Azione 39 del 24 settembre 2018

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 24 settembre 2018

Azione 39 -75 ping M shop ne 45-54 / 67 i alle pag

Società e Territorio Il bisogno di raccontare è insito nella natura umana ma dal resoconto alla diceria il passo è breve

Ambiente e Benessere Una visita alla città dei diamanti: Anversa possiede una tradizione unica al mondo, in un settore «prezioso» dell’economia

Politica e Economia Con la Pace di Vestfalia, nel 1648, finisce la Guerra dei Trent’anni e nasce lo Statonazione

Cultura e Spettacoli In un libro di Adelphi lo speciale rapporto dei popoli siberiani con la caccia

pagina 14

pagina 25

pagina 2

pagina 33

di Lucio Caracciolo pagina 23

Keystone

L’uomo al comando è isolato

Un caleidoscopio di sfide di Peter Schiesser Dopo aver letto su «Foreign Affairs» un’analisi del mondo in cui viviamo da sei prospettive diverse, mi sono detto che forse è giunta l’ora di uscire dal sonno di bell’addormentato nel benessere e di rendersi conto dei profondi mutamenti in atto, che si intersecano, si sovrappongono, si condizionano a vicenda. Non per sprofondare nella depressione o in un cupo pessimismo, bensì per prepararsi alle sfide epocali che ci attendono, sia noi adulti che abbiamo creduto di poter godere di un contesto stabile a vita, sia i più giovani per i quali, il contesto, stabile non lo è più da un po’. «Foreign Affairs» approfondisce sei temi: l’eterno scontro-confronto fra potenze mondiali, quindi l’importanza della geopolitica classica; l’ordinamento liberale di fronte alle democrazie illiberali, ai vari nazionalismi e sovranismi; la sotterranea ma capitale importanza del tribalismo, insito in ogni gruppo e società, sulla politica nazionale; una critica al capitalismo dal punto di vista marxista; l’inesorabile affermazione dell’intelligenza artificiale a partire dalla metà di questo secolo (al cui confronto le eccellenze tecnologiche e informa-

tiche di oggi sembreranno giocattoli per bambini) il cui influsso sarà superiore a quello della rivoluzione industriale da cui deriva tutto il nostro sistema economico-politico-sociale-culturale; l’impatto dei cambiamenti climatici sulla vivibilità del pianeta per gli esseri umani. E ditemi se il presente non offre spunti drammatici in ognuno di questi campi (eccetto quello dell’intelligenza artificiale, che ancora ci sfugge come concetto). La guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina, potremmo dire fra l’America trumpiana e il resto del mondo, le rumorose democrazie illiberali turca e ungherese e la ruggente autocrazia russa, la tribù nazionale che si serra attorno a Matteo Salvini nella difesa dell’identità italiana di fronte all’«invasione» dei migranti che attraversono il Mediterraneo, la globalizzazione che in Occidente, da dove è partita, premia soprattutto i più ricchi (come è logico che sia nel capitalismo, secondo una lettura marxista) e tradisce le promesse di prosperità per tutti, la violenza della natura insita in tifoni da 300 chilometri all’ora, in piogge torrenziali che allagano improvvisamente vaste zone, le estati calde che si ripetono (16 dei 17 anni più caldi sono stati registrati dal 2001 ad oggi) sono fatti sotto gli occhi di tutti. Basterebbe una di queste sfide, invece sono presenti

tutte allo stesso momento, in qualche modo derivano le une dalle altre. E avranno un impatto enorme se non saranno gestite con una consapevolezza delle cause e delle conseguenze possibili. Attualmente, però, non si vedono all’orizzonte politici e governanti lungimiranti e con sufficiente potere per rispondere a queste sfide. Serviranno visioni e risorse immense: se l’intelligenza artificiale porterà le macchine e i robot a sostituirsi alle braccia e al cervello degli umani, come dovrà essere redistribuita la ricchezza in una società in cui saranno sempre meno le persone che lavorano? Come affrontare nel modo meno conflittuale possibile le migrazioni, in futuro ancor più acuite dalle emergenze ambientali date dai mutamenti climatici, ed evitare che il tribalismo e la difesa dell’identità di gruppo rovesci l’ordinamento politico democratico e liberale? Come coprire i costi dei cataclismi, dei trasferimenti forzati dovuti a siccità, scarsità di acqua, salinizzazione dei terreni? Ci vorrà un enorme sforzo di solidarietà e cooperazione internazionale, ma anche una nuova visione dello Stato, una ridefinizione degli equilibri di potere fra politica e economia, un nuovo ruolo per i cittadini. Un balzo in avanti, per evitare brutte cadute all’indietro.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Società e Territorio Archijeunes L’associazione si impegna a portare la cultura della costruzione nel sistema scolastico e nei settori della formazione dei docenti e della ricerca

Le bellezze del Grigionitaliano La Pro Grigioni italiano ha pubblicato un libro che invita a scoprire la Valposchiavo, la Bregaglia, la Mesolcina e la Calanca pagina 4

Il Tragitto ha una nuova sede Molte le novità previste da ottobre nel centro di socializzazione che si è spostato a Besso

Architettura e bambini

pagina 6

Archijeunes L’associazione ha lo scopo di promuovere la cultura

della costruzione coinvolgendo le nuove generazioni

pagina 3

Stefania Hubmann

Una diceria nasce e si diffonde quando su un evento mancano conoscenze razionali, ufficiali e istituzionalmente affidabili. (Marka)

Pare che… insomma è certo

Comunicazione Dal resoconto alla diceria il passo è breve: nel processo entrano in gioco preferenze linguistiche,

La cultura della costruzione è indispensabile per promuovere un uso consapevole del territorio all’insegna della qualità e va quindi promossa sin dall’infanzia ancorandola nel sistema educativo svizzero. È questo l’appello lanciato in una lettera aperta indirizzata in primis al Presidente della Confederazione Alain Berset al termine del simposio «La mediazione della cultura della costruzione come responsabilità sociale» svoltosi venerdì scorso a Zugo nell’ambito del LAB (Laboratorio per l’Architettura e la Cultura della costruzione per bambini e ragazzi). Redatta e firmata da cinque enti attivi nelle diverse regioni linguistiche nazionali in questo genere di mediazione – fra i quali anche i2a, istituto internazionale di architettura con sede a Lugano – la lettera pone l’accento sull’importanza che quanto promosso dalla società civile a livello locale sia sostenuto e rafforzato estendendolo al sistema educativo. Ciò significa non solo integrare la cultura della costruzione nel sistema scolastico ma anche nei settori della formazione dei docenti e della ricerca. L’iniziativa si inserisce in un contesto di promozione del concetto di cultura della costruzione che lo stesso Alain Berset ha lanciato lo scorso gennaio in occasione della Conferenza dei Ministri europei della cultura organizzata in margine al WEF (World Economic Forum) e culminata con l’adozione della Dichiarazione di Davos 2018. «L’approccio dell’iniziativa del Presidente della Confederazione – osserva Ludovica Molo, presidente della FAS (Federazione Architetti Svizzeri) e direttrice dell’istituto i2a – è di carattere umanistico in sintonia con gli obiettivi che promuoviamo quali mediatori. L’uomo, con i suoi bisogni psicologici

e sociali, è posto al centro della riflessione. Il territorio è un bene prezioso e limitato. Esso va difeso e utilizzato tenendo in considerazione queste esigenze allo stesso titolo di quelle di ordine economico e tecnico». È urgente, si legge nella Dichiarazione, affrontare l’ambiente costruito in maniera olistica e centrata sulla cultura. A questo scopo l’Ufficio Federale della Cultura (UFC) sta elaborando una strategia interdipartimentale federale per la promozione della cultura della costruzione. Per quanto riguarda le esigenze formative nelle scuole, non espressamente menzionate nel documento di Davos che fa però riferimento alla necessità della partecipazione della società civile come di un «pubblico pienamente informato, qualificato e sensibilizzato», l’UFC ha affidato all’associazione Archijeunes il compito di condurre un’indagine che dovrebbe concludersi il prossimo novembre. Archijeunes – firmataria con il già citato istituto i2a unitamente a SAM Musée Suisse d’Architecture, Konferenz Bildschulen Schweiz e Ville en tête della lettera aperta al Presidente Berset – è un progetto comune di FAS e SIA (Società Ingegneri Architetti) per «sensibilizzare il pubblico a considerare l’ambiente edificato come spazio vitale e indicare le svariate possibilità dell’organizzazione e della cura del nostro paesaggio culturale» (dagli statuti). L’associazione, nata nel 2008 con il nome di Spacespot, è stata rilanciata all’inizio di quest’anno con lo scopo di creare una rete per la mediazione della cultura della costruzione e il preciso intento di inserire il tema nei curricoli scolastici svizzeri. «In occasione del Simposio di Zugo abbiamo presentato ufficialmente la piattaforma www.archijeunes.ch – spiega Ludovica Molo – sulla quale sono riunite numerose unità didattiche

sulla cultura della costruzione suddivise per temi (ad esempio architettura, percezione dello spazio, fabbricati e strutture, paesaggio e pianificazione territoriale), età e competenze. Sono il frutto delle iniziative sviluppatesi negli ultimi anni un po’ in tutto il Paese dando vita, oltre che alla diffusione di tale cultura nelle nuove generazioni, a una rete impegnata che oggi sente la necessità di coordinare le attività e scambiare le conoscenze acquisite». Di questa rete fa parte anche l’istituto luganese, il cui settore didattico è in continuo sviluppo da una decina d’anni, godendo di ottimi riscontri di partecipazione come pure di visibilità. Malgrado la buona collaborazione con le autorità, la direttrice constata proprio sul campo che l’attività nelle scuole è solo sporadica. Ludovica Molo: «Le nostre proposte si confrontano con difficoltà di tipo finanziario e sono recepite al pari di altre iniziative culturali sottoposte agli insegnanti. Così come i bambini di oggi suddividono in maniera naturale i rifiuti in vista del loro riciclaggio per proteggere l’ambiente nel quale vivono, dovrebbero anche poter crescere acquisendo conoscenze e sensibilità legate alla costruzione e alle sue implicazioni in questo stesso ambiente». Il simposio di Zugo, inserito nel più ampio contesto di un Laboratorio dedicato alle nuove generazioni in corso fino al 3 ottobre (co-organizzato da Bau Forum Zug, Archijeunes, S AM Musée Suisse d’Architecture e Konferenz Bildschulen Schweiz), ha riunito una cinquantina di professionisti provenienti da tre settori chiamati ad una stretta collaborazione per promuovere la cultura della costruzione nelle scuole e nella società civile. Si tratta di architetti e ingegneri, di chi opera nella mediazione culturale e degli insegnanti.

Nel Laboratorio a Zugo i bambini imparano ad esplorare lo spazio. (K’werk Zug)

«È essenziale promuovere i legami fra questi settori coinvolgendo in particolare quello legato all’educazione», spiega Caspar Schärer, responsabile della comunicazione per Archijeunes. «Bisogna inoltre prendere a modello le esperienze già realizzate con successo altrove. Fra i relatori del simposio spiccava non a caso Verena Konrad, direttrice del Voralberger Architektur Institut (vai). L’Austria, oltre a disporre di programmi specifici a livello federale, conta regioni, come appunto il Voralberg, all’avanguardia nella promozione scolastica della cultura della costruzione». Quest’ultima comprende una grande diversità di temi che vanno ben oltre la questione estetica. Caspar Schärer: «Siamo consapevoli della complessità degli argomenti legati al mondo della costruzione, ma proprio per questo motivo è importante promuoverne la conoscenza sin dalla più tenera età. Capire le peculiarità e le dinamiche dei processi di progettazione, costruzione e pianificazione (dai meccanismi alle forze in gioco, al loro impatto) permette in seguito di prendere

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attitudini emozionali, simpatie o antipatie personali Massimo Negrotti Uno scrittore italiano, Giuseppe O. Longo, ha argutamente osservato che, bufali intenti a brucare e minacciati improvvisamente da un leone, generalmente fuggono in massa e, dopo un po’, si fermano ricominciando semplicemente a brucare. Anche gli uomini, di fronte alla stessa minaccia, fuggono ma, arrivati al villaggio più vicino, raccontano. Fra le varie manifestazioni del bisogno umano di esprimersi e di comunicare, quella che assume i caratteri del racconto è fra le più costanti nella storia e include non solo resoconti accurati su un evento, magari di ordine scientifico, ma anche miti, nei quali i fatti si mescolano con la fantasia, o fiabe in cui la fantasia gioca un ruolo esclusivo. Di quello che potremmo definire l’istinto del narrare si sono occupati antropologi come Claude Lévi-Strauss e filosofi come Jean-François Lyotard ma è soprattutto il primo ad aver colto la «causa» più persuasiva delle narrazioni mitiche. In buona sintesi, viene sottolineato che i miti hanno la funzione di dare risposta a quesiti o problemi che non si prestano a spiegazioni razionali. Sul piano sociologico le dicerie e le «voci» svolgono la stessa funzione

ma hanno una diversa natura. Infatti, mentre il mito può far riferimento ad entità immaginarie – basti pensare a figure come il Minotauro – le dicerie non escono dal recinto delle cose reali e delle informazioni al loro riguardo, anche se le pongono in relazione secondo modalità arbitrarie e quasi sempre non verificabili. Il caso, classico, degli untori di cui parla il Manzoni ne I promessi sposi, è interessante perché, forse per la pur vaga e iniziale atmosfera di apertura verso le scienze del secolo XVII, non chiama in causa entità sovrannaturali bensì un generico «unguento», cioè una possibile sostanza reale, ancorché sconosciuta, che, nelle mani di uomini cattivi, diffondeva la peste. L’idea di quell’unguento costituiva in fondo una ipotesi che, peraltro, era stata avanzata anche da vari «dottori» del tempo. Naturalmente non si trattava di un unguento bensì di un batterio e la malefica volontà umana non aveva alcun ruolo. La differenza fra un’ipotesi e una semplice diceria è, semmai, il fatto che, mentre un’ipotesi attende la verifica sperimentale, una diceria vive di vita propria ed è ritenuta «vera» senza alcun bisogno di controllo. In definitiva una diceria nasce, si sviluppa e si diffonde quando, su un certo evento, mancano conoscenze ra-

zionali e ufficiali, dunque dichiarazioni istituzionalmente affidabili. Nelle dicerie, soprattutto in quelle che vertono su episodi negativi come omicidi o stragi, ma anche degenerazioni ambientali, fenomeni epidemici e persino crisi economiche gravi, le informazioni e le insinuazioni, all’origine magari poste in termini pacati, passando di bocca in bocca raccolgono a valanga il «contributo» di numerosi attori finendo per divenire verità pubbliche assodate. Un linciaggio avviene quando il fenomeno comunicativo si sviluppa in brevissimo tempo, all’interno di una folla. Molto interessante è, quindi, il processo attraverso il quale un resoconto prende la forma di una diceria. Nel suo sviluppo, in effetti, entrano in gioco le nostre preferenze linguistiche, le nostre attitudini emozionali e, inutile dirlo, le nostre simpatie o antipatie. A metterlo in luce per la prima volta è stato il famosissimo esperimento di Gordon Allport e Leo Postman negli anni 40 del secolo scorso. Essi dissero ad un soggetto che, in un vagone della metropolitana, vi era un bianco malvestito e con l’aria da teppista, dalla tasca del quale si vedeva sporgere il manico di un coltello. A fianco di costui c’era un uomo di colore ben vestito che portava una elegante valigetta. Il soggetto

al quale era stata data questa informazione doveva semplicemente comunicarla ad un altro soggetto e così via per un certo numero di passaggi. Alla fine della catena, il resoconto fu che l’uomo di colore brandiva minacciosamente il coltello davanti al bianco indifeso. Il resoconto, come è facile immaginare, era stato modificato step by step dall’aggiunta di aggettivi, di avverbi, dall’eliminazione e dall’aggiunta di elementi linguistici che avevano gradualmente ma, alla fine, radicalmente modificato la descrizione originaria. Nelle dicerie avviene la stessa cosa: un’espressione come «…pare che Tizio abbia visto…» diviene «…Tizio ha visto…», oppure «…probabilmente la causa è stata…» diviene certezza col dire «…la causa è stata…» oppure «…Tizio era abbastanza irritato…» diviene «… Tizio era visibilmente furioso…» e così via. Il giornalismo, soprattutto la cronaca, è piena di mutazioni di questo genere e ciò non fa che confermare quanto Pirandello aveva sostenuto lamentando che, anche sul piano letterario, «avvenuto il passaggio da uno spirito all’altro, le modificazioni sono inevitabili». Naturalmente tutto questo rende spesso assai difficile il lavoro dei giudici allorché, di fronte a testimonianze diverse fra loro, devono accertare se e

quale versione dei fatti sia affidabile. Ciò avviene costringendo il testimone a limitare le sue risposte a semplici «sì» o «no» ma tale nettezza logica può contrastare con la ricchezza linguistica, cioè gli aggettivi, gli avverbi e lo stile discorsivo con cui viene posta la domanda. Su molte questioni la garanzia proviene dalla scienza ma, anche qui, quando una ricerca scientifica arriva ad una conclusione provvisoria e probabilistica in attesa di future convalide, la sua diffusione nei mass media e nei circoli privati genera spesso inesorabilmente la trasformazione dell’ipotesi in verità acquisita. E la ragione è sempre la stessa, ossia la nostra insofferenza per l’incertezza e le probabilità, che ci spinge a stabilire con convinzione come stanno le cose saltando a piè pari i «dettagli» del rigore degli accertamenti. Può sembrare paradossale e deludente, ma la nostra attuale società, nonostante la sua auto-definizione come «società della conoscenza», di fronte alla sempre più evidente complessità e indeterminabilità di numerosi aspetti della nostra esistenza individuale e collettiva, agisce e reagisce ancora oggi nel quadro di pulsioni e ingenuità che, fra urban legend, dicerie e rumor ci pongono non raramente sullo stesso piano, e per le stesse ragioni, dei popoli più primitivi.

parte alla pari a una discussione critica. Le decisioni sull’uso del territorio rivestono un’importanza tale da giustificare gli investimenti nella relativa formazione delle nuove generazioni». Per i nostri interlocutori la cultura della costruzione, di primaria importanza, necessita maggiore diffusione e soprattutto di essere inserita nelle competenze di base che si acquisiscono durante l’iter scolastico obbligatorio. Solo in questo modo possono crescere nuove generazioni di cittadini in grado di discutere e partecipare ai processi decisionali in maniera critica, esigendo qualità concrete per l’ambiente nel quale vivono. Le iniziative di mediazione partite dal basso sono presenti nell’intera Svizzera, confrontate però con limiti finanziari. Nel loro appello alle autorità federali e cantonali gli enti promotori chiedono di agire affinché vengano messe a disposizione le risorse necessarie per promuovere la cultura della costruzione sia in ambito scolastico, sia nelle istituzioni di formazione extrascolastica, perché i due settori si completano a vicenda.

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Società e Territorio Archijeunes L’associazione si impegna a portare la cultura della costruzione nel sistema scolastico e nei settori della formazione dei docenti e della ricerca

Le bellezze del Grigionitaliano La Pro Grigioni italiano ha pubblicato un libro che invita a scoprire la Valposchiavo, la Bregaglia, la Mesolcina e la Calanca pagina 4

Il Tragitto ha una nuova sede Molte le novità previste da ottobre nel centro di socializzazione che si è spostato a Besso

Architettura e bambini

pagina 6

Archijeunes L’associazione ha lo scopo di promuovere la cultura

della costruzione coinvolgendo le nuove generazioni

pagina 3

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Una diceria nasce e si diffonde quando su un evento mancano conoscenze razionali, ufficiali e istituzionalmente affidabili. (Marka)

Pare che… insomma è certo

Comunicazione Dal resoconto alla diceria il passo è breve: nel processo entrano in gioco preferenze linguistiche,

La cultura della costruzione è indispensabile per promuovere un uso consapevole del territorio all’insegna della qualità e va quindi promossa sin dall’infanzia ancorandola nel sistema educativo svizzero. È questo l’appello lanciato in una lettera aperta indirizzata in primis al Presidente della Confederazione Alain Berset al termine del simposio «La mediazione della cultura della costruzione come responsabilità sociale» svoltosi venerdì scorso a Zugo nell’ambito del LAB (Laboratorio per l’Architettura e la Cultura della costruzione per bambini e ragazzi). Redatta e firmata da cinque enti attivi nelle diverse regioni linguistiche nazionali in questo genere di mediazione – fra i quali anche i2a, istituto internazionale di architettura con sede a Lugano – la lettera pone l’accento sull’importanza che quanto promosso dalla società civile a livello locale sia sostenuto e rafforzato estendendolo al sistema educativo. Ciò significa non solo integrare la cultura della costruzione nel sistema scolastico ma anche nei settori della formazione dei docenti e della ricerca. L’iniziativa si inserisce in un contesto di promozione del concetto di cultura della costruzione che lo stesso Alain Berset ha lanciato lo scorso gennaio in occasione della Conferenza dei Ministri europei della cultura organizzata in margine al WEF (World Economic Forum) e culminata con l’adozione della Dichiarazione di Davos 2018. «L’approccio dell’iniziativa del Presidente della Confederazione – osserva Ludovica Molo, presidente della FAS (Federazione Architetti Svizzeri) e direttrice dell’istituto i2a – è di carattere umanistico in sintonia con gli obiettivi che promuoviamo quali mediatori. L’uomo, con i suoi bisogni psicologici

e sociali, è posto al centro della riflessione. Il territorio è un bene prezioso e limitato. Esso va difeso e utilizzato tenendo in considerazione queste esigenze allo stesso titolo di quelle di ordine economico e tecnico». È urgente, si legge nella Dichiarazione, affrontare l’ambiente costruito in maniera olistica e centrata sulla cultura. A questo scopo l’Ufficio Federale della Cultura (UFC) sta elaborando una strategia interdipartimentale federale per la promozione della cultura della costruzione. Per quanto riguarda le esigenze formative nelle scuole, non espressamente menzionate nel documento di Davos che fa però riferimento alla necessità della partecipazione della società civile come di un «pubblico pienamente informato, qualificato e sensibilizzato», l’UFC ha affidato all’associazione Archijeunes il compito di condurre un’indagine che dovrebbe concludersi il prossimo novembre. Archijeunes – firmataria con il già citato istituto i2a unitamente a SAM Musée Suisse d’Architecture, Konferenz Bildschulen Schweiz e Ville en tête della lettera aperta al Presidente Berset – è un progetto comune di FAS e SIA (Società Ingegneri Architetti) per «sensibilizzare il pubblico a considerare l’ambiente edificato come spazio vitale e indicare le svariate possibilità dell’organizzazione e della cura del nostro paesaggio culturale» (dagli statuti). L’associazione, nata nel 2008 con il nome di Spacespot, è stata rilanciata all’inizio di quest’anno con lo scopo di creare una rete per la mediazione della cultura della costruzione e il preciso intento di inserire il tema nei curricoli scolastici svizzeri. «In occasione del Simposio di Zugo abbiamo presentato ufficialmente la piattaforma www.archijeunes.ch – spiega Ludovica Molo – sulla quale sono riunite numerose unità didattiche

sulla cultura della costruzione suddivise per temi (ad esempio architettura, percezione dello spazio, fabbricati e strutture, paesaggio e pianificazione territoriale), età e competenze. Sono il frutto delle iniziative sviluppatesi negli ultimi anni un po’ in tutto il Paese dando vita, oltre che alla diffusione di tale cultura nelle nuove generazioni, a una rete impegnata che oggi sente la necessità di coordinare le attività e scambiare le conoscenze acquisite». Di questa rete fa parte anche l’istituto luganese, il cui settore didattico è in continuo sviluppo da una decina d’anni, godendo di ottimi riscontri di partecipazione come pure di visibilità. Malgrado la buona collaborazione con le autorità, la direttrice constata proprio sul campo che l’attività nelle scuole è solo sporadica. Ludovica Molo: «Le nostre proposte si confrontano con difficoltà di tipo finanziario e sono recepite al pari di altre iniziative culturali sottoposte agli insegnanti. Così come i bambini di oggi suddividono in maniera naturale i rifiuti in vista del loro riciclaggio per proteggere l’ambiente nel quale vivono, dovrebbero anche poter crescere acquisendo conoscenze e sensibilità legate alla costruzione e alle sue implicazioni in questo stesso ambiente». Il simposio di Zugo, inserito nel più ampio contesto di un Laboratorio dedicato alle nuove generazioni in corso fino al 3 ottobre (co-organizzato da Bau Forum Zug, Archijeunes, S AM Musée Suisse d’Architecture e Konferenz Bildschulen Schweiz), ha riunito una cinquantina di professionisti provenienti da tre settori chiamati ad una stretta collaborazione per promuovere la cultura della costruzione nelle scuole e nella società civile. Si tratta di architetti e ingegneri, di chi opera nella mediazione culturale e degli insegnanti.

Nel Laboratorio a Zugo i bambini imparano ad esplorare lo spazio. (K’werk Zug)

«È essenziale promuovere i legami fra questi settori coinvolgendo in particolare quello legato all’educazione», spiega Caspar Schärer, responsabile della comunicazione per Archijeunes. «Bisogna inoltre prendere a modello le esperienze già realizzate con successo altrove. Fra i relatori del simposio spiccava non a caso Verena Konrad, direttrice del Voralberger Architektur Institut (vai). L’Austria, oltre a disporre di programmi specifici a livello federale, conta regioni, come appunto il Voralberg, all’avanguardia nella promozione scolastica della cultura della costruzione». Quest’ultima comprende una grande diversità di temi che vanno ben oltre la questione estetica. Caspar Schärer: «Siamo consapevoli della complessità degli argomenti legati al mondo della costruzione, ma proprio per questo motivo è importante promuoverne la conoscenza sin dalla più tenera età. Capire le peculiarità e le dinamiche dei processi di progettazione, costruzione e pianificazione (dai meccanismi alle forze in gioco, al loro impatto) permette in seguito di prendere

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ma hanno una diversa natura. Infatti, mentre il mito può far riferimento ad entità immaginarie – basti pensare a figure come il Minotauro – le dicerie non escono dal recinto delle cose reali e delle informazioni al loro riguardo, anche se le pongono in relazione secondo modalità arbitrarie e quasi sempre non verificabili. Il caso, classico, degli untori di cui parla il Manzoni ne I promessi sposi, è interessante perché, forse per la pur vaga e iniziale atmosfera di apertura verso le scienze del secolo XVII, non chiama in causa entità sovrannaturali bensì un generico «unguento», cioè una possibile sostanza reale, ancorché sconosciuta, che, nelle mani di uomini cattivi, diffondeva la peste. L’idea di quell’unguento costituiva in fondo una ipotesi che, peraltro, era stata avanzata anche da vari «dottori» del tempo. Naturalmente non si trattava di un unguento bensì di un batterio e la malefica volontà umana non aveva alcun ruolo. La differenza fra un’ipotesi e una semplice diceria è, semmai, il fatto che, mentre un’ipotesi attende la verifica sperimentale, una diceria vive di vita propria ed è ritenuta «vera» senza alcun bisogno di controllo. In definitiva una diceria nasce, si sviluppa e si diffonde quando, su un certo evento, mancano conoscenze ra-

zionali e ufficiali, dunque dichiarazioni istituzionalmente affidabili. Nelle dicerie, soprattutto in quelle che vertono su episodi negativi come omicidi o stragi, ma anche degenerazioni ambientali, fenomeni epidemici e persino crisi economiche gravi, le informazioni e le insinuazioni, all’origine magari poste in termini pacati, passando di bocca in bocca raccolgono a valanga il «contributo» di numerosi attori finendo per divenire verità pubbliche assodate. Un linciaggio avviene quando il fenomeno comunicativo si sviluppa in brevissimo tempo, all’interno di una folla. Molto interessante è, quindi, il processo attraverso il quale un resoconto prende la forma di una diceria. Nel suo sviluppo, in effetti, entrano in gioco le nostre preferenze linguistiche, le nostre attitudini emozionali e, inutile dirlo, le nostre simpatie o antipatie. A metterlo in luce per la prima volta è stato il famosissimo esperimento di Gordon Allport e Leo Postman negli anni 40 del secolo scorso. Essi dissero ad un soggetto che, in un vagone della metropolitana, vi era un bianco malvestito e con l’aria da teppista, dalla tasca del quale si vedeva sporgere il manico di un coltello. A fianco di costui c’era un uomo di colore ben vestito che portava una elegante valigetta. Il soggetto

al quale era stata data questa informazione doveva semplicemente comunicarla ad un altro soggetto e così via per un certo numero di passaggi. Alla fine della catena, il resoconto fu che l’uomo di colore brandiva minacciosamente il coltello davanti al bianco indifeso. Il resoconto, come è facile immaginare, era stato modificato step by step dall’aggiunta di aggettivi, di avverbi, dall’eliminazione e dall’aggiunta di elementi linguistici che avevano gradualmente ma, alla fine, radicalmente modificato la descrizione originaria. Nelle dicerie avviene la stessa cosa: un’espressione come «…pare che Tizio abbia visto…» diviene «…Tizio ha visto…», oppure «…probabilmente la causa è stata…» diviene certezza col dire «…la causa è stata…» oppure «…Tizio era abbastanza irritato…» diviene «… Tizio era visibilmente furioso…» e così via. Il giornalismo, soprattutto la cronaca, è piena di mutazioni di questo genere e ciò non fa che confermare quanto Pirandello aveva sostenuto lamentando che, anche sul piano letterario, «avvenuto il passaggio da uno spirito all’altro, le modificazioni sono inevitabili». Naturalmente tutto questo rende spesso assai difficile il lavoro dei giudici allorché, di fronte a testimonianze diverse fra loro, devono accertare se e

quale versione dei fatti sia affidabile. Ciò avviene costringendo il testimone a limitare le sue risposte a semplici «sì» o «no» ma tale nettezza logica può contrastare con la ricchezza linguistica, cioè gli aggettivi, gli avverbi e lo stile discorsivo con cui viene posta la domanda. Su molte questioni la garanzia proviene dalla scienza ma, anche qui, quando una ricerca scientifica arriva ad una conclusione provvisoria e probabilistica in attesa di future convalide, la sua diffusione nei mass media e nei circoli privati genera spesso inesorabilmente la trasformazione dell’ipotesi in verità acquisita. E la ragione è sempre la stessa, ossia la nostra insofferenza per l’incertezza e le probabilità, che ci spinge a stabilire con convinzione come stanno le cose saltando a piè pari i «dettagli» del rigore degli accertamenti. Può sembrare paradossale e deludente, ma la nostra attuale società, nonostante la sua auto-definizione come «società della conoscenza», di fronte alla sempre più evidente complessità e indeterminabilità di numerosi aspetti della nostra esistenza individuale e collettiva, agisce e reagisce ancora oggi nel quadro di pulsioni e ingenuità che, fra urban legend, dicerie e rumor ci pongono non raramente sullo stesso piano, e per le stesse ragioni, dei popoli più primitivi.

parte alla pari a una discussione critica. Le decisioni sull’uso del territorio rivestono un’importanza tale da giustificare gli investimenti nella relativa formazione delle nuove generazioni». Per i nostri interlocutori la cultura della costruzione, di primaria importanza, necessita maggiore diffusione e soprattutto di essere inserita nelle competenze di base che si acquisiscono durante l’iter scolastico obbligatorio. Solo in questo modo possono crescere nuove generazioni di cittadini in grado di discutere e partecipare ai processi decisionali in maniera critica, esigendo qualità concrete per l’ambiente nel quale vivono. Le iniziative di mediazione partite dal basso sono presenti nell’intera Svizzera, confrontate però con limiti finanziari. Nel loro appello alle autorità federali e cantonali gli enti promotori chiedono di agire affinché vengano messe a disposizione le risorse necessarie per promuovere la cultura della costruzione sia in ambito scolastico, sia nelle istituzioni di formazione extrascolastica, perché i due settori si completano a vicenda.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Società e Territorio

Nel Grigionitaliano con Leo e Lila Pubblicazioni In occasione dei suoi 100 anni la Pro Grigioni italiano ha presentato un libro dedicato

alla storia dell’arte e alla natura delle quattro valli italofone del Grigioni Roberto Porta Non è facile essere una minoranza. Ed è ancor più difficile essere minoritari per ben due volte. Ma questo è il destino che la Storia, quella con la S maiuscola, ha riservato al Grigionitaliano. Si tratta, val la pena ricordarlo, di quattro vallate italofone nel canton Grigioni: Poschiavo, Bregaglia, Mesolcina e Calanca. Quattro regioni unite dalla lingua ma separate l’una dall’altra dal punto di vista territoriale. E minoritarie dal punto di vista linguistico, in un cantone a grande maggioranza tedescofono e caratterizzato anche dalla presenza del romancio. Ma il Grigionitaliano è minoritario anche in un secondo contesto, quello della Svizzera italiana, entità culturale – la terza del nostro Paese – in cui il ruolo del prim’attore viene costantemente esercitato dal canton Ticino. Insomma per il Grigionitaliano il cammino è spesso in salita, anche semplicemente per farsi conoscere e se possibile pure apprezzare. Ora a 100 anni dalla nascita della Pro Grigioni italiano (Pgi) ecco che a tener alto il nome di questa regione ci pensano anche – ma non solo – due gattini, Leo e Lila, protagonisti di un volume fresco di stampa che invita alla scoperta di questa regione della Svizzera. «Questa nostra iniziativa è nata all’inizio del 2018, proprio in occasione dei festeggiamenti per i primi 100 anni della Pgi – ci dice Aixa Andreetta, collaboratrice regionale per il Moesano –

Con questo volume vogliamo rivolgerci in particolare ai ragazzi, ma anche alle loro famiglie, dentro e fuori i confini del nostro territorio». Un libro – il cui titolo originale è Leo e Lila alla scoperta del Grigionitaliano – che è anche un viaggio. «I due gattini sono infatti dei grandi viaggiatori – si legge sulla terza di copertina – Il Grigionitaliano è una regione perfetta per loro. I due protagonisti scoprono una realtà ricchissima di leggende, tradizioni, cultura e innovazione, il tutto immerso in una scenografia mozzafiato, tra altissime montagne, ghiacciai, laghetti alpini, castagneti e con il sole del Sud». Questo libro di 76 pagine – scritto da Aixa Andreetta, Giovanni Ruatti e Maurizio Zucchi – è frutto di una collaborazione con la Società di storia dell’arte in Svizzera, che nel recente passato e sempre attraverso le avventure di un gattino – Theo – ha pubblicato tre guide per la scoperta di Berna, Zugo e La Chaux-de-Fonds. «Abbiamo ripreso l’idea del gatto – sottolinea Aixa Andreetta – nel nostro caso si tratta di due gatti che partono da Basilea, dalla casa del nonno dove trovano una mappa e poi in treno si spostano verso il canton Grigioni, alla scoperta delle valli italofone, da Coira fino a Bellinzona. Il volume è anche un invito al multilinguismo visto che i due gatti parlano – si legge nel libro – «il tedesco e un pochino il francese. Stanno imparando anche l’italiano e sicuramente presto studieranno pure il romancio». Plurilinguismo che è una delle ca-

ratteristiche vincenti di chi abita nelle quattro vallate del Grigioni italiano, in particolare di chi vive nella Valposchiavo e nella Bregaglia, geograficamente lontane dal Ticino ma confinanti con l’Engadina. Tra i giovani in particolare il tedesco, ma anche lo svizzero tedesco, fanno parte del bagaglio linguistico indispensabile per gli studi superiori e per intraprendere la propria carriera professionale. «La nostra pubblicazione, proprio perché è pensata in particolare per un pubblico giovane, non è composta unicamente da testi scritti, ma anche da cartine, disegni, schede di approfondimento per favorire una lettura attiva da parte dei ragazzi», fa notare ancora Aixa Andreetta della Pro Grigioni italiano. La prima tappa di Leo e Lila è la Valposchiavo e per questa regione il libro offre ad esempio un approfondimento dedicato al Giardino dei ghiacciai di Cavaglia e uno all’antico monastero delle Agostiniane, con in questo caso anche uno schema di come sono solitamente costituiti dal punto di vista architettonico gli edifici che ospitano suore e monaci. Nella Val Bregaglia i due gattini visitano anche il Palazzo Salis, «in cui abitava una delle famiglie più potenti e importanti del canton Grigioni, i Salis, venuti da Como quasi 900 anni fa». Le ultime tappe sono dedicate al Moesano: con Mesolcina e Calanca. Per arrivarci i due simpatici villeggianti a quattro zampe fanno tappa anche a Bivio, ai piedi del passo del Giulia. Un villaggio fondato dai Brega-

I gattini viaggiatori Leo e Lila. (www.pgi.ch)

gliotti e che per lungo tempo è stato di lingua italiana «nonostante i comuni vicini siano di lingua tedesca e di lingua romancia» fa notare Leo a Lila. Nel Moesano, tra le altre cose, i due gattini scoprono a San Vittore, dopo aver percorso un ripido sentiero a scali-

ni, come venivano essiccate le castagne. Insomma un libro che è anche invito al viaggio e alla scoperta di queste quattro vallate, per rendersi conto che anche dietro all’angolo di casa ci sono tesori paesaggistici e culturali tutti da ammirare. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio

Un tragitto condiviso Socialità Il centro di socializzazione Il Tragitto

nella nuova sede a Besso pensa a progetti e servizi che coinvolgano un ampio pubblico Guido Grilli La vita è un viaggio. E per non smarrirsi occorre un tragitto sicuro sul quale edificare la propria esistenza. Ne sanno qualcosa Cecilia Testa, Fabia ManniMoresi e Monica Frigerio, coordinatrici di quello che, nelle loro intenzioni, vuole rappresentare, dopo cinque anni di attività e una nuova sede che si inaugurerà ufficialmente il 23 ottobre in via G. Stabile 12 a Lugano-Besso, «una casa all’interno della quale accogliere progetti finalizzati all’incontro e alla conoscenza reciproca. Un “contenitore” all’interno del quale far evolvere dei contenuti». E il nome del centro di socializzazione è proprio Il Tragitto, nel senso di «un tratto di cammino condiviso, dove avvengono degli scambi». Finora questo spazio si rivolgeva in modo più specifico alle donne migranti e ai loro figli e figlie in età prescolastica attraverso progetti di socializzazione, un sostegno alla genitorialità e alla formazione. Ma da ottobre numerose saranno le novità. «Dal prossimo mese – annunciano le nostre interlocutrici – estenderemo i nostri servizi a un pubblico più ampio. La nostra volontà è quella di coinvolgere la cittadinanza tutta: donne straniere e svizzere, ma anche papà, nonni e nonne nell’intento di realizzare una vera e propria integrazione reciproca, offrendo delle reali occasioni di incontro tra la popolazione autoctona e straniera». Il crescente numero di richieste rivela un bisogno reale e concreto. «Tra le novità – fanno sapere le tre coordinatrici – apriremo in ottobre uno sportello con tre permanenze alla settimana per accogliere le persone interessate. Diverse sono le nostre proposte di attività: “Incontriamoci”, in corso due mattine alla settimana, consente ad esempio a donne straniere o svizzere con o senza figli di conoscersi allargando così la loro rete sociale, di orientarsi sul territorio comunale e cantonale e scoprire servizi associativi e istituzionali e spazi pubblici. Vi sono inoltre percorsi di inserimento socio-professionali rivolti a donne fino ai 30 anni». Il Tragitto, insomma, come crocevia di un luogo attraversato da tante sensibilità. «Tra le nostre iniziative vi è “Autobiografia”, percorso rivolto a donne con passato migratorio che permette di cercare un’armonia tra passato e presente operando verso il superamento della rottura provocata dall’abbandono del proprio paese

Il centro è un punto di riferimento per le donne migranti e i loro figli.

d’origine. Promuoviamo pure corsi di italiano per le donne migranti. Inoltre due pomeriggi la settimana è in agenda “Ritroviamoci” per mamme, papà e nonni, figli e nipoti in età prescolastica, momenti di gioco e socializzazione alla presenza di due professioniste. Il Tragitto predilige per tutte le attività una modalità partecipativa». Ma quali sono gli obiettivi che si pone il Centro di socializzazione? «Offrire uno spazio accogliente e non giudicante», evidenziano Cecilia Testa, Fabia Manni-Moresi e Monica Frigerio, che elencano altre finalità: «Riconoscere e valorizzare le competenze esistenti e svilupparne di nuove. Riconoscere la diversità dell’altro/a e le appartenenze comuni e condivisibili. Favorire la creazione di legami sociali e uscire dall’isolamento. L’animazione partecipativa che proponiamo consente alle donne presenti di trovare il proprio posto nel gruppo, di contribuire attivamente alla buona riuscita del progetto e non da ultimo di rinforzare la loro autonomia che può così essere trasposta in altri contesti della vita quotidiana, familiare, professionale, associativa». Nei primi cinque anni di vita del Tragitto – spiegano ancora le coordinatrici – «si sono consolidate molte collaborazioni e si sta continuando a operare in questo senso, in modo da rendersi sempre più visibili e accessibili alla rete associativa e istituzionale ed evidentemente – di riflesso – a un pubblico di nuove possibili partecipanti». Da chi è sostenuto Il Tragitto? «L’associazione è finanziata principalmente dall’Ufficio del sostegno a enti

e attività per le famiglie e i giovani, dal Servizio cantonale per l’Integrazione attraverso il Programma d’Integrazione cantonale e dalla città di Lugano. Un finanziamento giunge pure dall’Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento per quanto concerne i corsi di italiano. Il Tragitto, da qualche settimana, è sostenuto anche dalla Catena della Solidarietà che ha permesso di lanciare due nuove iniziative: lo sportello e l’accompagnamento individuale in vista di un inserimento socio-professionale. Importante nel 2018 è stato anche il sostegno di alcune fondazioni private come pure un grande aiuto “dal basso”, ossia da persone che hanno deciso di aiutarci attraverso la nostra campagna di crowdfunding. Le nostre attività sono interamente gratuite per l’utenza». E quali sono i partner dell’associazone? «Vantiamo numerose collaborazioni. Soccorso Operaio Svizzero è diventato un partner importante: molte utenti di SOS sono orientate verso le attività del centro di socializzazione e i locali sono spesso utilizzati per progetti interni del servizio in quanto si tratta di spazi conosciuti e familiari. Le direzioni scolastiche – regolarmente informate dell’attualità dei nostri progetti – orientano inoltre regolarmente mamme e bambini che potrebbero beneficiare del nostro servizio. Una nuova collaborazione si sta pure instaurando con l’associazione Casa Santa Elisabetta con la quale condividiamo in parte gli spazi. Le premesse di questa nuova sinergia – dopo i primi recenti incontri – sono ottime e si annunciano interessanti».

Siamo tutti chef

Videogiochi Overcooked! 2: una divertente

sfida all’ultimo fornello Davide Canavesi L’intrattenimento culinario va di moda: non si contano nemmeno più i reality show ed i programmi televisivi dedicati al buon cibo. Perfino nel mondo dei videogiochi ci sono stati diversi titoli dedicati ai fornelli. Il gioco di cui parliamo oggi, Overcooked! 2, non cercherà, però, di insegnarci come preparare una deliziosa torta o un succulento polpettone, piuttosto, la nostra missione sarà quella di salvare un regno da un’invasione di zombie! Il Regno delle Cipolle è stato infatti invaso da un’orda di Pane Malfermo, risvegliato da una lettura incauta del Necrognammicon, il libro proibito del cibo avariato. Solo noi, in quanto chef più capaci e valorosi del regno, potremo preparare abbastanza piatti per sfamare gli invasori e salvare il mondo dalla distruzione. La missione è chiara, il percorso è tracciato. Non ci resta che partire ai quattro angoli del regno e cucinare come se ne andasse della nostra vita. Overcooked! 2 fa parte del filone dei party game. Si tratta di un gioco dalla premessa bislacca ma estremamente semplice: il giocatore controlla un piccolo chef il quale deve preparare manicaretti seguendo delle semplici ricette il più rapidamente possibile. Che si tratti di sushi o pizza poco importa: bisogna prendere gli ingredienti, tagliuzzarli, cuocerli, assemblarli, servirli ai clienti e pulire i piatti sporchi. Non lasciamoci però ingannare da una meccanica solo apparentemente facile, in realtà Overcooked! 2 è un vero delirio. Il gioco può essere affrontato in solitaria o in compagnia di amici via internet o seduti sul divano di fianco a noi. Vista la sua natura caotica e collaborativa, il gioco sviluppato dai britannici di Ghost Town Games e pubblicato da Team17 è assolutamente di quelli da giocare in compagnia. I livelli di gioco, o dovremmo dire le cucine di gioco, sono infatti un mondo disordinato e irto di difficoltà. Si inizia con una semplice cucina con tutti gli ingredienti a portata di mano ma si finirà presto a cucinare su zattere, piattaforme volanti, miniere, stagni, fiumi e via dicendo. L’idea, di per sé banalmente

semplice, viene continuamente stravolta dalla conformazione del terreno di gioco. Preparare un piatto che richiede diversi ingredienti e manipolazioni necessita un notevole livello di concentrazione e di collaborazione. Specialmente se sceglieremo di giocare assieme a degli amici. In questo caso il giocatore si ritroverà quasi sempre costretto a suddividere i compiti, visto che alcune parti della cucina saranno inaccessibili a uno o l’altro giocatore. La gestione del processo di preparazione diventa allora il fulcro della partita, dal momento che le ricette da realizzare variano da piatto a piatto e che c’è un tempo limite per completare l’ordine. A complicare ulteriormente le cose ci sono gli incendi se dimentichiamo una pentola sul fuoco troppo a lungo, pericoli ambientali di vario genere e trappole create apposta per mettere i bastoni tra le ruote ai giocatori. Overcooked! 2 esce su console e PC a due anni di distanza dal primo capitolo, innovando dove era necessario ma mantenendo inalterata la sua ricetta fondamentale. Tra le novità troviamo il gioco online, assente nel primo episodio. Ora è possibile giocare in modalità cooperativa o competitiva: potremo scegliere di giocare tutti assieme e collaborare al fine di ottenere la vittoria oppure sfidarci... all’ultimo fornello. Tra le novità degne di nota citiamo anche i vari livelli bonus nascosti, che vanno sbloccati compiendo azioni speciali oppure ottenendo un certo punteggio record. Questi livelli sono spesso difficilissimi e caratterizzati da situazioni ancora più assurde rispetto ai livelli regolari, di per sé già piuttosto strani. Una sfida nella sfida che sarà croce e delizia dei giocatori più competitivi. Overcooked! 2 è insomma un gioco delizioso, che offre grasse risate ma anche un grado di sfida impegnativa. Si può giocare da soli, cosa che comunque sconsigliamo vivamente, perché va assolutamente assaporato con gli amici. La ricetta di Ghost Town Games funziona alla perfezione miscelando sapientemente una grafica colorata e allegra, un gameplay divertente ed impegnativo e una notevole dose di humor. Consigliato a tutti per una serata in allegria.

Si cucina anche su piattaforme volanti. (© Ghost Town Games / Team17)

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Giuseppe Festa, Lupinella. La vita di una lupa nei boschi delle Alpi, Editoriale Scienza. Da 7 anni Suggestivo esempio di perfetto equilibrio tra le emozioni di una storia e la precisione delle informazioni scientifiche, Lupinella ci racconta la vita di una lupa dal momento della sua nascita alla fondazione di un nuovo branco, con il suo compagno. Editoriale Scienza, marchio che come sempre si distingue per la competenza nel fare appassionante divulgazione scientifica, affida questo libro allo scrittore italiano più adatto a raccontare i lupi: Giuseppe Festa, naturalista ed educatore ambientale, nonché autore di romanzi di grande successo sugli animali (editi da Salani), il più recente dei quali, La luna è dei lupi, parlava proprio di questi affascinanti principi dei boschi. Lupinella, a differenza di quel romanzo, si rivolge a lettori più piccoli, ma anche

qui il punto di vista è quello animale, favorendo così suggestive possibilità di immersione per i giovani lettori: «finalmente ci vedo! E ci sento! [I miei fratelli] sono esattamente come me li ero immaginati»... «che cosa sento in bocca? Dalle gengive mi spunta qualcosa...». Lupinella scopre il mondo insieme ai suoi lettori, cominciando da ciò che vede e sente intorno, passando per tutti gli insegnamenti impartiti dai lupi adulti, fino al nuovo parto della sua mamma, e a quel lontano ululato

che la invita a lasciare il branco. Particolarmente intenso è il momento della partenza, illuminato però dalla nascita della sua nuova famiglia, nel ricordo di quello sguardo d’addio che le era giunto dagli occhi ambrati della madre: «l’amore che mi hai dato è lo stesso che darò ai miei cuccioli. Quello stesso amore che, un giorno, dimostrerò loro nel momento più difficile: quando li lascerò andare per la loro strada. Perché così è la vita dei lupi». Ogni capitolo porta una data, la storia scorre con il calendario dell’età di Lupinella, la lasciamo quando ha due anni, nella tana con i suoi cuccioli. Ogni momento saliente della sua vita è poi scandito da interessanti approfondimenti di un’esperta lupologa del progetto europeo Life WolfAlps, che ha contribuito alla realizzazione del volume. C’è anche un poster illustrato da staccare e un’appendice con attività ludiche da fare nel bosco. Da citare

l’apporto delle illustrazioni di Mariachiara Di Giorgio, a cominciare dalla bellissima copertina. Bruno Tognolini, Rime del fare e del non fare, Gallucci. Da 4 anni Ogni giorno, ogni piccola cosa di ogni giorno scorre sul ritmo del cuore, sul ritmo dei passi, sul ritmo del respiro. E anche, se abbiamo la fortuna di averne nella memoria o di trovarle in libri belli, sul ritmo di una poesia. Bello è sicuramente – come potrebbe non esserlo – questo di Bruno Tognolini, mago delle parole in versi, che lui chiama sobriamente filastrocche. Rime del fare e del non fare, s’intitola, ponendo l’accento sulla dimensione domestica delle minime azioni da una parte (come pulire le scarpe, pettinarsi, fare le torte) e non-azioni dall’altra (ossia meditazioni, emozioni, ad esempio sul coraggio e la paura, il sentirsi buoni a nulla, il litigare, o il dire una litania per

un albero malato): quasi un ora et labora laico, e a misura di bambino. Ci sono testi più narrativi, altri più elegiaci, altri ancora a scherzosa invettiva, e ci sono quelle «formule magiche» per scongiurare fastidi o favorire cose belle, com’erano quelle di Mal di pancia calabrone. Sono versi tratti dal patrimonio della Melevisione, ed è giusto che vengano messi a disposizione anche delle nuove generazioni di bambini, in questo delizioso volumetto impreziosito dai disegni di Giuliano Ferri.


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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Acheropita: non dipinto da mano umana Il monaco, quello che fin dal giorno del nostro arrivo al monastero di Pantokrator al Monte Athos avevamo soprannominato Rasputin, si era ora avvicinato levando un ossuto indice accusatorio. «Voi Latinos – cominciò in un inglese men che oxoniense – Voi Latini Romani avete rovinato tutto con quel vostro Rinascimento. Se fino ad allora l’immagine di Dio e della sua Santissima Madre erano state dipinte in ginocchio e con la preghiera voi le avete trasformate in opere di moda pagate carissime ad artisti maledetti e miscredenti. Erano acheropite, non dipinte da mano umana ma ispirate direttamente da Dio. Uscivano dall’anima ed erano manifestazioni dello spirito e voi ne avete fatto fotografie di una realtà terrena corrotta e corruttrice. Ma verrà il giorno che la pagherete cara, mooolto cara!» reiterò prima di sparire al di là dell’iconostasi, dove lo sentimmo ancora per un po’ inveire questa volta in greco prima che il Catholicon – la chiesa del monastero – ripiombasse in un buio silenzio.

Il 24 settembre 787 si inaugurava il Secondo Concilio di Nicea (Iznik, a 130 km a sud di Istanbul, nell’odierna Turchia). Il risultato fu di capovolgere la legislazione iconoclasta che aveva per almeno un cinquantennio bandita la venerazione delle icone e di ogni altra immagine sacra in quanto pratica eretica. Aveva cominciato l’imperatore bizantino Leo III (717-741) con un Editto Imperiale. Suo figlio Costantino V (741-775) aveva poi indetto il Concilio Ecumenico che a Hieria aveva reso la soppressione delle immagini politica ufficiale della Chiesa. Alla base della furia iconoclasta vi erano due ordini di ragioni – una meno nobile e santa dell’altra. La prima era la preoccupazione dell’Imperatore nel vedere declinare la produzione di immagini imperiali a favore di una crescente produzione (e venerazione) delle immagini sacre. La seconda ragione – argomentavano i teologi iconoclasti – era che i cristiani erano regrediti nell’adorazione delle immagini sacre così come nei tempi antichi

i pagani adoravano le immagini degli dei. Si trattava insomma di una forma di superstizione nel senso etimologico del termine: «ciò che sopravvive delle antiche pratiche». Il Concilio si era adunato in prima battuta nella Chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli nel 786. Un contingente di soldati fedeli a quella parte del clero che ancora sosteneva le politiche iconoclaste imperiali fece irruzione nella chiesa. Con il pretesto che fossero scoppiati tumulti ai confini dell’impero, i soldati furono allontanati dalla Capitale. Per precauzione contro le trame della fazione iconoclasta il Concilio fu spostato a Nicea, nella Chiesa di Santa Sofia. Contava 350 membri. Dopo una Prima Sessione nella quale l’abiura dell’iconoclastia da parte dei vescovi Basilio di Ancyra, Theodoro di Myra (la sede che era stata del grande San Nicola) e Teodosio di Amorium impetrarono di essere perdonati per le loro posizioni iconoclaste, il vero asso di briscola fu giocato nella Seconda Sessione – il 26 settembre – quando i delegati di Papa

Adriano (il Vescovo di Roma era allora ancora considerato come un autorevole primus inter pares) presero posizione a favore della reintroduzione del culto delle icone che peraltro non era mai stato in discussione in Occidente. La strada era ormai aperta e la partita vinta, ed infatti la Quinta Sessione (4 ottobre) puntò l’indice – un’indice stavolta teologicamente corazzato dal placet Romano – contro coloro che saranno destinati a diventare i soliti noti colpevoli: l’ostilità al culto delle immagini era stata in primo luogo dovuta all’influenza nefasta di Ebrei, Manichei e «Saraceni». Così legislando (ma la storia è sempre ironica e paradossale) il Concilio implicitamente ammetteva che l’Islam – contrario come tutte le religioni semitiche alla venerazione delle immagini (delle quali il cristianesimo altro a sua volta non fu, si può argomentare, che una «eresia» nel senso etimologico del termine «lascio la strada antica e mi incammino per un’altra alternativa») – avesse fatto breccia nell’apparato simbolico e

cognitivo della cristianità così come premeva, con frequenti, drammatici cambiamenti di fronte alle frontiere orientali dell’Impero. Sta di fatto che le decisioni in favore dell’iconoclastia del Concilio di Hieria furono condannate e dichiarate nulle nel corso della Sesta Sessione, mentre la Settima ed ultima sessione si concluse con una dichiarazione di fede nel culto delle immagini. Questo fu reintrodotto con una sottile, strategica (anche se opportunistica, se si vuole) distinzione fra l’adorazione («latrìa») che si deve solo alla Divinità ed alle sue espressioni trinitarie e la venerazione («dulìa») che si deve alla Vergine (oggetto di «iperdulìa» nell’accezione romano-cattolica) ai Santi ed alle rispettive icone. Pace fatta per tutti, dunque? Affatto. Anche se si dovrà attendere la Riforma protestante per vedere gli iconoclasti di nuovo al lavoro a martellare statue di santi e bruciare sacre tele. O sparare le reliquie dei santi col cannone. Ma questa, altropologicamente parlando e pace il Rasputin di Pantokrator, è un’altra Storia.

parole penserete: ma noi l’abbiamo sempre fatto. Lo so, ma i genitori non hanno lo stesso impatto emozionale, sono troppo coinvolti e il figlio teme si comportino così per amore, non per intima convinzione. Per quanto possibile, d’ora in poi lasciatelo decidere in modo che impegni il suo desiderio sottraendolo all’onnipotenza della fantasia che, volendo tutto, non conclude niente. Gli insegnanti possono ottenere molto interrogando gli allievi sui loro desideri e invitandoli a metterli in gerarchia in modo da emarginare quelli più superficiali, che disperdono pensieri ed energie. I desideri più veri sono quelli che emergono dal profondo anche se possono essere risvegliati dalla conoscenza dei desideri altrui. Quante volte due amici condividono progetti di vita per imitazione! Un’imitazione che può essere semplicemente mimetica ma che può rivelarsi invece una vera e propria scoperta di sé attraverso l’altro.

Ammettiamolo: decidere non è mai facile e dobbiamo concederci di essere spaventati, incerti, contraddittori. «Vorrei e non vorrei» canta don Giovanni nell’opera omonima di Mozart. È sempre possibile smarrire la via, come ammette Dante, all’inizio della Divina Commedia, ma anche tentarne una nuova come esorta Virgilio: «A te conviene tenere altro viaggio». Maturare, divenire adulti, significa innanzitutto riconoscere i propri desideri e assumersi la responsabilità di realizzarli, magari scontentando i genitori, sentendosi ingrati rispetto al loro investimento affettivo e alle loro aspettative. Il tradimento più grande non è verso gli altri ma verso noi stessi, è vivere in modo inautentico, comportandoci «come se», senza tener conto della nostra verità perché non l’abbiamo mai incontrata. Agostino invita a cercare la verità non fuori ma dentro di noi e,

quando questo avviene, tutto acquista senso e valore. A questo punto lasciamo la parola ai poeti che hanno al loro arco una freccia in più: «...Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità». (Marta Medeiros).

sgradevoli, nella convivenza sociale. Il commensale a torso nudo, seduto al tavolo, vicino al mio, infastidisce, per forza di cose, d’ordine innanzitutto igienico, con il sudore che sgocciola sulla tovaglia. La licenza, che concerne l’abito, si estende, quasi automaticamente, ai comportamenti. Per non parlare, poi, delle conseguenze che l’allentamento delle norme che, un tempo, regolavano il buon gusto corrente, sta avendo sul piano dell’immagine stessa delle città, persino quelle con una lunga tradizione di eleganza collettiva. Persino Milano, da questo punto di vista, ha cambiato faccia. La moda non vive più attraverso le interpretazioni della gente comune, ma sopravvive nel «quadrilatero», fra Montenapoleone e Corso Venezia, destinata a un’esigua minoranza. Mentre la maggioranza la ignora. Lo stesso avviene a Parigi e a Londra, dove, tuttavia, resiste, per

lo meno, la tradizione del dress code scolastico. Quando diventano allievi, ragazze e ragazzi, magari a malincuore, si tolgono jeans sfilacciati e felpe con scritte irriverenti, per indossare pantaloni scuri, o gonne scozzesi, e blazer con lo stemma sul taschino. Proprio qui, parlando di scuola e di vestiario per la scuola, si tocca un tema che ci concerne da vicino. Infatti, complice l’autunno, in molte scuole oltre Gottardo, si è riaperto il dibattito sull’opportunità, o meno, di ricorrere all’uniforme, uguale per tutti e tutte, per risolvere il controverso problema del look trasandato di troppi allievi. Ma, in proposito, il cattivo esempio viene proprio dall’alto. Secondo una ricerca dell’Istituto di pedagogia e didattica di Zurigo, la maggioranza dei docenti si trascura. E al vecchio proverbio, «l’abito non fa il monaco», va aggiunto: «lo fa però il maestro». Tanto più che, come

si rileva, chi sale in cattedra, mal vestito e spettinato, dimostra «scarsa considerazione per il suo pubblico, gli allievi» facendo valere una superiorità intellettuale. Il discorso si sta allargando ad altri settori della vita pubblica e professionale, la finanza e la comunicazione, in particolare. Scorrendo le pagine dei quotidiani zurighesi mi sono imbattuta in titoli inattesi: «L’aspetto come fattore di carriera», «Oggi si deve riflettere di più su ciò che indossi», o ancora «L’arte di vivere comincia dallo stile». Cosa dedurne? Sta di fatto che questa riabilitazione del fattore estetico non rappresenta più una futilità femminile. I maschi ne sono coinvolti, e come. Si pensi al calcio. Da lì arrivano gli esempi più seguiti: creste colorate, mèches e tatuaggi a iosa. Tanto per concludere che, ieri come oggi, non tutte le raccomandazioni del dress code sono buone.

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Saper riconoscere i propri desideri Cara Silvia, genitori di un unico figlio, Giacomo, siamo entrambi insegnanti che amano il loro lavoro e lo svolgono con entusiasmo. Ma purtroppo nostro figlio non ha preso da noi. Ha sempre studiato il minimo per essere promosso senza eccellere in nessuna materia. Nuota e gioca a tennis ma senza entusiasmo. Non ha hobby né interessi. Ogni qualvolta gli chiediamo di scegliere risponde invariabilmente: fate voi, per me è lo stesso. Sinora siamo andati avanti così, decidendo tutto noi ma adesso, finite le medie, di fronte all’indirizzo di studi da seguire, la questione si è fatta grave. L’abbiamo iscritto «d’ufficio» al Liceo Scientifico ma avremo fatto bene? E in futuro, quando si tratterà di optare per una Facoltà e, indirettamente, per una professione, cosa accadrà? Resterà sempre sotto tutela? Dove abbiamo sbagliato e come possiamo rimediare? Grazie. / Antonio e Livia

Cari colleghi, fate bene a interrogarvi ma non colpevolizzatevi, non esistono genitori perfetti. Amate vostro figlio e volete il suo bene, il resto sono peccati veniali. Molto dipende da questi anni incerti da quando l’orizzonte del futuro si è annebbiato e non resta che navigare a vista. Vorremmo che i nostri figli fossero felici e non tolleriamo di vederli frustrati e tristi per cui spesso, invece di lasciarli tentare, sbagliare e riprovare preferiamo sostituirli. Se Giacomo, mentre si rifiutava di scegliere, si fosse sentito dire: «Va bene. Allora non se ne fa niente», forse si sarebbe dato una mossa. Ma non è detto, perché spesso si tratta di temperamento e magari di una lieve depressione latente. Peccato che non abbia trovato, durante il corso di studi appena concluso, un insegnante capace di valorizzarlo, motivarlo, incentivarlo; spesso ne basta uno per sottrarre un ragazzo all’apatia e al timore di vivere. Leggendo queste

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Ti vesti come vuoi o come devi? Il responso l’ha dato, inequivocabilmente, e proprio, con particolare evidenza, questa lunga estate confermando una tendenza in atto. Fra maggio e settembre, si assiste, ormai da anni, al fenomeno dell’omologazione vestimentaria. In altre parole, città e luoghi pubblici, vicini e lontani, appaiono popolati da persone tutte, più o meno, vestite allo stesso modo. E un modo di cui si conoscono bene i connotati, per così dire classici: canottiere variamente scollate, pantaloni multitasche e di lunghezze differenziate, a mezza coscia, al ginocchio, o nella versione minimalista all’inguine, prediletta dalle ragazzine, e poi ciabatte infradito, vero «must», o il sandalo, magari abbinato al calzino. Ma è troppo facile ironizzare. Bisogna piuttosto arrendersi all’evidenza di fronte a una tenuta, promossa a standard mondiale. Ora, se è adottata da turisti e residenti e non conosce

limiti né di età né di stazza né di ceto sociale, ci sarà pure una ragione. Senza dubbio, risponde a un bisogno di comodità e semplicità che facilita la nostra vita di nomadi e sportivi, agevola gli spostamenti, permette di sistemarsi dove capita, su una panchina, un prato, una spiaggia, sviluppa l’arte di arrangiarsi. Ma c’è dell’altro. Si tratta di una scelta che esprime una sfida liberatoria nei confronti delle imposizioni e reca l’impronta, sia pur affievolita, del 68: quando si voltarono le spalle alla moda ufficiale conquistando il diritto al «do it yourself» anche nell’abbigliamento. Strada facendo, però, questa libertà vestimentaria che, al primo momento, aveva dato adito ad alternative divertenti, tipo hippy, finì, invece, per scadere in forme di sciatteria e di chiara maleducazione. Il piacere del mi vesto come voglio, nuovo diritto, produsse e continua a produrre effetti


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Ambiente e Benessere La città dei diamanti Anversa è da secoli un centro importante per la vendita e la lavorazione delle pietre dure

Le donne fanno buon vino Rassegna di alcune delle più grandi vinattiere di tutti i tempi, che hanno creato etichette gloriose

Parliamo di orecchiette Un formato di pasta tradizionale ma dalle origini poco conosciute molto popolare in Puglia

pagina 18

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Un giorno a quattro zampe Il 4 ottobre è la Giornata degli animali, un’occasione per riflettere sul loro ruolo pagina 21

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Un nuovo approccio all’ecologia Ambientalismo È ora di smetterla con gli

allarmi catastrofisti e con la colpevolizzazione della crescita economica, si può curare l’ambiente senza rinunce: è la tesi di Ecologia del desiderio, il saggio dello scrittore e giornalista Antonio Cianciullo

Stefania Prandi Se l’ambientalismo vuole fare davvero un passo decisivo nella tutela della terra e degli esseri animali deve smetterla di puntare solo sul catastrofismo e sulla colpevolizzazione della crescita economica: si può curare il pianeta senza rinunce. È la tesi di Ecologia del desiderio (Aboca), il nuovo saggio di Antonio Cianciullo, giornalista e scrittore, che da oltre trent’anni si occupa di inquinamento, ambiente e sostenibilità. «Desideriamo veramente frenare il nostro impatto sul pianeta? O il vecchio sistema ci tenta perché per secoli ci ha regalato successi usando la tecnologia come un bazooka? È una sirena che non va sottovalutata. Con la voglia di conquista e di superamento dei limiti abbiamo un rapporto ambiguo: ci preoccupa ma ne siamo al tempo stesso sedotti. Questo è il nodo che non viene affrontato dal movimento ambientalista. Anche perché è scomodo e mette in crisi convinzioni molto radicate in chi da mezzo secolo attacca in modo unilaterale l’idea di crescita». Così si legge nel pamphlet che, nonostante le critiche dei metodi, difende le «ottime ragioni» degli ambientalisti: siamo sull’orlo della prima estinzione di massa causata da una sola specie, che si definisce sapiens, abbiamo portato l’inquinamento fino alle cime himalayane, in ogni chilometro quadrato di oceano ci sono da tredicimila a quarantaseimila pezzi di plastica (secondo un calcolo delle Nazioni Unite), e il degrado ambientale provoca quasi tredici milioni di vittime nel mondo ogni anno. C’è un problema, però, nella narrazione di questi disastri e cioè che «la paura è merce inflazionata» e quella per l’oggi batte quella per il futuro. Siamo di fronte a un’assuefazione alla documentazione precisa, dettagliata, raccontata minuziosamente, dei danni prodotti dall’inquinamento. Manca la speranza perché «il racconto della nuova società che si può costruire è esitan-

te, frammentario, alle volte carico di sensi di colpa, quasi che prima di proseguire occorra flagellarsi per espiare i peccati commessi». Inoltre, non è realmente praticabile, nei sistemi in cui viviamo, pensare a un’interruzione della corsa economica, almeno non come se fosse un diktat o un aut-aut. Bisogna piuttosto indirizzare la crescita verso un’innovazione della tecnologia e dei comportamenti, creando immaginari ad hoc. In questo senso, non sono sufficienti «i notai dei disastri», ci vogliono romanzi, film, telenovele che aiutino a costruire visioni quotidiane – con un ottimismo fatto di alternative e di nuove possibilità – in linea con la realtà difficile nella quale ci troviamo. E servono modelli economici di riferimento. Uno di questi, citato da Cianciullo, è rappresentato dal settore della bioeconomia che solo in Europa vale due miliardi di euro e dà lavoro a ventidue milioni di persone. Oppure ci sono esempi che arrivano dall’industria del riciclo, che permette una vera e propria trasformazione dei nostri rifiuti in qualcosa di diverso e nuovo rispetto al mero scarto. In Ecologia del desiderio vengono sollevate una serie di questioni che non sono nuove al dibattito internazionale. Da anni, infatti, gli esperti (economisti, scienziati, climatologi e anche filosofi) si domandano se ci siano altri modi per riuscire a trasmettere l’importanza dell’ambientalismo, fuori dalle nicchie – e da certo radicalismo – dell’attivismo, per contrastare in modo efficace il potere delle lobby degli idrocarburi che fomentano il negazionismo sul clima. C’è chi punta su scelte di crescita e di sviluppo diverse da quelle in corso, ma non in contrasto con lo stile di vita occidentale che, con la globalizzazione, è diventato un modello per quasi tutto il mondo. Tra questi Robert Pollin, professore di economia, co-direttore e fondatore del Political Economy Research Institute all’università di Massachusetts-Amherst,

Una scultura realizzata riciclando parti di una macchina da scrivere. (Ti-Press)

negli Stati Uniti. Nel suo ultimo libro, Greening the Global Economy (Ecologizzare l’economia globale), pubblicato da The MIT Press, spiega che per controllare il cambiamento climatico, secondo varie analisi, le emissioni dei gas serra vanno tagliate del quaranta per cento entro il 2030. Un obiettivo ambizioso raggiungibile soltanto attraverso grandi investimenti (circa l’1,5 per cento del Pil globale su base annua) nell’efficienza energetica e nelle energie pulite e rinnovabili, che innesterebbero un ciclo economico virtuoso. Infatti, con i giusti investimenti si può anche espandere l’occupazione e dare una spinta alla crescita economica. «Come parlare di cambiamento climatico in modo che le persone ascoltino» recitava il titolo

di qualche anno fa di un lungo articolo pubblicato sul mensile statunitense «Atlantic», firmato dal giornalista scientifico Charles Mann. I grafici dei climatologi che mostrano previsioni nefaste sullo scioglimento dei ghiacci ai Poli, con conseguente aumento del livello dei mari, non sembrano avere davvero un impatto sulla mentalità della maggioranza delle persone. È difficile, infatti, relazionarsi con l’immagine della terra e dei suoi abitanti tra un centinaio d’anni quando, senza gli interventi adeguati, – secondo diversi pronostici – la situazione sarà davvero disperata e soprattutto irreversibile: si tende a pensare al presente. «Sappiamo ma non sentiamo» scrive Cianciullo e il motivo è che forse non riusciamo davvero a concepire

la fine dell’umanità. «La terra non rischia molto: una febbre di poche decine di migliaia di anni non è un problema per un pianeta che in gioventù ha visto mutare radicalmente la configurazione dei continenti, mentre i mari salivano e scendevano di cento metri. La vita continuerà in ogni caso». Non quella umana, però, dato che la sopravvivenza della nostra specie richiede una certa stabilità degli ecosistemi in cui si è sviluppata. Non resta quindi che tentare di spostare l’attenzione da ciò che non si deve fare a ciò che va fatto, rappacificandosi «con l’idea di crescita e dandole un senso diverso: un aumento delle opportunità e dei piaceri che rispetta i limiti della fisica. Un’ecologia del desiderio, invece di un’ecologia del dovere».


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Ambiente e Benessere

Ambiente e Benessere

Un viaggio brillante

Viaggiatori d’Occidente In poche vie del centro di Anversa si commercia la maggior parte

dei diamanti del mondo

Fabrizio Ardito, testo e foto Sono le undici di mattina quando arrivo nel centro di Anversa, la più importante città delle Fiandre, nel nord del Belgio. Per ragioni di sicurezza l’accesso alla Borsa dei diamanti sulla Schupstraat non è più il portone monumentale affacciato sulla splendida stazione ferroviaria. Dopo severi controlli riesco comunque a entrare nella grande sala centrale della Beurs voor Diamanthandel. Inaugurata il 4 settembre del 1921, è tappezzata di bacheche con le foto e i curriculum degli aspiranti trader e broker, segnalazioni di sicurezza, gli elenchi dei commercianti falliti e le offerte di macchinari e software. Ai pochi computer occupati siedono degli ebrei ortodossi ma non si occupano di pietre preziose, passano invece il tempo giocando a solitario (forse anche perché, fa notare il mio esperto accompagnatore, a casa non possono utilizzare un computer per motivi religiosi). Attorno alla Borsa dei diamanti si radunano i pochi palazzi dimessi del Diamond Quarter, compreso tra la Pelikanstraat (che costeggia la Stazione centrale) e la Quinten Matsijslei, ai margini dello Staadspark. Qui ogni ufficio è legato al commercio, al taglio e alla vendita delle pietre. Sulle tre corte strade del quartiere, a due passi dal portale della Sinagoga portoghese, secondo Margaux Ponckier dell’Antwerp World Diamond

Monumento a Rubens sulla Groenplaats.

Una sala del DIVA, il Museo dei diamanti.

Centre lavorano millesettecento trader specializzati in diamanti. Dalle mura e sui lampioni brillano gli occhi elettronici di oltre duemila telecamere, mentre

l’andirivieni degli uomini d’affari con le loro valigette scure è interrotto solo per un attimo dalle manovre di un colossale furgone blindato della Brinks, utilizzato

per i trasporti verso le camere di sicurezza dell’aeroporto. In questo angolo di Anversa hanno sede le due banche specializzate nel

credito ai broker e anche l’organismo statale che controlla la regolarità fiscale dei commerci diretti al di fuori dell’Unione Europea. Ogni piccola vetrina

espone diamanti e gioielli, in altri casi mole e sofisticate attrezzature da taglio, o ancora la pubblicità di software israeliani in grado di scansionare in profondità ogni singola pietra grezza per scoprire le impurità e suggerire le proporzioni di taglio più redditizie. La lavorazione e il commercio dei diamanti ad Anversa è sempre stato riservato alla comunità ebraica, a partire almeno dal 1447, quando un magistrato cittadino emanò un editto per contrastare la vendita di diamanti contraffatti. Il commercio delle pietre preziose ebbe un impulso straordinario dopo che Vasco da Gama nel 1498 percorse per la prima volta la rotta marittima diretta per l’India, dove le miniere di diamanti erano numerose. Da qui la crescita repentina di Lisbona e Anversa nel mercato dei diamanti, a spese di Venezia. La comunità ebraica dei Paesi Bassi crebbe ulteriormente con la cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492, al termine della Reconquista dei Re cattolici Ferdinando e Isabella. Solo negli ultimi decenni si sono affacciati con prepotenza sulla piazza anche gli india-

Un incastonatore al lavoro.

ni, seguiti da armeni, libanesi e ovviamente cinesi. Sedendo a un tavolo da Hoffy’s – sulla piccola Lange Kievitstraat, a due passi dalla Borsa – davanti a un piatto di pollo marinato con prugne e vino rosso rigorosamente Yiddish si può scoprire molto (se si hanno i contatti

Mole usate per la lavorazione dei diamanti.

giusti) sul mondo dei diamanti: esclusivo, chiuso, misterioso. Per esempio attraverso queste tre stradine secondarie, meno di un chilometro quadrato di superficie, passano l’84% dei diamanti grezzi e il 50% delle pietre tagliate del mondo (per un totale di 202 milioni di carati); il mercato della città belga da

Insegna di uno dei negozi nel Diamon Quarter.

solo muove circa 48 miliardi di dollari americani. Ma non tutto è perfetto, nel luccicante mondo dei diamanti: anche nelle stanzette ovattate – dove gli accordi commerciali erano sanciti da una stretta di mano e da un pezzetto di carta firmato – sono entrati i computer. In apparenza è una benedizione per chi doveva rimanere in piedi per ore nella sala fumosa della Borsa e precipitarsi alle cabine telefoniche per ogni comunicazione. Il rovescio della medaglia però è divenuto sempre più evidente con il trascorrere del tempo. Oggi pochi grandi siti web propongono buona parte dell’offerta internazionale di pietre, con descrizioni, filmati in alta definizione e stime (provare per credere: www.bluenile.com). Ne risulta inevitabilmente sminuito il lavoro dei venditori, profondi conoscitori dei diamanti, dei tagli e delle loro quotazioni, in contatto con centinaia di broker sparsi tra New York, Anversa, Tel Aviv, Bombay e Dubai. «Tra qualche anno il mercato sarà diventato in buona parte virtuale» riflette a voce alta il mio broker di fidu-

cia davanti a un bicchiere di vino rosso «e nel caro vecchio Diamond Quarter resisteranno ben pochi degli impiegati e imprenditori di oggi. Forse in queste strade rimarrà solo il commercio delle pietre grezze, mentre il grosso del mercato al dettaglio si sarà spostato altrove: magari a Dubai, dove il governo offre condizioni fiscali eccezionali, impensabili altrove, a chi decide di spostarsi a lavorare ai margini del deserto…». Forse un giorno i diamanti saranno il passato di Anversa e allora visiteremo il nuovo museo multimediale DIVA, dedicato alla storia e alle curiosità di questo prezioso commercio. Ma per adesso meglio passeggiare nelle stradine del quartiere dei broker, osservando l’andirivieni frettoloso dei gioiellieri con le loro preziose borse, ammirando gli anelli d’oro nelle vetrine con il castone vuoto, pronto a ricevere un diamante, o anche solo sostando per un caffè e un pasticcino al miele in un caffè libanese, sotto alle volte della piccola galleria al termine di Rijfstraat. I diamanti, con le loro storie affascinanti, sono dovunque attorno a noi.

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Ambiente e Benessere

Ambiente e Benessere

Un viaggio brillante

Viaggiatori d’Occidente In poche vie del centro di Anversa si commercia la maggior parte

dei diamanti del mondo

Fabrizio Ardito, testo e foto Sono le undici di mattina quando arrivo nel centro di Anversa, la più importante città delle Fiandre, nel nord del Belgio. Per ragioni di sicurezza l’accesso alla Borsa dei diamanti sulla Schupstraat non è più il portone monumentale affacciato sulla splendida stazione ferroviaria. Dopo severi controlli riesco comunque a entrare nella grande sala centrale della Beurs voor Diamanthandel. Inaugurata il 4 settembre del 1921, è tappezzata di bacheche con le foto e i curriculum degli aspiranti trader e broker, segnalazioni di sicurezza, gli elenchi dei commercianti falliti e le offerte di macchinari e software. Ai pochi computer occupati siedono degli ebrei ortodossi ma non si occupano di pietre preziose, passano invece il tempo giocando a solitario (forse anche perché, fa notare il mio esperto accompagnatore, a casa non possono utilizzare un computer per motivi religiosi). Attorno alla Borsa dei diamanti si radunano i pochi palazzi dimessi del Diamond Quarter, compreso tra la Pelikanstraat (che costeggia la Stazione centrale) e la Quinten Matsijslei, ai margini dello Staadspark. Qui ogni ufficio è legato al commercio, al taglio e alla vendita delle pietre. Sulle tre corte strade del quartiere, a due passi dal portale della Sinagoga portoghese, secondo Margaux Ponckier dell’Antwerp World Diamond

Monumento a Rubens sulla Groenplaats.

Una sala del DIVA, il Museo dei diamanti.

Centre lavorano millesettecento trader specializzati in diamanti. Dalle mura e sui lampioni brillano gli occhi elettronici di oltre duemila telecamere, mentre

l’andirivieni degli uomini d’affari con le loro valigette scure è interrotto solo per un attimo dalle manovre di un colossale furgone blindato della Brinks, utilizzato

per i trasporti verso le camere di sicurezza dell’aeroporto. In questo angolo di Anversa hanno sede le due banche specializzate nel

credito ai broker e anche l’organismo statale che controlla la regolarità fiscale dei commerci diretti al di fuori dell’Unione Europea. Ogni piccola vetrina

espone diamanti e gioielli, in altri casi mole e sofisticate attrezzature da taglio, o ancora la pubblicità di software israeliani in grado di scansionare in profondità ogni singola pietra grezza per scoprire le impurità e suggerire le proporzioni di taglio più redditizie. La lavorazione e il commercio dei diamanti ad Anversa è sempre stato riservato alla comunità ebraica, a partire almeno dal 1447, quando un magistrato cittadino emanò un editto per contrastare la vendita di diamanti contraffatti. Il commercio delle pietre preziose ebbe un impulso straordinario dopo che Vasco da Gama nel 1498 percorse per la prima volta la rotta marittima diretta per l’India, dove le miniere di diamanti erano numerose. Da qui la crescita repentina di Lisbona e Anversa nel mercato dei diamanti, a spese di Venezia. La comunità ebraica dei Paesi Bassi crebbe ulteriormente con la cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492, al termine della Reconquista dei Re cattolici Ferdinando e Isabella. Solo negli ultimi decenni si sono affacciati con prepotenza sulla piazza anche gli india-

Un incastonatore al lavoro.

ni, seguiti da armeni, libanesi e ovviamente cinesi. Sedendo a un tavolo da Hoffy’s – sulla piccola Lange Kievitstraat, a due passi dalla Borsa – davanti a un piatto di pollo marinato con prugne e vino rosso rigorosamente Yiddish si può scoprire molto (se si hanno i contatti

Mole usate per la lavorazione dei diamanti.

giusti) sul mondo dei diamanti: esclusivo, chiuso, misterioso. Per esempio attraverso queste tre stradine secondarie, meno di un chilometro quadrato di superficie, passano l’84% dei diamanti grezzi e il 50% delle pietre tagliate del mondo (per un totale di 202 milioni di carati); il mercato della città belga da

Insegna di uno dei negozi nel Diamon Quarter.

solo muove circa 48 miliardi di dollari americani. Ma non tutto è perfetto, nel luccicante mondo dei diamanti: anche nelle stanzette ovattate – dove gli accordi commerciali erano sanciti da una stretta di mano e da un pezzetto di carta firmato – sono entrati i computer. In apparenza è una benedizione per chi doveva rimanere in piedi per ore nella sala fumosa della Borsa e precipitarsi alle cabine telefoniche per ogni comunicazione. Il rovescio della medaglia però è divenuto sempre più evidente con il trascorrere del tempo. Oggi pochi grandi siti web propongono buona parte dell’offerta internazionale di pietre, con descrizioni, filmati in alta definizione e stime (provare per credere: www.bluenile.com). Ne risulta inevitabilmente sminuito il lavoro dei venditori, profondi conoscitori dei diamanti, dei tagli e delle loro quotazioni, in contatto con centinaia di broker sparsi tra New York, Anversa, Tel Aviv, Bombay e Dubai. «Tra qualche anno il mercato sarà diventato in buona parte virtuale» riflette a voce alta il mio broker di fidu-

cia davanti a un bicchiere di vino rosso «e nel caro vecchio Diamond Quarter resisteranno ben pochi degli impiegati e imprenditori di oggi. Forse in queste strade rimarrà solo il commercio delle pietre grezze, mentre il grosso del mercato al dettaglio si sarà spostato altrove: magari a Dubai, dove il governo offre condizioni fiscali eccezionali, impensabili altrove, a chi decide di spostarsi a lavorare ai margini del deserto…». Forse un giorno i diamanti saranno il passato di Anversa e allora visiteremo il nuovo museo multimediale DIVA, dedicato alla storia e alle curiosità di questo prezioso commercio. Ma per adesso meglio passeggiare nelle stradine del quartiere dei broker, osservando l’andirivieni frettoloso dei gioiellieri con le loro preziose borse, ammirando gli anelli d’oro nelle vetrine con il castone vuoto, pronto a ricevere un diamante, o anche solo sostando per un caffè e un pasticcino al miele in un caffè libanese, sotto alle volte della piccola galleria al termine di Rijfstraat. I diamanti, con le loro storie affascinanti, sono dovunque attorno a noi.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Ambiente e Benessere

Due ruote senza centauri

Gustali ora: funghi aromatici.

Motori Grazie alle meraviglie della tecnologia

ecco la motocicletta che si guida da sola: ma a cosa serve?

Mario Alberto Cucchi Niente trucchi. La motocicletta BMW sta viaggiando senza pilota. E non va solo diritta, è anche in grado di curvare. E quando si ferma? Non cade per terra, si apre il cavalletto e tac, eccola parcheggiata. Difficile credere a una foto, ecco quindi il link per vedere il video su Youtube della prima moto autonoma del gruppo tedesco: https:// youtu.be/4JlYE6nSNJI . Proprio quando la bella stagione per le moto sta per finire, settembre, la Casa di Monaco ha giocato l’asso. L’occasione è stata quella dei Motorrad Techday, giornate in cui vengono mostrate in anteprima agli addetti ai lavori le primizie tecnologiche. Quest’anno si sono tenuti a Miramas, un’area dedicata ai test privati che si trova nel sud della Francia. C’è sempre grande aspettativa, ma neppure il più fantasioso si poteva immaginare di veder spuntare una BMW R 1200 GS senza pilota. «Accelera, gira nel circuito ricco di curve e rallenta sino a fermarsi» spiega Stefan Hans, l’ingegnere che assieme al suo team ha sviluppato questo mezzo. Affascinante, ma a cosa serve? Abbiamo imparato che con le auto a guida autonoma il proprietario può ipotizzare in un futuro di farsi trasportare a destinazione mentre si risposa o mentre lavora. Ma cosa può fare il pilota della moto a cui non è più richiesto di guidare durante il tragitto? Di certo non può dormire e neppure distrarsi più di tanto. In moto anche il passeggero è parte attiva della guida, pena il rischio di finir per terra. Quindi, a cosa serve questa moto autonoma? «Con questo sviluppo avveniristico» spiegano gli ingegneri di BMW Motorrad «non si intende una moto completamente indipendente. Piuttosto, la tecnologia di base che servirà da piattaforma per lo sviluppo di

futuri sistemi e funzioni che rendano le due ruote ancora più sicure e confortevoli. L’obiettivo per lo sviluppo di questo prototipo è quello di raccogliere ulteriori conoscenze sulle dinamiche di guida in moto al fine di rilevare immediatamente situazioni pericolose e quindi supportare il conducente con sistemi di sicurezza appropriati, ad esempio nella svolta ad un incrocio o durante una brusca frenata». Quindi non si tratta di un prototipo a cui seguirà un mezzo di serie. In pratica arrivare ad avere una moto che si porta in giro da sola serve a studiare e poi implementare avanzati sistemi di sicurezza che siano in grado di aiutare il pilota in situazioni di emergenza. Insomma in BMW stanno creando un valido copilota. Oltre a questo, nei Motorrad Techday 2018 sono state svelate altre tecnologie che arriveranno sulle nostre strade tra qualche anno abbinate alle due ruote. Dai fari delle luci che seguono la traiettoria della moto ai proiettori laser, passando per un telaio di moto realizzato con un processi di stampa 3D. «Il vantaggio della stampa 3D risiede nella completa libertà di progettare componenti che non potrebbero essere prodotti in altri modi» spiegano gli ingegneri tedeschi. Sono evidenti le sinergie con il settore auto della Casa tedesca, dove i volumi di vendite sono ben diversi: nel 2017 il BMW Group ha venduto oltre 2’463’500 automobili e più di 164’000 motocicli nel mondo. Sempre dalle quattro ruote deriva il sistema V2V mostrato durante i Techday. Si tratta di un sistema di comunicazione digitale che permette ai veicoli di scambiarsi informazioni durante il tragitto, dal traffico alla qualità dell’asfalto, sino al meteo. Un futuro sempre più digitale e connesso che mette al centro la sicurezza del pilota. D’altronde i clienti è meglio tenerseli stretti.

Da quelli disponibili tutto l’anno come gli champignon o gli shiitake, fino a quelli selvatici di stagione come i gallinacci o i porcini: con oltre 15 varietà diverse e una grande offerta bio la Migros fa la gioia di tutti gli amanti dei funghi.

Shiitake significa letteralmente «fungo profumato». La sua fama di fungo medicinale lo rende una delle varietà più amate nei paesi asiatici da cui origina.

I funghi porcini sono facili da riconoscere per l’appariscente cappello dalla forma rotonda. E grazie al loro delicato aroma nocciolato conferiscono il sapore giusto a pasta, pizza e risotto.

I gallinacci o finferli, noti anche come l’«oro dei boschi», sono gustosissimi rosolati nel burro e sfumati con vino bianco.

Gli champignon marroni hanno un gusto leggermente più intenso dei loro cugini bianchi e provengono quasi tutto l’anno dalla Svizzera.

In futuro i telai saranno realizzati con stampanti 3D.

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Viene usata per provare i sistemi assistiti di guida.

Ulteriori informazioni su: migros.ch/frutta-verdura


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Ambiente e Benessere

Donne e cantine, binomio vincente

Scelto per voi

Il vino nella storia La vicenda di tre grandi produttrici che hanno segnato

la storia dell’enologia Davide Comoli

Era il 1805 quando Barbe Nicole Clicquot-Ponsardin, divenne vedova in seguito al decesso accidentale di suo marito. Madre di una piccola bimba (Clementine) avuta dal suo breve matrimonio e appena ventisettenne, non si perse d’animo e prese in mano la piccola azienda famigliare di commercio di vini la «Maison Clicquot & Fils». Con l’aiuto di fidati collaboratori che erano stati vicini al defunto marito, incominciò l’apprendistato nel, a lei poco conosciuto, mondo vinicolo. Nel 1810 trasforma la «Maison Clicquot & Fils», per motivi giuridici in «Veuve Clicquot-Ponsardin», trasformandola da azienda commerciale a produttrice di champagne. Le foto dell’epoca ci mostrano una donna dal volto risoluto. È il viso di una manager, dinamica, audace con l’intelligenza, allora assai rara, di opporsi al dominio maschile nel campo vitivinicolo, tanto d’arrivare e collaborare con essi. A poco a poco, con grande lungimiranza, acquista le migliori parcelle vitate, migliora la produzione del vino e

fa costruire delle nuove cantine, insomma in poco tempo sotto la sua guida la sua «Maison» diventa una delle più belle e famose in Champagne. Per arrivare a questi livelli Mme Veuve Clicquot, dovette comunque rischiare molto. A lei infatti viene attribuita l’idea di forzare il blocco navale a cui era soggetto in quel periodo storico la Francia di Napoleone e mandare in Russia in dono alla zarina, in attesa di un figlio, 30’000 bottiglie del suo champagne. Inutile dire che tutto andò a buon fine e grazie a lei la Russia fu inondata in seguito da fiumi di Klikoskoie, il nome russo dello champagne. A quell’epoca il vino di champagne poneva ancora qualche problema: i depositi rendevano il vino torbido. Bisognava quindi aspettare affinché si potesse travasare il vino per poterlo illimpidire. Ma il tempo mancava e la richiesta del suo prodotto era molto grande, bisognava trovare una soluzione. Grazie all’aiuto del cantiniere di origine svizzera, impiegato nella cantina Clicquot-Ponsardin, Antoine Muller, che lavorò nell’azienda dal 1810 al 1816. La vedova ebbe la luminosa

idea di mettere a punto il processo di «remuage» e di «dégorgement» ideando il procedimento di decantazione: dal fianco alla punta, costruendo le prime «pupitres». Il prodotto perso dopo la sboccatura veniva rimpiazzato da una «liqueur» (pratica che si svilupperà a fine 800). Nel 1815 nasce il primo champagne millesimato e nel 1828 il primo rosé d’assemblaggio. Utilizzando tecniche di marketing moderno, fece mettere sulle etichette (ora sui tappi) il simbolo della cometa che nel 1811 aveva attraversato il cielo della Champagne, come augurio di una buona raccolta, questo simbolo è ancora oggi l’emblema della «Maison». All’età di 89 anni questa grande donna manager, lascia questo mondo, è il 1866, ma prima della sua dipartita, Mme Clicquot può osservare l’ascesa di un’altra vedova dello Champagne, Mme Pommery, di cui si parlerà molto. Era il 1839 quando Louise Alexandrine Melin, allora ventenne, sposò Alexandre Pommery, socio di una «Maison negotiant» di vini di champagne. Nel 1856 A. Pommery ne divenne il proprietario, cambiando il nome dell’azienda in Pommery. Purtroppo fu breve gioia, perché dopo un anno spirò. A 38 anni la vedova Louise, decise di continuare l’opera del marito, avendo negli anni acquisito esperienza nel settore. Piena d’ambizione decise di creare una «Maison» di champagne fuori del normale. Tra il 1868 e il 1888, passo dopo passo, fece costruire a Reims un castello stile elisabettiano, molto in voga all’epoca e soprattutto fece scavare nelle famose crayères (sottosuolo della Champagne) 12 km di gallerie in modo da far riposare il vino ad una temperatura costante di 10° C. In effetti era necessario avere un luogo adatto per la creazione dello champagne, che all’epoca era ricco di

In aggiunta alle oltre 400 etichette In aggiunta alle oltre 400 etichette In aggiunta alle oltre 400 etichette

Il suo nome è un’etichetta famosa: Mme Cliquot-Ponsardin. (Wikiwand)

Epicuro Primitivo di Manduria DOC Riserva 2015, Puglia, Italia, 75 cl

Feudo di Marano Amarone della Valpolicella DOCG Classico 2014/2015, Veneto, Italia, 75 cl

Rating della clientela:

Italia, 75 cl Epicuro di Manduria pasta,Primitivo pizza, grigliate Rating della clientela: DOC Riserva

Italia, 75 cl Feudo di Marano della risotto, formaggio Amarone saporito, Rating della clientela: Valpolicella Classico piatti a baseDOCG di funghi

2015, Puglia, Carne rossa, verdure,

Primitivo 2015, Puglia, Italia, 75 cl Carne rossa, verdure, Rating3–7 della clientela: pasta, pizza, grigliate anni Primitivo Carne rossa, verdure, pasta, pizza, grigliate 3–7 anni Primitivo

37% 9.95 37% 9.95 37% 3–7 anni

invece di 15.95

invece di 15.95

Feudo di Marano Amarone della Valpolicella DOCG Classico 2014/2015, Veneto, Carne rossa, cacciagione,

2014/2015, Veneto, Corvina, Rondinella, Molinara Italia, 75 cl Carne rossa, cacciagione, Rating risotto, della clientela: formaggio saporito, 2–8 anni piatti a base di funghi

Corvina, Rondinella, Molinara Carne rossa, cacciagione, risotto, formaggio saporito, piatti a base di funghi 2–8 anni Corvina, Rondinella, Molinara

35% 17.95 35% 17.95 35% 2–8 anni

invece di 27.95

Rosso granato con sfumature aranciate, il vino libera al naso profumi di viole e rose passite, prugne, spezie e note di liquirizia, in bocca c’è una densità vellutata propria dei grandi vini, alcune note minerali con tannini ben presenti, un vero concentrato di equilibrio e armonia, questo è il Barolo Pio Cesare 2010. Antica e famosa casa vitivinicola fondata nel 1881, le cui vigne coltivate a Nebbiolo si trovano sulle ondulate colline tra Serralunga, Castiglione, Barolo e Verduno, quattro comuni degli 11 cha danno origine alla D.O.C.G. Barolo e che si trovano nel cuore delle Langhe. Il «nettare» va aperto almeno un’ora prima di essere servito ad una temperatura che varia tra i 18°/20° C, il Barolo entra a far parte di numerose ricette per insaporire, caratterizzare numerosi piatti, ma noi ve lo consigliamo come abbinamento ad un risotto al tartufo bianco con la sua tipica esuberanza gusto/olfattiva, ma scomodate il vostro Barolo soprattutto con la selvaggina di cervo e capriolo, salmì con polenta e a fine cena con dei formaggi erborinati con profumi ed aromi penetranti come il Gorgonzola, il Bleu d’Auvergne o al Castelmagno stagionato. / DC

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JP Azeitão Tinto

2017, Vinho Regional Península de Setúbal, Portogallo, 6 x 75 cl

Rating della clientela:

JP Azeitão Tinto

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Syrah 2017, Vinho Regional Península de Setúbal, Portogallo, 6 x 75 cl Carne rossa, verdure, paella, Rating1–3 della clientela: anni formaggio a pasta molle, piatto unico Syrah Carne rossa, verdure, paella, formaggio a pasta molle, piatto unico 1–3 anni Syrah

52% 19.80 52% 19.80 52% 1–3 anni

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Domherrenwein Fendant du Valais AOC 2017, Vallese, Svizzera, 6 x 75 cl

Domherrenwein Fendant du Valais AOC

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2017, Vinho Regional Península de Setúbal, Carne rossa, verdure, Portogallo, 6 x 75 cl paella, formaggio a pasta molle, piatto unico Rating della clientela:

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Enoteca Vinarte, Centro Migros S. Antonino

Barolo Pio Cesare 2010

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Epicuro Primitivo di Manduria DOC Riserva

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zucchero, sino a 200 grammi per bottiglia. Essendo un vino dolce, creò per la clientela britannica, abituata a bere vini secchi, uno champagne «dry», nacque così il primo Pommery brut Nature. Ridurre lo zucchero che mascherava certi tipi di difetti del vino significò un grande successo, si deve quindi a questa intraprendente figura di donna se oggi noi beviamo champagne a tutto pasto e non soltanto come vino da dessert, come tradizione voleva. Le immagini allegre che ci sono pervenute, mostrano come in quella che fu chiamata la Belle Époque, nobili, dame, ballerine e cortigiane, conquistano e irretiscono avendo come alleato lo champagne. Anche in Piemonte, forse più discretamente, operò una grande donna all’inizio del 1800, Juliette Victurine nata Colbert, francese purosangue e nipote nientemeno che del grande ministro Colbert. Nel 1810 il marchese Tancredi Falletti di Barolo la conobbe alla corte di Napoleone e subito s’invaghì di questa bellissima donna e la sposò. Nel 1814 la coppia si trasferisce a Torino, centro di ritrovo politico e intellettuale. Molto impegnata culturalmente, pochi sanno del suo impegno nel sociale, Giulia Falletti, accoglie nel suo castello di Barolo le ragazze madri e le donne in difficoltà, opera quasi unica in quei tempi, inoltre la marchesa Falletti s’interessa anche dei possedimenti di famiglia a Serralunga, Barolo e Morra, soprattutto dopo la morte del marito nel 1838. Insieme a Camillo Benso conte di Cavour, che possedeva a Grinzane una tenuta vicino a quella dei Falletti, poco soddisfatta dei risultati ottenuti dai vini prodotti sulle sue terre con i metodi allora in voga, chiamarono dalla Francia un celebre enologo e viticoltore del tempo, Louis Oudart. Era il 1846 nasceva quello che definitivamente verrà chiamato il vino «Barolo».

2017, Vallese, Stuzzichini da aperitivo, antipasti,

Svizzera, 6 x 75 cl Domherrenwein fondue di formaggio, raclette, Rating della du clientela: Fendant Valais AOC formaggio a pasta dura

2017, Vallese, Chasselas Svizzera, 6 x 75 cl Stuzzichini da aperitivo, antipasti, Rating fondue della clientela: di formaggio, raclette, 1–3 anni formaggio a pasta dura Chasselas da aperitivo, antipasti, Stuzzichini fondue di formaggio, raclette, formaggio 1–3 anni a pasta dura Chasselas

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Ambiente e Benessere

Un piatto pugliese, anzi angioino Allan Bay Le orecchiette sono un formato di pasta corta, di semola di grano duro, di produzione artigianale e industriale. Diffuse in tutta l’Italia meridionale, sono da sempre considerate l’emblema gastronomico della Puglia; eppure, l’origine è controversa, anzi un mistero, perché non esistono documenti che ne attestino la nascita. Potrebbero in realtà essere originarie della Provenza, dove nel Medioevo si produceva una pasta molto simile: spessa, a forma di disco e incavata al centro mediante la pressione del pollice (per facilitare l’essiccazione e quindi la conservazione per i periodi di carestia); dalla Francia le avrebbero poi introdotte in Puglia gli Angioini, che nel Duecento dominavano la regione. Ma altri sostengono che le orecchiette avrebbero avuto origine tra il XII e il XIII secolo nella regione di Bari e che la loro forma s’ispiri a quella dei tetti dei trulli; altri ancora le vedono collegate alla comunità israelitica ossia derivate da ricette della tradizione ebraica come le orecchie di Amman (che sono dolcetti a forma di orecchio, costituiti da una semplice sfoglia realizzata con uova, farina, poco zucchero, scorza di limone e vaniglia; tagliate a pezzetti, vengono fritte in olio di semi e infine cosparse di zucchero a velo).

Le orecchiette sono molto apprezzate in particolare perché la loro forma così speciale le rende capaci di assorbire il condimento meglio di altri tipi di pasta di grano duro Comunque sia, la preparazione delle orecchiette deve avvenire a regola d’arte: l’interno dev’essere liscio e la su-

perficie esterna, trascinata sulla spianatoia, rugosa (per meglio trattenere il condimento). Da questo gesto deriva uno dei tanti nomi assunti dalle orecchiette: strascinati; ma i dialetti hanno dato luogo alle varianti recchie o recchietelle, ma anche chianchiarelle, se piccole, e pociacche, se più grosse. La tradizione vuole che le orecchiette siano prodotte artigianalmente, ma da tempo la produzione industriale di pasta secca le ha incluse tra i suoi formati. L’abbinata classica è con le cime di rapa, ma nel Salento si condiscono con sugo di pomodoro – con o senza spezzatino di carne o polpette o braciole – e ricotta di pecora. Se volete cimentarvi, ecco come si fanno. Per 4 persone. Setacciate 100 g di farina di grano duro con 200 g di farina bianca e impastatele sulla spianatoia con un pizzico di sale e acqua tiepida in quantità sufficiente a ottenere un impasto abbastanza sodo. Staccatene una piccola parte per volta, formate un cilindro dello spessore di 5-6 mm e tagliatelo in pezzetti della lunghezza di 1 cm. Coprite la pasta rimasta con una ciotola per evitare che asciughi troppo. Premendo leggermente con la punta arrotondata di un coltello, dal lato del dorso, «strisciate» i pezzetti di pasta sulla spianatoia in modo da formare un piccolo incavo. Rovesciate quindi i pezzetti sulla punta del pollice ottenendo così le orecchiette. Trasferitele su un canovaccio infarinato per farle asciugare. Proseguite con la stessa procedura fino a esaurimento della pasta. In cottura, tradizionalmente vengono cotte in acqua salata al bollore insieme alle verdure prescelte e cotte in tutto circa 6/8 minuti se fresche: ma se le comprata già fatte, secche, controllate sulla confezione. Ovviamente tuffando le verdure mondate in base al loro tempo di cottura, quindi o prima o insieme o anche dopo aver tuffato le orecchiette, ché in genere cuociono più rapidamente delle orecchiette. Poi si scola il tutto e si salta in padella, con olio e poca acqua di cottura.

Marka

Gastronomia È una specialità molto conosciuta la cui storia però è difficile da ricostruire

CSF (come si fa)

Alla Demidoff è un’espressione che designa alcuni piatti dedicati al principe russo Anatoli Demidov (traslitterando dal russo, i francesi, che usano un sistema tutto loro, scrivono alla fine dei cognomi ff, mentre il resto del mondo, che utilizza un sistema ufficiale, al posto di ff mette v). Nacque nel 1812, morì nel 1870. Fu ricchis-

simo, illustre gastronomo, appassionato d’arte, raffinato bon viveur. Filo conduttore delle preparazioni a lui dedicate è la presenza del tartufo nero. Il piatto più celebre è un pollo al burro, servito con verdure varie e sormontato dal tartufo. Pollo alla Demidoff. Per 4 persone. Pulite 1 pollo da 1,5 kg e, con un coltello affilato, prelevatene i petti, le cosce e le controcosce. Tagliate a pezzi la parte rimanente, passateli nella farina, scuoteteli per far cadere quella in eccesso e rosolateli in una casseruola con 1 filo di olio, meglio se di semi, mescolando. Sfumate con 1 bicchiere di vino bianco secco sobbollito per 3’ e coprite con 2 dl di brodo di pollo bollente. Cuocete per 40’ poi filtrate il fondo e conservatelo. Nel frattempo, tagliate a juliénne 2 carote, 1 rapa, 2 gambi di

sedano e 1 cipolla. Infarinate le parti del pollo tenute da parte e rosolatele uniformemente in una casseruola con 1 noce di burro. Unite le verdure, poi il fondo di cottura, coprite e cuocete in forno a 150° per 40’, unendo il brodo necessario. Sfornate, profumate il pollo con 100 g di prosciutto crudo tagliato a julienne e 80 g di tartufo nero mondato e tagliato a cubetti, e rimettete in forno, sempre coperto, per altri 10’ – ricordiamo che mentre il tartufo bianco non va mai cotto, quello nero va sempre cotto. Infine, prelevate i pezzi di pollo e teneteli in caldo. Unite nelle casseruola 10 g di farina setacciata e 1 bicchierino di Porto o Marsala secchi sobbolliti per 3’ e mescolate per pochi minuti a fiamma moderata. Regolate di sale e di pepe. Nappate il pollo con la salsa e servite.

Ballando coi gusti Sono pizze saporite, anche se a volte vengono chiamate torte o focacce, dato che teoricamente la pizza si cuoce senza olio.

Pizza di speck e mele

Pizza di provola e olive

Ingredienti per 4 persone: pasta da pizza g 800 · 2 tuorli · formaggio tipo toma

g 200 · 2 mele · speck affettato sottile g 200 · sale e pepe.

Pizza di provola e olive: pasta da pizza g 800 · formaggio tipo provola g 200 · salsa densa di pomodoro g 120 · 1 cipolla · olive nere denocciolate g 100 · sale e pepe.

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Dividete in 4 parti la pasta da pizza e stendetela con le mani non troppo sottile, formando un bordo abbastanza alto. Tagliate il formaggio a fettine. Tagliate la cipolla ad anelli sottili e sbollentateli per 1 minuto. Farcite mettendo prima il pomodoro, ben distribuito, sopra il formaggio, le olive e la cipolla. Pennellate (ma sarebbe meglio spruzzare con un vaporizzatore…) con poco olio. Cuocete la pizza in forno a 220° per 30 minuti. Servite subito.


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I T O P A R E O T 21 D I P A S T O S I Ambiente e Benessere 14 15 16 O L F A T T O C A T 17 18 I L O T A L U C E 19 20 21 B O L I R 22 23 24 R Asi R I M ogni I Paese del mondo Mondoanimale Istituito in Italia nel 1931, il World Animal Day (WAD) festeggia in 25 26 U S A N Z E SUDOKU PER 27 28 T I E L C E Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 11 settembre 2018 • N. 12 39

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Il senso di una giornata per gli animali Maria Grazia Buletti «Un animale domestico è un impegno per la vita che non dovrebbe essere preso alla leggera. Adottare in maniera responsabile un animale significa prendersene cura per sempre, sia quando esso sta bene che quando si ammala»: in occasione del 4 ottobre, giornata che ogni anno è dedicata agli animali, la direttrice esecutiva della Bermuda Society for the Prevention of Cruelty Deborah Titterton Narraway vuole sottolineare l’importanza di un approccio consapevole all’adozione di qualsiasi animale domestico. Questa riflessione, che ci arriva addirittura dalle isole Bermuda, è una delle parecchie osservazioni che ogni anno giungono da ogni dove. Come dire: tutto il mondo è paese. Così la ricorrenza di San Francesco d’Assisi, protettore degli animali, viene associata ogni anno al festeggiamento dei migliori amici dell’uomo, a ricordarci la loro importanza per il Pianeta e per la vita dell’essere umano. E non è un caso che dal 1931 l’evento, nato in Italia e divenuto poi internazionale, si ripeta ogni anno in una data significativa, quantomeno per l’Occidente cristiano: il 4 ottobre ricorre la commemorazione del santo autore del celebre Cantico delle creature, il più antico tra i componimenti poetici della letteratura italiana e, forse, il testo più intenso dedicato alla celebrazione della natura. «La giornata mondiale degli animali aveva inizialmente lo scopo di salvaguardare le specie a rischio di estinzione; successivamente questo evento si è trasformato in una giornata in onore di tutti gli animali del mondo

Giochi

e in un’opportunità per sensibilizzare le coscienze e l’opinione pubblica», così riassume il senso di questa festa il presidente della Protezione degli animali Bellinzona e Valli (SPAB) Emanuele 1 2 Besomi, che da anni ha oramai raccolto il testimone da suo padre Armando, 7 fondatore del sodalizio e grande pioniere della focalizzazione dell’atten9 zione agli animali, ai loro bisogni e alla loro salvaguardia. A proposito delle origini, e delle specie minacciate di estinzione12sulla13Terra, oggi circa il 40 15 14 percento di tutte le specie animali sono minacciate d’estinzione a causa della 17 18 distruzione dell’habitat, dell’inquinamento, del cambiamento climatico, 19 20 delle specie invasive e della caccia illegale, senza dimenticare il bracconaggio 22 e il traffico illegale di fauna selvatica vigenti in alcuni Paesi. 24 Inoltre, ci sono circa 3100 animali al mondo classificati come già «in via di estinzione», numero che secondo gli studiosi è purtroppo destinato a crescere sempre di più. Tutti i promotori della Giornata mondiale dedicata agli 1 2 3 dell’avviso 4 animali sono quindi che oggi più che mai ognuno di noi debba 10 all’azione di protezione 11 contribuire degli animali, e dei loro habitat. «Basterebbero12pochi semplici gesti, 13 come riciclare e ridurre l’uso di energia, minimizzare14l’uso di erbicidi e15pesticidi e magari, perché no?, raccogliere la spaz17 strade o partecipare alla zatura dalle pulizia delle spiagge», sottolinea l’En19 pa (Ente nazionale protezione animali della vicina Penisola). Dal canto suo, Besomi ribadisce l’importanza di celebrare («…e non solo quel giorno») la vita degli animali in tutte le sue forme: 23 24

(N. 34 - ... prestagli le tue scarpe)

bisogni, atteggiamenti che sono umani e non della loro specie, snaturandoli 5 6 e,9di fatto, 4 usando loro la forma 1 di3violenza più pericolosa di tutte: quella di 8 amarli troppo 4 2 travisandone6e violando la loro vera natura. E così non rispet10 tandola». 1 7 9 3 4 Besomi porta ad esempio il cane: 11 «Non ragiona e non pensa come noi, 9 5 siamo 8 noi che dobbiamo cercare 7 ma 16 di immergerci nella sua filosofia, im9 con parare il suo modo di comunicare noi, e adeguarci di conseguenza, in modo sia equilibrato e 8 7 che 9 il rapporto 1 21 tutti, cane e noi umani, possiamo beneficiarne». Questo vale, naturalmen1 specie animale 6 5alla quale 9 23 Intervento in elicottero per il trasporto di un cavallo. (SPAB) te per ogni ci rapportiamo, dimenticando troppo 25 6 «Dobbiamo riconoscere il ruolo che esseri umani». Nell’affermare9 ciò, 2 il spesso che abbiamo a che fare4con gli animali hanno assunto nella nostra presidente della SPAB approfondisce il specie differenti da noi e che dovremvita di esseri umani e il modo in cui la discorso di ordine generale a favore di mo in qualche 5 modo imparare 7 a com2 arricchiscono». una riflessione molto più specifica che prenderne il linguaggio. Festeggiare, Per questo, secondo il nostro in- andrebbe fatta ogni giorno dell’anno: ma soprattutto proteggere gli animali, terlocutore, è importante tenere sem- «Le attenzioni nel riconoscere gli ani- significa riflettere bene e agire corret6 i riflettori 7 8 sull’importanza 9 pre5 accesi mali come esseri senzienti, che ci ac- tamente su tutto questo. Infine, BesoS Ecompagnano R V lungo O il cammino U suM I persone ad uscire da quella di elevare lo status di tutte le creature que- Omi invita le 7R con cui condividiamo il Pianeta, e nel sta Terra, deve passare anche per la non che definisce «la disarmante ignoranza E S Sche M Z O 2di parecchie3persone ricontempo promuovere la cultura del Iri- N antropomorfizzazione purtroppo superficialità 5 I 1 L espetto spetto e della loro cura. «Tanto più che oggi è invece dilagante». agli animali». L O Ciò I significaO N I deveCes- E Prendiamoci I in Svizzera dal 2007 gli animali sono che l’animale dunque il tempo per 2 che celebrare 1 9 mondiale de16 da puro e semstati finalmente elevati sere avvicinato e amato per quello la Giornata O Nè: un animale, E della R sua E specie, D conI le gli O D non solo questo 4 ottobre: plice oggetto a esseri viventi e senzienanimali ti», sottolinea18il nostro interlocutore caratteristiche interspecifiche, che ha «Dovremmo farlo ogni gior1 singolo 9 S Eatteggiamenti, Q U codice E Lcomunicativo, A I no, LperchéEtutti insieme possiamo fare per il quale la giornata a loro dedicata assume 20 in quest’ottica un’importanza esigenze e bisogni della sua stessa spe- la6differenza 8 e richiamare l’attenzione 7 ancora più grande: «Finalmente la ri- cie. E che talvoltaFnonL coincidono Icon NsullaI costante protezione degli animali, correnza in loro onore sottolinea come i nostri. Senza dimenticare, infine, che del loro habitat ovunque, in modo che 21 22 6 Rpossano M crescere E e prosperare per le geconsideriamo sempre più gli animali qualsiasi animaleIsi rapportaC a4 noiA con di importanza25fondamentale per noi gli strumenti di cui dispone. «Troppo nerazioni a venire». 3

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VERTICALI 2. Popolano la Terra 3. Responsabilità 4. Nome maschile 5. Ninfa greca della montagna 7. Non serrata 8. Stato del Nord Africa 9. Circonferenza, sfera 10. Hanno commesso il fatto... 13. Isolotto tipico dell’Oceano Pacifico e Indiano 14. Motti, massime 15. Regione occidentale dei Paesi Bassi 17. Cupa, minacciosa 19. Dieci in un secondo 20. Il britannico Frederick premio Nobel per la chimica 22. Nome femminile I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

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L I L E S L L E C C 5 6 9 4 R E 1O 3 T O M E L I A 4 2 6 U M S E 7 9 E 3N A I 4G ME N L O 5D 8 I P A 7L E S D R A I O E S T C U 9R V O 8N E 7 9S 1O N D A3

T A I 4 A L C M E 2 A E M S E N M C P 8

N. 33 FACILE Schema P R E S A G I

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P A N OSoluzione N D 18 7 6 9 4 E8 1G2 A 7 9 T9 6E3 5 2 1 5 8 2 4 7 I 4R6 E 5 3 8 3

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23. Leopardi e Carducci 22 23 8 3 7 2 1 4 6 T S 1A R 6 T 5A 9 A H I 24. Sigla inglese di reazioni nucleari 24 25 5 9 2 3 7 6 1 9O 2R A della 4precedente R 6settimana I O S P I E a debole energia Soluzione 25. Penna a sfera RISATE A DENTI STRETTI – «Ho finito le barzellette 6 1che4avevo 8 in 5 serbo…» 9 3 5 7 2 (N. “... se vuoi inizio con quelle in croato” 27. 35 Pari-nell’ammenda Resto della frase: «… SE VUOI INIZIO CON QUELLE IN CROATO!» 4 6 9 7 28.2 Si mena per l’aia 5 6 7 8 9 N. 34 MEDIO 1 3 4 9 6 4 7 3 8 2 S E 7R V O U M O R I

N. 36 GENI

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I vincitori

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5I 1N E S 2

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Vincitori del concorso Cruciverba 18 su «Azione 37», del 10.09.2018 K. Strufaldi, R. 19 Montemezzani, 20 R. Viveganandan 21

Vincitori del concorso Sudoku 23 24 25 su «Azione 37», del 10.09.2018 A. Giacopini,26P. Gobbi

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S 3M 1I 1E D L A L 3 C R 1A A T

O 9N

O N E R S E 6Q 8U E 4 6 F 22 9 I 6 9 C 8 2 I

I L Z C E 9I O 7 I L I N I 6A 9 R M I P O O

O I D E E O S

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(N. 36 - ... sul torace prendendosi le con le mani) N.spalle 35 DIFFICILE 2 6 Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cognome, 1 2 3 4 5 6 9 103 9 7 soluzione del cruciverba o7 del8 sudoku indirizzo, email S U O del L partecipante E 9 T Adeve 8L nell’apposito formulario pubblicato essere spedita a «Redazione Azione, 6 2 11 12 O N I C6901 E Lugano». P I sulla pagina del sito. Concorsi, 5 4 C.P. 6315, 3 13 14 15 Partecipazione postale: la lettera o Non siAintratterrà M E Ncorrispondenza O D E suiB 7 5 2 sono escluse. Non 16 17 che riporti la so- 8 la cartolina postale concorsi. Le 9vie legali T I R O F E R I 18

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F U C O R E N A T O I T O P A R E O T Sudoku S U O L E T D I P A S T O S I A L O R A Soluzione: O LOF N A T I T 3O C 9EC A T P I R E7 Scoprire i3 I corretti L O T A L U C E numeri A M E N O D daBinserireOnelle L I R 6 E2 B B I O caselle colorate. R A R I T I R OM I F 5 E R4 I E 3 L U S A N Z E T IN E O E L C ED O T T A S A 8 PER AZIONE 7 - SETTEMBRE 9 5 2018 2 SUDOKU

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

G A M E S

3 C R A I P 9O Giochi per “Azione” - Settembre 2018 26 27 T O9conOil cruciverba S Vinci una delle 3 carte regalo daISargentini 50A6franchi Stefania 1 (N. - Furetto potpotta - Alce bramisce) e 33 una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku 8 2 (N. 36 - ... sul torace prendendosi le spalle con le mani)

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ORIZZONTALI 1. Parti delle scarpe 6. A volte 11. Pietra dura 12. Roghi 13. Allegro, divertente 14. Il Paolo Del... della tv 16. Può essere birbone 17. Fanno recuperare energie psicofisiche 18. Primo cardinale inglese 19. Colta, erudita 20. Le iniziali dell’attore Accorsi 21. Pronome personale 22. Veloce, rapida 23. Quello di Siena è forte... 24. Sono detti anche elci 25. Un famoso James dello spionaggio 26. Sermone 28. Cieca in Spagna 29. Infatti in latino 30. Pianeta del sistema solare 31. Una comoda sedia 32. Nera a Parigi

O D I S T E S S A R A R

P R E S A R E O T U M S E A G E N P A L E C U R V O O N D A R T A A I O S P

(N. 35 - “... se vuoi inizio con quelle in croato”

1

Cruciverba Lo sapevi che in Malesia le persone per salutarsi incrociano le braccia… Trova il resto della frase leggendo, a soluzione ultimata, le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 3, 6, 11, 2, 6, 3, 2, 4)

spesso tendiamo a umanizzare i nostri N. 33 FACILE animali, ad attribuire loro bisogni che in realtà sono la proiezione dei nostri Schema

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è possibile un pagamento in contanti 3 9I vincitori 1 6 5saranno 8 7 avvertiti 2 4 OdeiRpremi. A 5 2 per iscritto. Il nome dei vincitori 4 8 6 2 3 7 9 5 sarà 1 Rpubblicato E «Azione». 2 7su 5 4 1 Partecipazione 9 3 6 8 3 a 4lettori che Briservata I O esclusivamente 8 6 7 1 9 5 2 4 3 risiedono in Svizzera.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Politica e Economia Imprenditore controcorrente Storia della scalata sociale di Carlo de Benedetti, a lungo icona della sinistra

Le date simbolo della Storia – 6 Nel 1648 la pace di Vestfalia segna la fine della Guerra dei Trent’anni fra cattolici e protestanti, ma anche la nascita dello Stato-nazione

Il motore del Dragone Intervista con Elisabeth Tester su come sta cambiando l’economia cinese

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Giorni contati per il «libor» Dopo le manipolazioni di cui era stato oggetto, si cerca un altro tipo di tasso di riferimento per il mercato ipotecario

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Donald Trump si rivela essere un presidente debole che non gode della fiducia né dell’establishment politico, né della sua stessa Amministrazione. (Keystone)

Trump, presidente imbrigliato Stati Uniti The Donald non detiene poteri assoluti, anzi, nel suo caso persino molti membri

della sua Amministrazione lavorano per neutralizzare le sue decisioni più rovinose, in attesa che scada il suo tempo Lucio Caracciolo Poiché l’America, nell’opinione generale, è un impero in tutto fuorché nel nome, il presidente della Repubblica ne sarebbe l’imperatore. Errore. Il potere negli Stati Uniti non è affatto concentrato nella Casa Bianca e certamente ancora meno nel suo capo formale. Lo stabilirono i padri fondatori a fine Settecento, lo ha confermato la storia fino a oggi. E ora più che mai questo paradigma è incarnato nella figura di uno dei presidenti più deboli che la superpotenza abbia mai esibito al mondo: Donald Trump. C’è un rapporto inversamente proporzionale fra l’ego di Trump, autocelebratosi quale «genio stabile», e la sua influenza sulle politiche del paese più importante del pianeta. Non solo per i vincoli costituzionali e per la prassi politico-istituzionale, basata sul bilanciamento fra poteri diversi e a volte contrapposti sia a livello federale che nei singoli Stati dell’Unione. Anche, in misura crescente e sempre più visibile, nella sfiducia dell’establishment americano e della stessa amministrazione fe-

derale nel portabandiera saltuariamente residente alla Casa Bianca. Risultato: mentre il mondo tende a valutare l’America e le sue intenzioni ascoltando i rumorosi interventi di Trump e studiandone i frenetici quanto memorabili tweet, gli Stati Uniti vanno da tutt’altra parte. Esempio: fosse per il presidente, Usa e Russia sarebbero buoni partner, avendo in comune, secondo lui, l’avversione per il mondo islamico e il jihadismo, il timore della crescita in potenza della Cina, una certa preferenza per la razza bianca e per il cristianesimo, sia pure di marca diversa. Per Trump poi Putin è il modello di quel che lui vorrebbe essere ma non può diventare: il vero centro del potere nazionale (imperiale). Ma tutti gli apparati e le istituzioni americane che contano tendono a vedere nel capo del Cremlino il nemico per antonomasia. Non fanno troppo differenza fra Urss e Russia. Considerano – a ragione – la Federazione Russa l’unico Stato oggi in grado di distruggere (autodistruggendosi) gli Stati Uniti con un attacco nucleare e/o cibernetico. E comunque una potenza

storicamente animata da sentimenti ostili verso l’America, fondata su valori intrinsecamente opposti a quelli cari alla repubblica a stelle e strisce. La rappresentazione plastica della contrapposizione sorda fra il presidente e la sua amministrazione si è avuta all’ultimo vertice Nato, quando gli sherpa degli alleati europei hanno ricevuto direttamente dagli omologhi americani il testo delle dichiarazioni finali, che andavano in senso specularmente opposto a quello immaginato da Trump: non smantellamento dell’Alleanza, ma rafforzamento della presenza americana in Europa in chiave di contenimento della Russia e di controllo sulla Germania, dove sono stati appena indirizzati altri 1500 militari, gesto altamente simbolico della permanente sfiducia che a Washington si nutre per gli «alleati» tedeschi. Più in generale, tutto lo Stato profondo americano, sempre diviso da istinti e interessi corporativi e talvolta privati, sembra aver messo sotto tutela il presidente. Pentagono, CIA, FBI, Dipartimento di Stato, della Giustizia e del Tesoro – per citarne i principali

– vegliano affinché Trump non faccia troppi danni. Di recente, il «New York Times» ha ospitato la deprimente testimonianza di un «senior official» attivo alla Casa Bianca il quale descriveva Trump come semideficiente, narciso, simpatizzante per autocrati asiatici e via insultando. Il suo ex consigliere economico ha descritto la scena in cui, profittando di un momento (frequente) di latitanza del presidente, ha sottratto dalla sua scrivania un documento che avrebbe fatto saltare un importante accordo commerciale con la Corea del Sud, storico quanto sempre meno affidabile alleato degli Stati Uniti. Nelle librerie americane fanno furore i saggi, come l’ultimo libro di Bob Woodward, che descrivono dall’interno lo stato comatoso in cui versa l’amministrazione. Trump sarà dunque uno dei rari presidenti a svolgere un solo mandato? O forse dovrà essere sottoposto all’onta dell’impeachment? Presto per dirlo. Le elezioni di mezzo termine, a novembre, ci diranno fino a che punto il partito repubblicano avrà convenienza a non prendere le distanze in modo definiti-

vo da Trump. Possibile che la Camera dei rappresentanti – ma non il Senato – torni in mani democratiche. Di qui a immaginare la fine prematura dell’esperienza presidenziale di The Donald moltissimo ne corre. Ma in ogni caso, l’effetto sarebbe molto minore di quel che si pensa, considerando quel che si è appena osservato circa i poteri effettivi del presidente. Certo che il caos nella cabina di regia dei poteri americani non giova alla credibilità e all’affidabilità del Numero Uno. Rivali e alleati, forse sopravvalutando questa crisi, o forse no, stanno prendendo per quanto possibile contromisure unilaterali. E stanno rivedendo strategia e tattica alla luce del percepito declino americano. Connettendo, in un filo visibile, l’11 settembre al crollo di Lehman Brothers e allo spettacolo abbastanza discutibile della Casa Bianca trumpiana. Sul fronte americano, i poteri che contano, a cominciare dal Congresso, faranno di tutto per dimostrare che le esibizioni del presidente non significano affatto declino, ma solo parentesi, nemmeno troppo rilevante.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Politica e Economia

Il cavaliere bianco e i mulini a vento Nomen Omen S toria della scalata sociale di Carlo De Benedetti, imprenditore italiano

con la fama di personalità tenace che non disdegna di nuotare contro corrente Alfio Caruso «Devo fare in una generazione quello che gli altri hanno fatto in tre». È stato lo slogan con cui l’ottantaquattrenne Carlo De Benedetti ha attraversato un’esistenza densa di colpi di scena, di scalate finanziarie, di una diversità imprenditoriale più declamata che praticata. È servito anche per giustificare qualche inciampo giudiziario, qualche scalata azionaria finita male come quella, nell’88, alla Societé Generale de Belgique, dove si era presentato affermando: «Sono venuto a suonare la fine della ricreazione». Finì che, invece, suonarono lui. De Benedetti e il fratello maggiore Carlo, scrittore, politico e pure sua ombra fedele, sono figli di un piccolo industriale, Rodolfo, ebreo sefardita. Nella Torino fra le due guerre aveva raggiunto la consacrazione sociale acquisendo dal senatore Giovanni Agnelli, il padrone della Fiat, un appartamento assai elitario nell’attuale corso Matteotti, il cuore della città. E di Umberto Agnelli, il piccolino fra i nipoti del senatore, Carlo fu compagno di classe dalla terza media al quinto ginnasio, al ritorno dall’esilio in Svizzera per sfuggire alle persecuzioni razziali. La conoscenza con Umberto gli garantì anche l’appoggio del fratello Gianni per essere nominato nel ’76 amministratore delegato della Fiat. L’automobile era alle viste della prima crisi, De Benedetti aveva trasformato un’anonima società immobiliare, la Gilardini, in una holding di succes-

so e inoltre vantava un buon rapporto con i comunisti: ai fratelli Agnelli era sembrata la scelta giusta per rilanciare la Fiat. Ma dopo appena quattro mesi De Benedetti lasciò con una congrua buonuscita: da allora una ridda d’ipotesi, compresa la sua origine giudaica al tempo dell’ingresso nell’azionariato della Libia del musulmano Gheddafi. Recentemente De Benedetti ha sostenuto che il divorzio fu causato dal rifiuto di Gianni Agnelli di procedere alla drastica riduzione del personale poi avvenuta sotto la guida di Romiti. Da quella defenestrazione è cominciata una storia di successo: dalla Cir e dalla Cofide, le finanziarie di famiglia, all’Olivetti; dalla geniale intuizione della Omnitel, l’attuale Vodafone, all’ingresso nell’area della stampa. E pure le veloci incursioni nel Banco Ambrosiano, nella Montedison, nella Yves Saint Laurent, nella Valeo, nella Sme (la holding statale dell’agro-alimentare), benché non baciate dal successo, gli sono valsi cospicui guadagni e la fama, immeritata, di cavaliere bianco in lotta contro i mulini a vento del potere centrale. La mossa vincente è stata l’acquisizione dell’«Espresso» e di «Repubblica», alla cui fondazione, nel ’76, aveva partecipato con un finanziamento irrisorio di 50 milioni di lire (circa 260 mila euro), per altro dell’Unione industriale di Torino. I due giornali gli sono giunti dalla lunghissima lite, personale e giudiziaria, con Silvio Berlusconi per il possesso della Mondadori. L’intervento

del potentissimo democristiano Andreotti li aveva costretti nel ’91 ad accettare la spartizione del gruppo editoriale. Tuttavia un’inchiesta accertò che la sentenza del tribunale di Roma, in virtù della quale De Benedetti aveva dovuto accogliere la transazione, era stata comprata per 400 milioni di lire (circa 350 mila euro) dalla Fininvest di Berlusconi. Al massone in sonno De Benedetti l’ingarbugliata vicenda ha fruttato la patente di eroe della sinistra, d’irriducibile avversario dell’uomo nero Silvio, tranne accordarsi per creare un fondo speculativo, e soprattutto 540 milioni di euro di risarcimento nel 2011. Messo al sicuro il portafoglio suo, dei figli Rodolfo e Marco, cooptati nelle intraprese, di Edoardo, medico in Svizzera, dei nipoti e della loro prole, De Benedetti ha si è auto insignito del ruolo di padre nobile del progressismo italiano, la tessera numero uno di qualsiasi movimento, partito, raggruppamento si formasse in quell’area. Negli anni si è specializzato nell’infrangere gli idoli, che aveva contribuito a creare: Rutelli, Veltroni, D’Alema, Bersani, Renzi. E quasi nessuno ha osato replicare temendo di suscitare l’irritazione delle sue corazzate mediatiche. Gli unici attacchi – con l’imputazione di pagare le tasse, in misura assai esigua, in Svizzera e di portare al fallimento le proprie aziende – sono giunti dai fogli berlusconiani e sono stati giudicati un’altra medaglia al valore ideologico. A rovesciare il tavolo ha provvedu-

Nato a Torino nel 1943, ha la cittadinanza svizzera. (Wikipedia.nl)

to da solo. Con un’impennata, che ha sorpreso il suo stesso giro, qualcuno l’ha definita senile, se l’è presa con Rodolfo e con Marco – ai quali aveva ceduto nel 2012 le leve del comando – per la riforma grafica di «Repubblica» e per l’assetto direzionale. E soprattutto ha bastonato Eugenio Scalfari il fondatore e demiurgo del giornale. Sopravvissuto in discreta forma fino a 94 anni, Scalfari ha da un lustro scelto per sé il ruolo d’interlocutore privilegiato della Patria e del Papa. Incurante di simile prestigio, De Benedetti l’ha accusato, alla vigilia delle elezioni dello scorso marzo, di aver disorientato il pubblico di «Repubblica» avendo affermato di preferire Berlusconi a Di Maio.

Ne è venuta fuori una polemica assai ruvida, che ha cancellato un sodalizio di quasi mezzo secolo, nel quale l’uno era sempre stato il compare dell’altro. Scalfari ha affermato che in vista dei 100 anni non può curarsi delle voci erranti nel deserto. De Benedetti gli ha dato del rimbecillito e dell’ingrato avendo dimenticato i circa 70 milioni di euro incassati per cedere la sua quota nella società editoriale. L’imperversare degli addebiti e degli improperi ha coinvolto pure il direttore di «Repubblica» Mario Calabresi, definito un don Abbondio, il sacerdote dei Promessi Sposi di Manzoni, che non brillava per coraggio. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

La nascita dello Stato-nazione Le date che hanno influenzato la storia – 6. Con la pace di Vestfalia, nel 1648, che pone termine

alla Guerra dei Trent’anni fra cattolici e protestanti, si crea un nuovo ordine mondiale, fondato su un insieme di regole comuni e un equilibrio fra le potenze

Federico Rampini Nelle mappe della nostra storia un tentativo di uscire da quell’Età del Caos che fu l’epoca delle grandi scoperte, arriva un secolo e mezzo dopo lo sbarco di Cristoforo Colombo in America. Una scuola di pensiero, di cui l’esponente più famoso è Henry Kissinger, vede nella Pace di Vestfalia (1648) un’altra data fondamentale che porta l’Europa nella modernità: la nascita di un ordine mondiale fondato sugli Statinazione. Tema attuale, visto che siamo in piena rivalutazione del sovranismo.

Uno dei principi che si afferma con la pace di Vestfalia è «Cuius regio, eius religio»: ogni re può decidere quale religione si pratica all’interno dei suoi territori Avendo intervistato Kissinger, ho ricordato nel mio libro L’Età del Caos come lui definisce l’idea di un «ordine mondiale». Si tratta del concetto adottato da una regione del mondo o da una civiltà, per stabilire «accordi giusti e una distribuzione del potere applicabile al mondo intero». Si fonda su due componenti: un insieme di regole comuni accettate dalle parti; un equilibrio di potenze che imponga il rispetto delle regole, o comunque fissi dei limiti all’uso della forza, in modo da impedire che una singola potenza schiacci le altre. Premessa: dalla caduta dell’Impero romano nel 476 dopo Cristo, l’Europa entrò in una fase turbolenta e instabile. Culminata con la Guerra dei Trent’anni (1618-1648), una guerra di religione. Nel 1648, in due città tedesche della Vestfalia (Osnabrück e Münster) si riunirono 109 delegazioni in rappresentanza delle parti in conflitto. Ne vennero fuori diversi trattati, battezzati ex post «la pace di Vestfalia». Tra i firmatari: da una parte il Sacro Romano Impero degli Asburgo coi loro alleati cattolici; dall’altra parte le potenze protestanti del tempo che erano Svezia, Danimarca, Olanda; più la Francia che pur essendo cattolica aveva fatto un’alleanza «contro natura». Il 1648 crea un precedente importante: una pace collettiva firmata in occasione di un vertice multilaterale. Pone le basi di un ordine fondato sulla coesistenza fra Stati sovrani che si riconoscono reciprocamente come tali. Infine abbozza una sorta di equilibrio multi-polare che dovrebbe prevenire il predominio di una sola potenza sul resto d’Europa. È un sistema di regole che ci traghetta nell’era moderna, chiude con le pratiche del Medioevo, tenta di dare ordine e sicurezza ad un Rinascimento creativo ma instabile, geniale ma angosciato. Uno dei principi che si afferma a quel periodo, anche se non dentro i trattati, è: «Cuius regio, eius religio». Ogni re può decidere quale religione (cattolica o protestante) si pratica nel suo territorio. È una forma di sovranità: un monarca non doveva immischiarsi nelle vicende interne del suo vicino. Si apriva l’età della diplomazia, un nuovo metodo per gestire le relazioni internazionali. Lo Stato diventava l’unità fondamentale, l’attore di questo nuovo gioco. Grandi o piccoli, forti o deboli, gli Stati vedevano riconosciuta la propria esistenza e dignità. Tuttavia, questo non significa che d’incanto regnassero pace e armonia. Dignità non vuole dire parità, i rapporti di forze contavano, alcuni Stati europei erano «più uguali degli altri». Ci furo-

La firma della Pace di Vestfalia, a Münster, in un quadro del pittore olandese Gerard ter Borch. (Keystone)

no altre guerre. Determinate il più delle volte da due fattori. Primo, l’emergere di una potenza in ascesa, decisa ad affermarsi a scapito dei suoi vicini. Secondo, l’emergere di un’ideologia con pretese «universali», decisa ad imporre i suoi valori. I più grandi shock per l’equilibrio europeo vennero dalla Rivoluzione francese – portatrice di ideali universali – e dal suo continuatore Napoleone. Al Congresso di Vienna nel 1815 fu aggiunto un nuovo elemento alle regole della Pace di Vestfalia: l’equilibrio di potenze. Concepito da Richelieu, applicato da Metternich e Talleyrand, l’equilibrio delle potenze era un delicato gioco di alleanze e contro-alleanze, finalizzato a evitare l’emergere di un singolo attore troppo forte. Ma i principi della pace di Vestfalia e dell’equilibrio fra potenze, continuarono ad essere destabilizzati, ogni volta che sulla scena emerse un’ideologia dalle pretese universali, che quindi si considerava legittimata a interferire negli affari interni dei vicini: fascismo, nazismo, comunismo, nel Ventesimo secolo. Oggi il fondamentalismo islamico non riconosce il principio «Cuius regio, eius religio»: quando ha la forza di dettare legge, applica la pena di morte agli infedeli, vuole rovesciare regimi non ortodossi. Putin è «vestfaliano» a giorni alterni: in nome della sovranità respinge sdegnosamente le interferenze straniere sui diritti umani in Russia, però i suoi servizi sono intervenuti nelle campagne elettorali altrui; l’annessione della Crimea è la prima violazione della sovranità di uno Stato europeo dalla fine della seconda guerra mondiale. La Cina ha un approccio analogo, anche i suoi dirigenti sono «vestfaliani» quando rifiutano le prediche occidentali sui diritti umani; ma nelle loro pretese di espansionismo territoriale si annettono isole contese da altri Stati, li mettono davanti al fatto compiuto, anziché cercare una soluzione negoziata per vie diplomatiche.

Se si torna a parlare di Vestfalia, è perché quella tappa storica nella costruzione delle sovranità, può aiutarci a riflettere sulla ragion d’essere dello Stato nazione. Era stato celebrato prematuramente il suo funerale, negli anni del globalismo trionfante: quando a Davos il Gotha della finanza celebrava il «mondo piatto», senza frontiere; i trattati di libero scambio venivano firmati con la promessa di maggior benessere per tutti; i confini europei con Schengen venivano consegnati al museo della storia; le élite senza distinzione fra destra e sinistra cantavano un futuro di «inevitabile» integrazione tra popoli a livelli sempre superiori; un progresso inarrestabile verso una governance mondiale, la società multietnica, la circolazione libera e illimitata di persone, capitali, idee, informazione.

Lo Stato diventa l’unità fondamentale: grandi o piccoli, forti o deboli, gli Stati vedono riconosciuta la propria esistenza e dignità, tuttavia questo non significa che regnassero pace e armonia Qualcuno, dalla favola globalista si era chiamato fuori molto presto. La Cina pur celebrando un mondo sempre più integrato economicamente, ha praticato il protezionismo che denunciava negli altri; ha costruito un Internet «separato», difeso da una Grande Muraglia di censura e controlli, consegnato ad alcuni campioni nazionali (Alibaba, Tencent) con sedi a Pechino e Shanghai. L’India non ha mai veramente aperto le sue frontiere come i paesi occidentali.

Anche sulla società multietnica ci sono state delle opzioni diametralmente opposte. Cina e Giappone hanno sempre avuto un atteggiamento ostile verso l’immigrazione, costruendosi invece una cultura monoetnica e un’idea di forti gerarchie razziali. Il multi-culturalismo, la libera circolazione di idee o la tolleranza verso valori e costumi diversi, non sono stati praticati nella quasi totalità del mondo islamico. Più di recente il nazionalismo che non era mai tramontato in tutto il resto del mondo, si è preso la sua rivincita anche in Occidente. Nell’arco di pochi anni dei leader che vengono definiti «sovranisti» hanno scalato il potere in America e nel Regno Unito, in Italia, Polonia, Ungheria, Austria. Molti progressisti hanno reagito con orrore, spavento, condanna, interpretando questi eventi come una regressione, un ritorno al passato; magari evocando lo spettro degli anni Trenta con l’avvitamento in una spirale fatta di sciovinismo, xenofobia, fanatismo, odio dei diversi, fino al rischio delle persecuzioni razziali e delle guerre. Guardare la storia nei tempi lunghi aiuta forse a sdrammatizzare il presente, o almeno a guardarlo con distacco e in una prospettiva diversa. Gli esperimenti globalisti che venivano perseguiti con entusiasmo e furore negli anni Novanta e all’inizio del terzo millennio, hanno creato molti perdenti in seno alle società occidentali. Né la globalizzazione economico-finanziaria né quella tecnologica né quella migratoria hanno creato quei benefici diffusi che erano stati promessi. I benefici sono stati molto vistosi nei paesi emergenti che tuttavia erano i meno «globalisti» nei loro comportamenti pratici e nelle loro strategie politiche. I benefici sono stati favolosi per le minoranze privilegiate dell’Occidente. Una parte dei perdenti è tornata a cercare rifugio nelle braccia dello Stato-nazione.

Dalla Pace di Vestfalia in poi, nei successivi 370 anni lo Stato-nazione non è stato solo una macchina da guerra, non è associato esclusivamente ai nazionalismi aggressivi, alle guerre, all’intolleranza verso l’Altro, alle persecuzioni razziali. È all’interno dello Stato-nazione che è nata la democrazia liberale e sono fiorite istituzioni che proteggono l’individuo, tutto ciò che chiamiamo lo Stato di diritto. È nello Stato-nazione che è nato un Welfare moderno per proteggere i più deboli. Mettere un argine ai totalitarismi, contrastare le pulsioni autoritarie, è stato più facile laddove c’era una comunità nazionale relativamente omogenea e solidale, con una «coscienza nazionale»: i tiranni si sono appropriati più facilmente del potere nei vasti imperi multietnici, dove potevano giocare sulle rivalità tra le componenti. Non c’è mai stato un impero democratico. La nazione è lo spazio dentro il quale si è potuto formare storicamente un patto di cittadinanza, un contratto sociale fra governanti e governati. Il nazionalismo è stato concepito molto a lungo come un valore positivo, perfino liberatorio: di certo lo vedevano così Mazzini e Garibaldi nel nostro Risorgimento, o i patrioti di tanti altri paesi europei che si rivoltarono contro gli imperi multinazionali austro-ungarico, ottomano, russo. Quasi tutti i progressisti ammirarono Gandhi, che non era solo un pacifista non-violento: era un sincero nazionalista indiano. I nazionalismi furono la fiamma dei movimenti d’indipendenza post-coloniali, e le sinistre occidentali resero omaggio a quei paesi che lottavano per liberarsi dal giogo imperiale. È opinabile che siano «nazionalismi buoni» solo quelli anti-occidentali; e che i nostri nazionalismi debbano sempre portarsi addosso il sospetto infamante di essere l’anticamera del fascismo, del nazismo.


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Politica e Economia

Cina: un paese sempre più attrattivo anche per gli svizzeri Incontri Elisabeth Tester, pubblicista esperta di temi economici, ci spiega come sta cambiando l’economia cinese

e quali sono le attuali opportunità di investimento in questo mercato

Alessandro Zanoli La Cina è una potenza economica che ormai da anni si impone sul mercato globale, ma si sta profilando recentemente anche come meta importante per gli investimenti. Per guardare al paese da questa nuova prospettiva abbiamo interpellato una specialista del settore, che ha rapporti diretti con gli investitori occidentali e vanta una conoscenza concreta del mercato cinese. Elisabeth Tester, pubblicista su temi economici, vive tra Shanghai e Zurigo, è stata corrispondente dalla Cina per «Finanz und Wirtschaft» ed è autrice del libro China: der nächste Horizont, (Cina, il prossimo orizzonte) pubblicato da NZZ e FAZ. Signora Tester, la società cinese è molto più complicata di quanto si pensi ed è infatti caratterizzata da diverse realtà economiche: vi sono città molto grandi e moderne così come regioni economicamente povere. In Svizzera abbiamo una visione un po’ ingenua della Cina?

La Cina è un paese in cui convivono molte componenti diverse e che cambia velocemente. Dal punto di vista economico e da quello culturale esistono diversi volti della «Cina», anche se con il sistema di governo, il sistema giuridico e la lingua comune si è cercato di dare al paese una struttura uniforme. Malgrado ciò, per quel che riguarda lo standard di vita, l’istruzione dei figli, l’assistenza medica ecc. la vita di una famiglia che ha la residenza a Pechino ha poco a che fare con quella di una famiglia di contadini della provincia occidentale del paese. Da questo punto di vista la Cina può essere considerata contemporaneamente un continente e un paese.

La vita in Cina sembra essere influenzata da una forte cultura del lavoro. Malgrado la popolazione viva sotto un regime comunista, il paese sembra condividere la nostra stessa impostazione capitalista occidentale. È un’impressione corretta?

In effetti la maggior parte dei settori economici cinesi è caratterizzata

Il distretto finanziario di Shanghai. (Keystone)

da una forte concorrenzialità. La concorrenza all’interno della nazione, oltre a questo, è molto rapida e versatile, qualcosa a cui le imprese straniere all’inizio fanno fatica ad abituarsi. Fondamentalmente in Cina sono disponibili grosse quantità di capitali, e grazie a questo i progetti più promettenti possono avvantaggiarsi di una quota molto ampia di risorse. Ciò può portare allo sviluppo di nuovi mercati e di prodotti e servizi eccellenti. Dato che, del resto, le partecipazioni statali nelle industrie dei paesi occidentali sono altrettanto usuali rispetto a quanto succede in Cina, le differenze riscontrabili tra il mercato cinese e quelli occidentali non sono più così grandi, anche se vi è un’eccezione decisiva: in Cina l’influenza delle regolamentazioni governative ha ancora oggi un ruolo determinante sul successo delle singole imprese.

Uno degli obiettivi dichiarati del governo cinese è quello di favorire lo sviluppo del commercio interno, in particolar modo per ciò che riguarda il settore dei consumi privati. Come mai?

Dopo l’apertura dell’economia cinese nel 1978 il paese si è molto focalizzato sull’economia di esportazione e questo ha reso la Cina dipendente dai mercati stranieri. Negli ultimi anni però, per favorire lo sviluppo economico, ma anche per garantire il benessere della popolazione, la Cina ha iniziato a

sostenere sempre di più lo sviluppo economico interno. Infatti, da molti anni l’industria di esportazione non domina più l’economia cinese. Spesso la Cina viene giustamente descritta come il più promettente mercato di consumo al mondo. Lo sviluppo economico cinese ha ancora molta strada da fare, anche se negli ultimi decenni è riuscita a superare le aspettative. Così come è successo in passato con le regioni situate sulle coste, nel prossimo decennio saranno le regioni interne a dare un impulso alla crescita dei consumi. Questo incremento complessivo conoscerà però un calo, stimato attorno al 5% annuale, entro la fine del prossimo decennio.

Molte imprese vorrebbero investire in Cina. In che modo la Cina sostiene queste iniziative? Chi vuole investire in questo paese deve confrontarsi con molti problemi burocratici? E le aziende svizzere hanno una buona reputazione?

In Cina le imprese svizzere hanno un’ottima reputazione. Per giudicare se le prospettive commerciali per un un’azienda sono positive o meno bisognerebbe considerare caso per caso. Argomenti generici basati sull’idea che «il mercato è vasto e cresce» sono ingannevoli. Il potenziale di un simile investimento da parte di un’impresa straniera dipende fortemente dal settore economico in cui opera, dal partner cinese e dalla stessa regione in cui l’atti-

vità è insediata. Di ostacoli burocratici ce ne sono molti, la concorrenza è forte e il mercato cambia molto rapidamente. Non tutte le imprese sono adatte al mercato cinese e spesso i progetti di collaborazione con la Cina vengono valutati con superficiale ottimismo. Inoltre, la Cina in sé è un caso particolare, è diversa dalle altre nazioni, e molte strategie di mercato che negli altri paesi hanno successo devono essere adattate al mercato cinese.

Signora Tester, negli ultimi tempi Migros ha iniziato un’attività commerciale in Cina: anche lei ha avuto modo di collaborare a questo progetto?

No. Conosco solo lo shop online «Orange Garden» che Migros gestisce in Cina e ne ho molto apprezzato i cartelloni pubblicitari presenti su alcune linee metropolitane. Alcuni attori economici sospettano che in futuro la Cina dovrà confrontarsi con alcuni problemi come ad esempio la bolla immobiliare, con difficoltà di liquidità, o a causa di un alto indebitamento che porterà alla diminuzione del consumo. Questi scenari rappresentano secondo lei una visione realistica?

La Cina si appresta ad affrontare la grande sfida della cosiddetta «trappola del reddito medio», e cioè i problemi legati alla necessità di svilupparsi economicamente come una nazione industriale. Il sistema legale ancora troppo

centrato sulle persone e troppo poco sulle regole, le debolezze del sistema di formazione e l’elevato indebitamento delle imprese rappresentano dei grandi ostacoli in questo processo. Il mercato immobiliare, nonostante una valutazione degli immobili molto alta nelle grandi città, è sostenuto da una solida domanda. I prezzi medi degli immobili sono diventati negli ultimi dieci anni, in proporzione ai redditi medi, persino più accessibili. Nonostante la forte influenza statale sull’economia (data per esempio dal fatto che tutte le principali banche commerciali sono controllate dallo Stato) in un paese come la Cina le turbolenze nei singoli settori dell’economia sono sempre possibili. Non credo però che questo possa intaccare la stabilità del paese.

Molti svizzeri si interessano alla Cina, quantomeno per quel che riguarda il turismo, ma allo stesso tempo sono preoccupati dall’inquinamento ambientale. La Cina è davvero pericolosa?

Per i turisti la Cina non rappresenta un pericolo più grande di quanto non lo siano altre destinazioni. I trasporti e le infrastrutture destinate ai viaggi sono eccezionali in tutto il paese e negli ultimi anni la qualità dell’aria è migliorata. L’inquinamento atmosferico, dell’acqua e del suolo possono però rappresentare un serio problema per gli abitanti di alcune zone, che ne sono maggiormente colpite. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Giorni contati per il «libor» come tasso di riferimento

Finanza Si stanno cercando alternative che escludano manipolazioni, come avvenuto in passato, ma che possano

dare un indirizzo per i tassi del mercato ipotecario. Un gruppo di esperti è al lavoro anche in Svizzera Ignazio Bonoli L’idea di sostituire l’attuale tasso di riferimento «libor» sul mercato ipotecario sta spingendo le banche a cambiare tutto il sistema della concessione di crediti ipotecari. Lo stesso tasso «libor» a breve scadenza è da anni criticato ed è stato perfino soggetto a manipolazioni da parte di alcune grandi banche. Quest’ultimo è proprio il motivo principale per cui si sta cercando una soluzione che possa impedire eventuali manipolazioni. Il «libor» è trattato sul mercato di Londra per le varie monete, tra cui anche il franco svizzero. Si prevede che l’offerta di ipoteche con il tasso basato sul «libor» possa continuare fino alla fine del 2021, anno in cui l’autorità britannica di sorveglianza dei mercati finanziari, la Financial Conduct Authority, cesserà di garantire il «libor». Bisognerà quindi trovare una soluzione alternativa come tasso di riferimento. Oggi questo mercato ipotecario vive nell’incertezza, che rende difficile un cambiamento di sistema e nessuno dei maggiori interessati si è finora pronunciato apertamente. Finora non ci sono comunque stati grandi problemi e il livello molto basso fa sì che questo riferimento sia accolto con molto favore. A un cambiamento si sta comunque pensando da tempo. In

Svizzera, già nel 2013 è stato costituito un gruppo di lavoro che si è occupato del tema. Tema molto complesso che concerne non solo il riferimento ipotecario. Vi sono comunque moltissimi crediti ipotecari che dovranno essere adeguati al nuovo sistema, per cui uno scadenzario preciso dovrà essere allestito entro la fine di quest’anno, sennò si dovrà sospendere la concessione di ipoteche di questo tipo. Oggi le ipoteche in Svizzera vengono concesse di regola con scadenze triennali e tassi di interesse che vengono adeguati ogni 3 o 6 mesi. Di conseguenza chi ottiene un credito ipotecario nel 2019, non sa quale potrà essere il tasso di riferimento ancor prima delle scadenza del contratto. Nel frattempo però la SIX (borsa) e la Banca Nazionale hanno sviluppato una soluzione detta Saron (Swiss Average Rate Overnight) che potrebbe essere una soluzione. Le banche non sono però obbligate ad accettarla e potrebbero trovare alternative. Già oggi si vedono per esempio contratti quadro ipotecari con scadenze più lunghe, sempre con il «libor» come riferimento, o perfino senza scadenza. In queste situazioni è probabile che molte banche stiano già cercando soluzioni alternative o cambiando sistema nella concessione di crediti ipotecari. D’altro canto, parecchi clienti stanno aspettando informa-

Il rapporto del 2012 della Financial Services Authority britannica sulle manipolazioni da parte della Bank of England sta alla base della decisione di rinunciare al «libor». (Kestone)

zioni precise in merito, per esempio nel caso di un aumento del finanziamento, che non può più beneficiare del «libor» e costringe in pratica il debitore a ricorrere all’ipoteca fissa su più anni. Alcune banche, tra cui la Banca cantonale di Zurigo, hanno già ridotto la durata massima di un prestito ipotecario basato sul «libor». Altre banche, come Raiffeisen, conservano invece

ancora contratti quadro della durata di cinque anni. Altre ancora, per le quali sono possibili scadenze oltre il 2021, per i nuovi contratti si sono riservate la possibilità di modificare il tasso di riferimento, offrendo comunque al cliente la possibilità di scegliere un altro tipo di credito ipotecario. Guardando un po’ più avanti nel futuro del mercato ipotecario, si può

immaginare una larga diffusione del citato «Saron» della SIX e della Banca Nazionale Svizzera, o di qualche altra valida alternativa come tasso di riferimento generalizzato. Il Saron è inteso come tasso di giornata, a tre mesi o a sei mesi, sempre sul franco svizzero, i cui livelli a tutt’oggi non sono però ancora stati calcolati. Lo stesso dicasi – per il momento – di eventuali alternative, alle quali alcune banche stanno pensando. A quanto si dice nell’ambiente del finanziamento di grandi investimenti, si sta anche valutando la possibilità di adeguare il tasso ipotecario al tasso interno di rifinanziamento della banca, invece del «libor» o di quello che lo sostituirà. Attualmente con il «libor», che è di regola negativo (–0,3%) e la base utilizzata deve essere almeno allo 0%, il cliente risulta favorito nella trattativa. La situazione potrebbe però rovesciarsi se i tassi di interesse aumentassero. Attualmente un gruppo di lavoro che fa capo alla Banca Nazionale sta valutando le varie possibilità. In ottobre dovrebbe essere presentata ai vari attori di questo mercato una soluzione che possa accontentare tanto le banche, quanto i loro clienti. Dopo un periodo di tassi eccezionalmente bassi, la situazione potrebbe cambiare, ma secondo gli esperti non a breve scadenza, per cui le discussioni sul tema potrebbero protrarsi ancora a lungo. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Turismo alberghiero in Ticino al suo tetto massimo Il commento dei nostri quotidiani alle cifre del turismo ticinese non muta. Di mese in mese, di anno in anno, si presentano i nuovi dati sugli arrivi e sui pernottamenti. Si calcola poi il tasso di variazione (mensile, semestrale o annuale che sia) e lo si compara, vuoi con quello del periodo immediatamente precedente, vuoi con quello dell’anno prima e poi, in funzione della portata e del segno del risultato si esprime preoccupazione o compiacimento. Aggiungiamo ancora che ogni aumento dei pernottamenti viene festeggiato come l’inizio di una fase espansiva che durerà nel tempo. Questo ottimismo di parata ha avuto i suoi fasti nel 2017, il primo anno di funzionamento dell’Alptransit, perché il turismo ticinese, a partire da aprile, aveva trovato tassi di crescita importanti sia per gli arrivi, sia per i pernottamenti, che, per quell’anno, gli avevano addirittura permesso di capeggiare la classifica delle regioni

turistiche svizzere. Poi è arrivato il 2018 ad insegnarci che l’effetto sugli arrivi di nuove infrastrutture per la mobilità, fossero pure importanti come le gallerie autostradali o ferroviarie, non dura che pochi mesi. Ma dove si trova effettivamente il turismo alberghiero ticinese e dove sta andando a parare? Da decenni, gli arrivi annuali di ospiti negli alberghi ticinesi variano tra il milione e il milione duecentomila. Attualmente (biennio turistico 2016-2017) gli arrivi superano di qualche migliaio di unità il livello del milione e centomila. I pernottamenti, invece, nel lungo termine tendono a diminuire perché diminuisce la durata media del soggiorno(di circa ¼ negli ultimi 20 anni). L’aumento degli arrivi sembra essere bloccato da quello che un fisico direbbe essere un effetto di capacità. Se disponete di una brocca che può contenere solo un litro d’acqua è evidente che

nella stessa più di un litro non ci potrà stare. Così è del turismo ticinese: non può dare ospitalità a più di 1,1 milioni di turisti. La domanda che ci si deve porre è perché esista questo limite di capacità. È forse insufficiente l’offerta di letti in albergo? Sicuramente no! Se è vero che il parco-letti degli alberghi ticinesi è diminuito, nel corso degli ultimi trent’anni, di quasi un terzo, è anche vero che il tasso di occupazione degli stessi continua ad essere relativamente basso. Così, in generale, non vi è scarsità di letti liberi negli alberghi ticinesi. Le eccezioni, in questo caso, confermano la regola. I limiti che impediscono alla domanda turistica di aumentare vanno ricercati altrove. Vi è certamente un limite di capacità che è dato dalla ristrettezza del territorio e, in particolare, dalla scarsità del territorio a disposizione delle destinazioni turistiche più importanti.

Prendete il caso del Sottoceneri dove, sulla superficie destinata al traffico di 16 chilometri quadrati si ammassano più di 100’000 automobili degli abitanti della regione, 35’000 automobili dei frontalieri, 10’000 automobili di pendolari provenienti dal resto del cantone e nei mesi estivi almeno 40-50’000 automobili di turisti (compresi quelli in transito), per non parlare del traffico pesante. Per fortuna non circolano tutte nel medesimo momento della giornata altrimenti non resterebbe, d’estate per lo meno, un centimetro quadrato di strada libero. L’altro limite di capacità è fissato dai prezzi relativamente elevati degli alberghi ticinesi chiaramente influenzati dal continuo rincaro del franco svizzero rispetto alle divise dei potenziali turisti stranieri. Per fortuna degli albergatori ticinesi vi sono i turisti della zona franco. Il rincaro del franco ha così portato, nel corso degli ultimi decenni

a una sostituzione del turista straniero con il turista svizzero e del Liechtenstein. Mentre nel 1970 i turisti stranieri rappresentavano il 60% degli arrivi e i nostri solo il 40%, oggi, le percentuali si sono invertite. Su dieci arrivi di turisti in Ticino, 4 sono di stranieri e 6 di svizzeri o di residenti del Liechtenstein. Ovviamente il potenziale in turisti dei cantoni svizzeri e del Liechtenstein è chiaramente inferiore a quello degli altri paesi del mondo sommati insieme. Di conseguenza, per quel che riguarda i flussi in arrivo l’evoluzione nel lungo termine, se il divario dei prezzi resta quello che è, non può essere che verso la stagnazione. Né più positive sono le aspettative in materia di durata media del soggiorno. Con le possibilità che offre oggi agli abitanti delle regioni metropolitane dell’Altopiano il collegamento ferroviario, il turismo ticinese sta infatti evolvendosi verso il turismo di giornata.

città più visitata al mondo, superando Parigi e New York. In scala minore, i Giochi invernali del 2006 (al di là di qualche impianto sovradimensionato e di altri poi abbandonati) furono un segno della rinascita di Torino. Ricordo la cerimonia di inaugurazione nello stadio Comunale, quello delle vittorie della Juventus, ribattezzato per l’occasione stadio Olimpico. I torinesi, di solito cauti al limite del pessimismo, parevano aver cambiato umore. Il resto del mondo si accorse che una città considerata grigia era ed è in realtà bellissima. Fu l’inizio di un periodo positivo; che purtroppo è finito da tempo. Sulle Olimpiadi invernali del 2026 l’Italia ha fatto un pasticcio. Milano prima si è aggiunta, poi si è sfilata, infine è tornata; e Torino sembra – a meno di nuove sorprese – uscita di scena. Il fallimento ha molti padri, ma ha anche una madre: la sindaca Chiara Appendino. Non è certo lei, lo ripeto, l’unica responsabile. Ma l’esitazione di

Torino è stata fatale; nel momento in cui entra in gioco Milano, è evidente che il suo peso è maggiore. La Appendino fin dall’inizio è apparsa una grillina anomala: figlia di un industriale importante, un passato amministrativo alla Juventus, un linguaggio non aggressivo, esprimeva l’esigenza di un rinnovamento senza rottura con l’establishment subalpino. Non a caso la sindaca aveva preso una posizione giusta, a favore dei Giochi, diversa dal No ideologico della giunta grillina a Roma; ma la spaccatura nella sua maggioranza è costata tempo prezioso. Più in generale, non mi sembra che Torino abbia ritrovato la fiducia e l’energia del decennio precedente. L’arrivo di Cristiano Ronaldo ha entusiasmato gli juventini e creato curiosità all’esterno; ma sono ben altre le incognite che pesano sul futuro della città che ha fatto l’Italia. Compresa quella che riguarda Fiat-Chrysler. Per quanto riguarda la politica, le difficoltà della Appendino – compreso

il disastro della notte della finale di Champions, con la sindaca in tribuna a Cardiff e piazza San Carlo devastata – conferma l’impossibilità del grillismo di essere normale. Di Maio, il simbolo della normalizzazione del movimento, convertito alle ragioni delle alleanze e del governo, è ora in difficoltà. Certo, il Pd e Forza Italia sono messi ancora peggio. Ma i Cinque Stelle patiscono la Lega. Salvini ha un altro schema di gioco, l’alleanza con Berlusconi e la Meloni; Di Maio no. Può sperare che Zingaretti prenda il controllo del Pd e apra il dialogo con i Cinque Stelle; ma i renziani non potrebbero mai votare un governo che si reggesse sull’alleanza tra dem e grillini. A quel punto Renzi uscirebbe dal partito; e per il nuovo esecutivo non ci sarebbero i numeri in Parlamento. Quando poi si capirà che il reddito di cittadinanza – bandiera dei grillini – è una chimera, allora la bolla populista comincerà a sgonfiarsi. Ma nel frattempo avrà fatto parecchi danni.

socializzazione. Per commentare la decisione governativa, il «Corriere del Ticino» ha riportato gli interessanti risultati di una ricerca che l’USI sta conducendo da quattro anni proprio sull’uso dei telefonini tra i giovani fra i 10 e i 15 anni. Dai dati emerge che la diffusione degli smartphone tra gli adolescenti (chiamati «nativi digitali») è sensibilmente aumentata: se nel 2016 in terza media ad avere il telefonino era il 71%, quest’anno la percentuale ha toccato il 93%, mentre il tempo di utilizzo è addirittura raddoppiato (da 6,5 ore la settimana di due anni fa si è arrivati oggi a 13 ore). Non avendo trovato dati sull’uso dei telefonini a scuola mi azzardo a chiedere ai ricercatori di non dimenticare questo settore, anche per eventualmente supportare i docenti della scuola dell’obbligo con tendenze e rilevamenti statistici riferiti a studenti che stanno crescendo con gli smartphone. Sull’argomento scuola – nativi digitali esiste ormai una sterminata biblio-

grafia. L’istinto mi porta a un articolo scritto diversi anni fa (gennaio 2011) da Serena Danna su «Il Sole 24 Ore». Riporto dapprima il suo avvio: «Addio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestro-alunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell’ora di punta. Tra social network, video-racconti su YouTube, la musica di MySpace, il linguaggio sincopato delle chat e le bufale online, gli studenti di nuova generazione hanno bisogno di una bussola per orientarsi». Se ne deduce che il maestro non è più solo un trasmettitore di conoscenza ma deve imparare ad essere anche un «facilitatore» che fa da filtro tra il caos della rete e il cervello del piccolo studente. A questo proposito l’articolo della Danna, seguendo una serie di giudizi di ricercatori americani, spiega come i bambini cresciuti con consolle e cellulare siano sempre più «abituati a vedere la risoluzione di compiti cognitivi come un problema pragma-

tico». Di conseguenza la scuola deve prepararsi a educare i nativi digitali creando una ««partnership informale» tra insegnanti e alunni – la cui cultura è «partecipativa» e si fonda su «produzione e condivisione di creazioni digitali» – in modo da portare bambini e giovani a sentirsi responsabili del progetto educativo». Queste argomentazioni confermano che quello dei telefonini a scuola è sempre stato un problema molto delicato che non può essere affidato solo ai politici. Visto poi che lo studio dell’USI ha appurato che «i genitori tendono a sottostimare, anche della metà, il tempo d’utilizzo dei giovani dello smartphone», è sempre più evidente che occorrerà affidare la ricerca di soluzioni «in primis» alla scuola, vale a dire ai docenti: non tanto per convincere i ragazzi a rinunciare ai telefonini o a spegnerli, ma soprattutto per fungere da «facilitatori», aiutandoli a gestire le nuove tecnologie in modo che non blocchino una sana crescita del loro senso di responsabiltà.

In&outlet di Aldo Cazzullo Pasticcio olimpionico L’Italia è ricca di inventiva, com’è noto. Ma l’idea delle «Olimpiadi delle Alpi», da Torino a Cortina passando per Milano (praticamente un viaggio di un giorno), è forse fin troppo fantasiosa. Fin da Atene 1896, quando il barone De Coubertin fece rivivere il mito dell’antica Grecia, le Olimpiadi si sono assegnate a una città, non a un Paese. È sempre stato così, è uno dei

motivi del fascino dei Giochi. Quasi sempre l’Olimpiade ha giovato alla città che l’ha ospitata. Nel 1948 Londra celebrò la sua ricostruzione, il 1960 simboleggiò il miracolo economico di Roma e dell’Italia, nel 1992 Barcellona si riprese il mare, nel 2008 Pechino disse al mondo che era diventata la capitale di una superpotenza; e dopo il successo del 2012 Londra è diventata la

Una 5 Stelle anomala: il sindaco di Torino Chiara Appendino. (Youtube)

Zig-Zag di Ovidio Biffi Divieto o spegnimento? Sta salendo la febbre per i nuovi modelli di smartphone. Il più atteso, e non a caso anche il più costoso, resta l’iPhone della Apple. Dietro incalzano altre marche che tentano di imitarne i pregi e le conquiste, spesso agendo da equilibristi in fatto di sfruttamento dei brevetti. L’elenco, all’ultima fiera dell’elettronica svoltasi a Berlino, spaziava dall’eterno secondo Galaxy della Samsung sud-coreana all’Honor Play che vende come nessun altro smarphone in Cina, sino al Wiko che si propone come il miglior «low cost», per finire con il Blackberry che prova a riconquistare i suoi nostalgici estimatori «pre smartphone». Merita un cenno anche la presentazione della quarta generazione dell’AppleWatch: segna ancora l’ora, ma ormai è un sofisticato dispositivo per una vita più sana (riconosciuto dai medici Usa) che esegue persino un elettrocardiogramma. Forse non si arriverà mai all’applicazione che farà apparire sul display il conto alla rovescia di un possibile infarto o

ictus dell’utente, ma c’è da temere il giorno in cui i medici (e forse anche gli assicuratori sulla vita...) potranno chiedere l’autorizzazione a consultare i dati dell’AppleWatch che i loro clienti hanno al polso. Oltre che sui mercati, telefonia e smartphone hanno fatto irruzione anche nell’arena politica ticinese: non per i nuovi modelli, ma per la risposta (negativa) del Consiglio di Stato a una interrogazione che chiedeva se non fosse giunto il momento di vietare come in Francia (ufficialmente per combattere il bullismo) l’uso dei telefonini nelle scuole dell’obbligo. Siamo ancora al si vedrà. Nei pareri raccolti dai media sembrano prevalere i contrari a un divieto che creerebbe tutta una serie di problematiche anche di natura psicologica. Avrebbe più successo una sorta di «black out» (o coprifuoco) limitato a lezioni e alle aule, magari con qualche sforzo di accompagnamento da parte dei docenti per evitare che l’uso di queste tecnologie uccida dialoghi e


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Cultura e Spettacoli Addio a Inge Feltrinelli L’editoria italiana e internazionale ha perso la sua indiscussa regina pagina 35

Per un’arte più attenta alla natura A Maroggia ventidue opere d’arte a cielo aperto rilanciano la necessità di un dibattito sul nostro rapporto con la natura

Noi e i diritti umani Dal 9 al 14 ottobre ritorna a Lugano il Festival dei diritti umani con incontri e film

Il fascino dell’arcipelago Nel suo nuovo libro Giorgio Ieranò propone un affascinante viaggio nell’antichità

pagina 37

pagina 41

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Un Ciukci trasporta una testa di tricheco. (da Bogoras)

Sulle orme del rito estinto Pubblicazioni Adelphi pubblica il densissimo saggio di Éveline Lot-Falck Daniele Bernardi Con l’approssimarsi dell’autunno si attraversa, si sa, la stagione della caccia. Dai coinvolti sentita come un vero e proprio richiamo, questa, oggi, ha decisamente perso il suo puro senso e i suoi scopi concreti: ridotta a una passione soggettiva, la caccia è una di quelle attività che ben rappresenta il passaggio da un universo antico, ora scomparso, a una civiltà tecnica la cui efficienza ha interrotto il rapporto magico tra l’uomo e il mondo. Questa constatazione è ora messa in luce dall’edizione italiana, presso Adelphi, dell’affascinante e meticoloso saggio I riti di caccia dei popoli siberiani, di Éveline Lot-Falck (Fontenay-aux-Roses, 1918 – Parigi, 1974). Rievocanti atmosfere che, agli appassionati del cinema, non potranno non riportare alla mente le inquadrature del capolavoro di Akira Kurosawa Dersu Uzala. Il piccolo uomo delle grandi pianure (1975), le pagine del libro della Lot-Falck trasportano il lettore in un territorio impervio, dove la Natura

si palesa come una forza trascendente con la quale occorre entrare in dialogo. Ed è setacciando la fitta trama di tale dialogo che la brillante antropologa francese ha saputo evidenziare un tipo di relazione tra l’essere umano e la vita che, già allora, andava dileguandosi pure tra le popolazioni che erano state oggetto della sua indagine. È impressionante, infatti, la varietà e la quantità di procedimenti simbolici che, in modo tangibile, senza mai tradire il reale rapporto con l’esistenza, permeavano il quotidiano di comunità quali i Sirieni, i Voguli, gli Ostiachi, i Samoiedi, i Soioti, gli Altaici, i Sagai, i Caragassi... (e qui occorre fermarsi, perché l’elenco sarebbe inutilmente lungo); ogni azione, ogni minimo gesto che gravitava attorno alla pratica della caccia era parte di una vasta costellazione di significati, che abbracciava il vivere in tutti i suoi aspetti. Innanzitutto, i siberiani ignoravano l’indole di arrogante conquista che tanto ha caratterizzato (e caratterizza) la cultura europea: il cacciatore non

penetra la natura con la violenza della propria volontà, ma, al contrario, religiosamente chiede a essa di concedersi in nome della vita che si condivide. Di conseguenza, nessuno affermerà mai, ad esempio, di «aver ucciso» una bestia; sarà piuttosto l’animale a essere venerato per la generosità dimostrata nell’essersi lasciato prendere. Secondariamente, i rituali celebrati rappresentano un reale passaggio dell’uomo a una dimensione altra, nella quale non si è padroni e dove si è in balia delle occulte energie della Terra. E i massimi rappresentanti, o meglio, le massime incarnazioni di queste potenze sono, appunto, le prede. Fra gli animali braccati nelle desolate lande della tundra e della taiga troviamo, in primo luogo, l’orso; figura mitica, complessa, minacciosa e amica, egli pervade l’immaginario delle genti con la forza di una divinità. Al grande plantigrado si aggiungono poi lupi, renne, scoiattoli, zibellini, foche e balene: ciascuno di essi possiede peculiarità precise, che lo differenziano dagli altri

nel rapporto con gli spiriti e con le fantasmatiche presenze che lo proteggono dai pericoli. Sprofondati in una dimensione in cui tutto – pietre, piante, montagne, fiumi – è vivo, dotato di una particolare identità, attraverso la caccia i protagonisti di questa lotta sono in costante relazione con il passato più antico (antenati che tornano in vita sotto forma di fiere) e il costante bisogno di nutrire il futuro con un rispettoso rapporto col presente; nessuno si sognerà di uccidere in eccesso, al di là delle necessità, violando il patto di reciproca collaborazione con l’anima del mondo. I riti, in questo senso, mirano a nutrire più di un equilibrio: non si tratta di un mero insieme di formule imparate a memoria, ma di precise regole atte a rinsaldare, nella ricerca del cibo, il vincolo tra l’uomo e il trascendente, tra il predatore e il suo vitale nutrimento. Superfluo sottolineare quanto, ora, in un mondo che lancia rinnovati segnali d’allarme, ci sarebbe da imparare da questi popoli non ancora alie-

nati dalla compulsione tecnologica? Sicuramente no. Col suo rigore e la sua bellezza, I riti di caccia dei popoli siberiani ci mostra una realtà trascorsa, in cui il rito non aveva ancora perso la sua connessione con la tangibilità del quotidiano (questione importante, che, tra l’altro, mesi or sono il sottoscritto ha avuto modo di toccare lavorando nello spettacolo Dahü della compagnia ticinese Opera retablO, per la regia di Ledwina Costantini). Ora, che lo schiamazzo della stagione estiva va sfumando, questo testo potrebbe essere amato da chi intende affrontare le settimane che lo separano dai primi freddi con lo spirito rivolto a un mondo lontano e alla meravigliosa profondità di un mistero che dovrebbe essere sempre alimentato da un leale legame con ogni forma di vita. Dove e quando

I riti di caccia dei popoli siberiani, Eveline Lot-Falck, Milano, Adelphi, 2018.


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Cultura e Spettacoli

La regina dell’editoria In memoriam È scomparsa Inge Feltrinelli, donna

dalle straordinarie doti umane e intellettuali

Scommettere al femminile Incontri A Roma va affermandosi un festival

letterario in cui le donne sfidano la realtà

Paolo Di Stefano Inge Schönthal era diventata la più Feltrinelli dei Feltrinelli. Aveva conosciuto Giangiacomo, l’editore rivoluzionario e miliardario milanese, una sera di ottobre del 1958 durante un party che si teneva ad Amburgo negli uffici della casa editrice Rowohlt. Lei era una fotoreporter d’assalto, giovanissima aveva lasciato la Germania per raggiungere New York su una nave di lusso, aveva già fotografato Hemingway, Kennedy, Picasso, Churchill, Greta Garbo ed era appena tornata da un reportage nel Ghana; lui era il genio dell’editoria internazionale, avendo pubblicato (detenendone i diritti nel mondo) niente meno che Il dottor Zivago, il romanzo di Pasternak censurato in Unione Sovietica e sgradito anche ai comunisti italiani. «Simpatizzarono… e credo non avessero bisogno d’altro…»: così l’editore Rowohlt commentò quella serata dopo aver presentato Inge a Giangiacomo. Erano due giovani forze della natura. Lei nata a Essen nel 1930 da un padre industriale tessile ebreo costretto a emigrare in America; Giangiacomo nato nel 1926 a Milano, era stato attivista e partigiano, fondatore della casa editrice di via Andegari nel 1954, già sposato due volte, avrebbe poi, nel 1970, creato i Gruppi d’Azione Partigiana, una delle prime organizzazioni armate degli anni di piombo, e sarebbe finito in clandestinità prima di essere trovato morto il 14 marzo 1972 ai piedi di un traliccio di Segrate. Inge non avrebbe immaginato niente di tutto ciò quando, nel febbraio 1959, si sposarono in Messico: era da poco uscito un altro bestseller internazionale, Il gattopardo, dello sconosciuto (e già defunto) Tomasi di Lampedusa. Erano giovani e ammirati nel mondo: insieme avrebbero viaggiato ovunque, nel 1962 sarebbe nato Carlo, destinato negli anni Novanta ad assumere il comando della casa editrice e l’eredità della famiglia. Nel 1964 Inge e Gian-

Laura Marzi

Inge Feltrinelli in un’immagine gioiosa. (Keystone)

giacomo raggiungono l’Avana per mettere insieme, con il líder maximo Fidel Castro, i suoi diari. Grazie alla Feltrinelli, intanto, si possono leggere autori finora pochissimo noti in Italia: Karen Blixen, Jorge Luis Borges, Doris Lessing, Jack Kerouac, Nadine Gordimer, Henry Miller, Friedrich Dürrenmatt, Max Frisch, Günter Grass, per citarne solo alcuni. Questi ultimi tre consigliati, curati e spesso tradotti da un editor ticinese, Enrico Filippini, intelligente scopritore di autori di lingua tedesca e braccio destro di Giangiacomo. Gli anni successivi segnano l’apertura verso la letteratura latinoamericana: nel 1968 esce Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez. Ma prima la clandestinità poi la morte così tragica del fondatore faranno precipitare nella crisi la casa editrice, che richiede una revisione dei bilanci e una ricapitalizzazione. È Inge, presidente dal 1970, a prenderne in mano le redini e lo fa con mano ferma, circondandosi di collaboratori di notevole rilievo sia sul piano strettamene editoriale (Franco Occhetto e Sandro D’Alessandro su tutti) sia sul piano

commerciale, puntando molto sull’espansione delle librerie (affidate a Romano Montroni), che erano state pensate da Giangiacomo. E naturalmente guardando alla qualità degli autori. Tra gli anni Ottanta e Novanta, Inge e i «suoi» tirano fuori dal cappello L’amante di Marguerite Duras, i romanzi di Isabel Allende, di José Saramago, di Amos Oz, di Vázquez Montalban, di Daniel Pennac e di Banana Yoshimoto; e gli italiani: Tabucchi, Celati, Tondelli, Starnone, Maggiani, De Luca… Inge Feltrinelli era un vulcano in continua ebollizione: entusiasta per carattere, curiosa, sensibilissima alla qualità umana delle persone prima ancora che intellettuale. È stata per qualche decennio la regina dell’editoria, una sorta di Ministro degli Esteri del libro, capace di amicizie profonde con i suoi autori, narratrice orale straordinaria, raccontava l’epica dell’editoria del Novecento da protagonista, con risate sonore e contagiose, senza enfasi e senza nostalgie ma con il piacere allegro di trasmettere un’esperienza che riteneva fondamentale anche per il futuro.

Datemi una tronca

Pubblicazioni Un libro del linguista Luca Zuliani dedicato

all’attrezzatura metrica e melodica dell’italiano nelle canzoni Stefano Vassere «Siamo alle prese con una lingua che non amo, perché la devo cantare e non è semplice. L’italiano è del tutto inadatto a essere cantato. La nostra è una lingua senza tronche; il sogno di molti di noi sarebbe cantare in altre lingue e non è un caso che certe volte funzioni meglio il dialetto, che viene dalla strada, è più asciutto e comunicativo». Ha ragione Claudio Baglioni quando esprime tutto il disagio di chi, nell’intento di scrivere belle canzoni dal punto di vista musicale tenendo conto anche del valore testuale fa molta più fatica di un suo collega inglese o francese. Questo L’italiano della canzone di Luca Zuliani, che insegna nell’Università di Padova ed è un esperto di metrica e musica nella poesia italiana, è subito prodigo di esempi d’autore; da Baglioni a De André, dal raffinato Guccini al più spiccio Ligabue («usare l’italiano in musica non è una sfida: è proprio una sfiga»), tutti sono d’accordo su un fatto: soprattutto, ma non solo, per la carenza in italiano di parole che portano l’accento sull’ultima sillaba, è difficile scrivere canzoni accettabili nella nostra lingua senza fare capo a qualche rimedio. Prima di tutto, un passo indietro: ma non era, insomma, l’italiano una

lingua musicale? Non è la nostra lingua riconosciuta da tutti come il codice del bel canto che ha esportato il melodramma in tutto il mondo con armonia e riconoscimento di eccellenza? Le cose non sono pacifiche, perché il testo in italiano parlato ha sì armonia e ritmo, ma per sue caratteristiche strutturali deve adattarsi alla musica selezionando parole musicabili e strutture sintattiche un po’ di compromesso; che lo rendono meno efficace e ogni tanto innaturale o ridicolo. Francesco De Gregori dice: «se leggi La donna cannone senza pensare alla musica, è una boiata pazzesca, non sta in piedi. Tutti quegli accenti tronchi, nemmeno un bambino scrive così». Già: tutti quegli accenti sull’ultima sillaba («giuro che lo farò», «d’oro e d’argento diventerà»). È uno dei problemi affrontati da Zuliani, perché – come dice Fabrizio De Andrè – «scrivere canzoni in italiano è difficile perché le esigenze della metrica ti rendono necessaria una gran quantità di parole tronche», e le parole tronche italiane finiscono di regola in vocale e le vocali sono solo cinque. Quindi: o si passa al dialetto come tanti, per nostalgia popolana o anche per risolvere questi problemi, o si comincia a ‘truccare’ il testo. Con i troncamenti (amor e fior); inventando accenti sull’ultima sillaba (come

fa la gioiosa Arisa); spostando in fondo monosillabi e enjambando alla grande i versi come fa Lucio Battisti («Guardavo il mondo che/girava intorno a me»); finendo il verso con esclamazioni di una sillaba come fa Vasco Rossi («che se ne frega di tutto, sì»); abbondando di parole inglesi in fine verso come infine fa Celentano (la prima ottava di Il tuo bacio è come un rock ha sei versi che finiscono con monosillabi inglesi, uno fa solo «oh oh oh oh», uno finisce con «così»). I testi delle canzoni italiane tirati di qua e di là con artifici non sempre accettabili per «far tornare il verso costi quel che costi» risultano indecorosi se privati di accompagnamento musicale, fanno ridere e ogni tanto quasi non vogliono dire nulla (che cosa significa «un mare nero un mare nero un mare ne»?); non sarà un caso che i booklets allegati ai dischi sempre meno portano la struttura in versi optando per il testo lineare. Convitato di pietra di questo ritmato testo di Luca Zuliani è il rap, cui sono dedicate tre sole paginette prima delle Conclusioni. A fronte di tutte queste complicazioni, il rap è canzone senza musica o canzone «a tasso blando» di musica. Sembra un ossimoro impossibile, è un modo come gli altri per aggirare l’ormai conclamato problema dell’incantabilità della lingua italiana.

Il festival di scrittrici a Roma inQuiete si svolgerà dal 4 al 7 ottobre, nell’isola pedonale del Pigneto. inQuiete è un progetto della Libreria delle donne Tuba e dell’Associazione MIA, che nasce dal desiderio di dare spazio e visibilità alla scrittura delle donne, che nonostante i grandi passi avanti continuano a essere meno lette, perché in generale è rimasto vivo il luogo comune, almeno in Italia, che quella femminile sia una produzione minore. Le organizzatrici del festival hanno voluto dare una risposta proprio a questi pregiudizi. Le abbiamo incontrate, hanno fra i 33 e i 43 anni, sono: Barbara Leda Kenny, socia della libreria delle donne Tuba e caporedattrice di ingenere.it, Viola Lo Moro, socia della libreria delle donne Tuba, attivista lesbo femminista, Francesca Mancini, che ha lavorato molti anni nell’editoria e attualmente si occupa di pubbliche relazioni ed eventi per ActionAid Italia, Barbara Piccolo, socia della libreria delle donne Tuba e libraia e Maddalena Vianello, professionista della progettazione e organizzazione culturale che attualmente lavora all’Assessorato alle Pari Opportunità della Regione Lazio. Cosa significa organizzare un evento culturale così strutturato, non essendo all’interno di una istituzione?

Il fatto che inQuiete, festival di scrittrici a Roma (www.inquietefestival.it) sia un festival indipendente ci concede una grandissima libertà, che ha un prezzo molto alto da pagare. Ogni anno tratteniamo il respiro fino all’ultimo giorno perché non sappiamo se saremo in grado di sostenere tutte le spese con il crowdfunding che finanzia inQuiete. Una buona mediazione è però possibile e noi l’abbiamo trovata nel rapporto con Biblioteche di Roma e il suo presidente Paolo Fallai. Ha rischiato con noi fin dalla prima edizione, mettendo in chiaro che non sarebbe entrato nel merito della programmazione del festival e del nostro lavoro e ha mantenuto la parola senza mai lasciarci sole. La passione quando si organizza un evento culturale è fondamentale, ma quando si tratta di un festival così grande, basta?

La passione per la letteratura delle donne e il femminismo sono state le molle da cui il progetto è nato e poi cresciuto: può molto, ma l’impegno è grande. Non mancano notti insonni, riunioni fiume, fine settimana di lavoro intenso e qualche tensione. Tutte noi trascuriamo altri aspetti delle nostre vite soprattutto quando il festival si avvicina, ma evidentemente ne vale la pena. Quanto è ancora importante l’associazionismo femminile in Italia?

Le organizzatrici del festival romano.

Fare rete con le altre donne è fondamentale. Per noi non avrebbe potuto essere altrimenti. inQuiete si regge sulla generosità della comunità di cui fa parte. Non mi riferisco solo alle donazioni in denaro per noi essenziali. Siamo circondate da donne e uomini che si mettono a disposizione in tantissimi modi. Il tempo è forse la cosa più preziosa che ciascuno di noi ha e inQuiete vive in gran parte grazie al tempo donato. inQuiete è un progetto politico e a Roma è connesso a molte realtà con cui condividiamo una visione di città dove la cultura e la politica delle donne possano ridisegnare nuovi confini e dal basso riappropriarsi dello spazio pubblico. Non sono solo parole. Quest’anno abbiamo scelto di posizionare il secondo palco del festival dove di solito staziona la camionetta dell’esercito. Crediamo che la cultura possa garantire la fruizione di uno spazio urbano molto meglio dei mitra. E in questa visione non siamo certo sole. inQuiete ha fra i suoi partner la Casa Internazionale delle donne di Roma, la Casa delle donne Lucha y Siesta e l’Angelo Mai, tutti spazi oggi minacciati di sgombero da parte del Comune di Roma che noi consideriamo imprescindibili. Quale è stata finora la più grande soddisfazione?

Forse qualche ora dopo l’inaugurazione della prima edizione di inQuiete, quando abbiamo dovuto correre ai ripari perché le sedie che avevamo affittato non bastavano a contenere nemmeno la metà delle persone arrivate. Anche in questo caso la nostra comunità ci è venuta in soccorso. Nel giro di qualche ora al Pigneto si sono materializzate sedie, panche e poltroncine. È un’immagine simbolica di come inQuiete funziona. Il sistema di finanziamento col crowdfunding si è rivelato sufficiente a organizzare un festival di tale successo?

Il sistema del crowdfunding è la formula che fino a oggi ci ha permesso di andare avanti grazie alla generosità delle donazioni che ciascuno fa secondo le proprie possibilità. È una grande emozione vederlo crescere giorno dopo giorno. Naturalmente, è faticoso, perché non possiamo programmare con certezza. Ogni anno è una scommessa. Sufficiente? No, non lo è. Il festival è del tutto gratuito, ha una programmazione molto densa e abbiamo moltissime spese. Siamo sempre con l’acqua alla gola. Cerchiamo degli sponsor sensibili che non vogliano imbrigliare la nostra libertà, ma che credano in questo progetto e desiderino sostenerlo. Fare cultura ed essere femministe vuol dire anche essere scomode. Se qualcuno ha voglia di scommettere su di noi, noi siamo pronte.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Cultura e Spettacoli

L’arte per la natura Mostre Maroggia si trasforma in un museo all’aperto

Alessia Brughera È molto complessa la relazione che intercorre tra uomo e natura: oggi più che mai è un rapporto fatto di lotte e di contatti, di conflitti e di ricongiungimenti, in un continuo susseguirsi di atti prevaricatori e difensivi. Se da una parte, infatti, l’essere umano, consapevole dell’impossibilità di scindere le proprie radici dall’ecosistema, cerca di recuperare il profondo legame con esso, dall’altra non sa rinunciare a sottometterlo per plasmarlo a suo piacimento, nella stolta convinzione di migliorare la qualità della propria esistenza. Forza generatrice e fonte di vita, la natura, dal canto suo, si trova a dover proteggersi strenuamente dall’uso sconsiderato e spesso distruttivo delle sue risorse perpetrato dall’umanità. Che cosa può fare l’arte per questo irrequieto e fragile vincolo? Da sempre, si sa, essa è un mezzo privilegiato per stimolare il pensiero, per scuotere gli animi e condurre a riflettere. L’arte solleva quesiti, esorta dibattiti. È da questa persuasione che prende vita la rassegna ArteRivaMaroggia intitolata Mutazioni – In difesa della natura, un progetto espositivo triennale, arrivato alla sua seconda edizione, che dipana il proprio percorso nel piccolo paese lacustre, coinvolgendo le stradine del centro abitato e le rive del Ceresio, la battigia e il molo, le sponde del fiume Mara e il vecchio mulino. Privo di istituzioni museali, il borgo di Maroggia sfrutta così il suo potenziale naturalistico, divenendo una galleria d’arte a cielo aperto in cui la tematica uomo-ambiente esplorata dalle opere esposte viene rafforzata dal contesto in cui queste sono presentate. Attraverso linguaggi spesso molto distanti tra loro, i ventidue artisti invitati a partecipare alla mostra (provenienti non solo dal Ticino ma anche dal resto della Svizzera e dall’estero) hanno dato ciascuno una personale interpretazione delle problematiche relative alla natura,

partendo dalla convinzione unanimemente condivisa che l’arte possa, anzi debba, oltrepassare il mero concetto di bellezza per porsi, grazie alla piena libertà d’azione che la contraddistingue, quale persuasivo strumento per far riconoscere e comprendere gli autentici valori dell’esistenza umana. D’altra parte è proprio dalla ribellione a una visione per cui l’arte non dovrebbe incidere sui casi del mondo, rintanata nel proprio spazio di autonomia, che si è sviluppata a partire dalla fine degli anni Cinquanta l’arte ambientale, corrente che racchiude in sé esperienze eterogenee ma che, nelle sperimentazioni centrate in particolare sulla natura, ha avuto origine dalla coscienza dei pericoli a cui lo sviluppo industriale e il dissennato operare umano stavano esponendo il pianeta. Una nuova consapevolezza ecologica metteva così in primo piano la capacità di empatizzare con l’ecosistema riconoscendo all’arte un ruolo determinante nell’accrescere la coscienza critica ambientalista. Nel percorso di Maroggia, le sculture, le installazioni e i lavori fotografici mostrano i differenti approcci degli artisti al tema del fragile equilibrio tra uomo e natura: c’è chi ha meditato sulle dinamiche di questa costante controversia in maniera ironica, chi attraverso un piglio dissacrante, chi con un atteggiamento di denuncia e chi, ancora, volgendo uno sguardo nostalgico a un mondo lontano più in sintonia con il creato. Sicuramente ludico è il linguaggio espressivo di Ivan Artucovich, caricaturista e vignettista nato a Los Angeles e svizzero d’adozione, che con la sua colorata opera in ferro dal titolo Back to Nature auspica un divertito ritorno alla dimensione naturalistica: un uomo e una donna, nudi e straripanti di felicità, si disfano degli inutili orpelli che appartengono alla loro quotidianità e fuggono da una vita artificiosa per immergersi nelle amenità paesaggistiche. Interessante per la profonda ricerca di un’armoniosa unione con l’ambiente

Umberto Cavenago Protecziun da la patria, 2018.

è il lavoro del luganese Lorenzo Cambin, uno Spazio realizzato per dialogare con la natura entrando in stretto contatto con le sue forze dinamiche. È difatti il vento che muove gli «alberi» in tessuto verde dell’artista facendoli divenire parte stessa del creato, come se nel loro dinamismo riuscissero a penetrare la natura circostante per rintracciarne le origini. Venata da una visione struggente del rapporto tra uomo e ambiente mediato dall’arte è l’opera Vecchio mondo dell’artista polacca Tamara Bialecka, in cui gli echi di un passato percepito nella sua bellezza irripetibile si fondono con le tracce di un presente inquietante: nelle

serigrafie depositate su una struttura sferica di metallo appaiono incisioni rupestri, dipinti rinascimentali, bombe atomiche, onde e grattacieli, a raccontare il lento deviare dell’essere umano dal suo habitat naturale. Tra i lavori che si incontrano lungo il percorso lacustre, degni di nota per la delicatezza con cui si inseriscono nel paesaggio sono i Giardini minerali e i Fiori megafoni della ceramista Myriam Maier, la cui indagine artistica vive di un legame con l’ambiente finalizzato a carpirne i segreti più reconditi. La sua arte, che parte dalla terra, si lascia ispirare dalle forme e dai colori degli elemen-

ti della natura per poi cristallizzarli in opere a loro somiglianti. «Ogni cosa che puoi immaginare», diceva Albert Einstein, «la natura l’ha già creata», ma l’arte può aiutarci a ricordare quanto ogni dettaglio dell’universo sia prezioso. Dove e quando

ArteRivaMaroggia. Mutazioni – In difesa della natura. Maroggia. Fino al 7 ottobre 2018. Nel paese le opere sono fruibili gratuitamente e senza limiti di accesso. www.facebook.com/ arterivamaroggia.2018/

Le arterie della vita

Pubblicazioni In occasione dei 30 anni dell’Associazione Triangolo giovedì sarà presentato

il nuovo volume di fotografie di Fabiana Bassetti Gian Franco Ragno Per festeggiare il suo trentennale, l’Associazione Triangolo, che, com’è noto, si occupa del sostegno dei pazienti oncologici e dei loro famigliari, ha deciso di pubblicare un libro fotografico. L’autrice del libro, che ha lasciato al gruppo tutti i proventi delle vendite, è Fabiana «Fabi» Bassetti, fotografa di Bellinzona che in passato ha già frequentato, tra le molte attività, l’ambiente dei

Rencontres de la photographie di Arles ed esposto alla Biblioteca Cantonale di Lugano. Sempre nel volume, due firme di notevole spessore introducono il lavoro dell’autrice: la prima è quella del docente di Estetica presso l’Università statale di Milano, il filosofo Elio Franzini, che intitola il suo scritto La fotografia come sogno. La seconda, più nota alle nostre latitudini, è quella dello psichiatra, psicanalista e psicoterapeuta Graziano

Gli alberi di Fabiana Bassetti come metafora della vita.

Martignoni, che prende il titolo poetico di Quando gli alberi erano un canto. Entrambi i contributi, oltre a presentare il lavoro della Bassetti, offrono una chiave di lettura assai approfondita della fotografia e dei suoi significati, configurandosi come veri e propri saggi sulla disciplina. Uscito in questi giorni per i tipi delle Edizioni Pedrazzini di Locarno, Le arterie della vita ha, al suo centro, un unico soggetto: gli alberi. Non è indicato un luogo di ripresa, forse intendendo il bosco – dove presumiamo siano scattate queste immagini – come luogo simbolico, appartato dalla civiltà. Si tratta un libro composto da una successione di riprese di alberi spogli, in riferimento agli autunni e inverni della vita e in stretta connessione con il progetto nel suo complesso. Così poveri di vegetazione, senza frutti né foglie, i rami e le loro derivazioni hanno quel tipico segno grafico che non può non ricordare appunto il sistema circolatorio con le sue arterie e le sue vene via via più strette fino ai capillari. Riprese per la maggior parte dal basso verso l’alto, le propaggini compongono il disegno che si staglia sullo sfondo neutro, come se si trattasse di un foglio bianco. Lo sguardo, soprattutto nelle prime pagine del libro, sem-

bra quindi rivolgersi sempre al cielo, verso un qualcosa di superiore, sopra di noi. Altre immagini invece, che personalmente preferisco, sono perpendicolari al terreno e presentano porzioni di fusti avvolti in una leggera foschia, modulando interessanti prospettive e profondità. È curioso come negli ultimi anni il tema dell’albero abbia una sorta di revival, senza dimenticare quegli autori ormai classici che se ne sono occupati, tra i quali il fotografo ceco Josef Sudek. Forse, in parte, il merito è di uno dei libri più belli usciti recentemente, ovvero il volume di Mitch Epstein sugli alberi della metropoli americana, New York Arbor, edito da Steidl nel 2013 – il quale rimanda, a sua volta, alla difficile sopravvivenza anche nelle nostre piccole cittadine di querce secolari, ippocastani, pioppi e tigli. Come scritto con mirabile esattezza in entrambi i testi, sfogliando il libro di Fabiana Bassetti si rintraccia un percorso del ricordo, di riconciliazione e di ricerca che potrebbe essere idealmente quello compiuto dalla persona malata e dalla sua cerchia affettiva più stretta durante una malattia. In questo senso l’idea del bosco, luogo dove finalmente poter respirare a pieni polmoni, offre ancora, come afferma Elio Franzini,

«un nucleo di possibilità e apertura verso un senso più profondo». Ma il tema si presta anche, più prosaicamente, a molti ricordi e considerazioni di carattere storico, visto la centralità di questo elemento naturale all’interno della recente storia del Cantone. Vengono in mente lo sfruttamento sconsiderato del legname che tanto contribuiva alla violenza delle alluvioni dell’Ottocento e inizio Novecento – alcune delle quali il nostro Roberto Donetta in Val di Blenio riprese in più occasioni attraverso il conteggio dei danni – oppure le primissime immagini fotografiche che abbiamo della nostra regione, in cui ci sorprende il fatto che i pendii delle montagne siano così lisci e le montagne quasi calve. Laddove, oggi, viene combattuta un’altra battaglia, quella tra la vegetazione e le sempre più numerose e abbarbicate abitazioni di vacanza. Dove e quando

Le arterie della vita di Fabiana «Fabi» Bassetti (Edizioni Pedrazzini Locarno, 2018) sarà presentato giovedì 27 settembre all’Albergo Unione di Bellinzona (ore 18). Interverranno Fulvio Caccia, Elio Franzini, Graziano Martignoni e Sergio Roic.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Cultura e Spettacoli Jason, Mraz: forse lievemente monotematico.

L’eterno dilemma di nuovo in scena Teatro A Zurigo un interessante Amleto

nell’allestimento di Barbara Frey Marinella Polli La figura di Amleto, archetipica come rappresentazione dell’uomo nella sua complessa natura, ma altresì disegnata nella perfetta modernità dell’individuo in crisi di fronte al destino e alle proprie responsabilità, solo e in balia dei più svariati aspetti del suo carattere e prigioniero dei fantasmi del suo immaginario, ritorna alla Schauspielhaus in un allestimento della padrona di casa Barbara Frey. Un nuova produzione dell’ Amleto, dunque, la tragedia peraltro ripetutamente rappresentata in tutto il mondo, spesso anche stravolta più che reinterpretata o iperinterpretata, ma comunque sempre analizzata a fondo.

I sipari che si aprono a caleidoscopio e il light design di Küng ribadiscono la complessità della trama

Jason in love

Musica L’amore prima di tutto: il nuovo sforzo del neo sposino

Jason Mraz lo conferma come l’alfiere dei buoni sentimenti e del pop romantico di matrice radiofonica

Benedicta Froelich È davvero possibile riuscire a costruire un futuro e una carriera artistica soddisfacenti dopo essersi ritrovati, a poco più di trent’anni, a personificare una vera e propria «one hit wonder» del panorama pop internazionale?

Forse tra qualche anno, potendo godere di una più ampia esperienza, Mraz si dedicherà a temi nuovi Questa è senz’altro l’inevitabile, legittima domanda che qualsiasi critico musicale si pone nel trovarsi a recensire il nuovo disco di un autore che, in un passato più o meno lontano, sia stato responsabile di un successo definibile come un cosiddetto «tormentone» all’interno delle classifiche mondiali. Come accaduto all’oggi 41enne Jason Mraz, artefice, nel 2008, dell’hit I’m Yours, che conobbe un successo a dir poco vertiginoso come principale brano estivo di quell’anno, continuamente trasmesso da MTV e dalle maggiori stazioni radiofoniche. E spiace notare come, forse proprio a causa di tale indigestione, il grande pubblico sia in effetti rimasto perlopiù all’oscuro delle successive avventure discografiche di Mraz: il quale, lungi dall’adagiarsi sui proverbiali allori, negli ultimi anni ha continuato a incidere, passando dalle atmosfere quasi soul di Love is a Four Letter Word (2012) al pop orecchiabile di Yes! (2014). Ma nonostante il successo commerciale non abbia più raggiunto i picchi del passato, Jason si è guadagnato, nel corso degli anni, un pubblico ben più ampio (in termini geo-

grafici, come anagrafici) di quel che si potrebbe a prima vista supporre. Oggi, lo statunitense ci riprova con una nuova opera, che in effetti non si distingue troppo dalle precedenti, se non per una nuova componente autobiografica: Mraz ha infatti trovato l’amore, essendo recentemente convolato a nozze – e come spesso accade ai musicisti pop, a ciò è immediatamente corrisposta una strabiliante incapacità a toccare qualsiasi altro argomento, con il risultato che questo Know mostra un’assoluta, smodata conversione a ballate d’amore e canzoni smaccatamente romantiche. Certo, in realtà, fin dagli esordi, la musica e le liriche di Jason hanno sempre costituito un inno sperticato ai buoni sentimenti; e bisogna dire che, nonostante gli ascoltatori più disincantati possano sentirsi a tratti sopraffatti dal carattere «sdolcinato» della tracklist di Know, anche i brani apparentemente più ingenui trovano qui un loro senso all’interno della visione artistica del cantante, più che mai caratterizzata da un contagioso ottimismo e amore per la vita. Il che si nota fin dai singoli di lancio dell’album, gli irresistibili Have It All e Might As Well Dance (vere e proprie celebrazioni del matrimonio del loro autore), i quali non possono che strappare un sorriso anche all’ascoltatore più imbronciato: la spensierata e irrefrenabile gioia di vivere di Mraz – quasi naif nella sua continua asserzione che l’amore sia l’unica forza a controllare davvero gli umani destini – rappresenta, dopotutto, un’evidente boccata d’aria fresca davanti al gretto cinismo a cui siamo ormai assuefatti nella vita quotidiana. Tuttavia, è innegabile come le tracce più intense ed efficaci siano quelle in cui Jason riesce a distaccarsi almeno in parte dal classico cliché da cartolina romantica per tentare approcci più sottili, tingendo le liriche di maggiore

introspezione e complessità emotiva: è il caso di Sleeping to Dream, che combina lo struggimento amoroso a una certa irrequietezza esistenziale, ma anche di Let’s See What the Night Can Do – il quale, al di là della tematica quanto mai tradizionale, offre però all’ascoltatore alcune immagini piuttosto evocative. Forse meno godibili risultano brani vagamente dogmatici come Love is Still the Answer (il cui titolo riprende gli aneliti del John Lennon di Mind Games), o la zuccherina No Plans; eppure, il brio contagioso di pezzi più vivaci quali Unlonely e More Than Friends (quest’ultimo inciso in coppia con Meghan Trainor) non mancherà di garantire loro un posto nelle playlist di molti ventenni. Così, sebbene, anche per gli standard odierni, il disco sia un po’ troppo breve (dieci canzoni, per un totale di circa trentasei minuti d’ascolto), si può dire che, da un certo punto di vista, ciò giochi a favore di Mraz, poiché le tendenze monotematiche del suo songwriting appaiono in realtà poco adatte a un minutaggio più lungo – come dimostrano brani dal sapore alquanto banale quali Making It Up o Better With You. Un peccato, perché un po’ di varietà in più non avrebbe guastato a Know, soprattutto considerando come – pur nella combinazione tra il più spensierato sound radiofonico e l’enfatico romanticismo di un giovane affetto da incurabile ottimismo post-matrimoniale – il CD offra comunque spunti interessanti e un’innegabile qualità musicale, evidente negli arrangiamenti molto curati e nell’interpretazione sempre impeccabile di Jason. Chissà, forse, quando il trascorrere impietoso degli anni avrà infine avuto la meglio sulla sbornia romantica, e le esperienze di vita avranno fatto avvertire il loro peso, Mraz troverà il coraggio di tentare anche sentieri musicali più ardimentosi e meno battuti.

Anche questa lettura della Frey (versione in tedesco di Elisabeth Plessen) è un’ulteriore occasione per continuare a dibattere sui grandi temi cruciali quali vita e morte, giustizia e vendetta, verità e menzogna, senso dell’esistenza che continua a sfuggire a tutti gli uomini, potere o meno della volontà, malinconia e passività da un lato e avidità e tracotanza dall’altro, che sono poi i temi scespiriani per eccellenza. Ribadendo l’estrema modernità della pièce, la regista, pur con tagli e cuciture, punta sul testo immenso, il solo a dipanare l’azione in tutta la sua forza, operando una quasi completa eliminazione di accessori scenici: rimangono solo alcune sedie e qualche tendaggio a comporre l’essenziale e buio spazio scenico creato da Bettina Meyer, con sipari che si aprono a caleidoscopio l’uno sull’altro quasi a ribadire la complessità di trama e struttura drammaturgica. Pure essenziali e perciò adeguati i costumi moderni disegnati da Esther

Geremus, scuri per tutti tranne che per Ofelia, vestita di bianco; suggestivo e puntuale il light design di Rainer Küng, e giusto contrappunto al tetro di luoghi e situazioni le musiche di Inigo Giner Miranda eseguite dal vivo. Il cast è stellare e vi campeggia il giovanissimo Jan Bülow nel ruolo del titolo fra malinconia, angoscia, rabbia e follia. Gli sono accanto, bravissimi, Markus Scheumann nel ruolo di Claudio, ma anche – scelta psicologicamente eloquente – dello spirito del padre di Amleto il quale, morto da due mesi, appare al figlio rivelandogli di essere stato assassinato da Claudio, Inga Busch nei panni di Gertrude, madre di Amleto e ora moglie del cognato Claudio succeduto al trono. Inoltre Gottfried Breitfuss nella parte di Polonio, ucciso per sbaglio da Amleto, nonché in altri ruoli minori, Edmund Telgenkämper nelle vesti di Orazio, amico di Amleto e fra i pochi a sopravvivere alla fine del dramma, ma anche di Rosenkranz, Benito Bause in quelle di Laerte e, lui pure, in altri ruoli minori, tra cui quello di Guldenstern. A proposito di Rosencranz e Guldenstern, sono ovviamente loro a regalare quei momenti comici che in Shakespeare non mancano mai. Per il ruolo dell’infelice Ofelia, che impazzisce e annega più per disorientamento (e se ne potrebbe parlare per ore) che per pene d’amore, la Frey ha scelto Claudius Körber, dunque un attore e non un’attrice. Perché no, visto che anche lo stesso Amleto è già stato interpretato da donne, per esempio dalla straordinaria Angela Winkler, e son già passati vent’anni. Applausi calorosissimi e interminabili alla fine dello spettacolo, per tutti ed in particolare per Barbara Frey alla sua ultima stagione alla Schauspielhaus. Dove e quando

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Cultura e Spettacoli

Il cinema della libertà

Diritti Umani A Lugano dal 9 al 14 ottobre si svolgerà la quinta edizione del festival

che propone una selezione di film su temi legati alla dignità dell’individuo

Enza Di Santo Immigrazione, inquinamento, sfruttamento dell’ambiente e memoria dei genocidi, che troppo spesso finiscono per essere dimenticati, sono tra le questioni salienti che il Film Festival dei Diritti Umani 2018, vuole trattare attraverso la visione di una ventina di pellicole selezionate. La produzione internazionale, tra cui spiccano alcune prime visioni svizzere, sarà lo spunto su cui avviare le discussioni dei forum che caratterizzano l’evento. Quest’anno in occasione del settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti umani, il festival prevede alcune interessanti novità. Prima fra tutte la consegna del Premio Diritti Umani per l’autore al regista svizzero Markus Imhoof. All’artista, capace di immergersi nelle realtà umane tanto da trascinare lo spettatore a capire le sfaccettature più complesse delle società occidentali, verrà dedicata anche una retrospettiva al Cinema Corso di Lugano. Ma la sala del cinema Corso non sarà la sola a ospitare i film di questa edizione, infatti, dal 9 al 14 ottobre, parte delle proiezioni, si svolgeranno nel vicino Cinema Iride. Questa seconda storica sala cinematografica luganese, nata nel 1955 e situata nel cuore della città, non solo amplia la proposta di titoli e orari, ma permette un ulteriore

passo nel percorso di crescita dello stesso festival, che di anno in anno dimostra la sua capacità di evolversi. Altro passo, intrapreso già nelle scorse edizioni attraverso le esposizioni fotografiche, è la creazione di un luogo dedicato alle arti figurative e grafiche. Il legame intrinseco tra queste arti e il cinema anche quest’anno sarà protagonista allo Spazio 1929 che, dal 4 al 21 ottobre, accoglierà la mostra esclusiva in anteprima svizzera Disegni per il film La strada dei Samouni di Simone Massi. L’artista, disegnatore, animatore e regista italiano, è tra gli ultimi a cimentarsi ancora nella tecnica «a passo uno» (in inglese stop-motion) con la quale ogni disegno rappresenta un fotogramma del film, lavoro che richiede talento per i dettagli, collaboratori, una mole di lavoro non indifferente, resistenza e tantissimo tempo. L’esposizione includerà le tavole originali dei disegni usati per il film La strada dei Samouni di Stefano Savona, film selezionato per la rassegna, che narra la terribile vicenda di una famiglia di Gaza sterminata nel 2009 dall’operazione Piombo Fuso. Il festival, si aprirà ufficialmente martedì 9 ottobre alle ore 20.30, con Kapuściński – Another Day of Life di Raúl de la Fuente e Damian Nenow, un lungometraggio tratto dal libro omonimo del giornalista e scrittore polacco Ryszard Kapuściński il quale, a seguito del suo viaggio in Angola, nel 1975 si

chiede quali siano il suo ruolo di giornalista, il suo posto nella storia e le sue responsabilità. Già lunedì 3 ottobre si potrà avere un assaggio della rassegna con il film Freedom for the Wolf di Rupert Russell, in inglese con sottotitoli in italiano. L’appuntamento, che rinnova la collaborazione tra il festival e la Franklin University Switzerland, si terrà alle ore 18.00, al Nielsen Auditorium del Campus di Sorengo e sarà seguito da una tavola rotonda sempre in inglese. La pellicola di Russell s’interroga sul senso della democrazia attraverso una profonda analisi del concetto di libertà in quattro continenti. Utilizza un approccio giornalistico, ma nonostante tutte le parti in causa possano esprimere la loro opinione, la posizione di Russell trapela sempre chiaramente, perché come disse Isaiah Berlin «i lupi se lasciati liberi, strangolerebbero le pecore».

In prima visione in Svizzera The State Against Mandela and the Others di Nicolas Champeaux e Gilles Porte, sarà il film-documentario che chiuderà il festival domenica 14 ottobre alle 20.30, ripercorrendo l’acceso e dibattuto processo a Nelson Mandela. Queste sono solo alcune delle proposte, che di certo susciteranno riflessioni e opinioni in un dibattito, quello sui diritti umani, che è in continuo divenire soprattutto oggi, mentre viviamo un momento storico caratterizzato da grandi incertezze mondiali. Informazioni

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Conoscere la pedagogia della danza Concorso Serata

Sigurd Leeder e molto altro al Laban Event 2018 Maestri è il titolo del ciclo di appuntamenti del Laban Event che animerà Ascona dal 5 al 7 ottobre. Monte Verità, culla della Scuola Laban, ospiterà la danza attraverso la sua pedagogia, con conferenze, laboratori pratici, meditazione e spettacolo. Momenti che vogliono trasmettere, diffondere e rafforzare la cultura della danza contemporanea, che grazie all’attenzione e alla ricerca di Rudolf Laban ha avuto modo di evolversi. I relatori dell’edizione 2018, legati ai maestri della Scuola Laban, porteranno la loro esperienza in prima persona. Ospite anche l’Associazione Sigurd Leeder, composta da alcuni laureati della scuola di danza omonima, e che quest’anno ha ricevuto il premio «Patrimonio della danza in Svizzera». Come Laban, anche Leeder ha creato opere coreografiche e sviluppato nuovi studi pedagogici durante la sua carriera artistica. Il Percento culturale di Migros Ticino mette a disposizione dei lettori di «Azione» alcune coppie di biglietti omaggio per la Serata Sigurd Leeder che si terrà venerdì 5 ottobre alla Sala Balint di Monte Verità, alle ore 20.30. Per partecipare all’estrazione basta seguire le indicazioni sulla pagina web www.azione.ch/concorsi. Termine del concorso venerdì 29 settembre. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Un arcipelago reale e immaginario Pubblicazioni Affascinante viaggio nello spazio e nel tempo verso le isole dell’Egeo

Giovanni Fattorini In una radiosa giornata estiva di molti anni fa, nell’isola di Sifnos (che non conosceva ancora l’orrore del turismo di massa), mentre dall’alto di una parete rocciosa guardavo «il sorriso innumerevole del mare» (innumerevole e infido, perché il mare, come ha scritto Conrad, «non è mai stato amico dell’uomo»), ebbi improvvisamente la certezza di essere già stato lì, in una vita anteriore. Una «illuminazione» che non si è ripetuta mai più, in nessun luogo. È per questa ragione che quando ho avuto tra le mani il libro di Giorgio Ieranò, Arcipelago. Isole e miti del Mar Egeo, sono andato subito a cercare, nell’indice dei luoghi, il nome «Sifnos». Purtroppo, la piccola isola della mia folgorazione è fuggevolmente menzionata tre sole volte nel libro di Ieranò (docente di Letteratura greca all’Università Trento). La prima, in un epigramma di Antipatro di Tessalonica (un poeta vissuto al tempo di Augusto), citato a convalida dell’affermazione che «l’idea della decadenza dell’arcipelago è uno stereotipo letterario che risale almeno all’epoca romana». La seconda, in un poema di Odysseas Elytis intitolato Axion esti, popolarissimo in terra greca, anche perché è stato messo in musica da Mikis Theodorakis. (Axion esti è un’espressione di derivazione liturgica, corrispondente al Dignum est, «È cosa buona e giusta», della messa cattolica. Tra le cose buone e giuste, per Elytis – premio Nobel 1979 – ci sono le

isole del Mar Egeo). La terza volta, infine, là dove si legge che Serifos è «una delle poche isole che, con Sifnos e Milos, aveva rifiutato di capitolare di fronte ai persiani». Lasciata alle mie spalle Milos (famosa perché nel 1820 vi fu rinvenuta la Venere di marmo – Ieranò ne racconta brillantemente le disavventure – che ora si trova nel Museo del Louvre), mi sono diretto verso Serifos. Wikipedia la liquida in poche righe; Ieranò le dedica una decina di pagine, in cui dice che pur avendo inviato una pentecontere (una nave a remi e a vela, dotata di un rostro per le manovre di speronamento) in appoggio alla flotta ateniese nella battaglia di Salamina (480 a.C.), l’isola di Serifos, per i greci, era «sinonimo di povertà e simbolo di insignificanza. […] La desolazione dell’isola era però riscattata dalla forza trasfiguratrice del mito. Serifos è infatti l’epicentro di una delle più celebri leggende dell’antichità»: quella di cui è protagonista Perseo. Sospinta dalle onde, fu sulle rive di Serifos che approdò la cassa in cui Acrisio, re di Argo, aveva fatto rinchiudere la figlia Danae e il piccolo Perseo, nato dal congiungimento della bellissima fanciulla con il massimo degli dei olimpi, Zeus, che in forma di pioggia d’oro era penetrato nella stanza sotterranea dove Danae era stata reclusa perché un oracolo aveva predetto ad Acrisio che sarebbe stato ucciso da un nipote. Per narrare, sia pure in modo sintetico, il mito di Perseo – di cui esistono versioni

parzialmente diverse – servirebbe più spazio di quello che resta a mia disposizione. Mi limito quindi a ricordare – Ieranò parla diffusamente delle mirabili imprese dell’eroe argivo – che grazie agli strumenti di cui lo avevano munito Atena, Ermes e le Naiadi, Perseo riuscì a mozzare la testa dell’anguicrinita Medusa, che trasformava in pietra chi ne fissava il volto, come sperimentò il perfido re di Serifos, Polidette. Una realtà importante della piccola isola cicladica sono state le miniere di ferro. «Attive già nell’antichità», scrive Ieranò, «furono rilanciate durante la francocrazia e poi riaperte in età moderna». Nel 1879, il loro sfruttamento passò dalla fallita Compagnia mineraria greca – un ente pubblico – a una multinazionale finanziata da francesi e turchi e gestita da un ingegnere tedesco, Emile Grohmann, a cui nel 1906 successe il figlio Georg. «Costretti a lavorare per dodici ore al giorno, senza alcun diritto sindacale», nell’agosto del 1916 i minatori incrociano le braccia, reclamando in primo luogo una riduzione dell’orario di lavoro. «Assai più severo e rapace del padre», Georg Grohmann sollecita la gendarmeria greca a intervenire con durezza. Il 21 agosto l’esercito spara sui manifestanti uccidendone quattro. Le miniere verranno definitivamente chiuse nel 1963. «L’isola, lentamente, si avvia a diventare una meta turistica». È perché assai meno famosa di Creta, Delo, Naxos, Samo, Rodi o Santorini che ho scelto l’isola di Serifos per

Mosaico proveniente dalla Tunisia (II-II sec. d.C) raffigurante Ulisse legato per resistere al canto delle sirene. (Museo del Bardo)

esemplificare, in modo più che succinto ma non generico, come Ieranò si sia proposto di percorrere «rotte in cui si incrociano il mito e la storia, la realtà e la fantasia», rinnovando l’antico progetto di Cristoforo Buondelmonti, il cui Liber insularum Archipelagi, nel 1420, inaugurò un genere che ebbe ampia diffusione nel Rinascimento, quello degli «isolari», «dove la descrizione dei

luoghi si accompagna alla narrazione di “historie e favole”». Il libro di Ieranò vuol essere – e lo è in maniera affascinante – un isolario del XXI secolo. Bibliografia

Giorgio Ieranò, Arcipelago. Isole e miti del Mar Egeo, Einaudi, pp. 277, € 20. Annuncio pubblicitario

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M per il Magico autunno.


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Idee e acquisti per la settimana

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shopping Grappoli di dolcezza

Attualità Da Migros Ticino una ricca scelta di uva da tavola maturata al sole del sud Fate il pieno di energia in tutta dolcezza grazie all’ampia scelta di uva dei supermercati Migros.

Le varietà di uva da tavola, rispetto a quelle utilizzate per la produzione vinicola, hanno acini di dimensioni maggiori e sono relativamente più dolci. Sulla superficie è presente una sostanza naturale - la pruina - che protegge gli acini dagli influssi del sole e della pioggia impedendone altresì la disidratazione. A livello mondiale la maggior parte della produzione globale di uva, oltre l’80 percento, è utilizzata per la produzione di vino, mentre il restante 20 percento viene consumato come uva da tavola o per produrre altri derivati. L’uva da tavola è apprezzata non solo per la sua caratteristica dolcezza, ma anche per la ricchezza di vitamine, sostanze minerali e zucchero d’uva. Quest’ultimo, nel nostro organismo si trasforma rapidamente in energia, sostenendo le nostre funzioni fisiche e mentali. L’uva, una volta raccolta, non matura più, per questo è importante il momento della vendemmia, che deve avvenire solo al raggiungimento del contenuto zuccherino ideale e del sapore giusto. In questo momento i supermercati Migros del Ticino propongono una decina di varietà di uva tavola, da quella bianca a quella rossa, fino alla rosé. Tra le più apprezzate negli ultimi anni dai consumatori per le loro caratteristiche organolettiche, possiamo citare l’uva Pizzutella bianca, croccantissima varietà proveniente dalla Puglia con acini dalla particolare forma allungata e appuntita e dal sapore molto zuccherino; la Moscato d’Amburgo, dal colore nero violaceo e dal piacevole sapore di moscato; l’uva senza semi Cotton Candy, una varietà molto profumata e dolce il cui sapore ricorda lo zucchero filato. Ovviamente, immancambile la gettonatissima Uva Italia, la più diffusa uva da tavola della vicina penisola, selezionata nel 1911 dal noto genetista Alberto Pirovano incrociando le due varietà di vite Moscato d’Amburgo e Bicane. Il risultato è un uva che anche oggi conquista le nostre tavole con il suo bel colore dorato e i grossi acini croccanti e zuccherini. L’uva è apprezzata da sola, ma è indicata anche per la preparazione di dessert, torte e composte, nonché in abbinamento ad alcuni piatti salati, a formaggi e selvaggina.

Degustazione di uva Questa settimana nei supermercati Migros di Agno (giovedì 27 settembre dalle ore 16 alle 20) e S. Antonino (sabato 29 settembre dalle ore 9 alle 13) sono in programma degli assaggi di alcune varietà di uva, nella fattispecie Uva Italia, «Moscato d’Amburgo» e Pizzutella. Allo stand degustativo la clientela potrà inoltre ricevere informazioni sui prodotti e suggerimenti pratici d’utilizzo.


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Idee e acquisti per la settimana

Rigorosamente ticinesi Attualità Dal 29 settembre al 6 ottobre la Mall

del Centro Shopping Serfontana ospita la tradizionale rassegna sui prodotti del nostro territorio. Presente anche una selezione di prodotti targati Nostrani del Ticino

Da alcuni anni a questa parte l’arrivo dell’autunno coincide anche con un evento sempre molto apprezzato dai visitatori del Centro Shopping Serfontana: la Rassegna Autunnale sui Prodotti Ticinesi. Dal prossimo sabato, fino al 6 ottobre, la Mall del centro commerciale di Morbio Inferiore si tingerà del colori del nostro bel cantone presentando una vastissima selezione di chicche gastronomiche rigorosamente locali. Non mancheranno le degustazioni e altri coinvolgenti eventi quali la presenza di una decina di artigiani ticinesi che animeranno la piazza del Serfontana con dimostrazioni dal vivo delle loro attività, proponendo esperienze pratiche

ai visitatori e informandoli sulla realtà artigianale del nostro territorio. Si potrà contare anche sulla partecipazione della Rassegna Gastronomica del Mendrisiotto e Basso Ceresio. Anche Migros avrà il suo spazio nella rassegna, con il suo stand dedicato ai prodotti della gamma Nostrani del Ticino. Per l’occasione sono previste offerte speciali e degustazioni di prodotti tra i più apprezzati dalla clientela, come mele, gazose, miele, biscotti, torte, pane, salumi e formaggi dell’alpe. Infine, segnaliamo che alla manifestazione sarà abbinato un ricco concorso, in palio ben 2000 franchi. Venite a trovarci!

Durante la rassegna potrete assaggiare anche alcuni tipici salumi del nostro territorio.

Digitalizzare i vostri vecchi filmati Volete conservare nel tempo i vostri ricordi più belli e significativi degli anni passati? Nessun problema! Con il servizio di trasferimento dati su DVD o memoria USB di Melectronics, potrete trasformare in formato digitale, non solo filmati in VHS, ma anche registrazioni in VHS-C, Video 8, Video HI8, Mini DV, e anche vecchi film super e normale 8. Se il filmato originale analogico è di buona qualità, lo sarà anche quello riprodotto in formato digitale. Ovviamente, il trasferimento dal formato analogico dei vostri vecchi supporti a quello digi-

tale non potrà mai garantire la stessa qualità di un DVD dei giorni nostri, soprattutto se il nastro magnetico della vostra vecchia videocassetta è stato utilizzato molte volte. I prezzi sono particolarmente vantaggiosi e coloro che posseggono molti filmati da trasferire, possono richiedere un preventivo di spesa prima di procedere. Per qualsiasi informazione supplementare sul servizio potete rivolgervi al vostro Melectronics di fiducia, oppure telefonare al numero 077 442 76 79. Durante tutto il mese di ottobre potete approfittare di un’offerta speciale sul servizio di trasferimenti dati: per ogni ordine riceverete gratuitamente il supporto USB da 16 GB per un valore di 30 franchi.

30esimo anniversario con il10% di sconto Migros

Domenica 30 settembre il Parco Commerciale Grancia festeggerà i 30 anni di esistenza. È lo farà in grande stile con un’apertura domenicale straordinaria dalle ore 10.00 alle 18.00, allettanti promozioni e diverse originali animazioni che coinvolgeranno tutti gli oltre trenta negozi attivi nel centro acquisti luganese. Migros Ticino, tra gli «storici» inquilini di questa realtà commerciale di successo, per l’importante traguardo ha previsto il 10% di sconto su tutto l’assortimento del suo supermercato nonché presso l’Outlet Migros. Inoltre, nel Ristorante Migros, anche i buongustai potranno approfittare di golose proposte culinarie a prezzi speciali: dai medaglioni di cervo con spätzli, cavolo rosso e castagne caramellate al risotto con luganighetta grigliata fino alla torta offerta a partire dalle ore 16.00.


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Idee e acquisti per la settimana

Optigal

Aromatica bontà direttamente dal forno Già conditi e avvolti nella pancetta: così si presentano le nuove scaloppine di pollo Optigal alla vostra Migros. Non avete nemmeno bisogno di una padella o di una teglia, visto che la vaschetta in cui sono contenuti è resistente al calore e funge anche da supporto di cottura. È sufficiente infornare per 30 minuti, ed ecco pronto un ottimo pollo succoso al punto giusto per un successo garantito. Un piccolo consiglio supplementare: tagliare in pezzi grossolani delle verdure di stagione e condirle con sale alle erbe e un filo d’olio. Metterle in una teglia e cuocerle in forno nello stesso momento del pollo. Più semplice e goloso di così...

Azione 20X Punti Cumulus per le scaloppine di pollo arrotolate con pancetta Optigal

Le scaloppine di pollo possono essere infornatedirettamente nella loro vaschetta di cottura.

Scaloppine di pollo arrotolate con speck Optigal per 100 g Fr. 3.65 Nelle maggiori filiali

Foto Ruth Kung

dal 25.09 all’08.10


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Casa Giuliana

Una fetta d’Italia nel piatto

Azione 20X Punti Cumulus per tutti i prodotti Casa Giuliana dal 25.09 all’08.10

Quasi tutti amano la pizza. Anche in fatto di farciture c’è solo l’imbarazzo della scelta. Le nuove pizze surgelate di Casa Giulia sono prodotte con i migliori ingredienti secondo ricette della tradizione Toscana Testo Veronika Studer, Styling Katrin Klaus

Festa: le dodici fette rettangolari pretagliate di pizza Festa sono ideali da condividere con gli amici e la famiglia. La farcitura è composta da finissimi pezzi di prosciutto abbinati a funghi, emmentaler e mozzarella.

American Pizza Bacon & Salami: la pasta soffice e spessa è generosamente farcita con salame e pancetta.

Pizza Mozzarella dal forno a pietra: la pizza dalla base croccante con salsa di pomodori maturati al sole è stata precotta nel forno a pietra. È ricca di mozzarella, pomodoroni cherry e ulteriormente farcita con un pesto alle erbe e basilico.

Mini-Pizza Prosciutto: le pizzette sono precotte nel forno a pietra per un piacere senza limiti. Prosciutto crudo, prosciutto cotto, come pure pomodori e edamer su una base croccante sono perfetti come piccolo pasto accompagnati da una croccante insalatina.

Casa Giuliana Pizza Prosciutto e Funghi surgelata, 350 g Fr. 4.80

Casa Giuliana Pizza Mozzarella surgelata, 350 g Fr. 4.80

Casa Giuliana Pizza Diavola surgelata, 350 g Fr. 4.80

Casa Giuliana Pizza Verdura surgelata, 370 g Fr. 5.20

Casa Giuliana Pizza Tonno surgelata, 360 g Fr. 5.20

Casa Giuliana Mini Pizza Prosciutto surgelata, 9 pezzi, 270 g Fr. 4.80

Casa Giuliana Festa Prosciutto e Funghi surgelata, 500 g Fr. 6.90

Casa Giuliana American Bacon & Salami surgelata, 550 g Fr. 6.90


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Idee e acquisti per la settimana

Casa Giuliana

Una fetta d’Italia nel piatto

Azione 20X Punti Cumulus per tutti i prodotti Casa Giuliana dal 25.09 all’08.10

Quasi tutti amano la pizza. Anche in fatto di farciture c’è solo l’imbarazzo della scelta. Le nuove pizze surgelate di Casa Giulia sono prodotte con i migliori ingredienti secondo ricette della tradizione Toscana Testo Veronika Studer, Styling Katrin Klaus

Festa: le dodici fette rettangolari pretagliate di pizza Festa sono ideali da condividere con gli amici e la famiglia. La farcitura è composta da finissimi pezzi di prosciutto abbinati a funghi, emmentaler e mozzarella.

American Pizza Bacon & Salami: la pasta soffice e spessa è generosamente farcita con salame e pancetta.

Pizza Mozzarella dal forno a pietra: la pizza dalla base croccante con salsa di pomodori maturati al sole è stata precotta nel forno a pietra. È ricca di mozzarella, pomodoroni cherry e ulteriormente farcita con un pesto alle erbe e basilico.

Mini-Pizza Prosciutto: le pizzette sono precotte nel forno a pietra per un piacere senza limiti. Prosciutto crudo, prosciutto cotto, come pure pomodori e edamer su una base croccante sono perfetti come piccolo pasto accompagnati da una croccante insalatina.

Casa Giuliana Pizza Prosciutto e Funghi surgelata, 350 g Fr. 4.80

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Casa Giuliana Pizza Diavola surgelata, 350 g Fr. 4.80

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Casa Giuliana Pizza Tonno surgelata, 360 g Fr. 5.20

Casa Giuliana Mini Pizza Prosciutto surgelata, 9 pezzi, 270 g Fr. 4.80

Casa Giuliana Festa Prosciutto e Funghi surgelata, 500 g Fr. 6.90

Casa Giuliana American Bacon & Salami surgelata, 550 g Fr. 6.90


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Cihad Gökcinar Caffè

Una festa di aromi

Gli studiosi hanno identificato oltre 1000 aromi nel caffè tostato. Gli esperti di Delica, l’azienda di torrefazione della Migros, utilizzano diversi tipi di torrefazione per soddisfare tutti i gusti. Il grado di tostatura e l’acidità sono inoltre indicati su ogni confezione. Vi mostriamo quale tipo di caffè si adatta ai diversi generi di preparazione.

«È tutta una questione di gusti»

Testo Claudia Schmidt Fotografie Claudia Linsi, Paolo Dutto

Azione 20% di sconto su tutti i caffè in chicchi e macinati, 500 g e 1 kg fino al 1. ottobre

Café Royal Crema in chicchi 500 g Fr. 8.90

La macchina con portafiltro Gli appassionati dell’espresso e del cappuccino preferiscono un caffè dalla tostatura abbastanza scura. Il breve tempo di transito dell’acqua e la forte pressione fanno sì che il caffè abbia un gusto intenso e una bella crema.

La moca Chi ama il caffè forte e facile da preparare apprezzerà la moca o la Bialetti, che permettono di ottenere un gusto ottimale quando il caffè ha una macinatura da media a fine.

La macchina da caffè automatica Con un’automatica è in genere possibile scegliere da sé il grado di macinatura e la quantità di acqua e modificare questi parametri. Da una miscela scura «Espresso classico» ne deriva per esempio un espresso dal gusto pieno e robusto.

Il filtro Con una torrefazione leggera e un grado di macinazione grosso, il caffè con il filtro sviluppa dei complessi aromi fruttati. Con questa preparazione le tostature forti sono meno adatte.

Türk Kahvesi Boncampo 500 g Fr. 5.30

Exquisito in chicchi macinato 500 g Fr. 7.70

Caffè in chicchi Bio Max Havelaar 500 g Fr. 8.40

Boncampo Classico 500 g Fr. 4.70

Caruso Oro, chicchi interi 500 g Fr. 9.40

Espresso Classico chicchi interi, 500 g Fr. 8.60

Cihad Gökcinar è torrefattore presso Delica a Birsfelden. Da chi o da cosa sono determinate le modalità di torrefazione di un caffè crudo?

Naturalmente dal consumatore, che desidera una determinata tostatura. Ma lo stesso caffè crudo ci da già alcune indicazioni. Cosa significa esattamente?

Utz è sinonimo di coltivazione sostenibile per caffè, cacao, tè e nocciole. Offre nel contempo migliori opportunità agli agricoltori e alle loro famiglie, così come al nostro ambiente.

Prendiamo a titolo di esempio una varietà single origin. Si tratta di chicchi che hanno origine da una regione specifica e non si tratta quindi di una miscela. Per esempio il caffè proveniente dalla cooperativa La Laguna, in Honduras – che fa parte dei nostri programmi di sviluppo sostenibile – ha degli aromi molto complessi che vogliamo a tutti i costi preservare. Per questo è prevista una tostatura molto leggera. Se invece desidero un caffè per preparare un ristretto, i grani devono avere una tostatura più scura. Una torrefazione scura conferisce al ristretto un gusto intenso. Per chi ama il caffè dal gusto pieno si orienta su una miscela di chicchi di arabica e robusta. Ciò significa che prima componete le miscele e poi definite la tostatura?

Sì, riflettiamo su quale miscela si adatta per un determinato caffè e poi come deve essere tostata. In seguito ci sono spesso una serie di prove di tostatura con degustazione, fino a che non otteniamo il tipo di caffè desiderato.

Sono in totale cinque i gradi di tostatura che vengono attribuiti ai chicchi macinati e interi. A cosa corrisponde il grado intermedio?

Si tratta di un caffè dal gusto armonico, con un rapporto equilibrato tra acidità e amarezza. Si ha quasi l’impressione di parlare di vini…

Questo è un buon paragone: utilizziamo un linguaggio simile. Nei caffè torrefatti ci sono oltre 1000 aromi. Le diverse varietà di caffè si differenziano fortemente a seconda della regione di produzione, delle successive modalità di lavorazione e di torrefazione. Tutto ciò si sente quando li si degusta, così come accade con il vino.

nuale, automatica o a capsule, l’estrazione di un ristretto avviene in poco tempo. Se il caffè rimane più a lungo in contatto con l’acqua, come è il caso con una french press o con il filtro, può risultare molto amaro. Come si ottiene una tostatura omogenea?

Per fortuna acquistiamo i chicchi interi, che possono essere tostati in modo più uniforme rispetto al caffè crudo i cui grani presentano delle rotture. Prima che un chicco intero sia tostato, i piccoli pezzi sono già bruciati. Procediamo con una tostatura lunga, tra i 10 e i 15 minuti, così da preservarne gli aromi.

Torniamo alla tostatura: che significato ha la tostatura più leggera?

Una torrefazione chiara comporta numerosi acidi e poche sostanze amare. Nella bocca sviluppa un gusto fresco ed è l’ideale per la preparazione con il filtro, che sviluppa le sue note floreali. Con una tostatura più scura questi aromi vengono coperti. Quindi un caffè con un grado di intensità di quattro o cinque non è adatto per preparare il caffè con il filtro?

A priori sì, ma è tutta una questione di gusti. Con la macchina con filtro ma-

Serie

L’arte del barista La prossima settimana verrà illustrato come si preparano famose specialità a base di caffè. Un barista rivela inoltre in cosa consiste un «flat white».


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Idee e acquisti per la settimana

Cihad Gökcinar Caffè

Una festa di aromi

Gli studiosi hanno identificato oltre 1000 aromi nel caffè tostato. Gli esperti di Delica, l’azienda di torrefazione della Migros, utilizzano diversi tipi di torrefazione per soddisfare tutti i gusti. Il grado di tostatura e l’acidità sono inoltre indicati su ogni confezione. Vi mostriamo quale tipo di caffè si adatta ai diversi generi di preparazione.

«È tutta una questione di gusti»

Testo Claudia Schmidt Fotografie Claudia Linsi, Paolo Dutto

Azione 20% di sconto su tutti i caffè in chicchi e macinati, 500 g e 1 kg fino al 1. ottobre

Café Royal Crema in chicchi 500 g Fr. 8.90

La macchina con portafiltro Gli appassionati dell’espresso e del cappuccino preferiscono un caffè dalla tostatura abbastanza scura. Il breve tempo di transito dell’acqua e la forte pressione fanno sì che il caffè abbia un gusto intenso e una bella crema.

La moca Chi ama il caffè forte e facile da preparare apprezzerà la moca o la Bialetti, che permettono di ottenere un gusto ottimale quando il caffè ha una macinatura da media a fine.

La macchina da caffè automatica Con un’automatica è in genere possibile scegliere da sé il grado di macinatura e la quantità di acqua e modificare questi parametri. Da una miscela scura «Espresso classico» ne deriva per esempio un espresso dal gusto pieno e robusto.

Il filtro Con una torrefazione leggera e un grado di macinazione grosso, il caffè con il filtro sviluppa dei complessi aromi fruttati. Con questa preparazione le tostature forti sono meno adatte.

Türk Kahvesi Boncampo 500 g Fr. 5.30

Exquisito in chicchi macinato 500 g Fr. 7.70

Caffè in chicchi Bio Max Havelaar 500 g Fr. 8.40

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Cihad Gökcinar è torrefattore presso Delica a Birsfelden. Da chi o da cosa sono determinate le modalità di torrefazione di un caffè crudo?

Naturalmente dal consumatore, che desidera una determinata tostatura. Ma lo stesso caffè crudo ci da già alcune indicazioni. Cosa significa esattamente?

Utz è sinonimo di coltivazione sostenibile per caffè, cacao, tè e nocciole. Offre nel contempo migliori opportunità agli agricoltori e alle loro famiglie, così come al nostro ambiente.

Prendiamo a titolo di esempio una varietà single origin. Si tratta di chicchi che hanno origine da una regione specifica e non si tratta quindi di una miscela. Per esempio il caffè proveniente dalla cooperativa La Laguna, in Honduras – che fa parte dei nostri programmi di sviluppo sostenibile – ha degli aromi molto complessi che vogliamo a tutti i costi preservare. Per questo è prevista una tostatura molto leggera. Se invece desidero un caffè per preparare un ristretto, i grani devono avere una tostatura più scura. Una torrefazione scura conferisce al ristretto un gusto intenso. Per chi ama il caffè dal gusto pieno si orienta su una miscela di chicchi di arabica e robusta. Ciò significa che prima componete le miscele e poi definite la tostatura?

Sì, riflettiamo su quale miscela si adatta per un determinato caffè e poi come deve essere tostata. In seguito ci sono spesso una serie di prove di tostatura con degustazione, fino a che non otteniamo il tipo di caffè desiderato.

Sono in totale cinque i gradi di tostatura che vengono attribuiti ai chicchi macinati e interi. A cosa corrisponde il grado intermedio?

Si tratta di un caffè dal gusto armonico, con un rapporto equilibrato tra acidità e amarezza. Si ha quasi l’impressione di parlare di vini…

Questo è un buon paragone: utilizziamo un linguaggio simile. Nei caffè torrefatti ci sono oltre 1000 aromi. Le diverse varietà di caffè si differenziano fortemente a seconda della regione di produzione, delle successive modalità di lavorazione e di torrefazione. Tutto ciò si sente quando li si degusta, così come accade con il vino.

nuale, automatica o a capsule, l’estrazione di un ristretto avviene in poco tempo. Se il caffè rimane più a lungo in contatto con l’acqua, come è il caso con una french press o con il filtro, può risultare molto amaro. Come si ottiene una tostatura omogenea?

Per fortuna acquistiamo i chicchi interi, che possono essere tostati in modo più uniforme rispetto al caffè crudo i cui grani presentano delle rotture. Prima che un chicco intero sia tostato, i piccoli pezzi sono già bruciati. Procediamo con una tostatura lunga, tra i 10 e i 15 minuti, così da preservarne gli aromi.

Torniamo alla tostatura: che significato ha la tostatura più leggera?

Una torrefazione chiara comporta numerosi acidi e poche sostanze amare. Nella bocca sviluppa un gusto fresco ed è l’ideale per la preparazione con il filtro, che sviluppa le sue note floreali. Con una tostatura più scura questi aromi vengono coperti. Quindi un caffè con un grado di intensità di quattro o cinque non è adatto per preparare il caffè con il filtro?

A priori sì, ma è tutta una questione di gusti. Con la macchina con filtro ma-

Serie

L’arte del barista La prossima settimana verrà illustrato come si preparano famose specialità a base di caffè. Un barista rivela inoltre in cosa consiste un «flat white».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

53

Idee e acquisti per la settimana

Fast food leggero

Buono e veloce da portare in tavola

Migros offre una variegata proposta di prodotti che in un attimo si trasformano in pasti gustosi e nutrienti. All’insegna di un breve impiego di tempo per un risultato a tutto gusto

Green Smoothie Frullare la miscela verde per smoothie You con il drink Alnatura al cocco e servire subito. Addolcire a piacere con un po’ di succo concentrato di agave.

Insalata di spelta con melograno Scolare una confezione di spelta M-Classic bio in scatola. Risciacquare bene e lasciar sgocciolare. Mescolare olio d’oliva e aceto balsamico e aggiustare con sale e pepe. Condire l’insalata del re con il farro e semi di melograno. Aggiungere il condimento.

Dahl di lenticchie con patate dolci e yogurt Riscaldare il dahl di lenticchie con patate You per circa 6-8 minuti mescolando di tanto in tanto. Se necessario aggiungere un po’ di acqua. Alla fine cospargere con foglie fresche di menta. Servire con yogurt naturale.

iMpuls-consigli di lettura

Ancor di più con i prodotti pronti Ecco come fare:

*Nelle maggiori filiali

Dahl di lenticchie con patate dolci You 400 g* Fr. 7.80

È facile: • apri Discover nell’app Migros • scansiona questa pagina • scopri nuove idee Green Smoothie You Bio surgelato, 500 g* Fr. 6.90

Drink Alnatura al cocco Nature, 1 l* Fr. 3.30

Spelta M-Classic Bio 2 × 240g* Fr. 2.20

Insalata del re Anna’s Best 150 g Fr. 3.90

Melagrana Anna’s Best 110 g Fr. 3.10

migros-impuls.ch/prodotti-pronti

iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

52

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

53

Idee e acquisti per la settimana

Fast food leggero

Buono e veloce da portare in tavola

Migros offre una variegata proposta di prodotti che in un attimo si trasformano in pasti gustosi e nutrienti. All’insegna di un breve impiego di tempo per un risultato a tutto gusto

Green Smoothie Frullare la miscela verde per smoothie You con il drink Alnatura al cocco e servire subito. Addolcire a piacere con un po’ di succo concentrato di agave.

Insalata di spelta con melograno Scolare una confezione di spelta M-Classic bio in scatola. Risciacquare bene e lasciar sgocciolare. Mescolare olio d’oliva e aceto balsamico e aggiustare con sale e pepe. Condire l’insalata del re con il farro e semi di melograno. Aggiungere il condimento.

Dahl di lenticchie con patate dolci e yogurt Riscaldare il dahl di lenticchie con patate You per circa 6-8 minuti mescolando di tanto in tanto. Se necessario aggiungere un po’ di acqua. Alla fine cospargere con foglie fresche di menta. Servire con yogurt naturale.

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Ancor di più con i prodotti pronti Ecco come fare:

*Nelle maggiori filiali

Dahl di lenticchie con patate dolci You 400 g* Fr. 7.80

È facile: • apri Discover nell’app Migros • scansiona questa pagina • scopri nuove idee Green Smoothie You Bio surgelato, 500 g* Fr. 6.90

Drink Alnatura al cocco Nature, 1 l* Fr. 3.30

Spelta M-Classic Bio 2 × 240g* Fr. 2.20

Insalata del re Anna’s Best 150 g Fr. 3.90

Melagrana Anna’s Best 110 g Fr. 3.10

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 24 settembre 2018 • N. 39

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Idee e acquisti per la settimana

You

Più voglia di vivere Ne parlano tutti dei cosiddetti «Superfood», come i semi di chia, i cavoli, la quinoa e i mirtilli. Alla Migros li si trovano anche nei prodotti You

Vale per tutti i prodotti You: hanno una composizione essenziale e semplice di ingredienti il più possibile naturali. Ed alcuni prodotti contengono ingredienti «Superfood» supplementari. I fiori di lenticchie con pasta fresca, per esempio, si preparano in fretta e contengono un ripieno di semi di chia, quinoa e lenticchie. L’alta quota di lenticchie contenute li rende una ricca fonte di fibre alimentari. Nel mix di cavolo riccio congelato, in aggiunta agli apprezzati e croccanti piselli verdi si trovano chicchi di mais e fagioli kidney, che assicurano la presenza di una buona porzione di proteine nel piatto. Chi vuol iniziare al meglio la giornata, ricorre ai toast di quinoa, mentre alla sera si concede una tisana Good Night Tea con lavanda, liquirizia e tulsi. La definizione di «Superfood» è molto discussa, ma una cosa è chiara: nei prodotti You il sapore della quinoa, dei semi di chia e degli altri ingredienti è super.

Fiori alle lenticchie You 200 g Fr. 4.90 Azione 20 x punti Cumulus dal 25.9 all’8.10

Tea Good Night You Bio 20 sacchetti da 20 g* Fr. 3.20

*Nelle maggiori filiali Attivare adesso il carnet degli stampini You sulla app Migros e raccogliere: per ogni acquisto di un prodotto You ricevete uno stampino digitale.

iMpuls-Consigli di lettura

Mix di cavolo riccio You 500 g* Fr. 4.90

Tutto sui superfood di casa nostra Per saperne di più: • apri Discover nell’app Migros • scansiona questa pagina • poni le tue domande

Fotografia: shutterstock

migros-impuls.ch/esperto

Toast alla quinoa You TerraSuisse 250 g* Fr. 2.40

iMpuls è l’iniziativa della Migros in favore della salute.


Azione 50%

20%

7.50 invece di 9.40

10.25 invece di 20.50

Carne secca dei Grigioni affettata finemente Svizzera, 97 g

50%

1.70 invece di 3.40 Prosciuttino dalla noce Quick TerraSuisse, affumicato, cotto per 100 g

20%

1.10 invece di 1.40 Tilsiter dolce ca. 250 g, per 100 g

Carne macinata di manzo Svizzera/Germania, in conf. da 2 x 500 g / 1 kg

15%

2.80 invece di 3.30 Fettine di pollo Optigal al naturale e speziate, Svizzera, per es. al naturale, per 100 g

33%

1.25 invece di 1.90 Marroni Francia, sciolti, per 100 g

40% 20% Tutti i latticini You per es. Skyr alla vaniglia, 170 g, 1.40 invece di 1.80

Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Carta igienica Hakle in confezioni speciali per es. pulizia trattante, FSC, 30 rotoli, 17.75 invece di 29.65, offerta valida fino all'8.10.2018


. to a c r e m l a e m o c a La freschezz conf. da 3

33%

7.60 invece di 11.40 Filetti di trota affumicati M-Classic in conf. da 3, ASC d’allevamento, Danimarca, 3 x 125 g

30%

20%

6.80 invece di 9.75

Tutti i molluschi bivalvi per es. cozze MSC, 1 kg, 7.90 invece di 9.90

25%

5.95 invece di 8.– Costata di manzo Black Angus Svizzera, al banco a servizio, per 100 g

Luganighetta Svizzera, in conf. da 2 x 250 g / 500 g

25%

1.95 invece di 2.60 Lesso magro TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30%

2.50 invece di 3.60 Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g

40%

4.95 invece di 8.40 Bratwurst di maiale in conf. speciale Svizzera, 4 x 125 g

40%

1.40 invece di 2.40 Costolette di maiale Svizzera, in conf. da 4 pezzi, per 100 g

30%

30%

9.40 invece di 13.50

4.95 invece di 7.20

Galletto Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg

40%

2.30 invece di 3.90 Uva Italia Italia, al kg

Prosciutto crudo del Chianti Italia, affettato in vaschetta da 100 g

33%

3.75 invece di 5.65 Scaloppine di capriolo Austria, per 100 g

20%

1.75 invece di 2.20 Raccard al naturale in blocco maxi per 100 g, offerta valida fino all'1.10.2018


. to a c r e m l a e m o c a La freschezz conf. da 3

33%

7.60 invece di 11.40 Filetti di trota affumicati M-Classic in conf. da 3, ASC d’allevamento, Danimarca, 3 x 125 g

30%

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Tutti i molluschi bivalvi per es. cozze MSC, 1 kg, 7.90 invece di 9.90

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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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1.40 invece di 2.40 Costolette di maiale Svizzera, in conf. da 4 pezzi, per 100 g

30%

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9.40 invece di 13.50

4.95 invece di 7.20

Galletto Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg

40%

2.30 invece di 3.90 Uva Italia Italia, al kg

Prosciutto crudo del Chianti Italia, affettato in vaschetta da 100 g

33%

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20%

1.75 invece di 2.20 Raccard al naturale in blocco maxi per 100 g, offerta valida fino all'1.10.2018


conf. da 2

20%

5.60 invece di 7.– Insalata novella Anna’s Best in conf. da 2 2 x 100 g

30%

2.20 invece di 3.20 Champignon bianchi e marroni Svizzera, vaschetta da 250 g, offerta valida fino all’1.10.2018

20%

3.90 invece di 4.90 Cachi mini Spagna, imballati, 400 g

13.90

Bouquet di rose Fairtrade, mazzo da 30 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. gialle, arancioni e rosse, il mazzo

2.90 invece di 4.50 Mango bio Spagna, il pezzo

25%

45%

1.80 invece di 2.40

1.30 invece di 2.50

Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g

Carote Svizzera, sacchetto, 1 kg

Hit

35%

40%

11.80 invece di 19.80 Salmone affumicato ASC Norvegia, in conf. da 300 g

20%

3.50 invece di 4.40 Gorgonzola dolce DOP Selezione Reale in conf. da 200 g

conf. da 2

25%

4.95 invece di 6.90 Zucca a cubetti Ticino, imballata, al kg

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

2.80 invece di 3.50 Cavolini di bruxelles Svizzera, imballati, 500 g

20%

5.10 invece di 6.40 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml

1.–

di riduzione Tutte le torte, 2 pezzi per es. torta svedese, 2 x 121 g, 4.50 invece di 5.50

20% Tutti i piatti pronti I Primi prodotti in Ticino, per es. Cannelloni ricotta e spinaci, 400 g, 5.50 invece di 6.90


conf. da 2

20%

5.60 invece di 7.– Insalata novella Anna’s Best in conf. da 2 2 x 100 g

30%

2.20 invece di 3.20 Champignon bianchi e marroni Svizzera, vaschetta da 250 g, offerta valida fino all’1.10.2018

20%

3.90 invece di 4.90 Cachi mini Spagna, imballati, 400 g

13.90

Bouquet di rose Fairtrade, mazzo da 30 disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. gialle, arancioni e rosse, il mazzo

2.90 invece di 4.50 Mango bio Spagna, il pezzo

25%

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1.80 invece di 2.40

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Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g

Carote Svizzera, sacchetto, 1 kg

Hit

35%

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11.80 invece di 19.80 Salmone affumicato ASC Norvegia, in conf. da 300 g

20%

3.50 invece di 4.40 Gorgonzola dolce DOP Selezione Reale in conf. da 200 g

conf. da 2

25%

4.95 invece di 6.90 Zucca a cubetti Ticino, imballata, al kg

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

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5.10 invece di 6.40 Panna intera UHT Valflora in conf. da 2 2 x 500 ml

1.–

di riduzione Tutte le torte, 2 pezzi per es. torta svedese, 2 x 121 g, 4.50 invece di 5.50

20% Tutti i piatti pronti I Primi prodotti in Ticino, per es. Cannelloni ricotta e spinaci, 400 g, 5.50 invece di 6.90


. io m r a p is r iù p r o c n A conf. da 2

25% Prodotti Cornatur in conf. da 2 per es. bastoncini croccanti, 2 x 300 g, 8.80 invece di 11.80

conf. da 2

25%

14.70 invece di 18.40

5.40 invece di 7.25

Raccard nature a fette, in conf. da 2 2 x 400 g

di riduzione

2.20 invece di 2.60 Pane delle Alpi TerraSuisse 380 g, offerta valida fino all'1.10.2018

20% Pizza Anna’s Best in conf. da 2 per es. pancetta, 2 x 410 g, 11.– invece di 13.80

a par tire da 2 pe z zi

20%

Tutte le confetture e le gelatine in vasetti e bustine da 185-500 g (prodotti Alnatura esclusi), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

conf. da 3

20%

– .4 0

conf. da 2

Mini Babybel retina da 15 x 22 g

Hit

12.90

Menu di selvaggina o pasta con selvaggina per es. cervo in salmì con spätzli, 750 g

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

33%

5.– invece di 7.50 Petit Beurre in conf. da 3 cioccolato al latte o cioccolato fondente, per es. cioccolato al latte, 3 x 150 g

30% Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in confezioni speciali, UTZ disponibili in diverse varietà, per es. Noxana in conf. da 6, 6 x 100 g, 8.60 invece di 12.30

conf. da 2

20%

3.75 invece di 4.70 Le Gruyère grattugiato in conf. da 2 2 x 120 g

20% Zampe d’orso da 760 g, bastoncini alle nocciole da 1 kg e sablé al burro da 560 g per es. zampe d’orso, 760 g, 4.70 invece di 5.90

20% Tutte le miscele per dolci, tutti i cup lover e tutti i dessert in polvere per es. miscela per brownies, 490 g, 4.85 invece di 6.10

20% Tutto il caffè, in chicchi e macinato, da 500 g e da 1 kg per es. caffè bio, Fairtrade, macinato, 500 g, 6.80 invece di 8.50


. io m r a p is r iù p r o c n A conf. da 2

25% Prodotti Cornatur in conf. da 2 per es. bastoncini croccanti, 2 x 300 g, 8.80 invece di 11.80

conf. da 2

25%

14.70 invece di 18.40

5.40 invece di 7.25

Raccard nature a fette, in conf. da 2 2 x 400 g

di riduzione

2.20 invece di 2.60 Pane delle Alpi TerraSuisse 380 g, offerta valida fino all'1.10.2018

20% Pizza Anna’s Best in conf. da 2 per es. pancetta, 2 x 410 g, 11.– invece di 13.80

a par tire da 2 pe z zi

20%

Tutte le confetture e le gelatine in vasetti e bustine da 185-500 g (prodotti Alnatura esclusi), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

conf. da 3

20%

– .4 0

conf. da 2

Mini Babybel retina da 15 x 22 g

Hit

12.90

Menu di selvaggina o pasta con selvaggina per es. cervo in salmì con spätzli, 750 g

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

33%

5.– invece di 7.50 Petit Beurre in conf. da 3 cioccolato al latte o cioccolato fondente, per es. cioccolato al latte, 3 x 150 g

30% Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in confezioni speciali, UTZ disponibili in diverse varietà, per es. Noxana in conf. da 6, 6 x 100 g, 8.60 invece di 12.30

conf. da 2

20%

3.75 invece di 4.70 Le Gruyère grattugiato in conf. da 2 2 x 120 g

20% Zampe d’orso da 760 g, bastoncini alle nocciole da 1 kg e sablé al burro da 560 g per es. zampe d’orso, 760 g, 4.70 invece di 5.90

20% Tutte le miscele per dolci, tutti i cup lover e tutti i dessert in polvere per es. miscela per brownies, 490 g, 4.85 invece di 6.10

20% Tutto il caffè, in chicchi e macinato, da 500 g e da 1 kg per es. caffè bio, Fairtrade, macinato, 500 g, 6.80 invece di 8.50


conf. da 4 a par tire da 2 pe z zi

20% Tutti i cereali per la colazione bio (Alnatura esclusi), per es. semi di zucca, 400 g, 4.95 invece di 6.20

a par tire da i 2 confezion

30%

Tutti i rösti a partire da 2 confezioni, 30% di riduzione

30%

3.95 invece di 5.70 Evian in conf. da 6 x 1,5 l

conf. da 2

20%

Tutte le salse liquide e in bustina Bon Chef a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

20%

30%

20%

3.65

Pom-Bär al ketchup in conf. da 2 2 x 100 g

Tutti gli Ice Tea in bottiglie di PET in conf. da 6 x 1,5 l per es. all’aroma di limone, 4.05 invece di 8.10

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

9.10 invece di 13.05

Chips Pom-Bär e popcorn chips Kelly in confezioni speciali per es. Pom-Bär Original in conf. da 2, 2 x 100 g, 3.65 invece di 4.60

50%

6.20 invece di 7.80

Tutti i sofficini M-Classic prodotti surgelati, per es. sofficini al formaggio, 6 pezzi, 3.10 invece di 3.90

conf. da 2

Hit

20%

Délice di pollo Don Pollo surgelati, 1 kg

a par tire da 2 pe z zi

20%

Tutto l’assortimento Pancho Villa a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

20% Tutte le salse per insalata già pronte o tutti i crostini per insalata non refrigerati, per es. French Dressing M-Classic, 700 ml, 2.05 invece di 2.60

Gelato in coppetta monoporzione in conf. da 4 Ice Coffee, Japonais o Bananasplit, per es. Japonais, 4 x 165 ml

30% Tortine agli spinaci e strudel al prosciutto M-Classic in conf. speciale surgelati, per es. strudel al prosciutto, 2 x 420 g, 7.55 invece di 10.80

20% Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Vital Balance per es. Adult con pollo, 450 g, 3.35 invece di 4.20


conf. da 4 a par tire da 2 pe z zi

20% Tutti i cereali per la colazione bio (Alnatura esclusi), per es. semi di zucca, 400 g, 4.95 invece di 6.20

a par tire da i 2 confezion

30%

Tutti i rösti a partire da 2 confezioni, 30% di riduzione

30%

3.95 invece di 5.70 Evian in conf. da 6 x 1,5 l

conf. da 2

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Tutte le salse liquide e in bustina Bon Chef a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

20%

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3.65

Pom-Bär al ketchup in conf. da 2 2 x 100 g

Tutti gli Ice Tea in bottiglie di PET in conf. da 6 x 1,5 l per es. all’aroma di limone, 4.05 invece di 8.10

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

9.10 invece di 13.05

Chips Pom-Bär e popcorn chips Kelly in confezioni speciali per es. Pom-Bär Original in conf. da 2, 2 x 100 g, 3.65 invece di 4.60

50%

6.20 invece di 7.80

Tutti i sofficini M-Classic prodotti surgelati, per es. sofficini al formaggio, 6 pezzi, 3.10 invece di 3.90

conf. da 2

Hit

20%

Délice di pollo Don Pollo surgelati, 1 kg

a par tire da 2 pe z zi

20%

Tutto l’assortimento Pancho Villa a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

20% Tutte le salse per insalata già pronte o tutti i crostini per insalata non refrigerati, per es. French Dressing M-Classic, 700 ml, 2.05 invece di 2.60

Gelato in coppetta monoporzione in conf. da 4 Ice Coffee, Japonais o Bananasplit, per es. Japonais, 4 x 165 ml

30% Tortine agli spinaci e strudel al prosciutto M-Classic in conf. speciale surgelati, per es. strudel al prosciutto, 2 x 420 g, 7.55 invece di 10.80

20% Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Vital Balance per es. Adult con pollo, 450 g, 3.35 invece di 4.20


a par tire da 2 pe z zi

33%

50%

Tutti i fazzoletti di carta e le salviettine cosmetiche Linsoft, Tempo e Kleenex in confezioni multiple per es. fazzoletti di carta Linsoft Classic, FSC, 56 x 10 pezzi, 3.65 invece di 5.50, offerta valida fino all'8.10.2018

Tutti gli ammorbidenti Exelia a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino all'8.10.2018

conf. da 3

20% Prodotti per la doccia e deodoranti Nivea in confezioni multiple per es. docciacrema trattante Creme Soft in conf. da 3, 3 x 250 ml, 5.75 invece di 7.20, offerta valida fino all'8.10.2018

a par tire da 2 pe z zi

20%

Tutti i prodotti Axanova e Axamine a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione, offerta valida fino all'8.10.2018

conf. da 3

20%

7.40 invece di 9.30 Manella in conf. da 3 per es. Citron, 3 x 500 ml, offerta valida fino all'8.10.2018

50% Pentola a pressione Duromatic Gourmet Kuhn Rikon 3,5 e 5 l, per es. 5 l, il pezzo, 79.95 invece di 159.95, offerta valida fino all'8.10.2018

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.9 ALL’1.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

conf. da 2

20% Detersivi per capi delicati Yvette in conf. da 2 per es. Fibre Fresh, 2 x 2 l, 18.40 invece di 23.–, offerta valida fino all'8.10.2018

a par tire da 2 pe z zi

50%

Tutto l’assortimento di tessili per la cucina e la tavola Cucina & Tavola (prodotti Hit esclusi), a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino all'8.10.2018

a par tire da 2 pe z zi

50%

Detersivi Elan a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione, offerta valida fino all'8.10.2018

conf. da 10

Hit

17.90

Calzini da donna Ellen Amber in conf. da 10, Bio Cotton neri, numeri 35-38 o 39-42, per es. numeri 35-38, offerta valida fino all'8.10.2018

conf. da 3

40% Tutto l’assortimento di biancheria da uomo da giorno e da notte per es. boxer Basic John Adams, neri, tg. M, il pezzo, 10.65 invece di 17.80

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Idee e acquisti per la settimana

Blévita

Deliziose variazioni La voglia di qualcosa da sgranocchiare tra un pasto e l’altro non manca mai. Un’ottima idea è quella di avere con sé i nuovi Blévita Mini integrali con farina di ceci. Questi piccoli snack integrali sono disponibili nelle varianti con semi di zucca e girasole, come pure semi di Chia. Sono equilibrati e ricchi di fibre. Grazie alla confezione richiudibile sono pratici da portare con sé e da condividere con gli altri. Potete ora provarli gratuitamente andando su www.migipedia.ch.

Azione 20X Punti Cumulus sui due nuovi Blévita dal 18.09 all’01.10

Blévita Mini snack integrali ai ceci, semi di zucca e girasole 130 g Fr. 3.20

I nuovi snack Blévita Mini con Chia e semi di sesamo come pure semi di zucca e girasole hanno una nota nocciolata.

Foto e Styling Veronika Studer

Blévita Mini snack integrali ai ceci, Chia e semi di sesamo 130 g Fr. 3.20

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche Blévita.


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Idee e acquisti per la settimana

Yvette

Una marcia in più con i capi delicati

Azione 20% su diversi detersivi per capi delicati Yvette* in confezione doppia

Come fare?

Prima di fare il bucato una domanda è d’obbligo: per quale genere di tessuto si utilizza un detersivo per capi delicati, per quale un prodotto convenzionale? Gli abiti in lana, seta, viscosa, così come l’abbigliamento outdoor e sportivo, la biancheria e i capi sintetici sono composti da fibre fini. Per non perdere la loro forma necessitano di un detersivo che protegga le fibre. Prima del bucato è quindi importante separare sempre con cura i tessuti, in bianchi, colorati, neri, sintetici e sportivi. La lavatrice va riempita solo a metà, in modo che ci siano meno sfregamenti

Per colori brillanti Yvette Color 2 l Fr. 11.50*

Per una freschezza di lunga durata Yvette Fibre Fresh 2 l Fr. 11.50*

dal 25.09 all’08.10

Per un bianco splendente Yvette White 1,5 l Fr. 8.80

Per le persone con pelle sensibile Yvette Sensitive 1,5 l Fr. 8.80 Nelle maggiori filiali

Per lana e seta Yvette Care 2 l Fr. 11.50*

Per i tessuti sportivi Yvette Sport 2 l Fr. 11.50*

La montagna di biancheria è cresciuta: Yvette si prende cura delle fibre dei tessuti.

Foto Paolo Dutto, Styling Miriam Vieli-Goll

Per un nero brillante Yvette Black 2 l Fr. 11.50*


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Idee e acquisti per la settimana

Yvette

Una marcia in più con i capi delicati

Azione 20% su diversi detersivi per capi delicati Yvette* in confezione doppia

Come fare?

Prima di fare il bucato una domanda è d’obbligo: per quale genere di tessuto si utilizza un detersivo per capi delicati, per quale un prodotto convenzionale? Gli abiti in lana, seta, viscosa, così come l’abbigliamento outdoor e sportivo, la biancheria e i capi sintetici sono composti da fibre fini. Per non perdere la loro forma necessitano di un detersivo che protegga le fibre. Prima del bucato è quindi importante separare sempre con cura i tessuti, in bianchi, colorati, neri, sintetici e sportivi. La lavatrice va riempita solo a metà, in modo che ci siano meno sfregamenti

Per colori brillanti Yvette Color 2 l Fr. 11.50*

Per una freschezza di lunga durata Yvette Fibre Fresh 2 l Fr. 11.50*

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La montagna di biancheria è cresciuta: Yvette si prende cura delle fibre dei tessuti.

Foto Paolo Dutto, Styling Miriam Vieli-Goll

Per un nero brillante Yvette Black 2 l Fr. 11.50*


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Idee e acquisti per la settimana

Elan

Freschezza che si rinnova Elan è disponibile in un fresco design e con i suoi classici profumi. Già a 15 gradi Elan sviluppa interamente la sua potenza di lavaggio. Grazie a una freschezza duratura e alla pratica confezione di ricarica, in lavanderia risulta un aiuto affidabile

Facile da dosare La confezione di ricarica è maneggevole e trova spazio ovunque. Un’impugnatura stabile facilita il dosaggio. Le migliori prestazioni sono ora garantite anche con il programma di lavaggio eco.

Azione 50%* su prodotti Elan selezionati a partire da 2 pezzi dal 25.9 all’8.10

Una brezza di freschezza Le perle profumate contenute nel detersivo si attaccano alle fibre dei tessuti durante il ciclo di lavaggio. Le perle scoppiano e rilasciano il loro profumo non appena i capi di abbigliamento vengono indossati, così che gli abiti mantengono a lungo la loro freschezza.

Elan Fresh Lavender 2 l Fr. 6.95* invece di 13.90

Foto Yves Roth, Styling Miriam Vieli-Goll

Elan Summer Breeze 2 l Fr. 6.95* invece di 13.90

Elan Spring Time 2 l Fr. 6.95* invece di 13.90 Elan Alpine Flowers 2 l Fr. 6.95* invece di 13.90

Ciò che ci sta più a cuore lo facciamo noi stessi. L’Industria Migros elabora circa 10 000 prodotti.


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Elan

Freschezza che si rinnova Elan è disponibile in un fresco design e con i suoi classici profumi. Già a 15 gradi Elan sviluppa interamente la sua potenza di lavaggio. Grazie a una freschezza duratura e alla pratica confezione di ricarica, in lavanderia risulta un aiuto affidabile

Facile da dosare La confezione di ricarica è maneggevole e trova spazio ovunque. Un’impugnatura stabile facilita il dosaggio. Le migliori prestazioni sono ora garantite anche con il programma di lavaggio eco.

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Una brezza di freschezza Le perle profumate contenute nel detersivo si attaccano alle fibre dei tessuti durante il ciclo di lavaggio. Le perle scoppiano e rilasciano il loro profumo non appena i capi di abbigliamento vengono indossati, così che gli abiti mantengono a lungo la loro freschezza.

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Idee e acquisti per la settimana

Aproz

Questo sciroppo è anche un punch «Mela cotta e vin brûlé», ecco il sapore che ricorda il nuovo sciroppo Aproz, che contiene il 30 percento di succo di mele e aromi naturali di zenzero e note di spezie, che conferiscono un gusto simile alle mele cotte. Miscelato ad acqua calda o fredda, è la bevanda perfetta per l’autunno e l’inverno. Il rapporto di miscelazione ottimale si compone di una parte di sciroppo e sei di acqua. Lo sciroppo melaspezie-zenzero è disponibile da subito fino all’incirca alla fine di marzo 2019.

Azione 20X Punti Cumulus per lo sciroppo mela-spezie-zenzero dal 25.09 all’08.10

Foto Christine Benz, Styling Vera Guala

Sciroppo mela-spezie-zenzero 0.75 l Fr. 3.50 Nelle maggiori filiali

Il nuovo sciroppo mela-spezie-zenzero è buono sia caldo sia freddo.


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Idee e acquisti per la settimana

Fondue

G u s t a r si

. o n n u t u a ’ l

Alla Migros si trova tutto ciò che ruota attorno ai piaceri autunnali.

Una delizia tutta grigionese Sono molti coloro che aspettano con trepidazione l’arrivo dell’autunno per potersi gustare di nuovo una buona fondue in compagnia. Le miscele di fondue sono molto facili da preparare e, oltre al formaggio, contengono già il vino e tutti gli aromi. Come la nuova fondue della Migros con saporito formaggio dei Grigioni. La miscela deve essere solo sciolta nel caquelon. Affinché non bruci, si consiglia di far sciogliere la massa a fuoco basso e, come vuole la tradizione, di mescolare la fondue a forma di otto con l’ausilio di un mestolo.

Azione 20X Punti Cumulus per la fondue grigionese dal 16 al 29 ottobre

Il formaggio grigionese conferisce alla fondue un gusto del tutto particolare.

Fondue grigionese fresca, pronta 600 g Fr. 15.90


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Idee e acquisti per la settimana

Raccard

G u s t a r si

. o n n u t u a ’ l

Alla Migros si trova tutto ciò che ruota attorno ai piaceri autunnali.

Impossibile resistere La raclette è diventata una tradizionale specialità svizzera ormai conosciuta il tutto il mondo. Anche quest’anno proponiamo alcune varianti di formaggio da raclette con un «tocco» internazionale: il Raccard Espelette è un formaggio a pasta semidura che viene aromatizzato con del peperoncino e lasciato maturare tre mesi e mezzo; mentre il Raclette Sélection spicca per il suo caratteristico sapore di tartufo. Il terzo della serie Special Edition è forse uno dei più amati, il Raclette affumicato. A questo punto è tempo di rimettere mano al fornello da raclette e scegliere il vostro formaggio preferito.

Raccard Special Edition Piment Espelette 2 x 4 fette, 225 g* Fr. 5.90 Azione 20X Punti Cumulus dal 16 al 29 ottobre

Raccard Special Edition affumicato 2 x 4 fette, 225 g* Fr. 5.20

Sélection Raclette al tartufo 2 x 4 fette, 225 g* Fr. 8.90

*Nelle maggiori filiali

Piccante, affumicato o speziato: ecco i saporiti formaggi da raclette.


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Idee e acquisti per la settimana

M-Classic

Riso a tutto tondo

Tutto sul chicco

Interessanti notizie per le singole varietà di riso su migusto.ch/riso

Il riso Basmati è particolarmente indicato come contorno di piatti della cucina indiana.

Il riso Basmati è ora disponibile come novità anche nell’assortimento MClassic. Questo riso profumato a chicco lungo originario dell’India, grazie al suo gusto neutro, è ideale per accompagnare piatti speziati, aromatici o piccanti come il curry. Tuttavia è anche indicato per i piatti con riso fritto e verdure. Per evitare che i chicchi si incollino tra di loro, prima di cuocerlo dovrebbe essere ben risciacquato con acqua fredda in un colino a fori piccoli. In questo modo viene eliminato l’amido in eccesso.

Novità M-Classic riso Basmati 1 kg Fr. 2.90

M-Classic riso al gelsomino 1 kg Fr. 2.30


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