno sei inondato di natura. Il sole
comincia a lambire l’oratorio di Son Roc, là in fondo alla piana, poi, via via, illumina i pascoli. Forse la vita è un po’ più dura, ma anche più sana». L’Alp Flix è uno dei paesaggi naturali più significativi dei Grigioni ed è una delle attrazioni del Parc Ela. Diecimila anni fa era coperta da una spessa coltre di ghiaccio. Il ghiacciaio del Bernina arrivava fino a qui e ha plasmato valli e colline. L’enorme pressione del ghiaccio ha reso compatto il sottosuolo, impedendo il deflusso idrico e determinando la formazione delle torbiere. Paludi e torbiere e poi pascoli, a partire dal 1350 quando si insediarono i Walser provenienti da Avers che abbatterono i boschi per recuperare i prati necessari a pascolare le bestie. Oggi l’Alpe è popolata da manzi e mucche, da pecore e anche da alcune capre. I contadini falciano i prati paludosi e garantiscono la cura di questo paesaggio rurale. In mezzo alla piana dell’alpe, circondato dalla ricchissima flora, c’è l’oratorio di Son Roc, costruito dai Walser a metà del XIV secolo. È una piccola chiesetta con annessa quella che allora era la rustica abitazione del prete. Ora il Consiglio parrocchiale di Surses, di cui Maria Pia Signorell fa parte, sta riattando l’appartamento per farne un luogo di ritiro spirituale o di meditazione. Maria Pia Signorell è nata e cresciuta a Poschiavo e dopo le magistrali ha trovato lavoro alla scuola di Bivio. Allora, più di quarant’anni fa, Bivio, ai piedi dei passi del Giulia e del Settimo, era l’unico comune italofono al nord delle Alpi. È sempre stata dura per l’italiano a Bivio, racconta la maestra, il numero degli italofoni è diminuito drasticamente. Molti uomini italofoni hanno sposato donne svizzero tedesche («donne che venivano da sotto», dice Maria Pia) e questo ha portato molte famiglie ad abbandonare l’italiano. Inoltre, nel corso degli anni Novanta, c’è stato un certo accanimento contro l’italiano, perché da alcuni abitanti veniva giudicato un intralcio per lo studio del tedesco. «All’inizio si insegnavano tutte le materie in italiano, e poi avevamo l’ispettorato italofono. C’era l’ispettore Gustavo Lardi, di Poschiavo, che faceva molto per difendere la lingua a Bivio. C’è stata anche la maestra Elda Simonett-Giovanoli, una donna di grande cultura che aveva studiato in Toscana e ha lottato tutta la vita per promuovere
L’oratorio di Son Roc. (F. Dozio)
l’italiano fra i biviani. Ma la realtà dei numeri era ineluttabile. Sempre meno italofoni e sempre più tedescofoni. Oggi Bivio non è più comune autonomo, si è aggregato agli altri paesi della Valle nel comune di Surses. Ora i bambini di Bivio che seguono ancora lezioni di italiano sono quattro o cinque». Come è cambiata la scuola nel corso di questi decenni? «È cambiato molto – annota Maria Pia – il computer e l’informatica hanno trasformato parecchio. Una volta avevamo il ciclostile (chi se lo ricorda?), ora abbiamo il computer ed è tutto più semplice. Sono cambiate molto anche le famiglie. Una volta la maestra era un punto di riferimento riconosciuto e stimato. Il bambino era importante, ma i genitori non venivano in prima elementare dicendo che il figlio doveva andare al liceo. Oggi le famiglie pretendono molto per i figli. Poi è cambiata la famiglia, ci sono molte separazioni, bambini che il venerdì sera non sanno se devono andare dal papà o dalla mamma. Non dico che una volta fosse tutto meglio, ma insomma adesso un buon 50% di bambini sono figli di separati. Anche la religione ha perso importanza. Nei primi anni c’erano cattolici o riformati, ora
un buon 30% dei ragazzi è senza religione o di altra confessione. Sono cambiati molto anche i ragazzi, in passato erano più monelli. Se andavi in passeggiata scolastica dovevi fare il poliziotto. Adesso se hanno il telefonino non ci sono problemi di disciplina, sono tutti come agnelli, attaccati al loro schermo con le cuffie. Una volta erano maneschi, magari si azzuffavano, ora sono mezzo addormentati. Ai nostri tempi si facevano monellate, ricordo che a Poschiavo si organizzavano scherzi, si spaccava anche qualche vetro di finestra. Ora i giovani stanno ore con i telefonini». Dopo le magistrali – ci spiega la maestra – volevo andare a insegnare in una scuola svizzera in Spagna. Ma le cose sono andate diversamente, ho incontrato mio marito e sono rimasta qui. Nostro figlio ha 25 anni e lavora a Coira come ingegnere civile; è difficile trovare lavoro in valle, la maggioranza dei giovani deve spostarsi. Con lui ho sempre parlato italiano quando era piccolo, ma ora in famiglia si parla soprattutto romancio, la lingua di mio marito. «Anche il romancio fatica a mantenersi – sostiene Maria Pia – proprio il 24 luglio l’assemblea di Surses ha deciso di rinunciare al Rumantsch Gri-
schun, la lingua che doveva diventare il romancio unificato del cantone. Il progetto è fallito anche se l’idea era buona. Alcune regioni, come la Surselva e l’Engadina, hanno sempre boicottato il Rumantsch Grischun, per privilegiare il loro romancio regionale. Ora anche noi abbiamo rinunciato. Non si insegnerà più a scuola, ci sarà solo il surmirano. Le autorità cantonali hanno sbagliato fin dall’inizio. Per far funzionare il progetto bisognava imporre il Rumantsch Grischun, non lasciare libertà di scelta alle regioni». «Io ormai ricevo l’AVS e ho alle spalle 43 anni di insegnamento. Ma mi hanno chiesto di tenere ancora dei corsi di italiano per un paio di anni. Ho accettato, ma a patto di essere esonerata dai corsi di aggiornamento e dalle riunioni. Ormai la scuola è diventata troppo burocratica. Per ogni cosa bisogna scrivere lettere e chiedere permessi. Nei primi anni, a Bivio, se d’inverno era bel tempo, si improvvisava e si diceva ai ragazzi: portate gli sci che nel pomeriggio andiamo a sciare. Oggi bisogna mandare formulari alle famiglie quindici giorni prima», conclude sospirando Maria Pia Signorell, l’ultima maestra italofona di Bivio.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Elisa Puricelli Guerra, Il segreto del pettirosso, Salani. Da 12 anni Zelda, bel nome che preannuncia ardimento, è dodicenne nel 1911, ma in lei potranno rispecchiarsi anche le dodicenni (e non solo) del 2020. Il 1911 segna un periodo di cambiamenti emblematici, ben evidenziati nel libro: la luce elettrica, le manifestazioni per il diritto di voto, il desiderio di emancipazione femminile, il «cinematografo», con le seguitissime proiezioni in piazza di pellicole mute (accompagnate, nelle scene madri, dal pathos della «maestra Cesarini» che pigia i tasti del pianoforte). Ma questo romanzo storico evoca pure un altro periodo di per sé romanzesco, quello di cinquant’anni prima, con le eroiche imprese dell’Unità d’Italia. Nella storia compare Garibaldi e con lui altri personaggi reali, come Alexandre Dumas (che seguì come reporter l’impresa dei Mille) e come la coraggiosa Jessie White, tra le più importanti documentariste del Risorgimento, soprannominata da Mazzini «Miss Uragano». Anche la nostra Zelda, nel suo piccolo, è un ura-
gano, ma l’immagine, sin dal titolo, del pettirosso, combattivo e resistente, le calza meglio. Zelda è solo una ragazzina, per giunta ricca e forse anche un po’ viziata – come le ricorda Leggero, il suo giovane amico vagabondo e funambolo – ma certo non si tira indietro se vede un’ingiustizia, e certo non è disposta a crescere come una leziosa signorina. Cerca la sua indipendenza e lo fa con determinazione. Vive in un maniero (la «fortezza») sugli Appennini, è orfana di madre, ha un papà distratto, una nonna di temperamento (che cela intraprendenza sotto quegli occhi severi), una sorella maggiore con velleità di attrice (ma anche quello è un percorso
verso l’emancipazione), un precettore, una vecchia balia pazza, un burbero giardiniere, una variegata servitù. L’avventura s’innesca quando Zelda trova un antico diario appartenuto a una ragazza di mezzo secolo prima, una fanciulla inglese che partì a cavallo dall’Inghilterra per raggiungere Garibaldi in Italia e portare a termine una misteriosa missione. Chi era quella ragazza? Questa indagine di Zelda si intreccia con un’altra, relativa a una serie di furti che stanno turbando la cittadina di Roccastrana, e a inquietanti personaggi che si aggirano nei dintorni. Zelda potrà contare sull’aiuto di Leggero e su quello di Luce, la figlia del sindaco, un altro personaggio femminile anticonvenzionale (è una signorina di buona famiglia, ma i suoi occhialetti tondi e la sua stanza piena di reperti naturalistici e di libri ne delineano un profilo da futura scienziata). L’autrice ama i romanzi dell’Ottocento e si vede, nel suo ne ritroviamo molti temi (le agnizioni, l’orfano di colore, la vecchia nutrice delirante) adattati, seppur con un intreccio non semplicissimo, alla fruibilità dei giovani lettori.
Sante Bandirali – Alicia Baladan, L’uovo nero, Edizioni uovonero. Da 4 anni La casa editrice uovonero, attenta alle diversità e all’inclusione, festeggia i dieci anni e ci propone, in libero adattamento di Sante Bandirali e con le espressive illustrazioni di Alicia Baladan, la fiaba di Luigi Capuana da cui prende il nome. L’adattamento ne ripercorre i punti salienti: la contadina che non riesce a vendere l’uovo nero e allora, su consiglio della gallina, lo porta al re, la regina che lo cova nel suo seno, dando vita a un galletto tanto vivace quanto invincibile, che riuscirà addirittura a uscire illeso
dalla pancia del re, il re che lo adotta come figliolo, la metamorfosi del galletto in giovane uomo e – vero motivo cruciale della storia – la malinconia del ragazzo, che si sente un «diverso», che prova il desiderio di fare chicchiricchì. Ma molto sapientemente la narrazione di Sante Bandirali non punta a estirpare quest’anomalia nel ragazzo, spremendone fuori l’ultima goccia di sangue gallesco e facendone un «uomo davvero» come nel testo di partenza. Lo lascia invece esprimere con gioia, a pieni polmoni, il suo bel chicchiricchì, perché ci sono molti modi di essere uomini davvero, e la reginotta di Spagna, che diverrà sua sposa, lo amerà così com’è. Viene in mente la storia tradizionale ebraica del principe che si credeva un pollo, con il quale solo un uomo saggio, in grado di cambiare il punto di vista convenzionale, potrà entrare in relazione. Solo una saggezza profonda accoglie infatti coloro che, senza far male a nessuno, si discostano dalla presunta norma. Fosse anche per il desiderio di fare chicchiricchì. E i bambini lo sanno.
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Il massacro di Fort Mims Il 29 agosto 1813 due schiavi neri addetti al pascolo degli animali di Fort Mims, ad una cinquantina di miglia a nord dell’attuale città di Mobile, in Alabama, riferirono al comandante Maggiore Daniel Beasley di aver intravisto una pattuglia di guerrieri Creek nelle vicinanze del forte in apparente missione di ricognizione. Beasley mandò una pattuglia di scout a controllare e, visti i risultati negativi, fece frustare i due schiavi per procurato allarme. Il giorno successivo uno scout della guarnigione notificò al Comandante di aver visto tracce dei guerrieri Creek, le temute Mazze Rosse (Red Sticks) dal colore delle loro micidiali mazze da combattimento, non lontano dal Forte. Ancora una volta Beasley minimizzò, questa volta sembra in quanto ubriaco. Beasley era noto nei circoli dell’esercito americano per il disprezzo delle qualità militari dei Creek che peraltro conosceva in quanto all’interno del forte si trovavano, oltre a 265 membri della Milizia che comprendeva assieme ai bianchi Volontari del Mississipi, una
settantina di meticci indiani Tensaw nemici storici dei Creek. E almeno altrettanti indiani Creek della fazione opposta a quella che Beasley si trovava a fronteggiare, avendo affermato che con gli uomini a sua disposizione era in grado di sbaragliare qualsiasi banda di indiani che avesse ardito attaccarli. Ma in quella fatale mattina Beasley avrebbe avuto modo di ripensare alle sue certezze. Fort Mims era poco più di una palizzata mal costruita ed in condizioni di scarsa manutenzione, tanto che il cancello orientale di accesso era parzialmente aperto in quanto bloccato da un accumulo di sabbia che nessuno si era dato briga di rimuovere. Verso mezzogiorno tutti a Fort Mims erano intenti a pranzare – nessuno di sentinella sugli spalti. All’improvviso una forza stimata fra i 500 ed i 1000 guerrieri Creek Mazze Rosse irruppero dal cancello aperto sciamando all’interno del forte dopo aver messo in sicurezza i cannoni e la difese esterne. Beasley ed i suoi si ritirarono precipitosamente dentro la palizzata interna della fortificazione e da lì si
difesero strenuamente per almeno due ore. Esaurito l’impeto iniziale e vedendo le proprie perdite aumentare, i Creek si fermarono per circa un’ora, il tempo di decidere se abbandonare l’impresa o continuare fino alla fine. Vinse la fazione che sosteneva che i Tensaw dovevano pagare per aver tradito i Creek combattendo dalla parte dei bianchi alla battaglia di Burnt Corn che un mese prima aveva visto le Mazze Rosse pesantemente sconfitte con un attacco di sorpresa che li aveva colti mentre pranzavano. Pranzo interrotto per pranzo interrotto: i Tensaw dovevano morire. Alle 3 del pomeriggio la battaglia si riaccese. Questa volta i difensori rimasti si attestarono all’interno di un edificio chiamato Il Bastione per tentare un’ultima resistenza. I Creek appiccarono il fuoco e l’incendio presto si sparse in tutta la palizzata. Gli attaccanti riuscirono a sfondare le difese interne e – nonostante i tentativi per risparmiare le vite dei miliziani bianchi da parte del loro leader William Weatherford, alias Aquila Rossa, che aveva lui stesso sangue misto
Scozzese, Francese e Creek (da parte di madre) – massacrarono indistintamente miliziani, indiani meticci, Creek della fazione ostile e quanti altri si opponevano. Dopo una battaglia di ore, circa cinquecento difensori erano stati uccisi o catturati. Quasi tutti gli schiavi neri furono risparmiati, ma cento di loro vennero fatti prigionieri assieme ad almeno tre donne e dieci bambini. 250 caduti furono scalpati dalle Mazze Rosse. Dei difensori solo trentasei riuscirono a fuggire. Quando alcune settimane più tardi una colonna di soccorso arrivò da Fort Stoddard trovò 263 cadaveri dei difensori e 100 dei guerrieri Creek. La vicenda storica dei Creek è paradigmatica dei tragici paradossi che hanno insanguinato la storia delle First Nations americane fin dal primo impatto con gli europei. Nello specifico il seme avvelenato era già presente nelle fondazioni strutturali della società Creek stessa. La loro organizzazione parentale infatti è di tipo matrilineare. Il che significa che la discendenza fra i Creek è calcolata lungo la linea materna.
Questo implica che l’autorità ultima sulla prole non pertiene al padre ma allo zio materno. Considerato che i Creek furono fra i primi a venire a contatto coi bianchi ai tempi nei quali questi erano a corto di donne e sposavano volentieri donne Creek, presto venne a costituirsi una larga fascia di Creek cresciuti «come bianchi» nelle case dei loro padri europei ma legatissimi alle loro origini per il rapporto che intrattenevano coi «Creek puri» nella persona dello zio materno. Ai primi dell’Ottocento i Creek si trovarono dunque divisi in due fazioni: i «meticci» che comunque si ritenevano parte della Nazione Creek ma erano favorevoli all’adozione della cultura dei bianchi ed i «nativisti» che quella cultura rifiutavano in favore di un ritorno alle «vie degli antenati». Nel 1812 una feroce guerra civile vedeva le due fazioni mortalmente opposte. Il Massacro di Fort Mims segnò il culmine di una tragedia storica dove – come sempre peraltro? – distinguere i Buoni dai Cattivi come sarebbe comodo è gara dura, molto dura.
sempre presenti, ma le conseguenze che ne traiamo. Dimentica per un attimo il parere altrui e interroga te stessa senza paura di trovare incertezze, ambiguità, ambivalenze. Chiediti quali siano veramente i tuoi bisogni, le tue capacità, i tuoi desideri, chi sei e come vorresti essere tenendo conto che il passato non si cancella. La vita è rischio e nulla ci garantisce il successo delle nostre azioni. Non sono convinta che la coerenza sia comunque un bene, talvolta è meglio cambiare parere e agire di conseguenza cercando soprattutto di essere fedeli a se stessi. Finalmente libera, ti sei chiesta: ma per fare cosa? Svanita l’illusione del grande amore potresti, come spesso accade, restare in attesa di ulteriori occasioni. Oppure, come ti stai orientando, accettare la sicurezza che una lunga vita trascorsa insieme offre a chi si sa accontentare, accettando la penombra della consuetudine. Come sai, tra il tutto e il niente, sono sempre a favore delle mediazioni. A una certa età, cresciuti i figli, acqui-
stano grande importanza le amiche, divenute anch’esse più disponibili a condividere occasioni e iniziative. Invece di sollecitare inutilmente un coniuge pantofolaio, potresti lasciarlo tranquillamente a casa e uscire per shopping, serate culturali, viaggi e vacanze con amiche vecchie e nuove, altrettanto desiderose di autonomia. L’importante è non farsi condizionare dal giudizio altrui: la prima forma di libertà è con noi stessi, non con gli altri. Il futuro conserva per te molte sorprese, la vita ti chiederà di accogliere le nuore, di conoscere le loro famiglie, di amare ed essere riamata dai nipoti, di offrire disponibilità e ricevere in cambio tante occasioni di gioia. Ti sei presa il lusso di rifiutare una situazione matrimoniale che non ti andava bene, di mandare al diavolo una vita che sembrava garantita e ora ti trovi nella condizione migliore per dire un sì convinto. Ma bisogna che ti faccia trovar pronta al cambiamento avendo cura di te, con un lavoro interiore che stabilisca un nuovo baricentro
dell’anima. La Gianna che torna non può essere la stessa che se ne è andata. Tuttavia scegliere non è mai facile in quanto comporta di rinunciare ad altre possibilità e tentare implica sempre di poter sbagliare. Come sa ogni atleta, l’insuccesso fa parte della preparazione: il rischio si può limitare ma non eliminare. La saggezza, che Eugenio Borgna definisce una «virtù sconosciuta», consiste non tanto nel conoscere le questioni ultime più alte e sublimi, come avviene nella sapienza, ma nella capacità di apprendere dall’esperienza valutando, non solo le nostre capacità, ma anche le nostre potenzialità, le risorse inattese che si attivano vivendo e ascoltando le risonanze emotive, i battiti del cuore.
Thomas Mann, di cui Thilmann Lahme, storico e divulgatore tedesco, aveva raccontato virtù pubbliche e vizi privati nella saga familiare Die Manns, successo editoriale di qualche anno fa. Gli esempi, del resto, si sprecano, anche vicino a noi. Persino Herman Hesse, diventato oggetto di culto popolare postumo, non era facile da avvicinare, protetto da una moglie sentinella. Così ricordava mio padre che riuscì, tuttavia, a intervistarlo. Partendo dal caso Hesse, si tocca un aspetto particolare del rapporto lettoreautore. Quando, appunto, dall’ammirazione a distanza si passa al desiderio d’incontrare la persona in carne e ossa. O, per lo meno, i luoghi in cui visse o fece vivere le sue storie, diventati mete di un turismo ad hoc. Come Rochester, nel Kent, tanto amata da Dickens. Come Amherst, Massachusetts, dove Emily Dickinson visse una volontaria segre-
gazione, e attira fan provenienti anche dal Ticino. Come la Sicilia, descritta e inventata da Andrea Camilleri, dove sulle tracce di Moltalbano si muovono lettori che arrivano persino da oltre Oceano. Si tratta di un fenomeno che negli ultimi decenni ha assunto nuovi connotati: da pellegrinaggio individuale è diventato collettivo, organizzandosi in gruppi e club di fan all’insegna dell’autore del cuore e, non da ultimo, della moda del momento. È un tifo librario più che letterario, al quale i critici ufficiali guardano con sospetto. Ma funziona, sfruttando il bisogno primario di trovare nelle pagine la presenza di un amico, una necessità più che mai evidente durante il lockdown. Che poi, nel suo vissuto reale quest’amico sia una persona inaffidabile, come dimostrano le zelanti ricerche dei revisionisti, è in parte vero. Sotto-
valuta, però, il fatto che il proverbiale abbinamento genio e sregolatezza ci procura insostituibili momenti di svago, riflessione, conforto. Nei cui confronti abbiamo un impagabile debito di gratitudine. Passa quindi in seconda linea la personalità reale dello scrittore uomo che, magari, potrebbe essere un caratteraccio, un tipo da evitare, come raccomandava un vecchio direttore del «Corriere del Ticino»: «Leggetelo ma non frequentatelo». Ne feci tanti anni fa un’esperienza mortificante tentando d’intervistare Ignazio Silone, di cui ero una fedele lettrice. L’incontro fu un flop. Lo scrittore immusonito, anzi infastidito, non rispondeva alle domande. Un caso che, per carità, non deve indurre ad affrettate generalizzazioni. Piuttosto a rispettare la privacy dell’autore e continuare ad apprezzarlo per quel che fa e ci regala.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Le contraddizioni del cuore Cara Silvia, ti leggo sempre e tante volte avrei voluto conoscere il tuo parere, lo faccio ora, in condizioni disperate, quando tutto sembra ormai perduto. Ho 63 anni, tre figli maschi ormai adulti e fuori casa, un lavoro che mi appassiona e un ex marito, non so quanto ex. In breve, un anno fa, dopo quarant’anni di matrimonio ritenuto da tutti, anche da me, un «buon matrimonio», mi sono stufata di avere accanto un uomo più vecchio, ormai in pensione, di bell’aspetto, in ottima salute, ma che non ha voglia di niente. A ogni proposta la sua risposta è sempre no: no a ristrutturare la casa, no a invitare gli amici, no a permetterci qualche viaggetto, una cena al ristorante, una spesa di troppo… La mia esasperazione è cresciuta quando si è fatto avanti un collega, sposato con due figli, deciso (almeno sembrava) a lasciare la moglie, depressa e astiosa. In realtà questa separazione non è mai avvenuta e, dopo qualche incontro un po’ imbarazzato, ogni interesse è svanito e sono tornata a essere la collega di
prima. A questo punto la depressa sono diventata io e, per reazione, ho deciso di separarmi, lasciare l’abitazione a mio marito e andare a vivere in un appartamento vicino, ma da sola. Una decisione accolta da un coro di felicitazioni da parte delle donne che conosco. Lo considerano un atto di coraggio, una conquista di libertà, un esempio di saggezza. Ma è proprio così? Mi trovo a fare i conti con una cosa nuova, la solitudine. E rimpiango la vicinanza, anche se noiosa, di mio marito. Annoiarsi da soli è peggio che annoiarsi insieme. A questo punto avrei deciso di tornare a casa. Probabilmente questa volta mio marito direbbe di sì e i ragazzi sarebbero contenti, ma ho paura dei commenti negativi del coro che ha applaudito la separazione. Cosa penseranno amiche, parenti e conoscenti di comportamenti così contraddittori? E io non mi pentirò un’altra volta? / Gianna Certo che ti pentirai, non una ma tante volte, ma ciò che conta non sono le contraddizioni del cuore umano,
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Grandi scrittori, ma caratteracci Anche i mostri sacri della letteratura mondiale non sono più degli intoccabili. Non li ha risparmiati l’ondata del revisionismo storico che va di moda e mobilita i biografi controcorrente, impegnati in un’operazione dissacratoria. Non potendo, ovviamente, demolire opere immortali, prendono di mira lo scrittore come persona, osservandone i comportamenti quotidiani attraverso la lente della psicologia e del pensiero attuali. Vittima illustre, persino simbolica, di questa tendenza critica, Charles Dickens. In una recente ricerca, The Mistery of Charles Dickens (Atlantic Books), il giornalista inglese Andrew Norman Wilson rivisita la figura di un autore, considerato il difensore delle giuste cause per antonomasia. Il Dickens buonista, insomma, schierato dalla parte dei bambini maltrattati, delle prostitute da redimere, degli operai sfruttati.
Cioè, miserie e ingiustizie della Londra vittoriana, che lui esplorava negli angoli più reconditi. A quest’immagine edificante Wilson contrappone quella di un uomo avido di successo e di soldi che mortificava moglie, figli e colleghi. Un caratteraccio, per dirla tutta. La stessa sorte è spettata a Dostojevski. Lo propone sotto una luce impietosa il critico franco-rumeno Virgil Tanase, nella biografia, pubblicata da Gallimard. Pure qui, un mostro sacro siede sul banco degli imputati, accusato d’ipocrisia. Se nelle sue pagine lancia messaggi morali d’impronta religiosa, in realtà, secondo Tanase, i protagonisti dei suoi romanzi, violenti. psichicamente labili, dediti all’alcol e al gioco d’azzardo, rispecchiano gli stessi vizi e fragilità dell’autore. Al novero dei grandi scrittori-caratteri impossibili, appartiene a pieno titolo
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Ambiente e Benessere Terre assediate dai pirati Reportage da uno dei luoghi più fortificati dei Caraibi che era, ed è ancora, Portobelo
Le aringhe prima di tutto Nonostante i pregiudizi sulla cucina olandese, i Paesi Bassi hanno un’interessante tradizione gastronomica pagina 19
Le piante che curano Per la rubrica Fitoterapia, un approfondimento sulle specie diuretiche e purificatrici pagina 20
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La fine del cambio manuale Oggi con i cambi automatici robotizzati, a doppia frizione, si ottengono buone prestazioni
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La maratona del vaccino Covid-19 Risultati incoraggianti,
Maria Grazia Buletti «Non è finita, il virus sta sempre lì ad aspettare una sola cosa: che gli uomini si incontrino e che lui possa infettarli, perché in fin dei conti questo è il suo compito», Alessandro Diana, medico vaccinologo all’HUG di Ginevra, pediatra e professore all’Unige, fa il punto della situazione sulla ricerca di un vaccino, e in ragione delle differenze di contagio che separano il Ticino dal canton Ginevra: simili durante la prima ondata virale, queste due regioni svizzere oggi presentano una situazione diametralmente opposta in termini di contagi: «È come quando si è riusciti a domare un pochino l’incendio di una foresta: dalle ceneri è normale che si riaccendano dei focolai qua e là, perché il fuoco, se alimentato, riprende a bruciare. L’attenzione generale va poi dove vediamo il fumo: ora qui, domani là, ecco tutto». Una buona ragione per mantenere alta l’attenzione: «Tutti sono oramai comprensibilmente stanchi del virus, emerge il bisogno di vacanze, vorremmo che tutto sia finito, ma è proprio ora che dovremmo “metterci un po’ a livello” per evitare il riaccendersi di focolai sempre più ampi». Gli fa eco l’UFSP che mette in guardia la popolazione «sempre meno attenta a igiene e distanza»: «Constatiamo in generale un certo rilassamento da parte della popolazione nel mantenere le misure di igiene e distanziamento sociale, con la conseguenza di mettere in quarantena più persone rispetto a maggio, quando è stato reintrodotto il sistema del contact tracing». A questo proposito, il vaccinologo Diana ricorda alcuni aspetti imprescindibili di cui tenere conto: «Questo virus, sempre presente, si è adeguato in un’unica cosa: sappiamo che ha modificato una proteina della sua corona per adattarsi meglio alle cellule umane. Ciò significa che la contagiosità interumana è molto più elevata: il virus non è di per sé più aggressivo (le persone che necessitano di ospedalizzazione sono
sempre circa il 20 percento del totale degli infettati), ma è chiaramente in grado di contaminare meglio gli esseri umani e questo corrisponde a una maggiore carica virale di chi è infettato». Ecco perché, spiega, oggi sappiamo che le persone asintomatiche infettate sono il 40-45 per cento del totale. Diana sente il bisogno di rivolgersi anche ai giovani, in ragione dell’abbassamento dell’età di contagio: «Sebbene nei giovani il rischio di mortalità sia minore, stiamo imparando che questo virus comporta pure conseguenze a lungo termine sulla salute. Dunque, avere meno fattori rischio per i giovani non significa che non possano essere soggetti, una volta contagiati, agli effetti debilitanti di lungo termine; pensiamo ai fattori cardio-polmonari, addirittura miocardite per alcuni casi, insufficienze cardiache…». Lo specialista pensa si sia privilegiata la comunicazione ai gruppi a rischio e agli anziani, dimenticando forse di rivolgersi direttamente anche ai giovani. E il messaggio è chiaro: «È vero che la mortalità è bassa, ma rimane il rischio di sequele a lungo termine che non vanno sottovalutate. Se ciò va spiegato ai giovani sotto i 30 anni, questi saranno in grado di comprendere l’importanza di proteggere non solo genitori e nonni, ma anche loro stessi con le misure adeguate oramai note». Sulle misure per contrastare il Coronavirus subentra il discorso della ricerca di un vaccino dalla provata efficacia. Le notizie si susseguono e, più che uno sprint, la corsa intrapresa da decine di laboratori in tutto il mondo nella ricerca di un vaccino contro il Covid-19 appare come una maratona. È oramai palese che il processo di ricerca di un vaccino efficace e sicuro necessita tempi lunghi, così come, a giusta ragione, è lungo il processo di concessione delle licenze, anche in Svizzera. Ma la speranza di trovarlo quanto prima prevale, alimentata dalle tante notizie quotidiane di singoli studi portati avanti a livello mondiale. Il portavoce di Swissmedic (orga-
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ma ancora nessuno sul podio nella ricerca per immunizzarsi contro il virus sempre più contagioso (non maggiormente aggressivo)
nismo svizzero incaricato di autorizzare e controllare gli agenti terapeutici) Lukas Jaggi ha affermato: «Un vaccino per l’autunno? No, è un malinteso. Ciò che ci auguriamo per questo autunno è l’inizio delle prove della fase 2». Sulla stessa linea Diana: «Di norma ci vogliono da 10 a 12 anni dai primi test di laboratorio all’arrivo sul mercato di un prodotto di provata efficacia; oggi l’emergenza globale e la ricerca globalmente condivisa (COVAX) permetteranno di accelerare alcune fasi, ma non tutte». Egli sottolinea che nessuno parla mai abbastanza dell’efficacia: «E invece si dovrebbe! La storia ci insegna che ad oggi la probabilità che un singolo vaccino funzioni è del 10 per cento», da qui l’importanza dell’odierna ricerca condivisa, seppur con metodi differenti, su circa 200 possibili vaccini: «A un certo punto si troverà qualcosa: forse uno o, meglio, più di un vaccino che funzioneranno, e sarebbero davvero i benvenuti».
È appurato che la portata della pandemia abbia dato un notevole impulso alla ricerca su questo nuovo virus. Prova è che, a proposito di vaccino, a inizio agosto la «NZZ am Sonntag» riporta che in sei importanti ospedali svizzeri è tutto pronto per il primo grande studio di un vaccino contro il Coronavirus: «Nelle prossime settimane potrebbe essere somministrato a circa mille candidati al vaccino di Moderna, ma per ora l’inizio è bloccato perché mancano otto milioni di franchi per il suo finanziamento». In Ticino, ai microfoni della RSI, il direttore dell’Istituto di scienze farmacologiche della Svizzera italiana professor Alessandro Ceschi ha dichiarato che l’Ente ospedaliero cantonale potrebbe essere uno tra i sei ospedali svizzeri scelti per l’avvio dei test del vaccino: «La coordinazione di questo studio è nelle mani di un istituto basilese che si è già attivato con i grossi centri universitari e medici, tra cui l’EOC. Bisogna
creare una rete di centri di ricerca clinica che possano arruolare volontari e testare il vaccino nell’ambito di questo studio». Per ora, comunque, Diana ribadisce: «La massiccia ricerca è promettente, ma ricordiamoci che bisognerà poter disporre di un vaccino efficace e sicuro. Ecco perché, per ora, il miglior vaccino di cui disponiamo è di non prendere la malattia, attuando i comportamenti che fungono da barriera ed evitano l’infezione». Egli lascia aperto lo scenario sulla problematica del futuro: «Trovato il vaccino, come si farà a distribuirne miliardi di dosi? Quali saranno i problemi di produzione e distribuzione da superare? Certo, se ne avremo più d’uno di provata efficacia, anche la distribuzione equa e completa del vaccino ne beneficerà». E sulla ricerca ribadisce l’importanza dell’unione che fa la forza: «Stati, distribuite i vostri investimenti a favore di una ricerca costruttiva!».
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Ambiente e Benessere Il Forte del Morro de Los Tres Reyes, L’Avana. Su www.azione. ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
Sulle rive del Caribe
Viaggiatori d’Occidente Reportage dalle fortezze dei pirati Paolo Brovelli, testo e foto Possenti son le loro mura. Minacciose e guardinghe si stagliano sulle rocce a picco sul mare o, quatte, s’articolano lungo i fiumi; oppure spesso sono tutt’uno coi porti, le città mitiche dei tesori del Nuovo Mondo, dove barbagliavano promesse di ricchezza o s’infrangevano sogni di gloria. Stan lì, le fortezze del Caribe, ormai silenziose di truppe e cannoni, ma loquaci di storie, quelle che raccontano di pirati e d’arrembaggi. Grazie a loro gli spagnoli hanno conservato il controllo di quella parte di continente che per secoli li ha resi i più ricchi del pianeta (se non si considerano i cinesi). Il Caribe – che noi chiamiamo Caraibi per una delle consuete sviste linguistiche – è un piccolo mare, come il nostro Mediterraneo, preso tra il continente e le Antille Grandi e Piccole, da Cuba fino a Trinidad. Esso fu il fulcro del potere spagnolo, lo snodo principale delle ricchezze americane. Per questo i forti, i baluardi. Per tener lontani pirati, corsari, filibustieri, avventurieri e criminali d’ogni risma; spesso guerriglieri infiltrati in terra straniera, protetti e autorizzati da governi interessati – francese, olandese, inglese – a intaccare la strapotenza iberica. Una guerra europea combattuta su mari coloniali.
Uno dei punti più fortificati era (ed è) Portobelo. Sulle coste settentrionali panamensi, questa cittadina bollente e assonnata, con casette di mattoni coperte di lamiera e povertà era, nel Seicento, un centro commerciale di prim’ordine e uno degli snodi principali della rotta dei tesori sudamericani che da Lima, Perù, sbarcavano alla Città di Panama, sul Pacifico, per arrivare infine a Portobelo a dorso di mulo, attraverso il Camino de las cruces, il primo tracciato interoceanico americano. Qui li attendeva la Flota de indias, la flotta del tesoro, lo strumento del monopolio commerciale spagnolo, artefice della prima globalizzazione, quando anche la biologia dei continenti tornò a rimescolarsi. Una volta l’anno, armata fino ai denti, la flotta faceva la spola tra Siviglia e le Americhe – Portobelo, Veracruz e Cartagena de Indias – sostituendo il carico di beni introvabili recati dalla madrepatria con le ricchezze americane, prima di riunirsi a l’Avana per affrontare l’Atlantico sulla via del ritorno. Portobelo fu scoperta e battezzata in lingua italica – Porto Bello – nientemeno che da Cristoforo Colombo, nel suo quarto viaggio atlantico. Seduti su un cannone arrugginito rivolto alle acque chete della baia, tra i merli della fortezza di Bateria de Santiago, Felipe,
Il Palazzo della dogana nel Porto di Portobelo.
pescatore curioso e informato sulla storia della sua città, mi fa notare che l’architetto qui fu italiano come me: Battista Antonelli, un romagnolo di Gatteo (Forlì) incaricato dal governo spagnolo di concepire un sistema di fortificazioni per tutto il Caribe, nella seconda metà del Cinquecento. In seguito ho scoperto che non solo Antonelli ha costruito il sistema difensivo di Portobelo ma anche tante altre fortezze, a partire da San Lorenzo, all’imboccatura del Rio Chagres,
fino al Morro de los Tres Reyes, l’imponente fortilizio de L’Avana, Cuba. A Cartagena de Indias, Campeche, Veracruz, in decine di altri porti e punti strategici, dinanzi a queste rocche scure e squadrate, sotto queste mura (quasi) inespugnabili, si comprende la posta in gioco: le ricchezze di questo continente, soggetto per secoli a spoliazione sistematica, in stato di diritto, da parte dei colonizzatori, con miniere, stermini, schiavitù e scudiscio. Loro avversa-
La Fortezza dell’Immacolata Concezione, sul Rio San Juan (Granada).
Vecchi cannoni al Forte di Bateria de Santiago a Portobelo.
ri, ma non per questo dalla parte degli sfruttati, i fuorilegge, perennemente a caccia di bottino con arrembaggi, sequestri, rapine e assalti. Mentre Felipe si distrae con altri turisti, mi torna alla mente l’impresa forse più ardita che un corsaro abbia mai concepito: la presa e la distruzione di Panama da parte del famigerato Henry Morgan, nel 1671. Si racconta che nei periodi buoni sui moli panamensi venissero allineati centinaia di pesanti lingotti d’argento e d’oro provenienti dalle miniere andine e dai gioielli della dinastia Inca. La città prendeva vita solo qualche mese l’anno, all’arrivo del carico, ma allora diventava il centro del mondo. Con un’opera diplomatica degna d’uno statista, Morgan mise insieme un enorme esercito di scalmanati per prenderla d’assalto. Di sorpresa sbaragliò le difese antonelliane e poi attraversò l’istmo a piedi. La città, sguarnita per superbia, fu saccheggiata e rasa al suolo. Fu poi rifondata a una decina di chilometri dall’originale, ma io preferisco aggirarmi tra le rovine di Panama Viejo: una chiesa scoperchiata, un campanile e qualche altro edificio tra i ficus. Serve molta immaginazione per percepire la passata grandezza. Il corsaro Morgan, di fatto uomo del governo britannico sotto mentite spoglie, fu arrestato pro forma dagli inglesi e spedito a Londra, dove però fu accolto come eroe nazionale. Prima dell’epidemia di Covid-19 il Caribe era un paradiso turistico. Oggi i chioschi di paglia attendono invano i visitatori nelle spiagge bianche orlate di palme. E tuttavia, senza la consueta animazione mondana, è più facile immaginare storie di mappe, risse, uncini e barili di rum… Tutto il leggendario apparato riprodotto in film e romanzi, dal Corsaro Nero al più noto Jack Sparrow disneyano. Nel nostro mondo, i pirati ci sono ancora, eccome: nelle Seychelles, nel Golfo di Aden, nello Stretto di Malacca... Un giro d’affari miliardario, proprio come ai bei tempi, per questo mestiere antico come la navigazione. Ma il Caribe resta la matrice, il luogo degli inizi, dove il nostro immaginario dei pirati ha preso la sua forma definitiva.
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Ambiente e Benessere
Antichi riferimenti sul vino
Scelto per voi
Vino nella storia Molte le iscrizioni all’interno delle piramidi che fanno riferimento
al nettare di uva, ma anche a quello di datteri e di melagrana Davide Comoli È attingendo ai nostri scatti fotografici e memorie – che abbiamo raccolto, e continuiamo a raccogliere – che entriamo in punta di piedi nello spirito delle attività agricole degli Antichi. Ed è grazie al rileggere copie di remoti papiri o incisioni geografiche, o all’immergersi nella lettura di pagine di autori greci o latini, che ci sembra quasi, soprattutto nei silenzi notturni, di entrare in un mondo bucolico; nei loro campi, nelle loro vigne. Ci sembra quasi di essere presenti nella loro economia famigliare. Le Lodi alla vita rustica di Albio Tibullo (69-19 ca. a.C.) è il libro che, lo confessiamo, sta da sempre sul nostro
comodino, perché alle volte ci è di conforto dopo giornate faticose e notti in cui si fa fatica a prender sonno. Erodoto di Alicarnasso (V sec. a.C.) considerato dagli antichi il «padre della storia», chiamò l’Egitto «dono del Nilo». L’agricoltura fu la principale e grandiosa risorsa di questo Paese. Grazie al sopraccitato Erodoto, i Greci furono i primi a descrivere con dovizia di particolari l’Egitto. Un geroglifico attinente alla Prima Dinastia, verso il 3000 a.C., indica il termine «vite», mentre il termine «irp» che indica vino, incomincia ad apparire solo nei testi della Seconda Dinastia, 2700 a.C. circa. È dalla Quinta Dinastia – 2400 a.C. – che all’interno delle pira-
Questa stele funeraria di Tembu ha una decorazione che mostra, tra le scene di offerta, una delle figlie della coppia che si trova davanti alla grande giara di vino decorata con una «nymphaea caerulea» e presenta una coppa di vino ai suoi genitori. Proviene dall’antica città di Tebe occidentale, Egitto. (Walters Art Museum)
midi vengono scolpiti dei testi religiosi usati nei riti funebri regali, i cosiddetti «Testi delle Piramidi». In questi testi notiamo una chiara sacralità nei confronti del vino. Ma le piramidi rappresentano per noi altre fonti d’informazione. Sui loro muri antichissimi troviamo infatti rappresentate operazioni relative alla produzione del vino, scene di vendemmia, trasporto dell’uva, pigiatura, torchiatura e travaso del mosto nelle giare. Su alcuni papiri si trovano riferimenti a diversi tipi di bevande. Al fianco della birra e del vino che erano le bevande tradizionali, troviamo citati vino di melagrana, vino di datteri, e mosto dolce non fermentato. Abbiamo pure trovato interessanti i riferimenti allo «shedek», bevanda che viene descritta come molto inebriante, particolarmente apprezzata dai giovani. Molto frequenti sono pure le citazioni di una bevanda ottenuta lasciando fermentare il lattice colato dall’incisione del tronco delle palme di dattero e chiamato vino di palma. Era di fatto il vino dolce più apprezzato, e se ne trova traccia sul papiro in onore della città di Tanis nel Delta – luogo che Ramses II (1289-1224 a.C,) aveva riscostruito e rinnovato, facendone la sua capitale –; su questo papiro si può infatti leggere quanto segue: «Son giunto a Tanis e l’ho trovata in condizioni molto buone… / i suoi granai sono pieni di orzo e grano: / melagrane, olive, mele e fichi del frutteto. / Vino dolce di Kaen-Kemet che vince il miele». Le iscrizioni sulle anfore ritrovate nella tomba del faraone Ramses II (1200 a.C. circa), ci rivelano ben trentaquattro denominazioni geografiche di diverse località dove veniva prodotto il vino; centri importanti per la produzione erano l’oasi di Kharga, il Fayyum e la Tebaide con la città di Copto. Ma il vino egiziano, per quanto conosciuto nell’area del Mediterraneo, non aveva grande rilievo sul mercato e, considerati i rapporti che l’Egitto aveva con gli altri popoli, sappiamo, sempre attraverso le varie iscrizioni, quanto importanti fossero le importazioni di vino. Grazie a quanto si può leggere su un manoscritto datato 300 a.C., sappiamo della richiesta a un certo Lisi-
maco da parte del dieceta Apollonio, al quale erano state assegnate delle terre, per avere dei piantoni di alberi di vite e di frutta. La risposta di Lisimaco comprendeva una lista di ben undici varietà di vite. Nell’antichità, la Palestina era celebre per i suoi vini. Sinuhe, famoso medico reale egizio vissuto durante la XII Dinastia, ci ha lasciato un documento in cui scrive: «in quella terra, vi son fichi e uva, e il vino è più diffuso dell’acqua». Tuttavia, il più antico e prezioso documento in cui noi possiamo attingere e cercare informazioni sul tema vitivinicolo è l’Antico Testamento. Nella Bibbia infatti troviamo molte attestazioni che dimostrano come il vino (yayin), fosse considerato una merce preziosa e molto importante. Nel Libro dei Numeri si legge che gli uomini inviati da Mosè a esplorare le terre di Canaan, giunti a Hebron «tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono con una stanga in due». Anche la toponomastica di quei luoghi ci dà la conferma di come la viticoltura fosse importante. Presso Hebron, infatti, troviamo località con nomi come: «Prato delle Vigne», «Casa della Vigna», «Grappolo», «Luogo di Uve». Si può dedurre quindi come il vino si fosse solidamente affermato nella società, tant’è vero che ne conosciamo il nome di alcune tipologie. Tirosh (vino nuovo), Shekar (vino forte), Ashishah (vino mescolato al mosto), Yayin ha-rekah (vino speziato). Oltre a queste tipologie, la Bibbia fa riferimento a molti tipi di vini e ne descrive i vari impieghi, che vanno dai rituali sacri all’utilizzo in campo medico e ad altri meno nobili come l’utilizzo come tintura. Curioso è l’apologo che troviamo nel Libro dei Giudici, dove la vite viene invitata a regnare su tutti gli alberi. Tuttavia, la vite preferisce assolvere le proprie generose funzioni più che incensarsi e non rinuncerà al suo mosto che dà gioia. Grande esempio di saggezza che ci dà la vite in questa parabola, ma un altro pregevole riferimento lo troviamo in Siracide (24,17), dove la saggezza personificata dice di se stessa: «Come una vite ho splendidi pampini, i miei fiori portano frutti di gloria e di ricchezza».
Heida 2018
Vero gioiello della vinicoltura vallesana, la maison Robert Gilliard, fondata nel lontano 1885, ha continuato negli anni a espandersi e a modernizzarsi. Il vigneto di sua proprietà conta più di cinquanta ettari. Molti sono i vitigni che vengono vinificati, tutti appartenenti al vasto mondo ampelografico del Canton Vallese. L’Heida ha una storia molto antica, che sa di leggenda anche un po’ nebulosa: c’è chi parla di origini del nord della Francia, chi addirittura di origini retiche, portata dalle legioni romane. L’Heida che oggi vi proponiamo è prodotto con il Sauvignon Blanc della famiglia dei Traminer, nel basso Vallese, ed è conosciuto con il nome di Païen. Matura in altitudine e come tutti i vitigni vallesani, grazie al favonio. Vale la pena provare questa gemma della famiglia Gilliard, rimarrete sorpresi dai suoi deliziosi profumi di noci e nocciole. L’Heida è un bianco secco, con una buona acidità e note un po’ rustiche di pane di segale che restano a lungo in bocca. Sopporta bene l’invecchiamento, per questo noi consigliamo di berlo dopo 2-3 anni di permanenza in bottiglia. Sono pochi i produttori che vinificano questa specialità, è quindi un privilegio poterla gustare. Da accompagnare ai piatti di salumeria affumicata, ai formaggi nostri delle Alpi e ai pesci d’acqua dolce, in modo particolarealletrotedifiume./DC Trovate questo vino nei negozi Vinarte al prezzo di Fr. 21.50. Annuncio pubblicitario
Fare la cosa giusta
Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Lilian: caritas.ch/uganda-i
Lilian Ariokot (25 anni), contadina in Uganda, supera la fame
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I Paesi Bassi in cucina
Ambiente e Benessere
Nel 1600, quando i Paesi Bassi erano un faro di modernità, ricchezza e tolleranza, tutti coloro che vi si recavano per una visita restavano ammaliati. Salvo per una cosa: la cucina, che troppi deludeva. Era tuttavia un’opinione un po’ estrema; vediamo ora di conoscerla meglio.
Aringhe prima di tutto: salate, affumicate o al naturale, sono molto consumate e apprezzate in Olanda Affacciati sul mare del Nord, i Paesi Bassi, come suggerisce il nome, sono caratterizzati da un territorio completamente pianeggiante. La cucina tradizionale sfrutta le poche risorse disponibili, derivate soprattutto dall’allevamento e dalla pesca: carne, latte e derivati (burro, latticello e formaggi) e pesce, aringhe prima di tutto. Queste ultime, salate, affumicate o al naturale, sono molto consumate e apprezzate: non è insolito vedere, nei bar o nei chioschi, gli olandesi che le «pescano» da un barattolo e, tenendole pxzer la coda, le passano direttamente in bocca. La carne preferita è quella di maiale, che viene utilizzata sia fresca sia conservata (salsicce affumicate, pancetta, strutto). Con i formaggi tipo edam si preparano crocchette semplici e saporite. Le patate accompagnano molti piatti, come per esempio il filosoof, preparato con i tuberi lessati, mescolati con carne trita e cipolle, ripassati nel burro e quindi infornati. Lo stamppot (nella foto) è invece un passato di patate lesse cui si mescolano carote, cipolla, indivia belga cruda oppure cavolo riccio o rape; il tutto accompagnato da cubetti di pancetta fritta e salsicce affumicate. Con patate, carote e cipolle si prepara anche l’hutspot, un bollito di
manzo che deve sobbollire per almeno quattro ore e viene servito con le verdure frullate e mantecate con burro. Lo stesso piatto prevede una variante con le aringhe dissalate. Le patate entrano anche nella composizione della erwtensoep, una densa zuppa di piselli secchi arricchita da würstel affettati a rondelle. Il cavolo riccio connota invece il boerenkool, uno stufato di salsicce affumicate e patate, mentre gli champignon accompagnano il kip en bier. Una specialità molto diffusa sono le crespelle: grandi quanto un piatto, vengono preparate con una pastella a base di uova e con l’eventuale aggiunta di lievito; per gustarle al meglio devono essere servite ben calde con accompagnamenti salati (salsicce affumicate, pancetta o formaggio) o dolci (sciroppo d’acero, mele o zucchero). Esistono ristoranti specializzati che ne propongono anche centinaia di tipi diversi (con ciliegie, panna montata, verdure, funghi…). Interessante e variegato il capitolo dei dolci. Torte e biscotti si affidano soprattutto al burro, ma sono spesso insaporiti da spezie, melassa e zucchero di canna, eredità dell’impero coloniale olandese. La vlaai è una torta con frutta fresca e secca; gli appelflappen sono fagottini di pasta brisée ripieni di mele e uvetta e cotti in forno; la boterkoek è una torta al burro farcita con le mandorle. Ci sono anche frittelle di pasta lievitata con scorza di mela candita e uvetta (oliebollen), servite preferibilmente la notte di San Silvestro; cialde con la melassa (stroopwafels) e vari biscotti speziati come gli spekulas, nella cui composizione entrano zucchero di canna, zenzero, chiodi di garofano, noce moscata, pimento e cannella. Più o meno con le stesse spezie si prepara una torta (ontbijtoek) arricchita anche dalla melassa; dopo una lunga cottura viene lasciata raffreddare per 24 ore ed è servita spalmata di burro, insieme al tè o durante la prima colazione.
CSF (come si fa)
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Allan Bay
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Gastronomia Sulla tavola degli olandesi frutti di allevamento e pesca, ma soprattutto patate
Che io straveda per la trippa, si sa. Vediamo oggi come si fa un piatto a base di trippa, che mi piace molto. Si noti che il problema della trippa è che è… troppo magra, essendo sostanzialmente priva di grassi, meno del cinque per cento, mentre è ricca di tessuto connettivo elastico, che richiede sì una lunga cottura ma che grasso non è. Dato che, a mio parere (sia chiaro), è
il grasso che dona il sapore alla carne, cuocere la trippa «in purezza» ovvero senza aggiungere tagli grassi, non è una mia pratica usuale. Polpette di trippa e costine (ingredienti per 6 persone). Spezzettate 600 g di trippa a piacere. Spezzettate 300 g di costine di maiale – fatelo fare dal macellaio, le ossa devono essere di 2 cm al massimo. Mettete trippa e costine in una casseruola, aggiungete 300 g di cipolla, carota e sedano a dadini (quelli surgelati vanno benissimo), coprite a filo di acqua, stemperate una punta di concentrato di pomodoro e cuocete per 3 ore fino a quando le ossa saranno del tutto separati dalla carne. Spegnete, lasciate intiepidire ed eliminate le ossa. Passate tutto al tritacarne. Mettete il trito in una ciotola e mescolatelo ben bene con 200 g di pane sec-
co ammollato in latte per 30 minuti, scolato e strizzato, 2 uova, abbondante prezzemolo finemente tritato, regolate di sale e di peperoncino a piacere. Formate con il composto di trippa delle polpettine rotonde e passatele nella farina prima di friggerle in abbondante olio di semi ben caldo. Passate le polpettine, ben scolate dall’olio di frittura, in una teglia antiaderente e copritele con abbondante salsa di pomodoro: va bene se è quella classica rossa, va meglio se fatta con pomodori gialli. Regolate di sale e fate cuocere in forno, coperte, per dieci minuti rigirandole di tanto in tanto. Se volete accompagnatele con purè di patate, con riso cotto pilav o con una pasta a piacere, una versione alta dei mitici spaghetti with meat balls degli americani.
Ballando coi gusti Oggi due saporiti piatti a base di pesce. Possono essere preparati in tutte le stagioni.
Tonno con i porcini
Sgombro con piselli
Ingredienti per 4 persone: 4 fette di tonno da 150 g l’una · 300 g di funghi porcini anche decongelati · 1 spicchio di aglio · 1 cipolla · prezzemolo · olio di oliva · sale e pepe.
Ingredienti per 4 persone: 4 sgombri da 300 g l’uno · 400 g di piselli · 1 spicchio
Togliete il tonno dal frigorifero 30 minuti prima. Tritate l’aglio, la cipolla e abbondante prezzemolo. Mondate i funghi, strofinateli con un panno umido per eliminare tutti i residui di terriccio e affettateli. In una padella rosolate il trito con olio per 1 minuto, unite i funghi e cuocete fino a quando non avranno buttato fuori la loro acqua. Regolate di sale e di pepe. Levate e tenete in caldo. Nella stessa padella scottate il tonno per 30 secondi con poco olio, girate le fette, unite i funghi e cuocete ancora per 1 minuto. Servite subito.
Mondate gli sgombri, eviscerandoli e privandoli della testa, lavateli e asciugateli. Tritate l’aglio con la cipolla e il prezzemolo. Rosolate gli sgombri in una padella con un filo di olio, sgocciolateli e teneteli da parte in caldo. Mettete il trito nella stessa padella, unite poco olio e rosolatelo per 1 minuto. Sfumate con ½ bicchiere di vino, aggiungete un dito di acqua nel quale avrete stemperato un cucchiaio di concentrato, unite i piselli e cuocete per 2 minuti. Aggiungete gli sgombri e cuocete coperto per pochi minuti. Regolate di sale e di pepe e servite.
di aglio · 1 cipolla · concentrato di pomodoro · prezzemolo · vino bianco secco · olio di oliva · sale e pepe.
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Ambiente e Benessere
Diuretiche e disintossicanti Fitoterapia Tra le piante utili, anche la Gramigna detta pure Zizzania
Eliana Bernasconi Il nostro corpo è composto per metà di acqua ed è anche importante che l’acqua vi circoli. Tramite una catena di reazioni metaboliche l’organismo ricava energia dal cibo ed espelle le tossine per mezzo degli organi emuntori: polmoni, intestino, fegato e vie biliari, reni e pelle. Parallelo al sistema cardiocircolatorio il sistema linfatico regola gli accumuli di liquido nei tessuti, quando il corpo non si libera adeguatamente da queste scorie metaboliche che si accumulano, abbiamo ad esempio un colorito spento, gonfiori, mal di testa. La ritenzione idrica può essere di tipo renale, linfatico, alimentare, circolatorio o iatrogeno.
L’Ortosifonide, secondo studi approfonditi, pare abbia la capacità di abbassare il colesterolo e di curare i calcoli renali Sono molte le erbe per far fronte a questo disturbo e che dunque stimolano il sistema linfatico e aiutano il corpo a eliminare le tossine: una preparazione semplice, molto usata e venduta in fitoterapia è la tisana, dove i principi vegetali possono essere di una sola pianta o più frequentemente una combinazione sinergica di varie piante. Sono almeno tredici (e più) le piante diuretiche, spesso anche depurative, che possiamo utilizzare, in questo articolo ne citeremo alcune. Come sempre, se si vuol farne uso, occorre affidarsi a esperti accertati per trovare il sistema che meglio funziona in base alla persona e al tipo di ritenzione idrica. Le tisane vanno comunque evitate in gravidanza; l’utilizzo dei diuretici pare diffuso tra gli sportivi e le persone che vogliono dimagrire. Secondo la dottoressa Elisabetta Boncompagni, docente di tecniche erboristiche all’Università
di Padova «chi voglia assumere particolari erbe sotto forma di tisane o infusi, allo scopo di drenare e aumentare la funzionalità epatica e renale, dovrebbe berne alcune tazze ogni giorno per un ciclo di venti-trenta giorni, ciascun tipo di preparazione fitoterapica ha proprietà organolettiche precise, una determinata concentrazione di principi attivi e specifiche indicazioni terapeutiche». I decotti, ne abbiamo già parlato in questa rubrica ma giova sempre ripeterlo, sono ottenuti immergendo le piante in acqua fredda che poi si porta a ebollizione per un periodo di tempo variabile tra cinque e venti minuti; le Infusioni si preparano versando acqua bollente sulle piante e filtrando dopo cinque-dieci minuti; le tinture alcoliche si ottengono dalla prolungata macerazione (anche più giorni) del vegetale in alcool al 60 per cento; le polveri, tritando finemente le erbe essiccate e confezionandole poi in compresse o capsule; gli estratti, sia secchi sia fluidi, vengono ricavati dall’evaporazione delle tinture o succhi tramite solventi; i macerati si preparano ponendo le piante in olio, vino o acqua fredda per un periodo di tempo variabile da alcune ore a qualche settimana; infine gli oli medicamentosi vengono preparati immergendo le piante in vasi d’olio d’oliva purissimo ed esposti al sole per due-tre settimane. Fra le maggiori piante drenanti abbiamo la Betulla dal legno dolcissimo, che è l’albero cosmico venerato dagli sciamani siberiani, perché aprirebbe le porte del cielo. Simbolo di purezza presso molti popoli, conosciutissima è la Linfa di betulla, che si estrae dalla corteccia delle piante a primavera, è diuretica, sgonfiante, anti-infiammatoria, anticellulite, e protegge le vie urinarie. La Hieracium pilosella, dalle piccole corolle gialle e stelo sottile, consigliata per prima da Ildegarda di Bingen (1098-1179) contrasta la ritenzione idrica, cura le infiammazioni delle vie urinarie, depura il fegato e stimola i reni. L’Ortosifonide è pianta esotica che proviene dall’Isola di Giava e dal sud
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est asiatico; anche nota come Tè di Giava, è stata oggetto di studi approfonditi nei quali si è constatata la sua capacità di abbassare il colesterolo e la sua importanza per la cura dei calcoli renali: è usata anche per diete e sovrappeso. Si prepara una tisana con circa 2-3 g di foglie in 150 ml di acqua calda. L’Equiseto, una pianta molto antica oltre che diuretica, è rimineralizzante perché ricca di silicio, e contribuisce alla fissazione del calcio nelle ossa. Oltre che stimolante della diuresi, aiuta a eliminare le scorie metaboliche. Altra pianta antica è il Tarassaco o Dente di leone. Dalle benefiche proprietà depurative, il decotto di radici unito alle foglie di equiseto era impiegato contro i calcoli renali e vescicali. Vi è ancora l’Uva Orsina, pianta rara che cresce solo nelle pinete e zone subalpine, vicino ai rododendri: ha forti proprietà antisettiche e diuretiche, ed è anti-infiammatoria delle vie urinarie. Chi ha la fortuna di possedere nell’orto o nel giardino un albero di ciliegio conosce certamente le proprietà diuretiche del decotto che si ottiene con i peduncoli del frutto maturo, piante famose per essere diuretiche sono anche l’Ananas (usato nella lotta contro la cellulite) che contiene la Bromelina, un potente enzima digestivo e anti-infiammatorio, ed il Carciofo, noto agli egizi, per avere proprietà diuretiche, febbrifughe, digestive. Narra una leggenda che durante la creazione del mondo Dio diede origine alla famiglia delle Graminacee, (da «grano»), cioè riso, avena, orzo, farro, mais eccetera, tra loro spiccava la Gramigna, chiamata anche Zizzania o grano selvatico: era bellissima e fiera della sua altezza. Volendola portare all’inferno, il diavolo le passò accanto gettandole sopra una manciata di cenere rovente. Terrorizzata, la pianta si abbassò fino a sprofondare nel terreno, e nel far questo estese le sue radici in orizzontale ramificandosi ovunque: divenne così terribilmente infestante. A quel punto il Creatore, impietosito,
L’esotica Ortosifonide, nota come Tè di Giava. (David J. Stang)
donò alle sue radici preziose proprietà. Da questa pianta erbacea perenne e comunissima, dall’aspetto simile al frumento che invade con i suoi rizomi le coltivazioni vicine, deriva l’espressione «mettere zizzania» per indicare chi si insinua nelle relazioni altrui distruggendone la serenità. Plinio il vecchio, noto scrittore e naturalista dell’antica Roma, nella sua Naturalis historia ne descrive per primo l’utilizzo come rimedio medico dei calcoli renali e potente diuretico. La Gramigna ha inoltre proprietà decongestionanti dell’apparato respiratorio. Di questa pianta si usa il succo e il rizoma, che ha proprietà diuretiche depurative e anti-infiammatorie, aumenta il volume di acqua nelle urine e contrasta la ritenzione idrica; è per questo utile nel trattamento della cistite. Il
decotto era usato contro i dolori intestinali e per sciogliere i calcoli della vescica. Un decotto ottenuto con il rizoma di gramigna sminuzzato, foglie di ortica, foglie di piantaggine, fiori e foglie di malva, era bevuto dalle donne per ridurre le vampate della menopausa. I suffumigi fatti col decotto di rizoma erano usati per guarire dai raffreddori. Una curiosità: nel passato, in campagna, i bimbi cercavano i nuovi germogli, simili a ochette, e giocavano con loro mettendoli in fila. Bibliografia
Federica Romegialli e Viviana Fontanari, Il grande libro del drenaggio e della purificazione, Zuccari (2006). Gabriele Peroni, Trattato di Fitoterapia Driope, Nuova Ipsa editrice.
Meraviglioso Acanto
Mondoverde Alto, maestoso, bello e tanto appariscente
da farsi guardare in tutta la sua sfacciata eleganza
Per il reparto logistica della Centrale di distribuzione a S. Antonino, cerchiamo
Autisti di veicoli pesanti Data d’inizio Da concordare Requisiti – Patenti B C CE con Certificato di capacità valido (CQC) – Almeno 3 anni di esperienza alla guida di autotreni e autoarticolati – Patenti SUVA per utilizzo di carrelli elevatori – Flessibilità negli orari di lavoro (lunedì–sabato) – Buone doti relazionali – Conoscenza della lingua tedesca costituisce titolo preferenziale Mansioni – Guida di mezzi pesanti prevalentemente sul territorio ticinese – Carico/scarico dei veicoli – Trasmissione delle informazioni efficiente e puntuale – Gestione e cura del mezzo (controlli giornalieri) Offriamo – Prestazioni sociali all’avanguardia – Ambiente di lavoro aperto e dinamico Saranno prese in considerazione solo le candidature con i requisiti corrispondenti al profilo indicato e complete dei documenti richiesti (copia). Le persone interessate sono invitate a compilare la loro candidatura in forma elettronica, collegandosi al sito www.migrosticino.ch (sezione «Lavora con noi»), includendo la scansione dei certificati d’uso.
Ho sempre utilizzato il treno per recarmi al lavoro, ma dalla riapertura post Covid-19, ho rispolverato la mia bicicletta. Inizialmente titubante della mia resistenza, ora non potrei più fare a meno della «passeggiata» mattutina e serale. Non solo per l’esercizio fisico, ma anche perché la velocità di crociera del mio mezzo mi permette di sbirciare aiuole, bordure, giardinetti, vasi, piccoli parchi, che quotidianamente tengo monitorati passandoci accanto. Ed è stata una sorpresa, anzi, una meravigliosa sorpresa, veder svilupparsi in poche settimane una pianta di Acanthus mollis che ha emesso prima delle lunghe foglie lobate, di color verde scuro, lunghe quasi un metro e con portamento ricadente e poi, nelle settimane successive, la comparsa degli alti fiori, che hanno raggiunto il metro e mezzo di altezza, dal color rosa sfumato di bianco. Coltivato a mezz’ombra in una stretta aiuola sulla cantonale di Magliaso, questa bella e appariscente erbacea perenne, scompare per tutto l’inverno, rispuntando da marzo fino alla fine di ottobre, quando
Luis Nunes Alberto
Anita Negretti
andrà ripulita dalle foglie secche. Le foglie sono riccamente incise e già nell’antichità non passavano inosservate, se si considera che nell’architettura greco-romana venivano dipinti e scolpiti nei capitelli corinzi. Dai primi di maggio si aprono i fiori presenti sulle alte spighe appariscenti, regalando splendore a tutta la pianta, che nel massimo del suo sviluppo raggiungerà, come abbiamo visto, il metro e mezzo di altezza e il metro abbondante in larghezza. Della famiglia dell’Acanthaceae, è una pianta tipica della flora mediterranea, che resiste bene anche alle stagioni più fredde grazie alla fase di riposo invernale a cui va in contro. Non ama concimazioni troppo ravvicinate e il sole diretto: è perfetta la mezz’ombra che evita la bruciatura delle foglie. Oltre ad Acanthus mollis, esiste anche A. spinosus, che come suggerisce il nome, presenta spine sulle foglie e dimensioni leggermente più contenute del mollis. Non ho potuto resistere: me ne sono comprata una pianta e ora attendo che si sviluppi bene per creare un altro punto d’interesse nel mio giardino.
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Ambiente e Benessere
Un futuro sempre più automatico Motori La storia del cambio manuale e della sua lenta ma irriducibile trasformazione
Mario Alberto Cucchi In Europa sempre più automobilisti scelgono il cambio automatico. A svelarlo i risultati di un nuovo studio condotto da Ford. Negli ultimi tre anni il numero di automobili e veicoli commerciali Ford acquistati con il cambio automatico è più che triplicato: dal 10,4% del 2017 al 31,3% del primo semestre 2020. Ma da dove arriva questa tecnologia automobilistica che in molti usiamo quotidianamente?
È stato per molti anni prerogativa di auto lussuose e di grande cilindrata, oggi il cambio automatico è per tutti Il cambio automatico si è diffuso particolarmente negli Stati Uniti a partire dagli anni Cinquanta anche se in realtà il primo brevetto di un «cambio automatico progressivo di velocità» venne presentato e registrato in Italia nel 1931 a nome di Elio Trenta, un ingegnere. Quest’ultimo si presentò con i progetti alla Fiat ma l’azienda torinese si dichiarò «non interessata». Di parere opposto fu invece l’americana Oldsmobile tant’è che, nel 1940, presentò per prima una serie di veicoli equipaggiati con «Hydra-matic», ovvero un cambio a 4 rapporti senza frizione basato sul brevetto dell’ingegnere italiano. Si trattava di un’opzione a pagamento e costava 57 dollari. Gli statunitensi ne furono conquistati e negli anni Cinquanta ven-
L’interno di una Ford con cambio automatico di ultima generazione.
nero vendute milioni di auto dotate di cambio automatico. A Oldsmobile seguirono General Motors, Chrysler e tutti gli altri costruttori statunitensi. In breve tempo in America il cambio manuale fu solo un ricordo del passato. Va detto che i primi cambi automatici non erano particolarmente efficienti e ben si adattavano, più che ad altre auto, ai motori a stelle e strisce caratterizzati dalla grande ci-
Giochi Cruciverba
Un chicco d’uva passeggiando si trova davanti un albero di fichi e chiede: «Mi fai passare?» – Il fico risponde: «No!» Allora il chicco d’uva ripete: «Per favore spostati!» E il fico: «Nooo!» Il chicco d’uva prende un bastone e gli dà una botta in testa… Trova «la morale della favola» leggendo, a cruciverba ultimato, le lettere evidenziate. (Frase: 4, 5, 3, 5) ORIZZONTALI 1. Sostegno per cavi sospesi 4. Vengono prescritti 10. Si spegne nel silenzio 11. Preposizione articolata 12. Non si deve nutrire 13. Nota musicale 14. Massimo a Roma 15. La fine degli inglesi 16. Percepire con l’olfatto 18. Nella mitologia erano dei semidei 19. Attaccato al raspo 20. Al contrario è un’incognita... 22. Contrapposta all’altra 23. Priva di luce 25. Si gonfiano al vento 27. Isole di ghiaccio 29. Monte di Creta 30. Smottamento Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
lindrata. Con i primi automatici si consumava anche un po’ di più, ma in USA il gallone di benzina è sempre costato meno del litro in Europa. Intanto nel vecchio continente la maggior parte dei veicoli continuava ad adottare il cambio manuale e i ragazzi a 18 anni imparavano a usare con dolcezza il pedale della frizione e a manovrare con la mano destra la lunga leva del cambio. In Europa l’au-
tomatico è stato per molti anni prerogativa di auto lussuose e di grande cilindrata come Rolls-Royce e Jaguar. Gli automobilisti più sportivi amavano invece il manuale, il cambio marcia era più rapido e ne guadagnavano le prestazioni. La velocità massima delle vetture «manuali» era maggiore e sullo 0-100 km/h il cronometro si fermava prima. A sparigliare le carte arriva negli
anni Novanta la tecnologia con l’introduzione del cambio semi-automatico sequenziale o robotizzato in cui il guidatore tramite levette dietro il volante o leva centrale indica al computer quale rapporto inserire e quest’ultimo provvede senza che il pilota debba usare la frizione. Un cambio molto più efficiente rispetto ai suoi predecessori. Da lì il passo è breve grazie anche ad automobili popolari come la Smart che hanno contribuito alla diffusione del cambio automatico in Europa. Con il passare degli anni anche le auto più veloci come le Porsche e le Lamborghini hanno abbandonato il cambio manuale quasi del tutto. Ormai da anni con i cambi automatici robotizzati, a doppia frizione, si ottengono buone prestazioni. Anche nelle accelerazioni più brucianti l’elettronica ha battuto l’uomo e con l’automatico si ottengono tempi migliori. La Formula 1 insegna. E arriviamo ai giorni nostri in cui stiamo scrivendo le pagine del nostro futuro a quattro ruote. «Tra i numerosi vantaggi delle trasmissioni automatiche c’è che consentono ai conducenti di godere delle più recenti tecnologie di assistenza alla guida, rendendo tutto più semplice e confortevole, dal parcheggio alla guida nel traffico», ha affermato Roelant de Waard, vice president, marketing, sales & service, Ford of Europe. «Ci aspettiamo che questa tendenza continui, poiché in futuro sempre più persone sceglieranno veicoli elettrici, che montano trasmissioni automatiche». Ebbene sì. Queste tecnologie non sono compatibili con i «vecchi» cambi manuali. Il futuro è automatico.
Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku 1
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Sudoku Soluzione:
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Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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Soluzione della settimana precedente
31. Le iniziali di un giornalista Angela 32. La magia delle streghe 34. Isola in francese 35. Titolo nobiliare inglese 36. Gravosa, pesante 37. Un valore geometrico VERTICALI 1. Non si dà alle quisquilie 2. Piena di acredine 3. Articolo 4. Ne è carente l’anemico 5. Un ruminante 6. Adesso a Mendrisio 7. Sposare un’iniziativa 8. Primo elemento di parole composte
che vuol dire cane 9. Tintura disinfettante 11. Lady... Spencer 14. Materiale per pennelli 17. Un bulbo umano 18. Seconda moglie di Priamo 20. Parti di un atto teatrale 21. Una capra in... genere 23. Un teatro che... va su e giù 24. Erano dette «I cani di Zeus» 26. Fu abitato per primo 27. Un fiore violetto 28. Anagramma di agra 33. L’autore di Striscia la notizia (iniz.) 35. Le iniziali dell’attrice Rocca
CONSIGLI UTILI – Prima di pulire l’argento, lasciatelo una notte... Resto della frase: … IN ACQUA E BICARBONATO.
I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
Partecipazione online: inserire la
luzione, corredata da nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui
soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Politica e Economia I Democratici si presentano Alla Prima Convention il tandem presidenziale sembra ricalcare il disegno di Obama
Bielorussia in piazza La popolazione non accetta il risultato delle urne ma Lukashenko prosegue indisturbato, anche con la repressione pagina 27
Il valore dei Bilaterali L’importanza strategica del primo pacchetto di accordi con l’UE, in bilico se il 27 settembre il Popolo dirà sì all’abolizione della libera circolazione
Consumi, nuove tendenze La pandemia rende meno piacevoli gli acquisti, ne risentono in particolare quelli d’impulso
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pagina 31 App SwissCovid sul lungolago di Lugano: meno del 15 per cento della popolazione la utilizza. (Keystone)
L’unità che viene meno
Covid-19 Tra la popolazione emerge una certa frustrazione, mentre i casi aumentano e tra le nazioni
è in corso una gara al vaccino
Luca Beti Stiamo correndo una maratona. Le autorità ce l’hanno ricordato più volte. Non sono i 100 metri piani, una gara in cui puoi mettere il motore in folle dopo meno di 10 secondi. 42 chilometri sono un’altra cosa: arrivare fino in fondo è spesso una questione di testa perché le gambe, a un certo punto, ti dicono di lasciare perdere, di fermarti. E con l’epidemia di Covid-19 non è molto diverso. Se all’inizio, in marzo e aprile, tutti remavano nella stessa direzione e la popolazione seguiva giudiziosa le raccomandazioni del Consiglio federale, con il passare dei mesi emergono la frustrazione e la stanchezza. Ma non è ancora il momento di disunirsi. Il numero di contagi in Svizzera è aumentato notevolmente nelle ultime settimane. Il 19 giugno, giorno in cui il Consiglio federale ha revocato la situazione straordinaria, si registravano 100 casi al giorno. Attualmente, sono mediamente più di 200. È un’evoluzione che preoccupa, anche se non è paragonabile a quella del picco della pandemia. Che l’aria sia cambiata, lo si percepisce anche dai toni usati nei commenti e nei forum di discussione online. Di
recente, ad essere finito nella bufera è l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), reo di aver commesso alcuni grossolani errori nell’arco di pochi giorni. Prima ha pubblicato delle cifre errate relative al rischio di contagio, poi ha comunicato il decesso di un paziente, che invece si trovava semplicemente in isolamento. Ma questi sono, in ordine di tempo, solo gli ultimi problemi emersi all’interno dell’UFSP, dovuti soprattutto alla raccolta dati, che avviene in parte ancora in maniera manuale. Se i laboratori comunicano il risultato dei test tramite un modulo digitale, medici, ospedali e cantoni trasmettono, quando lo fanno, buona parte delle informazioni tramite fax o e-mail. Sono dati che i collaboratori dell’UFSP devono riportare manualmente nelle statistiche, ciò che accresce il rischio d’errore. Dopo la pioggia di critiche delle ultime settimane, Sang-II Kim, responsabile della trasformazione digitale presso UFSP, ha detto che si correrà ai ripari, accelerando il processo di digitalizzazione. Per esempio, dalla fine di settembre tutte le informazioni sulle persone risultate positive al test verranno registrate in una nuova banca dati nazionale. Ciò permetterà alla Con-
federazione e ai Cantoni di avere una visione d’insieme sui fattori di rischio, sui luoghi in cui avvengono i contagi, sull’evoluzione dell’epidemia e di adottare misure adeguate a contenere la diffusione del virus. Sarà necessaria anche una coordinazione tra i Cantoni al fine di evitare provvedimenti e restrizioni a macchia di leopardo, soprattutto dal primo ottobre, da quando sarà nuovamente permesso organizzare eventi con più di 1000 persone. Ma questa non è certo l’unica sfida con cui sono confrontate le autorità. Il tracciamento dei contagi, una delle misure su cui si basa la strategia per contenere la diffusione del nuovo Coronavirus, si sta trasformando in un’attività estremamente dispendiosa in termini di tempo, personale e denaro. Spesso, i team cantonali responsabili di ricostruire le catene di trasmissione non riescono a risalire al luogo in cui è avvenuto il contagio. È così nel 39% dei casi a Berna, nel canton Argovia la quota è del 43%, mentre a Zurigo è addirittura del 65%. A ciò si aggiunge ora un altro grattacapo. Se finora si riteneva che una persona fosse contagiosa fino a due giorni prima della comparsa dei sintomi della malattia, ora si parla invece di
cinque o sei giorni. Infatti, alcuni ricercatori del Politecnico federale di Zurigo (ETH) hanno scoperto un errore di calcolo in uno studio dell’Università di Hong Kong, studio su cui si basava il cosiddetto contact-tracing. Con questi nuovi parametri, la ricostruzione della catena dei contagi rischia di trasformarsi in un’impresa ciclopica e di far lievitare il numero di persone da mettere in quarantena. Tutto sarebbe più semplice se la SwissCovid, che ora è in grado di interagire con le app antiCovid di Italia, Germania e Austria, fosse usata da almeno il 60% della popolazione. Invece, l’app per smartphone è stata scaricata da uno svizzero su quattro, meno del 15% l’ha attivata sul suo cellulare e solo una persona risultata positiva al test su tre ha inserito il codice per informare coloro con cui ha avuto un contatto ravvicinato (a una distanza inferiore ai 2 metri) per più di 15 minuti. Eppure, al momento, non abbiamo molte altre possibilità per tenere in scacco il nuovo Coronavirus e per evitare una seconda ondata. Infatti, un vaccino non sarà probabilmente disponibile prima della metà del 2021. Stando all’Organizzazione mondiale della sanità, attualmente
circa 165 gruppi di ricercatori sono impegnati nello sviluppo di un vaccino e 25 stanno svolgendo test clinici sugli esseri umani. E in attesa dell’anti-Covid, i Paesi puntano milioni sull’uno o sull’altro progetto di ricerca, come se fossero al tavolo della roulette. Tra loro anche la Svizzera che non vuole rimanere a mani vuote in questa gara tra nazioni. La Confederazione ha acquistato preventivamente 4,5 milioni di dosi dall’azienda statunitense Moderna. Il costo dell’operazione, stando a informazioni di stampa, dovrebbe aggirarsi sui 100 milioni di franchi. Per continuare il giro d’acquisti, all’Ufficio federale della salute pubblica rimangono altri 200 milioni, dei 300 stanziati dal Consiglio federale. E così, come durante il momento più drammatico della pandemia quando venivano bloccate le forniture di mascherine alla frontiera, emerge di nuovo un nazionalismo che preoccupa l’OMS. Il suo direttore generale Tedros Ghebreyesus ha ultimamente ricordato che «nessuno è al sicuro finché non sono tutti al sicuro», appellandosi alla solidarietà internazionale. Infatti, a differenza di quella vera, la maratona contro il nuovo Coronavirus la si vince solo assieme.
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Politica e Economia
Gli errori da non ripetere
Elezioni USA La recente Convention tenuta in modalità «virtuale» mostra la ferma volontà dei democratici
di riprendere la guida del paese: i sondaggi per ora sono favorevoli, ma lo erano anche quattro anni fa...
Federico Rampini Una coincidenza perfida, o una «congiura giudiziaria»: la serata finale della convention democratica, quella del discorso di Biden, ha coinciso con l’arresto di Steve Bannon che fu uno dei registi del clamoroso risultato di Trump nel 2016. Questo rafforza la sensazione che l’onesto Joe sia destinato a conquistare la Casa Bianca per ragioni di superiorità morale anzitutto. Una sorta di Mani Pulite all’americana, deve incidere un bubbone, ripristinare condizioni di normalità democratica, salvare le istituzioni repubblicane da una deriva verso l’autoritarismo, il malaffare, il governo dei mariuoli. Il rischio è di appiattire la scadenza elettorale sulla figura del demonio-Trump.
Messo nell’ombra Clinton, l’appoggio di Obama è una carta importante per Biden e Kamala Harris Gli opinionisti ironizzano sulla «convention in pigiama» che tutti hanno seguito restandosene a casa, ma c’è poco da scherzare: è un esperimento unico nella storia, riadattare le modalità della comunicazione politica rinunciando a quei raduni di massa che avevano una potenza simbolica evidente, aiutavano a lanciare slogan e programmi, fornivano adrenalina anche ai leader meno carismatici. Finora Biden ha tratto benefici da una campagna virtuale e poco visibile, perché gli è stata tolta ogni opportunità di farsi del male da solo con le sue leggendarie gaffe. La non-convention democratica ha avuto scarsa attenzione per la lezione di Bill Clinton, perché è la più imbarazzante: la sinistra vince catturando il centro politico e il Sud geografico, può riuscirci se usa messaggi moderati e rassicuranti, non inseguendo le vecchie ricette a base di Grosso Stato Spendaccione. Il partito ha cercato di mettere in ombra Clinton, assegnandogli cinque minuti: un’umiliazione per un oratore carismatico che era abituato ad allargarsi senza limiti. Certo il 42esimo presidente degli Stati Uniti è diventato radioattivo per la generazione di #MeToo, per le giovani femministe che si riconoscono in Alexandria OcasioCortez. La nuova leva ricorda di lui solo il peggio: la relazione sessuale con Monica Lewinski che gli costò un mezzo impeachment, l’amore per il denaro e i miliardari delinquenti (come il pedofilo Jeffrey Epstein), i conflitti d’interessi della sua fondazione filantropica che riceve troppi soldi da governi stranieri. È per tutte queste ragioni che Bill e Hillary divennero sinonimo di establishment, una macchina di potere dinastica capace di catalizzare le antipatie fino a provocare il rigetto: l’elezione del 2016 finì come sappiamo. Ma c’è un altro Clinton di cui certi democratici hanno dimenticato le lezioni. È l’ex ragazzo «white trash», spazzatura bianca perché cresciuto in una famiglia di proletariato povero del Sud. È il capo che fece dimenticare la disastrosa presidenza Carter, spezzò 12 anni di dominio repubblicano (due mandati Reagan, uno di Bush padre). È il combattente che seppe individuare le priorità degli americani: «It’s the economy, stupid». È il revisionista-riformista, che voltò le spalle alla tradizione del Big Government, della sinistra tassa-e-spendi, diventando un modello per Tony Blair, Gerhard Schroeder, Romano Prodi. Certo, quella fu l’epoca
Un tandem presidenziale che vuole rappresentare e riconciliare le varie anime del partito nelle elezioni di novembre. (AFP)
delle privatizzazioni e della deregulation in cui si seminarono i germi di disastri futuri. La versione americana della Terza Via fu segnata da collaboratori di Clinton legati a Wall Street, come l’ex banchiere Robert Rubin che lui volle a capo del Tesoro. Fu il via libera alla speculazione selvaggia sui derivati, ai peggiori eccessi di Wall Street che avrebbero generato i crac del 2000 (Nasdaq, Enron) e soprattutto del 2008. La presidenza Clinton vide anche la firma dei grandi trattati di libero scambio, dal Nafta al Wto, tutto ciò che è costato nel 2016 emorragie di voti operai, regalando la Casa Bianca a Trump. Ma incollare a Clinton le malefatte di quel periodo non è possibile senza ricordare il risvolto buono: gli anni Novanta furono anche un’Età dell’Oro con pieno impiego. Le diseguaglianze si dilatavano ma la loro percezione era attutita dalla crescita. Barack Obama vinse due volte seguendo abbastanza il modello Clinton: tanto carisma personale, ma scelte politiche moderate. Per i democratici il dilemma è attuale. Hanno un disperato bisogno di riconquistare il potere, dalla Casa Bianca al Senato alla Corte suprema, per questo occorre ritrovare la ricetta per un consenso ampio. Ma basta vincere, se una volta riconquistato il governo lo si usa per lasciare inalterate tutte le storture sociali e le ingiustizie? Il sogno dei radicali è una vittoria-terremoto, con un riallineamento sismico dei valori dominanti, stile New Deal di Franklin Roosevelt. Capita, forse, una volta ogni secolo. Clinton offrì un modello diverso, che i puristi di oggi vogliono ripudiare. Ma prima bisogna vincere. L’appoggio di Obama a questa convention è stato il passaggio più importante di tutti, non solo per l’immenso capitale politico che il primo presidente afroamericano della storia può spen-
dere, la sua forza di trazione verso le minoranze e i giovani. Per lui portare Biden fino alla Casa Bianca significa anche chiudere i conti rimasti aperti, riparare gli errori compiuti. Per Obama lo scenario di questi ultimi due mesi e mezzo sembra un déjà vu: un presidente repubblicano conclude il suo mandato nel mezzo di una crisi economica spaventosa; se un democratico lo sostituisce gli toccherà gestire l’emergenza, far rinascere un’economia stremata. È il sequel del 2008, quando Obama ereditò il crac sistemico dei mutui subprime; con l’aggravante di una pandemia tuttora in corso. Dodici anni fa Obama e il suo vice Biden dovettero prendere scelte difficili in pochissimo tempo, sapendo di non avere margini di errore. Come evitare che una maxirecessione si avviti in una Grande Depressione? Allora fu evitato il peggio e l’economia americana ritrovò la crescita già alla fine del 2009. Però la fretta e l’imperativo di non correre rischi imposero prezzi pesanti. I banchieri furono salvati a spese del contribuente, senza pagare alcun prezzo. Le diseguaglianze continuarono a dilatarsi in modo abnorme. Le denunce del movimento Occupy Wall Street sull’economia fatta per l’1% dei privilegiati vennero dirottate dal Tea Party, una mobilitazione di destra che preparava l’avvento di Trump. La sinistra si era alleata con l’establishment, spalancando alla destra nuove opportunità di cavalcare la rabbia del popolo. Obama-Biden scelsero come priorità di rimettere in moto la macchina dell’economia ad ogni costo, senza interrogarsi sulla legittimità di chi la guidava, senza intervenire sulle cause delle ingiustizie sociali. Prudente lo fu anche la riforma sanitaria, piena di compromessi col capitalismo delle assicurazioni e di Big Pharma. Infine non si aprì mai il cantiere delle grandi riforme
fiscali, non si cercò di far pagare il giusto ai potentati del capitalismo, Silicon Valley in testa. Tutto questo ha contribuito a rendere possibile l’impensabile, cioè un Trump alla guida della più antica liberaldemocrazia. L’ala sinistra del partito in questi anni ha istruito un processo alla presidenza Obama, elencando tutte le delusioni: inclusa la piaga del razzismo nelle forze dell’ordine. Una presidenza Biden e poi un seguito con Kamala Harris dovrebbero ricostruire dei ponti fra due Americhe che hanno perso ogni rispetto reciproco. Ricucire un tessuto di unità nazionale, di convivenza civile e di dialogo, è anche la premessa per ripensare la strategia delle alleanze internazionali, che Obama-Biden hanno visto deperire pericolosamente. Se l’elezione è un referendum su Trump, il controcanto ai democratici è l’indice di Borsa che segna nuovi record storici e cancella tutte le perdite da Coronavirus: Trump se ne appropria come di un merito suo. Il messaggio dei mercati finanziari è un generico ottimismo sulla ripresa, però i democratici non possono dimenticare che l’economia rimane l’unico terreno sul quale Trump riscuote più fiducia dello sfidante. Biden rimane in testa ai sondaggi. Ma esiste la possibilità che i sondaggi sbaglino come nel 2016? È utile ricordare perché quattro anni fa la quasi-totalità delle indagini demoscopiche davano Hillary vincente. La diagnosi di quel macro-errore è stata fatta, ne conosciamo tre cause principali. Primo: i campioni dei sondaggi sottorappresentavano l’elettorato senza titoli di studio, il più propenso a votare Trump. Secondo: nel 2016 esisteva una ritrosia a dichiararsi pro-Trump visto il disprezzo che circondava il candidato in ambienti «autorevoli». Terzo: quattro anni fa si arrivò al voto con una
percentuale alta di indecisi, che all’ultimo momento voltarono le spalle a Hillary. Gli errori del 2016 sono stati emendati? Sul primo punto i sondaggisti dicono di sì, sostengono di aver aumentato il peso dei non-laureati. Sul secondo: oggi è probabilmente diminuito il pudore degli elettori trumpiani, visto che è presidente. In quanto agli indecisi, oggi all’11% sono meno di quattro anni fa a quest’epoca. RealClearPolitics è la fonte più importante per osservare i sondaggi americani, cercando di evitare lo shock del 2016. Offre una media di tutte le rilevazioni, aggregandole la prima conclusione è questa: Biden conserva un solido vantaggio (7,7 punti) su Donald Trump. Però l’evoluzione non gli è favorevole. Un mese fa quel vantaggio era superiore, attorno al 10%, quindi sembra esserci stata una rimonta del presidente in carica. Seconda osservazione, relativa agli Stati-in-bilico, quelli che nel 2016 crearono la sorpresa dell’ultima ora e fecero la differenza assegnando il collegio elettorale a Trump (benché Hillary avesse più voti in numero assoluto). Anche qui Biden è in testa, ma il suo vantaggio è di 4,3 punti quindi meno solido di quello nazionale. Poiché il 2016 fu l’anno nero dei sondaggi, e Hillary pur data per favorita non conquistò la Casa Bianca, è interessante il paragone con le rilevazioni di quattro anni fa a quest’epoca. Biden oggi ha un vantaggio nazionale ancora superiore su Trump rispetto a quello di cui godeva Hillary. Però il presidente è messo un po’ meglio di allora rispetto allo svantaggio (apparente) di cui soffriva su Hillary negli Stati-in-bilico. Infine Trump è in una situazione meno disastrosa che nel 2016 per quanto riguarda la «favorability» cioè il giudizio generale degli intervistati sulla sua persona.
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Politica e Economia
Lukashenko non se ne va, anzi Bielorussia Il risultato delle elezioni e la reazione violenta della polizia alle proteste popolari creano
un movimento trasversale in cui si uniscono giovani e anziani, intellettuali e operai, ma il presidente non molla
Sul megafono c’è scritto «Golos Naroda», cioè «Voce del popolo»: una scena dalla piazza di Grodno. (Keystone)
Anna Zafesova «Bielorussi, siete incredibili»: ripetuta decine di volte, nelle piazze e nelle chat, la frase è diventata uno degli slogan della protesta contro Alexandr Lukashenko, con tutto lo stupore e l’orgoglio di una nazione che da «ultima dittatura d’Europa» si è scoperta protagonista di una rivolta pacifica ma determinata contro l’autocrate. Dalle elezioni del 9 agosto, decine e centinaia di migliaia di persone in tutta la Bielorussia scioperano e manifestano per avere un nuovo voto, onesto e trasparente. Una richiesta alla quale si è unita anche l’Unione Europea, che non ha riconosciuto l’80 per cento che Lukashenko si è attribuito, e ha chiesto nuove elezioni e dialogo con l’opposizione. Ma mentre Bruxelles e altre capitali occidentali hanno messo in guardia contro un’ingerenza russa, a Minsk è iniziata una invasione «ibrida» di consulenti venuti da Mosca ad affiancare i propagandisti e i poliziotti di Lukashenko, un alleato poco gestibile che però Vladimir Putin ha deciso di preferire all’alternativa di un cambio al vertice e soprattutto di un cambio di regime in senso democratico. Lukashenko governa ininterrottamente da 26 anni, e questo è il quinto risultato elettorale che l’Europa non gli riconosce come valido. Ai brogli si è aggiunta la repressione violenta della protesta per il risultato falsificato: almeno 6 mila fermi, quattro persone uccise dalla polizia che ha aperto il fuoco sui manifestanti, decine di feriti e centinaia di cittadini pacifici arrestati e torturati dalla polizia. I medici hanno segnalato decine di ferite gravi, e anche di stupri, e le urla dei detenuti nella prigione di Okrestino sono state ascoltate dai parenti radunati sotto le
mura del penitenziario. Ma l’incredibile brutalità della repressione non ha spaventato i bielorussi, aumentando semmai il sostegno alla protesta, che ora chiede oltre a nuove elezioni anche lo stop alle violenze e la punizione dei responsabili.
A fronte della condanna europea, Putin segue gli sviluppi della situazione che sembra assecondare i suoi disegni politici I manganelli della polizia hanno trasformato la protesta in un’autentica rivolta popolare, che ha visto affiancate generazioni giovani e meno giovani, intellettuali e operai, abitanti della capitale e delle città di provincia, uomini e donne. Il colore bianco dei vestiti delle centinaia di donne che hanno formato nelle strade catene umane contro la violenza non richiama soltanto l’abito tradizionale e il nome del Paese («Russia bianca»), ma vuole essere anche il simbolo di questa trasversalità. È una rivolta che non si appoggia a partiti – la dittatura di Lukashenko ha praticamente represso per decenni l’opposizione – o ideologie, non ha programmi politici definiti, slogan chiari o volti carismatici. A sfidare Lukashenko alle elezioni sono state tre donne, la candidata d’opposizione Svetlana Tikhanovskaya e le sue alleate Veronica Tsepkalo e Maria Kolesnikova. Le prime due hanno sostituito nella corsa elettorale i mariti – il blogger Sergey Tikhanovsky è stato incarcerato da Lukashenko, l’oppositore Valery Tsepkalo è riuscito a fuggire dalla Belarus prima di finire dietro le
sbarre – mentre la terza è la capa della campagna dell’imprenditore Viktor Babariko, anch’egli arrestato. Secondo gli exit poll indipendenti improvvisati – in Bielorussia sono vietati i sondaggi d’opinione – la 37enne casalinga Tikhanovskaya ha conquistato il 70 per cento dei voti. Svetlana ha depositato la sua protesta alla commissione elettorale, solo per venire fermata per diverse ore, per poi comparire nella notte nella vicina Lituania, mentre la tv di Stato mostrava un video in cui leggeva da un foglietto un appello ai suoi sostenitori di arrendersi. Costretta all’esilio dalle minacce, viene comunque considerata la leader eletta dalla protesta, che non si è sentita decapitata dalla sua assenza. È una rivoluzione strana, pacifica, organizzata e piena di dignità, e totalmente decentralizzata, se non fosse per alcuni canali Telegram che diffondono appelli e indicazioni su luoghi e orari dei raduni. La gente si organizza da sola: nelle chat vengono postate offerte di rifugio per chi è in fuga dai manganelli della polizia, raccolte di cibo, acqua e medicinali per i feriti, appelli a correre a sostenere questa o quella fabbrica in sciopero. Capillare e disintermediata, la protesta per ora non ha avanzato richieste geopolitiche: non si propone l’adesione all’Europa, come il Maidan di Kiev nel 2013, o una rottura con Mosca, dalla quale il Paese dipende quasi totalmente nell’economia. Molti manifestanti usano il bianco – fiori, braccialetti di nastri, vestiti – oppure sventolano la bandiera bianca con la striscia rossa della Bielorussia indipendente, sostituita da Lukashenko con quella rosso-verde della Bielorussia sovietica. Ma è difficile parlare di una piazza nazionalista: la quasi totalità del bielorussi parla rus-
so e non nutre nei confronti dei vicini sentimenti ostili. Mosca dal canto suo sembrava all’inizio intenzionata a rimanere a guardare, anche perché irritata dalle promesse mancate di Lukashenko di cedere l’indipendenza della Bielorussia in una unione con la Russia, e dai suoi continui ricatti sul prezzo del petrolio. La repressione ordinata da Lukashenko, e le sue accuse sconclusionate su una protesta manipolata dall’estero, Russia inclusa, hanno infastidito molti a Mosca, che però alla fine ha vacillato di fronte alla prospettiva di «perdere» il vicino orientale, che con una democrazia si sarebbe inevitabilmente avvicinato all’Europa e allontanato da Putin. Il presidente russo ha telefonato ad Angela Merkel ed Emmanuel Macron per chiedere loro di non interferire nelle proteste, e di riconoscere le elezioni. A Minsk sono stati inviati giornalisti russi a sostituire i colleghi in sciopero della Tv, agenti da affiancare ai poliziotti bielorussi, e propagandisti che hanno fatto cambiare completamente retorica a Lukashenko: è tornato a essere entusiasta di una integrazione totale con la Russia, retorica che abbinata alla promessa di una nuova Costituzione da approvare in un referendum fa pensare a un’ipotesi di annessione «ibrida», che Lukashenko accetta per salvarsi dalla rabbia dei bielorussi, infuriati anche dal negazionismo del Covid-19 da parte del presidente. Il sostegno russo ha riacceso la repressione, dopo qualche giorno di pausa: nuovi arresti sono stati accompagnati da licenziamenti di operai in sciopero e registi, giornalisti e professori che avevano espresso solidarietà alla protesta. La richiesta europea di un dialogo con l’opposizione è stata rigettata: il neonato Consiglio di coor-
dinamento, di cui fanno parte attivisti, operai e intellettuali di spicco come la scrittrice premio Nobel Svetlana Alexievich, è stato subito incriminato per «tentata presa di potere». Lukashenko non esita a dichiarare «non consegnerò mai il mio Paese in mani altrui», e i cittadini che protestano sono stati definiti da lui «criminali, prostitute, drogati» e da qualche giorno anche «nazisti», in un tentativo di screditare l’opposizione secondo il modello di fake news già utilizzato dalla propaganda russa in Ucraina. In altre parole, il presidente uscente non sembra intenzionato a cercare il compromesso, ma vuole andare allo scontro, forse incoraggiato dalla rottura degli indugi di Putin, che di fronte al rischio di vedere una Bielorussia più europea ha preferito correre il rischio di nuove sanzioni internazionali per l’ingerenza nel Paese vicino. La scommessa di Mosca potrebbe essere quella di ridare con l’annessione, in una forma più o meno «consensuale», respiro al progetto imperiale postsovietico di Putin. Che non può non vedere nello scontro della piazza con un dittatore impopolare una proiezione di un suo probabile futuro. A Khabarovsk, nell’Estremo Oriente russo, la gente scende in piazza già da due mesi contro il presidente, ma ora manifesta anche per solidarietà con la Bielorussia, e Lukashenko ha accusato i suoi oppositori di essere manovrati da Alexey Navalny, il leader del fronte antiputiniano in Russia. Due giorni dopo, Navalny è stato ricoverato in coma dopo essersi sentito male a bordo di un aereo in Siberia: è stato avvelenato da una sostanza sconosciuta, e i suoi seguaci non dubitano che sia stato vittima di un attentato con il veleno, come tanti altri nemici del Cremlino prima di lui.
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Politica e Economia
La via elvetica verso l’Europa
CH-UE Che valore hanno, economicamente e strategicamente, gli Accordi bilaterali I? Fautori e oppositori
dell’iniziativa popolare per l’abolizione della libera circolazione hanno convinzioni e argomenti inconciliabili
Marzio Rigonalli Con la votazione federale del 27 settembre sull’iniziativa dell’UDC, che vuole sopprimere la libera circolazione delle persone, tornano in primo piano i rapporti della Svizzera con l’Unione europea. Sono rapporti che dopo la bocciatura dello spazio economico europeo, avvenuta in votazione popolare nel 1992, e dopo alcuni anni di preparazione, si sono fondati su un numero sempre più importante di accordi bilaterali. Questi accordi caratterizzano la via scelta dalla Svizzera in Europa negli ultimi vent’anni e la risposta che ha ottenuto dall’UE. È stata una scelta fondata su tre riflessioni fondamentali, strettamente legate l’un l’altra. La prima si basa sul fatto che la Svizzera ha un’economia piccola ed aperta, per la quale l’importanza del commercio estero è rilevante. La seconda si concentra sulla situazione geografica della Confederazione, posta al centro del mercato interno europeo, in stretto collegamento con forti motori economici come il sud della Germania o la Lombardia. La terza, infine, evidenzia il fatto che l’Unione europea è di gran lunga il nostro partner politico ed economico più importante e rappresenta un mercato di 500 milioni di consumatori. Il 60% del nostro commercio estero avviene con l’UE. Il 52% delle nostre esportazioni finisce nel mercato unico europeo e da questo mercato arriva il 70% delle importazioni in Svizzera. Le percentuali del nostro commercio con gli altri paesi sono molto più basse. Raggiungono il 12% con gli Usa, il 6% con la Cina, il 3% con il Giappone ed il 19% con il resto del mondo. In questo contesto, gli accordi bilaterali hanno una funzione strategica. Consentono alla maggior parte delle aziende svizzere di accedere direttamente al mercato unico europeo, di godere di quella sicurezza giuridica di cui hanno bisogno per definire le loro strategie ed i loro investimenti, nonché di competere nelle stesse condizioni con le aziende europee in svariati settori, in primo luogo nel campo della ricerca e dell’innovazione. Sono vantaggi che si ripercuotono sulla crescita economica
Il porto di Basilea, crocevia delle merci che arrivano e partono dalla Svizzera. (Keystone)
in Svizzera, stimolandola e attutendo gli effetti negativi di possibili crisi finanziarie o della pandemia, dalla quale non siamo ancora usciti. Secondo uno studio della fondazione Bertelsmann, realizzato l’anno scorso, grazie all’introduzione degli accordi bilaterali nel 2002, l’economia svizzera ha registrato una crescita pro capite più rapida degli anni precedenti. Senza l’impatto degli accordi bilaterali il PIL pro capite della Svizzera sarebbe attualmente inferiore del 5,7%. Di fronte a questo scenario, il Consiglio federale, la maggior parte dei partiti politici, le maggiori organizzazioni professionali e sindacali, un gran numero di aziende, nonché numerosi esponenti della società civile, si schierano in difesa degli accordi bilaterali. Sanno che l’approvazione dell’iniziativa popolare dell’UDC, con la soppressione della libera circolazione delle persone, porterebbe in un primo tempo alla fine dei Bilaterali 1, a causa della «clausola della ghigliottina», e in un secondo tempo, alla probabile disdetta di altri accordi bilaterali, nonché all’impossibilità di negoziare nuove intese per l’accesso al
mercato unico. L’UE ha accettato di seguire con la Svizzera la via delle intese bilaterali, perché sperava che la Confederazione, dopo alcuni anni, si sarebbe decisa a compiere il passo dell’adesione. Non è stato così e oggi, probabilmente, i vertici dell’UE non sono più molto favorevoli a questa via, un po’ perché non vien applicata con nessun altro Stato e un po’ perché i problemi che sorgono nella trattativa con la Svizzera sono parecchi. Se l’iniziativa popolare dell’UDC dovesse venir accolta, sarebbe fuori posto attendere da Bruxelles una certa comprensione e il desiderio di mantenere il dialogo reciproco entro i confini tracciati fin ora. Lo scenario che si aprirebbe allora non sarebbe certo auspicabile per l’economia svizzera e le conseguenze negative farebbero sentire il loro impatto per molto tempo. La nostra crescita economica ne risentirebbe. Il Prodotto interno lordo (PIL) diminuirebbe. Secondo le previsioni di vari istituti di ricerca, come per esempio il Bakbasel, nel 2035 il PIL sarebbe inferiore tra il –4,9% ed il –7,1%, rispetto allo scenario con i Bilaterali 1. L’attrattiva della piaz-
za economica svizzera si ridurrebbe e la competitività di molte aziende elvetiche si indebolirebbe. Almeno una parte di loro si ritroverebbe senza il sostegno di un accordo bilaterale, alle prese con possibili nuove barriere commerciali e con l’erosione della certezza del diritto. Anche i nostri rapporti con l’UE ne risentirebbero, rapporti che hanno evidenziato una buona collaborazione durante i primi mesi della pandemia, soprattutto con i paesi confinanti con la Svizzera. Queste nefaste conseguenze economiche non fanno parte delle preoccupazioni dei promotori dell’iniziativa per la limitazione. L’UDC concentra il suo discorso sulla libera circolazione delle persone ed elenca tutti gli inconvenienti che secondo lei ne derivano: treni troppo pieni, traffico troppo intenso, un numero troppo alto di bambini stranieri nelle scuole, occupazione dei posti di lavoro a scapito dei lavoratori indigeni, pressione sui salari e sulle assicurazioni sociali, aumento della disoccupazione, ecc. Le conseguenze sul piano economico dell’abolizione della libera circolazione vengono invece mi-
nimizzate. Una volta l’UDC sostiene che l’Europa ha interesse a mantenere gli accordi bilaterali e che quindi non li disdirà, un’altra volta minimizza l’importanza di questi accordi e aggiunge che possono essere sostituiti con un trattato di libero scambio. Recentemente, ha presentato anche uno studio dello «Europe Economics», un istituto di Londra, la capitale della Brexit, commissionato da una fondazione presieduta dall’ex presidente del partito, Toni Brunner. Secondo questo studio la libera circolazione delle persone avrebbe impoverito la Svizzera, provocando una consistente riduzione del potenziale PIL pro capite. La campagna in vista della votazione è ormai entrata nel vivo e, come possiamo facilmente immaginare, i colpi non mancano. Fra un mese, se la libera circolazione delle persone verrà abolita, ci troveremo però di fronte ad una realtà composita che presenterà almeno due caratteristiche. Da un lato, assisteremo all’apertura di una fase d’incertezza nelle relazioni economiche e politiche con l’Unione europea. Una fase che rischia di essere lunga, di danneggiare il nostro paese e di isolarlo. Dall’altro, constateremo che il numero degli immigrati non diminuirà di molto, perché l’economia ha bisogno di questa manodopera estera. Ha bisogno di lavoratori qualificati che non trova nel paese e di lavoratori con livelli di qualifica bassa, per i posti di lavoro che gli svizzeri non vogliono più assumere. Ha bisogno di impulsi esterni per far fronte sia ai cambiamenti strutturali che si annunciano, sia all’invecchiamento della popolazione. La crescita del numero della popolazione attiva è molto più lenta di quella del numero degli anziani. Nel 2015 la popolazione tra i 20 ed i 64 anni era di 5,2 milioni, quella con 65 anni e più era di 1,5 milioni. Le previsioni indicano che nel 2045 si passerà da 5,2 a 5,6 milioni e da 1,5 a 2,7 milioni. Il futuro ci porterà dunque molti cambiamenti e richiederà una gestione dell’immigrazione fondata sulla protezione dei lavoratori indigeni, attraverso le misure di accompagnamento, non sulla definizione di contingenti e sulla chiusura delle frontiere. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Politica e Economia
Equilibrio nei consumi
Tendenze In svariati settori economici vivere
l’esperienza di acquisto in prima persona risulta essere un passaggio fondamentale, e in altri settori è addirittura indispensabile
Mirko Nesurini L’acquisto di un farmaco deve essere fatto in farmacia, direttamente oppure affidando l’incarico a un famigliare o amico, sempre che la ricetta medica lo consenta. Andare in farmacia per comperare quello che il medico ha prescritto è il primo passo verso altri potenziali acquisti in quel punto vendita che offre non solo prodotti prescritti, ma anche una grande quantità di beni come dentifrici, creme per ogni uso immaginabile, lo sciroppo per il raffreddore o lo shampoo per i capelli. Anche in quel luogo, all’apparenza dedicato ad acquisti programmati (dal medico) sussiste un’area dedicata ai prodotti che si acquistano per comodità o impulso evitando quindi un secondo passaggio al supermercato o ricercando la qualità che in genere è garantita dal farmacista. La bassa frequentazione nei mesi scorsi di molte categorie di punti vendita ha ridotto notevolmente gli acquisti d’impulso. Sono beni che in genere si trovano nei pressi della cassa e che si potrebbero pure non comperare, ma di fatto si comprano stimolati dai figli che strillano in coda o da un irrefrenabile bisogno di farci del male acquistando dei dolci mentre attendiamo di pagare la benzina. Oppure sono prodotti che vengono acquistati in punti vendita lontani dai bisogni primari, per esempio una concessionaria di automobili, un negozio o ristorante alla moda. L’acquisto d’impulso è una grande sfida per il consumatore (che non sa resistere), per il conduttore del punto vendita (che ha un gran da fare per esporre in modo corretto la merce rendendola attrattiva al livello giusto da essere acquistata) e per le case produttrici (che inventano il prodotto e lo pubblicizzano). Pensate a quelle aziende specializzate in prodotti di piccolo calibro, proposti in mini porzioni e che vivono di vendita al dettaglio, come per esempio le gomme da masticare, le barrette al cioccolato o le caramelle. Sono spesso delle grandi aziende le quali riescono a distribuire in modo capillare prodotti che non di rado al consumatore finale costano delle cifre inferiori al franco. Un esercizio che solo a raccontarlo fa tremare i polsi per quanto tutto debba essere perfetto e ben organizzato e per quando ogni centesimo guadagnato valga come oro. Il distanziamento sociale degli ultimi mesi ci ha allontanato dagli acqui-
Azione
25. 8 – 31. 8. 2020
sti d’impulso perché sono mancate le occasioni per vivere l’esperienza di acquisto, per stare in coda al supermercato o per investire del tempo con il solo scopo di far compere. Da un certo punto di vista abbiamo limitato noi stessi nel piacere di acquistare il superfluo. La moda infatti ha preso un colpo storico, come lo hanno preso altri settori che frequentiamo quando siamo predisposti a gratificarci oppure a socializzare. Basta pensare all’esperienza di vita offerta da un pranzo o da una cena al ristorante che ci è stata negata oppure abbiamo volutamente omesso dalle nostre ambizioni. Insieme alla discesa lenta del picco epidemiologico, anche le preoccupazioni stanno scemando e di conseguenza ci attendiamo un ritorno al superfluo. Ma non possiamo non cogliere l’occasione per cambiare in meglio. Intanto facciamo attenzione ai furbi che presumibilmente potrebbero aumentare i prezzi dei beni e dei servizi per recuperare la perdita dei mesi scorsi sulle spalle dei consumatori. Sono pratiche purtroppo in essere e che vanno combattute perché non temporanee. Una volta che il prezzo è aumentato, … vai a diminuirlo! Quello è, e quello resterà. Come consumatori, facciamo attenzione alle oscillazioni di valore e laddove ci dovessimo accorgere che qualcosa è cambiato potremmo decidere di rinunciare: spesso capita proprio nell’ambito dei prodotti superflui. Gli esercenti e le catene di distribuzione serie non lucrano sulle spalle dei loro consumatori, anzi, spesso fanno il contrario per incentivare il ritorno al consumo e alla positività. Il piacere di recarsi in un esercizio commerciale che offre un equilibrio tra valore della merce e qualità dell’esperienza e del bene acquistato è il punto di arrivo per ogni consumatore e per ogni portamonete. Anche per chi ha possibilità di acquisto di beni di lusso o comunque costosi, l’equilibrio è un fattore fondamentale. Qualcuno sosterrà che non esiste equilibrio in una cena costosa oppure nell’acquisto di una borsa o di un paio di scarpe griffate o addirittura in una automobile di grossa cilindrata, ma anche in quelle situazioni esiste un rapporto tra la qualità eccelsa del prodotto per ricerca, creatività, materiali e servizio offerto durante l’acquisto e dopo, tanto da giustificare la cifra pagata con il piacere dell’acquisto effettuato.
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Per fortuna abbiamo un bilancio energetico Una delle politiche che più ha fatto discutere nel corso dell’ultimo decennio è certamente quella energetica. Per una serie di eventi e di coincidenze sui quali non è necessario soffermarsi è nato , in Svizzera come in altri paesi europei, il convincimento, condiviso dalla maggioranza degli elettorati, che in campo energetico sia necessario effettuare una svolta, abbandonando vettori inquinanti come il petrolio o il carbone e vettori a rischio come la produzione di energia elettrica delle centrali nucleari. Questi vettori dovranno essere sostituiti con fonti di energia riproducibile. Così gli enti pubblici di tutti i livelli sono andati promovendo, in questi anni, politiche energetiche verdi ottenendo, occorre ammetterlo, più di un miglioramento della situazione ambientale. Quando però si considerano le finalità della
svolta energetica ci si accorge che il percorso che resta da fare è ancora lungo e anche molto incerto. Oggi come oggi nessuno è in grado di dire se gli obiettivi della nostra politica nazionale, come, ad esempio, l’abbandono del nucleare entro il 2050, potranno essere effettivamente raggiunti. In un loro interessante contributo nella rivista «Dati» Linda Soma, Nerio Cereghetti, Ulrich Joss e Marco Andretta precisano che questa incertezza è dovuta, non da ultimo, al fatto che la pianificazione del settore energetico è una politica nuova che richiede, per essere gestita bene, di avere a disposizione una grande quantità di informazioni. Da questo punto di vista è certamente positivo che oggi si disponga, anche per il Ticino, di un bilancio energetico che consente ai responsabili di «stilare un quadro aggiornato della produzio-
ne e dei consumi energetici cantonali» consentendo loro di monitorarne l’andamento in funzione degli obiettivi delineati nei documenti di realizzazione del piano energetico cantonale per gli anni 2020/2035/2050. In materia di pianificazione energetica il monitoraggio sembra essere la parola-chiave perché, come ammettono anche gli autori dell’articolo che commentiamo «non esistono risposte certe su come agire per raggiungere degli obiettivi futuri». È questo il dilemma davanti al quale si trova qualunque istituzione che intende pianificare: dalla famiglia, passando per l’azienda e su, su, fino alle entità politiche territoriali, Comune, Cantone e Confederazione. È come se – per riprendere la metafora di un grande esperto del management – dal nebbione che copre il percorso da fare emergessero solo due vette. La prima è
data dalla situazione attuale, che conosciamo, mentre la seconda è l’obiettivo al quale vogliamo arrivare. Senza carte e strumenti di orientamento come la bussola è difficile scendere dalla prima vetta e trovare, nella nebbia, il percorso giusto per raggiungere la seconda. Il bilancio energetico, che regolarmente ci informa sull’evoluzione di produzione e consumi energetici, è uno degli strumenti che consentono ai pianificatori dell’energia di orientarsi, insomma di trovare col tempo la strada che dovrebbe portare alla meta e, nel caso in cui della stessa si fosse persa la traccia, di correggere la direzione di marcia per ritrovarla. Che il monitoraggio in materia di produzione e consumi di energia non sia un esercizio facile lo dimostra, per limitarci ad un esempio, l’evoluzione in corso nel settore del riscaldamento
delle abitazioni. La tendenza positiva è che con l’estensione della rete del gas, l’aumento delle pompe di calore installate e la diffusione delle reti di teleriscaldamento nel corso dell’ultimo decennio il consumo di olio combustibile nel riscaldamento degli edifici è diminuito. Parallelamente, però, si stima che i consumi di elettricità per il riscaldamento delle abitazioni siano aumentati anche perché un numero crescente di economie domestiche sta scegliendo di sostituire l’olio con la pompa di calore. In conclusione, il messaggio che ci trasmettono gli specialisti del bilancio energetico è che la svolta energetica è un obiettivo chiaro per raggiungere il quale bisogna però essere in grado di controllare, in continuità, con le informazioni del bilancio energetico, se stiamo seguendo la strada giusta.
madrina di uno dei suoi figli, dopo tanti anni di silenzio, e l’amica mette in mezzo tra loro un registratore: è lavoro, non è amicizia (e infatti poi quella conversazione finirà su un media filogovernativo in Ungheria e la Applebaum ne uscirà male). Da ultimo, il lavoro della saggista si è concentrato molto sulla trasformazione degli intellettuali, e sul loro tradimento. Lo dimostra un articolo che è stato pubblicato sull’«Atlantic» di recente e che si intitolava Collaborators: era un’indagine attenta, dolorosa (perché quello è il mondo della Applebaum) e implacabile sul Partito repubblicano americano e sul suo rapporto con Trump. Senza il sostegno del suo partito, Trump non sarebbe sopravvissuto all’impeachment, per esempio, ma senza arrivare a questo, se i repubblicani avessero cercato di attivare almeno un contenimento del presidente, probabilmente lui non si
sarebbe spinto tanto in là. Invece i repubblicani, per calcolo o per ideologia, hanno lasciato che Trump andasse dove voleva andare, e soltanto adesso che i sondaggi lo danno in difficoltà iniziano a valutare l’ipotesi di emanciparsi da un presidente che ha preso in ostaggio il suo stesso partito. La democrazia non sarebbe in sofferenza – al crepuscolo, scrive la Applebaum, in modo molto cupo – se gli intellettuali d’occidente non avessero tradito il loro mandato, la loro ricerca della verità, per «ridursi a inseguire un’unica causa», spesso una persona e un gruppo di potere. Che cosa ha portato queste persone – intelligenti, studiose: i suoi amici – a sostenere questo nuovo autoritarismo? «Risentimento, vendetta e invidia» sono parte della risposta. Un’altra parte è «nostalgia», quello che la Applebaum definisce «sconforto culturale» che porta a vagheggiare un tempo passato in
cui c’erano invece fiducia e ottimismo. Uno dei personaggi simboli di questo atteggiamento è Laura Ingraham, oggi star di Fox News trumpianissima, quindici anni fa invitata a una festa cui c’era anche la Applebaum: la Ingraham è la sintesi di quello che tiene insieme i trumpiani, una certa idea di America «bianca, cristiana, in cui la terra va difesa con i muri». Ci sarà una restaurazione, una resa dei conti? La Applebaum non è molto ottimista, ma chiude il suo libro su un’altra festa, sempre in Polonia, l’estate scorsa. Ci sono anche gli amici dei figli diventati grandi, non ci sono più tantissimi invitati del 1999, ma ci sono gli amici del 2019, i conservatori liberali rimasti. E l’occhio cupo della Applebaum si rillumina: questa non è la notte degli anni Venti e Trenta del Novecento, possiamo votarli tutti via questi leader autoritari, non rassegniamoci al buio.
posto simile a quello dell’hockey e del calcio. Così, come un tempo eravamo tutti allenatori ed esperti di tattiche, forti di tradizioni alimentate da una generosa presenza di club nelle varie regioni, oggi siamo un po’ tutti (compresi molti giovani, il che è comunque positivo) sommelier provetti, abilità misurabile più partendo dalla forma «spettacolosa» del bicchiere che si ha in mano che sulla base di una solida cultura del vino. Nessuna polemica: figuro anch’io in questa categoria, nonostante contatti e conoscenze. Conservo ricordi di chi ha scelto e imposto il merlot come «madre» dei nostri vini, a iniziare dai direttori e dai responsabili di enologia dell’istituto di Mezzana. In quasi 60 anni qualche affinamento l’ho poi avuto da magnifici e spesso esaltanti viticoltori del Mendrisiotto; soprattutto dalle vibranti spiegazioni di Cesare Valsangiacomo che, messe a confronto con quelle pacate e serene di fra Corrado, mi hanno consentito di arrivare a capire che i nostri vini, oltre a regalarci profumi e voluttà, sono eccellenti perché riescono a trasmettere in chi li gusta lo stesso amore verso la terra che anche il più umile viticoltore profonde nella cura della vite e delle uve.
Questo mio bagaglio non basta certo come lasciapassare per dissertare sul merlot ticinese o per sindacare sulla «querelle» sul prezzo delle uve della prossima vendemmia. Tanto più che sull’argomento è già intervenuto con la sua collaudata esperienza professionale il direttore dell’Interprofessionale Andrea Conconi. Passando tra i filari delle magagne, in una sorta di «manifesto» Conconi non esita a pizzicare le «cavallette» (viticoltori che in passato consegnavano le uve al miglior offerente), a stigmatizzare i produttori di «vini da garage» (chi vinifica «a parte» per sfuggire a controlli e limitazioni di raccolti) oppure chi già è all’opera per smerciare sul mercato rimanenze o per elemosinare aiuti comunali per poi vendere senza guadagni. Sono alcune delle pecche che hanno confermato al direttore della Interprofessione un’amara constatazione: il viticoltore pensa sempre a quanto avviene durante l’anno viticolo, mai all’anno seguente. Invece, conclude nel suo «manifesto» il direttore Conconi, «se tutti tirassimo il carretto insieme e nella stessa direzione, gli obiettivi sarebbero più raggiungibili. Se quest’anno riusciremo ad avere il sostegno richiesto al Consiglio
di Stato per la COVID-19, ricordiamoci di ringraziarlo, poiché in tante regioni d’Europa, dove si parla di 20 centesimi di euro per uve pregiate, la politica non si è ancora mossa a favore del settore primario». Il nodo gordiano continuerà quindi ad essere quello dei prezzi, scordando che mentre in Ticino si ritireranno uve merlot pregiate a 4 fr. il chilo, in tante regioni vicine, che pure vantano produzioni pregiate, si arriva a un massimo di 1 fr. e 50 centesimi al chilo, dislivello che favorisce importazioni e contingentamenti che «premiano» non solo i privati. Termino con una domanda sui progetti alternativi in attesa dell’avallo politico: si tornerà a proporre un merlot «interprofessionale» o un assemblaggio di battaglia che consenta al settore di ravvivare la fidelizzazione del cliente e di conferire nuovi slanci al merlot ticinese, oppure l’idea resta impraticabile? Lo chiedo perché chiudendo gli occhi riesco ancora a ricordare, soprattutto d’estate, un magnifico assemblaggio di pronta beva, voluto in anno di produzione abbondante dal compianto Sergio Monti, grande e istrionico cultore del vino. Si chiamava «Inoxidable». Inimitabile?
Affari Esteri di Paola Peduzzi Senza rassegnarsi al buio L’ultimo libro di Anne Applebaum si apre con una festa: capodanno 1999, campagna polacca, casa di famiglia, élite anti comunista e liberale che celebra il nuovo millennio. Oggi, vent’anni dopo, scrive la scrittrice e storica – il suo libro più famoso è Gulag, imprescindibile – che le è capitato di attraversare la strada per non doversi imbattere in alcuni dei suoi ospiti di allora, per non doverli salutare, per non dover incrociare gli sguardi: non c’è più nulla da dirsi, nulla in comune. Twilight of democracy, il crepuscolo della democrazia, così s’intitola il libro, è la storia di come è cambiato il pensiero conservatore dal 1999 a oggi, in Europa – nell’est soprattutto, che Applebaum conosce molto bene: suo marito è l’ex ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski – e negli Stati Uniti. Ma la saggista americana non ci porta soltanto attraverso i suoi luoghi, i suoi riferimenti culturali e politici
– a pranzo con Boris Johnson anche, l’attuale primo ministro britannico – e i media in cui ha lavorato, ci porta a contare i suoi amici, a vedere chi è rimasto e chi invece oggi non risponde nemmeno alle email, figurarsi a un invito a una festa. Il presupposto della Applebaum è chiaro: io sono rimasta com’eravamo, una conservatrice liberale, voi siete cambiati. E questi sguardi che non si possono più incrociare sono la spiegazione migliore della trasformazione del mondo conservatore che ha portato a sostenere leader che tradiscono il senso tradizionale del conservatorismo, e soprattutto che tradiscono il liberalismo con l’unica variante possibile: il suo contrario, l’illiberalismo. La Applebaum va a caccia dei colpevoli, ripete spesso che il suo racconto è «politico, non personale» anche se si vede che soffre quando si ritrova a pranzo con una sua ex cara amica ungherese,
Zig-Zag di Ovidio Biffi Per ora si torna a far vino È rimasta in secondo piano la schermaglia attorno al prezzo delle uve della prossima vendemmia in Ticino. Si direbbe che sia stata più mediatica che pubblica, visto che alla finestra «a dirsene quattro» si sono affacciati in pochi, per poi arrivare a una intesa che forse non è proprio tale, dato che in parte dipende anche da decisioni del governo e del Gran Consiglio. Per la cronaca, a inizio agosto l’Interprofessione della vite e del vino, che agiva in veste di arbitro, e i rappresentanti di Federviti e Associazione ticinese negozianti di vino hanno raggiunto un accordo sul prezzo base di 4 franchi al kg per le uve Doc merlot e 2 franchi al kg per le uve in esubero (resta infatti
in vigore il limite di produzione di 800 grammi di uva per metro quadrato) da destinare a progetti alternativi. Intesa difficile anche perché, come noto, se sul settore vitivinicolo prima c’erano nubi nere (giacenze in aumento) dalla primavera sino all’estate il «lockdown» non ha fatto che peggiorare la situazione con il fermo e la ripresa lenta e parziale dell’industria turistica. Alle iniziali argomentazioni tecniche (estese ad albergatori ed esercenti) si sono così aggiunte anche difficili dissertazioni su scelte politiche tutte da consolidare e su attriti sempre accantonati quando lo smercio era soddisfacente. In Ticino il vino, il merlot in particolare, nelle nostre discussioni ha ormai un
Per quest’anno, un prezzo base di 4 franchi al chilo per le uve Doc Merlot. (Keystone)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Cultura e Spettacoli Omaggio a Godard Al Castello di Nyon una mostra celebra il maestro della Nouvelle Vague Jean-Luc Godard pagina 37
Nutrirsi di bellezza a Pennabilli Il grande Tonino Guerra ha fatto del piccolo borgo Pennabilli un museo a cielo aperto, in cui dimenticarsi di sé e riscoprire il valore della bellezza
Arte aperta in Bregaglia Un’encomiabile iniziativa porta l’arte contemporanea svizzera en plein air
Buon compleanno, Sean! Compie novant’anni Sean Connery, attore che ha fatto la storia del cinema mondiale
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La rivincita di Da Ponte
Musica È anche al geniale librettista
che dobbiamo la nascita della celebre trilogia di Mozart
Carlo Piccardi Come succede nel cinema, dove la gerarchia creativa pone il regista al vertice mettendo in ombra sceneggiatori, musicisti e altri collaboratori, così nell’opera è il compositore a primeggiare (almeno a partire dal Settecento). Il librettista, a volte fondamentale per la definizione del relativo impianto drammaturgico, spesso è ignorato. Anche quando ci troviamo di fronte a qualche eccezione, ad esempio al contributo riconosciuto di Lorenzo Da Ponte alla celebre trilogia di Mozart (Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte), una sua chiara messa a fuoco è assente. È luogo comune ritenere la collaborazione tra i due artisti come il risultato di una miracolosa congiunzione di intenti. In verità essa è piuttosto il risultato di un rapporto di complementarità equilibrato come in due facce della stessa medaglia. Mozart è uomo del Settecento penetrato nei principi progressivi. Lo dimostra la sua adesione alla massoneria e la scelta di vita sganciata dalla corte, che lo portò a mettersi in gioco come libero professionista. Ma per molti versi egli si sottrae all’egida della ragione. Ne abbiamo testimonianza nel modo in cui in una lettera dall’Inghilterra critica Londra come «luogo dove i più non hanno religione» e da Parigi da cui comunica al padre la morte di Voltaire con l’asserzione: «quel birbo senza timor di Dio è crepato come un maiale – ecco la ricompensa». Nulla di simile avrebbe affermato Da Ponte, da artista avventuriero che trovò nella disincantata cultura illuministica giustificazione alle forme libere e spregiudicate del vivere. Tale diversità è poi ciò che nei tre capolavori operistici mozartiani ha determinato una ripartizione dei ruoli, non solo di competenza (l’uno librettista, l’altro compositore), ma anche ideologici (in relazione alla materia rappresentata). È tutta di Mozart la sottigliezza delle sfumature che tratteggia la natura dei personaggi, variegata e sfuggente al punto da corrispondere alle categorie della moderna psicologia. «Non so più cosa son cosa faccio / Or di fuoco ora sono di ghiaccio...» canta il paggio Cherubino ne Le nozze di Figaro. Anche se predisposta dalle parole del libretto, è tutta del musicista la di-
mensione cangiante di questo amore adolescenziale, di desiderio colto allo stato puro. Ed è certamente pensando a quello che ne avrebbe ricavato Mozart al di là di ogni schema rappresentativo in termini di vibrante naturalezza, che Da Ponte accese il malizioso e ambivalente erotismo di Zerlina in procinto di essere sedotta da Don Giovanni con l’attacco «Vorrei e non vorrei / mi trema un poco il core...». Viceversa è tutta di Da Ponte la precisione che regola l’azione drammatica. Non mi riferisco al senso dell’animazione, al brulicare di note che nella sfaccettatura sonora dà conto della dinamica (per non dire della frenesia) e dei tipi umani della moderna realtà urbana e borghese (del travolgente corso degli eventi) che è tutto di Mozart, ma alludo al lucido piano che la innerva. Una personalità scettica quale quella di Da Ponte non poteva certo rimettersi al senso del destino divino imperscrutabile. Sovrintendendo all’agitarsi dei personaggi della «folle journée» ne Le nozze di Figaro egli riconduceva invece i relativi atti e le conseguenti interazioni a una logica che veniva dal basso, dettata dai rapporti naturali. Il succedersi di colpi di scena, di dubbi, d’inganni, di rivelazioni, ha una funzione e un’efficacia teatrali certamente, ma è soprattutto la rappresentazione di un’umanità che si confronta e si dibatte, osservata con distacco, quasi scientificamente e dove il tutto si risolve nel riconoscimento di una dinamica iscritta nell’ordine delle cose. È il frutto della cultura illuministica, pragmatica e concreta, impegnata a diradare le nebbie di ciò che si presenta come oscuro e misterioso. È Da Ponte in Don Giovanni a predisporre a Mozart l’inferno che alla fine inghiotte il grande peccatore, lasciando alla sua musica il compito di fremere in sintonia con la dimensione del demoniaco e del trascendente. Ma è soprattutto Da Ponte a tenere le redini del dramma nel vero finale, in cui i personaggi superstiti, liberati dalla tensione, si riposizionano nella normalità del giorno per giorno (di Donn’Anna che idealisticamente chiede allo spasimante Don Ottavio di pazientare ancora, di Donna Elvira che si ritira in convento, di Masetto e Zerlina che vanno a casa «a cenar in compagnia» e di Leporello «all’osteria / a cercar padron miglior»). Qui prende il sopravvento lo spetta-
Lorenzo Da Ponte (nato come Emanuele Conegliano) in un ritratto non datato, collezione privata. (Keystone)
colo della vita comune che continua, dell’immanenza, secondo un programma dimostrativo che in Così fan tutte diventa un vero e proprio teorema. Lì la scommessa del filosofo Don Alfonso sull’infedeltà iscritta nel comportamento delle donne apre un percorso predestinato, sottolineato dalla perfetta geometria dei movimenti delle tre coppie in gioco, mosse come in una partita a scacchi. Quella di Don Alfonso con la servetta Despina a gestire la macchinazione, la coppia delle due giovani (Fiordiligi e Dorabella, diversamente resistenti alla tentazione ma alla fine soccombenti), quella dei due amanti Guglielmo e Ferrando (a sorreggere insieme la convinzione nell’amore fedele, ma richiamati sconsolati alla realtà): «Fortunato l’uom che prende /
Ogni cosa pel buon verso. / E tra i casi e le vicende / Da ragion guidar si fa». È la ragione alla fine a vincerla sulla morale e a indurre Mozart stesso a cedere a Da Ponte in questo cinico dramma didascalico che a quest’opera ha valso il rigetto dell’Ottocento. A nulla è servita la grazia della musica di Mozart a farla accettare ad Hanslick e a Wagner, accomunati nel giudizio di libretto insulso, per non parlare di Beethoven che lo trovava frivolo dopo avere già ritenuto Don Giovanni un soggetto scandaloso. Solo il Novecento, archiviando la pretesa borghese di affermare l’identità dei sentimenti nella loro purezza e nella loro saldezza, Così fan tutte è stata riscattata, anche alla luce del relativismo degli affetti e delle emozioni portato dalla psicanalisi. In questo il tanto
deprecato Da Ponte ha rivelato il suo grado avanzato e celebrato la sua rivincita, che però forse era indirettamente già avvenuta quando negli anni Venti dell’Ottocento i monaci di Grissau in Slesia e i benedettini del convento bavarese di Schayern ricavarono dalle opere di Mozart delle contraffazioni in forma di messa, dove al posto di «Ah che tutta in un momento» da Così fan tutte, si cantava «Alma redemptoris mater», mentre «Non mi dir, bell’idol mio» dal Don Giovanni si trasformava in «Ave Jesus qui sacratum». In questo caso ad attirare la loro attenzione fu la «spiritualità» (diciamo così) della musica di Mozart; ma in qualche modo essa veicolava anche l’etica laica del messaggio di Da Ponte, che allora era ancora in vita. Quale miglior rivalsa per questa affascinante figura di libertino!
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Cultura e Spettacoli
Godard, omaggio a un pioniere Mostre A Nyon una mostra per entrare nella mente del regista franco-svizzero
Muriel Del Don Godard è uno di quegli artisti che non lascia certo indifferenti: ci sono quelli che lo osannano come il maestro del cinema moderno e quelli che proprio non possono sopportarlo, considerandolo troppo pretenzioso e «grande gueule» come direbbero i francesi. Detto questo, e al di là dei gusti individuali, Jean-Luc Godard è e rimarrà sempre una delle figure più complesse e controverse della storia del cinema, maestro di quella che è stata definita come la «nouvelle vague» e portavoce di un modo di fare cinema libero e al di fuori delle convenzioni stilistiche. Un cinema istintivo dal significato criptico che ammalia e confonde. A questo proposito Godard non esita a paragonare i suoi film alla musica jazz: spontanea e frutto di una stretta collaborazione tra artisti che condividono lo stesso gusto per la sperimentazione. Nei suoi film la dimensione narrativa propria al cinema classico, così come il concetto di «personaggio» scompaiono facendo spazio a un universo volutamente provocante che mischia allegramente generi, tecniche e discipline (musica, video art, pittura, sociologia e chi più ne ha più ne metta). Il suo cinema non lascia spazio a nessun copione preesistente o a dialoghi prestabiliti ma predilige piuttosto mosaici di frammenti visivi che si incontrano attraverso linee plastiche e sonore che aleggiano nell’aria come lucciole. A differenza del cinema classico, non è più il regista ma lo spettatore a dare senso all’immagine basandosi sulla sua sto-
ria personale, sulle emozioni scaturite dalla visione dell’opera stessa. Immagini e suoni diventano autonomi e si impossessano della mente dello spettatore trasportandolo in un mondo dove tutto è permesso, irriverente e artisticamente sovversivo. Lo scopo di Godard è quello di vedere l’impercettibile, di trasformare il reale attraverso il mezzo cinematografico per rivelarne l’essenza. Grazie alla tenacia della nuova direttrice artistica di Visions du réel, Emilie Bujès, che ha deciso di contattare Godard per parlargli del festival, malgrado quest’ultimo provi in generale per questo genere di manifestazioni una malcelata avversione, la splendida città di Nyon ha potuto accogliere tra le sue mura un condensato dell’universo del maestro franco-svizzero. Sentiments, signes, passions ecco il titolo della mostra ospitata fra le mura del suggestivo castello di Nyon che mette letteralmente in scena l’universo artistico di Godard in legame con il suo ultimo film Le livre d’image, Palma d’oro speciale al Festival di Cannes nel 2018. Godard abita ormai da parecchi anni a Rolle, nella Svizzera romanda (molti lo hanno soprannominato a giusto titolo «l’eremita di Rolle») e Nyon ha rappresentato una tappa importante nel suo percorso di vita. È in effetti nella culturalmente ricca città sul Lemano, famosa per i suoi numerosi festival tra i quali il Paléo, FAR e ovviamente Visions du réel, che Godard ha passato la sua infanzia. Introdotto da cinque capitoli, che rappresentano ognuno un dito della mano e che ne formano a loro volta un sesto,
Jean-Luc Godard in un’immagine del 1987. (Keystone)
Le livre d’image intreccia una serie di immagini facenti parte della memoria collettiva legata alla storia del cinema. Sotto forma di poema politico cinematografico, Godard abita queste stesse immagini attraverso la sua voce e dei suoni provenienti dalla lettura di testi o dalla musica. I frammenti che compongono la sua ultima opera sono stravolti, volutamente aggrediti, sovrapposti e saturati attraverso il colore e l’utilizzo del montaggio che diventa, come per tutti i film di Godard, il mezzo per rendere visibili le frontiere anziché nasconderle. La mostra, immaginata dal regista durante i due anni di scambi con la direttrice di Visions du Réel, riprende il découpage del film frammentandone con forza an-
cora maggiore le differenti parti, sia dal punto di vista sonoro che visivo. Ogni parte è per così dire dilatata per poterne catturare l’essenza. L’ultimo film di Godard è destrutturato in quaranta loop che funzionano in modo casuale, quaranta schermi che si fanno eco e si nutrono mutualmente. A questa cacofonia controllata di schermi si aggiungono una serie di foto e gli immancabili scaffali Ikea utilizzati dal regista per raccogliere le sue varie influenze. Fabrice Aragno, produttore e amico di Godard che si è occupato della scenografia della mostra, confessa che «gli scaffali sono all’origine di tutti i progetti di JeanLuc. Quando costruisce un film, co-
stituisce prima di tutto una materia, dei film e dei libri nella maggior parte dei casi, che dispone in seguito, come una sceneggiatura, su degli scaffali: il primo scaffale corrisponde alla prima sequenza, il secondo alla seconda e così via. Con questo dispositivo, il film è praticamente già fatto». Le cinque parti dell’esposizione, come le cinque parti del film, parlano di temi molto diversi tra loro che si uniscono come per magia: amore, guerra, Medio Oriente, morte, legge e poesia come a volerci ricordare che è proprio nella diversità e nel caos delle cose che si nasconde il senso dell’essere. «Il montaggio permette di vedere le cose e non più di dirle», specifica Godard ed è proprio quello che Sentiments, signes, passions vuole fare: mostrarci l’invisibile attraverso l’immagine, il mistero che si nasconde dietro ogni rappresentazione filmica. Attraverso il susseguirsi di immagini, sequenze e suoni lo spettatore crea nella sua testa un linguaggio nuovo, un’esperienza personale unica. Per nulla pretenziosa o pomposa, la mostra permette agli spettatori di deambulare liberamente nello «spazio del film», di creare le proprie personali associazioni, di godere insomma della libertà creativa che Godard non si è mai negato. Dove e quando
Sentiments, signes, passions. Une exposition de Jean-Luc Godard. Nyon, Château de Nyon. Orari: ma-do 10.00-17.00. Fino al 13 settembre 2020. www.chateaudenyon.ch Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli Il paese si trova tra la rupe di Billi e il «roccione» di Penna, da cui è scattata la foto (su www. azione.ch una più ampia galleria di immagini). (Franco Cattaneo)
Visita a Pennabilli
Turismo d’arte Tonino Guerra ha ideato, nel suo paese d’adozione, un originalissimo museo diffuso
che rende il nucleo una poesia a cielo aperto
Alessandro Zanoli Siamo nella terra che avrebbe dato lo sfondo alla Gioconda di Leonardo. Lo sostengono due studiose, Rosetta Borchia e Olivia Nesci, le cui ricerche sono riassunte in un pannello illustrativo a uso dei turisti. Percorrendo la bella strada sul fondovalle della Val Marecchia, incuneata tra la Rocca di San Leo e quella di San Marino, ce lo ricordano peraltro vari cartelli stradali. Il paesaggio di questa porzione d’Appennino romagnolo, in effetti, è limpido e morbido nella sua dolcezza, verde e rigoglioso di vegetazione. Antico e apparentemente intatto dalla speculazione edilizia. Forse per questo il poeta Tonino Guerra, nato a Sant’Arcangelo di Romagna, aveva deciso di fissare a Pennabilli la sua casa? Una volta arrivati, il colpo d’occhio è davvero scenografico. Due picchi sovrastano la piazza del paese, la cui caratteristica, davanti alla chiesa e alla fontana, è un portico basso e lungo, visto anche in alcuni film dello sceneggiatore e poeta.
Un angolo nel museo «Il mondo di Tonino Guerra». (Franco Cattaneo)
Lo scrittore romagnolo ha lavorato con Fellini, Antonioni, Tarkovsky, ma è stato un artista dai molti interessi A quanto ci racconta la curatrice del museo «Il mondo di Tonino Guerra», in cui sono esposte centinaia di onorificenze, opere d’arte, pubblicazioni, fotografie, radunate nel corso della sua lunga vita, Guerra conosceva Pennabilli fin da bambino, perché i suoi genitori, commercianti, ci arrivavano da Sant’Arcangelo portando le loro mercanzie ai negozi locali. Dopo molti anni, da artista affermato a livello internazionale, Guerra ha deciso di prendervi dimora. Ha cominciato a osser-
Il «Santuario dei pensieri» creato con sculture di artisti locali. (Franco Cattaneo)
vare la realtà del paese con l’occhio del poeta e ha messo lentamente in opera un progetto di intervento artistico che ne valorizzasse il tessuto storico-urbano. I suoi «Luoghi dell’anima» formano oggi un percorso affascinante che at-
traversa le vie del paese. Il visitatore ne percorre il labirinto passando, e non è un luogo comune, di meraviglia in meraviglia. Dall’«Orto dei frutti dimenticati» al «Rifugio delle Madonne abbandonate», dallo stupendo «Santuario dei
Nell’«Orto dei frutti dimenticati» c’è questo «Bosco incantato». (Franco Cattaneo)
pensieri» alla «Strada delle Meridiane», la visita a Pennabilli è un’esperienza estetica unica. Le idee di Guerra hanno ottenuto l’interesse delle autorità locali che hanno assecondato il progetto, esteso poi ad altri luoghi della valle (si veda il sito explorevalmarecchia.it). Di fatto, girando per Pennabilli il visitatore si sente accolto non tanto in un’esperienza intellettuale, di alta cultura accademica, quanto in una dichiarazione d’amore per il luogo, per i suoi vari angoli e per i suoi abitanti, presenti e passati. Le varie postazioni sono proprio spazi affettivi, in cui avvicinare proposte che toccano il cuore. L’affermazione pare una banalità, ma non si può descrivere in altro modo la visita al «Museo con un quadro solo», in cui si esempla la parabola dell’angelo coi baffi che dava il becchime agli uccelli impagliati, fino a quando questi si sono alzati in volo; oppure la serie delle meridiane disseminate per le vie del paese che ripropongono la misura del tempo sotto varie angolazioni figurative, come appartenessero ognuna a un suo universo.
Certo, la reiterata presenza della voce di Guerra attraverso lapidi, cartelloni, disegni, placche informative diventa quasi un po’ ossessionante. Persino all’interno del ristorante ci sono suoi dipinti, citazioni, frasi celebri. Ma del resto, siamo immersi in un unicum. E cosa si porta a casa, il visitatore, alla fine del percorso? Un disincanto, una terapia contro l’enfasi e i luoghi comuni della società moderna: dentro di sé ha dato spazio per qualche ora a uno sguardo ingenuo sul mondo, ma radicato e rispettoso del passato, un mondo interpretato alla luce della poesia, che appesa alle pareti delle case si rivela codice narrativo più sintetico ed efficace del linguaggio normale. Ecco: a Pennabilli, forse, la poesia si fa concretezza di vita quotidiana. Viene voglia di parlare per epigrammi, per sintesi illuminate, ma non c’è possibilità di competere con Tonino Guerra, nel descrivere l’esperienza. «La bellezza è l’unico cibo che nutre la stanchezza»: venendo via da Pennabilli il desiderio principale è raccontare a qualcuno uno dei suoi aforismi, per goderne insieme.
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Cultura e Spettacoli
Tra arte, storia e natura
Mostre Dodici artisti svizzeri dialogano con il territorio nella prima edizione di Biennale Bregaglia Alessia Brughera Gli alti gradini rocciosi che tra le frazioni di Stampa e Promontogno tagliano la Val Bregaglia con tutta la loro imponenza, costituivano sin dai tempi antichi una barriera naturale per quella che era una delle vie di transito più battute e importanti attraverso le Alpi. La posizione strategica e le particolari condizioni ambientali di questo promontorio hanno fatto sì che il luogo diventasse nel corso dei secoli meta di insediamenti umani, come tra l’altro testimoniano i resti di edifici di epoca romana rinvenuti dopo alcuni scavi archeologici.
L’iniziativa nasce dal desiderio di portare l’arte in un contesto più naturale, fuori dagli spazi urbani In cima all’altura che divide la valle sorgeva la chiesa di Santa Maria di Castromuro, più nota come Nossa Dona, menzionata dalle fonti per la prima volta nel 988 anche se la sua fondazione parrebbe ancora più antica. Oggi l’edificio si presenta ai nostri occhi con un campanile ben conservato risalente all’Alto Medioevo e con la struttura ricostruita nel XIX secolo, sulle vecchie fondamenta, dai signori di Castelmur, una delle più influenti famiglie valligiane che a quei tempi era diventata la proprietaria del promontorio. Di epoca altomedioevale erano poi anche il castello feudale e la fortezza, di cui sono rimasti visibili il possente mastio a cinque piani accanto alla chiesa e le massicce mura difensive chiamate Lan Müraia, dove una volta si riscuotevano i pedaggi. Proprio in questo suggestivo luogo che è stato punto di incontro di genti dalle lingue e dai saperi diversi e che ancora oggi mantiene intatto il suo particolare valore paesaggistico, sono stati invitati artisti provenienti da tutta la Svizzera per creare opere site-specific nell’ambito della prima edizione di Biennale Bregaglia, evento organizzato dall’associazione «Progetti d’arte in Val Bregaglia» con l’obiettivo di far colloquiare tra loro arte contemporanea, storia e natura in uno spazio alternativo ai circuiti culturali delle grandi città. Questa regione sospesa tra passato e presente è diventata dunque fonte d’ispirazione per i dodici artisti chiamati a partecipare alla manifestazione: la sua conformazione ambientale e le sue
Selina Baumann, Rupestre, 2020, ceramica, terra. (© Yanik Bürkli, CLUS AG)
vestigia secolari che narrano lo stratificarsi delle vicende della valle hanno stimolato la realizzazione di opere in cui si coglie il profondo legame con il territorio circostante e con le sue caratteristiche intrinseche, in primis la convivenza tra uomo e natura. Attorno alla chiesa di Nossa Dona e alle rovine dello sbarramento fortificato di Lan Müraia prende così vita un percorso fatto di lavori che si relazionano con le architetture e il paesaggio senza stridori o prevaricazioni, riuscendo anzi a intrecciare con essi una fitta trama di nessi visivi e culturali che portano a riscoprire la località secondo nuove prospettive. Tra le opere più interessanti presenti alla Biennale ci sono le sculture dal titolo Rupestre di Selina Baumann, realizzate con uno dei materiali prediletti dalla giovane artista, la ceramica: collocati in un’area boschiva contraddistinta da rocce e muschi, questi lavori dalle forme astratte evocanti la figura umana e dalle superfici su cui si possono scorgere i segni della manipolazione della materia, sono stati concepiti per lasciarsi trasformare dai ritmi della natura. Dalla terra che riempie il loro interno, infatti, germoglieranno nel
corso delle settimane piccole piante che potranno fuoriuscire da alcuni fori fatti appositamente nell’argilla, a simboleggiare come il creato stesso lasci la sua impronta vivifica sul prodotto umano. Hanno una stretta relazione con la valle anche le opere concepite da Not Vital, artista-viaggiatore, originario di Sent e cittadino del mondo, che da sempre trae ispirazione dalle tradizioni locali e dalle tecniche artigianali dei tanti luoghi visitati. In Bregaglia le balle di fieno in acciaio inossidabile rivestite di ceramica bianca, dalla consueta perfezione formale e dal sofisticato minimalismo che contraddistinguono tutti i lavori di Not Vital, spiccano con il loro esuberante candore nel prato che circonda la torre medievale, richiamando l’universo agricolo tramite uno dei suoi simboli più tradizionali, che qui viene nobilitato con audacia e un pizzico di ironia. In uno spazio diverso dalle sue consuete aree d’azione, Alex Dorici, artista ticinese che affonda le proprie radici nell’arte urbana, ha dato vita a un’installazione appositamente realizzata per l’evento bregagliotto in cui per la prima volta la linea, componente principale del suo vocabolario stilisti-
co, acquista una dimensione scultorea. Dal confronto con le peculiarità del posto nasce il suo grande Arco geometrico in metallo, verniciato di un rosso vivo e progettato per essere attraversato, che si situa nell’apertura tra le possenti mura fortificate di Lan Müraia dove in passato sorgeva una porta della stazione doganale, reinterpretandone così in chiave contemporanea l’antica funzione di passaggio. Stimolante anche l’opera di Asi Föcker, artista nata a Lucerna nel 1974 e assidua sperimentatrice di elementi quali luce, aria e movimento, che proprio nel paesaggio della Val Bregaglia trova terreno fertile per esplorare i fenomeni luminosi in relazione al moto e al tempo. Nell’installazione dal titolo Fels alcuni specchi sono stati fissati a una ringhiera tramite un supporto a molla che ne permette lo spostamento generato dal vento. I raggi del sole vengono riflessi sulla parete rocciosa retrostante la chiesa di Nossa Dona facendone una sorta di palcoscenico su cui si avvicendano le vibrazioni, le luci e le ombre che la natura dispensa con i suoi continui mutamenti atmosferici. Tra gli interventi che dialogano invece con gli spazi interni delle archi-
tetture del luogo ci piace citare quello dell’artista Sonja Feldmeier, un flauto di grandi dimensioni ricavato da un tronco d’albero sradicato e collocato dentro la chiesa di Nossa Dona: da una parte ecco le radici estirpate ben visibili, allusione alla potenza del creato, dall’altra il legno lavorato dalla mano dell’uomo che lo ha tramutato in un delicato strumento musicale, espressione di un auspicabile incontro tra natura ed essere umano edificato sul rispetto e sulla ricerca della bellezza. Dove e quando
Biennale Bregaglia 2020. A cura di Luciano Fasciati. Fino al 27 settembre 2020. Orari di apertura: tutti i giorni dalle 9.00 alle 20.00. Sito internet: https://biennale-bregaglia.ch Durante tutto il periodo di apertura della Biennale sono previsti eventi collaterali e un fitto programma di visite guidate (in italiano e in tedesco) che si possono trovare al link https:// biennale bregaglia.ch/it/programma/. È possibile anche prenotare visite guidate private. La guida cartacea è acquistabile in loco e l’audioguida si può scaricare dal sito. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Il primo 007 non si scorda mai
Si ritorna nella galassia della musica
Anniversari Auguri a Sir Sean Connery, splendido 90enne
Via Lattea L’amata
rassegna proposta anche quest’anno
Giovanni Medolago «Il mio nome è Bond, James Bond». Un semplice biglietto da visita, capace tuttavia di soffiare il titolo di miglior battuta della Storia del cinema al dialogo finale di A qualcuno piace caldo, che lo deteneva da decenni («Ma non capisci proprio niente, Osgood, sono un uomo!» «Beh, nessuno è perfetto!»). Ciò non sarebbe potuto accadere se a pronunciarle, quelle sette parole, non fosse stato lo 007 per eccellenza: Sean Connery, il quale proprio domani compirà 90 anni. Nato in un quartiere povero di Edimburgo («Casa nostra aveva ancora il bagno in comune sul pianerottolo»), appena compiuti diciott’anni si arruola nella Marina di Sua Maestà, ma pochi mesi dopo viene congedato a causa di un’ulcera. Lui si dispera, non sapendo che quell’esonero avrebbe segnato l’inizio della sua fortuna: costretto ai lavori più umili (fattorino, muratore, bagnino, garzone d’un lattaio), si presenta nel ’53 alle selezioni di Mister Universo sfoggiando un fisico scultoreo e muscoli forgiati da fatica e sudore, più che da sedute in palestra. Viene presto eliminato, ma fa in tempo a farsi notare dagli impresari che stanno mettendo su una rivista musicale, e si improvvisa ballerino di rango. Nel 1962 l’esordio sul set, nel film Il giorno più lungo, agiografia cinematografica dello sbarco in Normandia con un cast ancora più lungo di quel fatidico 6 giugno 1944. La sua è solo una particina, accanto a mostri sacri hollywoodiani quali John Wayne, Henry Fonda e Robert Mitchum, sufficiente tuttavia per segnalarsi all’occhio fine dei produttori Salztman&Broccoli. Sarà Sean Connery l’interprete ideale di James Bond, l’agente segreto 007 nato dalla fantasia dello scrittore dandy e snob Jan Fleming. Certo, da questi deve imparare un minimo di buone maniere: come sedurre tante Bond Girls (scelte da S&B tra le ragazze più belle al mondo, poco importa se non sanno recitare), come distinguere un Dom Pérignon da un millesimé qualsiasi e come vestirsi a seconda delle circostanze. Il ragazzo apprende in fretta, l’incubo di dover tornare in sella a una bici per distribuire bottiglie di latte è per lui il miglior maestro di recitazione al mondo. Dr. No (Agente 007 licenza di uccidere) ottiene un successo clamoroso quanto planetario. Merito di Connery, of course, ma anche della «nostra» Ursula Andress, novella Venere uscente dalle
Sean Connery sul set di Diamonds Are Forever, 1971. (Keystone)
acque con un bikini bianco da lei stessa disegnato, poi divenuto autentica icona (e venduto all’asta anni fa per una cifra assurda); nonché del futuribile apparato tecnologico di cui dispone Bond: dall’Aston Martin super accessoriata, agli ammennicoli apparentemente banali – penne, orologi, accendini – che in realtà nascondono insidie sovente letali per i suoi nemici. È l’inizio di una delle più fortunate saghe del cinema, sei film dagli incassi stratosferici, cui però Sean decide improvvisamente di dare un taglio. «Non mi andava di vedere gli effetti speciali prevalere sull’ironia di Bond», spiegò anni dopo. I suoi fans si disperano, ma cominciano a conoscere l’uomo Connery: uno scozzese con ascendenze irlandesi («Non ho una sola goccia di sangue inglese»), un convinto nazionalista che si mostra orgoglioso col tradizionale kilt e che sul braccio ha tatuato «Scotland forever», sebbene non l’abbia mai mostrato nei suoi 80 e passa film. Ma lo scoprono pure filantropo generoso che non si è mai dimenticato delle sue umili origini («Papà era spesso senza lavoro, mamma faceva la sguattera per poche sterline»). Quando ottenne un ingaggio ufficialmente registrato nel Guinness dei primati (2 mio di dollari per un solo film, e si era negli anni 70 del secolo
scorso), lo usò per fondare la «Scottish International Trust», che si prende cura dei giovani scozzesi emarginati. Vegano da oltre un decennio, Connery si impegna anche per l’ambiente, supportando Al Gore. I cinefili hanno avuto modo di apprezzare la sua infinita versatilità di attore, del resto già notata da registi quali Hitchcock (Marnie), Lumet (La collina del disonore e Riflessi in uno specchio scuro), Boorman (Zardoz), Huston (L’uomo che volle farsi re), Spielberg (Indiana Jones e l’ultima crociata, dove è il babbo di Harrison Ford), Gus Van Sant (Scoprendo Forrester). Indimenticabili sono pure le sue interpretazioni di Guglielmo da Baskerville ne Il nome della rosa, e del poliziotto – irlandese! – Jimmi Malone ne Gli intoccabili di Brian De Palma (che gli valse l’Oscar). Da segnalare anche il «suo» Douglas Meredith in Cinque giorni un’estate, girato sulle Alpi del nostro Paese e diretto da Fred Zinnemann, uno dei tanti cineasti europei che, scappando dalle tenebre del nazismo, se ne andarono a Hollywood per svelare ai registi USA come si realizza un «vero» film. Zinnemann («Un uomo sospeso tra due realtà: la vecchia Europa e l’infingarda Hollywood») divenne poi uno dei suoi pochi amici, accanto a Donald Sutherland,
Michael Caine e Michael Crichton, scrittore/regista che l’ha diretto ne La prima grande rapina al treno. Nel 2005 Connery affermò in un’intervista a «The New Zealand Herald» di volersi ritirare dalla recitazione, dicendo di essere stufo degli idioti; nella stessa intervista rivelò di aver rifiutato il ruolo di Gandalf nella trilogia Il Signore degli Anelli perché non l’aveva mai capita e quello di Albus Silente nella saga di Harry Potter perché non credeva nel progetto. Ha tenuto fede alle promesse e da allora ha prestato solo la sua voce a un videogioco ispirato a 007 e al protagonista del film d’animazione Sir Billy (anche lui è Sir, dal 1999). Considerato da almeno due generazioni di donne l’uomo più sexy del mondo, Connery è stato sposato per dodici anni con l’attrice Diane Cilento e da quasi mezzo secolo vive con la seconda moglie, la pittrice Micheline Roquebrune (che i 90 li ha già raggiunti lo scorso anno). Fedelissimo al limite della monogamia stando alle riviste di gossip, dice tuttavia di nutrire grande ammirazione per Katherine Hepburn e Meryl Streep. Ha qualche rimpianto?, gli chiesero anni fa. «Sì, non aver potuto recitare con Anna Magnani, la più grande attrice della storia».
Mancano pochi giorni a un appuntamento che quest’anno, forse più degli altri, sarà accolto con gioia e trepidazione, perché di cultura e di spazio, in questo frangente abbiamo bisogno tutte e tutti. Sono ormai diciassette anni che la fortunata e per certi versi geniale rassegna La Via Lattea invade pacificamente spazi deputati all’arte ma anche spazi insoliti, permettendo a chi la frequenta di scoprire perle musicali in scenografie sconosciute o inattese. Non per niente gli organizzatori di questo festival fuori dagli schemi (sostenuto anche dal Percento culturale di Migros Ticino) lo definiscono «una partitura scritta nel paesaggio, da eseguire camminando». Si parte dunque il 28 agosto, con un occhio a un «comun denominatore» che quest’anno si materializza nella figura del compositore Gabriel Fauré, personaggio cardine nel passaggio dal romanticismo alla modernità, che scelse Lugano come buen retiro per dedicarsi alla composizione. La prima tappa del festival musicale avrà luogo al Museo Vela di Ligornetto, e prevede l’esecuzione integrale delle tredici Barcarolles grazie a Jean-Philippe Collard (dalle 17 alle 18.30 e, in replica, dalle 19.30 alle 21). Per il secondo appuntamento si dovrà attendere il 12 settembre (replica il 13), data in cui ci si sposterà sul sedime che un tempo fu del castello di Trevano, accompagnati da Nadir Sutter, vicepresidente della STAN. Dove e quando
Per maggiori informazioni sulla 17esima edizione della Via Lattea: teatrodeltempo.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Cultura e Spettacoli
Elogio del buio
Pubblicazioni Il buio è spesso sinonimo di negatività, di paura,
di disperazione. Ma esiste anche un’altra storia, più positiva, che restituisce al buio la sua pienezza e centralità
Quel grande amore per la parola scritta In memoriam È scomparso il tipografo,
rilegatore ed editore Josef Weiss
Sebastiano Caroni
Eliana Bernasconi
«Nel mondo moderno il silenzio è raro come un cielo completamente buio». A pronunciare questa frase è il Dr. Daniel Pierce; purtroppo, dubito che troverete molto inserendo in Google il nome «Dr. Daniel Pierce» seguito dalla citazione. Il Dr. Daniel Pierce infatti non è un vero dottore in medicina. O meglio, in un certo senso è un vero dottore: solo non nella realtà, ma nella finzione della serie TV intitolata Perception, dove interpreta il ruolo di un neuroscienziato, brillante e affermato professore universitario, che soffre di schizofrenia. Se questa lo induce spesso a prendere le allucinazioni per avvenimenti reali, altre volte invece le alterazioni percettive permettono a Daniel di sfoderare una perspicacia fuori dal comune. In tali circostanze, si dimostra un abilissimo osservatore in grado di cogliere e interpretare dettagli invisibili ai più, aiutando così l’agente dell’FBI Kate Moretti a risolvere casi criminali che altrimenti rimarrebbero enigmatici. Nell’ultima scena di ogni puntata della serie, di solito vediamo il Dr. Daniel Pierce intento a chiudere una lezione, davanti a un auditorio ammaliato, facendo confluire in modo disinvolto l’argomento del giorno verso una domanda o una riflessione che riporta gli studenti alla quotidianità e ai suoi misteri. In quei momenti finali, la telecamera si allontana progressivamente, e la musica sfuma, sottolineando come l’episodio volga al termine. Il doppio effetto scenico, l’allontanamento progressivo della telecamera e l’attenuarsi della musica in sottofondo, amplificano ulteriormente l’incisività e la portata semantica delle parole. Potremmo anche dimenticarci tutto quanto è successo in precedenza, ma non quella frase che, con tutta probabilità, rimarrà impressa nella nostra memoria. Le pillole di saggezza del Dr. Pierce – tutte molto argute –, ricordano quelle situazioni in cui in uno spettacolo teatrale, a seguito di una vicenda appassionante, vengono pronunciate le ultime parole e poi le luci del palcoscenico si spengono. Come quando, in Shakespeare, Amleto congeda il pubblico con un eloquentissimo «and the rest is silence». E il resto è silenzio. Ma avrebbe anche potuto dire, perché no, e il resto è buio, accompagnando così lo spegnimento delle luci con un atto ineluttabilmente performativo, in cui le parole agiscono direttamente sul reale innescando l’immediatezza del
Josef Weiss, tipografo, grafico, editore, è scomparso improvvisamente lo scorso 5 agosto a 76 anni. Era nato a Romanshorn, nel canton Turgovia il 4.11.44. Dopo aver frequentato la Schule für Gestaltung come rilegatore e grafico si era formato in Botteghe d’arte prestigiose in varie località d’Europa. Nell’81 era giunto in Ticino e aveva fondato l’Atelier Josef Weiss: Laboratorio di rilegatura, grafica e letterpress printing. Nel 1989 aveva collocato il suo laboratorio nel centro storico di Mendrisio, dove un’affascinante vetrina incuriosiva i passanti. Qui, con il prezioso contributo della moglie Giuliana Weiss, creatrice di artistiche carte marmorizzate, produceva libri d’artista, opere su carta, rilegature con antiche tecniche artigianali, qui aveva anche fondato una collana cui hanno partecipato poeti, scrittori, artisti e architetti contemporanei. Sarebbe troppo lungo l’elenco dei luoghi prestigiosi in cui Josef Weiss veniva invitato ad esporre e dove sono collocate le sue opere, e stupirebbero i nomi dei personaggi di fama mondiale che gli hanno commissionato restauri di opere antiche. Nel 2012 il documentario Il libro deve morire per nascere a nuova vita centrato sulla sua opera, era stato presentato al 66esimo festival di Locarno mentre nel 2016 era stata la volta del film, con Alberto Casiraghi, dal titolo Il fiume ha sempre ragione del regista Silvio Soldini, sempre sulla sua opera. Il suo rammarico, aveva detto, era che
La filosofa e saggista italiana Francesca Rigotti. (Ti-Press)
buio. Tra il buio e il silenzio c’è indubbiamente un’affinità, come suggerisce la frase del Dr. Pierce, quanto l’illustre personaggio teatrale che, annunciando il silenzio, riconsegna il palcoscenico al buio. Il silenzio e il buio possono, a volte, condurci al centro di una saggezza autentica, ma anche contribuire a un mondo dove gli opposti si escludono. Tutti noi conosciamo espressioni quali «passare un periodo buio» e «augurare un futuro radioso». Sappiamo che «passare un periodo buio» non è propriamente una formula che si presta a un augurio, e che «augurare un futuro radioso» è invece un’azione lodevole e raccomandabile. In questo e in altri casi analoghi, il buio indica qualcosa di negativo e temibile. All’opposto, l’avvenire radioso lascia intravedere una promessa di felicità senza ombre. Se il buio è spesso associato alla negatività, alla depressione, al sospetto, al pericolo e alla paura, ciò non dovrebbe indurci a subordinarlo troppo frettolosamente alla positività della luce, della chiarezza, e della ragione. Sotto la superficie delle facili opposizioni, rigide e non negoziabili, che dividono il mondo in bene (luce), e male (buio), c’è un’altra storia. È quella degli opposti che si intrecciano e si compenetrano, e di un buio che è importante e imprescindibile quanto la luce. Come afferma
Francesca Rigotti in un interessante saggio dedicato al tema, e che si intitola proprio Buio, «se la luce eccita la mente, il buio ci fa entrare in rapporto col nostro centro. Ci offre la possibilità di una visione “interna”. Il buio – conclude la filosofa – ci serve per pensare». Il libro della Rigotti ha il merito di avvalersi di uno stile limpido e di un’argomentazione chiara, che alterna esempi dotti a spunti tratti dal linguaggio comune. Tanto breve e scorrevole, quanto prezioso e sensibile, il saggio si propone di ritrovare, nel viaggio delle parole e delle immagini, il filo nascosto che dal buio conduce alla luce, e viceversa. Se il Dr. Daniel Pierce avesse un regolare indirizzo email, non esiterei a contattarlo per consigliargli il libro di Francesca Rigotti, una lettura degna della sua intelligenza e arguzia. E anche se non è un vero dottore, e Perception è solo una serie TV, potrei pur sempre contattare gli sceneggiatori e suggerire loro una scena in cui Daniel legge il prezioso libretto. E chissà che, in uno slancio di creatività un po’ pazza, fra quelle pagine non vi trovi addirittura la chiave per risolvere un crimine fino a quel momento indecifrabile.
i giovani non mostrassero interesse a proseguire un lavoro come il suo. Nella nostra era digitale il libro ha perso per sempre la sua aura, entrando nell’uso comune come un qualsiasi oggetto di mercato. Josef Weiss si sforzava di riesumarne il valore perduto, la sacralità di un oggetto che i secoli ci hanno consegnato. Era fra i pochi, ma per fortuna ancora ben presenti, custodi del nostro passato: curava e sceglieva con attenzione i libri di cui era editore, tipografo e impaginatore, li concepiva come pezzi d’arte, ricongiungendoci così all’antica tradizione dell’arte del libro. Poiché la stampa è sempre a specchio, come un tempo facevano i tipografi, Weiss stampava i suoi testi con i caratteri mobili, ossia con lettere di piombo rovesciate, assemblate, legate assieme, in seguito inchiostrate con la carta stesa sopra cui passava una macchina meccanica avviata manualmente, oggi fornita di motore. Con questo procedimento la stampa penetra veramente la carta e può conservarsi per secoli. Evidentemente tutto questo non si verifica con la tipografia elettronica. Weiss possedeva un grande assortimento di tali caratteri contrassegnati ognuno da un nome che risaliva al suo creatore, come ad esempio Garamond o Bodoni. Una volta stampato, arricchito con interventi originali di artisti, il libro veniva rilegato con magistrali tecniche artigianali che proteggevano la carta dall’invasione e dal cedimento delle colle. A guidarlo in ogni momento era l’amore per ciò che produceva.
Bibliografia
Francesca Rigotti, Buio, Bologna, Il Mulino, 2020.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 agosto 2020 • N. 35
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta W le vetrine di Torino I mesi di isolamento in casa sono stati l’occasione per mettere un po’ di ordine nel guardaroba scoprendo dei vestiti che non ricordavamo più di avere. Con la moglie che incalzava: pensi ancora di metterlo? Dai cassetti è saltato fuori di tutto, compresi i temi scolastici, come il seguente, scritto per il ritorno in classe dopo le vacanze. Avevo terminato le elementari ed entravo in prima media. Più di settanta anni fa. Tema: Quale aspetto di Torino rimpiangevi di più quando eri in vacanza? Svolgimento: per le vacanze in montagna i miei genitori hanno affittato una baita in un paesino dell’alta valle d’Aosta di cui non faccio il nome perché è nel dialetto locale e non voglio sbagliare a scriverlo. Quando ero lì l’aspetto di Torino che rimpiangevo di più erano le vetrine. Sono sicuro che alla mia prof sorge una domanda: ma tu vai in vacanza in un paesino di montagna per guardare le vetrine? La risposta è no, ma è successo che il primo giorno che eravamo lì il
mio papà, vedendo che tutti viaggiavano sulla mountain bike, ha detto: cosa ci vuole? E ne ha affittata una. Il noleggiatore voleva spiegargli come si fa a cambiare marcia ma lui non ha voluto saperne: non sono mica un bambino, ha detto. Finché si è trattato di pedalare in salita è andato tutto bene, è stato nella discesa che lui ha provato a cambiare marcia senza pedalare: la catena è saltata e ha bloccato di colpo la bici. Un bambino avrebbe messo le mani avanti, il mio papà ha preferito salvare le mani e così ha picchiato la faccia per terra strisciando un bel po’ sui sassolini. Per disinfettarlo gli hanno pitturato tutta la faccia con un liquido rosso, così quando andava in giro per il paese lo scambiavano per uno che faceva la réclame del circo in arrivo lì a giorni e gli chiedevano non cosa gli era capitato ma gli orari degli spettacoli e il prezzo del biglietto. Per fortuna le ferite erano tutte superficiali ma il colpo l’aveva fatto ritornare bambino
e per un po’ di giorni abbiamo dovuto spiegargli tutto con dei disegnini. Ha chiesto anche di andare al parco giochi; la mia mamma non voleva portarlo ma lui ha piantato un capriccio spaventoso e, per non doversi vergognare con i vicini di casa, l’ha avuta vinta lui. Una volta lì, per un po’ se n’è stato buono buono, poi ha voluto portar via la palla a un altro bambino che stava giocando sotto lo scivolo, solo che non s’è reso conto che lui era già alto un metro e ottanta centimetri, così ha piantato contro il montante dello scivolo una craniata tale che il Comune voleva fargli causa per danneggiamento del bene pubblico. Per trattenerlo in casa la mia mamma ha deciso di prenderlo per la gola: per fortuna aveva portato su il ricettario e tutti gli ingredienti per preparare i piatti tipici della cucina indiana. Ma forse per il fatto che il mio papà le stava sempre intorno e la faceva confondere, la mia mamma deve aver sbagliato qualcosina nelle dosi. E così
mio papà, dopo la prima cucchiaiata, è corso in cortile a mettere la bocca spalancata sotto la cannella della fontana. A questo punto un consiglio di famiglia ha deciso che l’unica attività praticabile nel paese che non fosse pericolosa per il mio papà era quella di andar per vetrine. O meglio, per vetrina perché in quel paesino c’è solo un emporio dove però si vende di tutto. Anche se la vetrina è molto grande non c’è un solo centimetro quadrato libero, perciò ci sono molte cose da vedere e altrettante da indovinare perché sono coperte da quelle arrivate dopo. Al centro ci sono una mezza forma di fontina stagionata e le pantofole, così non si saprà mai se sono le pantofole che sanno di fontina o è la fontina che ha il gusto di pantofola. Ci sono prodotti in scatola – tonno, acciughe, sgombri – di marche scomparse da decenni. Si trova anche la Chinina Migone per tingersi di nero i capelli, in casa, senza andare dalla parrucchiera. Abbiamo i rotoli di carta moschicida:
sono strisce da appendere al lampadario sulle quali si appiccica di tutto tranne le mosche che l’hanno capito e girano alla larga. L’emporio del paese è considerato la terra promessa dei rappresentanti sfigati che quando non riescono in tutto il giorno a piazzare neanche un ordine, verso sera vanno lì e qualcosa combinano sempre. Se uno ordina grasso per scarponi rispondono che ne sono sprovvisti, in compenso hanno pezzi di ricambio per il surf e cere per i pavimenti di lusso quando in tutta la valle non c’è un pavimento che non sia di pietra o di mattoni. Un giorno la padrona ha piazzato al centro della vetrina una bomboletta spray di un nuovo prodotto per pulire i vetri; stando tante ore al sole la bombola è scoppiata e per un mese tutto quello che si comprava nell’emporio, fosse pane, prosciutto, cipolle o pesche, sapeva di detersivo. Ecco perché quando ero in vacanza non vedevo l’ora di tornare a Torino a contemplare un po’ di vetrine.
Il risultato fu un rinforzo di pianto. Sara rimase in piedi a guardare sua madre mentre singhiozzava in quel suo modo scomposto e irrefrenabile. Faceva così soltanto quando litigavano, suo padre e lei. Capitava abbastanza spesso, da quando tutti e due uscivano poco. Da quando lei aveva smesso di farsi bella per partecipare a un provino e di tornare a casa eccitata , convinta che l’avrebbero presa. Da quando lui aveva incominciato a parlare al passato di un film che non aveva mai iniziato a girare. Come se fosse stato realizzato e fosse andato male. «Mamma dai...», disse, e sentì che avrebbe potuto piangere anche lei. Betta si soffiò il naso e cercò di riprendere il controllo. «Hai litigato con papà?», Betta annuì. «Scusa,» disse «scusa, cucciolo adorato. Papà è andato a pranzo dalla nonna e mi ha mandato un messaggio che si fermava lì, per qualche giorno... ti rendi conto? Erano le mogli che dicevano:
torno da mia madre! Non i mariti. I mariti erano solidi, una volta. Invece lui... pur di non vedermi per un po’ è andato a vivere nella sua cameretta con i poster dei Joy Division appesi sopra il letto... avesse i soldi se ne andrebbe in albergo, evidentemente Nick e Eva non gli hanno concesso il divano delle pause di riflessione, perché le chiamiamo così noi, cioè loro... quelli che se ne vanno, chiamano così le loro fughe, ho bisogno di una pausa di riflessione». La desolazione, la pena per sé stessa, stava sfumando nel risentimento e questo era certamente un passo avanti, ma non doveva sfogarsi con Sara, Sara era sua figlia, non era una sua amica, andava guidata formata e protetta, non inondata di confidenze disperate. «Scusa,» disse di nuovo, «posso chiedere due uova alla vicina e farti una frittata». Si alzò. E allora Sara si ricordò della busta che aveva preso nella buca delle lettere e infilato in una tasca dei pantaloni. Gliela
porse. «C’era questa per te, sotto. Magari è papà che ti dice che torna». Betta guardò la busta, c’era scritto «Per Betta», e non era la calligrafia di Tom. Su un cartoncino lillà chiaro lesse una frase ampollosa e misteriosa, vergata con inchiostro viola in un corsivo ornato. «Non se ne abbia male, per questo ruvido omaggio, lo consideri per quello che è». Ben stirati, fra il cartoncino e la busta, c’erano 5 banconote da 100 euro. «Soldi?!» , disse Sara, con un tono che non avrebbe saputo a quale categoria ascrivere, un puro precipitato di stupore, «Mamma, chi è che ti ha mandato dei soldi?» Betta sorrise in ritardo e mentì con precisione: «È per una serata che ho fatto l’estate scorsa, tu eri in campagna coi Fortuzzi. Mi metto qualcosa e andiamo a mangiarci una pizza». Sara incominciò a saltare felice. Betta decise di provare, verso il vecchio, soltanto gratitudine. Per ora. (Continua)
guida (quasi una guida alpina da cui dipende l’ascesa, cioè «colui che stando più avanti e più in alto nella salita, trae a sé»), legga Gustavo Zagrebelsky, Mai più senza maestri, edito dal Mulino (5+). Titolo che capovolge il motto del Maggio francese: «Jamais plus de maîtres». Fatto sta che la protesta di Londra dimostra come il buon senso, che i sessantottini aborrivano, sia diventato rivoluzionario. La resistenza oggi potrebbe partire dal banale senso comune, che si oppone alla patafisica del potere esibizionista e improvvisato (vedi Trump). C’era un tempo in cui il buon senso era di destra, una insopportabile litania conservatrice da vecchie zie (e da padri e madri borghesi): oggi è la destra a non sopportare le regole, le limitazioni, il giudizio pacato e la pandemia lo ha dimostrato a livello planetario. In Italia Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno rappresentato le punte di diamante della «disobbedienza civile» (per mentalità oltre che per opposizione politica): tutto si può (e si deve) fare in
nome del commercio, dell’economia e della finanza. Niente limiti, niente legacci. La senatrice di Fratelli d’Italia Daniela Santanché, proprietaria di una discoteca a Forte dei Marmi, ha voluto coraggiosamente manifestare contro la chiusura delle discoteche decretata dal governo. Il guaio (per lei, 2–) è che ha scelto di protestare ballando nel suo locale e diffondendo quella tristezza sui social. Sicché una rivendicazione a favore della libertà individuale si è rovesciata malauguratamente nel suo opposto, cioè nel più classico degli autogol, una involontaria pubblicità progresso a perpetua memoria contro ogni vaga intenzione di mettersi a ballare pur di evitare anche il più remoto pericolo di ritrovarsi in tanto malinconico squallore su sfondo di piante grasse e di faretti intermittenti tipo festa da crociera per single. Sorrisini imbarazzati e goffi ancheggiamenti, tuta fosforescente similmimetica, orecchini penduli e coda di cavallo saltellante sulla nuca. La destra in versione 5.0 non ha nessuno scrupolo
nell’infrangere le regole, è diventata godereccia, burlona, trasgressiva, ansiosa di dare il cattivo esempio. Bisogna abbattere tutti i muri, amministrativi commerciali e legali, tranne quelli etnici che invece vanno eretti per impedire i passaggi di profughi e migranti (la tesi, non importa se palesemente falsa, è che sono loro il fattore più consistente del contagio Covid). Discoteche aperte, confini serrati e porti chiusi. In un’epoca in cui l’umanità si misura con i numeri, gli algoritmi diranno se sarà una strategia produttiva sul piano elettorale (e purtroppo lo sarà). Dostoevskij non sarebbe d’accordo: in una magnifica pagina di «Le Figaro» (6–, altro che le pagine “estive” di alleggerimento e pettegolezzo che si vedono sui giornali italiani!), Anne de Guigné ha illustrato, a partire da Delitto e castigo e da Il giocatore, il totale disprezzo dello scrittore russo per la borghesia del denaro e per l’«homo oeconomicus». Figurarsi l’odio per il totalitarismo ottuso dell’«homo algoritmicus».
Quaderno a quadretti di Lidia Ravera Le nuove povertà/9 La busta la portò in casa Sara, alle otto di sera, tornando dal week end a Pescia Fiorentina, nella casa di campagna dei genitori di quella che avrebbe potuto continuare a essere la sua miglior amica, se non avesse incominciato a invidiarla. Può essere la tua migliore amica una tipa che possiede un casale di pietra con la piscina, un appartamento a Parigi e duecento metriquadri con terrazza a Roma? Le migliori amiche devono essere piazzate come te nella vita, se no non puoi confidare nessun segreto che non sia inventato, perché se le dici la verità le fai pena e poi magari sua madre ti regala le sue camicette smesse come ha fatto prima di ripartire dalla campagna. E tu ti senti di merda. Sara aveva le chiavi di casa ma preferiva suonare il campanello. Le piaceva che sua madre aprisse la porta e la abbracciasse e le dicesse «Come è andata, raccontami!» , quasi fosse tornata da un lungo viaggio avventuroso. Dovette suonare due volte. E aspettare.
Quando aprì finalmente la porta Betta era scalza, indossava una canottiera sopra i pantaloni del pigiama e aveva pianto. Sara decise di non accorgersene. «Ho fame, cosa c’è da mangiare?» Si era servita volontariamente del tono numero 3, quello che sua madre detestava, il tono «adolescente aggressiva». Gli altri due erano «cucciolo adorabile» e «donnina giudiziosa». Betta la guardò aprire il frigo, attese il suo scoppio di legittima rabbia come si attende il tuono dopo il fulmine. «Ma non c’è un cazzo!». «Credevo che rimanessi a cena dai Fortuzzi». «Sì, magari gli va di adottarmi, vuoi che glielo chieda?» Se ne accorse subito dopo, Sara, che sua madre aveva il viso rigato di lacrime nere di rimmel. Si sentì in colpa, ma non sapeva come rimediare. «Magari faccio due spaghetti. Dov’è il problema?», disse azzeccando un perfetto tono «donnina giudiziosa».
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Gli algoritmi dell’imbecillità Per nostra fortuna, il governo inglese di Boris Johnson ci ha ripensato (2+ di incoraggiamento): l’algoritmo non darà i voti della maturità. È stato necessario che gli studenti scendessero in strada a protestare, ma alla fine il ministro dell’Istruzione ha ceduto e ha ridato piena dignità al giudizio dei professori. Meglio tardi che mai. Si è rassegnato all’evidenza che l’algoritmo come criterio di selezione avrebbe avvantaggiato i benestanti, cioè gli allievi delle scuole private (che hanno «rating» altissimi), penalizzando i ragazzi che frequentano gli istituti pubblici. Affidarsi a un calcolo automatico per valutare una persona è l’ultima frontiera (ma, temo, già penultima o terzultima quando questo articolo andrà in stampa) dell’estremismo fideistico tecnologico. Se poi questa persona è un giovane che sulla valutazione dovrà costruire il proprio futuro, siamo al grado definitivo dell’imbecillità senza ritorno. A questa opzione geniale avevano pensato Johnson e i suoi ministri e c’è voluto il buon senso dei diciottenni per
far ritornare sui loro passi quegli allegri futuristi al potere. Per nostra fortuna: perché se l’esempio inglese fosse passato senza resistenze in patria, certamente avrebbe fatto proseliti (e danni) anche altrove. Lasciando a margine il fatto (già in sé gravissimo) che la decisione algoritmica avrebbe ferito a morte il cosiddetto ascensore sociale (per cui i ricchi continuerebbero a salire imponendo ai poveri di marciare sul posto per decreto burocratico-tecnologico), svuotare di autorità i professori significherebbe abbattere nei giovani ogni processo di consapevolezza e di crescita responsabile. Purché la valutazione non diventi il fine di tutto, come accade spesso e volentieri, ma conservi una funzione educativa, di apprendimento e di autoverifica. Fare dell’insegnante una specie di «influencer» sarebbe nefasto: del resto, di simpatici «influencer» è già pieno il mondo (e la rete) e tutti meritano un equo 1– di scoraggiamento. Se qualcuno avesse dubbi riguardo alla centralità del professore inteso come
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per es. slip midi da donna Ellen Amber, bianchi, tg. M, il pezzo, 7.95 invece di 9.95, offerta valida fino al 7.9.2020, in vendita solo nelle maggiori filiali
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, fino a esaurimento dello stock
Frutta e verdura
Un tripudio di colori e vitamine
32% 5.90 25% 2.90 invece di 3.90
invece di 8.80
provenienza: vedi, conf. da 500 g
invece di 2.60
invece di 4.90
Pesche gialle extra Italia, sciolte, al kg
20% 3.50
Fagiolini verdi Svizzera, imballati, 500 g
invece di 4.40
Migros Ticino
provenienza: vedi, conf. da 500 g
Uva bianca senza semi, bio
21% 2.05 20% 3.90
Mirtilli
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Insalata Giascia (insalata ghiaccio) Ticino, conf. da 250 g
Pane e prodotti da forno
Da mordere
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Venditrice di frutta e verdura
I peperoni senza pelle sono più teneri e facili da digerire. Cuoci in forno a 250 gradi i peperoni tagliati a metà e privati dei semi, finché non si saranno formate delle macchie nere sulla pelle. Mettili in un sacchetto per surgelati chiuso e fai raffreddare. Poi sarà più facile rimuovere la pelle con un coltello.
34% 1.70 invece di 2.60
Migros Ticino
Peperoni misti provenienza: vedi confezione, 500 g
conf. da 2
25% Cornetti precotti refrigerati, per es. cornetti al burro, 2 x 240 g, 4.65 invece di 6.20
Hit 4.95
Tranci al limone 5 pezzi, 250 g
Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, fino a esaurimento dello stock
Carne e salumi
Per veri carnivori…
o m i s s o r p l i Pe r g li f e s t i v a l de h o t do g
30%
20% Bresaola della Valtellina e prosciutto crudo di Parma Beretta in conf. speciale, per es. bresaola della Valtellina, 112 g, 6.95 invece di 8.70
Petto di pollo affettato finemente e affettato di pollame Don Pollo in conf. speciale, per es. petto di pollo affettato finemente, Brasile, 187 g, 3.90 invece di 5.60
conf. da 3
30% 6.90 invece di 9.90
Migros Ticino
Filetto di manzo Australia, per 100 g, al banco a servizio (Angolo del Buongustaio)
20% 6.20 invece di 8.05
30% 5.25 invece di 7.50
Fettine fesa di vitello fini TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g
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Wienerli M-Classic Svizzera/Germania, 3 x 4 pezzi, 600 g
25% 2.95 invece di 4.–
Salametti di cervo prodotti in Ticino, in conf. da 2 x ca. 90 g, per 100 g
35% 1.40
Costine di maiale Svizzera, imballate, per 100 g
invece di 2.20
15%
2.80 invece di 3.30
25% 8.80 invece di 11.80
Migros Ticino
Bratwurst di vitello Olma Svizzera, in conf. da 4 x 160 g / 640 g
26% 14.– invece di 19.–
Fettine di pollo Optigal al naturale e marinate, Svizzera, in self-service, per es. al naturale, per 100 g
40% Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, in conf. da 2 x 500 g / 1 kg
10.60 invece di 17.80
Salmì di cervo, cotto Austria, 600 g
Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, fino a esaurimento dello stock
Pesce e frutti di mare
… e per gli amanti del pesce
e mo n l e l a s Il a pe l inare l c on da c uc o r f e t t a g ri g l ia e p è al l
20% Pesce fresco bio salmone e spigola, per es. filetto di salmone con pelle, d'allevamento, Norvegia, per 100 g, 4.45 invece di 5.60
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conf. da 3
32% 12.– invece di 17.70
Filetti di trota affumicati d'allevamento, Danimarca, 3 x 100 g
conf. da 2
33% 8.95 invece di 13.40
40% Bastoncini di merluzzo Pelican, MSC prodotto surgelato , 2 x 24 pezzi, 2 x 720 g
14.85 invece di 24.75
Gamberetti tail-on Pelican cotti, ASC surgelati, in conf. speciale, 750 g
Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, ďŹ no a esaurimento dello stock
Formaggi e latticini
Da sciogliersi in bocca
20% 4.20 invece di 5.25
conf. da 2
conf. da 2
20% Formaggio da grigliare Hot&Cheesy M-Classic al naturale o alle erbe, per es. al naturale, 2 x 280 g, 6.30 invece di 7.90
20% 3.65 invece di 4.60
Mozzarelline Alfredo Classico prodotto confezionato, 2 x 160 g
20x
invece di 1.75
prodotto confezionato, per 100 g
3.95
r o t e i ne Font e di p o e se nza o si se n z a l a t t i a g g i u n t i zucc he r
PUNTI
Novità
Le Gruyère dolce
prodotto confezionato, 300 g
20x
PUNTI
20% 1.40
Camembert Suisse Crémeux
Novità
Baer Tomme Smokey 150 g, offerta valida fino al 7.9.2020
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2.10
Drink High Protein Macchiato Oh! 500 ml, offerta valida fino al 7.9.2020
22% 1.40
Appenzeller Surchoix a libero servizio, per 100 g
invece di 1.80
20% 1.90 invece di 2.40
30% 1.25 invece di 1.85
Caseificio Blenio prodotto in Ticino, a libero servizio, per 100 g
Tutto l’assortimento Tomme Jean Louis per es. Tomme à la crème, conf. da 100 g
conf. da 4
a partire da 2 pezzi
–.20 di riduzione
Tutti gli snack al latte e le fette al latte Kinder refrigerati, per es. fette al latte, 5 pezzi, 140 g, 1.55 invece di 1.75
Migros Ticino
21% 3.– invece di 3.80
Yogurt Yogos al naturale, ai fichi o al miele, per es. al naturale, 4 x 180 g
Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, fino a esaurimento dello stock
Scorta
Lunga conservazione per chi ama l’improvvisazione
conf. da 3
33% Rio Mare in confezioni multiple, per es. tonno in olio d'oliva, 3 x 104 g, 8.40 invece di 12.60
conf. da 6
20% 4.80 invece di 6.–
Pomodori triturati Longobardi 6 x 280 g
20%
30%
Tutto l’assortimento Mister Rice
Tutti i tipi di aceto e condimenti Ponti
per es. bio Basmati, 1 kg, 4.30 invece di 5.40
per es. aceto balsamico di Modena, 500 ml, 3.– invece di 4.50
conf. da 2
20%
20%
Dado da brodo Knorr
Tutti i funghi secchi in bustina
verdura, pollo o manzo, per es. verdura, 2 x 109 g, 6.70 invece di 8.40
per es. boleti, 30 g, 2.85 invece di 3.60
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conf. da 2
50% 4.60 invece di 9.20
Crocchette di rösti M-Classic Delicious prodotto surgelato , 2 x 600 g
conf. da 2
20% Noci di anacardi o fette di mango Sun Queen per es. noci di anacardi, 2 x 200 g, 6.– invece di 7.50
Tutta la pasta, i sughi per pasta e le conserve di pomodoro bio per es. spaghettini integrali, 500 g, 1.50 invece di 1.90
a partire da 2 pezzi
conf. da 2
20%
40%
20%
Tutti i cereali e i semi per la colazione bio
Pasta Agnesi Penne rigate, spaghetti o tortiglioni, in confezioni multiple, per es. penne rigate, 2 x 500 g, 2.50 invece di 4.20
20x
(prodotti Alnatura esclusi), per es. fiocchi d'avena integrali, 500 g, 1.– invece di 1.20
Tutti i prodotti Nescafé per es. Gold De Luxe, in busta da 180 g, 8.80 invece di 11.–
Pe r la pre par di c onfe t t uazione re v e g a ne
20x
PUNTI
PUNTI
Novità
4.95
20%
20%
Novità
Casa Giuliana Quattro Formaggi prodotto surgelato , 350 g, offerta valida fino al 7.9.2020
4.–
Kellogg's Zimmys Cinnamon Stars
Tutto lo zucchero gelificante e tutti i gelificanti
330 g, offerta valida fino al 7.9.2020
per es. gelificante per marmellate e gelatine, 3 x 30 g, 1.90 invece di 2.40
Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, fino a esaurimento dello stock
Prodotti freschi e pronti
Pronto e servito in un battibaleno
conf. da 2
25% La Pizza 4 stagioni o margherita, per es. 4 stagioni, 2 x 420 g, 11.50 invece di 15.40
conf. da 3
30% Lasagne M-Classic alla bolognese o ďŹ ori, per es. alla bolognese, 3 x 400 g, 9.– invece di 12.90
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Hit 8.90
Pasta fresca Garofalo ravioli ricotta e spinaci e tortellini al prosciutto crudo, in confezione speciale, per es. ravioli ricotta e spinaci, 500 g
Bevande
Un brindisi per i prezzi bassi
conf. da 6
33% 3.95
conf. da 6
33% 7.95 invece di 12.–
Evian 6 x 1,5 l
invece di 5.95
Coca-Cola Classic, Light o Zero, 6 x 1,5 l, per es. Classic
l c ol ic o a n a t iv o A pe r i i t a l i a no
20% Tutti i succhi freschi e le composte Andros
20% Tutte le bevande Biotta, non refrigerate
per es. succo d'arancia, 1 l, 3.90 invece di 4.90
conf. da 10
22% 6.95
Crodino 10 x 100 ml
invece di 9.–
per es. mirtilli rossi Plus, 500 ml, 3.80 invece di 4.80 Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, ďŹ no a esaurimento dello stock
Dolce
Per chi adesso non è a dieta
10% 6.40 invece di 7.15
Kinder Bueno Classic e White, in confezione speciale, per es. Classic, 430 g
a partire da 2 pezzi
20%
50% 14.95 invece di 30.10
Cioccolatini Selection Frey, assortiti, UTZ
Tutte le tavolette, le palline e tutti i Friletti Frey Suprême, UTZ per es. Bouquet d'Oranges Suprême, 100 g, 2.20 invece di 2.75
in confezione speciale, 1 kg
conf. da 2
22% 9.– invece di 11.60
a partire da 2 pezzi
–.60 di riduzione
Tutti i biscotti in rotolo (prodotti Alnatura esclusi), per es. biscotti margherita, 210 g, 1.30 invece di 1.90
conf. da 2
20% 3.50 invece di 4.40
Ragusa For Friends Classique, Blond o Noir, per es. Classique, 2 x 132 g
24% Magdalenas M-Classic marmorizzate o al limone, per es. marmorizzate, 2 x 225 g
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11.95
invece di 15.90
Leckerli finissimi in conf. speciale, 1,5 kg
Fiori e giardino
Hit 5.50
Uovo Kinder Maxi in confezione speciale, 100 g
20x PUNTI
Novità
2.95
Barrette Chiefs Crispy Cookie o Salty Caramel, per es. Crispy Cookie, il pezzo, offerta valida fino al 7.9.2020
Hit 22% Zampe d'orso, bastoncini alle nocciole, sablé al burro e schiumini al cioccolato
13.95
Bouquet di rose M-Classic, mazzo da 30, Fairtrade disponibile in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, il mazzo, per es. rosso, giallo e arancione
in confezione speciale, per es. bastoncini alle nocciole, 1 kg, 6.50 invece di 8.40
Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, fino a esaurimento dello stock
Bellezza e cura del corpo a partire da 2 pezzi
25%
a partire da 2 pezzi
Prodotti per la cura del viso Nivea e Nivea Men, Nivea Creme, Nivea Soft e Nivea Baby (protezioni solari, confezioni multiple e da viaggio escluse), per es. crema da giorno idratante Q10 Power IP 15, 50 ml, 8.95 invece di 11.90, offerta valida fino al 7.9.2020
conf. da 3
25% Tutto l'assortimento I am Natural Cosmetics (confezioni multiple escluse), per es. deodorante spray limetta/salvia, 75 ml, 4.45 invece di 5.90, offerta valida fino al 7.9.2020
33% Dentifricio Candida per es. Sensitive, 3 x 75 ml, 6.60 invece di 9.90, offerta valida fino al 7.9.2020 conf. da 2
25%
conf. da 3
Prodotti per la cura del viso o del corpo Nivea per es. struccante per occhi per trucco resistente all'acqua, 2 x 125 ml, 8.70 invece di 11.60, offerta valida fino al 7.9.2020
33% Prodotti per la doccia Le Petit Marseillais per es. docciacrema ai fiori d’arancio, 3 x 250 ml, 6.95 invece di 10.50, offerta valida fino al 7.9.2020
conf. da 6
Hit 9.80
Spazzolino da denti Candida Sky Soft offerta valida fino al 7.9.2020
conf. da 3
20% Fazzoletti e salviettine cosmetiche Linsoft
Hit 4.–
in conf. speciali, per es. salviettine cosmetiche Ultra Soft in scatola, 3 x 90 pezzi, 4.40 invece di 5.55, offerta valida fino al 7.9.2020
20x
Tutto l'assortimento di colorazioni L’Oréal e Garnier per es. Garnier Nutrisse Crème 10 nero, il pezzo, 4.60 invece di 5.80, offerta valida fino al 7.9.2020
PUNTI
Novità
15.90
in confezione speciale, FSC, 42 x 10 pezzi, offerta valida fino al 7.9.2020
20x
PUNTI
20%
Fazzoletti Linsoft
Novità
Crema per le mani alla canapa Burt's Bees 70.8 g, offerta valida fino al 7.9.2020
Una selezione di questi prodotti è disponibile anche su LeShop.ch.
5.90
Collirio Sanactiv 30 fiale, offerta valida fino al 7.9.2020
bini m a b e bè Pe r be li a par t ire picc o 6 me si dai
Bebè e bambini
conf. da 2
conf. da 4
24%
a partire da 3 pezzi
23%
Latte di proseguimento Aptamil Pronutra 2 e Aptamil Junior 18+ per es. Junior 18+, 2 x 800 g, 29.95 invece di 39.90, offerta valida fino al 7.9.2020
20%
Salviettine umide per bebè Milette
Tutto l'assortimento Mibébé
per es. Ultra Soft & Care, FSC, 4 x 72 pezzi, 9.– invece di 11.80, offerta valida fino al 7.9.2020
per es. flips di riso con banana, 60 g, 2.20 invece di 2.75, offerta valida fino al 7.9.2020
conf. da 9
a partire da 3 pezzi
Hit 29.90
20%
40%
Cane di peluche
Tutti i pannolini Milette, FSC
80 cm, il pezzo, offerta valida fino al 7.9.2020
(inserti per pannolini monouso esclusi), per es. Large, tg. 6, 16–30 kg, 33 pezzi, 6.40 invece di 7.95, offerta valida fino al 7.9.2020
Salviettine umide Nivea Baby Pure & Sensitive 9 x 63 pezzi, 21.– invece di 35.10, offerta valida fino al 7.9.2020
In materiale riciclato al 100%
20x PUNTI
Novità
Animali di peluche Eco-Recycling per es. leone 45 cm, il pezzo, 39.90, offerta valida fino al 7.9.2020
conf. da 6
Hit 39.95
Hit Copertina da gioco Bright Starts con orsetto il pezzo,, offerta valida fino al 7.9.2020
47.50
Ricariche Sangenic Twist and Click in conf. speciale, conf. da 6 pezzi, offerta valida fino al 7.9.2020
Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, fino a esaurimento dello stock
Casalinghi conf. da 4
Hit
Hit 34.95
Pirofila Pyrex Cook & Heat
12.95
rettangolare, 28 x 20 cm, il pezzo, offerta valida fino al 7.9.2020
Pirofile da forno Cucina & Tavola, Ø 14 cm disponibili in bianco, verde o rosa, Ø 14 cm, per es. verde, 4 pezzi, offerta valida fino al 7.9.2020
Hit 7.95
Stampo per soufflé Cucina & Tavola rosa, Ø 20 cm, il pezzo, offerta valida fino al 7.9.2020
set da 2
50% 29.95 invece di 61.90
Pirofile da forno Pyrex 40 x 28 cm e 35 x 23 cm, il set, offerta valida fino al 7.9.2020
40% Pentole della linea Prima della marca Cucina & Tavola per es. casseruola a un manico, Ø 20 cm, il pezzo, 14.95 invece di 24.95, offerta valida fino al 7.9.2020
40% Tutto l'assortimento di padelle Greenpan adatte anche ai fornelli a induzione, per es. Andorra a bordo basso, Ø 24 cm, il pezzo, 29.95 invece di 49.95, offerta valida fino al 7.9.2020
a partire da 2 pezzi
40% Tutti i coltelli da cucina e le forbici Cucina & Tavola e Victorinox per es. coltello da pane Victorinox, 14.95 invece di 24.90, offerta valida fino al 7.9.2020
conf. da 2
20% Detersivo in conf. di ricarica Elan disponibile in diverse fragranze, per es. Fresh Lavender, 2 x 2 l, 23.75 invece di 29.80, offerta valida fino al 7.9.2020
30% Tutto l'assortimento di set da tavola, tovaglie e strisce centrotavola Cucina & Tavola per es. tovaglia con gufi, 140 x 180 cm, il pezzo, 10.45 invece di 14.95, offerta valida fino al 7.9.2020
50% 23.95 invece di 48.15
conf. da 4
Hit 9.95
Asciugapiatti disponibili in diversi colori, per es. rosso, offerta valida fino al 7.9.2020
a partire da 2 pezzi
Detersivi Elan Active Powder e Color Powder, in confezione speciale, per es. Active, 7,8 kg, offerta valida fino al 7.9.2020
Una selezione di questi prodotti è disponibile anche su LeShop.ch.
22% Tutti i detersivi per capi delicati Yvette (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Yvette Care, 2 l, 9.– invece di 11.50, offerta valida fino al 7.9.2020
Hit 24.95
Caffettiera Bialetti, per 3 tazze disponibile in diversi colori, per es. verde, il pezzo, offerta valida fino al 7.9.2020
Hit
conf. da 2
37% 9.95 invece di 15.90
Profumo per ambienti Ambiance
12.95
Caraffa termica Boral da 1.5 litri, il pezzo, offerta valida fino al 7.9.2020
disponibile in diverse fragranze, per es. Lemon Grass, 2 x 100 ml, offerta valida fino al 7.9.2020
Hit 69.95
Hit 3.95
20%
Trolley da viaggio Central Square disponibile in blu marino o verde scuro, 70 cm, per es. verde scuro, il pezzo, offerta valida fino al 7.9.2020
Scatole da trasloco 64 x 34 x 36 cm, il pezzo, offerta valida fino al 7.9.2020
41% Carta igienica Soft Recycling Supreme e Deluxe, in confezioni speciali, per es. Recycling Supreme, 30 rotoli, 11.– invece di 18.75, offerta valida fino al 7.9.2020
conf. da 100
Hit 3.95
Tutta la biancheria in spugna Candele scaldavivande Ambiance durata di combustione 4 ore, offerta valida fino al 7.9.2020
conf. da 4
Hit 6.95
40% Candele profumate Ambiance disponibili in diverse fragranze, per es. alla vaniglia, offerta valida fino al 7.9.2020
conf. da 6
Hit 4.50
per es. telo da doccia Chic Feeling blu 70 x 140 cm, il pezzo, 10.35 invece di 12.95, offerta valida fino al 7.9.2020
Tutto l'assortimento di calzetteria da donna e da uomo (articoli SportXX esclusi), per es. collant Compact medium Ellen Amber, color porcellana, tg. M, il pezzo, 8.40 invece di 14.–
20x PUNTI
Accendino con soggetto civetta, offerta valida fino al 7.9.2020
Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Vital Balance per es. Sensitive tonno, 4 x 85 g, 3.90
Offerte valide solo dal 25.8 al 31.8.2020, fino a esaurimento dello stock
40% 3.25 invece di 5.45
Fettine di manzo à la minute TerraSuisse in confezione speciale, per 100 g, offerta valida dal 27.8 al 30.8.2020
a partire da 2 pezzi
20x PUNTI
40% Avocado Perù, il pezzo, –.90 invece di 1.50, offerta valida dal 27.8 al 30.8.2020
Tutto l'assortimento Alnatura e Alnavit per es. olio di cocco vergine Alnatura, 220 ml, 3.90, offerta valida fino al 31.8.2020
30% Tutto l'assortimento Candida Offerta valida solo dal 25.8 al 31.8.2020, fino a esaurimento dello stock
(confezioni multiple escluse), per es. dentifricio Fresh Gel, 125 ml, 1.90 invece di 2.75, offerta valida dal 27.8 al 30.8.2020