Azione 36 del 31 agosto 2020

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio E se il rap non fosse poi così lontano dalla lirica? Al Caffè delle mamme si parla di una particolare sfida didattica

Ambiente e Benessere Lo psichiatra e psicoterapeuta Michele Mattia e il gastroenterologo Florian Bihl spiegano la stretta correlazione che esiste fra mente e tratto gastrointestinale

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIII 31 agosto 2020

Azione 36 Politica e Economia La Turchia di Erdoğan è il nuovo nemico di Gerusalemme

Cultura e Spettacoli Pubblicato per la prima volta in italiano Gli ebrei di Colonia del tedesco Wilhelm Jensen

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Un nuovo anno con la Scuola Club

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Svizzera-Cina, svolta in vista? di Peter Schiesser La Svizzera modificherà la sua posizione verso la Cina? Entro fine anno il ministro degli esteri Ignazio Cassis sottoporrà al Consiglio federale una nuova strategia, ma in un’intervista al «Sonntagsblick» del 2 agosto ha già lanciato alcuni segnali: ora che la Cina ha deviato dal cammino verso un’apertura dobbiamo difendere in modo più robusto i nostri interessi e i nostri valori, ha detto. Cassis poteva restare indifferente di fronte ad un peggioramento dello stato dei diritti umani (un milione di uiguri in campi di rieducazione) e di un crescente controllo sulla popolazione, anche ad Hong Kong ora, con la nuova legge sulla sicurezza nazionale in vigore dal 1. luglio? Le dichiarazioni fatte al giornale (riprese anche in Cina) danno indicazioni sulla sua posizione, non su quella del Consiglio federale, che affronterà il tema quando verrà presentata la nuova strategia. Di certo, hanno destato sorpresa al Dipartimento dell’economia pubblica di Guy Parmelin: la posizione del suo dipartimento, leggo sulla NZZ, è di tenere separate le questioni economiche (quindi l’accordo di libero scambio con Pechino) da quelle sul rispetto dei diritti umani

e dello stato di diritto. Non sappiamo se la nuova strategia che il Dipartimento di Cassis sta elaborando intenda mettere in discussione proprio questa dualità, ma senza dubbio è quanto sta chiedendo da tempo il partito socialista: secondo il consigliere nazionale Fabian Molina, la Cina ha una strategia chiara e vi subordina ogni mezzo, militare economico culturale, in Svizzera invece i dipartimenti federali e i 26 cantoni seguono ognuno una propria agenda. È quindi tempo di parlare con una voce sola e di definire una posizione coerente. Vedremo a fine anno che cosa dirà il Consiglio federale. Sarà una decisione sofferta, come sempre lo è quando sono in gioco interessi economici. Ma è lo stesso dilemma che sta vivendo l’Europa intera (anche con la Russia, Germania per prima): si è consapevoli che l’apertura cinese al capitalismo offre vantaggi economici all’Occidente, ma con il presidente a vita Xi Jinping la Cina ha rivelato al mondo le sue mire imperialiste, per cui ogni affare concluso con Pechino rafforza questo disegno. E gli Stati Uniti, in rotta di collisione con la Cina, stanno prendendo contromisure, l’esempio più lampante è l’ostracismo verso Huawei, leader mondiale nel 5 G. La strategia USA è chiara: la Cina è forte perché l’abbiamo resa forte noi,

accettando che rubasse know how tecnologico, tacendo di fronte al suo rude imperialismo e alle violazioni delle regole del commercio mondiale, ma possiamo ancora opporci ed evitare che la Cina diventi la prima potenza mondiale. E grazie alla politica di Donald Trump (bisogna ammetterlo) qualcosa sta succedendo. È poi così irresistibile la Cina? Junhua Zhang, dell’Istituto europeo di studi asiatici, analizza in un articolo sulla NZZ (25.8.20) le convinzioni dell’élite cinese: di superare presto gli Stati Uniti (economicamente), che la Cina come fabbrica del mondo è imprescindibile, che è tecnologicamente più avanti dell’Occidente, che la forza della Cina permette oggi di punire chi le si oppone. Vero solo in parte: se l’Occidente non permetterà più i furti tecnologici, se si opporrà con forza alle pressioni, se abbandonerà la Cina quale porto manufatturiero, la Cina non sarà più così forte. Trump e la pandemia hanno generato un processo di de-globalizzazione che penalizzerà Pechino: oggi numerose grandi aziende occidentali stanno spostando le loro linee di produzione in altri paesi asiatici o le riportano negli Stati Uniti (oggi la robotizzazione rende vantaggiosa la produzione anche in Occidente). Anche la Svizzera dovrà prendere atto di queste nuove condizioni.


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