Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 3 settembre 2018
Azione 36 -63 ping M shop ne 33-41 / 56 i alle pag
Società e Territorio Insegnare l’attivismo ai bambini è un modo per educarli a diventare cittadini responsabili
Ambiente e Benessere La Strategia nutrizionale svizzera 20172021 si prefigge di creare i presupposti per permettere alla popolazione di scegliere più facilmente uno stile di vita sano, indipendentemente da età, origine o reddito
Politica e Economia La Spagna vuole riesumare le spoglie del dittatore Franco
Cultura e Spettacoli Un Goethe più umano nel bel libro autobiografico ora pubblicato da Einaudi
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di Fabio Dozio pagina 6
Keystone
Rumantsch cun amur
All’arrembaggio del parlamento europeo di Peter Schiesser Ora il disegno è conclamato: cambiare gli equilibri del parlamento europeo alle elezioni di fine maggio 2019. Con il premier ungherese Viktor Orban, incontrato a Milano al di fuori del protocollo istituzionale, il ministro dell’interno italiano Matteo Salvini ha stretto un’alleanza. In nome di una politica per un blocco totale dell’immigrazione clandestina nell’Unione europea (che gli ha fatto facilmente digerire il no di Orban alla richiesta di accogliere qualche profugo della nave Diciotti), i due intendono creare un asse «sovranista», cui potranno aggiungersi gli altri paesi del blocco di Visegrad (Polonia, Cechia, Slovacchia), il Fronte nazionale francese e le destre di altri paesi, in particolare di Germania e Austria, con l’obiettivo di impedire al blocco europeista formato da partiti di centrodestra e centrosinistra di conservare la maggioranza al Parlamento europeo. I sondaggi e le analisi sono contraddittori, è forse ancora presto per capire come un corpo di 400 milioni di elettori distribuito in 27 Stati vorrà votare fra nove mesi. Ma il patto fra Salvini ed Orban potrebbe prima di tutto preludere a una fuoriuscita del partito del
premier ungherese, Fidesz, dal partito popolare europeo. Inoltre, crea la novità che dalla parte dei nazionalisti ed anti-europeisti c’è il premier de facto di uno dei cinque Stati fondatori della comunità economica europea, l’Italia. Il resto del governo italiano, ossia i pentastellati di Luigi di Maio e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (il cui incontro di Stato con il primo ministro ceco, svoltosi lo stesso giorno della visita di Orban a Milano, è passato inosservato), è per ora ostaggio del capo della Lega, sull’immigrazione clandestina nessuno si è davvero distanziato da Matteo Salvini. Apparentemente, la politica anti-umanitaria e cinica di Salvini raccoglie consensi nell’opinione pubblica italiana. Ma la comprensibile frustrazione per essere stati lasciati soli dall’Unione europea in questi anni nella gestione dell’immigrazione clandestina, lascia spazio a qualcosa di più grave: un’ondata xenofoba che si traduce in aggressioni fisiche contro stranieri o italiani dalla pelle scura, in cui gli autori di gesti razzisti, verbali e fisici, si sentono legittimati dalle dichiarazioni di taluni politici, a partire dallo stesso ministro dell’interno Salvini. In tempi simili, chi in passato taceva perché le istituzioni ma anche la maggioranza silenziosa non avrebbero
tollerato una deriva razzista, oggi esce allo scoperto e fa sentire con forza e aggressività la sua voce, occupando la scena politica e mediatica. Oggettivamente è poco comprensibile che in Italia molti percepiscano, con paura, un’emergenza immigrati oggi, se consideriamo che dall’anno scorso gli arrivi sono calati dell’80 per cento. Se poi pensiamo che l’Italia ha un passato di forte emigrazione (vivono sparsi nel mondo l’equivalente della popolazione in Italia, 60 milioni di persone) e ci aggiungiamo la consapevolezza – ora documentata in foto e video spedite al Papa – che nei campi libici molti migranti vengono torturati e uccisi (fra gli occupanti della nave Diciotti il procuratore di Agrigento ha constatato diversi casi di torture), risulta difficile spiegarsi l’indifferenza di gran parte degli italiani. Vuol dire che Salvini riesce a coagulare il desiderio di rivolta e di rivalsa di certi strati della popolazione, in parte giustificata da decenni di malgoverno, indirizzandola contro gli stranieri. In nome di questo cinismo e indifferenza, Orban e Salvini intendono «rovesciare» l’Europa, restituire ad ogni paese sovranità e libertà. Purtroppo la storia insegna che alla fine i nazionalismi, per giustificarsi, tendono a entrare in competizione fra di loro. Anche armata.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Attualità Migros
M È ora!
Attualità La Scuola Club di Migros Ticino lancia il nuovo programma corsi 2018-19
Dopo 60 anni di esperienza con persone, aziende e istituzioni del territorio, alle spalle un grande marchio nazionale che conta 50 sedi in tutta la Svizzera, la Scuola Club di Migros Ticino si propone anche per il 2018-19 come il partner ideale per un nuovo anno di formazione. Cosa garantisce che una proposta formativa duri nel tempo, ma anche meriti il nostro tempo e le nostre attese? Ecco alcuni requisiti che possono essere d’aiuto nella scelta tra le tante offerte sul mercato. Anzitutto chi offre cosa. Parliamo dell’affidabilità dell’ente proponente, data dalla storia che ha alle spalle e dai suoi valori. L’esperienza, in questo settore, fa la differenza; scuola di formazione non ci si inventa. C’è poi da verificare la qualità dell’offerta che deriva, tra l’altro, dal profilo dei docenti, dai metodi e dagli strumenti didattici e che è certificata da marchi concessi dopo lunghi iter il cui rinnovo periodico richiede il continuo monitoraggio delle competenze. Inoltre, la proposta deve essere efficace, cioè «servire» davvero, tradursi in reale miglioramento personale e/o professionale. A contare, c’è anche il fattore organizzativo, la sicurezza che qualcuno
si prenderà cura di noi, assicurerà il rispetto degli orari e una buona logistica e offrirà una consulenza chiara e cortese. Non da ultimo, il rapporto qualità/prezzo: la formazione costa, soprattutto se valida. Grazie al Percento Culturale di Migros Ticino, la Scuola Club risponde anche a questo requisito. Ma quali le novità di quest’anno?
Ancora, sempre di più, le lingue
Classi piccole, massima flessibilità, docenti qualificati e supporti didattici di ultima generazione fanno della Scuola Club Migros la prima scuola di lingue in Svizzera. Da quest’anno con il Bright Language Test puoi attestare rapidamente il tuo livello di conoscenza in ben 10 lingue – un vero plus per il tuo CV. Grande attenzione all’integrazione linguistica e culturale: si consolidano i corsi secondo i principi fide e si aggiunge la grande novità del percorso formativo per Interpreti della Lingua dei segni italiana (LIS). Ideata e sviluppata in collaborazione con la Federazione Svizzera dei Sordi SGB-FSS, la proposta è una prima in assoluto nel panorama del nostro Paese.
IT, connessi e competenti
Sempre più il lavoro e la vita privata si appoggiano alle nuove tecnologie.
Richiedi i nuovi elenchi corsi presso le sedi Scuola Club! Bellinzona scuolaclub.bellinzona@migrosticino.ch Piazza R. Simen 8 Tel. +41 91 821 78 50 Locarno scuolaclub.locarno@migrosticino.ch Via ai Saleggi 16 Tel. +41 91 821 77 10
Lugano scuolaclub.lugano@migrosticino.ch Via Pretorio 15 Tel. +41 91 821 71 50 Mendrisio scuolaclub.mendrisio@migrosticino.ch Via Praella 14 Tel. +41 91 646 46 33
La Scuola Club organizza percorsi individualizzati on demand nelle sedi di Locarno e Mendrisio, mentre Lugano e Bellinzona si confermano centri di competenza con le ultime versioni software (Windows 10, Microsoft Office 2016 e Adobe CC 2018). Per gli addetti ai lavori, due percorsi per imparare a creare programmi nel linguaggio di programmazione in C# e un corso di introduzione ai principi e agli elementi chiave dell’IT Service Management (ITSM) basato su ITIL®.
La salute, il bene più prezioso
In linea con la strategia nazionale Migros, grande spazio al movimento e al benessere per tutti! Per chi desidera migliorare il potenziale psicofisico e ridurre lo stress, ecco il corso di Shaolin – il total wellness per la vita moderna – tenuto da Shi Xing Mi (Walter Gjergja), primo Maestro Shaolin della 32esima generazione nato in Occidente. A coloro che già lavorano in ambito fitness è dedicato il nuovo percor-
so con diploma Personal Trainer, che arricchisce il ventaglio di specializzazioni pensate per chi desidera fare della sua passione una professione.
Il segreto del successo nel lavoro? La formazione
Per una qualificazione in ambito business, la Scuola Club di Migros Ticino lancia My Coach, un servizio di accompagnamento su misura nel campo di Leadership, Start Up e Crescita personale, a cui si aggiunge il percorso FSEA-FFA Formazione per Formatori. Su richiesta, le proposte sono erogabili anche presso le aziende. Ultimo, ma solo in ordine di arrivo, è il nuovo percorso formativo con diploma Segretariato medico rivolto a chi desidera riorientarsi professionalmente all’interno di un settore in grande espansione in Svizzera. Creare per passione, creare per professione
Il settore Creatività si arricchisce del nuovo corso di formazione professionalizzante in ambito vegetariano, grazie alla nuova partnership con lo
Tutti insieme per Marchethon CF Manifestazione Sabato 8 settembre a Biasca si ritorna a correre per la ricerca scientifica
chef stellato Pietro Leemann e la sua Joia Academy. Il progetto è una risposta d’avanguardia ai cambiamenti delle abitudini alimentari che intrecciano il desiderio di vita sana con una marcata attenzione etica. In collaborazione con la Lega svizzera contro il reumatismo prende il via anche il Corso per cucinare per e con chi soffre di reumatismi. Si consolida ancora la relazione già rodata con La Scuola del Viaggio di Claudio Visentin, con il Laboratorio di scrittura di viaggio 2. Infine , il corso di Dress Maker offre le basi professionali di sartoria per creare con originalità e in economia un proprio stile di abbigliamento. Un nuovo anno ricco di tante opportunità ti attende alla Scuola Club di Migros Ticino. Scarica i nuovi elenchi corsi dal sito scuola-club.ch o passa a ritirarli in una delle nostre sedi. In questo caso riceverai anche un piccolo gadget per ripartire con tanta energia! Perché, anche quest’anno, più sai, più sei!
I nuovi gerenti delle filiali Migros Ticino
contro la fibrosi cistica Il consueto appuntamento di fine estate con Marchethon CF della Svizzera Italiana, è arrivato alla sua 14esima edizione. Sostenuto da Migros Ticino, questo importante evento per sportivi e famiglie, che si terrà sabato 8 settembre a Biasca, attira ogni anno centinaia di persone per una giornata dedicata a sport e divertimento, ma soprattutto dedita alla solidarietà. Marchethon CF, infatti, devolve tutti i ricavi della manifestazione alla Società Svizzera Fibrosi Cistica (CFCH), che ha lo scopo di promuovere e mettere in pratica ogni forma di assistenza ai soggetti affetti da questa malattia, e agevola anche tutte quelle iniziative di carattere sociale che possono in qualche modo garantire la tutela del diritto alla salute e il superamento dell’emarginazione dei malati. Inoltre, insieme al Swiss Working Group for Cystic Fibrosis sostiene i progetti di ricerca, che sono indispensabili per ottenere progressi scientifici di aiuto ai malati. Essere solidali vuol dire anche stare insieme in allegria, per questo
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Marchethon CF, che si aprirà alle 10:20 sulla Piazza principale di Biasca, ha un programma ricco di sorprese e gare. Alle 11.00, anche quest’anno è prevista la Fun Run and Walk non competitiva: tutti possono partecipare a corsa, a piedi, in monopattino, con i pattini, Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
con la bicicletta senza pedali, ma soprattutto è importante portare con sé tanta fantasia e gioia. Per pranzo ci saranno maccheronata e grigliata superfornita accompagnate dalla musica dei Cà mai. Nel pomeriggio, alle 14.30, si dedicherà del tempo alle gare dei bambini, i quali potranno anche divertirsi nell’area pensata per loro con bungee trampolin, parete d’arrampicata, gonfiabili, truccabimbi, caccia al tesoro, zucchero filato... e tante altre divertenti attività. Una volta stanchi e di nuovo affamati, sarà offerta loro la merenda per eccellenza: pane e cioccolato! Tanto intrattenimento durante tutto l’arco del giorno: non mancheranno esibizioni di Hip-Hop e modern Dance delle Matrioscki, Twirling con Sport Twirling Bellinzona, ginnastica e cinofila con il gruppo della Scuola Quicky Dog Chiggiogna. Da non perdere le bolle di sapone di Mbolla, la magia del mago Soslan e gli spettacoli dei WhiteCrossDrumCorps e dei Biasca Bugs. Madrina della manifestazione sarà Alessandra Ferrarini pediatra e genetista all’Ospedale San Giovanni.
Un bell’aperitivo e una buona cena a partire dalle 18.00 con la musica della Limited Edition Band porteranno alla conclusione della serata verso mezzanotte. Partecipare a questo evento è importante perché occorre rafforzare la ricerca scientifica e il sostegno diretto al malato. Ancora non esiste una cura per la fibrosi cistica, malattia genetica che colpisce i polmoni e l’apparato digerente, la cui causa è la mutazione di un gene che determina la produzione di una proteina. Un muco appiccicoso ostruisce i polmoni, comportando infezioni molto pericolose, il pancreas, il fegato e l’intestino. Grazie ai progressi medici l’aspettativa di vita delle persone affette da questa malattia è aumentata con un miglioramento della qualità, ma ora bisogna diffondere informazioni sulla malattia perché sempre meno persone si sentano sole e discriminate.
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
Tiratura 102’022 copie
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Informazioni
www.marchethon-ti.ch
Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
Kresimir Gacina Bilin
Luogo di lavoro: filiale di Cocifisso di Savosa Data di nascita: 28.01.1972 Stato civile: celibe Hobby: sport, viaggiare Tre aggettivi per descriversi: gentile, servizievole e gioioso Cosa voglio offrire alla clientela: miglior servizio possibile, massima freschezza, cortesia e gentilezza Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Società e Territorio L’oro blu del Ticino Un libro di Angelo Valsecchi e Sandro Oldrati invita a scoprire le meraviglie delle nostre acque pagina 5
Plurilinguismo Ottant’anni fa il popolo svizzero riconosceva la quarta lingua nazionale: come sta oggi il romancio? pagina 6
Ai bambini si può insegnare l’attivismo anche attraverso la partecipazione a piccole azioni di volontariato. (Marka)
Il mondo salvato dai bambini
Attivismo Un libro appena pubblicato negli Stati Uniti racconta l’importanza di insegnare ai bambini a prendere
l’iniziativa, per educarli a diventare cittadini attenti e responsabili Stefania Prandi Jonas Corona aveva solo sei anni quando decise che voleva fare qualcosa per aiutare i bambini senza fissa dimora. Tutte le associazioni che contattava però gli rispondevano che era troppo giovane per diventare un volontario. Così decise di creare la sua organizzazione: con l’aiuto dei genitori ha fondato «Love in the Mirror», per raccogliere cibo e vestiti e distribuirli ai minori che vivono per strada, nei centri di accoglienza oppure in attesa di una famiglia affidataria. Jonas Corona non è l’unico ad avere cercato di migliorare il mondo fin da piccolo. Ci sono nomi celebri, dei nostri giorni e del passato, come Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace (nel 2014), che quando aveva undici anni sfidò i talebani in Pakistan per il diritto allo studio delle bambine e per questo subì un attentato. Un’altra illustre attivista in erba fu Claudette Colvin, studentessa afroamericana che a quindici anni, nel 1955 (mesi prima di Rosa Parks), si rifiutò di cedere il posto a un uomo bianco sull’autobus, rompendo la «consuetudine» del periodo. Un gesto rivoluzionario che pagò con l’arresto e una multa.
Un libro appena pubblicato negli Stati Uniti, intitolato You Are Mighty: A Guide to Changing the World (Tu sei potente: guida per cambiare il mondo), racconta attraverso una serie di esempi l’importanza di prendere l’iniziativa fin dall’infanzia. Ai bambini si può insegnare l’attivismo, educarli cioè a diventare cittadini attenti e responsabili attraverso azioni come scrivere lettere di protesta, fare volontariato, organizzare raccolte fondi a scopo benefico, partecipare alle manifestazioni. L’autrice è Caroline Paul, che prima di approdare alla scrittura, per tredici anni è stata una vigilessa del fuoco. Nel 2016 ha anche tenuto un Ted Talk (una conferenza promossa dall’organizzazione non profit Technology, Entertainment, Design per diffondere idee considerate particolarmente innovative) con trascrizioni in ventinove lingue e quasi un milione e ottocentomila visualizzazioni. Nel suo testo, accompagnato da illustrazioni, consigli ed esercizi per passare dal pensiero all’azione, dà una sferzata a chiunque pensi che non ci sia nulla da fare in questi tempi difficili, dove le catastrofi sembrano sempre dietro l’angolo e l’ingiustizia sembra regnare sovrana. Dedicato alle ragaz-
zine e ai ragazzini tra i nove e i dodici anni, ma anche agli adulti che li devono crescere, You Are Mighty: A Guide to Changing the World (per ora soltanto in inglese) cerca di trasmettere l’idea che non sia mai troppo presto per imparare ad alzare la voce in maniera costruttiva ed equilibrata. «Sono nata con la paura delle piogge acide. Il nome stesso era terrificante. I miei genitori non erano attivisti, ma erano buoni cittadini. Quando decisi di scrivere una lettera al presidente Nixon e chiedergli delle risposte sui problemi ambientali, mi hanno prontamente fornito l’indirizzo della Casa Bianca. Ma la lettera in risposta non mi diede alcuna soluzione, conteneva alcune ovvietà sull’importanza dei bambini preoccupati, ed era firmata con quello che anche il mio cervello di ragazzina di nove anni riconobbe immediatamente essere un timbro. Né io né i miei genitori facemmo altre azioni. Sono stata lasciata spaventata e irreparabilmente amareggiata nella mia crescita. Guardandomi indietro, penso che sarebbe stato bello se avessi conosciuto delle tecniche di attivismo». Con queste parole Paul spiega, in un articolo, le ragioni che l’hanno spinta a dedicare un libro all’argomento, aggiungendo che ha già
ricevuto critiche da alcuni genitori. Infatti, un papà su Twitter ha commentato che certe occupazioni sono da grandi perché bisogna lasciare «che i bambini siano bambini». Insegnare l’attivismo, sostiene il lettore, significa responsabilizzare troppo i più piccoli, privandoli dello spirito scanzonato e ottimista. Paul ha replicato: «Questo genitore ha sicuramente le sue ragioni, ma anche i suoi torti», perché non è così che si mettono al riparo i figli dalla sofferenza. Comunque vedono il mondo attorno, anche su internet e in televisione: la povertà, le persone senza fissa dimora, e molte altre disuguaglianze. «I bambini diventano presto consapevoli delle disparità sociali e delle discriminazioni. Gli studi ci dicono che già a quindici mesi distinguono tra trattamenti giusti e ingiusti. Quindi la sfida è insegnargli a reagire e non nascondere la realtà. I benefici di questa scelta sono diversi: si può imparare a pianificare, ad avere una strategia, a lavorare in gruppo e a relazionarsi dal vivo con gli altri, un aspetto importante in una società in cui i bambini di otto anni trascorrono in media, al giorno, quattro ore e mezza davanti a uno schermo e diventano adolescenti poco socievoli, poco empatici e depressi».
Nel libro You Are Mighty: A Guide to Changing the World vengono spiegati con parole semplici concetti fondamentali come quello di privilegio: c’è chi nasce più fortunato di altri per famiglia di provenienza, genere, colore della pelle, salute fisica e mentale, e non può pensare che per tutti sia così facile vivere. Un’altra idea che viene analizzata è quella dell’alleanza: non occorre subire un’ingiustizia per potersene interessare e per sostenere cause apparentemente lontane. Inoltre non è mai troppo presto per cercare di trovare la propria voce. Rappresenta un modello l’esperienza di Carmen Hedrick, Lucy Newsom e Leah Brown, tre ragazzine di dieci anni che hanno fondato la «Lindley Park Gazette», un giornale di quartiere con ricette, oroscopi e una sezione di fumetti. Nella rivista hanno dedicato spazio anche ad articoli di interesse per i loro coetanei – ad esempio aumentare la presenza di pipistrelli nella zona – e hanno abbracciato battaglie per i diritti civili di Greensboro, la città dove vivono. La pubblicazione ha avuto quasi subito trecento abbonati e sono riuscite a farsi pagare le inserzioni pubblicitarie da un’azienda locale per coprire le spese di stampa.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Società e Territorio
Le nostre acque
Patrimonio senza frontiere
è un invito a guardare con occhi nuovi tutte le manifestazioni e i fenomeni legati all’acqua
Giornate europee U n invito a scoprire
Pubblicazioni Il viaggio sul territorio proposto da Angelo Valsecchi e Sandro Oldrati
il nostro patrimonio culturale
Elena Robert Sul filo dell’acqua si possono vivere esperienze emozionali, conoscitive, culturali, in particolare in un territorio ricco e variato come il nostro, plasmato profondamente da questo elemento naturale, fonte di vita e risorsa fondamentale per l’uomo. Eppure spesso non ne siamo consapevoli. All’acqua, presenza non scontata della nostra esistenza, andrebbe invece rivolta la massima attenzione per valorizzarla, piuttosto che gestirla pensando alla sola logica del profitto. Il viaggio sul territorio proposto da Angelo Valsecchi e Sandro Oldrati ne L’Oroblu del Ticino è un invito a guardare con occhi nuovi paesaggi che già frequentiamo, un elogio dello spostamento lento nel cantone alla scoperta del pianeta acqua, quello dell’«acqua selvatica», libera, spontanea, delle sue manifestazioni, dei suoi fenomeni anche microscopici e dei diversi stati che essa assume. Il racconto nasce dalla competenza, dalla passione, dall’esperienza, dallo spiccato spirito di osservazione di due docenti, Valsecchi, naturalista autore di numerose pubblicazioni e Oldrati, con alle spalle un’approfondita ricerca fotografica sul paesaggio naturale e rurale. Il volume è il risultato del loro peregrinare tra valli e montagne animato da «entusiasmo, curiosità e devozione francescana», un andare e ritornare anche sugli stessi luoghi alla ricerca di nuove sfumature da rilevare e far conoscere.
A chi ama camminare il libro propone anche 24 escursioni per osservare macro e microfenomeni dell’acqua Le informazioni non solo a carattere scientifico contenute nel libro pubblicato da Armando Dadò Editore sono tante, preziose e a volte sorprendenti. Il valore documentario, storico e divulgativo restituiti dal testo e dalle splendide immagini è evidenziato an-
Le radici degli ontani neri del bosco di golena alla foce della Magliasina sopravvivono in terreni intrisi di acqua. (© Sandro Oldrati)
che nella prefazione dal direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali. Attraverso l’obiettivo fotografico e la penna le manifestazioni dell’acqua e i diversi fenomeni che la interessano sono spiegati con minuzia di particolari. L’Oroblu del Ticino non può che rivolgersi a un pubblico interessato e particolarmente curioso, prestandosi idealmente anche come testo da consultare in famiglia nonché di studio nelle scuole superiori. A chi ama camminare vengono segnalate ventiquattro proposte escursionistiche. Una prospettiva stimolante, se si tiene conto anche del fatto che paesaggio e ambiente, come ricorda Angelo Valsecchi, sono soggetti nel tempo a continui mutamenti e per questo ci riserveranno sempre sorprese. Gli stessi cambiamenti climatici ci stanno abituando ad un ritmo più sostenuto di trasformazioni sul territorio, svelandoci orizzonti inaspettati come quelli legati al veloce ritiro dei ghiacciai: gli ambienti una volta coperti dal ghiaccio rinascono lasciando spazio a nuove forme di vita e dove i ghiacci si fondono nascono a valle nuovi laghetti, corsi d’acqua e cascate.
Il lungo viaggio sul filo dell’acqua comincia dalle sorgenti non captate: da quelle conosciute sul Passo della Nufenen dove nasce il fiume Ticino, a quelle carsiche come la Sovaglia a Rovio, a quelle minute che capita di trovare sotto i baloi della Val Calnegia in Bavona. Ce ne sono anche di origine artesiana che escono allo scoperto sulla vetta di una montagna (ad esempio sul Prodo Roduc in alta Leventina), o ancora di nascoste come la sorgente solforosa che si infiltra tra gli strati di dolomia sotto il Lago Cadagno in Piora. Il viaggio continua per farci conoscere laghetti alpini, anche di nuova formazione, e torbiere. Alla forza dell’acqua di fiumi, cascate e ghiacciai del Ticino è dedicato un affascinante capitolo che ci avvicina alle marmitte dei giganti, alle bedière (i tortuosi ruscelli superficiali), ai funghi, ai curiosi coni di ghiaccio, alle rocce montonate, fino a farci scoprire i permafrost, importanti serbatoi di acqua, e persino i ghiacciai rocciosi (in Ticino ne sono censiti 200, uno di questi si trova sul versante sud della Cima di Ganna Bianca sopra l’Alpe di Piei in Val Soi). Come si producono le manife-
stazioni fisiche dell’acqua col mutare della temperatura? Macrofenomeni complessi come il ghiaccio, il vapore, l’acqua allo stato liquido, la brina, la galaverna, la grandine, l’arcobaleno, lo spettro di Brocken diventano comprensibili se presentati con parole semplici e immagini efficaci. Se si entra poi nell’intimità chimica della molecola acqua diventeranno più familiari anche molti microfenomeni osservabili in natura come la tensione superficiale dell’acqua, che permette agli insetti di camminarvi sopra, o quella che tiene insieme una goccia. Nelle bolle d’aria «una superficie sottilissima separa i due stati di aggregazione della materia, il gassoso dal liquido: sono effimere e scoppiano all’improvviso senza lasciare traccia, emettendo per una frazione di secondo un suono e un piccolo lampo di luce». Una meraviglia della natura.
Il 2018 è l’Anno europeo del patrimonio culturale e, in Svizzera, coincide con il 25.esimo delle Giornate europee del patrimonio. Una doppia ricorrenza che il Centro nazionale d’informazione sul patrimonio culturale ha voluto sottolineare con un fitto programma di visite ed eventi sull’arco di quattro fine settimana nel mese di settembre. All’insegna del motto «Senza frontiere» ogni regione presenterà il proprio patrimonio culturale, invitando i visitatori a varcare non solo i confini geografici cantonali ma anche quelli linguistici, cronologici, materiali e sociali. «In oltre 350 luoghi – scrivono gli organizzatori – in tutta la Svizzera esperti e volontari entusiasti del patrimonio culturale mostreranno al pubblico i tratti peculiari di edifici, luoghi di ritrovamento, paesaggi, tradizioni e cosa significano per loro». Lo scopo è soprattutto quello di creare momenti di riflessione, consentire esperienze, incontri e scambi. Per quanto riguarda il Ticino le Giornate europee del patrimonio si terranno l’8 e il 9 settembre, il programma completo è scaricabile dal sito www.nike-kulturerbe.ch.
Bibliografia
Angelo Valsecchi e Sandro Oldrati, L’Oroblu del Ticino. Meraviglie e misteri delle nostre acque, Armando Dadò Editore Locarno 2017
L’opuscolo con il programma. Annuncio pubblicitario
Fare la cosa giusta
Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Gabrielle: www.farelacosagiusta.caritas.ch
Gabrielle Bergamaz (57 anni) sta cercando un lavoro stabile
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Società e Territorio
Allegra Rumantsch!
Plurilinguismo 80 anni fa, nel settembre del 1938, il popolo svizzero riconosceva il romancio come quarta lingua
nazionale. Viaggio nella piccola realtà della regione di Savognin per capire come sta oggi il romancio
Fabio Dozio A Savognin, il villaggio grigionese sulla strada che porta al passo dello Julier, c’è una casa, a metà della via principale, lo Stradung, che è un vero e proprio baluardo del romancio. Ci sono tre insegne sulla parte nord dell’edificio: RTR (Radiotelevisione romancia), Lia Rumantscha e «La Pagina da Surmeir» (il settimanale in romancio della regione). Tre piccoli uffici mimetizzati in questa casa dipinta di grigio di tre piani, semplice e curata. Le scale sono addobbate con cassapanche rustiche e con vecchi arnesi di vita contadina. Al primo piano c’è la redazione del settimanale, dove incontriamo il redattore Peder Antona Baltermia. «Il destino del romancio – ci dice – è legato alle regioni di montagna in cui si parla questa lingua, che si declina in cinque diversi idiomi. Le montagne hanno sempre meno abitanti e i giovani che crescono qui non hanno poi un lavoro nella regione e devono emigrare. Se uno va a Zurigo e lì sposa una svizzera tedesca, il romancio sopravvive per una generazione, poi si perde».
Il romancio oggi è parlato da circa 40mila persone in Svizzera, il 40% non vive più nei territori di origine Il giornale è nato nel 1946 e resiste malgrado le vicissitudini con cui è confrontata la stampa in tutta la Svizzera. «Il giornale ha un ruolo importante. – continua il giornalista responsabile da 32 anni – Dopo la scuola, la gente non ha molte occasioni di leggere in romancio. Perciò “La Pagina” diventa un’opportunità unica per offrire la possibilità agli abitanti di leggere una volta alla settimana nella lingua della regione. Un fatto decisivo per la sopravvivenza della lingua». Il giornale è scritto in surmirano, l’idioma del Surses. Il romancio è parlato in Svizzera da circa 40mila persone, lo 0,5% della popolazione elvetica. Secondo l’Atlante delle lingue minacciate dell’UNESCO si tratta di un idioma in pericolo. Dal 1803 al 1980 la percentuale dei grigionesi che lo parlano è passata dal 50 al 21%, oggi siamo al 15%. Il romancio è una lingua antica, nato in epoca romana dall’incontro tra il latino volgare e le lingue retiche parlate nei Grigioni. Oggi è una lingua frammentata, nel senso che vi sono cinque idiomi, corrispondenti ad altrettante regioni: sursilvano, sottosilvano, surmirano, putér e vallader.
L’introduzione nelle scuole del Rumantsch grischun come lingua di riferimento centrale non ha avuto successo. (Keystone)
Nel 1982 si è aggiunto il Rumantsch grischun, una lingua standardizzata che aveva ed ha lo scopo di garantire la sopravvivenza della lingua superando le differenze regionali. «Il Rumantsch grischun deve diventare la lingua di riferimento, – sottolinea Peder Baltermia – centrale e ufficiale; cinque idiomi sono troppi, siamo già in pochi e la forza si disperde. Bisogna unificare le lingue, come si fece in Italia con Dante e in Germania con Lutero». Anche la rappresentante della Lia Rumantscha – l’associazione che difende e promuove la lingua – di Savognin concorda con l’importanza del Rumantsch grischun: «Dobbiamo avere una lingua scritta unificata. Io sono stata insegnante di scuola elementare per molti anni e ho potuto verificare che per i bambini non ci sono problemi, scrivono in Rumantsch grischun, ma parlano in surmirano», sostiene Carmen Dedual. Il Rumantsch grischun era stato introdotto in tutte le scuole, ma poi nella maggioranza delle regioni si è fatta marcia indietro. In Surselva, come anche in Engadina, si è ripristinato l’idioma locale parlato e scritto. Il confronto su questo tema è stato acceso. La lingua è un tema sensibile, tocca le emozioni, le radici e l’identità. Il consigliere nazionale grigionese Martin Candinas, molto impegnato nella difesa del romancio in Parlamento, ritiene che l’introduzione del Rumantsch grischun sia stata una forzatura: «È stato imposto nelle scuole delle diverse regioni senza che il popolo fosse d’accordo. I cinque idiomi non sono dialetti, ma vere e proprie lingue, ognuna con una propria scrittura. Salvare i diversi idiomi signi-
fica salvaguardare l’identità delle valli. Sono invece d’accordo che si punti sul Rumantsch grischun nella diaspora». Ecco l’altro tema delicato. Il 40% della popolazione che parla romancio non vive più nei territori d’origine, ma è emigrata e fa parte della diaspora. Per salvare e promuovere la lingua è necessario poter intervenire anche in queste realtà, soprattutto cittadine, come Zurigo, Basilea, Lucerna, ecc. La Lia Rumantscha si muove anche in questo senso. Si stanno preparando alcuni progetti per chiedere finanziamenti alla Confederazione, all’Ufficio federale della cultura, per favorire lo studio del romancio fra i grigionesi della diaspora. «Dobbiamo far conoscere di più il romancio in Svizzera. – ci dice Dedual – La Radiotelevisione romancia fa molto, è importante, ed è significativo che molte persone vogliano imparare il romancio e seguano i corsi che organizziamo. I giovani di oggi sono più sensibili, noi quarant’anni fa volevamo sapere bene il tedesco ad ogni costo. Ora i giovani apprezzano il romancio, per loro è una specie di lingua misteriosa o segreta». Al terzo piano della roccaforte romancia di Savognin c’è l’ufficio della Radio romancia con il corrispondente Federico Belotti. Figlio di un immigrato valtellinese, dopo aver lavorato per la ferrovia retica, ha scelto di dedicarsi al giornalismo romancio. «Mio papà aveva imparato il romancio perché il tedesco non gli piaceva. – racconta Belotti – Quando vengo a lavorare il mattino incontro sempre una quindicina di bambini che vanno a scuola ed è bello sentirli conversare in romancio. A
scuola a Savognin si insegna in romancio per i primi due anni delle elementari, poi, in terza, si introducono due ore di tedesco. La Radio Rumantscha ha una funzione importante perché noi offriamo programmi in tutti i cinque gli idiomi, quindi si contribuisce a divulgare i diversi romanci facendo in modo che ognuno capisca». La storia del romancio affonda nei secoli, ma una data significativa è il 20 febbraio del 1938, quando venne riconosciuto quale quarta lingua nazionale dal 92% dei votanti. Da ottant’anni il romancio è lingua nazionale. Solo nel 1999 viene inserito nella costituzione del Canton Grigioni il principio del trilinguismo, quindi diventa lingua ufficiale. C’è ancora molto da fare: per esempio nelle scuole cantonali, malgrado l’adozione del nuovo Piano di studio 21, molti testi didattici continuano a essere disponibili solo in tedesco e non in italiano e in romancio. Una discriminazione sostanziale, giustificata dal Governo con la mancanza dei fondi necessari per le traduzioni: la Lia Rumantscha l’ha definita «una bancarotta cantonale». «Il Cantone potrebbe fare di più nei confronti del romancio. – spiega Federico Belotti – Per esempio una cosa che mi disturba è che alla polizia cantonale non c’è nessuno che parla romancio, le notizie sono sempre in tedesco. Ci sentiamo proprio una minoranza piccolina, meritiamo più considerazione». Peder Baltermia rincara: «Il Cantone e la Confederazione potrebbero avere più attenzioni nei confronti del romancio. La nostra situazione è speciale. Anche l’italiano è una lingua minoritaria in
ho in mano i miei giornali! E mentre prendo il resto racconto alla giornalaia le mie disavventure e la fortuna di avere incontrato il signore d’età con i giornali sottobraccio. «Gli anziani del quartiere sono la mia fortuna ormai se non li prendono loro i giornali non li compra più nessuno». Che tristezza penso, dove va a finire un Paese che non legge più i giornali? In auto parlandone con la mia amica mi sento dire «ma se non c’erano edicole aperte potevi andare in Internet, non facevi prima?». Non ho l’abbonamento e poi quella di comprare il giornale la domenica è un’abitudine da sempre. Dopo qualche ora di viaggio con i giornali sul sedile rientro alla base. Devo inviare delle foto pesanti ad un giornale e apro WeTransfer per fare l’invio. Avete presente le pagine di WeTransfer, tutte colorate dai layout mu-
tevoli ispirati ad opere d’arte o graphic design, delle sorte di cartelloni digitali? Mentre faccio l’upload dei file mi appare l’immagine di una donna di colore con un vestito tutto leopardato, sembrava una cantante rock, che diceva una cosa del tipo «se vuoi conoscere la mia storia clicca qui». Ero presa dalle mie foto, in quel momento non le ho dato retta ma l’immagine mi è rimasta impressa. Più avanti ho fatto qualche ricerca e ho scoperto una cosa molto interessante: WeTransfer, fondata nel 2009, azienda leader nella condivisione di file, a gennaio di quest’anno ha lanciato WePresent un progetto editoriale per artisti e creativi che racconta progetti e storie. WePresent è una realtà in crescita che non si limita a narrazioni di realtà già esistenti ma propone anche progetti inediti, elaborati ad hoc per il sito. L’idea è che
Svizzera, ma voi avete l’Italia che offre un importante retroterra culturale. Noi siamo isolati, non abbiamo nessun retroterra, meritiamo uno statuto di riguardo». Anche la rappresentante della Lia Rumantscha non è tenera con l’autorità cantonale. «Non c’è abbastanza sensibilità nei confronti della nostra lingua. – ci dice – Per esempio, in occasione delle fusioni comunali, l’ultima cosa a cui pensa Coira è il destino del romancio. C’è una legge sulle lingue che va rispettata, ma ciò non sempre avviene. Dobbiamo essere noi a controllare! Uno dei problemi con cui siamo confrontati è che non è più necessario conoscere il romancio. Basta sapere il tedesco. Invece il bilinguismo è una risorsa insostituibile». Il consigliere nazionale Martin Candinas non critica la Confederazione e ritiene che Berna abbia simpatia e disponibilità nei confronti del romancio. Ha avuto risposte positive ai suoi atti parlamentari, per esempio in difesa del giornale «La Quotidiana». Ritiene che la Lia Rumantscha debba mettere a punto rivendicazioni precise all’indirizzo dell’Ufficio della cultura, dove la responsabile Isabelle Chassot apprezza il plurilingismo. «I progetti concreti che riguardano il romancio devono provenire dagli attori nel territorio – afferma Candinas – come la Lia Rumantscha; non tocca ai politici questo compito». È però d’accordo anche Candinas che il Cantone possa fare di più: «Ora, con tre consiglieri di Stato di origine romancia, si può sperare che aumenti la sensibilità. Se si avanzano rivendicazioni alla Confederazione, è necessario che vi sia il sostegno del Cantone. L’importante è che ognuno curi la propria lingua, il proprio romancio: la lingua va vissuta ogni giorno, così si può difenderla, mantenerla e anche promuoverla». La Lia Rumantscha impiega venti persone e riceve 2 milioni e mezzo di franchi di sussidi. Carmen Dedual apre le braccia e sospira, dicendo che non si possono fare miracoli, ci vogliono più soldi. Secondo Peder Baltermia, se c’è la volontà politica il romancio va sostenuto senza condizionamenti. C’è troppa burocrazia, deve essere più semplice ottenere finanziamenti. Secondo uno studio della Commissione europea, la sopravvivenza di una lingua è garantita se viene parlata da almeno 300mila persone. Sulle sorti del romancio vigila anche l’Europa. Infatti nel 1997 la Svizzera ha ratificato la «Carta europea delle lingue regionali o minoritarie», che prevede di salvaguardare e promuovere la pluralità linguistica come «uno dei più preziosi elementi della vita culturale europea».
La società connessa di Natascha Fioretti Clicca qui se vuoi conoscere la mia storia Roma, ultima domenica di agosto. Sono le 10.00 del mattino e in una zona piuttosto centrale, in via Massacciuccoli, nel Quartiere Trieste, sono alla disperata ricerca di un’edicola aperta. Vorrei tanto prendere i miei amati domenicali ma è tutto chiuso. E dire che già in autostrada ho fatto un tentativo ma sapete qual è la novità? Negli Autogrill non si vendono più i giornali. Trovo sia una cosa pazzesca perché per me l’Autogrill ha sempre avuto un’importanza per i giornali e per il caffè. La signora alla cassa mi dice che la modalità dei resi – i giornali rimasti invenduti che tornano all’editore – è diventata troppo complicata e onerosa e visto il calo delle vendite non conviene più. A causa della crisi dei giornali e dell’e-
ditoria negli ultimi quindici anni in Italia hanno chiuso più di 13mila edicole. Diverse di queste a Roma, in più siamo ad agosto. Ma io sono testarda e non mollo. Mi sposto per un appuntamento nel quartiere Tuscolano e riprendo la ricerca. Non ho fortuna fino a quando, finalmente, incontro un signore anziano con in mano i giornali «Buongiorno, mi scusi, dove li ha presi?» e mi dice di andare avanti dritta, svoltare la prima a destra e trovo l’edicola sulla sinistra. Mi dice però di correre perché è quasi mezzogiorno e l’edicolante chiude presto. Corro velocissima, come si può correre in una torrida domenica di agosto e a piedi scalzi, ma non vedo l’edicola. Chiedo nuovamente informazioni e mi indicano una pianta, una sorta di edera rampicante nel mezzo della quale ora intravedo un’insegna. Finalmente
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Giovani senza futuro Pochi giorni fa venivano resi noti i dati rilevati da uno studio del CIRSE (Centro innovazione e ricerca sui sistemi educativi): ne emerge che il 12% di tutti i ragazzi che nel 2008/2009 frequentavano la terza media non ha proseguito la formazione e non ha conseguito alcun titolo post-obbligatorio. È ovvio che per questa folla di giovani la possibilità di un inserimento nel mondo del lavoro risulta molto improbabile. Sorge spontanea una domanda: ma questi giovani che non proseguono un percorso di studi, che non lavorano, che cosa fanno per realizzare se stessi? Il gusto di lanciarsi nel futuro, di sognare una formazione e una carriera, è stato in genere, nel passato, una caratteristica dei giovani: ora non lo è più? Probabilmente è così, per una fetta consistente della popolazione giovanile. Occorre peraltro tener conto del fatto che le condizioni sociali della famiglia
possono essere determinanti: da un altro studio del CIRSE si ricava che il 55% di tutti i ragazzi che non hanno conseguito alcun titolo di studio dopo la scuola media proviene da famiglie in assistenza sociale; e il 6,12% degli allievi che frequentavano la terza media nell’anno scolastico 2008/2009 ha pure beneficiato, negli anni successivi (tra il 2008 e il 2016), dell’assistenza sociale. Una condizione e una tendenza, dunque, che si trasmettono di padre in figlio. Ora, è vero che famiglie disagiate possono influenzare negativamente i figli, non motivandoli allo studio e all’impegno. Però è anche vero che le famiglie disagiate di un tempo, almeno fino al boom economico degli anni Sessanta, educavano comunque i figli a lavorare e a faticare sin da piccoli, magari sugli alpeggi o come spazzacamini. Quando i tempi erano ancora difficili, si cominciava ad ammonire i giovani fin
da bambini: «Caro mio, se vuoi realizzare qualcosa nella vita, datti da fare. Rimboccati le maniche. Lavora!». Poi è venuta l’età del benessere e il rimboccarsi le maniche è diventata una fatica evitabile. L’assenza di interventi disciplinari in famiglia, nella scuola e nella società ha indebolito anche il senso di responsabilità, l’introiezione di valori, il rispetto delle regole: l’individualismo è prevalso sul senso di appartenenza a una comunità. L’individuo oggi è sovrano. La tolleranza – o meglio, il permissivismo della nostra società nei confronti dei giovani – si mostra con un esempio vistoso nel caso dell’occupazione dell’ex-macello di Lugano da parte degli «autogestiti». Da 22 anni si sono presi abusivamente un edificio pubblico (prima il Maglio a Canobbio, poi a Lugano) e si autogestiscono – cioè, fanno solo quello che vogliono. Ora il Municipio di Lugano comincia a dire che è
tempo che se ne vadano e che restituiscano quello di cui si sono appropriati indebitamente. La loro risposta: «Qua siamo e qua resteremo!». Bell’esempio di rispetto della cosa pubblica e delle norme di convivenza civile. Certo, c’è molto da elogiare nel fatto che la nostra cultura, nel corso del tempo, abbia sviluppato metodi educativi assai meno severi che in passato. Ma, come sempre accade, quando un cambiamento spinge da una direzione all’altra non ci si ferma in un giusto mezzo, ma si tende a passare all’eccesso opposto. Se prima l’educazione era troppo severa, ora tende ad essere permissiva, o addirittura assente. Anche la tolleranza è una conquista civile: ma se si esagera con la tolleranza si cade ancora una volta nel permissivismo, col risultato di creare frange di popolazione esentate dalle regole e dai doveri a cui tutti gli altri cittadini continuano ad essere tenuti. Si passa così da una
giustizia clemente a un’ingiustizia tacitamente tollerata. Ma, soprattutto, occorre chiedersi se permissivismo e tolleranza giovino davvero ai giovani che se ne approfittano. Dai dati che periodicamente vengono rilevati e resi pubblici non mi pare di poter ricavare conclusioni positive: il numero di trasgressioni commesse da minorenni risulta in crescita costante, sia per quanto riguarda l’uso di sostanze stupefacenti, sia per i reati contro il patrimonio, per la violenza verbale o fisica, per l’infrazione alle norme sulla circolazione stradale e così via. Forse, per aiutare davvero il giovane a crescere come dovrebbe e a diventare, da adulto, un buon cittadino, un po’ meno di tolleranza e un po’ più di disciplina sarebbero auspicabili. Questa non è, ovviamente, una ricetta infallibile; ma, visto che la deriva permissivistica dà questi risultati, non varrebbe la pena di provare a invertire la rotta?
il sombrero. La fontana ribattezzata come il copricapo messicano è nota, agli abitanti di lungo corso della zona, anche per una scenografica bravata negli anni settanta. Il Gigi non di Viganello né quello «amoroso» della canzone di Dalida, ma il Gigi di Molino Nuovo – oggi un mio compaesano amante di pantaloni di velluto e cardigan colorati – versa un fustino di detersivo dentro la fontana: la schiuma che ha fatto la raccontano ancora oggi in certi bar non solo di questo quartiere popolare. Il signore una panchina più in là si alza a fatica e mi indica la fontana senza dire niente, solo un gesto di apprezzamento con la mano e se ne va. Il giorno dopo, alla stessa ora, è sempre lì a fumarsi la sua pallmall. La fontana sombrero (281 m) di Molino Nuovo, in estate, va detto, è un gran rifugio per chi è costretto a rimanere in città. Oltre al rilassamento provocato dalle tre cascate cittadine che formano un velo, c’è un certo refrigerio. Anche l’azzurro piscina provocato dalle piastrelle a quadrettini del fondo vasca,
dona il suo contributo distensivo. Di bagni fuori luogo stile fontana di Trevi ce ne sono stati parecchi, ma trovo più balordi quei politici che volevano, non molto tempo fa, abbatterla. Meno male che il sindaco Marco Borradori ha risposto: «la fontana non si tocca». Anni fa avevo osservato un losco andirivieni, dietro, all’entrata dei gabinetti. «Chioschi di decenza» la definizione nel faldone Carloni che tra l’altro, nel suo libro Pathopolis (2011), riguardo agli ultimi anni di attività, si autodefiniva «architetto di condotta». Mai appurato se avvenissero cose turche, ora però per approfondire questo reportage, un salto giù nei cessi devo farlo. Si sentono le pompe idriche portare su l’acqua, nessuna scritta indecente. Il cucuzzolo in alto, da dentro, fa quasi cupola degli hammam fatimidi visti al Cairo e i buchi sembrano quelli di un’ocarina. Tornato alla mia panchina preferita, il vecchietto è sparito e una mamma con la carrozzina ha preso il suo posto. Alla cieca lancio un cinque ghelli del 1959.
se, pubblicato da Sellerio). Si tratta di un romanzo in cui, evidentemente, la realtà subisce una rielaborazione. E, così, agli homeless, l’autore dedica un’attenzione affettuosa e divertita, ne racconta le abitudini, ne riferisce il linguaggio ruvido e ironico. Testimonia una simpatia, in fondo condivisa, nei confronti di persone che, spesso, hanno alle spalle una scelta di vita volontaria, ispirata a un’intenzionale libertà, da cui ricavano visibilità, al limite del folclore. Ed è qui che passa il confine fra povertà voluta ed esibita e povertà subita e nascosta. Guarda caso, mentre leggevo lo spassoso racconto di Suter, mi sono imbattuta nella recensione del saggio Poor People, frutto della ricerca, condotta dal giornalista americano William T. Vollmann nelle pieghe dove, in ogni parte del mondo contemporaneo, si annida la povertà. Ma quella invisibile, di cui sono vittime del tutto involontarie persone che, pur partendo da condizioni in apparenza normali, non ce l’hanno fatta. E a una vita, vera e propria, hanno
finito per sostituire una sopravvivenza umiliante. Sono gli operai costretti a lavorare in ambienti inquinati, dove si ammaleranno, sono le donne sottopagate e avvilite da maternità indesiderate, sono i bambini e i giovani che abbandonano la scuola troppo presto. Vollmann li ha incontrati, dappertutto nel mondo. «La povertà, osserva, è un’esperienza da osservare dal vivo. Le cifre delle statistiche non bastano». Per poi lanciare una sfida semplicistica: «Alla persona povera spetta una parte di ciò che io ho in più». E concludere: «L’importante è che il fenomeno della povertà ci tocchi, tutti quanti». Ed è, infatti, ciò che avviene, persino nei paesi più privilegiati, cui apparteniamo, nella Confederazione elvetica, ai primi posti nella statistica dei redditi. Però, proprio qui, la povertà rimane un tema all’ordine del giorno. Temuta dai giovani, che vedono in pericolo pensioni e AVS. E un fantasma inventato dai pessimisti che praticano il culto del peggio.
A due passi di Oliver Scharpf La fontana sombrero di Molino Nuovo L’acqua che scende a cascata è la cosa che mi ha sempre attratto di più della fontana in piazza Molino Nuovo a Lugano. «È del Tita Carloni» mi fa un mio amico che abita a cinque minuti da lì, in via Lambertenghi. Via email Nicola Navone, vicedirettore dell’Archivio del Moderno di Mendrisio, conferma l’attribuzione a Tita Carloni (1931-2012). E Luigi Camenisch (1919-2011) aggiunge, con il quale condivideva lo studio in quegli anni. La data, 1957, è invece da verificare consigliandomi di consultare il Fondo Tita Carloni conservato alla Fondazione Archivi Architetti Ticinesi. E così, un pomeriggio alla fine dell’estate scorsa, sui tavoli della sala consultazione dell’Archivio di Stato, la responsabile Angela Riverso Ortelli mi ha lasciato il faldone a proposito della fontana di Molino Nuovo. Spulciando trovo il 1959 come anno in cui per la prima volta l’acqua scende a cascata in piazza Molino Nuovo, dove mi siedo su una delle tre panchine in prima fila un pomeriggio a fine agosto. Tenuta
d’occhio tutta la primavera, l’acqua si è messa in moto solo dopo il solstizio d’estate. Alle mie spalle, verso la videoteca chiusa, ce ne sono altre due di panchine sempre di quelle classiche rosse, di legno, ospitali. Due poi, anche in prima fila vista fontana, si trovano dall’altra parte della fontana, ma mi sono sempre seduto su una di queste tre. E chissà quante volte mi sono seduto qui, per fare merenda, all’epoca in cui frequentavo un’amica che abitava in via Zurigo. Trafficata strada che interseca la non meno percorsa via Trevano, qui accanto. Sull’altro lato che delimita la piazza scorrono, in senso inverso, le macchine in via Bagutti. Non mi ricordavo però che lo scroscio della fontana riuscisse a sovrastare così degnamente tutto il traffico. L’acqua che dalla vasca superiore cade qui davanti, incontra la pietra alla base del corpo centrale, perciò acuisce la riproduzione veritiera di una cascata in natura. Sugli altri due lati invece l’acqua cade più in là, direttamente nella vasca triangolare acuminata che qui
va a finire quasi come prua incagliata nell’aiuola. Non a caso questa punta mi ricorda gli angoli acuti del tetto dell’ex albergo Arizona (1957) in via Massagno, non lontanissimo da qui, firmato pure Carloni e Camenisch. In breve, la fontana è composta da due triangoli isosceli sovrapposti, senza formare, a volo d’uccello, una stella di Davide. Il corpo centrale, dove ci sono i gabinetti, è fatto di pietre provenienti dalle cave di granito della Riviera ticinese e si eleva come certi nuraghi sardi o i tetti dei trulli pugliesi. Un signore venuto qui con un deambulatore per anziani, si siede sulla prima di queste tre panchine e fuma la sua pallmall. L’omaggio della fontana-cascata disegnata da Tita Carloni è ovvio, lo sa anche il Gigi di Viganello come si dice da questi parti: è la Casa sulla cascata (1939) di Wright in Pennsylvania. Tutta la vegetazione attorno, pensata con cura, completa l’idea. Eppure il soprannome datole dalla gente del quartiere rende ancora meglio l’idea di questa grande fontana:
Mode e modi di Luciana Caglio Visibile o nascosta, la povertà ci concerne Anche sulla Bahnhofstrasse, è tutto dire, capita d’imbattersi in qualche barbone. Accovacciato nella rientranza di un portone, avvolto in una coperta, il cappello per terra rovesciato a uso salvadanaio, e magari accompagnato da un cane malandato, non è più una presenza estranea, una sorta di anomalia nella strada cassaforte mondiale. Forse può stupire, e indurre all’ironia, i turisti, ma per gli zurighesi il senzatetto è ormai assimilato nella quotidianità, circondato da tolleranza e indifferenza. Del resto, è ciò che cercano questi marginali, e che, nel passato, si potevano trovare soltanto nelle metropoli. Tanto da diventarne, a loro modo, un emblema. Il clochard parigino, il barbone milanese, il Landstreicher berlinese, l’homeless newyorkese e londinese: con appellativi diversi, questi personaggi dimostravano che, nella metropoli, c’è posto per tutti. Questione di spazio materiale e soprattutto, di disponibilità mentale. Ma non è più una prerogativa soltanto
delle grandi capitali, dove tra fretta e confusione non si bada ai balordi. Adesso, anche in città di medie e piccole dimensioni come le nostre, ormai popolate da un mosaico di nazionalità
ed etnie, è riuscito a insediarsi un altro diverso, il senzatetto. La definizione, in pratica, si riferisce a un’ampia tipologia di emarginati: anarcoidi, vagabondi, ribelli, diseredati, insofferenti, e via dicendo. Sta di fatto che a questi nuovi concittadini ci si sta, magari nostro malgrado, abituando. In proposito, il caso di Zurigo, è rivelatore dal profilo dei sentimenti popolari. In fin dei conti, nella severa e pulitissima capitale bancaria, gli homeless non sembrano disturbare. Costituiscono, addirittura, una categoria umana che lascia segni particolari nel quadro cittadino, insomma indizi d’appartenenza. Ci sono luoghi, come pensiline dei tram, sottopassaggi, angoli di parchi, bar, mense, dormitori, bagni pubblici di loro specifica pertinenza. Di cui si occupano operatori sociali, impegnati in ardui tentativi di recupero. È la faccia di una Zurigo, insolita e non rinnegata, che Martin Suter descrive nel suo ultimo libro Elefant (tradotto in italiano con il titolo Creature lumino-
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Ambiente e Benessere La cultura gastronomica Lugano diventa Città del gusto per capire come il cibo si produce, si degusta, e non si spreca; ne parla Marta Lenzi
Un museo dei boschi In Valle Vigezzo, a Re, un tempo si trovava un lago, oggi museo a cielo aperto pagina 12
Lo spazio ideale dei sogni Un giro del mondo di isola in isola, da quelle reali a quelle immaginarie, o irraggiungibili pagina 13
pagina 11
Tre grandi coetanei I campioni svizzeri Simon Amman, Fabian Cancellara, Roger Federer sono del 1981
pagina 15
Circa la metà della popolazione svizzera è sovrappeso o soffre di obesità. (Pxhere.com)
La salute vien mangiando bene
Sensibilizzazione Dalla Strategia nutrizionale svizzera la conferma dei benefici di una corretta alimentazione Maria Grazia Buletti Studi internazionali dimostrano che 7 dei 15 fattori principali che causano malattie e morte sono correlati all’alimentazione e allo stile di vita. Il peso corporeo è un indicatore importante per determinati rischi legati alle malattie non trasmissibili, ed è un dato importante se si considera che circa la metà della popolazione svizzera è sovrappeso o soffre di obesità. La nutrizione gioca quindi un ruolo primario nella salute delle persone. Questa, in sintesi, la conclusione delle riflessioni del Dipartimento federale dell’interno (Dfi), promotore della Strategia nutrizionale svizzera 2017-2021, che il presidente della onfederazione in carica Alain Berset così contestualizza: questa Strategia «crea i presupposti per permetterci di scegliere più facilmente uno stile di vita sano, indipendentemente da età, origine o reddito». Secondo il consigliere federale, per farlo servono però un contesto favorevole e una collaborazione fra tutti i cosiddetti attori: «Cittadini informati possono operare scelte consapevoli, ma soprattutto ci vuole il piacere di cucinare e mangiare». Una pianificazione necessaria, almeno secondo i dati sta-
tistici che indicano come in Svizzera i costi per la sanità crescano, passando dai circa 70 miliardi di franchi del 2013 ai circa 79 miliardi dell’anno passato. Non ha dubbi l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp), nel dire che l’80 per cento di questa cifra è determinato da malattie non trasmissibili (Mnt) a cui appartengono cancro, diabete e malattie cardiovascolari, che spesso richiedono trattamenti lunghi e dolorosi per le persone colpite. Evitare queste patologie è un importante obiettivo della politica sanitaria che punta a incentivare le persone nel seguire un sano stile di vita, in modo da permettere sul lungo periodo una notevole riduzione dei costi nel sistema sanitario, come pure una popolazione sostanzialmente più in salute. È innegabile, in questo contesto, come da decenni la nutrizione sia un elemento importante e mangiare bene una costante sfida per ogni generazione. Per questo, il Consiglio federale considera la prevenzione delle Mnt una priorità e ha deciso di rafforzare la promozione della salute pure attraverso quella della sana alimentazione, allineandosi del resto alla politica nutrizionale internazionale. Secondo uno studio condotto nel
2010 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sull’onere mondiale di morbosità, nei Paesi europei la salute e il benessere sono minacciati prevalentemente da fattori alimentari: «Un’alimentazione errata, la carenza di micronutrienti, il sovrappeso, l’obesità, ma anche le malattie non trasmissibili sono il risultato di un’alimentazione non equilibrata dove, in primo piano, si trovano il ridotto consumo di frutta e verdura e il consumo di derrate alimentari troppo dolci, troppo salate, troppo grasse e troppo caloriche». Questi sono i punti a cui si riallaccia la Strategia nutrizionale svizzera 2017-2021, con la quale il Dfi persegue l’obiettivo di promuovere e facilitare fra la popolazione «un’alimentazione sana e variata». Strategia che, dicevamo, si rivolge a differenti attori: economici e politici, rappresentanti del settore della nutrizione e della salute, organizzazioni che forniscono un contributo alla promozione di un’alimentazione sana. Tra essi rientrano parlamentari, autorità cantonali, associazioni di tutela dei consumatori, industria alimentare, gastronomia, rappresentanti delle associazioni di categoria mediche e in ambito nutrizionale, prevenzione e promozione della salute e istituti di ricerca.
Il Dfi fa sapere che: «Tutti i provvedimenti auspicati nell’ambito della strategia sono discussi ed elaborati coinvolgendo tutti i settori rilevanti della politica (formazione, lavoro sociale, tutela dei consumatori, economia e agricoltura, scienza e ricerca) che possono così contribuire a promuovere il benessere e la salute della popolazione in Svizzera». Provvedimenti che, ovviamente, dovranno risultare efficaci, utili ed economici, essere attuati secondo una collaborazione volontaria con l’economia e, infine, accrescere le competenze nutrizionali della popolazione: «In tal modo, ciascuno potrà operare responsabilizzandosi in una scelta consapevole riguardo alle derrate alimentari». Più saremo consapevoli della nostra alimentazione, maggiormente ci dimostreremo responsabili della nostra salute. Ciò implica anche un approccio che consideri le differenti fasi di vita, secondo le quali cambiano le esigenze nutrizionali. Ma non solo. L’iniziativa mira pure a tenere in considerazione le pari opportunità: «Persone con reddito basso con scarsa formazione scolastica o con un passato migratorio sono esposte a maggiore rischio sanitario, hanno necessità ed esigenze
specifiche che, in collaborazione coi diversi partner, devono essere considerate il più possibile». Infine, importante anche il rafforzamento della collaborazione multisettoriale: «Diversi fattori influenzano le abitudini alimentari sane, quindi bisogna ridistribuire la responsabilità in modo che tutti gli attori possano influenzare notevolmente e positivamente le abitudini alimentari della popolazione». Per dare concretezza a questa Strategia nutrizionale il Dfi ha incaricato l’Usav di elaborare un piano d’azione che coinvolga tutti questi attori importanti, in modo di appoggiare il progetto agli orientamenti e agli sviluppi strategici nazionali come pure internazionali. Il perché di un piano d’azione è presto spiegato: «Dà la possibilità di considerare gli sviluppi recenti e di elaborare provvedimenti e una serie di strumenti con i soggetti esterni coinvolti». In conclusione possiamo affermare che, attraverso questo piano d’azione, la Strategia nutrizionale svizzera sarà uno dei pilastri nella lotta alle malattie non trasmissibili. «Si tratterà di una delle principali sfide per la politica della salute del Consiglio federale», conclude Berset.
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Ambiente e Benessere
Burratina su crema di mais
Migusto La ricetta della settimana
Piatto estivo Ingredienti per 4 persone: ½ cipolla ·1 c di burro · 230 g di chicchi di mais, peso sgocciolato · 2 prese di sale · pepe di Cayenna macinato grosso · 2,5 dl di acqua · 40 g di semola di mais fine, polenta 2 minuti · 4 c d’olio d’oliva · 4 burratine da 120 g · micro leaves o crescione per guarnire.
migusto.migros.ch/it/ricette
1. Tritate la cipolla. Scaldate il burro e soffriggetevi il tritato. Aggiungete i chicchi di mais e soffriggeteli con la cipolla. Condite con sale e pepe di Cayenna. Sfumate con l’acqua e portate a ebollizione. Unite la semola tutta in una volta. Fatela cuocere per 2 minuti a fuoco basso mescolando di continuo.
Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
2. Aggiungete la metà dell’olio e riducete il tutto in purea con il frullatore a immersione. Se occorre aggiungete un po’ d’acqua. 3. Passate la crema di mais attraverso un colino e insaporitela con sale e pepe. Versate e spianate la crema sui piatti. Sistemate una burratina e un po’ di foglioline di crescione su ogni piatto. Irrorate con l’olio restante. Preparazione: circa 15 minuti. Per persona: circa 25 g di proteine, 36 g di grassi, 19 g di carboidrati, 500
kcal/2100 kJ.
La Nutrizionista Rubrica online Solo nell’edizione online, www. azione.ch, la rubrica mensile dedicata all’alimentazione. La cura Laura Botticelli, dietista ASDD, che risponderà alle domande dei lettori.
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017, Pays d’Oc IGP, 2016, California, della clientela: ancia, 6 xRating 75 clStati Uniti, 6 x 75 cl
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50% 0%50% 38.85
invece di 77.70 invece di 31.80 invece di 77.70
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6.50 a bottiglia invece di 12.95
glia invece 6.50 dia5.30 bottiglia invece di 12.95
2015, Puglia, 2017, Pays d’Oc IGP, della clientela: Italia, 75 clRatingFrancia, 6 x 75 cl
2016, Toscana, 2015, Puglia, della75 clientela: Italia, 75 clRatingItalia, cl
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Primitivo
Chardonnay 1–2 anni
Carne rossa, verdure, pasta, ratatouille, piatti a base di funghi Carnerisotto, rossa, verdure, pasta, Carne rossa, verdure, piatti a base di funghi ratatouille, piattoratatouille, unico Primitivo Sangiovese, Primitivo Cabernet Sauvignon 3–8 anni
3–8 anni
1–2 anni
1–5 anni
Carne bianca, pesce d’acqua salata, ratatouille, piatto unico Carne rossa, verdure, Carnepasta, bianca, pesce d’acqua ratatouille, piatti salata, a base di funghi piatto unico ratatouille, Chardonnay
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3–8 anni
40% 50% 40% 14.85
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2016, Toscana, RatingItalia, della75 clientela: cl
Rating della clientela: Carne rossa, verdure, risotto, ratatouille, piatto unico Carne rossa, verdure, risotto, ratatouille, piatto unico Sangiovese, Cabernet Sauvignon Sangiovese, Cabernet Sauvignon 1–5 anni 1–5 anni
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Ambiente e Benessere
Il buon gusto da studiare
Cultura del cibo Cucina di ieri, di oggi e di domani. Incontro con una storica di gastronomia, che prepara
anche l’evento Lugano Città del Gusto in calendario dal 13 al 23 settembre
si può ottenere qualcosa che noi chiamiamo polenta); e l’insalata russa non è altro che un’insalata inventata in Russia da un cuoco francese di nome Olivier, partito a lavorare per gli Zar. Se in Russia volete quell’insalata, ordinatela quindi come «Salade Olivier», piatto là considerato francese… Oggi non sono più solo gli studiosi o i medici, o gli architetti, a interessarsi di storia della gastronomia, mi confida Lenzi. Negli ultimi decenni è avvenuta un’altra rivoluzione: anche i cuochi si documentano, sono diventati intellettuali. Vogliono unire il piacere a un’alimentazione sana, la tradizione alla sorpresa. «Nella Città del gusto proseguiremo tutti questi discorsi», mi assicura e basta guardare il sito luganocittadelgusto.ch per sapere che è vero. «Faremo incontri con gastronomi, chef, nutrizionisti, produttori locali e non, artisti, enologi ed esperti di turismo». La conoscenza di un posto passa anche attraverso la tavola: cosa sta dietro a un piatto? È un mondo che parla degli aspetti principali di un territorio. Ecco perché va tanto di moda adesso tutto quello che è legato al cibo. «Quello che ci interessa è sensibilizzare sulla qualità dei prodotti, prima di tutto. Io non so cucinare, per esempio, ma voglio sapere che il pomodoro e la pasta che unisco nel mio piatto sono buoni, curati, sostenibili». Da 18 anni ogni anno viene scelta una città svizzera come capitale gastronomica, sempre a settembre, per la settimana del gusto. Quest’anno la manifestazione si terrà a Lugano, principalmente al padiglione Conza, al Palacongressi e a Villa Ciani. Ci saranno laboratori didattici, degustazioni, spettacoli teatrali e mostre. «Vogliamo informare, sull’alimentazione di ieri, di oggi e di domani; vogliamo far capire come si produce, come si degusta, come non si dovrebbe sprecare. Abbiamo stretto collaborazioni con tutto il territorio, l’Usi, le eccellenze gastronomiche, la Compagnia Finzi Pasca, l’Accademia di Mendrisio. Il cibo come sempre unisce, mette tutti insieme a tavola, per un momento conviviale di piacere dove possono nascere discussioni interessanti e le idee fioriscono. La nostra regina sarà la polpetta, perché è simbolo di una cucina che può essere semplice o sofisticata, ma sempre etica, perché strumento di lotta allo spreco alimentare. E soprattutto è un piatto buono la cui prima ricetta documentata è del nostro Martino!».
Sara Rossi Il cibo è cultura. Non si dice niente di nuovo. Alimentarsi è animale, trasformare gli alimenti è già un’arte e ci vuole tecnica, scienza e fantasia. Poi ci sono ricette che si inseriscono in una tradizione e vengono tramandate, soprattutto dalle donne. Ma oltre alle ricette ci sono gli usi e costumi di un popolo nel suo modo di stare a tavola, di apparecchiare, di mangiare in compagnia, ma anche di coltivare, pescare, cacciare, allevare.
Marta Lenzi: «Studiare gastronomia significa interessarsi al contesto sociale dei popoli, alla storia, alla geografia, al commercio, ai viaggi, al sistema economico e culturale di agricoltura e allevamento» La Dieta mediterranea, per esempio, è diventata patrimonio culturale immateriale dell’Unesco in quanto «promuove l’interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende. La Dieta si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nelle comunità del Mediterraneo». Chi si occupa di storia della gastronomia studia la storia dal punto di vista del cibo e mai come in questo campo si può dire: fare di necessità virtù. Incontriamo Marta Lenzi, economista di formazione diventata esperta di gastronomia, oggi Project Manager di Lugano Città del Gusto, che aprirà le sue porte dal 13 al 23 settembre. «Gli uomini hanno scoperto così tanti ingredienti, quali ora troviamo sulle tavole del mondo, prima di tutto per fame. Altrimenti perché provare funghi, bacche, rane, insetti, ricci di mare, ostriche, molluschi, frutti dall’aria poco invitante? Poi l’elaborazione del gusto (e dei profumi, e dell’estetica dei piatti) nasce nelle cucine dei ricchi, quelli che la fame non sapevano neanche cosa fosse». Marta Lenzi è affascinata soprattutto dal Rinascimento italiano. È un’epoca di cambiamenti, i piaceri e l’arte tornano con prepotenza dentro le corti, dall’America arrivano nuovi prodotti, come il pomodoro, il mais, la patata, il peperone e da Oriente già da qualche secolo si stanno facendo largo le spezie (fra cui lo zucchero, chiamato anche «sale degli arabi», che tramite questo popolo raggiunge la Sicilia e tutta l’Europa). «Studiare gastronomia significa interessarsi al contesto sociale dei popoli, alla storia, alla geografia, al commercio, ai viaggi, al sistema economico e culturale di agricoltura e allevamento», prosegue l’esperta. «Per studiare la storia della cucina ci si avvale di testi di ogni genere, dai libri di viaggio alle biografie agli annali di storia e poi di tutto il campo dell’arte figurativa che offre numerosi indizi sulle usanze dell’epoca. I ricettari arrivano dopo e spesso, prima dell’epoca moderna, sono in un certo senso avari di informazioni. Il primo cuoco generoso, che non ha avuto paura di indicare con precisione (re-
Marta Lenzi, Project Manager di Lugano Città del Gusto.
lativa, ma comunque) quantità e tempi di cottura, è stato Martino de’ Rossi, bleniese di Torre». Marta Lenzi è stata per vent’anni la responsabile della Biblioteca Internazionale di Gastronomia che aveva sede a Lugano. Lì è diventata esperta di quello che è considerato il precursore della cucina moderna europea, proprio Martino de’ Rossi, innovativo perché attraverso il suo modo di trattare e tramandare le ricette, si inizia a considerare cultura il modo di cucinare. «Lo riprende Platina, uno storico umanista dell’epoca, che traduce in latino il libro di Martino, affinché il suo sapere gastronomico venga diffuso in tutta Europa. Si comincia anche a strutturare un ricettario secondo una logica moderna, con antipasti, primi, secondi, dessert, un po’ come si fa oggi, anche se non subito in maniera così precisa. E poi avviene un altro importante cambiamento: si smette piano piano di abusare delle spezie». Spiega la studiosa che le spezie un tempo erano quelle erbe, radici o dro-
ghe che arrivavano da lontano e che costavano molto. Venivano dunque usate per dimostrare la propria ricchezza e rendere omaggio al prestigio dell’ospite. Anche lo zucchero e il sale erano considerate spezie e le più colorate, come lo zafferano per esempio, avevano anche la funzione di illuminare il piatto, che in genere veniva servito in sale buie rischiarate solo da candele. De’ Rossi invece è il primo cuoco della storia che dice di usare le erbe «secondo il gusto del mio padrone». Anche le verdure, che prima di lui non erano degne di stare sulla tavola dei nobili, come tutto ciò che veniva dalla terra, vengono rivalutate dal nostro cuoco bleniese che servì gli appetiti di ben due papi e della corte degli Sforza. Anche la Rivoluzione francese porta una svolta nella storia della cucina: i cuochi francesi, già allora molto rinomati, non avevano più re e regnanti da servire. Escono dunque dalle corti e portano democrazia anche in ambito gastronomico, cominciando a lavorare in proprio e aprendo i primi ristoranti.
Informazioni
Viaggiano i cuochi, viaggiano i cibi, e così la polenta diventa il nostro piatto tipico, fatto di mais, che prima di Cristoforo Colombo neanche sapevamo cosa fosse (né gli americani sanno che da quei chicchi e con quel paiolo
Per ottenere maggior dettagli circa i programmi previsti durante l’evento Lugano Città del Gusto in calendario dal 13 al 23 settembre è possibile consultare il sito internet: www.luganocittadelgusto.ch
Migros Ticino a Lugano Città del Gusto
Anche Migros Ticino parteciperà alla manifestazione enogastronomica più importante della Svizzera, che
quest’anno si terrà a Lugano dal 13 al 23 settembre. E lo farà in grande stile, grazie alla presenza di un esclusivo camion vendita Migros «rivisitato» in chiave catering. Qui, per la gioia di tutti i buongustai, si potranno assaporare originali e succulenti creazioni gastronomiche preparate al momento con prodotti freschissimi e di prima scelta. L’itinerario di questo punto di ristoro mobile si snoderà durante tutta la durata della manifestazione tra le piazze San Rocco, Castello e Riforma.
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Ambiente e Benessere
La folta foresta del lago scomparso Alberi A Re in Val Vigezzo un ricco museo dei boschi di un tempo
Alessandro Focarile Sul versante italiano, la chiamano la «Valle dei pittori», e su quello svizzero è invece nota con il nome «Centovalli». Nel primo caso, infatti, la bellezza e la ridondanza dei boschi attirano numerosi artisti, che trovano ispirazione e suggestioni per creare le loro opere. Soprattutto durante l’autunno, quando la Natura si esprime con una sinfonia di caldi colori generati dal denso fogliame degli aceri, dei faggi, delle betulle e dei pioppi, che si preparano al riposo invernale. Quando in tutte le infinite tonalità e sfumature dei gialli, dei rossi, degli arancioni e dei marroni creano una opulenta tavolozza cromatica. E sul versante ticinese, al pari riccamente selvoso, si trova invece un fitto reticolo di valli e vallecole, che confluiscono nella Melezza orientale, tributaria della Maggia a Ponte Brolla. Grazie alla sua collocazione geografica, era ed è una regione generosamente irrorata con copiose precipitazioni, posta tra l’Ossola a Ovest, e il Lago Maggiore (Verbano) a Est. A Càmedo, in terra ticinese, unico caso finora documentato in Svizzera, sono stati totalizzati nel 1986 ben 4mila millimetri di pioggia! Un clima favorevole per la formazione e la persistenza, attraverso molti millenni, di una densa varietà di vegetazione legnosa (alberi e arbusti), che conferisce una particolare ricchezza all’ambiente silvano. Copertura arborea in parte modificata dall’uomo nel corso di parecchi secoli, che favorì il predominio del
castagno a scapito delle querce. Selve che, in tempi precedenti avevano conosciuto la prima penetrazione di ardimentosi uomini-cacciatori, i quali vi si avventuravano alla scoperta del bosco insubrico affacciato sulla Padania. Dove vi trovavano un’abbondante preda per soddisfare i loro appetiti: cinghiali, cervi, caprioli, orsi. Frane o sbarramenti morenici di origine glaciale avevano creato, fin da epoca remota, i presupposti morfologici per la formazione di un lago più o meno esteso, che occupava l’attuale territorio a cavallo tra Santa Maria Maggiore, 800 metri (Melezza occidentale) e Re, 710 metri (Melezza orientale). Là dove le acque sono incerte se scendere verso l’Ossola, oppure verso Locarno. A causare lo svuotamento del bacino lacustre, e la successiva messa allo scoperto della stratigrafia lungo le sponde con uno spessore di circa 30 metri, furono frane ed erosioni. Ciò svelò l’esistenza di banchi argillo-sabbiosi più o meno cementati contenenti sottili straterelli con impronte di foglie, ramaglia, pigne (strobili) di larici e abeti, oltre che di pollini. Il giacimento fossilifero di Re attirò l’attenzione e l’interesse degli studiosi lombardi già alla fine del 1800. Sordelli pubblicò nel 1896 le prime illustrazioni delle impronte di numerose foglie (filliti), che documentavano la presenza di un bosco lussureggiante durante molti millenni. Gli studi successivi, e fino in epoca recente (Bertolani Marchetti 1956, Sidler e Hantke 1993, Pini e Ravazzi 2005) hanno confermato lo straordinario in-
teresse del giacimento di Re per la storia della vegetazione in Europa. Le vestigia di un’imponente e complessa foresta si è svelata agli occhi degli studiosi dopo 50mila anni! Nel corso delle indagini sono state reperite, e spesso in ottimo stato di conservazione, ben 32 specie differenti di alberi e arbusti. Questo prezioso Museo di botanica, questa unica testimonianza del passato, è la documentazione dell’esistenza di un bosco ricco e composito, molto dinamico nel corso del tempo. Bosco che in parte richiamava la situazione ambientale attualmente presente sulle rive del Mar Nero, nella Colchide caucasica, con alberi scomparsi nelle nostre regioni. Come le Zelkova simili all’olmo, l’abete di Nordmann (Abies nordmanniana) e lo straordinario rododendro del Ponto (Rhododendron ponticum), un alberello alto fino a sei metri, con le foglie lunghe venti centimetri e i fiori intensamente profumati. Tra queste, anche una specie di castagno caratterizzato per le sue grandi foglie (Castanea latifolia), quindi ben differente dal nostro albero attuale. Il Lago di Re ha conosciuto molte vicissitudini ambientali fino alla sua scomparsa. È stato anche ricoperto dall’ultima avanzata del glacialismo würmiano tra 25mila e 15mila anni or sono, e le impronte delle foglie fossili sono rimaste molto ben conservate, mantenendo il loro valore documentativo. Queste foglie sono le testimonianze dell’esistenza di differenti fisionomie del bosco a seguito delle contrastate situazioni climatiche e quindi ambientali.
Acero di monte (attuale). (Alessandro Focarile)
A una dominanza del bosco di latifoglie sulle pendici circostanti della valle; con aceri, querce, castagni, faggi, frassini, olmi e carpini, faceva riscontro una folta presenza di salici, pioppi e ontani presso le rive del lago di Re. Si sono avvicendati anche periodi climatici più miti e asciutti che hanno favorito l’insediamento della vescicaria (Colutea arborescens), del bosso (Buxus sempervirens), e del ginepro di Sabina (Juniperus sabina). Tutte piante che hanno attualmente una diffusione di tipo mediterraneo. Inoltre, altre specie che hanno un areale incentrato nei Balcani e in Asia Minore (Colchide), come il castagno e il rododendro pontico. Le analisi, gli studi, le interpretazioni dei dati raccolti a Re, hanno rivelato una fisionomia boschiva analoga e
contemporanea con l’altrettanto famosa località fossilifera di Pianico-Sèllere nella Bergamasca (giacimento di Leffe), espressione della continuità geografica e cronologica della vasta foresta che si estendeva senza soluzione di continuità, ininterrotta da Ivrea al Bresciano, e che cingeva la Padania: il bosco insubrico. Bibliografia
Ferdinando Sordelli, Flora Fossilis Insubrica. Studi sulla Vegetazione della Lombardia durante i tempi geologici, (Milano), 1896, 408 pp. (https://archive.org/stream/ florafossilisins00sord#page/70/ mode/2up). René Hantke, Eiszeitalter, vol.3. Ott Verlag (Thun), 1983, 732 pp. Annuncio pubblicitario
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PUNTI
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Ambiente e Benessere
Da un’isola all’altra Bussole I nviti a
Stefano Faravelli
letture per viaggiare
Tra terra e mare
Viaggiatori d’Occidente Il fascino delle isole è composto da molte diverse suggestioni Claudio Visentin Non è facile definire un’isola: è senza dubbio un’isola Bishop Rock, uno scoglio battuto dalle onde con un faro meraviglioso nell’arcipelago delle Scilly, a sud dell’Inghilterra. Ma l’Inghilterra poi non è forse essa stessa un’isola? E la Nuova Zelanda? E la Groenlandia, con i suoi oltre due milioni di chilometri quadrati? Insomma potremmo chiederci: quando sei troppo grande per essere ancora un’isola e devi rassegnarti a essere un continente? Anche nel passato, del resto, le definizioni sono state spesso oscillanti. Per i Vichinghi un’isola era tale solo se ci voleva una nave con timone per raggiungerla. Per gli Irlandesi invece ci doveva essere abbastanza erba per nutrire almeno una pecora. «Un’isola è un pezzo di terra circondato dalle acque, scoperto durante l’alta marea, e più piccolo di un continente» sostiene con maggior rigore scientifico il geografo Stephen Royle. Quante isole ci sono al mondo dunque? Le oscillazioni possono essere enormi, a seconda dei criteri adottati. Quando la Svezia fece un censimento delle sue isole nel 2001 i risultati variarono da 221’800 a 24 soltanto. Le isole poi fanno strani scherzi. Nel 1831 l’Isola Ferdinandea spuntò dal mare di Sicilia giusto il tempo necessario per scatenare una disputa internazionale sul suo possesso tra Gran Bretagna, Francia e Regno delle Due Sicilie. Ma già l’anno seguente, forse spaventata da tanto fracasso, pensò bene di tornare sott’acqua. Anche una piccola isola poi può essere attraversata dalla grande storia. È il caso di El Hierro, la più piccola delle Canarie, al largo della costa occidentale africana. Proprio lì nel II secolo
d.C. il geografo Tolomeo fece passare il Meridiano zero, quello da cui si contavano tutti gli altri, ritenendo che fosse il punto più occidentale del mondo; e così per secoli è stata indicata su tutte le carte geografiche. Soprattutto i Francesi vi erano affezionati, perché si trovava a 20 gradi esatti a ovest del Meridiano di Parigi. E ancora nel 1884, quando venne spodestato dal Meridiano di Greenwich, il «Meridiano di ferro» era ancora utilizzato in Germania e nell’Impero austro-ungarico. Le isole ci attraggono. Ci lasciano immaginare spazi di purezza preservata dalla corruzione della storia. Fu così anche quel giorno d’aprile del 1768, quando l’ammiraglio francese Louis Antoine de Bougainville – dopo aver attraversato l’immensa solitudine del Pacifico – giunse infine a Tahiti, accolto da uomini amichevoli e donne splendide ornate di collane di fiori, l’incarnazione del «buon selvaggio» immaginato da Rousseau.
Non è facile stabilire «cosa» si merita la definizione di isola: quando la Svezia tentò di censire le sue nel 2001 i risultati variarono da 221’800 a 24 soltanto Ancora alla fine dell’Ottocento il pittore Paul Gauguin partì a sua volta per Tahiti per rinnovare la propria ispirazione artistica e, nonostante qualche inevitabile disillusione, trovò quanto cercava: «La civiltà mi sta lentamente abbandonando. Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per
il mio prossimo, anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Con la certezza di un domani uguale al presente, così libero, così bello, la pace discende in me». L’isola promette protezione dalla inquietante vastità del mondo perché offre uno spazio finito con un orizzonte infinito. Come ha scritto Fredrik Sjöberg: «L’isola esercita un’attrazione particolare su quegli uomini che sentono il bisogno di controllo e di sicurezza. Niente, infatti, è delimitato e concreto come un’isola». E proprio su un’isola – Runmarö, a est di Stoccolma – Sjöberg si è trasferito con la moglie e i tre figli. La vera ragione di questa scelta tuttavia è piuttosto l’insensata passione di Sjöberg per una particolare varietà di mosche, i Sirfidi, il cui aspetto esteriore simile alle api e alle vespe trae in inganno i loro predatori (L’arte di collezionare mosche, Iperborea, è proprio il titolo del suo primo libro di successo). Oggi molte isole rischiano lo spopolamento, man mano che i loro abitanti prendono la via delle città e della modernità, come fece negli anni Trenta Marita, la nonna della scrittrice danese Siri Ranva Hjelm Jacobsen. Ma proprio la nipote un giorno avverte improvvisamente la nostalgia di un’isola verde, ventosa, scoscesa, un’isola delle Faroe dove pure non ha mai vissuto. Comincia così il racconto del viaggio di ritorno a Suðuroy (Isola, Iperborea). Naturalmente per chi sull’isola ci vive sempre i sentimenti possono essere opposti: claustrofobia, isolamento, desiderio di fuga. Non a caso molte isole sono state carceri terribili, dalle quali si disperava di poter evadere, come la leggendaria prigione di Alcatraz, nella Baia di San Francisco, California. Per anni poi ho desiderato navigare sino all’isola di Sant’Elena, sperduta nell’O-
ceano Atlantico meridionale, dove fu confinato Napoleone perché perdesse ogni speranza di tornare in Europa. Scoperta nel 1502, distante duemila chilometri dalla costa angolana, è rimasta uno dei luoghi più difficilmente raggiungibili al mondo fino al 2017, quando è stato inaugurato il nuovo aeroporto internazionale. Sulle isole proiettiamo i nostri desideri di avventure e ricchezze; nessuno l’ha raccontato meglio di Robert Louis Stevenson ne L’isola del tesoro (1883). Il più famoso racconto di pirati prese forma dalle fantasticherie di Stevenson sopra una mappa, iniziata dal figliastro Lloyd Osbourne (il quale pretese come compenso per la sua collaborazione che nella storia non apparissero donne) e completata dall’autore. Conoscete la storia: Jim trova una vecchia mappa del tesoro nel baule del vecchio marinaio Billy Bones, morto nella locanda gestita dai suoi genitori, attorno alla quale si aggirano loschi figuri… Le isole sono state anche lo spazio ideale dove immaginare un mondo chiuso e perfetto. L’esempio più conosciuto è Utopia, pubblicata in latino nel 1516 dall’umanista Tommaso Moro, vent’anni prima di essere mandato a morte da Enrico VIII. Utopia è solo la prima di tante isole immaginarie, riflesse da miraggi, intraviste solo nei sogni dei marinai e dei poeti, eppure capaci di risorgere ogni volta nel taccuino del viaggiatore: sono L’isola non trovata (Guccini), L’isola che non c’è (Bennato). La fascinazione profonda delle isole nasce proprio da questa ambiguità, da questa molteplicità di significati concentrata in uno spazio ristretto: un invito irresistibile per i viaggiatori. Del resto, come ha scritto Karen Blixen, «La cura per ogni cosa è l’acqua salata: sudore, lacrime o il mare».
««“Mi racconti il mare?”. Ogni sera la stessa domanda. E ogni sera mio padre mi rimboccava le coperte e immaginava per me burrascose avventure di galeoni, pirati e principesse da salvare. Il mio letto salpava e io mi lasciavo portare in un mondo sempre più blu di flutti e isole incantate…» Anche tralasciando quelle raggiungibili solo attraverso le pagine dei libri – fantastiche, eppure così reali – le isole sono tante, troppe per i limiti di una vita. Per questo ogni viaggiatore ha le sue predilezioni e un suo percorso, tra scelta e caso. Silvia Ugolotti ha fatto le valigie troppe volte, attraversato decine di Paesi, incontrato persone a ogni latitudine, eppure ogni suo viaggio si è concluso su un’isola diversa, quasi rispondendo a un richiamo: sono state oltre ottanta le isole visitate, dal Sud al Nord del mondo. Sfogliando il suo taccuino di viaggio troviamo le Azzorre, portoghesi solo per convenzione, in realtà isole di corsari e mercanti, esploratori e scienziati. E poi il tempo rallentato e lo sviluppo sostenibile delle Scilly, «the last place of England». O ancora la Polinesia francese, un continente blu simbolo di quell’altrove sempre cercato, dove mettere alla prova, con la saggezza del disincanto, il mito delle isole felici. Come tacere poi le isole dei balenieri, Nantucket nel Massachusetts o Saint Malo in Bretagna? Si possono invece solo immaginare le isole artificiali flottanti costruite dall’antichissimo popolo degli Uros sulla superficie del Lago Titicaca, lo specchio d’acqua navigabile più alto del mondo, un mare in cielo. Il viaggio può finire solo nell’isola dell’anima, tra tutte la più cara, ma per ognuno diversa: per Silvia Ugolotti è Sant’Antioco nel Sulcis Iglesiente. Ma è davvero la fine del viaggio, o piuttosto solo una sosta per riprendere fiato e aspettare il vento giusto? Bibliografia
Silvia Ugolotti, L’inquietudine delle isole. Piccole fughe tra atolli e arcipelaghi, Ediciclo, 2018, pp.96, € 9,50. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
Giochi
Questa idea di una strana congiunzione astrale in grado di far nascere, nello stesso anno, nello stesso luogo, personalità fuori dal comune, mi si è di nuovo materializzata dopo il 2000, quando nel firmamento dello sport mondiale ha cominciato a brillare la stella di tre giovani campioni svizzeri: Simon Amman, Fabian Cancellara, Roger Federer, in puro ordine alfabetico, tutti nati nel 1981. Insieme hanno raggranellato 7 ori olimpici e 14 titoli mondiali (compresi i Masters), senza contare gli Slam, le Coppe del Mondo, la Davis, le Classiche, eccetera. Per dirla con un termine abusato: tanta roba! Ho avuto il privilegio di incontrarli tutti e tre: Cancellara più volte, anche in contesti non strettamente professionali; Amman, pure, ma con un coinvolgimento emotivo minore; Federer una sola volta, per una lunga intervista radiofonica, che rimane una delle highlights della mia carriera lavorativa. Ricordo ancora quando, dopo averlo a lungo inseguito, mi concesse un’intervista in cui mi chiedeva fra l’altro di Cancellara, che aveva conosciuto ai Giochi di Atene e che stimava molto. Pensavo di incontrare un ragazzino superficiale, mi ritrovai di fronte un uomo di 25 anni, maturo, vivace, sensibile, consapevole del suo ruolo di personaggio-immagine. Era il numero 1 al mondo nella sua disciplina, frutto di migliaia di ore di lavoro, ed era aperto a ciò che ruotava attorno a lui, attento alla realtà nazionale e internazionale. La sua fondazione a favore dei bambini delle Township sudafricane è la migliore testimonianza dei suoi slanci e della sua empatia. Credo che anche lo sviluppo della sua carriera sportiva, altalenante, ma
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pure nella consapevolezza, credo, che possa puntare a piazzamenti attorno 6 8 1 3 alla decima posizione. I maligni diranno che lo fa per una semplice questio5 ne 1finanziaria. Io 6 non lo credo, poiché gli introiti di un saltatore sono di gran lunga inferiori a quelli di altri sportivi. Sono piuttosto convinto che la sua forza la sua volontà di proseguire nel semi9 eanonimato 3 abbia un nome: amore! Che dire infine di Fabian Cancel1 6 Spartacus è una lunga ed entusia8 lara? smante tappa della mia carriera profes2 sionale. L’ho visto 8 vincere a Sanremo, 5 mi ha fatto sgolare quando ha fatto suoi la Roubaix e il Fiandre, ne ho 7 cantato le gesta in occasione dei suoi quattro Mondiali a cronometro, ero presente a 7 quando 1 9ha sgrezzato e taRio2de Janeiro gliato l’ultimo diamante. In quell’occa4 giunsi al limite 2 3 sione del pianto. Pochi credevano nel secondo oro olimpico. Fabian Cancellara, all’arrivo di Paris-Roubaix 2010. (Thomas Ducroquet) Da un paio d’anni le sue poderose 1 6 cosce non sembravano più in grado di sempre su livelli eccelsi, sia figlia del 2002 a Salt Lake City, osannato 5 da mez-6 stantufare come4un tempo. Tuttavia 2 il suo modo di essere. Roger è un uomo zo mondo, ospite di riguardo allo Steve treno di Berna voleva ancora correre su sereno. Non gli importa di uscire dalla Lettermann Show, uno dei Talk culto binari roventi. Lo ha fatto all’altro capo 8 lasciando pietrificati 1 il suo per “Azione” - Agosto 2018 Top 10, non se ne fa un cruccio se i riva-Giochi negli Stati Uniti, Flying Simi è ripiom- del7mondo, Stefania Sargentini li storici a volte lo sconfiggono. Ancora bato pesantemente al suolo, soprattutto erede, Tom Dumoulin, e l’immenso pochi giorni fa, a Cincinnati, è stato te- ai GO di Torino del 2006, quando era Chris Froome. Poi ha detto stop, come stimone attivo del trecento come backtrentotto) di Novak atteso a una conferma. Il suo è stato un il Big Ben di Portobello. La vita offre al(N. 29 - Duemila Djokovic. Federer non ha ombre. Sa che atterraggio di emergenza, al punto da1 tro.9Qualcuno ha espresso rammarico. 4 3 1 3 4 5 7 può2 tornare, anche da6 lontano. È 8 tor-9 dover chiamare D U E inMcausa, I RnonOun mecL AAltri hanno sperato che si rimettesse nato a vincere degli Slam. È risalito, sia canico, bensì uno psicologo. Io l’ho gioco, come Roger, che è tornato5ai 10 11 12 13 8A co- Cin I N poco T dopo, A quando R E ha N ripreso pure per breve tempo, al primo posto nosciuto vertici, o come Simon, che soffre e lotta. 14 15 16 17 E N C Puntuali O M I sono O arrivati T Ril I Ma Fabian non ha mai vacillato. Chiadella classifica mondiale. Fino a quan- a decollare. 3 7 18 19 20 do la consapevolezza di potercela fare titolo il Dmatela pure cocciutaggine, lui è berneC mondiale I S del M 2007 S a Sapporo, H O O 21 lo accompagnerà, noi ci22godremo il pri- doppio oro di Vancouver 2010, la Cop- se con babbo di origini lucane, gente di S Oe persino U T titolo O 9N N Ocarattere; io la considero 5 6 semplicemenvilegio di vederlo recitare sui campi più pa Idel mondo, un irida23 24 25 R Econ gli sci, T ambito R E a lui stori- te un’altra forma di amore nei confronti prestigiosi del circuito. to nel volo 26 28 Anche 27la carriera di Simon Am- camente congeniale. di ciò che è stato: un passato 7 che non si N A poco T O O D 29 man ha vissuto30 una parabola simile. Diversamente da Roger Federer, potrà più rivivere, ma che si potrà ricorR Harry T R Potter, O S daI alcuni anni dare nel tempo, con gioia, tenerezza, Quasi un Dio 32quando era giovanissi- il A nostro 31 3 2 8 1 4 mo, dopo il doppio oro olimpico del non più. Tuttavia M vola I O T A non O molla, sia orgoglio.
N. 30 MEDIO
N. 31 DIFFICILE
Giochi per “Azione” - Settembre 2018 Stefania Sargentini (N. 30 - ... lo spagnolo a causa della carnagione scura) Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 8
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A C E R E N D N. 32 E L L GENI I I 7 3 5 T I R N 8 3 9 A G I N A 2 O N I2 E R 1 8 I S C O I 3 1 1 U R A N A
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e una delle 2 carte regalo F da L O 50 R franchi A S P con A G ilO sudoku (N. 33 - Furetto potpotta - Alce bramisce) SUDOKU PER AZIONE - AGOSTO 2018 1
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Cruciverba Risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere nelle caselle evidenziate, troverai il nome di due animali e il verso che producono. (Frase: 7, 8, 4, 8)
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Sport Tre uomini, tre storie che tutti ci invidiano
Molti anni fa, da studente, mi era capitato fra le mani un volumetto di Mario Agliati, I due maestri del ’71, dedicato alle figure di Francesco Chiesa e Giuseppe Motta. Nato a Sagno, il primo, fu uno dei pochi letterati ticinesi capaci di varcare i confini nazionali nella hit parade del gradimento. Airolese, il secondo, a prescindere dalle ideologie e dagli orientamenti politici, fu un eccellente statista, grande sostenitore della Società delle Nazioni, cinque volte presidente della Confederazione. Ricordo che mi stupii per come, in un fazzoletto come il nostro Cantone, potessero nascere nello stesso anno, due personalità in grado di travalicare i confini nazionali con le loro parole e con le loro opere. Pochi anni più tardi, il mondo vide brillare la stella di due giovani sportivi svedesi, nati entrambi nel 1956: Ingemar Stenmark e Björn Borg. Quando i miei amici, nati nello stesso anno, esaltavano le magiche imprese dei loro coetanei, io, di due anni più anziano, potevo rispondere solo con il mio omonimo Giancarlo Antonioni, uno degli artefici del Mondiale azzurro dell’82, approdato a fine carriera a Losanna; e con Marco Urlodimunch Tardelli, lui pure eroe della finale madrilena, con appendice elvetica a San Gallo. Mi rendevo conto che, non potendo ancora smanettare su internet alla ricerca di fenomeni Nba o Nhl nati nel mio stesso anno, tra me e loro non c’era partita. Quindi mi arrendevo, aggiungendo, in pieno trip da Led Zeppelin o Pink Floyd: «Ok aver vinto, però tenetevi anche Miguel Bosè, voi bravi ragazzi del ’56».
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I tre maestri dell’81 Giancarlo Dionisio
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27. Pronome personale 28. Leccio VERTICALI 1. Un nome da cane 2. I margini degli affari 1 3. Due di cuori 4. Un tipo di treccine 7 5. Ripido, scosceso 6. Un anagramma di Noè 7. Le hanno il savio e il matto 9 8. Infiammazione dell’orecchio 10. Accordi 12. Casa editrice per libri religiosi 13. Borsa a Parigi 15. Il mondo vegetale 12 Simbolo 13 chimico 14 del rame 16.
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I17premi, cinque carte regalo18 Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno 19 pervenire la soluzione 20 fatto corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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ORIZZONTALI 1. Muore dopo essersi unito all’ape regina 4. Uno Zero in TV 9. È andato ... fuori uso 10. Copri costume 11. Preposizione 12. La sera deve essere leggero 13. L’ultima della scala... 14. Un senso 16. Isola delle Bahamas 17. Schiavo spartano 18. Sparisce al buio 20. Sono più o meno densi 22. Lo sono alcuni gas 24. Lettera dell’alfabeto greco 25. Costumi, mode
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C O R 1E 9 O P A 75R924 8 P A S 42T 85 3 6 5 2 F A T T O 8 1 3 4 6 6 L 8O1 3T A 69 73 5 1 2 N E L U 6M I I30 LMEDIO A L E L S N. B O I 1 R 4 N E 9R O 3 L T 8 4 1O RV A M3 1I 53 V6I R E AI 8 6 7 E 2I C 8 E N S5 U R A U S N 2 9 T C O A E6 T 7 A8Z P E T 3 6 E R O 2 S 7 A1 9 E R A R T I 3E A3 LG 4L CI 7E 5 S A L 4O N I 2
N E O B 9 8 4 Soluzione: A S C I A 7 Scoprire i3 6 1 S numeri 4 corretti 9 T da inserire nelle 9 caselle colorate. R 4 6 O
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19. Tipologia di vino spumante Soluzione precedente 5 8 6 9 1 4 7 3 2 5 6 della settimana 4 2 21. Prefisso replicativo SAGGE VERITÀ 4 2per3poi… 7 Resto 8 6della 5 frase: 1 9 7 8– Perdonare1è liberare un prigioniero 23.32 Gli-dei di Sigfridoche il prigioniero eri … (N. ... scoprire tu)SCOPRIRE CHE IL PRIGIONIERO ERI TU. N. 31 DIFFICILE 24.2 Sigla di4 Mercato Europeo Comune 1 3 5 6 7 8 S C O1 P 9 A A R 4 D 3 I R E 6 7 1 9 5 8 2 4 3 2 926.3La mozzarella10ne 4 ha due5vicine 6
(N. 34 - ... prestagli le tue scarpe)
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Vincitori del concorso Cruciverba 21 22 10 su «Azione 34», del 20.08.2018 24 A. Fontana, P. Slepoi, D. Dazzi 27 Vincitori del concorso Sudoku 28 11
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D.B. Crivelli, G. Presser32Bonatti
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Partecipazione online: inserire la
soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato 21 sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so23
1 6 5I P T R 3E 8 9S 2 4A 7 G 4 2 5 1 6 3 9 8 7 1 9 4 8 7T 5 A 6 3 2 R SE E O L 2 6 8 3 1 4 7 5 9 T 8 1 E 4 U AM 7 5 3S 6 2E 9 M 3 7 5 8 1 4 2 6 9 R 8 4 2E 7 N 3 6 5 A D G E9 1 5 1 6 4 9 2 3 7 8 O N. 32 L GENIO D I P A L E S E luzione, è possibile 3 corredata 9 da nome, cognome, 5 3 un8 pagamento 7 9 1 in6 contanti 2 4 indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti E S T C U R V O M 2 8 6 7 2 Il9 nome 4 8dei 6vincitori 3 5 sarà 1 essere spedita a «Redazione Azione, per iscritto. 1 8 7 Lugano». Concorsi, C.P. 6315, 6901 pubblicato 1 4su 6«Azione». 5 3 Partecipazione 2 8 7 9 Non esclusivamente a lettori che Nsi intratterrà E corrispondenza S1 Osui Nriservata D 8 5 A 2 9 6 4 C 7 1 P 3 concorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono in Svizzera.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Politica e Economia La politica di Autostrade Il crollo del ponte Morandi a Genova riapre la discussione sulla privatizzazione della rete austrostradale
Le date-simbolo della storia: 4 Nel Cinquecento Gutenberg con la sua tecnologia tipografica dà avvio a una rivoluzione dell’informazione che prefigura quella del digitale ai nostri giorni
La consulenza finanziaria L’esperto della Banca Migros consiglia: niente panico quando i valori della borsa scendono pagina 24
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Una donna avvolta nella bandiera spagnola davanti al mausoleo El Valle de los Caìdos nei pressi di Madrid dove è sepolto Franco. (Keystone)
Madrid fa i conti con il proprio passato Storica decisione A 43 anni dalla morte, il governo socialista di Sánchez ha deciso l’esumazione del dittatore
Franco dal mausoleo dove è ancora sepolto assieme a 34 mila vittime della Guerra civile
Gabriele Lurati Vittime e carnefice assieme nello stesso luogo, per 43 lunghi anni. Troppi secondo il governo socialista. L’esecutivo di Pedro Sánchez ha così deciso l’esumazione del corpo del dittatore Francisco Franco dal mausoleo che ospita il feretro del caudillo assieme ai resti di 34’000 persone morte durante la Guerra civile o uccise dal regime franchista fino al 1975. «Non è più accettabile una tomba di Stato dove si continua a glorificare la figura di Franco», ha dichiarato la vicepremier Carmen Calvo per spiegare il decreto-legge che ha dato inizio al processo di allontanamento del dittatore dal «Valle de los caídos», la gigantesca struttura situata 50 km a nord di Madrid che è diventata nel tempo anche luogo di pellegrinaggio di neofascisti e nostalgici del franchismo. La decisione, presa dal governo socialista nell’intento di portare a termine la cosiddetta «Legge sulla Memoria storica» approvata già dal premier Zapatero nel 2007 ma lasciata inapplicata da Rajoy per sette anni, riapre però le ferite di un Paese che per più di 40 anni ha preferito non affrontare il problema. Lo spettro delle «due Spagne», quella del bando nazionalista opposto a quel-
lo repubblicano, riaffiora fino ai giorni nostri nella vita quotidiana della società spagnola, ancora divisa da un’eredità storico-politica che risale indietro di 80 anni, e accende i dibattiti su radio, tv e social media iberici. D’altronde non potrebbe essere diversamente se ancora oggi ci si imbatte in monumenti e strade dedicate al Generalísimo in tutta la Spagna. La legge in vigore obbliga però a mettere fine a tutti i simboli della dittatura franchista dagli spazi pubblici e negli ultimi anni sono stati effettivamente cambiati i nomi ad alcune strade dedicate a Franco o abbattuti monumenti del dittatore. Tuttavia questo è avvenuto solo nei Comuni amministrati da giunte progressiste, generalmente composte da Partito socialista e Podemos, come nel caso di Madrid. Le polemiche sorte dopo l’annuncio dell’esumazione del corpo di Franco, con le accuse mosse dall’opposizione di centro-destra a Sánchez risultano piuttosto pretestuose. Secondo il Partito popolare e Ciudadanos questo non sarebbe il momento più indicato per affrontare il tema, a fronte di problemi più urgenti del Paese quali la questione catalana o l’immigrazione. I liberali di Ciudadanos però si contraddicono in quanto un anno fa avevano votato un
progetto di legge (in seguito affossato dal governo Rajoy) in senso contrario ad oggi, dichiarandosi favorevoli all’esumazione del dittatore. Questi fatti evidenziano le contraddizioni politiche e la fragilità della democrazia spagnola, più dichiarata che realmente compiuta. La Spagna non ha saputo fare i conti con il suo passato, preferendo credere che bastasse passare dalla dittatura alla democrazia (con un’amnistia generalizzata durante il breve periodo della Transizione del 1975-78) per entrare di diritto nel novero dei Paesi democratici. In realtà non si è voluto affrontare questo tema fino ad oggi perché ritenuto troppo spinoso ma anche per la ferrea opposizione che ha sempre manifestato il Partito popolare, fondato sin dalle sue origini da un ex ministro franchista, e la cui cultura politica discende direttamente dal periodo del regime autoritario. Ne è un esempio anche il giovane neoeletto presidente del Pp Pablo Casado che, nel corso della sua carriera politica, si è distinto proprio per i durissimi attacchi alla Legge sulla Memoria storica con ripetute accuse a tutta la sinistra, descritta come formata da «un gruppo di vecchi sempre in preda all’ossessione delle fosse
comuni». Sta di fatto che nel mausoleo dove giace Franco, eretto proprio per volontà dello stesso caudillo, si trova oggi la più grande fossa comune di tutta Europa. In essa vi sono i corpi degli oppositori repubblicani fucilati dalla dittatura, sepolti affianco ai morti del bando franchista e a pochi metri dal corpo di Franco. Difficile quindi liberarsi facilmente di un corpo così ingombrante per il suo alto significato simbolico. Sánchez ci sta provando, cercando di portare la Spagna sulla via di una normalità giuridico-internazionale, come avvenuto in altri Paesi con un passato autoritario. Si pensi ad esempio alla Germania, dove le responsabilità del proprio passato sono state assunte attraverso un processo di riconoscimento ed elaborazione degli errori commessi, e le distanze con il regime nazista sono state prese in modo netto dai vari governi e regolamentate per legge. La situazione in Spagna era diventata politicamente insostenibile al punto che persino un rapporto dell’Onu già nel 2014 invitava il governo a mettere fine a questo anacronismo democratico, ma l’allora primo ministro Rajoy non fece nulla. In vista dei festeggiamenti per i 40 anni dalla nascita della Costituzione
spagnola previsti per il prossimo dicembre, il governo Sánchez ha pensato quindi di chiudere questa spinosa pagina della storia spagnola per cercare di dimostrare anche sul piano internazionale di essere tornati a una certa normalità democratica, in uno Stato sopraffatto dagli eventi della crisi catalana. D’altro canto va detto anche che Pedro Sánchez ha preso questa decisione non solo per il valore simbolico che rappresenta ma anche per ragioni di opportunità politica. Il premier socialista sta infatti cercando di ricompattare i suoi alleati del governo di minoranza (Podemos, i nazionalisti baschi e catalani) in vista di un «autunno caldo», quando dovrà approvare la legge finanziaria e, soprattutto, dovrà affrontare una nuova grande ondata di manifestazioni degli indipendentisti catalani. Sánchez ha certamente teso la mano verso queste forze politiche perché ha bisogno del loro appoggio in Parlamento per convertire in legge il decreto, ma forse riuscirà una volta per tutte a portare fuori la Spagna dal pantano storico-politico in cui annaspa dai tempi della Transizione. Un passaggio necessario per un Paese che si voglia definire democratico e moderno a tutti gli effetti.
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Politica e Economia
Fra le trame del cemento armato
Non solo Ponte Morandi Revocare la concessione di Autostrade alla famiglia Benetton appare un’operazione
Alfio Caruso Nel 1993 sono l’allora primo ministro Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi direttore generale del Tesoro a indicare il destino di Autostrade, ossia il suo trasferimento in mani private, per alleviare la travagliata situazione economica dell’Italia. Il passo iniziale è la vendita di Enichem, con il suo corredo di cadaveri eccellenti (Gardini e Cagliari); seguono le società dell’Iri (Autogrill, Autostrade, Sme), della Telecom, di Comit, Credit, Banco di Roma e quote di Eni ed Enel. Se ne ricavano circa 182mila miliardi di lire, meno di 100 miliardi di euro: l’affare lo concludono gli acquirenti – i soliti noti, cresciuti e pasciuti all’ombra delle logge massoniche – non il venditore, che è poi lo Stato. Nel ’96 è primo il governo di Romano Prodi a ufficializzare la cessione di Autostrade per abbattere il debito pubblico ed entrare nell’euro. Viene stabilito un meccanismo di adeguamento delle tariffe molto generoso nella speranza di allettare gli investitori. Per lo stesso motivo nel ’97 la concessione ad Autostrade viene prorogata dal 2018 al 2038. Scelte vanamente contestate da Corte dei Conti e Unione europea e che oggi sono considerate un grazioso regalo ai futuri acquirenti. Nel ’99 il nuovo presidente del consiglio Massimo D’Alema mette la firma definitiva. L’affare si presenta, dunque, sostanzioso, eppure c’è un solo concorrente, la famiglia Benetton con un corredo di piccoli azionisti e di alcuni istituti di credito (Unicredit, Rolo Banca, Cassa di risparmio di Torino) riuniti nella società Schemaventotto. A vegliare la Mediobanca di Cuccia, l’uomo più potente d’Italia, ai cui voleri si piegano tutti, da Agnelli a De Benedetti. I quattro fratelli Benetton (Luciano, Giuliana, Gilberto e Carlo) hanno avuto l’intelligenza all’inizio degli anni Novanta di capire che la società tessile fondata nel 1965, che ha dato lustro, quattrini, notorietà internazionale, era oramai un frutto maturo. Avevano da investire il tesoretto accumulato con i maglioni e hanno subito adocchiato il bersaglio giusto, la Sme dell’Iri, che aveva in pancia Autogrill, con l’esclusiva delle stazioni di servizio nella lunghissima rete autostradale italiana, e i supermercati GS. Nel ’95 sborsano 700 miliardi di lire,
circa 400 milioni di euro. Dopo tre anni rivendono a Carrefour la sola catena GS, e senza il patrimonio immobiliare, per 6000 miliardi di lire. Adesso hanno i soldi per acquistare Autostrade: il colpo grosso, quello che deve assicurare il benessere economico senza penare dietro gli umori e i ghiribizzi del mercato, delle mode, delle tendenze. Il 30 per cento costa 2 miliardi e mezzo di euro, giusto il guadagno realizzato con GS. Dal centrodestra berlusconiano, in quei mesi all’opposizione del centrosinistra targato D’Alema-Cossiga, ci si chiede se il prezzo sia congruo. Ma sì che è congruo: l’assicura il professor Giancarlo Elia Valori, nominato presidente di Autostrade per l’improvvisa fama di mago delle privatizzazioni, acquisita proprio con la cessione di Sme ai cari e intraprendenti fratelli trevigiani. Una compagnia di giro ormai collaudata, tuttavia nessuno eccepisce. I Benetton risultano simpatici, ammanigliati con diversi centri di potere, prodighi di pubblicità a giornali e tv. Valori, da parte sua, incute timore: le sue conoscenze spaziano dai servizi segreti al Vaticano, dov’è cameriere di cappa e spada. Uno dei pochissimi nemici dichiarati è Prodi, con il quale è entrato in rotta di collisione durante la gestione dell’Iri. Un altro è Gelli: lo ha espulso dalla loggia P2 perché gli faceva ombra in Sud America e questo ha consentito al soave, piissimo figlio di Maria di cavarsela nell’inchiesta giudiziaria. Chi può, insomma, dubitare della parola di un simile personaggio? Per di più Autostrade colloca in Borsa il 56 per cento del pacchetto azionario con un incasso di 6 miliardi. Sembrano tanti, sono briciole. Lo si capisce nel 2003 allorché Schemaventotto lancia un’opa totalitaria su Autostrade per 11 miliardi. Li recupera con i pedaggi in soli tre anni. E già con i proventi dei caselli i Benetton hanno acquisito partecipazioni in Autostrada Milano-Torino, in Grandi Stazioni, negli aeroporti di Torino e Venezia, cui aggiungeranno il gioiello della corona, il controllo dell’aeroporto romano di Fiumicino. I quattro fratelli se ne fregano perfino dell’intimazione dell’Antitrust: aprire le strade italiane anche ad altri concorrenti della ristorazione. Risolvono con una multa di 16 milioni di euro nel 2004. Padroni di Autostrade, il primo
AFP
di difficile attuazione nonostante la linea statalizzatrice del governo
provvedimento dei Benetton è di licenziare Valori: una decisione, che molti leggono come una vendetta postuma di Prodi. La nuova guida dell’azienda è Vito Gamberale, un manager assai sperimentato. È lui a separare le attività autostradali dalle altre. Nasce così Autostrade per l’Italia controllata al 100 per cento da Autostrade spa, quella che oggi si chiama Atlantia, la holding di partecipazioni controllata dai Benetton. Poi arriveranno le autostrade all’estero (complessivamente 14mila chilometri a pedaggio), il tormentato dossier delle nozze con il gruppo spagnolo Albertis, da impalmare alla modica cifra di 16 miliardi. Dieci anni di amori e disamori, che parevano essersi conclusi con la vittoria dei Benetton, ma sul punto di essere cancellati dal disastro di Genova. Quando Gamberale lascia, sostituito dall’attuale ad Castellucci, raccomanda di vegliare quotidianamente sul ponte Morandi. Nel 2007 il secondo governo Prodi firma la convenzione attualmente in vigore con misteriosa segregazione degli atti. La conferma di un monopolio, in cui il regolato comanda sul regolatore. Il ministro dei Lavori Pubblici è l’ex magistrato Antonio Di Pietro: blocca l’acquisizione di Albertis e annuncia che la cuccagna è finita. Soltanto parole. Nel 2008 il governo Berlusconi vota, compreso Salvini, l’ennesima proroga pro Benetton. Nel 2013 il governo Letta aggiorna la concessio-
Benetton, gruppo di famiglia Nomen Omen L’azienda tessile italiana fu fondata nel 1965
da Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo con sede a Ponzano Veneto Per decenni i Benetton hanno rappresentato l’immagine convincente di un capitalismo familiare garbato, attento al prossimo, capace di felici intuizioni. Una bella storia italiana, figlia di quel Veneto, che dopo secoli di miseria ed emigrazione in mezzo secolo si è trasformato in un’incubatrice d’imprese e di affermazioni internazionali. In simile contesto anche i nuovi amori della numerosa dinastia, le relazioni extraconiugali, i figli fuori dal matrimonio sono diventati parte della narrazione. Orfano a dieci anni Luciano Benetton (classe 1935) deve lasciare la scuola. Assunto come commesso in un negozio di tessuti un giorno si presenta con un maglione giallo confezionato dalla sorella Giuliana (classe 1936), che lavora da casa per alcune maglierie della zona. Nell’Italia ancora dominata dalle tinte neutre quell’esplosione di colori attira. Luciano intuisce che può diventare un elemento distintivo dal punto di vista promozionale e
commerciale. Nel ’65 i quattro fratelli Benetton – si sono aggiunti Gilberto del 1941 e Carlo del 1943 – aprono il primo negozio con il marchio di famiglia a Ponzano Veneto, un piccolo centro in provincia di Treviso. Il successo è immediato. Nel 1971 decidono di allargarsi fuori dal Veneto e puntano grosso, Parigi: un altro boom di vendite. Nell’80 tocca a New York; due anni dopo, a Tokyo. La rivoluzionaria, per l’epoca, formula del franchising consente la moltiplicazione dei punti di vendita, arrivano a 6mila con un giro di 150 milioni di capi, e degli incassi. Tra i fratelli avviene una saggia divisione dei compiti: Luciano la guida e le strategie del gruppo; Giuliana l’ideazione dei modelli; Gilberto la finanza e i conti; Carlo l’acquisizione e la gestione delle proprietà terriere in Argentina (primo proprietario privato con 900 mila ettari). Elio Fiorucci, forse l’intelligenza più visionaria del settore, presenta
a Luciano il quarantenne fotografo Oliviero Toscani. Dal suo gusto per la provocazione sbocciano felici campagne pubblicitarie, che trasformano il marchio in un brand mondiale dell’innovazione. Si aggiungono le clamorose vittorie in formula 1: Luciano si è affidato a un geometra cuneense conosciuto a Milano, Flavio Briatore. Ha fallito in ogni intrapresa, è rimasto coinvolto in storiacce di gioco d’azzardo, però si rivela un mago delle piste. Scopre un giovanissimo pilota tedesco Michael Schumacher e si aggiudica due titoli mondiali. Negli stessi anni si chiamano Benetton le squadre di basket, di volley, di rugby dominanti nei campionati italiani. Treviso capitale dei maglioni e dello sport diventa anche la sede di una Fondazione studi e ricerche: si occupa del disegno del paesaggio con progetti in tutto il mondo. Segue la nascita nel ’91 della rivista «Colors», firmata ancora una volta dal duo Benetton-
ne, prolungata fino al 2042, con piccole modifiche a vantaggio di Autostrade. La vigilanza passa al ministero dei Trasporti, ma nel nuovo accordo manca il riferimento esplicito e incontrovertibile sui controlli relativo alla manutenzione straordinaria delle infrastrutture come lo erano i lavori di rafforzamento dei tiranti del cavalcavia genovese. Ecco i margini d’incertezza presenti nel contratto sull’onere dei controlli e sugli ambiti d’ispezione del ministero: Castellucci li ha già impugnati per opporsi alla minaccia di revoca avanzata da Di Maio e sostanzialmente stoppata da Salvini. Con il centrosinistra alla finestra, diviso nelle sue fazioni, accusato di aver protetto i Benetton – è vero a metà – incerto sulla posizione da prendere, la partita oggi si gioca fra la Lega e il M5S. La Lega è per strappare ad Atlantia più soldi possibili: dai risarcimenti per le vittime e gli sfollati alla ricostruzione del nuovo ponte, all’abolizione dei pedaggi in Liguria. Si parla di circa 3 miliardi di euro, in risposta ai 500 milioni offerti dalla società. Il braccio destro di Salvini, l’ombroso Giorgetti, ha già detto no alla nazionalizzazione, che sarebbe la diretta conseguenza della revoca o annullamento della concessione. In teoria sarebbe l’obiettivo del M5S, che affiderebbe ai processi e ai tribunali l’ammontare dei risarcimenti. Ma la revoca o l’annullamento della concessione viene giudicata dagli esperti assai
complicata da ottenere, se non impossibile, con il rischio, anzi, di dover versare una ventina di miliardi ad Atlantia quale indennizzo. Un’altra eventuale conseguenza di quella convenzione, che di sicuro ha prodotto la drastica riduzione delle ispezioni e soprattutto la netta divaricazione tra gl’investimenti programmati e quelli effettuati. Nel 2013, a esempio, sono stati spesi 2 miliardi anziché i 3 preventivati. Per la manutenzione si è scesi dai 700 milioni del 2015 ai 646 del 2016. E nel primo semestre dell’anno in corso siamo a 197 milioni contro i 232 dello stesso periodo nel 2017. In costante aumento invece, i guadagni: da quando se ne sono impossessati, i Benetton hanno ricevuto da Autostrade circa 15 miliardi. L’anno scorso i ricavi sono ammontati a 3,9 miliardi con un margine lordo di 2,4 miliardi. Per Atlantia numeri altrettanto succosi: 5,91 miliardi di fatturato, 1,1 miliardo di ricavi netti. Tanta abbondanza avrebbe dovuto consentire la cura di quanto avveniva sul quel ponte, per il quale il suo stesso costruttore, l’ingegner Morandi, in un documento del 1979 raccomandava interventi di robusto consolidamento. Quei maledetti tiranti avevano problemi di corrosione, di umidità, di distacco di calcestruzzo. E la loro situazione era nota da tempo. L’annuncio di una catastrofe, cui mancava solo la data: 14 agosto 2018.
Toscani, venduta in una quarantina di paesi e tradotta in quattro lingue. Nello stesso anno vede la luce «Fabrica», centro studi e ricerche incentrato sulla comunicazione, che comprende grafica, cinema, fotografia e molto altro. In quest’ansia di fare, di stupire, di creare consenso Benetton, eletto anche al Senato con il partito repubblicano, offre un lavoro a Fidel Castro. Con il dittatore cubano si è sviluppata una singolare simpatia durante un viaggio a Cuba. Luciano ritiene che pure lui sarà coinvolto nel crollo del comunismo sovietico. E allora perché non averlo in cattedra come «maestro della rivoluzione»? Castro, però, rinuncia, sa che il proprio potere nell’isola è inscalfibile. La crescita del gruppo porta alla quotazione in Borsa, alla diversificazione degli investimenti, all’acquisto di Autostrade, ai ricchissimi dividendi della holding proprietaria, Atlantia. Declina soltanto il tessile, ormai pari al 5 per cento del patrimonio familiare, che nel 2017 ha registrato 12 miliardi di ricavi consolidati. Ma su 4,1 miliardi di margine operativo lordo dell’intero gruppo, quello generato dalla sola Atlantia è di 3,6 miliardi, l’88 per cento. Il risultato lordo di Atlantia e pari al 61 per cento del fatturato, una profittabilità da primato. Tolti ammortamenti, oneri finanziari e imposte, l’utile netto consolidato delle attività della famiglia
è di 1,4 miliardi. L’unica perdita, 181 milioni, sono i maglioni. Ampiamente assorbita dagli altri guadagni, eppure in grado di spingere Luciano a ritornare sulla scena, dopo il ritiro del 2000. E assieme a lui ecco di nuovo Toscani nella speranza di possedere lo stesso estro di trent’anni addietro. Ma ben altri sono diventati i problemi con il crollo del ponte a Genova. Ci sono, ovviamente, quelli economici: Atlantia, controllata al 30 per cento dai Benetton, ha già perso più di un quarto del valore, passando da oltre 20 miliardi a circa 15 miliardi; il valore delle obbligazioni in calo; le agenzie di rating Standard & Poor’s e Moody’s hanno ipotizzato un declassamento; per salvare le concessioni s’ipotizzano cospicui risarcimenti, dai 2 ai 4 miliardi, alle vittime e agli sfollati in aggiunta ai costi per la ricostruzione del viadotto. Tuttavia, il danno maggiore è all’immagine, che fin qui aveva rappresentato in mezzo secolo l’investimento vincente. I tre fratelli, in luglio è morto Carlo, non hanno pronunciato una sola parola di cordoglio e di vicinanza ai tanti coinvolti nella catastrofe; le mosse della dirigenza sono state tese alla salvaguardia del profitto; il giorno dopo il disastro nella villa di famiglia a Cortina si è svolta un’imponente grigliata. E persino gli altri ricchi della valle ampezzana hanno preso le distanze. /AC
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Politica e Economia
Quando nasce l’Età del Caos
Le date che hanno influenzato la storia – 4. Nel ’500 Gutenberg con la sua tecnologia tipografica consente il salto
nell’era della stampa: una vera rivoluzione dell’informazione che prefigura quella del digitale ai nostri giorni Federico Rampini Il mondo moderno, come lo intendiamo noi, si è venuto a formare in queste tre date: 1450, 1492, 1648. Gutenberg, Colombo, Vestfalia. Sono tre eventichiave essenziali per capire gli sviluppi successivi, e anche per distinguere «quanto sia nuovo il nuovo»: se oggi la nostra Età del Caos è figlia di una rottura epocale rispetto alla modernità, o se si inserisce nella continuità e fa parte dei frequenti corsi e ricorsi della storia. Per primo viene Gutenberg che con la sua tecnologia tipografica consente il salto nell’èra della stampa, dell’alfabetizzazione, della riproduzione dei libri; agevola quella Riforma protestante dalle enormi conseguenze politiche sull’Occidente; sia il Rinascimento che l’Illuminismo si nutrono di libri, che nel Medioevo erano delle rarità custodite nei monasteri. L’impatto della stampa sulla Riforma è talmente immediato che spesso Gutenberg e Martin Lutero vengono studiati insieme. L’impresa di Cristoforo Colombo è resa possibile anch’essa da Gutenberg, vista l’importanza dei libri di geografia stampati a quell’epoca. A sua volta la cosiddetta «scoperta» dell’America ha diramazioni verso la globalizzazione biologica, l’unificazione dell’ecosfera, con conseguenze molto più vaste e sorprendenti di quanto si creda, per esempio nelle epidemie o nello stravolgimento delle nostre abitudini alimentari millenarie.
Considerare il Rinascimento dal punto di vista dell’impatto di Gutenberg-Colombo, impone di ricordare che anche quella fu un’Età del Caos, con le stesse insicurezze che viviamo oggi, e una risposta simile: il populismo. Segue una lunga instabilità, le guerre tra i fondamentalismi religiosi (per lo più cristiani). Qualcuno accosta i populisti come Trump e Grillo a Frate Savonarola. A quel Caos il Trattato di Vestfalia cerca di porre fine nel 1648. E la pace di Vestfalia – fragile – ci lascia in eredità un «formato», lo Stato-nazione come attore delle relazioni internazionali, dentro il quale torniamo a cercare protezione e rifugio nel nostro turbolento presente. Quanto siamo ancora «figli» di quell’epoca, condizionati da quelle mappe della storia? E quanto invece abbiamo vissuto una rottura, l’ingresso in un’èra nuova, che ci trasporta verso orizzonti sconosciuti? È giusto – ad esempio – teorizzare che Internet e i social media hanno creato un universo completamente inedito? L’intelligenza artificiale applicata alle comunicazioni di massa da Google e Facebook segna una rottura, un passaggio di civiltà, con lo stesso potenziale dirompente che ebbe la stampa di Gutenberg cinque secoli prima? E ancora: quanto il nostro corpo, la nostra salute e la nostra longevità, la flora e la fauna dell’ambiente in cui viviamo, sono condizionati dalla globa-
lizzazione agroalimentare e batteriologica scatenata inconsapevolmente dalle grandi scoperte di Cristoforo Colombo & C.? Quanto invece siamo entrati in un’epoca di manipolazione genetica senza precedenti nella storia umana? Non fu Gutenberg a «inventare la stampa». Come sempre il nostro eurocentrismo ci ha tramandato una storia parziale e incompleta, dove quasi tutto ha inizio in Occidente. Invece anche in questo campo ci hanno battuto i cinesi, e non di poco: due millenni circa. È nel 600 prima di Cristo che in Cina appare la prima tecnica di stampa, con blocchi di legno che imprimono caratteri a inchiostro sulla carta. Però, a volte non basta inventare. Se la tecnologia innovativa viene usata in un contesto inadatto, può non dispiegare tutti i suoi effetti. La Cina fa tantissime cose prima di noi ma non sempre riesce a estrarre i benefici potenziali delle sue invenzioni (o i malefici, vedi la polvere da sparo che loro usarono per i fuochi d’artificio, noi per i moschetti e i cannoni). Nel caso della stampa il suo problema forse è banale ma insormontabile: con diecimila ideogrammi «di base», il mandarino ha una complessità che ostacola l’uso della tipografia quale verrà fatto in Europa cioè con una produzione relativamente veloce e una diffusione di massa dei libri e dei giornali. Prima di Gutenberg ci vogliono tre anni per produrre una Bibbia, visto che la tecnologia disponibile è la copiatura
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Prima prova di stampa della Bibbia nella tipografia di Gutenberg (1453). (AFP)
a mano. Invece delle tipografie ci sono gli amanuensi, che ci hanno tramandato delle pregevoli opere d’arte come gli incunaboli, ma in edizioni talmente limitate che se le contendono i musei. Nel corso della sua vita Gutenberg stampa duecento Bibbie, un numero che oggi è da collezionisti ma per l’epoca era ragguardevole. Presto molti lo imitarono e senza pagargli un centesimo di copyright: l’invenzione della stampa precede quella del brevetto industriale. Il tedesco Johannes Gensfleisch zur Laden zum Gutenberg nasce nell’anno 1400. È un artigiano poliedrico e creativo. Fabbro e orefice di formazione, intorno al 1440 fa i suoi primi esperimenti con i caratteri mobili per la stampa e l’uso dell’inchiostro oleoso, mentre vive a Strasburgo. Nel 1455 stampa la sua prima Bibbia a Maenza. È l’inizio di quella che sarà una vera rivoluzione culturale. Della quale lui non può neppure immaginare gli sviluppi futuri. Solo nel 1504, sei anni dopo la morte, per la prima volta uno studioso cita Gutenberg come l’inventore della stampa. Nel frattempo la sua tecnologia – scopiazzata gratis – è migrata in altre parti d’Europa, soprattutto in Italia dove Venezia diventa il principale centro di produzione di libri. L’Italia dei Comuni e delle Città-Stato, con una borghesia mercantile fiorente e dallo spiccato spirito d’indipendenza, è un mercato ideale per il nuovo supporto o piattaforma tecnologica che diffonde conoscenze, idee. Il social media della carta stampata si candida a sostituire (lentamente) il social media più antico: la trasmissione orale di leggende, miti, credenze religiose. Ma il libro è anzitutto il Libro. Il fatto che Gutenberg abbia stampato prevalentemente delle Bibbe, è quanto di più normale vista la centralità della religione nella cultura di quel tempo. E tuttavia è anche gravido di conseguenze, proprio nella Germania di Gutenberg. Che a quell’epoca non è certo una nazione, bensì come l’Italia di allora è un’espressione geografica e soprattutto un’area linguistico-culturale. Proprio come l’Italia, anche la Germania non ha nel Medioevo una lingua nazionale e l’élite parla latino; l’unificazione linguistica comincia dai testi religiosi. Nel nostro caso Francesco d’Assisi e Dante Alighieri, cioè una letteratura d’ispirazione religiosa. Nel caso tedesco è la Bibbia stessa a «creare» la lingua nazionale. Il 31 ottobre 1517 il prete sassone e professore di teologia Martin Lutero affigge in pubblico a Wittenberg le sue 95 Tesi, il cui nucleo è la protesta contro un malcostume imperante nella Chiesa allora: la vendita delle indulgenze. Il clero offriva «sconti di pena», e passaggi accorciati dal Purgatorio al Paradiso, per chi poteva pagare. Lo storico medievalista Jacques Le Goff ha spiegato come il Purgatorio sia stato
letteralmente inventato per offrire una prospettiva interessante alla nascente classe mercantile, e quelle transazioni pecuniarie sul destino delle anime accompagnano le prime forme di capitalismo europeo nel tardo Medioevo. Il moralista Lutero è l’interprete di una diffusa indignazione tra i fedeli. Ma nelle Tesi oltre a fustigare la gerarchia ecclesiale avida e corrotta, afferma anche dei principi nuovi, davvero rivoluzionari. Tra questi c’è sola Scriptura, che è considerato il principio fondante del futuro protestantesimo. Sola Scriptura sta a significare che il Libro divino, la Bibbia, è l’unica autorità ed è autosufficiente, non richiede l’interpretazione del papa e dei sacerdoti. Il fedele deve leggerla e può capirla da solo, Dio l’ha dettata per lui. Questo principio che avrà enormi conseguenze, lega immediatamente Lutero a Gutenberg. Nel 1518 le 95 Tesi, originariamente scritte in latino, vengono tradotte in tedesco. Diventano uno dei primi testi stampati con la nuova macchina di Gutenberg. Poi Lutero si decide a tradurre la stessa Bibbia in tedesco. Molti lo considerano per questo il vero padre della lingua e poi della coscienza nazionale della Germania. Il teologo sassone è uno dei primi a intuire la potenzialità del nuovo social media. La tipografia gli consente direttamente l’accesso al popolo, by-passando gli intermediari che controllavano il Verbo fino a quel momento, cioè i preti. (Così come oggi Beppe Grillo può evitare la tv e parlare in Rete coi suoi seguaci; Donald Trump può aggirare i giornalisti e lanciare via Twitter i messaggi agli americani). La Bibbia scritta nella lingua del popolo, strumento della Riforma protestante, apre l’era moderna in tanti sensi. È un potente strumento di emancipazione: mettendo in comunicazione diretta il fedele e Dio attraverso la lettura individuale del Verbo, fa vacillare paurosamente in mezza Europa il «potere forte» per eccellenza che è la Chiesa, titolare fino a quel momento di una prerogativa esclusiva: al popolo incolto da secoli solo i preti potevano spiegare il Nuovo e il Vecchio Testamento; la loro messa in latino suonava come un rito composto di formule magiche, incomprensibili alla massa. La Bibbia tradotta e stampata è anche un formidabile incentivo all’alfabetizzazione, promuove l’accesso individuale alla cultura. La visione moderna del mondo, in Occidente, si forma in quel periodo quando al centro viene messo l’individuo. Naturalmente un mondo dove la conoscenza è alla portata delle masse è anche un mondo più difficile da governare. Tanti lettori, tante teste pensanti, si lasciano dominare meno dal papa o dal sovrano, rispetto a una plebe ignorante e credulona. Gutenberg più Lutero fanno fare un balzo avanti prodigioso alla conoscenza umana, ma creano anche le premesse di una Età del Caos.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Politica e Economia
Dieci giorni che contano La consulenza della Banca Migros
Thomas Pentsy
Chi perde i migliori giorni di borsa consegue rendimenti nettamente minori
Chi perde i migliori giorni di borsa consegue rendimenti nettamente minori
10’000 CHF investiti nello Performance Index l’01.01.1990: patrimonio al 31.12.2017 10 Swiss 000 CHF investiti nello Sw iss Performance Index l’01.01.1990: patrimonio finale finale al 31.12.2017
94’486
Sempre pienamente investito
(8,4% p.a.)
51’292
Perde i 10 giorni migliori
Perde i 25 giorni migliori
Perde i 50 giorni migliori
(6,0% p.a.)
25’497 (3,4% p.a.)
10’995 (0,3% p.a.)
Fonte: Banca Migros, Bloomberg
portano ai guadagni maggiori. Se un investitore, ad esempio, fosse rimasto sempre pienamente investito nello Swiss Performance Index dal 1990 al 2017, avrebbe conseguito un rendimento medio annuo dell’8,4%. Se però in questo periodo di tempo
avesse perso i migliori dieci giorni di borsa, il rendimento annuo si sarebbe ridotto al 6%. Iniziando con un capitale di 10’000 franchi e restando sempre pienamente investito, avrebbe dunque guadagnato quasi 43’000 franchi in più (cfr. grafico a lato).
Fonte: Banca Migros, Bloomberg
Thomas Pentsy è analista di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
La maggior parte degli investitori non sono abili trader, ossia non sono particolarmente bravi a prevedere le oscillazioni di mercato a breve termine. Soprattutto gli investitori privati commettono spesso l’errore di acquistare le azioni quando raggiungono il prezzo massimo e di venderle una volta toccato il minimo. E se la borsa cola a picco, molti vanno subito nel panico, vendono i titoli e si fanno da parte. Ovviamente un crollo della borsa non è una situazione facile da sostenere. Le perdite di corso sono sempre dolorose e se si resta ad aspettare la fine della fase di ribasso, l’attesa può protrarsi terribilmente a lungo. Tuttavia, per il successo di lungo periodo dei vostri investimenti può rivelarsi molto utile mantenere la calma e restare sempre pienamente investiti nel mercato azionario. Infatti, in borsa il tempo è il vostro miglior alleato. O, come si dice nell’area anglosassone, «time in the markets beats market timing». Proprio durante un crollo delle borse si registrano le oscillazioni più estreme delle quotazioni. In questi periodi di volatilità non si attestano quindi solo le maggiori perdite giornaliere, ma in genere anche i maggiori utili giornalieri. D’altro canto, chi cerca di prevedere il momento migliore per acquistare, avrà un’elevata probabilità di perdere i giorni di negoziazione che
In linea generale, il prolungamento dell’orizzonte di investimento è uno dei metodi più semplici per incrementare i rendimenti. Più lungo è l’orizzonte temporale di un investimento ampiamente diversificato, minore sarà la probabilità di subire una perdita. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Il mercato delle abitazioni è tornato normale Di questi tempi si discute abbastanza intensamente, nella stampa confederata, dell’effetto della legge Weber, la legge che limita la costruzione di residenze secondarie, sull’evoluzione degli investimenti nelle costruzioni dei cantoni alpini. È un argomento che interessa da vicino anche il Ticino. Ricordiamo al lettore che questa legge, approvata dal parlamento federale nel 2015, realizza i postulati del nuovo articolo costituzionale approvato dal popolo nel 2012. In
particolare la legge vieta la costruzione di nuove residenze secondarie nei comuni in cui rappresentano più del 20% delle abitazioni totali. Se consultiamo la carta dei comuni svizzeri con eccedenza di residenze secondarie ci accorgiamo rapidamente che questi si concentrano nei cantoni alpini , in particolare, in Vallese, in Ticino e nei Grigioni, dove si registrano i maggiori effetti, negativi o positivi che siano, di questa legge. Ma quali sono stati fin qui questi effetti? Da
Evoluzione degli indici degli investimenti nella costruzione e della popolazione residente in Ticino dal 2012.
un blocco delle costruzioni in materia di residenze secondarie ci si attendeva, quale reazione immediata, un aumento dei prezzi di questo tipo di abitazioni. In pratica si è registrato il movimento contrario. Ad eccezione, forse, delle destinazioni turistiche più conosciute, i prezzi delle residenze secondarie sono diminuiti. Questo perché la domanda, in particolare quella degli stranieri, è andata calando, di anno in anno, dopo il 2012. Sono due i fattori principali del calo. Il primo è dato dal rincaro del franco che ha fatto salire i prezzi delle residenze secondarie a livelli non più interessanti per molti stranieri. Il secondo fattore è dato dal fatto che oggi anche l’investitore svizzero non dimostra più interesse per l’acquisto di una residenza secondaria. Il blocco della costruzione determina un invecchiamento, abbastanza rapido purtroppo, dello stock di residenze secondarie offerte sul mercato. Sono costruzioni che contano già venti anni e più. La residenza secondaria di
seconda mano è così destinata a restare sul mercato per lunghi periodi di tempo e trova un acquirente solo se chi vende è disposto a scendere col prezzo. Un altro effetto negativo che si paventava, al momento dell’approvazione del nuovo articolo costituzionale, era il calo delle commesse per l’edilizia residenziale nei tre cantoni alpini già ricordati. In effetti, dopo il 2012, c’è stato, almeno in termini relativi, un rallentamento nell’evoluzione della cifra d’affari di questo settore. Nel grafico, che riproduciamo qui a lato, si può osservare che l’indice degli investimenti nelle abitazioni, in Ticino, è evoluto più lentamente del corrispondente indice nazionale. Di conseguenza, dopo il 2012, c’è stato un colpo di freno nella costruzione di abitazioni in Ticino, rispetto a quanto invece si è investito in Svizzera. Il grafico mostra anche, sempre con un indice, che, dopo il 2012, gli investimenti in abitazioni in Ticino sono cresciuti allo stesso ritmo della popolazione. Il mercato delle abitazioni
ticinese è quindi tornato a una situazione normale nella quale la domanda cresce in parallelo al crescere della popolazione residente e non è probabilmente più influenzata dalla componente di investitori esterni al cantone, alla caccia di una residenza secondaria in Ticino. Il ristagno si nota anche nelle transazioni immobiliari che, dal 2012, sono diminuite in numero e non sono cresciute in valore. Gli effetti positivi della legge Weber (riduzione della concorrenza rispetto alle abitazioni a pigione sostenibile, migliore utilizzazione dei cosiddetti «letti freddi», riduzione dell’impatto negativo sul paesaggio, calmieramento generale dei prezzi delle abitazioni, ecc...) non sono ancora stati quantificati. Nel rapporto del maggio 2017 sulle modifiche del Piano Direttore, il Dipartimento responsabile dimostra però che la situazione in Ticino – in materia di effetti negativi delle residenze secondarie – è forse meno preoccupante che nei cantoni alpini confinanti.
pulizie e guidava l’autobus ma i soldi non bastavano mai, lavoretti qui e là, la cameriera soprattutto, anche se ti toccano tutti e ti dicono cose spiacevoli. Ha sempre avuto voglia di impegnarsi nella politica, la Ocasio-Cortez: aveva lavorato brevemente nell’ufficio di Edward Kennedy a Boston, poi nella campagna di Barack Obama ma è con Bernie Sanders che ha cominciato a capire che qualcosa si poteva fare, conquistare per davvero. Un formulario compilato da suo fratello per caso, e l’avventura è iniziata, prima in associazioni legate a Sanders e poi in quella ricerca da talent scout di volti nuovi da candidare al Congresso, volti femminili, perché questa è anche la stagione del riscatto delle donne, e volti working class, perché questa è la stagione del popolo contro le élite. E il Partito democratico deve scrollarsi di dosso il passato, vuole innamorarsi di nuovo, anche di idee che di nuovo non hanno nulla, non importa: il successo di Sanders è nato proprio così, radica-
lismo anni Settanta che diventa pop. La Ocasio-Cortez ha fatto un video in cui la si vede nel suo appartamento, mentre aspetta la metro, mentre parla con giovani, anziani, donne, bambini, e intanto una voce sotto dice: non tutti i democratici sono uguali, ci sono quelli freddi e ricchi e ci siamo noi, che veniamo da famiglie disagiate, che non prendiamo soldi da Wall Street, che non beviamo l’acqua che bevono loro, non respiriamo nemmeno la loro stessa aria, che ci conquistiamo spazio studiando e lavorando, che vogliamo la sanità gratis per tutti, le rette azzerate, il lavoro garantito, la riforma della giustizia. Il video è diventato virale e la strada verso la vittoria è diventata più grande, ogni giorno di più, così come l’elettorato si è, come si dice, allargato, chi prima non votava ha votato, e ha votato per la Ocasio-Cortez. Molti dicono che lei diventerà la più giovane deputata donna del Congresso alle elezioni di novembre, le aspettative sono altissime, e Sanders l’ha già
reclutata per esportarla in giro per l’America, negli Stati repubblicani, dove lei parla, sorride, anche se ancora le sembra che gli altri possano sentire nitidamente il cuore che le batte in gola. Di fronte alla scelta di come vuole essere, il Partito democratico si è fatto contagiare dall’entusiasmo della Ocasio-Cortez, anche se dice cose estreme, radicalissime, le stesse che nel 2016 convinsero i democratici ad affidarsi alla moderazione, trita ma rassicurante, di Hillary Clinton. Dicono che con la Ocasio-Cortez, e la sua alleanza con Sanders e la pasionaria anti Wall Street Elizabeth Warren, gli Stati Uniti impareranno a conoscere il socialismo, che nella sua versione americana è sempre stato molto leggero rispetto a quello europeo, ma che ora diventa più duro, più esigente, più sfrontato. Se questa sia la via per battere il radicale in chief, il presidente Trump, ancora è presto per dirlo, ma pare che pochi se ne preoccupino: è estate e siamo innamorati, non disturbateci.
trovato nelle sue pagine espressione di vera, sentita poesia, robustezza e delicatezza…». Eletto in Consiglio di Stato nel 1940, assunse la direzione del Dipartimento della pubblica educazione, che dovette poi abbandonare, con «grande rincrescimento», nel 1947, vittima dell’alleanza radico-socialista, ovvero del patto che i due liberali (Brenno Galli e Nello Celio) e il socialista Guglielmo Canevascini avevano stretto alle sue spalle. Fu una manovra accolta da Lepori e dal suo partito come un’umiliazione, giacché non sembrava che il lavoro svolto durante la guerra fosse stato infruttuoso. Anzi, Lepori aveva profuso molte energie e ottenuto risultati tangibili soprattutto nel campo della salvaguardia del «volto italico» del cantone, strappando a Berna, con le «nuove rivendicazioni», un sostanzioso aumento del sussidio destinato alla difesa dell’italianità e dei monumenti storici e artistici.
L’ascesa a consigliere federale nel 1954 fu interpretata come un atto riparatore. Purtroppo la sua permanenza al Dipartimento a lui affidato (Poste e ferrovie) fu breve: un’emorragia cerebrale lo costrinse alle dimissioni già nel 1959, interrompendo un’attività che all’opinione pubblica era parsa promettente. Per Lepori la politica era innanzitutto missione, un impegno sorretto da un afflato etico che traeva la sua forza da una fede cattolica vissuta come un sacerdozio al servizio della comunità. Fin dall’esordio considerò il Partito conservatore-democratico come l’alveo naturale in cui riversare la sua passione. Un partito che però andava rigenerato, troppi erano i difetti: «mancanza di organizzazione, onde la lotta politica invece di essere di convinzione e di educazione che non cessa nemmeno per un giorno, è lotta di pressione e di agitazione di pochi giorni; mancanza anche di serenità e di serietà, per cui sistemi odiosi sono messi in azione per
fare, non proseliti, ma schede». Occuparsi di Lepori, a mezzo secolo dalla scomparsa (6 settembre 1968), vuol dire soffermarsi su alcune fasi cruciali del Novecento: gli anni ’20 e ’30, con l’affermazione dei regimi totalitari; il secondo conflitto mondiale, la guerra fredda, la ripresa economica che schiuse anche al piccolo, asfittico Ticino nuovi orizzonti. Nel 1960, Lepori stese per la rivista «Svizzera italiana» un testo che possiamo considerare il suo testamento: «Bilancio di una generazione politica». Sono pagine meditate e a tratti commosse, rare nella prosa di un politico, che permettono di penetrare nella sfera morale intima di un magistrato che non amava, come molti suoi colleghi, le luci della ribalta. È un articolo – ripubblicato nel volume Scritti di Giuseppe Lepori, Dadò editore, 1978 – che meriterebbe senz’altro di figurare in un prossimo «manuale di educazione civica» destinato alle scuole.
Affari Esteri di Paola Peduzzi La riscossa socialista Alexandria Ocasio-Cortez è il nuovo volto del Partito democratico americano, ha ventotto anni, è di origini portoricane, un viso solare che ha messo su tutti i volantini, le spillette e i manifesti elettorali, perché questa sono io e devi guardarmi, vive in un appartamentino nel Bronx e nelle interviste dice che sta ancora realizzando quel che le è accaduto, «psicologicamente, emotivamente e logisticamente», aggiunge ridendo, perché fino a poco tempo faceva la cameriera e adesso la fermano per strada, la abbracciano, si fanno i selfie con lei, e a ognuno lei vuole restituire un sorriso. A fine giugno la Ocasio-Cortez ha vinto le primarie democratiche nel 14esimo distretto di New York, battendo Joe Crowley, che era stato confermato al Congresso per dieci mandati: la sua immagine, nella notte elettorale, sorpresa e felicità con la mascella crollata, ha fatto il giro del mondo. Come prima lo avevano fatto le sue scarpe: dicono che ho vinto per ragioni demografiche, ha twittato la
Ocasio-Cortez, ma «1. è falso», non ho vinto soltanto tra i millennial, «2. ecco il primo paio di scarpe della mia campagna, ho bussato alle porte fino a che l’acqua della pioggia non mi è entrata dalle suole. Abbiate rispetto per questa attività frenetica. Abbiamo vinto perché abbiamo stracciato la concorrenza. Punto». Le scarpe con il buco sono diventate il simbolo della Ocasio-Cortez, della sua energia, della sua battaglia iniziata dal basso, altro che establishment, altro che salotti freschi a chiacchierare e raccogliere fondi con i pezzi grossi del partito. Il format è quello di Bernie Sanders, l’outsider del 2016 cui ancora oggi si guarda con rimpianto – ah lui sì che l’avrebbe battuto, Donald Trump – ma in più c’è la forza di una storia bella e giovane da raccontare, il sogno americano nella sua forma più smagliante. Il padre morto di cancro ai polmoni, l’ultima sua frase «rendimi orgoglioso», gli studi a Boston, tra mille sacrifici, il ritorno a casa per aiutare la madre, che faceva le
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Giuseppe Lepori, il politico-poeta «Dire sempre la verità a sé ed agli altri»: se Giuseppe (Peppo) Lepori, deceduto cinquant’anni fa a sessantasei anni, fosse stato Papa e non consigliere federale, molto probabilmente avrebbe elevato questa massima a suo motto personale, principio e guida della sua azione politica. Nato a Massagno nel 1902 da una famiglia di origini capriaschesi, Lepori fu un politico anomalo. Certo, anche lui, come parecchi suoi colleghi, intraprese lo studio del diritto (laureandosi nel 1925 a Friburgo); anche lui ricalcò, passo dopo passo, le orme dei predestinati alla carriera, un itinerario che prevedeva l’affiliazione alle società studentesche, il noviziato nel giornalismo politico (nel caso specifico, prima nel neonato «Giornale del Popolo» di don Leber, poi al «Popolo e Libertà», l’organo ufficiale del Partito conservatore), per poi salire i tre gradini classici: municipio, Gran consiglio, Consiglio di Stato. Tanti impegni, tante cariche one-
rose (tra cui la presidenza del partito), meno una, ritenuta di solito fondamentale per completare l’armoriale: l’elezione a deputato in una delle due Camere federali. E questo è rimasto un fatto unico nei percorsi di accesso all’esecutivo federale, prima e dopo Lepori. Si diceva dell’anomalia. Fin dagli anni del liceo, e forse anche prima, Lepori avrebbe voluto dedicarsi alle «belle lettere», come usava dire allora. A lungo rimase indeciso se avviarsi verso gli studi di letteratura o di giurisprudenza. Lo seduce soprattutto la poesia, come testimonia la sua assidua collaborazione alla rivista «Pagine nostre», fondata all’indomani della grande guerra. Ma tutta la sua prosa, anche quella spiccatamente politica (almeno nelle intenzioni), rivela un interesse mai spento per autori antichi e moderni. Un florilegio di versi uscirà in volume nel 1928 sotto il titolo Le canzoni del Fauro, raccolta che Francesco Chiesa saluterà con favore: «ho
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Cultura e Spettacoli Arte e migranti Allo Spazio Elle di Locarno una mostra ci invita a riflettere sulla condizione di migrante pagina 28
L’icona Lindsay Kemp Ispirò icone come David Bowie e Kate Bush: è recentemente scomparso a ottant’anni l’artista britannico Lindsay Kemp
Orrendo horror Il genere horror sta vivendo un vero e proprio revival, nelle nostre sale è ora arrivato Hereditary-Le radici del male pagina 30
Christo, mastaba and the city
Incontri A colloquio con il curatore artistico svizzero Hans Ulrich Obrist, che ha fortemente voluto
la più recente opera d’arte di Christo nella capitale britannica
pagina 29
Ada Cattaneo Londra. Hyde Park. Un luogo splendido. La Serpentine Gallery si trova proprio lì: una preziosa galleria d’arte, racchiusa nel parco e affacciata sul lago artificiale Serpentine, da cui il museo prende nome. Il bacino ha un andamento sinuoso, che somiglia al corpo di un serpente, ed è proprio su queste acque che galleggia, ancora fino al 23 settembre, l’ultima opera dell’artista Christo. A raccontare questa impresa è lo zurighese Hans Ulrich Obrist, direttore artistico della galleria e fra i curatori d’arte contemporanea più influenti degli ultimi decenni.
Dalla memoria di Goethe Pubblicazioni È uscita per i tipi di Einaudi
un’autobiografia del sommo poeta tedesco
Signor Obrist, ci racconta il suo primo incontro con Christo?
Luigi Forte Nelle pagine autobiografiche di Johann Wolfgang Goethe confluiscono non solo le esperienze e le riflessioni di un soggetto, ma l’intero mondo che lo circonda. Individuo e coscienza storica sono indissolubili, giacché si tratta «di rappresentare l’essere umano all’interno del suo tempo, com’egli riesca, a partire da esso, a farsi un’idea del mondo». Leggiamo queste parole nella premessa al suo splendido libro Dalla mia vita. Poesia e verità proposto dall’editore Einaudi nell’ottima versione di Enrico Ganni che ha curato anche l’ampio apparato di note e la scelta delle illustrazioni di pittori francofortesi dell’epoca a cui dedica un breve, interessante saggio. Come suggerisce il titolo, il modo di pensare al passato e di ricostruire fatti e sensazioni non è solo legato alla memoria, ma anche al decorso del tempo, agli umori e al gioco dell’immaginazione, e dunque alla facoltà poetica. Certo Goethe percepì sempre di più, col passare degli anni, la sua storicità come testimoniano le opere autobiografiche, dal Viaggio in Italia alle Conversazioni con Johann-Peter Eckermann che lasciano imperituro ricordo di colui che fra gli artisti dell’epoca era già un dio in terra. Ma in Poesia e verità, elaborato a partire dal 1809 e concluso provvisoriamente nel 1831, lo scrittore guarda alle proprie origini ricostruendo in modo affettuoso e disinvolto gli anni dell’infanzia e della giovinezza, fino alla partenza per Weimar, a ventisei anni, nel novembre del 1775. Fra gustosi aneddoti e sentenziose riflessioni spunta l’immagine di un biografo gigione e attore, specie quando l’autocontrollo viene meno e si sprigiona un’inesauribile energia giovanile. Il suo itinerario culturale si snoda fra letteratura, musica e teatro, arti figurative e scienze naturali, filosofia e religione, retorica e poesia, antichi e moderni. Scorre via un’epoca di eventi traumatici nelle sue pagine, ma al tempo stesso si spalanca una galleria di personaggi e figure illuminate: da Lessing a Klopstock, da Winckelmann a Kleist e Lavater, Lenz e Herder, per non parlare di Kant e dei filosofi antichi. È in quest’atmosfera che cresce il giovane Goethe, curioso e ricettivo, con una memoria prodigiosa e fin da ragazzo ineguagliabile nella retorica e nelle composizioni. Leggeva Ovidio e gli scrittori francesi, amava Shakespeare e il teatro in genere, conosceva lingue moderne, tra cui l’italiano, ed era
un mago nel latino; studiava l’ebraico per poter leggere la Bibbia in originale, prendeva lezioni di musica, disegno, calligrafia. S’interessava alla pittura, e all’occorrenza sapeva pattinare, danzare e tirare di scherma. Questo viaggio attraverso il mistero del genio nella vicenda quotidiana resta ancora oggi una lettura coinvolgente perché aperta alla curiosità verso il mondo, quello privato e familiare dello scrittore, ma soprattutto quello immenso della cultura e della storia del tempo. Goethe è una fonte inesauribile, inquieto e aperto alle esperienze più curiose, anche nella sua città, a Francoforte, dove scopre l’angustia e la sporcizia del ghetto ebraico, s’aggira nel mondo degli artigiani, si smarrisce nelle grandi sale del municipio, partecipa a cerimonie dal sapore antico come l’Udienza dei pifferai o, più grandicello, non disdegna di frequentare bettole con amici talvolta casuali e di godersi un giro sui barconi del fiume Meno. Sulla pagina anche le esperienze più banali diventano racconto sanguigno e la memoria parla di un eterno presente in cui il giovane scandaglia la realtà in continua incalzante tensione. Studia in molte città il futuro avvocato: da Lipsia a Strasburgo, e altre frequenta per interesse artistico, come Dresda, attratto dalla pinacoteca con la Madonna Sistina di Raffaello, o Mannheim con la sua affascinante raccolta di antichità. E poi Wetzlar, dove fa nuove amicizie letterarie, e Darmstadt, in cui legge alcuni suoi lavori a un gruppo di persone assai colte, fra cui consiglieri segreti, ministri e professori. Molte pagine di questo libro sono un proprio e vero resoconto della letteratura coeva, in cui si misurano simpatie e avversioni del suo autore – come nel caso dello Sturm und Drang –, il quale sogna per sé un futuro radioso con «l’affascinante forma della corona d’alloro intrecciata per ornare la testa del poeta». Stravede per Herder il giovane Goethe e mal sopporta la «partigiana disonestà» di Voltaire. Ci fa conoscere un Kleist che passeggiando va a caccia di immagini e un Lessing alla ricerca di qualche benefattore per soddisfare la sua vita di piaceri. Insomma, anche i grandi emergono attraverso il filtro della quotidianità e paiono più veri e umani. Allo stesso modo l’autore ci introduce fra i membri della sua famiglia e gli amori giovanili. A cominciare dal padre Johann Kaspar, dottore in legge e consigliere imperiale, figura
È avvenuto nel 2016, durante la mia visita ai Floating Piers sul Lago d’Iseo: lì abbiamo passato una giornata insieme. Si è trattato di un’occasione magica, in cui lui ha permesso al pubblico di camminare sull’acqua. Io ero accompagnato dal presidente del consiglio d’amministrazione delle Serpentine Galleries, Michael Bloomberg, già sindaco di New York e grande sostenitore del lavoro di Christo. Era stato proprio lui a rendere possibile la realizzazione dell’opera The Gates a Central Park nel 2005. In seguito abbiamo invitato l’artista qui a Londra per la nostra «maratona», ovvero il nostro annuale festival del sapere, durante il quale riuniamo tutte le energie attorno a un tema, coinvolgendo artisti, architetti e molti altri intellettuali. Il tema del 2016 era il miracolo e, ovviamente, Christo non poteva mancare. Come siete arrivati all’idea della London Mastaba?
Johann Wolfgang Goethe in un ritratto di Georg Melchior Kraus (1775/76). (Weimar, Stiftung Weimarer Klassik)
centrale di quegli anni. Fu lui, natura ipocondriaca e dall’indole didascalica, il suo primo maestro; lui lo indirizza, non senza resistenze da parte di un figlio dalle «variegate eccentricità», alla giurisprudenza e lo stimola, a più riprese, ad andare in Italia, vista la quale – asseriva – «tutto il resto era scialbo». La madre con i suoi interessi religiosi resta un po’ sullo sfondo, mentre in primo piano risalta la sorella Cornelia con cui lo scrittore ebbe un profondo rapporto. Con lei condivide non pochi momenti di confusione e smarrimento e lo stupore al risveglio di istinti sensuali ammantati di bisogni spirituali. Era una donna non bella, ma di grande fascino umano e intellettuale, sempre accanto al fratello nei momenti di crisi sentimentale. Sono molte le ragazze che turbano il giovane studente in quegli anni vivaci e turbolenti: da Gretchen a Friederike,
da Charlotte Buff a Lili Schönemann, e le ritroveremo qua e là fra le sue poesie, perché l’amore, a cui questo libro riserva pagine deliziose, scopre la sua più alta espressione nel gesto poetico. Anche quando finisce in tragedia come nelle pagine del Werther scritto in quattro settimane e diventato da subito un libro cult oggetto di imitazioni e parodie. C’era l’intera cultura dell’epoca in quelle pagine spesso enfatiche ed esaltate: dal sentimento della natura e dell’amicizia all’interiorità pietistica e a una nuova idea di soggetto giovanile e borghese insofferente di vincoli e divieti. Il successo fu straordinario, come racconta Goethe che qui ricostruisce le condizioni psicologiche e umane in cui fu scritto il libro, ricordando la fonte della sua ispirazione: il reale suicidio per amore nel 1772 del giovane filosofo Jerusalem da lui conosciuto a Wetzlar. Quel libro fece del suo autore un ido-
lo letterario mettendo in crisi un’idea di felicità garantita da virtù o ragione. Lui stesso conclude quella fase della propria vita racchiusa così felicemente in Poesia e verità separandosi dal suo grande amore Lili, che scopre di aver ormai perduta. Lo attende un futuro glorioso alla corte del duca Karl August di Weimar. E a chi cerca di trattenerlo ricorda le parole del protagonista del suo dramma Egmont: «I solari cavalli del tempo trascinano via con sé il lieve carro del nostro destino, e a noi non resta che tenere salde le briglie con dignitoso ardimento». Bibliografia
Johann Wolfgang Goethe, Dalla mia vita. Poesia e verità, a cura di Enrico Ganni, introduzione di Klaus-Detlev Müller, Giulio Einaudi editore, Torino, p. 758.
In questa occasione gli ho fatto notare che non aveva mai realizzato una grande opera a Londra: mentre camminavamo per Hyde Park, abbiamo cominciato a riflettere insieme e lui si è soffermato su una delle opere che avrebbe da sempre voluto realizzare. Ciò è avvenuto perché sono solito chiedere agli artisti di parlarmi dei loro progetti non ancora compiuti. Ho imparato a usare questo metodo da quel grande artista che è stato Alighieri Boetti: quando lo incontrai per la prima volta mi disse che si dovrebbe sempre parlare con gli artisti dei progetti che non hanno mai potuto realizzare. Opere troppo grandi o troppo piccole per prendere vita, censurate o semplicemente dimenticate. Da allora ho adottato questa domanda come punto fisso della mia metodologia: ogni volta che invitiamo un artista qui alle Serpentine Galleries, chiediamo quali siano i suoi sogni irrealizzati, le opere che non ha ancora avuto modo di creare. Christo, alla mia domanda, ha risposto che c’erano due opere che aveva in sospeso: una era per un lago e l’altra per il deserto. La prima era un’idea nata insieme a sua moglie Jean-Claude, nel 1966: una struttura galleggiante che doveva essere destinata al Lago Michigan. Parlandone insieme, attraverso i sentieri del parco, abbiamo deciso che sarebbe stata quella destinata a Londra. La sua visione del curatore è quindi quella di colui che facilita il lavoro dell’artista e che ne permette la piena espressione.
Credo che il ruolo principale del curatore sia fare mostre. Ma credo anche che dobbiamo contribuire a produrre realtà, in senso concreto: questo motiva
Hans Ulrich Obrist, direttore artistico delle Serpentine Galleries a Londra. (Keystone)
la mia domanda relativa ai progetti che gli artisti vorrebbero realizzare. Il nostro sapere sui progetti mai attuati dagli architetti è molto ampio, ma sappiamo pochissimo su ciò che gli artisti visivi non hanno trasformato in realtà, anche se si tratta di personaggi conosciuti. Per questa ragione, la considero una domanda fertile. Con Christo, in particolare, tutto è basato su un grande lavoro di collaborazione tra più soggetti: già in partenza egli può contare su un suo team assolutamente collaudato; poi Michael Bloomberg e Bloomberg Philantropies hanno reso possibile il progetto dal punto di vista economico; e, infine, il sindaco di Londra ha dato un appoggio essenziale. Per realizzare un progetto simile è stato necessario mettere in campo un gran numero di forze diverse e il curatore si assicura che esse funzionino di comune accordo.
In questi mesi, il visitatore che arriva a Hyde Park, trova di fronte a sé un paesaggio alquanto diverso dal solito. Può descriverci come si presenta la London Mastaba?
Fra le due Serpentine Galleries – la galleria storica e il nuovo edificio di Zaha Hadid – c’è un ponte di collegamento, sullo sfondo del quale il visitatore assiste a un’apparizione. Una struttura costituita da barili metallici variopinti che, a prima vista, sembra andare contro tutte le leggi gravitazionali: galleggia sull’acqua nonostante la sua immensa mole. Non si tratta di una piramide, ma di una mastaba, una forma tipica delle architetture delle antiche civiltà mesopotamiche. Emerge qui molto forte la formazione che Christo ha avuto anche come architetto: un aspetto magico del suo lavoro,
proprio come avrebbe voluto Vasari, è la continuità fra arte e architettura, senza alcuna separazione fra le due discipline. L’opera di Londra è quindi paragonabile, per scala, a un edificio di venti metri di altezza, ma è dipinta con colori che si riflettono nell’acqua e che cambiano al variare della luce del giorno. Al crepuscolo, per esempio, si spengono i toni del rosso e il riflesso nel lago sembra trasformarsi in oro. Ci si può avvicinare alla struttura sia nuotando, che a bordo delle piccole barche a remi che navigano sul bacino della Serpentine.
Alle Serpentine Galleries, nel frattempo, si può visitare la mostra Christo and Jeanne-Claude: Barrels and The Mastaba 1958–2018.
Insieme a Christo abbiamo pensato che sarebbe stato bello, per i visitatori, avere un approfondimento sulle sue pratiche artistiche al momento della visita alla Mastaba: i barili di petrolio che la compongono hanno, infatti, giocato un ruolo determinante soprattutto nei primi anni della sua attività, anche prima che iniziassero gli «impacchettamenti». Christo non vuole che si dedichino retrospettive al suo lavoro, perché ciò che gli interessa è il futuro: ha 83 anni, ma è sicuramente uno dei più giovani artisti con cui abbiamo lavorato, per il suo livello di energia, di ottimismo e di azione. Quindi non abbiamo voluto fare una mostra sul passato, ma abbiamo voluto guardare alle prossime sfide che si è posto. Come dicevo, infatti, Christo ha un altro progetto irrealizzato, da ambientare nel deserto: si tratta di una versione enorme della Mastaba, destinata ad Abu Dhabi, a cui lui e la moglie hanno lavorato sin dagli anni
Sessanta. Sarebbe la più grande scultura al mondo, composta da ben 410’000 barili. Quindi la mostra racconta molto di questo nuovo traguardo.
Quali opere sono in mostra?
Ho voluto dedicare molto spazio agli straordinari disegni dell’artista: forse è importante ricordare che Christo li realizza con un ritmo molto intenso fino al giorno in cui viene inaugurata l’opera che essi raffigurano. Al momento dell’inaugurazione conclude quindi la serie e in seguito non realizza più opere con quel soggetto. Ora che la Mastaba di Londra è stata realizzata, si è interrotta la produzione dei relativi disegni, che sono però esposti in mostra. Ci sono anche i dipinti storici sulle forme della Mastaba, quelli per il lago di Michigan e i progetti per l’opera di Abu Dhabi.
Per concludere l’intervista, vorrei approfittare della sua profonda conoscenza del sistema dell’arte per porle una domanda più generale sul lavoro di Christo. Come spiega la sua capacità di attrarre un numero di visitatori che va ben oltre il consueto pubblico del contemporaneo, tanto da trasformare le sue opere in un fenomeno sociale?
Questa è una domanda interessante: come dice lei, penso che opere come The Floating Piers, i Gates o l’intervento sul Reichstag a Berlino siano molto più che l’oggetto in sé, creato dall’artista. Credo che siano la scintilla per conversazioni, condivisioni, incontri fra persone. Un vero catalizzatore. Solitamente, però, in questi casi un artista guadagna in termini di popolarità, ma perde la stima da parte dei colleghi. Invece questo non è mai il caso di
Christo, che è apprezzato dal pubblico estraneo al mondo dell’arte, ma continua ad avere grande ascendente anche sugli altri artisti. Prima di realizzare la mostra in corso alla Serpentine Gallery ho parlato di lui con molti artisti: lo svizzero Urs Fischer, per esempio, è molto influenzato da Christo e lo adora per la sua capacità di realizzare opere che hanno un carattere scultoreo senza precedenti; Tino Sehgal, il cui lavoro è basato sulle relazioni, ritiene Christo un artista fondamentale per la sua capacità di creare aggregazione fra le persone. Continua quindi a influenzare il mondo dell’arte, ma al contempo anche un pubblico più vasto. Io ritengo questo aspetto molto importante, perché sono convinto che sia necessario uscire dal museo. È fondamentale portare l’arte verso la gente: dobbiamo eliminare gli ostacoli fra arte e pubblico. Specialmente verso coloro che non frequentano i musei. Solo un esempio: l’anno scorso un tassista mi ha portato qui al museo e, dopo avere scoperto che ci lavoravo, mi ha ringraziato perché sua figlia ha visitato la Serpentine Gallery e, dopo essere rimasta affascinata dalle forme delle nostre gallerie, ha deciso di studiare architettura. Mi ha ringraziato anche perché l’ingresso era gratuito: questo lo ha spinto ad entrare in un luogo che credeva inaccessibile. Credo che questo sia un elemento fondamentale per non escludere nessuno dall’esperienza artistica. Ho raccontato l’episodio del tassista solo per esemplificare quanto sia essenziale offrire un’arte che sia per tutti: l’arte di Christo è fuori dal museo, visibile da tutti, nessuno escluso. Da queste opere ognuno può essere trasformato.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Cultura e Spettacoli Arte e migranti Allo Spazio Elle di Locarno una mostra ci invita a riflettere sulla condizione di migrante pagina 28
L’icona Lindsay Kemp Ispirò icone come David Bowie e Kate Bush: è recentemente scomparso a ottant’anni l’artista britannico Lindsay Kemp
Orrendo horror Il genere horror sta vivendo un vero e proprio revival, nelle nostre sale è ora arrivato Hereditary-Le radici del male pagina 30
Christo, mastaba and the city
Incontri A colloquio con il curatore artistico svizzero Hans Ulrich Obrist, che ha fortemente voluto
la più recente opera d’arte di Christo nella capitale britannica
pagina 29
Ada Cattaneo Londra. Hyde Park. Un luogo splendido. La Serpentine Gallery si trova proprio lì: una preziosa galleria d’arte, racchiusa nel parco e affacciata sul lago artificiale Serpentine, da cui il museo prende nome. Il bacino ha un andamento sinuoso, che somiglia al corpo di un serpente, ed è proprio su queste acque che galleggia, ancora fino al 23 settembre, l’ultima opera dell’artista Christo. A raccontare questa impresa è lo zurighese Hans Ulrich Obrist, direttore artistico della galleria e fra i curatori d’arte contemporanea più influenti degli ultimi decenni.
Dalla memoria di Goethe Pubblicazioni È uscita per i tipi di Einaudi
un’autobiografia del sommo poeta tedesco
Signor Obrist, ci racconta il suo primo incontro con Christo?
Luigi Forte Nelle pagine autobiografiche di Johann Wolfgang Goethe confluiscono non solo le esperienze e le riflessioni di un soggetto, ma l’intero mondo che lo circonda. Individuo e coscienza storica sono indissolubili, giacché si tratta «di rappresentare l’essere umano all’interno del suo tempo, com’egli riesca, a partire da esso, a farsi un’idea del mondo». Leggiamo queste parole nella premessa al suo splendido libro Dalla mia vita. Poesia e verità proposto dall’editore Einaudi nell’ottima versione di Enrico Ganni che ha curato anche l’ampio apparato di note e la scelta delle illustrazioni di pittori francofortesi dell’epoca a cui dedica un breve, interessante saggio. Come suggerisce il titolo, il modo di pensare al passato e di ricostruire fatti e sensazioni non è solo legato alla memoria, ma anche al decorso del tempo, agli umori e al gioco dell’immaginazione, e dunque alla facoltà poetica. Certo Goethe percepì sempre di più, col passare degli anni, la sua storicità come testimoniano le opere autobiografiche, dal Viaggio in Italia alle Conversazioni con Johann-Peter Eckermann che lasciano imperituro ricordo di colui che fra gli artisti dell’epoca era già un dio in terra. Ma in Poesia e verità, elaborato a partire dal 1809 e concluso provvisoriamente nel 1831, lo scrittore guarda alle proprie origini ricostruendo in modo affettuoso e disinvolto gli anni dell’infanzia e della giovinezza, fino alla partenza per Weimar, a ventisei anni, nel novembre del 1775. Fra gustosi aneddoti e sentenziose riflessioni spunta l’immagine di un biografo gigione e attore, specie quando l’autocontrollo viene meno e si sprigiona un’inesauribile energia giovanile. Il suo itinerario culturale si snoda fra letteratura, musica e teatro, arti figurative e scienze naturali, filosofia e religione, retorica e poesia, antichi e moderni. Scorre via un’epoca di eventi traumatici nelle sue pagine, ma al tempo stesso si spalanca una galleria di personaggi e figure illuminate: da Lessing a Klopstock, da Winckelmann a Kleist e Lavater, Lenz e Herder, per non parlare di Kant e dei filosofi antichi. È in quest’atmosfera che cresce il giovane Goethe, curioso e ricettivo, con una memoria prodigiosa e fin da ragazzo ineguagliabile nella retorica e nelle composizioni. Leggeva Ovidio e gli scrittori francesi, amava Shakespeare e il teatro in genere, conosceva lingue moderne, tra cui l’italiano, ed era
un mago nel latino; studiava l’ebraico per poter leggere la Bibbia in originale, prendeva lezioni di musica, disegno, calligrafia. S’interessava alla pittura, e all’occorrenza sapeva pattinare, danzare e tirare di scherma. Questo viaggio attraverso il mistero del genio nella vicenda quotidiana resta ancora oggi una lettura coinvolgente perché aperta alla curiosità verso il mondo, quello privato e familiare dello scrittore, ma soprattutto quello immenso della cultura e della storia del tempo. Goethe è una fonte inesauribile, inquieto e aperto alle esperienze più curiose, anche nella sua città, a Francoforte, dove scopre l’angustia e la sporcizia del ghetto ebraico, s’aggira nel mondo degli artigiani, si smarrisce nelle grandi sale del municipio, partecipa a cerimonie dal sapore antico come l’Udienza dei pifferai o, più grandicello, non disdegna di frequentare bettole con amici talvolta casuali e di godersi un giro sui barconi del fiume Meno. Sulla pagina anche le esperienze più banali diventano racconto sanguigno e la memoria parla di un eterno presente in cui il giovane scandaglia la realtà in continua incalzante tensione. Studia in molte città il futuro avvocato: da Lipsia a Strasburgo, e altre frequenta per interesse artistico, come Dresda, attratto dalla pinacoteca con la Madonna Sistina di Raffaello, o Mannheim con la sua affascinante raccolta di antichità. E poi Wetzlar, dove fa nuove amicizie letterarie, e Darmstadt, in cui legge alcuni suoi lavori a un gruppo di persone assai colte, fra cui consiglieri segreti, ministri e professori. Molte pagine di questo libro sono un proprio e vero resoconto della letteratura coeva, in cui si misurano simpatie e avversioni del suo autore – come nel caso dello Sturm und Drang –, il quale sogna per sé un futuro radioso con «l’affascinante forma della corona d’alloro intrecciata per ornare la testa del poeta». Stravede per Herder il giovane Goethe e mal sopporta la «partigiana disonestà» di Voltaire. Ci fa conoscere un Kleist che passeggiando va a caccia di immagini e un Lessing alla ricerca di qualche benefattore per soddisfare la sua vita di piaceri. Insomma, anche i grandi emergono attraverso il filtro della quotidianità e paiono più veri e umani. Allo stesso modo l’autore ci introduce fra i membri della sua famiglia e gli amori giovanili. A cominciare dal padre Johann Kaspar, dottore in legge e consigliere imperiale, figura
È avvenuto nel 2016, durante la mia visita ai Floating Piers sul Lago d’Iseo: lì abbiamo passato una giornata insieme. Si è trattato di un’occasione magica, in cui lui ha permesso al pubblico di camminare sull’acqua. Io ero accompagnato dal presidente del consiglio d’amministrazione delle Serpentine Galleries, Michael Bloomberg, già sindaco di New York e grande sostenitore del lavoro di Christo. Era stato proprio lui a rendere possibile la realizzazione dell’opera The Gates a Central Park nel 2005. In seguito abbiamo invitato l’artista qui a Londra per la nostra «maratona», ovvero il nostro annuale festival del sapere, durante il quale riuniamo tutte le energie attorno a un tema, coinvolgendo artisti, architetti e molti altri intellettuali. Il tema del 2016 era il miracolo e, ovviamente, Christo non poteva mancare. Come siete arrivati all’idea della London Mastaba?
Johann Wolfgang Goethe in un ritratto di Georg Melchior Kraus (1775/76). (Weimar, Stiftung Weimarer Klassik)
centrale di quegli anni. Fu lui, natura ipocondriaca e dall’indole didascalica, il suo primo maestro; lui lo indirizza, non senza resistenze da parte di un figlio dalle «variegate eccentricità», alla giurisprudenza e lo stimola, a più riprese, ad andare in Italia, vista la quale – asseriva – «tutto il resto era scialbo». La madre con i suoi interessi religiosi resta un po’ sullo sfondo, mentre in primo piano risalta la sorella Cornelia con cui lo scrittore ebbe un profondo rapporto. Con lei condivide non pochi momenti di confusione e smarrimento e lo stupore al risveglio di istinti sensuali ammantati di bisogni spirituali. Era una donna non bella, ma di grande fascino umano e intellettuale, sempre accanto al fratello nei momenti di crisi sentimentale. Sono molte le ragazze che turbano il giovane studente in quegli anni vivaci e turbolenti: da Gretchen a Friederike,
da Charlotte Buff a Lili Schönemann, e le ritroveremo qua e là fra le sue poesie, perché l’amore, a cui questo libro riserva pagine deliziose, scopre la sua più alta espressione nel gesto poetico. Anche quando finisce in tragedia come nelle pagine del Werther scritto in quattro settimane e diventato da subito un libro cult oggetto di imitazioni e parodie. C’era l’intera cultura dell’epoca in quelle pagine spesso enfatiche ed esaltate: dal sentimento della natura e dell’amicizia all’interiorità pietistica e a una nuova idea di soggetto giovanile e borghese insofferente di vincoli e divieti. Il successo fu straordinario, come racconta Goethe che qui ricostruisce le condizioni psicologiche e umane in cui fu scritto il libro, ricordando la fonte della sua ispirazione: il reale suicidio per amore nel 1772 del giovane filosofo Jerusalem da lui conosciuto a Wetzlar. Quel libro fece del suo autore un ido-
lo letterario mettendo in crisi un’idea di felicità garantita da virtù o ragione. Lui stesso conclude quella fase della propria vita racchiusa così felicemente in Poesia e verità separandosi dal suo grande amore Lili, che scopre di aver ormai perduta. Lo attende un futuro glorioso alla corte del duca Karl August di Weimar. E a chi cerca di trattenerlo ricorda le parole del protagonista del suo dramma Egmont: «I solari cavalli del tempo trascinano via con sé il lieve carro del nostro destino, e a noi non resta che tenere salde le briglie con dignitoso ardimento». Bibliografia
Johann Wolfgang Goethe, Dalla mia vita. Poesia e verità, a cura di Enrico Ganni, introduzione di Klaus-Detlev Müller, Giulio Einaudi editore, Torino, p. 758.
In questa occasione gli ho fatto notare che non aveva mai realizzato una grande opera a Londra: mentre camminavamo per Hyde Park, abbiamo cominciato a riflettere insieme e lui si è soffermato su una delle opere che avrebbe da sempre voluto realizzare. Ciò è avvenuto perché sono solito chiedere agli artisti di parlarmi dei loro progetti non ancora compiuti. Ho imparato a usare questo metodo da quel grande artista che è stato Alighieri Boetti: quando lo incontrai per la prima volta mi disse che si dovrebbe sempre parlare con gli artisti dei progetti che non hanno mai potuto realizzare. Opere troppo grandi o troppo piccole per prendere vita, censurate o semplicemente dimenticate. Da allora ho adottato questa domanda come punto fisso della mia metodologia: ogni volta che invitiamo un artista qui alle Serpentine Galleries, chiediamo quali siano i suoi sogni irrealizzati, le opere che non ha ancora avuto modo di creare. Christo, alla mia domanda, ha risposto che c’erano due opere che aveva in sospeso: una era per un lago e l’altra per il deserto. La prima era un’idea nata insieme a sua moglie Jean-Claude, nel 1966: una struttura galleggiante che doveva essere destinata al Lago Michigan. Parlandone insieme, attraverso i sentieri del parco, abbiamo deciso che sarebbe stata quella destinata a Londra. La sua visione del curatore è quindi quella di colui che facilita il lavoro dell’artista e che ne permette la piena espressione.
Credo che il ruolo principale del curatore sia fare mostre. Ma credo anche che dobbiamo contribuire a produrre realtà, in senso concreto: questo motiva
Hans Ulrich Obrist, direttore artistico delle Serpentine Galleries a Londra. (Keystone)
la mia domanda relativa ai progetti che gli artisti vorrebbero realizzare. Il nostro sapere sui progetti mai attuati dagli architetti è molto ampio, ma sappiamo pochissimo su ciò che gli artisti visivi non hanno trasformato in realtà, anche se si tratta di personaggi conosciuti. Per questa ragione, la considero una domanda fertile. Con Christo, in particolare, tutto è basato su un grande lavoro di collaborazione tra più soggetti: già in partenza egli può contare su un suo team assolutamente collaudato; poi Michael Bloomberg e Bloomberg Philantropies hanno reso possibile il progetto dal punto di vista economico; e, infine, il sindaco di Londra ha dato un appoggio essenziale. Per realizzare un progetto simile è stato necessario mettere in campo un gran numero di forze diverse e il curatore si assicura che esse funzionino di comune accordo.
In questi mesi, il visitatore che arriva a Hyde Park, trova di fronte a sé un paesaggio alquanto diverso dal solito. Può descriverci come si presenta la London Mastaba?
Fra le due Serpentine Galleries – la galleria storica e il nuovo edificio di Zaha Hadid – c’è un ponte di collegamento, sullo sfondo del quale il visitatore assiste a un’apparizione. Una struttura costituita da barili metallici variopinti che, a prima vista, sembra andare contro tutte le leggi gravitazionali: galleggia sull’acqua nonostante la sua immensa mole. Non si tratta di una piramide, ma di una mastaba, una forma tipica delle architetture delle antiche civiltà mesopotamiche. Emerge qui molto forte la formazione che Christo ha avuto anche come architetto: un aspetto magico del suo lavoro,
proprio come avrebbe voluto Vasari, è la continuità fra arte e architettura, senza alcuna separazione fra le due discipline. L’opera di Londra è quindi paragonabile, per scala, a un edificio di venti metri di altezza, ma è dipinta con colori che si riflettono nell’acqua e che cambiano al variare della luce del giorno. Al crepuscolo, per esempio, si spengono i toni del rosso e il riflesso nel lago sembra trasformarsi in oro. Ci si può avvicinare alla struttura sia nuotando, che a bordo delle piccole barche a remi che navigano sul bacino della Serpentine.
Alle Serpentine Galleries, nel frattempo, si può visitare la mostra Christo and Jeanne-Claude: Barrels and The Mastaba 1958–2018.
Insieme a Christo abbiamo pensato che sarebbe stato bello, per i visitatori, avere un approfondimento sulle sue pratiche artistiche al momento della visita alla Mastaba: i barili di petrolio che la compongono hanno, infatti, giocato un ruolo determinante soprattutto nei primi anni della sua attività, anche prima che iniziassero gli «impacchettamenti». Christo non vuole che si dedichino retrospettive al suo lavoro, perché ciò che gli interessa è il futuro: ha 83 anni, ma è sicuramente uno dei più giovani artisti con cui abbiamo lavorato, per il suo livello di energia, di ottimismo e di azione. Quindi non abbiamo voluto fare una mostra sul passato, ma abbiamo voluto guardare alle prossime sfide che si è posto. Come dicevo, infatti, Christo ha un altro progetto irrealizzato, da ambientare nel deserto: si tratta di una versione enorme della Mastaba, destinata ad Abu Dhabi, a cui lui e la moglie hanno lavorato sin dagli anni
Sessanta. Sarebbe la più grande scultura al mondo, composta da ben 410’000 barili. Quindi la mostra racconta molto di questo nuovo traguardo.
Quali opere sono in mostra?
Ho voluto dedicare molto spazio agli straordinari disegni dell’artista: forse è importante ricordare che Christo li realizza con un ritmo molto intenso fino al giorno in cui viene inaugurata l’opera che essi raffigurano. Al momento dell’inaugurazione conclude quindi la serie e in seguito non realizza più opere con quel soggetto. Ora che la Mastaba di Londra è stata realizzata, si è interrotta la produzione dei relativi disegni, che sono però esposti in mostra. Ci sono anche i dipinti storici sulle forme della Mastaba, quelli per il lago di Michigan e i progetti per l’opera di Abu Dhabi.
Per concludere l’intervista, vorrei approfittare della sua profonda conoscenza del sistema dell’arte per porle una domanda più generale sul lavoro di Christo. Come spiega la sua capacità di attrarre un numero di visitatori che va ben oltre il consueto pubblico del contemporaneo, tanto da trasformare le sue opere in un fenomeno sociale?
Questa è una domanda interessante: come dice lei, penso che opere come The Floating Piers, i Gates o l’intervento sul Reichstag a Berlino siano molto più che l’oggetto in sé, creato dall’artista. Credo che siano la scintilla per conversazioni, condivisioni, incontri fra persone. Un vero catalizzatore. Solitamente, però, in questi casi un artista guadagna in termini di popolarità, ma perde la stima da parte dei colleghi. Invece questo non è mai il caso di
Christo, che è apprezzato dal pubblico estraneo al mondo dell’arte, ma continua ad avere grande ascendente anche sugli altri artisti. Prima di realizzare la mostra in corso alla Serpentine Gallery ho parlato di lui con molti artisti: lo svizzero Urs Fischer, per esempio, è molto influenzato da Christo e lo adora per la sua capacità di realizzare opere che hanno un carattere scultoreo senza precedenti; Tino Sehgal, il cui lavoro è basato sulle relazioni, ritiene Christo un artista fondamentale per la sua capacità di creare aggregazione fra le persone. Continua quindi a influenzare il mondo dell’arte, ma al contempo anche un pubblico più vasto. Io ritengo questo aspetto molto importante, perché sono convinto che sia necessario uscire dal museo. È fondamentale portare l’arte verso la gente: dobbiamo eliminare gli ostacoli fra arte e pubblico. Specialmente verso coloro che non frequentano i musei. Solo un esempio: l’anno scorso un tassista mi ha portato qui al museo e, dopo avere scoperto che ci lavoravo, mi ha ringraziato perché sua figlia ha visitato la Serpentine Gallery e, dopo essere rimasta affascinata dalle forme delle nostre gallerie, ha deciso di studiare architettura. Mi ha ringraziato anche perché l’ingresso era gratuito: questo lo ha spinto ad entrare in un luogo che credeva inaccessibile. Credo che questo sia un elemento fondamentale per non escludere nessuno dall’esperienza artistica. Ho raccontato l’episodio del tassista solo per esemplificare quanto sia essenziale offrire un’arte che sia per tutti: l’arte di Christo è fuori dal museo, visibile da tutti, nessuno escluso. Da queste opere ognuno può essere trasformato.
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Cultura e Spettacoli
Il volto umano dell’arte
Mostre Allo Spazio Elle di Locarno una mostra per riflettere sulla condizione di migrante
Alessia Brughera Sono decine di milioni le persone attualmente costrette ad abbandonare il proprio paese d’origine a causa di guerre, persecuzioni e violenze: un individuo sfollato ogni due secondi, riferisce il rapporto annuale pubblicato alla fine del 2017 dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Nasce proprio dalla consapevolezza di questa drammatica emergenza la mostra Arte e Umanità: Immagine Migrante ospitata nelle sale dello Spazio Elle di Locarno, una rassegna organizzata nel contesto del più ampio progetto itinerante svizzero Parcours Humain che, partito nel 2015, dopo aver toccato varie città elvetiche approda adesso nel nostro cantone con l’obiettivo di sensibilizzare la collettività sul fenomeno migratorio. La proposta espositiva parte dalla convinzione che l’arte sia uno strumento per agire in ambito sociale, un potente mezzo per spingerci a riflettere sulle problematiche più urgenti della comunità contemporanea e soprattutto sui quei valori da cui dovrebbe essere sempre sorretta, a partire dalla dignità umana intesa come diritto inviolabile. La rassegna raccoglie i lavori di una ventina di artisti ticinesi, svizzeri e internazionali che si sono confrontati con il delicato tema della migrazione attraverso linguaggi differenti, toccando questioni quali la rivendicazione delle minoranze e delle categorie più deboli, la perdita dell’identità, la militanza politica, il superamento dei confini reali e immaginari, i poteri in gioco durante un conflitto, l’impegno e il
coinvolgimento del cittadino comune e la convivenza di culture diverse. Tra coloro che sono stati chiamati a partecipare all’esposizione c’è chi proviene da zone di conflitto e ha vissuto in prima persona l’abbandono forzato della propria terra. Waref Abu Quba, ad esempio, autore dell’evocativo video intitolato In Damascus, è un regista siriano rifugiatosi quattro anni fa in Germania. Marko Miladinovic, performer nel campo delle arti letterarie, a causa della guerra è fuggito con la madre dalla città di Vukovar all’età di due anni: testimonianza di questa tragica esperienza, il suo passaporto viene utilizzato come elemento chiave nell’opera Le nazioni finiscono, realizzata in occasione della mostra locarnese, dove giace sul pavimento sovrastato dalla sagoma rovesciata di un’Europa che ha smarrito il suo senso di coesione. Molti degli artisti presenti hanno lavorato a stretto contatto con i migranti rendendoli protagonisti delle loro opere. Il video Omega Transit di Hanna Hildebrand, i cui progetti filmici hanno spesso un carattere documentaristico, è stato girato a Chiasso con il coinvolgimento di giovani profughi in qualità di attori, divenendo così un esempio di fertile interazione con le realtà del nostro territorio. Ancora, Nina Haab, fotografa e videoartista nata a Bellinzona, puntando sul valore sociale dell’arte ha incontrato presso l’Association suisse des femmes immigrées di Sion alcune donne militanti scappate dal loro paese natio a causa dei regimi politici coercitivi: il suo lavoro dal titolo Daccapo è una serie di fotografie che
Un’immagine del video Omega Transit di Hanna Hildebrand realizzato nell’ambito del laboratorio con l’Istituto della Transizione e del Sostegno di Trevano. (© Hanna Hildebrand)
narra la loro vita esplorandone memorie e speranze. E poi c’è anche chi artista non è ma è stato incluso nella rassegna affinché potesse raccontare la sua esperienza diretta accanto alle comunità di migranti. È il caso del collettivo RadioNoBorder, un gruppo di attivisti indipendenti italiani che ha operato nell’area di Idoumeni, sul confine greco-mace-
done, e che in mostra ha ricostruito la postazione radio del campo da cui vengono trasmesse le registrazioni delle conversazioni avute con i profughi. Tra i lavori più interessanti dell’esposizione vale la pena di citare quello di Miki Tallone, un’opera intitolata In a Low Voice costituita da duecento lenzuola che l’artista ticinese ha avuto in dono dai discendenti delle famiglie ob-
bligate durante la Seconda guerra mondiale a lasciare Gibilterra per dar modo all’esercito britannico di sfruttarla strategicamente. Cucite insieme dagli stessi parenti degli esiliati, le lenzuola danno vita a un unico lungo telo, come a unire il dolore, il ricordo e l’attesa di questa gente sradicata dalla propria patria attraverso un elemento intimo e semplice che appartiene alla quotidianità dell’uomo. Un altro lavoro particolarmente significativo è stato concepito da Ute Lennartz-Lembeck, artista tedesca i cui progetti sono vere e proprie azioni sociali all’insegna della condivisione. Per Banner, l’opera del 2015 esposta a Locarno, ha spedito a cento donne provenienti da diversi paesi la richiesta di realizzare una bandiera su cui doveva comparire la loro personale risposta alla domanda «Cosa ti motiva?». Raccolti dall’artista e appesi l’uno accanto all’altro, questi piccoli drappi costituiscono l’incontro delle aspettative di tanti individui, dando una nitida immagine di quella forza che spinge ogni essere umano a credere nel domani. Dove e quando
Arte e Umanità: Immagine Migrante. Spazio Elle, Locarno. Fino al 15 settembre 2018. Mostra curata da Nadia Bensbih, Riccardo Lisi e Marco Stoffel. La proiezione integrale del video Omega Transit di Hanna Hildebrand è prevista per mercoledì 12 settembre alle 18.30 presso lo Spazio Elle. Orari: da me a do dalle 14.00 alle 19.00. www.parcourshumain.ch Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Addio Lindsay Kemp, ambigua stella del teatrodanza In memoriam N ato nel 1938 nell’isola di Lewis, è morto a Livorno, dove viveva da tempo
Giovanni Fattorini Lo spettacolo più rappresentato e più amato di Lindsay Kemp (che diceva di essere un discendente diretto di William Kempe, famoso attore e ballerino del teatro elisabettiano) è stato senza dubbio alcuno Flowers. Liberamente ispirato a Nôtre Dame des Fleurs (il primo e il più lirico dei romanzi di Jean Genet), Flowers nasce nel 1968 in una cantina di Edimburgo, con attori quasi tutti non professionisti. All’inizio abbonda di parole e di scene improvvisate, poi comincia a girare il mondo, modificando la propria fisionomia, fino a diventare uno spettacolo che non intende riprodurre o riorganizzare la frammentata articolazione del romanzo di Genet, ma restituire con diverso linguaggio e uguale intensità alcuni aspetti fondamentali dell’universo genettiano: il gusto della ritualità e del travestimento, la mescolanza di lirismo e trasgressione, e soprattutto il carattere fantastico della visione, che è quella di un giovane carcerato, il quale elabora mentalmente delle scene in cui si inventa degli amanti, ricostruisce il mondo da cui vive separato, e idealizza nella figura del bel criminale il delitto che conduce alla prigione e alla morte. Nel 1972, a trentaquattro anni, Lindsay Kemp cura la messinscena dei concerti Ziggy Stardust del suo ex-
allievo David Bowie, contribuendo in misura notevolissima al trionfo del glam rock. Quanto alle numerose creazioni succedute a Flowers (per citarne solo alcune: A Midsummer Night’s Dream, Salomè, Mr. Punch’s Pantomime, Duende, Nijinsky il Matto, Façade, Alice, Variété), credo sia necessario dire almeno due parole su un lavoro del 1991: Onnagata (termine che nel Kabuki designa l’attore specializzato nei ruoli femminili). Onnagata era uno spettacolo-autoritratto, non in senso aneddotico-autobiografico, ma in quanto intreccio di affinità e ascendenze dichiarate: Isadora Duncan, Nižinskij, la Salomè di Wilde, Antonia Mercé (meglio nota come «La Argentina»), Kazuo Ohno, Loïe Fuller, la Mater Dolorosa e il mitico Orfeo, ammansatore di bestie feroci e vittima della ferinità latente negli umani. Difficili, secondo alcuni, da classificare, gli spettacoli di Lindsay Kemp costituivano, a mio parere, una peculiare diramazione del teatrodanza, in cui risultavano evidenti le suggestioni del balletto classico, della danza moderna, del butoh, del mimo illusionistico alla Marcel Marceau, del varietà, del circo, del music-hall, del teatro Nô e del Kabuki, dell’opera lirica, del cinema muto e del burlesque. Eclettico e citazionista, Lindsay Kemp era però capace di imprimere a prelievi e riecheggiamenti il
Lindsay Kemp è scomparso lo scorso 25 agosto. (Keystone)
sigillo inconfondibile della sua personalità, che esaltava la finzione scenica, l’ambiguità sessuale e la dimensione onirica, il metamorfico e il meraviglioso, anche attraverso l’impiego frequente (e a volte stucchevole) di gelatine colo-
rate, fumi di ghiaccio secco, immagini stroboscopiche, lampade di Wood, fasci di luce che facevano atmosfera mistica, sfere specchianti e rotanti come quelle in uso nelle discoteche, musiche sublimi diffuse ad altissimo volume.
Se non ricordo male, è stato Peter Brook a dire che uno spettacolo teatrale non può dirsi del tutto mancato se lo spettatore se ne torna a casa portando con sé almeno un’immagine che lo ha fortemente colpito. Delle molte immagini sceniche che conservo di Lindsay Kemp, voglio ricordarne due. Una è quella che concludeva Onnagata (poi ripresa in uno spettacolo del 1997, Rêves de lumière, composto di otto pezzi del tutto autonomi, ciascuno dei quali presentava un diverso personaggio). Simulando un uccello (o forse una angelo) dalle grandi ali bianche, Kemp sembrava involarsi verso il cielo delle ibridazioni meno ortodosse: uomo e donna, santa e prostituta, martire e star. L’altra immagine proviene dalla riedizione assai migliorata (1986) del Midsummer Night’s Dream messo in scena la prima volta nel 1979. Kemp interpretava la parte di Puck: il corpo non più giovane, ma sempre duttile: interamente imbiancato, decorato, spruzzato di paillettes – e in cima una testa dal sorriso ambiguo, dalle orecchie aguzze, dalla parrucca verde che pareva fatta di muschio: uno stagionato folletto dispettoso, in parte umano in parte animalesco, che ai movimenti lentissimi, minimali, incantati, alternava gaie piroette, irridendo la stoltezza dei mortali. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Un male poco convincente
Cinemando Il genere horror sta godendo di un vero e proprio revival anche a livello di critica, ma non sempre
i risultati sono all’altezza delle aspettative, come dimostra l’opera prima di Ari Asper
Nicola Mazzi Prima di parlare del film partiamo da tre annotazioni. L’ottima interpretazione di Toni Collette potrebbe aprirle le porte dell’Academy e portarle in dote, se non la statuetta almeno una nomination all’Oscar. Ma questa è storia dei prossimi mesi. A livello economico l’incasso registrato al botteghino è soddisfacente. Infatti a fronte di un investimento di 10 milioni il film ha guadagnato, finora nel mondo, 80 milioni di dollari. In terzo luogo l’aggregatore di giudizi della critica e del pubblico Rotten Tomatoes indica l’89% di pareri positivi dalla stampa specializzata e il 60% dal pubblico: un buon livello.
Se all’inizio del film la regia di Ari Asper è rigorosa e apprezzabile, con il passare del tempo si fa più sgangherata Hereditary-Le radici del male è tutto questo, ma anche molto altro. A iniziare dalla trama che ha diversi rimandi ad altre opere classiche e al genere al quale si rifà. Il film inizia con un funerale; è appena morta Ellen Graham, la madre della protagonista (Annie), una figura che nel corso della visione si svela diventando sempre più inquietante. Una messa a fuoco di un personaggio che nel meccanismo narrativo
ricorda da vicino opere celebri come Quarto Potere di Orson Welles ma, soprattutto, La Contessa scalza di Joseph Mankiewicz. Anche in questa seconda pellicola siamo subito catapultati in un funerale di una figura che conosceremo grazie ai ricordi di amici e parenti. La scomparsa della matriarca lascia un vuoto. Per colmarlo Annie si rifugia in un gruppo di auto-aiuto dove rivela la presenza nella famiglia di malattie mentali ereditarie che hanno portato diversi membri della stessa alla morte. Alcuni segnali di queste patologie le osserviamo nei figli di Annie; sin dai loro tratti psicologici e somatici. Se la ragazzina, Charlie, ha un viso leggermente deforme e un tic nervoso da brividi (uno schiocco con la lingua che ti entra nel cervello e non ti abbandona per tutta la visione), il fratello Peter – all’apparenza il classico teenager americano – ha uno sguardo fisso che mette paura. Il quadro è completato dal padre, Steve, il quale invece, incarna la ragione e la ponderatezza. È l’unico che tenta di dare una logica, una ragione, all’irrazionalità in cui è immersa la famiglia. Detto dei rimandi ai classici è indubbio che il riferimento più evidente è a Rosemary’s Baby. L’esordiente regista Ari Aster usa l’horror psicologico come fece in quella pellicola Roman Polanski. Sin dall’inizio. Se infatti Polanski comincia con un piano-sequenza nel quale inquadra Manhattan per poi focalizzarsi sul Dakota Building (luogo in cui si svolge tutto il film), Aster ci mostra un modellino della casa dei Gra-
Milly Shapiro interpreta Charlie Graham. (youtube)
ham. Due abitazioni che diverranno il luogo in cui si manifesterà il male. La somiglianza è evidente anche alla fine. Infatti le due opere terminano nello stesso modo: il trionfo dell’Anti-Cristo. E se nel 1968 la pellicola finiva con una sorta di festa satanica per celebrare un mostruoso neonato, qui vediamo una malefica comunità che si prostra davanti al nuovo sovrano dell’Inferno. La differenza con la sconvolgente opera di Polanski è tuttavia abbastanza
chiara. Se Rosemary’s Baby segue una solida linea narrativa e riesce a catturare per la sua efficace semplicità, Hereditary-Le radici del male si perde nel barocchismo. Nel voler aggiungere troppi elementi (sonnambulismo, esoterismo, sedute spiritiche, magia, satanismo, per non citarne che alcuni) che riempiono lo spettatore fino a farlo scoppiare. Ed è soprattutto nella seconda parte – anche a causa di alcuni effetti speciali esagerati e inverosimili – che notiamo il difet-
to. Non aiuta a mantenere la rotta una regia apprezzabile e rigorosa all’inizio – dove i tempi sono giusti e l’accumulo di elementi graduale – ma sgangherata alla fine. Probabilmente anche il regista è stato intrappolato nel suo stesso gioco e in un certo autocompiacimento che in sala ha provocato anche diverse risate ironiche. Ari Asper ha giocato troppo con il fuoco degli inferi e si è bruciato, vittima di uno dei sette vizi capitali: la superbia. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Per il compleanno non voglio niente Non riesco a ricordare quando tutto ha avuto inizio. Intendo una data precisa, giorno, mese, anno. Non l’ho trovata sulle mie agende dove ho l’abitudine di annotare, anno per anno, tutto quello che mi riguarda. La cosa deve essersi verificata con una lentezza tale da non farci caso all’inizio finché non è stato troppo tardi per porvi rimedio. Come avrete compreso, sto parlando dell’inversione dei ruoli in famiglia, per cui i figli si mettono a fare i padri e i padri diventano figli. Potrei forse ancorare la data a un mio compleanno, quando mi stavo avvicinando alla soglia degli ottanta anni. Con un congruo anticipo avevo ribadito l’avviso: non voglio regali, non saprei cosa farmene, ho tutto quel che mi serve. Nel mio studio sono ancora esposti i doni che i figli mi porgevano quando erano bambini, fabbricati con le loro mani: disegni, pupazzi, statuette di argilla. Ma ora che la loro età viaggia attorno ai cinquanta anni, non mi sembra il caso. Per qualche anniversario l’editto
è stato rispettato, per essere infranto con una subdola manovra, concertata alle mie spalle con la complicità della loro madre. E tutto, naturalmente, «per il mio bene, per conservarmi in salute». Al loro arrivo per la cena di compleanno con i rispettivi coniugi, mia figlia mi ha attirato in cucina con una scusa mentre figlio e genero si introducevano nel mio studio per applicare allo schienale della sedia una copertura che nasconde un congegno elettrico. Si tratta di barre metalliche che vanno su e giù, dal coccige al collo, massaggiando la schiena. Mentirei se negassi il piacere provato ma non è vero che, come sostiene mio figlio, questo congegno non mi faccia perdere tempo. Provateci voi a concentrarvi per leggere e prendere appunti mentre un robot, con un fastidioso ronzio, vi spiana la schiena. Appena mio figlio esce di casa lo spengo e lo riaccendo sentendo girare la chiave nella toppa. La figlia maggiore a sua volta ha sferrato l’attacco sul versante del cibo,
prevenendo le mie proteste: «Hai detto che non vuoi regali perché non sapresti dove metterli, che questa casa è piena di roba. Ma questa sparisce una volta che l’hai mangiata». E chi ha detto che ho voglia di mangiarla? Era un cestino di prodotti acquistati in quelle gioiellerie mascherate da negozi bio. Barattoli con etichette sulle quali ricorre più volte la preposizione «Senza». Senza zucchero, senza sale, senza grassi, senza lattosio, senza olio di palma, senza ogm. Ogni «senza» fa salire il prezzo. Mia figlia sa che detesto lo spreco e faccio di tutto per contrastarlo in ogni circostanza, perciò contava sul fatto che quella roba insipida avrei finito per mangiarla. Non ho detto «gustarla». Per fortuna in un nascondiglio conservo una discreta riserva di salse piccanti da aggiungere a quelle pappette. Da questo punto di vista sono un degno erede del mio nonno paterno. Si chiamava Francesco ed è morto nel 1939. Avevo solo due anni e ho imparato a conoscerlo attraverso i racconti
di mio padre. Preparava la senape con le sue mani, quelle in commercio non erano abbastanza forti per il suo palato. Dopo la prima crisi cardiaca i medici gli avevano vietato i cibi piccanti. Bloccato in casa, fingeva di ubbidire ma quando è morto gli hanno trovato sul davanzale della finestra accanto al letto, nascosta da una tenda, la sua senape e una latta piena a metà di pesciolini fritti e messi in carpione, con salvia, cipolle, vino e aceto: una squisitezza. Per nascondere il mio tesoretto non ho davanzali ma gli scaffali della libreria. Me l’ha insegnato la grande distribuzione, quando sono andato in un affollato pomeriggio di sabato a promuovere un mio libro. Gli addetti al reparto, quando rifacevano l’allestimento trovavano sugli scaffali, nascosti dietro i volumi, i contenitori vuoti di succhi di frutta che le mamme premurose avevano fatto bere ai loro bambini prima di passare dalla cassa. Quello dei libri era l’unico reparto tranquillo, non transitava quasi nessuno. I
miei tesori non li tengo nello scaffale dei libri gialli, ma dietro le opere di Benedetto Croce, al sicuro. Dopo quel compleanno si sono rotte le dighe. Elenco incompleto dei regali: prenotazioni per visite di controllo e per l’analisi del sangue, un blocchetto per dieci sedute dal fisiatra, una bilancia pesa persone che certifica la quantità di grassi, di liquidi e di muscoli (mai usata, se qualcuno la volesse gli farei un buon prezzo), un casco mostruoso da indossare per muoversi in bicicletta (quando vado a teatro e all’auditorium dove lo metto?), sempre per la bici un assetto di luci tali da farmi scambiare per un albero di Natale in movimento. Sono sicuro che i miei figli agiscono così perché mi vogliono bene. Però è anche vero che quando passano a trovarmi per controllare se seguo le loro prescrizioni, dall’incrocio con i tanti vecchi acciaccati che abitano nel mio quartiere, ricevono uno stimolo in più a perseverare per allontanare lo spettro di un padre in quello stato da accudire.
elfi, hobbit, orchi e compagnia». «Uff, sempre a precisare. Guarda che conosco anch’io l’opera di Tolkien (magari avessi raggiunto la sua chiarezza nell’esporre miti e visioni del mondo). Ma quel grande studioso proveniente dalla Britannia avrà sempre detto che non esiste nella realtà sensibile alcuna Terra di mezzo. In una lettera – e tu sai che anche io ho affidato alle lettere il cuore del mio pensiero – scrive testualmente: “Riguardo alla forma del mondo della Terza Era, temo che sia stato ideato drammaticamente, piuttosto che geologicamente o paleontologicamente”. Niente di diverso dai miei metaxù». «Mi compiaccio, maestro, delle tue letture nei secoli a venire. Ma mi trovo costretto a contraddirti ancora, infatti in una lettera successiva, a scanso di equivoci, sempre Tolkien preciserà: “La Terra di Mezzo non è un mondo immaginario. Il nome è la forma moderna (apparsa nel XIII secolo) di midden-erd>middelerd, un antico nome per l’oikumene, la
dimora dell’Uomo, il mondo oggettivamente reale, utilizzato come esatto contrario dei mondi immaginari (come Fairyland) e inosservabili (come Paradiso e Inferno)”. Tolkien utilizza proprio i nostri termini greci per indicare l’oikìa, la casa degli uomini. La Terra di mezzo è questa terra, la stessa che vediamo e sentiamo sotto i nostri piedi, di cui quindi possiamo dire di avere conoscenza perché l’abbiamo esperita». «Santo cielo, questo ragazzino mi contraddice e non si vedono né gelati né granite nei dintorni. Ascolta, Aristotele, le cose che ci sono in cielo e in terra sono molte di più rispetto a quelle nella tua filosofia! (bella questa frase, me la devo segnare). Esistono i numeri, i dèmoni, le anime, ma dove staranno se non in una sorta di metaforica terra di mezzo: non possono stare con le Idee, perché hanno commercio con la vile materia, i numeri la contano e la misurano, i dèmoni ci passeggiano e hanno rapporti con gli umani, le anime poi la rendono viva».
«Platone, guarda queste meduse, che ho messo nel secchiello per studiarle e classificarle con calma. Si muovono, perché hanno un’anima. Sono tre, lo vedi bene. Che bisogno c’è di pensare che la loro anima sia da qualche parte insieme al numero tre? Diverso è il discorso con le anime degli uomini, che devono essere considerate immortali perché hanno il logos, l’intelligenza». «Almeno su questo mi dai ragione. Domandina: e dove sono le anime umane? E dove vanno, quando lasciano la prigione del nostro corpo?». «Ecco, questo proprio non lo so. Però, Platone, quando tu dici che vanno a correre con gli dèi nelle praterie della verità, non è che sei molto preciso. Sempre meglio, certamente, che dire che stanno tra i metaxù, che non esistono, come tu correttamente dicevi all’inizio della nostra discussione». «Ecco l’omino dei gelati! Comunque io volevo dire che non ci sono più le mezze stagioni, mai visto un caldo così a settembre».
il lumbard Manzoni. E se quel Salvini fosse un antenato del leader leghista? Del resto il suo cognome è diffuso in Toscana e nel Lazio almeno quanto in Lombardia, oltre a essere presente in molti paesi europei, in Argentina, in Brasile e persino in Algeria (vuoi vedere che anche i Salvini sono stati migranti, nomadi, balùba tra i balùba?). Nel 1965, Italo Calvino scrisse un saggio sull’antilingua della burocrazia: era il registro ingessato del più tipico dei brigadieri che invece di scrivere che la bottiglieria di sopra era stata scassinata, denunciava «l’effrazione dell’esercizio sovrastante»… Adottava quel linguaggio assurdo per il terrore di dire pane al pane, vino al vino, bottiglia alla bottiglia. Oggi l’antilingua è l’opposto speculare: al brigadiere che voleva darsi un tono istruito o persino troppo formale (fino a usare burocratismi ridicoli) si è sostituito il politico che vuole apparire popolano («fioeu del pòpul») fino a usare dialettalismi o regionalismi altrettanto ridicoli. Il
ministro Salvini direbbe fieramente (su facebook ma anche in tv) che «un bastardo ha preso su e portato via una caterva de fiàsc de vin…». Il dialetto artificiale è diventato antilingua politica. Rob de matt! Calvino non ci crederebbe. Volendo assecondare ed emulare il suo socio leghista, anche Luigi Di Maio (3––), il vice premier pentastellare, ha detto fieramente stop alla lingua italiana della Prima e Seconda Repubblica. Se governo del cambiamento deve essere, si cambino finalmente anche i vecchi sistemi morfologici e sintattici imposti dai poteri forti. E a chi lo criticava, ha risposto: «Non ho nulla di cui scusarsi, se non si dovrebbero scusare quei radical-chic che mi attaccano». Il congiuntivo? Un retaggio dell’establishment economico. E non ha avuto dubbi, Di Maio, a chiarire la sua posizione sul programma da perseguire in fatto di tempi e modi verbali: «Il movimento ha sempre detto che noi volessimo fare un referendum».
Fiero (anche lui è sempre fiero) della sua mancata laurea in Giurisprudenza (anche Salvini è fiero della sua mancata laurea in Scienze politiche, «roba de pulitica»), subito dopo la costituzione del nuovo governo il neo ministro non ha esitato a dichiarare solennemente in Parlamento a proposito della piccola e media impresa italiana: «Perché altrimenti i miracoli che hanno fatto col made in Italy in tutto il mondo in questi anni non li avrebbero mai raggiunti se...». Se? Vuoi vedere che per sbaglio si lascia sfuggire un congiuntivo banalmente corretto? No, il leader del movimento antisistema non ci sta. Dunque: «…non li avrebbero mai raggiunti se non ci sarebbero stati varie situazioni come questa». Discorso di cristallina chiarezza che la solita opposizione prevenuta e biliosa – rappresentante delle gerontocrazie cruscanti e della finanza grammaticale o della grammatica finanziaria – ha voluto segnare con la matita blu: il blu della bandiera europea, ovviamente.
Postille filosofiche di Maria Bettetini Platone e Aristotele on the beach Platone e Aristotele sono in spiaggia, è l’ora calda del primo pomeriggio e infatti occupano mollemente due sdraio sotto l’ombrellone. Sono tranquilli, come l’anno scorso hanno lasciato Karl Marx a controllare le biciclette, proprietà non privata ma di tutto il collettivo dei filosofi, e Talete a fare il bagnino, per evitare che qualche grande pensatore s’affoghi. Talete si trova a suo agio nell’acqua, principio di ogni cosa, mentre per esempio Eraclito continua a entrare e a uscire, per tentare di bagnarsi nelle stesse acque, e Leonardo da Vinci tiene per i piedi uno dei suoi tanti allievi, nella speranza di insegnargli a respirare come i pesci. Comportamenti pericolosissimi. Platone sospira: ancora nessun gelataio in vista, con questo caldo, e siamo a settembre ormai. «Che c’è?» gli domanda il più giovane e tonico Aristotele. «Non ci sono più i metaxù», risponde il maestro. Pensando che stia componendo una filastrocca (era anche un poeta), l’allievo replica «questo lo
dici tu, trallallero trallallù». «Idiota, non sono in un momento creativo, stavo riflettendo sulla scomparsa dei metaxù». «Ah beh, se è per questo io l’ho sempre saputo. Già mi è difficile pensare al luogo delle Idee, questo tuo Iperuranio che sarebbe, come dice il nome, oltre il nostro cielo. Ma dove? Chi l’ha mai visto? Chi ne ha fatta una qualche esperienza, che è poi il punto di inizio di ogni conoscenza umana. Figuriamoci i tuoi metaxù, le «cose di mezzo», che sarebbero a metà strada tra questo nostro mondo e l’Iperuranio. Un altro luogo misterioso dove sarebbero lì, in attesa di essere da noi o dagli dèi coinvolti, i numeri, le anime e quelli che tu chiami démoni, quelle specie di folletti sul genere di Eros e di altri semidei. Fossimo nati venticinque secoli dopo ti avrei suggerito la lettura del Signore degli anelli: anche lì c’è un luogo in mezzo, ma è concreto, è la Terra di mezzo, il continente dove vivono i protagonisti del libro, che guarda caso sono proprio
Voti d’aria di Paolo Di Stefano La lingua antisistema Non passa giorno che il ministro italiano dell’Interno non pronunci, coram populo, una frase in lombardo («lumbard»). La politica pane-al-pane («pan-al-pan») non può fare a meno del pane di casa («el pan de cà»). A Pinzolo, in Trentino, a chi accusa il suo governo di non aver fatto ancora niente («un bel gnent»), Matteo Salvini (–6 sulla sfiducia) ha risposto a brutto muso: «Ma sem chì da dü mes!», siamo qui solo da due mesi. Sorvolando sul fatto che i mesi sono tre, va riconosciuto che il ministro dell’Interno ha, negli anni, manifestato una sua ammirevole (e fiera) fedeltà al vernacolo («el vernàcul»?), ben sapendo che la questione della lingua è, anche, una questione politica («na roba de pulitica»). In vista di un 4 Novembre (Festa italiana dell’Unità Nazionale) annunciò che quel giorno TelePadania si sarebbe occupata solo di storia, cultura e lingua padane; nel 2009 si dichiarò favorevole alla messa in dialetto perché, chissà come, «attirerebbe i giovani»; nel 2015 perorò la causa di
un telegiornale dialettale perché, chissà come, «attirerebbe gli anziani». Ma in genere, Salvini utilizza volentieri, da sempre, espressioni e costruzioni regionali: non dice «ho preso la valigia» ma «ho preso su la valigia…». E se c’è da mandare un messaggio ammonitorio a un avversario, urla («vusa»): «Ma va’ a da’ via i pè!», ma vai a dar via i piedi (con sorprendente attenuazione finale: i piedi e non altro). Non esitando a ricordare: «Io penso in dialetto perché sono popolano» («un fioeu del pòpul»), in linea con il magistero del suo odiatoamato mentore, l’ex Senatur Umberto Bossi, autentico «sdoganatore» («sdoganatùr»?) del dialètt, ovvero «la lingua de la gent», in politica. Un letterato del ’700, suo omonimo, Anton Maria Salvini (6 sulla fiducia), avvertiva che «i vostri natii dialetti vi costituiscono cittadini delle sole vostre città; il dialetto toscano appreso da voi, ricevuto, abbracciato, vi fa cittadini d’Italia». Il «toscano» è l’italiano in cui volle, non a caso, risciacquarsi persino
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Idee e acquisti per la settimana
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shopping Profumo di grigliata
Attualità Un succoso hamburger, dell’aromatica
luganighetta e una ciabattina come accompagnamento: ecco pronto un barbecue di fine estate rigorosamente nostrano Angelo Valsangiacomo, titolare della Salumi del Pin di Mendrisio, produttore della luganighetta nostrana
«La nostra salumeria esiste dal lontanto 1926 e da sempre produce la luganighetta ticinese, oltre ad una vasta gamma di tipici salumi. Tutti i nostri prodotti sono lavorati artigianalmente seguendo antiche ricette locali. Per ottenere degli ottimi prodotti è fondamentale avvalersi di carne di comprovata qualità. Noi utilizziamo esclusivamente carne di maiali allevati in Ticino nel rispetto delle esigenze della specie. Una volta macinata finemente, essa viene miscelata con lardo, una finissima miscela di spezie e buon vino rosso. L’impasto ottenuto viene lasciato riposare per qualche tempo in modo che possa impregnarsi di tutti gli aromi e quindi insaccato nel budello naturale. Dopo l’asciugatura la luganighetta è pronta per prendere la via dei negozi Migros. La luganighetta è perfetta per essere cotta sul grill senza l’aggiunta di alcunché. Grigliarla a fuoco medio per 10-15 minuti girandola ogni tanto e servirla con un’insalatina di patate e del pane croccante».
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Hamburger Nostrano
L’hamburger a km zero è prodotto con carne di manzo di razza Charolais. Gli animali sono allevati al pascolo sul Piano di Magadino dall’Azienda Agricola Fratelli Aerni di Gordola e si nutrono esclusivamente di erba fresca, fieno e mais prodotti dall’azienda medesima. Inoltre i vitelli ricevono latte materno fino allo svezzamento. Questa razza dal caratteristico manto bianco originaria dell’omonima regione francese è considerata una delle migliori razze bovine da carne: colorazione chiara, tipica marmorizzazione, gusto pronunciato e tenerezza sono i segni distintivi di questo prodotto di qualità eccezionale. L’hamburger nostrano è venduto nella caratteristica confezione da due pezzi. Grigliare la carne da ambo i lati a fuoco forte per una decina di minuti. Al centro essa può essere ancora rosata. Togliere gli hamburger dalla griglia e condirli con un pizzico di fleur de sel, una macinata di pepe e servirli come più vi piace.
Flavia Leuenberger Ceppi
Ciabattine Nostrane
Grazie ad una lunga lievitazione dell’impasto le ciabattine nostrane della Jowa sviluppano un aroma inconfondibile e una migliore digeribilità. Sono prodotte con farina di frumento IP-Suisse coltivato sul Piano di Magadino e nel Mendrisiotto e trasformato dal Mulino Maroggia. La croccante crosta nasconde una morbidissima mollica che conquista tutti. È ideale da guarnire a piacere per gustosissimi panini ma anche per accompagnare piatti della cucina quotidiana e carni e pesci alla griglia.
Che delizia! Anche questa settimana, da giovedì a sabato, nei supermercati di Serfontana, Grancia, Lugano, Agno, S. Antonino e Locarno vi aspettano golose degustazioni di alcune specialità del nostro territorio, nella fattispecie ciabattine, hamburger e luganighetta. Inoltre sabato 8 settembre il panificio Jowa sarà presente presso Migros Grancia dalle ore 10.00 alle 15.00 con uno stand informativo.
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Idee e acquisti per la settimana
Per un trucco perfetto
Attualità Migros Ticino lancia un servizio di personal make-up shopper in collaborazione con la truccatrice
professionista Alessandra Corini. Abbiamo incontrato questa make-up artist di pluriennale esperienza diplomata alla prestigiosa Scuola Europea di Trucco BCM di Milano un servizio di consulenza personalizzato, abbordabile, in cui aiuto le donne a scegliere e acquistare i trucchi ideali per valorizzare al meglio il proprio aspetto. In base alle esigenze di ognuna, alle sue caratteristiche, alla personalità, all’abilità nel truccarsi e al budget a disposizione, insegno loro come utilizzare i prodotti e come truccarsi in modo appropriato affinché si possano sentire belle in qualsiasi occasione. Cosa può aspettarsi una cliente Migros dalla sua consulenza personalizzata?
La make-up artist Alessandra Corini. Signora Corini, di cosa di occupa una Personal Make-Up Shopper?
Se si pensa alla personal shopper nell’abbigliamento, io sono l’equivalente, ma nel settore del make-up. Il mio è
Innanzitutto, sperimenterà un’esperienza nuova e divertente, grazie alla quale per un paio d’ore potrà sentirsi unica e coccolata da una professionista del mestiere che in quel momento sarà lì solo per lei. Quando alla fine si guarderà allo specchio potrà dirsi: «Wow, così non mi sono mai vista!». Il tutto senza stravolgere la propria personalità. Poi, riceverà consigli validi e mirati su come valorizzarsi nel modo giusto e su cosa evitare di fare quando ci si truc-
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ca. Il mio intento è quello di rendere le donne più sicure quando visitano il reparto trucchi della Migros, affinché possano orientarsi in modo autonomo anche senza la mia presenza. Insieme cercheremo di trovare il look ideale per ogni cliente. Flavia Leuenberger Ceppi
Il servizio di personal make-up shopper è offerto nelle filiali Migros di Locarno, Lugano, Agno, Serfontana e S. Antonino. La truccatrice professionista Alessandra Corini accompagna le clienti all’acquisto personalizzato di trucchi selezionati dal ricco assortimento beauty Migros. L’offerta di lancio, valida fino alla fine di novembre 2018, è di CHF 75.–,
Quali sono i trend del momento in fatto di trucco?
Al contrario di certe tendenze presentate sui social, che spesso propongono trucchi che appesantiscono troppo il volto, io amo le donne che mostrino un viso fresco e leggero, dove il trucco
tolga sì qualche anno, ma nella maniera il più naturale possibile. In ogni caso, a tutte dico sempre di cercare di mettere in risalto la propria immagine non per forza in base alle tendenze o alle mode del momento, poiché questo non è detto sia indicato per loro.
Pane del mese: il pane trentino I reparti pane di Migros sono conosciuti per la vastissima offerta di varietà di pane, che permette alla clientela una scelta, ogni volta, tra diversi sapori e sensazioni. Questo mese i mastri panettieri Jowa consigliano di assaggiare una specialità che sarà molto apprezzata dagli amanti dei sapori genuini: il pane trentino. Questo pane dalla forma allungata, è composto da due filoni attorcigliati con strappi in evidenza e si caratterizza per la colorazione della crosta che va dal dorato al marrone chiaro, mentre il suo sapore è quello tipico del pane bianco con una delicata nota di lievito in evidenza. Grazie all’aggiunta di latte e olio all’impasto, la mollica risulta soffice con un’alveolatura regolare ed elastica. Per le vostre grigliate di fine stagione o per un ricco vassoio di affettati e formaggi nostrani non c’è accompagnamento migliore! Pane Trentino 320 g Fr. 1.90 invece di 2.40 Azione dal 4 al 10.9
Corsi in panetteria per bambini e adulti Migros Ticino offre la possibilità ai lettori di Azione di partecipare ad alcuni corsi di panetteria in filiale rivolti a bambini e adulti, previsti nelle date seguenti: Pomeriggio in panetteria per bambini
Migros S. Antonino, mercoledì 19 settembre, dalle 14.00 alle 16.30, 10 partecipanti. Serate in panetteria per adulti
Migros S. Antonino e Serfontana, martedì 25 settembre, dalle 18.30 alle 21.00 (10 partecipanti per filiale). Per partecipare occorre iscriversi, telefonando giovedì 6 settembre 2018 dalle ore 10.30 al numero 091 850 82 76. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in altri concorsi promossi da «Azione» negli scorsi mesi.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Idee e acquisti per la settimana
«Disney MickeyMania»
La giovinezza di un topo
90 anni fa la matita di Walt Disney partorì la sua creatura più famosa: all’epoca Topolino appariva molto diverso da oggi e faceva molti più scherzi
1928 Il cinema newyorkese di Broadway era gremito. Il pubblico rideva talmente forte che presto le pareti iniziarono a tremare. Si proiettava il film di un topo dall’aria impertinente: timonava fischiettando un battello a vapore, scherzava con la sirena e faceva arrabbiare il capitano. Fu così che nel 1928 Topolino faceva il suo esordio nel cartone animato «Steamboat Willie». In realtà, in un primo momento il topino rappresentava un ripiego: in precedenza il produttore cinematografico Walt Disney (1901-1966) aveva avuto successo con il cartone animato di un coniglietto, ma aveva perso i diritti su questo personaggio a favore della Universal Studios di Hollywood. Indispettito, aveva abbozzato una nuova figura: un topo con le orecchie sovradimensionate e i pantaloncini corti. Dapprima Disney lo aveva chiamato Mortimer, ma poi optò per il nome più semplice di Mickey Mouse, Topolino in italiano.
ter Disney, da imprenditore visionario qual era, creò un impero di studi cinematografici e parchi di divertimento. E gradualmente Topolino ne divenne il principale ambasciatore. Da bullo si trasformò in un mite personaggio fiabesco con i guanti bianchi. E soprattutto, ora il topino impersonava l’ottimismo disneyano e il suo pensiero, secondo cui ogni sogno si può avverare con il duro lavoro: «If you can dream it, you can do it». A Topolino hanno reso omaggio anche i presidenti americani: Jimmy Carter vedeva nel topo un «simbolo della buona volontà» e Barack Obama lo ha definito «l’unico capo di una grande potenza che ha le orecchie più grandi di me». / Michael West
1939 1940
1998
Un topo dietro le sbarre
All’epoca l’animaletto era completamente diverso da come lo conosciamo oggi: aveva ancora una lunga coda da topo e un muso appuntito. Sul grande schermo appariva in bianco e nero e si muoveva sempre con leggeri scatti. Questo perché le sequenze di movimento consistevano in innumerevoli immagini disegnate a mano. Ma soprattutto, in gioventù Topolino si comportava con un piccolo bullo. Nel cortometraggio «The Chain Gang» (1930) fu perfino un condannato che evadeva dal carcere. Nel corso dei decenni Wal-
Disegnatore geniale: Walt Disney schizza un’immagine per il primo film di Topolino, «Steamboat Willie».
Leggere risparmiando
È così facile: fino all’8 ottobre per ogni acquisto da 20 franchi, fatto in qualsiasi supermercato della Migros o su Le.Shop.ch, riceverete alla cassa un adesivo (al massimo 15 adesivi per ogni spesa, fino ad esaurimento, escluso l’acquisto di buoni e carte regalo). Una volta completato l’album della raccolta con 20 adesivi, entro l’8 ottobre potrete scambiare gratuitamente il vostro album con un peluche. (L’offerta è valida fino a esaurimento delle scorte, non è possibile acquistarla). Per maggiori informazioni: migros.ch/mickeymania
Evento imperdibile!
Keystone
Occasione da non perdere per tutti gli amanti della lettura, quella proposta fino a sabato 8 settembre nella Mall del Centro Shopping Serfontana. Troverete infatti una vastissima scelta di libri di ogni genere a prezzi incredibili: tutto sarà proposto a 3.50, 5, 7 o 9 franchi. Dai libri per ragazzi ai romanzi, dai libri da leggere assolutamente una volta nella vita a quelli di cucina, fino ai più classici… c’è solo l’imbarazzo della scelta in fatto di idee. Ma non finisce qui: durante la settimana anche i bambini potranno divertirsi con spensierattezza. Per loro mercoledì 5 e sabato 8 settembre è previsto il laboratorio creativo «Crea il tuo segnalibro», mentre tutti i giorni potranno giocare, scivolare e saltare a piacimento sul mega «Gonfiabile con palline». Vi aspettiamo numerosi!
La collezione È arrivata la «Disney MickeyMania» Ora quando fate la spesa alla Migros potete collezionare degli adesivi e ricevere gratuitamente i personaggi di peluche di Topolino, Minnie, Paperino, Paperina e Pluto.
I protagonisti del cartone animato più amato da milioni di bambini in tutto il mondo saranno ospiti del Centro Migros S. Antonino, sabato 8 settembre a partire dalle ore 13.30. Piccoli ma anche grandi appassionati potranno
conoscere i simpatici Masha e Orso, scattare indimenticabili selfie con loro e partecipare a laboratori creativi, truccabimbi, spettacoli di danza e altre divertentissime attività organizzate proprio per l’occasione. Insomma, un appuntamento perfetto per incontrare la bimba bionda con il caratteristico abito tradizionale russo color fucsia e il suo inseparabile compagno d’avventure peloso.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Idee e acquisti per la settimana
Raccard
La classica raclette in una nuova veste Le amate varietà di raclette firmate Raccard sono ora proposte in una nuova confezione. Da una parte è stato rivisto il design rendendolo più attrattivo, dall’altra è stato ridotto il materiale d’imballaggio: per la confezione delle fette, fino al trenta percento e per quella del blocco del dieci percento. In questo modo vengono risparmiate annualmente qualcosa come otto tonnellate di plastica. Inoltre grazie alle nuove illustrazioni i vari formati e gusti sono riconoscibili a prima vista.
Foto Giulia Marthaler; Styling Esther Egli
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Idee e acquisti per la settimana
Anna’s Best
Aromi di erbe fresche
Anna’s Best Insalata di patate 300 g Fr. 2.40
Anna’s Best Insalata di carote 250 g Fr. 2.50
Anna’s Best Insalata di sedano 300 g Fr. 2.60
Anna’s Best MSC Insalata di gamberetti 190 g Fr. 4.60
Praticamente ogni regione possiede la sua ricetta di insalata di patate. Alla domanda se quest’ultima sia più buona con del brodo, una vinaigrette o un dressing alla maionese, i pareri spesso divergono. Nella cucina rustica la creatività non manca: cetriolini sott’aceto, uova, pezzetti di aringa, tonno, pancetta o anche ananas conferiscono all’insalata una nota particolare in più.
Foto e Styling Ruth Küng
Apr o di p pos ata itodi te… nsal ate
Sono poche le ricette che rimangono invariate col passare del tempo. Un motivo valido per ripensare alcune ricette delle insalate Anna’s Best e renderle ancora più invitanti e appetitose. L’insalata di carote è stata arricchita di succo d’arance e prezzemolo fresco. Alle insalate di gamberetti, sedano e patate, dal canto loro, oltre all’aggiunta di più erbette aromatiche, è stato migliorato il rapporto tra aceto e spezie. Tutto questo in nome del buongusto.
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Idee e acquisti per la settimana
Star del mese
Anche a loro piacciono le chips: Olivier Käser (sulla sinistra) in visita alla piantagione di Ruedi Altwegg.
Noi firmiamo. Noi garantiamo
L’esperto delle patate
La Chips diversa dalle altre Per la produzione delle Farm Chips vengono utilizzate solo le migliori patate svizzere. Rispetto alle chips tradizionali sono tagliate più spesse e con la buccia. Le Farm Chips alle erbe svizzere vengono aromatizzate, tra le altre cose, con il timo limone.
Olivier Käser, è il responsabile della produzione di patate che sono usate per tutti i prodotti della Bischofszell Alimentari SA; è molto esigente riguardo alla qualità delle Farm Chips e vuole solo il meglio
Croccante varietà L’assortimento di Farm Chips è composto da cinque diverse versioni, disponibili per tutto l’anno. Inoltre saranno disponibili anche delle Limited Edition con degli aromi particolari. Anche dei sapori stagionali come l’aglio orsino arricchiranno temporaneamente l’assortimento.
Testo Ralf Kaminski, Foto Daniel Kellenberger
M-Industria
Farm Chips è nata così La Bischofszell Alimentari SA, abbreviato in «Bina», è stata fondata 110 anni fa. Inizialmente venivano venduti solo frutta secca e prodotti essiccati.
Concorso
Domanda: Tra le altre cose, con cosa vengono aromatizzate le Farm Chips alle erbe aromatiche svizzere?
Dal 1945 l’impresa è diventata parte dell’industria Migros.
Rispondete ala domanda e vincete una carta regalo Migros. Verranno sorteggiate carte regalo del valore complessivo di 500 franchi.
Oggi la Bina è uno tra i principali produttori di prodotti Convenience, prodotti a base di frutta, pasti precotti e bibite, sia per il commercio al dettaglio, sia per l’industria, i rivenditori all’ingrosso e l’esportazione.
Per partecipare: www.noifirmiamo-noigarantiamo.ch
L’azienda produce complessivamente più di 1000 diversi prodotti. Dal 1966 fanno parte dell’assortimento anche le patatine chips. La Bina ne produce più di 30 tipi diversi tra cui le Farm Chips alle erbe svizzere. Una patata su tre in Svizzera viene lavorata da Bina. Ogni anno 15 milioni di pacchetti di patatine lasciano lo stabilimento di produzione di Bischofszell.
Farm Chips alle Erbe svizzere 150 g Fr. 2.80
In un primo momento le patate possono sembrare tutte uguali, ma Olivier Käser (47) sa che non è così. Il capo del dipartimento di coltivazione della Bischofszell Alimentari SA è molto esigente quando si tratta della scelta del tubero per la produzione delle Farm Chips: «Generalmente per produrre delle chips croccanti è necessario che la patata abbia un alto contenuto di amido. Inoltre le patate
devono avere dimensioni e forme regolari», spiega Käser. La produzione delle Farm Chips, per cui vengono usate esclusivamente patate svizzere, pone alcune difficoltà in più rispetto alle altre. Infatti esse devono essere tagliate più spesse e ancora con la buccia. «In questa produzione la patata come materia prima è ancora più importante»
dice Käser, che ha studiato Agronomia al politecnico di Zurigo. L’alto contenuto di amido rende queste patate molto soggette alla rottura. «Il lavoro dei contadini deve essere molto preciso e scrupoloso». Per questo motivo l’esperto di patate visita i campi in prima persona un paio di volte ogni stagione. «Generalmente, quando ci sono dei problemi: in questo modo possiamo valutare
insieme cosa è possibile fare». Spesso ci occupiamo di temi come la gestione delle erbe infestanti, il mantenimento delle sostanze nutritive, l’invasione di parassiti, le condizione del suolo o il rifornimento idrico. «A volte alcune patate non possono essere utilizzate per la produzione di chips ma vengono impiegate in altri modi». Particolarmente adatte a diventare delle patatine chips sono per esempio la Lady
Claire, Lady Rosetta e la Pirol. «Queste patate sono più sensibili rispetto alle varietà più comuni e hanno bisogno di molte cure». afferma Käser. L’oscillazione delle temperature, la scarsità d’acqua o la grandine possono diventare un problema. «Bina usa solo le patate migliori per produrre le Farm Chips». E per questo sono presi in considerazione in misura mag-
giore i coltivatori che hanno i migliori risultati. Ogni anno la Bina trasforma circa 12’000 tonnellate di patate in patatine chips. E come afferma Käser strizzando l’occhio, molte di queste vanno a finire in casa sua e in quelle della sua famiglia: «Mettiamola così: se smettessimo noi di mangiare patatine, Migros sarebbe la prima ad accorgersene, dal punto di vista dello smercio!».
La M-Industria crea molti prodotti Migros, tra questi anche le Farm Chips.
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Idee e acquisti per la settimana
Star del mese
Anche a loro piacciono le chips: Olivier Käser (sulla sinistra) in visita alla piantagione di Ruedi Altwegg.
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L’esperto delle patate
La Chips diversa dalle altre Per la produzione delle Farm Chips vengono utilizzate solo le migliori patate svizzere. Rispetto alle chips tradizionali sono tagliate più spesse e con la buccia. Le Farm Chips alle erbe svizzere vengono aromatizzate, tra le altre cose, con il timo limone.
Olivier Käser, è il responsabile della produzione di patate che sono usate per tutti i prodotti della Bischofszell Alimentari SA; è molto esigente riguardo alla qualità delle Farm Chips e vuole solo il meglio
Croccante varietà L’assortimento di Farm Chips è composto da cinque diverse versioni, disponibili per tutto l’anno. Inoltre saranno disponibili anche delle Limited Edition con degli aromi particolari. Anche dei sapori stagionali come l’aglio orsino arricchiranno temporaneamente l’assortimento.
Testo Ralf Kaminski, Foto Daniel Kellenberger
M-Industria
Farm Chips è nata così La Bischofszell Alimentari SA, abbreviato in «Bina», è stata fondata 110 anni fa. Inizialmente venivano venduti solo frutta secca e prodotti essiccati.
Concorso
Domanda: Tra le altre cose, con cosa vengono aromatizzate le Farm Chips alle erbe aromatiche svizzere?
Dal 1945 l’impresa è diventata parte dell’industria Migros.
Rispondete ala domanda e vincete una carta regalo Migros. Verranno sorteggiate carte regalo del valore complessivo di 500 franchi.
Oggi la Bina è uno tra i principali produttori di prodotti Convenience, prodotti a base di frutta, pasti precotti e bibite, sia per il commercio al dettaglio, sia per l’industria, i rivenditori all’ingrosso e l’esportazione.
Per partecipare: www.noifirmiamo-noigarantiamo.ch
L’azienda produce complessivamente più di 1000 diversi prodotti. Dal 1966 fanno parte dell’assortimento anche le patatine chips. La Bina ne produce più di 30 tipi diversi tra cui le Farm Chips alle erbe svizzere. Una patata su tre in Svizzera viene lavorata da Bina. Ogni anno 15 milioni di pacchetti di patatine lasciano lo stabilimento di produzione di Bischofszell.
Farm Chips alle Erbe svizzere 150 g Fr. 2.80
In un primo momento le patate possono sembrare tutte uguali, ma Olivier Käser (47) sa che non è così. Il capo del dipartimento di coltivazione della Bischofszell Alimentari SA è molto esigente quando si tratta della scelta del tubero per la produzione delle Farm Chips: «Generalmente per produrre delle chips croccanti è necessario che la patata abbia un alto contenuto di amido. Inoltre le patate
devono avere dimensioni e forme regolari», spiega Käser. La produzione delle Farm Chips, per cui vengono usate esclusivamente patate svizzere, pone alcune difficoltà in più rispetto alle altre. Infatti esse devono essere tagliate più spesse e ancora con la buccia. «In questa produzione la patata come materia prima è ancora più importante»
dice Käser, che ha studiato Agronomia al politecnico di Zurigo. L’alto contenuto di amido rende queste patate molto soggette alla rottura. «Il lavoro dei contadini deve essere molto preciso e scrupoloso». Per questo motivo l’esperto di patate visita i campi in prima persona un paio di volte ogni stagione. «Generalmente, quando ci sono dei problemi: in questo modo possiamo valutare
insieme cosa è possibile fare». Spesso ci occupiamo di temi come la gestione delle erbe infestanti, il mantenimento delle sostanze nutritive, l’invasione di parassiti, le condizione del suolo o il rifornimento idrico. «A volte alcune patate non possono essere utilizzate per la produzione di chips ma vengono impiegate in altri modi». Particolarmente adatte a diventare delle patatine chips sono per esempio la Lady
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Cosce di pollo Optigal, 4 pezzi al naturale e speziate, Svizzera, per es. speziate, al kg, 7.80 invece di 14.–
Entrecôte di vitello TerraSuisse Svizzera, al banco a servizio, per 100 g
20%
6.30 invece di 7.90 Entrecôte di cervo Nuova Zelanda, imballato, per 100 g
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30%
8.40 invece di 12.– Bratwurst di vitello Olma Svizzera, in conf. da 4 x 160 g
HIT DELLA SETTIMANA PER IL GRILL.
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3.80 invece di 5.20 Filetti di sogliola limanda imballati in filiale / Atlantico nord-orientale, per 100 g, fino al 8.9
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3.85 invece di 5.80 Filetto di maiale M-Classic al naturale in conf. speciale Svizzera, per 100 g
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3.90 invece di 4.90 Zucchine bio Ticino, imballate, al kg
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2.85 invece di 3.90 Pomodori a grappolo Ticino, al kg
20% Tutte le rose dell'altopiano Fairtrade, mazzo da 9 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 50 cm, per es. fucsia, il mazzo, 13.50 invece di 16.90
20%
3.90 invece di 4.90 Fagiolini verdi Svizzera, imballati, 500 g
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5.25 invece di 7.90
4.10 invece di 5.15
Carne secca prodotta in Svizzera con carne della Germania, affettata in vaschetta, per 100 g
Prosciutto affumicato bio in conf. speciale Svizzera, per 100 g
conf. da 2
30%
45%
2.10 invece di 3.05
2.30 invece di 4.20 Fichi blu Turchia/Grecia, vaschetta da 500 g
20% Tutti i crisantemi, vaso, Ø 19 cm disponibili in diversi colori, per es. arancione, il pezzo, 7.90 invece di 9.90
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.9 AL 10.9.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Prosciutto cotto TerraSuisse in conf. da 2 per 100 g
33%
3.90 invece di 5.90 Uva Italia Sélection Italia, sciolta, al kg
20%
1.80 invece di 2.30 Sbrinz in self-service, per 100 g
30%
1.35 invece di 1.95 Formagín ticinés (Formaggini ticinesi) prodotti in Ticino, in self-service, per 100 g
conf. da 3
conf. da 12
20%
20%
3.45 invece di 4.35 Mozzarella Alfredo in conf. da 3 3 x 150 g
12.45 invece di 15.60 Latte M-Drink Valflora UHT in conf. da 12 12 x 1 l
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. te r e p io m r a p is r te r Le nostre offe – .4 0
di riduzione
2.60 invece di 3.– Pane Wellness bio 310 g
Hit
2.95
Salse per insalata Thomy disponibili in diverse varietà, 450 ml, per es. French alle erbe aromatiche
1.–
di riduzione Chips Zweifel da 175 g, 180 g e 280 g per es. alla paprica, 280 g, 4.70 invece di 5.70
CONSIGLIO VARIETÀ VEGETARIANA
Con la variante a base di quorn si rinuncia alla carne, ma non al gusto delle scaloppine! Sempre senza carne, è possibile preparare anche curry, tacos e vol-au-vent. Questa e altre ricette vegetariane vi aspettano su migusto.ch/vegi
conf. da 2
20% Prodotti Cornatur in conf. da 2 per es. fettine di quorn al pepe e al limone, 2 x 220 g, 8.80 invece di 11.–
conf. da 4
25% Tortine in conf. da 4 per es. all'albicocca, 4 x 75 g, 3.75 invece di 5.–
conf. da 3
conf. da 3
20%
33%
Legumi M-Classic in conf. da 3 fagioli kidney, ceci o fagioli borlotti, per es. ceci, 3 x 250 g, 2.85 invece di 3.60
Cavolo rosso e crauti al vino Masshard in conf. da 3 per es. cavolo rosso, 3 x 500 g, 3.90 invece di 5.85
conf. da 3
20%
7.40 invece di 9.30 Fol Epi in conf. da 3 3 x 150 g
conf. da 3
conf. da 2
20%
25%
Pasta bio in conf. da 3 per es. agnolotti all’arrabbiata, 3 x 250 g, 11.70 invece di 14.70
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.9 AL 10.9.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Menu Anna’s Best in conf. da 2 per es. chicken satay, 2 x 400 g, 11.70 invece di 15.60
20% Tutto l'assortimento Sarasay per es. succo d’arancia, Fairtrade, 1 l, 2.30 invece di 2.90
50% Tutti i tipi di Pepsi e Schwip Schwap in conf. da 6 x 1,5 l per es. Pepsi Max, 5.50 invece di 11.–
Hit
1.50
Pipe M-Classic in conf. speciale 1 kg
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conf. da 2
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15% Blévita in conf. da 2 x 228 g con contenitore in omaggio, per es. al sesamo, 5.65 invece di 6.70
Kellogg’s in conf. da 2 Special K, Choco Tresor o Chocos, per es. Special K, 2 x 500 g, 7.75 invece di 9.70
a par tire da 2 pe z zi
20%
Tutte le vaschette Crème d’or 750 ml e 1000 ml, a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione
20% Tutti i tipi di olio e aceto bio per es. olio d’oliva italiano, 500 ml, 7.80 invece di 9.80
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50%
Branches Classic o Noir Frey e Branches Eimalzin in conf. da 50, UTZ per es. Eimalzin, 50 pezzi, 14.50 invece di 29.–
conf. da 2
20% Tutto il riso bio da 1 kg (Alnatura escluso), per es. riso integrale Natura, 2.60 invece di 3.30
40%
14.55 invece di 24.30 Gamberetti tail-on Pelican cotti, ASC surgelati, 750 g
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 4.9 AL 10.9.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
20%
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17.60 invece di 22.–
Tutti i cereali in chicchi, i legumi, la quinoa e il couscous bio per es. quinoa bianca Fairtrade, aha!, 400 g, 3.95 invece di 4.95
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8.40 invece di 16.80 Chicken Nuggets Don Pollo in conf. speciale surgelati, 1 kg
Nescafé De Luxe e Finesse in conf. da 2 bustina, 2 x 180 g, per es. De Luxe
20% Tutti i biscotti in sacchetto Midor (Tradition esclusi), per es. bastoncini alle nocciole, 270 g, 2.10 invece di 2.65
20% Tutto il caffè Caruso, in chicchi e macinato, da 500 g e da 1 kg, UTZ per es. Imperiale Crema in chicchi, 1 kg, 12.15 invece di 15.20
a par tire da i 2 confezion
20%
Tutto l’assortimento di tisane Klostergarten a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione
20% Intero assortimento di alimenti per cani Asco per es. stick di manzo, 20 pezzi, 1.45 invece di 1.85
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Prodotti per la cura del viso e del corpo Nivea in conf. da 2 per es. struccante per occhi per trucco resistente all’acqua, 2 x 125 ml, 9.25 invece di 11.60, offerta valida fino al 17.9.2018
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Calzini per bebè in conf. da 7 disponibili in diversi colori e misure, per es. lime, numeri 23–26, offerta valida fino al 17.9.2018
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Prodotti Handymatic Supreme in confezioni speciali per es. pastiglie All in 1, 84 pastiglie, 19.60 invece di 28.25, offerta valida fino al 17.9.2018
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33% Ammorbidenti Exelia in set da 2 flacone e confezione di ricarica, per es. all'orchidea, 2 x 1,5 l, 8.70 invece di 13.–, offerta valida fino al 17.9.2018
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12.30 invece di 24.60 Carta per fotocopie Papeteria in conf. da 3, FSC bianca, 80 g/m², 3 x 500 fogli, offerta valida fino al 17.9.2018
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Idee e acquisti per la settimana
Conoscenze
Tanto movimento, erba fresca e allevamento rispettoso della specie
Manzo da pascolo Migros-Bio
Una carne tenera e gustosa
I manzi da pascolo apprezzano la libertà di movimento. Gli animali trascorrono in estate almeno otto ore al giorno al pascolo.
I manzi da pascolo bio crescono in modo naturale e possono uscire all’aperto in qualsiasi momento della giornata. Questo metodo d’allevamento responsabile e rispettoso garantisce una carne di elevata qualità. Il manzo da pascolo Migros-Bio è disponibile nelle maggiori filiali Migros in diversi tagli Testo Melanie Michael
I manzi che possono muoversi liberamente sul pascolo, crescono lentamente e sviluppano quindi una carne di prima qualità. Secondo uno studio del Politecnico Federale di Zurigo, la carne di manzo da pascolo svizzera fornisce più acidi grassi essenziali Omega-3, rispetto a quella convenzionale. È ben marmorizzata, ha un sapore intenso e perde pochissima acqua durante la cottura. Per questo motivo risulta molto tenera. Durante il periodo vegetativo, dalla primavera all’autunno, questi bovini devono essere lasciati liberi al pascolo almeno otto ore ogni giorno, per nutrirsi di erba fresca. Il resto del tempo lo trascorrono in stalle conformi alle loro esigenze dove possono uscire all’aperto. Dalla fine dell’autunno ricevono fieno o erba prodotti dell’azienda stessa.
Disponibilità Il manzo da pascolo è disponibile regionalmente in diversi tagli.
4
3
1 2 I manzi da pascolo trascorrono la maggior parte del tempo all’aperto cibandosi di erba fresca e di erbe aromatiche. In inverno hanno accesso ad uno spazio all’aperto e ricevono foraggio biologico.
1
Spezzatino di manzo da pascolo Migros-Bio 100 g* Fr. 3.05
2
Sminuzzato di manzo da pascolo Migros-Bio 100 g* Fr. 4.30
3
Bistecche di manzo da pascolo Migros-Bio 100 g* Fr. 5.60
4
Entrecôte di manzo da pascolo Migros-Bio 100 g* Fr. 8.80
*Nelle maggiori filiali
Con il suo impegno per la sostenibilità Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 settembre 2018 • N. 36
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Idee e acquisti per la settimana
Conoscenze
Tanto movimento, erba fresca e allevamento rispettoso della specie
Manzo da pascolo Migros-Bio
Una carne tenera e gustosa
I manzi da pascolo apprezzano la libertà di movimento. Gli animali trascorrono in estate almeno otto ore al giorno al pascolo.
I manzi da pascolo bio crescono in modo naturale e possono uscire all’aperto in qualsiasi momento della giornata. Questo metodo d’allevamento responsabile e rispettoso garantisce una carne di elevata qualità. Il manzo da pascolo Migros-Bio è disponibile nelle maggiori filiali Migros in diversi tagli Testo Melanie Michael
I manzi che possono muoversi liberamente sul pascolo, crescono lentamente e sviluppano quindi una carne di prima qualità. Secondo uno studio del Politecnico Federale di Zurigo, la carne di manzo da pascolo svizzera fornisce più acidi grassi essenziali Omega-3, rispetto a quella convenzionale. È ben marmorizzata, ha un sapore intenso e perde pochissima acqua durante la cottura. Per questo motivo risulta molto tenera. Durante il periodo vegetativo, dalla primavera all’autunno, questi bovini devono essere lasciati liberi al pascolo almeno otto ore ogni giorno, per nutrirsi di erba fresca. Il resto del tempo lo trascorrono in stalle conformi alle loro esigenze dove possono uscire all’aperto. Dalla fine dell’autunno ricevono fieno o erba prodotti dell’azienda stessa.
Disponibilità Il manzo da pascolo è disponibile regionalmente in diversi tagli.
4
3
1 2 I manzi da pascolo trascorrono la maggior parte del tempo all’aperto cibandosi di erba fresca e di erbe aromatiche. In inverno hanno accesso ad uno spazio all’aperto e ricevono foraggio biologico.
1
Spezzatino di manzo da pascolo Migros-Bio 100 g* Fr. 3.05
2
Sminuzzato di manzo da pascolo Migros-Bio 100 g* Fr. 4.30
3
Bistecche di manzo da pascolo Migros-Bio 100 g* Fr. 5.60
4
Entrecôte di manzo da pascolo Migros-Bio 100 g* Fr. 8.80
*Nelle maggiori filiali
Con il suo impegno per la sostenibilità Migros è da generazioni in anticipo sui tempi.
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Idee e acquisti per la settimana
Pane del mese
Un grano dal cuore originario
Maggiori informazioni sul tema pane: www.migros.ch/ pane
Al suo esterno il pane di grano duro è croccante e rustico, all’interno arioso e leggero. Solamente nel corso di questo mese viene preparato nelle panetterie della casa Migros Testo Claudia Schmidt; Foto Veronika Studer, Gaetan Bally
È risaputo che la varietà è il sale della vita e anche per questo motivo i pani del mese hanno sempre un grande successo. A settembre ci pensa il pane di grano duro a portare bramosia nel reparto. Arioso e leggero, con una crosta croccante, è adatto ad accompagnare ogni pasto nel corso della giornata: con confettura, con formaggio, per preparare un panino o per abbinarsi a insalate e minestre. La farina ricavata dal cereale originario
del grano duro conferisce al pane un’appetitosa colorazione tendente al giallo e contribuisce nel contempo a rendere croccante la crosta. «L’impasto con il grano duro risulta molto elastico. L’alto contenuto proteico della farina assicura aria un impasto arioso e la conseguente capacità del pane di mantenere la forma rustica», spiega Marcel Huber, responsabile della panetteria della casa della filiale Migros di Uznach (vedi intervista a destra).
Serie Specialità dalle panetterie Migros Attualmente: Pane di grano duro Marcel Huber (50) è responsabile della panetteria della casa della filiale Migros di Uznach, SG, ed è uno dei circa 900 professionisti che nelle 130 panetterie della casa fanno in modo che il pane appena sfornato e ancora caldo sia disponibile fino all’orario di chiusura.
Marcel Huber
«Chiaro o scuro, il cliente può scegliere» Il pane di grano duro, come suggerisce il nome, è preparato con farina di frumento duro. Cosa ha di particolare questo cereale?
Conferisce al pane una mollica con una colorazione che tende leggermente al giallo. Inoltre il grano duro è ricco di proteine. Ciò rende molto elastico l’impasto, motivo per cui questo cereale viene spesso utilizzato per preparare la pasta. Come è arrivato alla professione di panettiere?
Avevamo una panetteria e un ristorante. Sono cresciuto vicino al forno. Andavo ancora a scuola e già talvolta il venerdì notte infornavo il pane. Era chiaro: sarei diventato panettiere. Qual è il suo pane preferito?
Pane di grano duro 360 g Fr. 3.20 Disponibile in tutte le filiali Migros con panetteria della casa
Il pane bigio delle panetterie della casa, perché può essere utilizzato in ogni occasione: con burro, confettura, minestre o insalate, così come per la fondue. La domenica però non c’è niente di meglio di una treccia. Prepara da sé la treccia?
Sì, ma solo in panetteria. A casa poi la inforno nuovamente per due o tre minuti a 180 gradi per avere una crosta
croccante, mentre la mollica rimane fredda, altrimenti non posso spalmare il burro. Quale pane preferisce preparare?
Ancora una volta il pane bigio delle panetterie della casa. Così posso decidere se toglierlo dal forno quando è ancora chiaro o aspettare che diventi più scuro. Così il cliente può scegliere, dal momento che il sacchetto permette di vedere quanto è intensa la cottura del pane. Qual è l’errore imperdonabile durante la preparazione del pane?
Quando si dimentica il sale. Lo si nota però quasi subito, perché l’impasto lievita troppo in fretta. Il sale ha anche il compito di regolare la lievitazione del pane. Se si dimentica il sale, cosa che in pratica a ognuno capita al massimo una volta durante la formazione, il pane sembra cartone. E a quel punto cospargere di sale non è più di aiuto. Quali sono i tipi di pane preferiti nella vostra panetteria della casa?
Il pane bigio, che in questa parte del paese è particolarmente apprezzato. E la corona croccante, che qui come altrove è tra i prodotti che vanno per la maggiore.
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Pane del mese
Un grano dal cuore originario
Maggiori informazioni sul tema pane: www.migros.ch/ pane
Al suo esterno il pane di grano duro è croccante e rustico, all’interno arioso e leggero. Solamente nel corso di questo mese viene preparato nelle panetterie della casa Migros Testo Claudia Schmidt; Foto Veronika Studer, Gaetan Bally
È risaputo che la varietà è il sale della vita e anche per questo motivo i pani del mese hanno sempre un grande successo. A settembre ci pensa il pane di grano duro a portare bramosia nel reparto. Arioso e leggero, con una crosta croccante, è adatto ad accompagnare ogni pasto nel corso della giornata: con confettura, con formaggio, per preparare un panino o per abbinarsi a insalate e minestre. La farina ricavata dal cereale originario
del grano duro conferisce al pane un’appetitosa colorazione tendente al giallo e contribuisce nel contempo a rendere croccante la crosta. «L’impasto con il grano duro risulta molto elastico. L’alto contenuto proteico della farina assicura aria un impasto arioso e la conseguente capacità del pane di mantenere la forma rustica», spiega Marcel Huber, responsabile della panetteria della casa della filiale Migros di Uznach (vedi intervista a destra).
Serie Specialità dalle panetterie Migros Attualmente: Pane di grano duro Marcel Huber (50) è responsabile della panetteria della casa della filiale Migros di Uznach, SG, ed è uno dei circa 900 professionisti che nelle 130 panetterie della casa fanno in modo che il pane appena sfornato e ancora caldo sia disponibile fino all’orario di chiusura.
Marcel Huber
«Chiaro o scuro, il cliente può scegliere» Il pane di grano duro, come suggerisce il nome, è preparato con farina di frumento duro. Cosa ha di particolare questo cereale?
Conferisce al pane una mollica con una colorazione che tende leggermente al giallo. Inoltre il grano duro è ricco di proteine. Ciò rende molto elastico l’impasto, motivo per cui questo cereale viene spesso utilizzato per preparare la pasta. Come è arrivato alla professione di panettiere?
Avevamo una panetteria e un ristorante. Sono cresciuto vicino al forno. Andavo ancora a scuola e già talvolta il venerdì notte infornavo il pane. Era chiaro: sarei diventato panettiere. Qual è il suo pane preferito?
Pane di grano duro 360 g Fr. 3.20 Disponibile in tutte le filiali Migros con panetteria della casa
Il pane bigio delle panetterie della casa, perché può essere utilizzato in ogni occasione: con burro, confettura, minestre o insalate, così come per la fondue. La domenica però non c’è niente di meglio di una treccia. Prepara da sé la treccia?
Sì, ma solo in panetteria. A casa poi la inforno nuovamente per due o tre minuti a 180 gradi per avere una crosta
croccante, mentre la mollica rimane fredda, altrimenti non posso spalmare il burro. Quale pane preferisce preparare?
Ancora una volta il pane bigio delle panetterie della casa. Così posso decidere se toglierlo dal forno quando è ancora chiaro o aspettare che diventi più scuro. Così il cliente può scegliere, dal momento che il sacchetto permette di vedere quanto è intensa la cottura del pane. Qual è l’errore imperdonabile durante la preparazione del pane?
Quando si dimentica il sale. Lo si nota però quasi subito, perché l’impasto lievita troppo in fretta. Il sale ha anche il compito di regolare la lievitazione del pane. Se si dimentica il sale, cosa che in pratica a ognuno capita al massimo una volta durante la formazione, il pane sembra cartone. E a quel punto cospargere di sale non è più di aiuto. Quali sono i tipi di pane preferiti nella vostra panetteria della casa?
Il pane bigio, che in questa parte del paese è particolarmente apprezzato. E la corona croccante, che qui come altrove è tra i prodotti che vanno per la maggiore.
CH11529_TRADE ANNOUNCE COLO GARNIER-OAP KW36 E5 VECTO HD.pdf
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23/08/2018
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Idee e acquisti per la settimana
Handy
Un sessantenne sempre fresco e affidabile Uno dei detersivi per stoviglie più apprezzati in Svizzera festeggia il suo 60° compleanno: Handy. Chi lo utilizza, lo apprezza anche per la confezione maneggevole dal design di tendenza e retrò. Oggi si vendono annualmente circa quattro milioni di confezioni. La formula è rimasta in larga misura immutata fin dalla sua apparizione sul mercato, nel 1958. Così come in passato Handy provvede a un pulito immediato, stoviglie senza aloni, un profumo discreto, si prende cura delle mani ed è biodegradabile.
1958 In origine Handy era «pour tout», vale a dire un detergente multiuso, a quei tempi uno tra i primi in forma liquida.
Azione Handy in confezione tripla (3 x 750 ml) Fr. 4.55 invece di 5.40 incluso 1 asciugapiatti gratuito dal 3 al 15.9
1961 La confezione Handy ha una nuova forma, sostanzialmente mantenuta fino a oggi.
1976 La confezione diventa più slanciata. I puntini rappresentano la schiuma, che promette una pulizia impeccabile. La confezione Handy con la stampa del logo del giubileo 750 ml Fr. 1.80
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche il detersivo per i piatti Handy.
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Idee e acquisti per la settimana
Handymatic
Soluzione pulita Una novità dell’assortimento Handymatic Classic lo rende possibile: per pulire la lavastoviglie non è più necessario un ciclo di lavaggio supplementare. Basta collocare una pastiglia del detergente per lavastoviglie Handymatic Classic sul fondo dell’apparecchio carico e aggiungere come d’abitudine l’apposito detersivo. È sufficiente l’utilizzo una volta al mese. La pastiglia per pulire la lavastoviglie libera l’apparecchio da grasso, sporco e calcare e conferisce un profumo fresco e gradevole.
Basta collocare in tutta semplicità una pastiglia sul fondo della lavastoviglie carica e il gioco è fatto.
Detergente per lavastoviglie Handymatic Classic 3 pastiglie da 20 g Fr. 7.50 M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche i detergenti per lavastoviglie di Handymatic.
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