Grazie per la raccolta dei bollini!
Un piccolo ringraziamento per i nostri 100 anni: in occasione del nostro anniversario, ti aspettano nove box sorpresa in edizione limitata, piene di prodotti Migros. Raccogli subito i bollini e lasciati sorprendere!
Come ottenere la box sorpresa
Dal 14 gennaio al 10 febbraio ricevi alla cassa 1 bollino per ogni 20.- CHF spesi, anche per gli ordini su Migros Online. E fino al 17 febbraio è possibile scambiare la cartolina di raccolta completa di 20 bollini con una box sorpresa in tutte le filiali.
100 dobloni d’oro d’anniversario
Oltre ai prodotti Migros, 100 box sorpresa contengono un doblone d’oro d’anniversario in edizione limitata, realizzato con 5 grammi di oro puro. In bocca al lupo e buon divertimento con la raccolta!
Trovi ulteriori informazioni qui: migros.ch/merci-box
MONDO MIGROS Pagine 4 / 6
SOCIETÀ Pagina 5
Solo l’uso corretto degli antibiotici potrà garantirne l’efficacia futura e contrastare la resistenza dei batteri
Le dimissioni di Gerhard Pfister e le prospettive di un Consiglio federale imbrigliato e poco efficace
ATTUALITÀ Pagina 10
Ucraina, cosa farà Trump?
CULTURA Pagina 19
Daniele Bernardi è autore di un podcast dedicato ad «Albi», mitica figura della Lugano degli anni 90
Aron Fahrni: forza e fede tracciano la via sulla neve delle competizioni paralimpiche di snowboard
TEMPO LIBERO Pagina 23
Ci mancava solo la Generazione Beta
Carlo Silini
Ho dovuto aspettare l’inizio del nuovo anno per scoprire, con molti altri ignari come me, che esisteva una Generazione Beta, consistente nel sottogruppo demografico di personcine (uso il diminutivo affettuosamente trattandosi, per ora – credo – , di bébé) nate «tra i medio-tardi anni duemilaventi e gli ultimi anni duemilatrenta o primi anni duemilaquaranta», come spiega scivolosamente Wikipedia. Scivolosamente, perché è una definizione che scappa di mano: chi è venuto al mondo nel 2024 ne fa già parte? E chi nascerà nel 2042? Del resto, non è ancora del tutto chiara l’esatta durata di una generazione umana: quindici, venti o venticinque anni?
Per esempio, io stesso non so se collocarmi nella sterminata schiera dei boomer, nati tra il dopoguerra e da qualche parte sulla linea cronologica verso la metà degli anni Sessanta, o nella Generazione X, dei figli sbocciati a vita tra il 1965 e il 1980.
In teoria appartengo, per un pelo, a tutte e due. Al di là della vaghezza cronologica dei casi menzionati, sono stato assalito da un primo momento di sgomento rendendomi conto che, nel frattempo, avevo perso per strada anche la precedente Generazione Alpha, composta da umani nati tra i primi anni duemiladieci e la metà del duemilaventi. E aggiungo, senza vergogna, di andare in palla quando sento parlare delle varie generazioni Y e Z. Devo sempre mettermi a rimorchio di internet per sapere di quale fascia di umani stiamo parlando (per la cronaca e per togliervi il dubbio: la Generazione Y va da inizio anni Ottanta e metà anni Novanta del Novecento e la Generazione Z dalla fine degli anni Novanta agli inizi del 2010).
Con tutto il rispetto per la scienza sociologica, fino a che punto hanno senso queste categorizzazioni generazionali? Immagino servano a traccia-
re i profili teorici degli appartenenti ai vari segmenti delle età attraverso alcune caratteristiche qualitative e quantitative specifiche. Per esempio, la generazione Alpha è la prima ad essere nata interamente nel XXI secolo, mentre «l’infanzia della Generazione Beta coincide con i progressi tecnologici come l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale», spiega, didattica, la solita informatissima Wikipedia. Pare che entro il 2035 costituirà il 16% della popolazione mondiale e che molti suoi membri arriveranno al 22esimo secolo (al netto di guerre e pandemie, aggiungiamo noi).
A chi servono queste indicazioni per categoria d’età, oltre agli uffici di statistica e ai sociologi che le hanno inventate? Soprattutto al mercato, che può mirare meglio al pubblico dei potenziali clienti a seconda della loro età, anche se oggi i veri specialisti dei gusti e delle possibilità economiche di ognuno sono gli algoritmi.
A noi servono poco, anzi, come tutte le semplificazioni, un po’ ci innervosiscono. Per cominciare sospettiamo che innervosiscano anche i diretti interessati. Una donna della generazione Y ha rilasciato un’intervista alla radio SSR dicendo che si sente più affine a persone che magari hanno dieci anni più di lei ma vivono nello stesso quartiere. Perché la data di nascita è solo uno dei fattori che possono accomunarci agli altri. Lo stato sociale, gli interessi personali e le private passioni, gli hobby e le letture, il percorso di formazione, la religione, la politica, i casi e le scelte di vita creano probabilmente più coesione della vicinanza tra le date di nascita. E poi, la realtà geopolitica del pianeta è troppo squilibrata per poter considerare davvero affini un bambino nato dopo il 2010 a Lugano o a Bellinzona e uno nato nello stesso periodo a Gaza o ad Haiti. Ma forse questi sono solo pensieri da boomer o giù di lì.
Dal vino al fitness: le pietre miliari dell’urna Migros
Info Migros ◆ Nel 1940 il fondatore Gottlieb Duttweiler trasformò la sua Migros SA in una cooperativa. Da allora ogni votazione generale ha contribuito a plasmare l’azienda. Anche tu puoi votare, a partire dal 2025, perfino attraverso il voto elettronico
Nina Huber
1948
No al vino
Il divieto di vendere alcol è ancorato negli statuti di Migros dal 1928. Nel 1948 fu chiesto alle socie e ai soci della cooperativa se fossero d’accordo con la vendita di vino alla Migros. Evidentemente erano poco inclini allora quanto lo sono stati nel 2022, quando il divieto di vendita di alcol è finito dapprima al centro di un acceso dibattito per poi essere confermato.
Per la prima volta al voto elettronico
Nel 2022 le socie e i soci della cooperativa hanno approvato un adeguamento degli statuti, affinché i loro diritti possano essere esercitati anche digitalmente. Nel 2025 si potrà votare per la prima volta online. La votazione è sicura e anonima. Chi volesse votare online in occasione della prossima chiamata alle urne in giugno, può selezionare questa opzione sul proprio account Migros entro il 15 febbraio.
Non l’avete ancora attivato? Qui troverete le istruzioni per farlo.
1950
Aspirapolvere & co. negli scaffali
All’inizio l’assortimento della Migros era composto da sei prodotti: caffè, sapone, riso, grasso di cocco, zucchero e pasta «cornetti». L’assortimento è cresciuto costantemente. Nel 1950, grazie a una votazione, furono aggiunti i prodotti per la cura del corpo, il miglioramento della quotidianità e l’alleggerimento delle faccende domestiche. Uno degli articoli di maggiore successo fu l’aspirapolvere MigroMax, che costava appena la metà rispetto ai modelli della concorrenza.
1953
Sì alla carne fresca e al latte pastorizzato
Il latte pastorizzato si affermò solamente dopo la Seconda guerra mondiale. Con esso arrivarono anche le confezioni usa e getta. Negli Anni 50 di norma era ancora il lattaio a lasciare il secchio con il latte davanti alle porte di casa. Nel 1954 una parte delle socie e dei soci della cooperativa si espressero a favore del latte pastorizzato e della carne fresca alla Migros.
1955
Corsi di artigianato
nelle Scuole Club
Per compensare le settimane lavorative più brevi, nel 1955 si pensò di introdurre dei corsi di artigianato. Poi-
ché l’idea fu accolta, nacquero corsi di mosaico, smalto, o per la lavorazione del metallo. Per mancanza di spazi, nei primi tempi i corsi si tenevano all’interno di garage privati. Meno lavoro per lo stesso stipendio
Nel 1955 una schiacciante maggioranza di socie e soci della cooperativa si espresse per una riduzione del tempo di lavoro con piena compensazione salariale.
1958
Il sabato i negozi rimangono aperti tutto il giorno
Dopo la Seconda guerra mondiale in Svizzera fu introdotta la settimana lavorativa di cinque giorni con il saba-
Nel 1994 le socie e i soci della cooperativa si espressero a favore dell’inclusione del fitness all’interno delle Scuole Club. Partecipate al nostro quiz online su: Quante volte abbiamo votato per la vendita di alcol alla Migros? (Migros)
to libero. Nel 1958 socie e soci della cooperativa furono chiamati a esprimersi riguardo alla chiusura dei negozi Migros il sabato pomeriggio. In compenso le filiali sarebbero rimaste aperte più a lungo il venerdì. La maggioranza declinò la proposta.
1968
Il settimanale Migros a pagamento
Il settimanale Migros è sempre stato gratuito. Nel 1968, quando la sua versione tedesca ancora si chiamava «Wir Brückenbauer», due terzi delle e dei votanti si dissero d’accordo a pagare ogni edizione del settimanale 2.50 CHF. Nonostante ciò il prezzo non fu mai introdotto. Si trattava infatti in realtà di un test per sondare l’apprezzamento del settimanale da parte del pubblico.
In famiglia sulle piste a soli 95 franchi
Sponsoring ◆ Grazie al Migros Ski Day, con prezzi modici, le famiglie possono combinare divertimento e sport in pista per una giornata indimenticabile
Le giornaliere, il pranzo, una Rivella nel mezzo: una giornata in pista può essere piuttosto costosa per una famiglia, ma non deve esserlo per forza.
Il Migros Ski Day offre alle famiglie un’indimenticabile giornata di sport sulla neve a un prezzo vantaggioso. Per soli 95 franchi, i membri di Famigros o Swiss-Ski possono godersi una giornata di sci illimitato nelle aree sciistiche della Svizzera più adatte alle famiglie e partecipare a una divertente gara di squadra. Per tutti gli altri genitori con i loro figli, la giornata sciistica, gara compresa, costa solo 120 franchi.
Il Migros Ski Day è da tempo uno Unified Event: tutti coloro che si iscrivono per tempo e riescono a ottenere un posto di partenza possono godersi una giornata di sci in famiglia. Inoltre, Special Olympics, PluSport e l’Associazione svizzera dei paraplegici sostengono le fami-
glie con bambini disabili consentendo loro di partecipare al Migros Ski Day.
Tanti extra per pochi soldi
Il prezzo non comprende solo una giornaliera per ogni membro della famiglia, ma anche un pranzo corroborante, per affrontare carichi il divertimento in pista nel pomeriggio. Sono inoltre previsti souvenir e una Rivella per tutti, senza contare la partecipazione alla gara di divertimento, in cui le famiglie gareggiano in gruppo e corrono insieme intorno alle porte dello slalom gigante. Affinché la giornata si possa trasformare in un ricordo indelebile e anche chi è a casa possa vedere le prestazioni in pista, al termine dell’evento ogni famiglia riceverà un video personale della gara.
18 eventi - 14 località
Da Les Crosets, nel Canton Vallese, a Wildhaus, nella Svizzera orientale, fino ad Arosa Lenzerheide, nel Canton Grigioni, è possibile scegliere tra le località sciistiche svizzere più adatte
alle famiglie lungo quasi tutta la catena alpina. Tutte le famiglie interessate possono scegliere tra 18 eventi in 14 destinazioni svizzere, sparse in tutto il Paese. Il Migros Ski Day ticinese avrà luogo domenica 23 febbraio 2025 ad Airolo. Per coloro che raggiungeranno le destinazioni dei Migros Ski
1970
Sì all’ambiente
Nel 1970 il 90% delle socie e dei soci della cooperativa si espressero favorevolmente affinché Migros si impegnasse per la produzione di prodotti agricoli possibilmente liberi da agenti chimici, antibiotici e pesticidi. Più della metà delle e dei votanti si disse disponibile a pagare i prodotti fino al 5% in più, quasi un terzo addirittura il 10%. Nel 1973 la Migros introdusse la sua prima linea di salvaguardia dell’ambiente, il programma M-Sano, allo scopo di realizzare una produzione, una lavorazione e uno stoccaggio più liberi da agenti chimici e dunque più sostenibile. Nel 1990 le socie e i soci della cooperativa votarono per un ampliamento dell’idea M-Sano, affinché comprendesse anche la carne e il latte.
1994
Alla Scuola Club si fa sport
Se oggi la Scuola Club non propone solamente corsi di lingue, ma anche di fitness, si deve ai molti voti favorevoli espressi nel 1994. Esattamente 50 anni prima era stata fondata la Scuole Club, che offriva corsi di italiano, francese, inglese, spagnolo e russo a prezzi convenienti.
Quiz E-Voting https://corporate. migros.ch/it/story/ quiz-votazione-generale-migros
Days con i mezzi pubblici è prevista una riduzione dell’80% sul biglietto.
Intrattenimento nel Village
La giornata degli sport sulla neve non offre solamente piste e gondole, ma anche un grande villaggio degli sponsor. Qui Migros, in qualità di sponsor principale, insieme all’organizzatore Swiss-Ski e al co-sponsor Rivella, offrono un programma di intrattenimento variegato, tanto divertimento e fantastici premi.
Informazioni e iscrizioni L’iscrizione a un Migros Ski Day è possibile fino al martedì precedente l’evento: migros-ski-day.ch. Per il programma dettagliato vedi sito.
SOCIETÀ
La storia dei rustici passa dai trust
In Ticino molti manufatti meritevoli di recupero sono in stato di abbandono perché risultano di «eredi sconosciuti»
7
Cinema e Clima
Il festival diffuso L’Uomo e il Clima in corso a Lugano continua con una rassegna cinematografica al LUX art house di Massagno
Pagina 8
La minaccia dei super batteri
Non solo pasti a domicilio
Visita alla cucina di Pro Senectute Ticino e Moesano a Lugano-Besso dove si curano gli aspetti nutrizionali, sociali e ambientali
Pagina 9
Salute ◆ Un sondaggio certifica che solo l’uso corretto degli antibiotici potrà garantirne l’efficacia futura
Per curare le infezioni, nell’antico Egitto e in Grecia venivano impiegate muffe e piante che, col senno di poi, sappiamo essere state in qualche modo efficaci perché producevano sostanze antibiotiche. In Occidente, la svolta consapevole avvenne nel 1929, quando il batteriologo Alexander Fleming scoprì che una muffa conteneva una sostanza capace di bloccare la crescita di alcuni batteri: era la penicillina e fu il primo farmaco efficace contro le infezioni. Alla penicillina hanno poi fatto seguito altri principi attivi per un totale di una trentina di classi composte da una grande varietà di molecole. In un centennio da questa rivoluzionaria scoperta, gli antibiotici sono stati impiegati massicciamente in diversi settori: dalla medicina umana a quella veterinaria fino all’agricoltura. «I batteri infettivi sono tra le minacce più toste per il corpo umano. Da un secolo a questa parte siamo diventati bravi a difenderci da questi microrganismi grazie a questi farmaci molto efficaci», si legge sul dettagliato rapporto dedicato al tema dall’Ufficio federale della salute pubblica (UFSP) che pure pone una domanda oramai doverosa: «Cosa succederebbe se in futuro ci trovassimo di nuovo disarmati?», reputando la questione molto seria. Anche perché: «Potrebbero aprirsi scenari da incubo, il cui nome è antibiotico-resistenza». Come dire: se gli antibiotici smettono di funzionare, torneremo a morire per inezie e l’UFSP lancia l’allarme: «Già se ne vedono i primi segnali».
Il problema della resistenza dei batteri agli antibiotici è preoccupante, anche perché ancora non sufficientemente noto nella popolazione. Un classico esempio è riportato sempre dall’UFSP: «Chi, svegliandosi la mattina infiacchito, indolenzito e influenzato, non apre il cassetto dei medicinali nella speranza di trovarci un benedetto farmaco che possa alleviare il malessere? A qualcuno, forse, è già capitato non solo di aprire il cassetto, ma di scovarci anche una vecchia scatola di antibiotici, quelli che il medico aveva prescritto qualche mese prima per debellare una fastidiosa otite». Un comportamento da non adottare assolutamente, anche se induce a pensare: «Ha funzionato per le orecchie, funzionerà anche per questo raffreddore, e se non funzionasse che male potrà fare?». Errore gravido di conseguenze perché, invece: «L’uso inappropriato degli antibiotici (che mai vanno assunti senza puntuale prescrizione medica) contribuisce per una serie di ragioni alla creazione e alla proliferazione di batteri ad essi resistenti».
Il problema della resistenza batterica agli antibiotici è allarmante e denota ancora troppo poca consapevo-
lezza delle persone a tal punto che, lo scorso mese di novembre, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) aveva aperto la Settimana mondiale di sensibilizzazione sull’uso consapevole degli antimicrobici.
È importante utilizzare gli antibiotici solo quando prescritti da un medico, seguendo alla lettera le istruzioni fornite sulla quantità e sulla durata della cura
Nel contempo è stato presentato in tutta la Svizzera un sondaggio condotto a livello federale dalla Strategia di resistenza agli antibiotici (Star) che ha coinvolto più di tremila quattrocento persone, dimostrando la perfetta ignoranza che regna tra noi svizzeri riguardo alla natura e al funzionamento degli antibiotici. Parallelamente, il World AMR Awareness Week (WAAW) ha promosso una settimana dedicata sempre allo stesso tema: «L’antibiotico-resistenza riguarda l’uomo, gli animali e l’ambiente e, per questo, deve essere affrontata con un approccio moderno e globale sulla base del concetto One Healt », a sottolineare che la
salute di ciascun essere vivente dipende da quella degli altri e dall’ambiente in cui essi vivono. Il messaggio è chiaro e univoco: «Per limitare lo sviluppo di nuove resistenze e per contrastare le difficoltà di approvvigionamento, è importante utilizzare gli antibiotici solo quando prescritti da un medico, seguendo alla lettera le istruzioni fornite sulla quantità e sulla durata della cura. Inoltre, è bene informarsi presso la propria farmacia di fiducia sulla dispensazione di antibiotici sfusi per ricevere solo il numero di pastiglie necessarie a portare a termine la cura prescritta dal medico». No all’automedicazione, quindi, che non porterebbe ad altro che aumentare la resistenza dei batteri agli antibiotici usati senza indicazione, rendendo inefficaci anche future cure appropriate.
Sempre a novembre dello scorso anno, anche in Ticino il DSS ha presentato i risultati di un sondaggio locale che ha evidenziato una serie di comportamenti corretti, ma anche alcune lacune significative, come hanno spiegato il consigliere di Stato Raffaele De Rosa, il medico cantonale Giorgio Merlani e il farmacista cantonale Giovan Maria Zanini: «Il 73% degli interrogati ha dichiarato di seguire la durata della terapia antibiotica prescritta
dal medico e il 66% smaltisce correttamente gli antibiotici inutilizzati, riportandoli in farmacia». Dati positivi, secondo Zanini, ma che indicano che «dobbiamo essere più ambiziosi perché bastano piccoli accorgimenti per migliorare». Bene ma non benissimo, dunque, anche se fra i ticinesi il sondaggio dimostra che l’interesse sull’argomento è alto e se i dati del sondaggio mostrano che, nell’ultimo anno, il 29% dei ticinesi ha assunto antibiotici. «Il che denota una diminuzione rispetto al 32% del 2022, che avrà un impatto positivo». L’UFSP suggerisce che per limitare le resistenze dei batteri ai così preziosi antibiotici si possono fare alcune cose, a cominciare dalla distribuzione degli antibiotici sfusi in numero strettamente sufficiente alla terapia prescritta. Inoltre, «le dosi inutilizzate devono essere riconsegnate in farmacia e non conservate come scorta in caso che qualcuno in famiglia ne abbia bisogno: la cura è individuale e solo il medico può prescriverla». Si ribadisce perciò a chiare lettere che l’assunzione di antibiotici non necessaria contribuisce allo sviluppo delle resistenze: «Se non si cambierà strada, la minaccia microbica potrà dilagare. È l’abuso degli antibiotici a favorire l’antibiotico-resistenza: i batteri resistenti
sopravvivono e si moltiplicano ed ecco perché è assolutamente necessario utilizzarli correttamente».
L’UFSP puntualizza infine un altro concetto assolutamente importante relativo alle differenze di cura per infezioni causate da batteri o da virus: «Gli antibiotici non sono efficaci contro i virus! E se abusati, possono eliminare batteri utili al nostro organismo (ve ne sono) e favorire quelli resistenti». Queste le tante ragioni che indicano come, per prevenire il problema, la popolazione va informata e sensibilizzata, così come i medici sono invitati a fare la loro parte «non prescrivendo troppo facilmente antibiotici». La nota positiva è che in Svizzera negli ultimi decenni si sono fatti grandi passi avanti. «Dal 2014 l’uso di antibiotici in medicina umana è diminuito del 26% e addirittura del 72% nella medicina veterinaria». Vi sono altri fronti su cui lavorare: «Se oggi solo il 15% delle acque di scarico in Svizzera viene sottoposto a una fase di depurazione per ridurre l’immissione di antibiotici nell’ambiente, entro il 2040 questa quota vuol essere portata al 70%». Infine, per l’UFSP vi sarà spazio di crescita anche per l’impegno della nostra nazione nella ricerca di nuovi farmaci.
Zuppe fresche come fatte in casa
Attualità ◆ Il marchio DimmidiSì propone un ampio assortimento di deliziosi piatti pronti in tavola in pochi minuti
Durante la stagione fredda non c’è niente di meglio di una buona zuppa fumante per riscaldarsi e coccolarsi. Grazie alla vasta scelta di ricette DimmidiSì presenti nell’assortimento di Migros Ticino, ognuno potrà trovare qualcosa di fresco e saporito in grado di soddisfare pienamente i propri gusti. La scelta annovera oltre dieci specialità da gustare comodamente a casa propria o in ufficio, dopo averle semplicemente scaldate nel forno a microonde o sul fornello.
Dal classico minestrone alla vellutata di carciofi; dalle zuppe di farro, ligure, ortolana, zucca e carote, toscana; passando per il passato di verdure fino alla pasta e fagioli, nessuno resisterà al
richiamo di queste specialità a base di ingredienti accuratamente selezionati e preparate come se fatte in casa, seguendo la migliore tradizione della cucina italiana.
La loro genuinità è data dalla bontà degli ingredienti utilizzati e dalla modalità di preparazione. Vengono impiegate verdure fresche e legumi secchi reidratati in acqua. Una volta terminata la cottura in pentolone, le zuppe sono rapidamente confezionate e raffreddate. 100% vegetali, preparate con olio extravergine di oliva, non contengono né glutammato né conservanti e sono adatte ai vegetariani. Essendo dei prodotti freschi, la loro durata è breve e vanno conservate in frigorifero.
Un formaggio massaggiato al Merlot del Ticino
Attualità ◆ Il formaggio nostrano Merlottino conquista i palati grazie al suo aroma incomparabile
Gusto deciso e caratteristico sono i segni distintivi di questa specialità casearia prodotta dal Caseificio del Gottardo di Airolo. Il Merlottino, o Furmecc Ciòcch nel dialetto dell’Alta Leventina, è un formaggio a pasta semidura, prodotto esclusivamente con latte vaccino ticinese, la cui crosta viene trattata con del buon vino Merlot, il vitigno principale del nostro cantone. Il metodo prevede che il formaggio, una volta realizzato dagli esperti casari, venga posto a stagionare per almeno
sei mesi in cantina e massaggiato regolarmente con il vino. Questa particolarità conferisce alla crosta una tipica colorazione scura-violacea, mentre la pasta acquisisce un colore che va dal bianco al giallo paglierino. Il sapore risulta invece deciso e prolungato, con note aromatiche delicatamente piacevoli. Gli abbinamenti con del pane rustico croccante, del miele e della frutta secca esaltano ancora meglio la complessità gustativa di questo formaggio, regalando al palato un’esperienza senza pari.
Tutto l’assortimento di zuppe DimmidiSì dal 14.1 al 20.1.2025
Rustici, una storia di fam, füm, frecc e... trust
Territorio ◆ L’8-10% dei 12’000 manufatti meritevoli di recupero in Ticino risulta attualmente bloccato da «eredi sconosciuti»
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Niccolò Salvioni e con il gestore patrimoniale Giovanni Pagani
Matilde Casasopra
«I rustici (…) formano un patrimonio storico e architettonico di indubbia importanza per il nostro Cantone. Occuparci della loro salvaguardia, tutela e valorizzazione è un dovere nei confronti del nostro passato e un impegno verso il futuro. (…) Il Cantone Ticino, per il tramite del Dipartimento del territorio (DT), sostiene peraltro attivamente sia il recupero dei rustici (sussidi tetti in piode) sia il recupero del territorio montano che ne rappresenta la naturale cornice». È, questa – a firma del responsabile del DT, Claudio Zali –, la prefazione alle Linee guida cantonali – Interventi sui rustici del febbraio 2020, un testo che appare ancor più significativo dopo l’estate di questo 2024 che a giugno ci ha mostrato la Valle Maggia e il suo territorio massacrati da piogge torrenziali che l’hanno sfigurata e divisa. Torniamo però ai rustici, manufatti caratteristici di tutte le valli ticinesi. Sono circa 60’000 quelli presenti in Ticino, 12’000 dei quali registrati come degni di essere sistemati. Visto quanto asserito nelle Linee guida, ma anche nel Piano di utilizzazione cantonale dei paesaggi con edifici e impianti protetti (PUCPEIP), non sembrano esserci problemi. L’inventario dei manufatti come l’impegno politico ci sono, i criteri per definire gli interventi conservativi e i relativi sussidi pure. Imbattersi in rustici abbandonati e fatiscenti dovrebbe dunque essere, sulla base di queste premesse, praticamente impossibile. Invece eccoli lì, distribuiti nelle valli.
«A volte si trovano immobili intestati a proprietari di fine XIX secolo, senza che l’attribuzione a cascata abbia ancora avuto luogo»
A creare un ostacolo al loro recupero ci si sono messi non solo le piogge, ma anche il trust e i trustee che, ad oggi, impediscono la sistemazione di un 8-10% dei 12’000 rustici meritevoli di ristrutturazione. Cos’è il trust?
A parlarcene, proprio qui su «Azione» (cfr. 4.7.2022), fu l’avv. Filippo Noseda. Ci spiegò, in quell’occasione, che un trust, in sintesi, «è un’intestazione di proprietà sulla base della quale un esperto amministra e cura gli interessi dei beni a vantaggio dei beneficiari prescelti, o ancora da individuare, di un soggetto terzo che glieli ha affidati». Cosa lega i trust e i trustee (una sorta di fiduciario) ai rustici che stanno cadendo a pezzi? Sostanzialmente, e in primis, l’emigrazione oltre oceano, quella di molte famiglie che, alla ricerca di una vita migliore, raggiungevano l’America. Non era insolito che, in quegli anni, giunti nella nuova patria, complici magari i ricordi o la lingua in comune, figli di famiglie diverse si unissero in matrimonio creandone una nuova che, per evitare problemi in ambito successorio, demandava a un trustee la gestione dei propri beni trasferiti ad un trust in vita o costituito post-mortem. Tra questi beni anche le rispettive case lasciate in Ticino. Ed è a questo punto che per i rustici – e i terreni ad essi circostanti – nascono i problemi. I motivi ce li siamo fatti spiegare dall’avv. Niccolò Salvioni che nell’ottobre del 2023, all’USI (per il Comitato dei notariati Lombardo e Ticinese) e a
Istanbul in occasione della riunione dell’Euro American Lawyers Group (EALG), tenne una dettagliata relazione proprio su «La procedura di menzione del rapporto di trust su un bene immobiliare in un registro fondiario cantonale in Svizzera». «Partiamo da un dato di fatto – osserva Salvioni – Il Ticino, tra l’800 e il 900, ha riscontrato la percentuale massima di emigrazione elvetica, con decine di migliaia di cittadini partiti – in particolare, ma non solo – verso nazioni governate dal diritto della common law di origine anglosassone, un diritto che è basato sui precedenti giurisprudenziali più che sulla lo-
ro codificazione; un diritto pertanto diverso dal nostro. Possiamo individuare in ciò un primo problema per i rustici, soprattutto perché il Ticino è probabilmente stato il Cantone elvetico con la massima incidenza di emigrazione e dunque – di riflesso – di rapporti di proprietà immobiliare governate da trust. La Svizzera, con l’adozione nel 2007 della Convenzione dell’Aia sui trust, ne ha riconosciuto l’istituto, integrato successivamente nella Legge sul Diritto Internazionale Privato e nell’Ordinanza sul Registro fondiario. È anche per questo che oggigiorno, ad essere maggiormente interessate dal problema, sono le pre-
Gli ostacoli alla rinascita
Abbiamo a questo punto cercato di capire alcune ulteriori dinamiche per cui un rustico, seppure considerato meritevole di recupero in Ticino, può cadere irrimediabilmente in rovina. Ci siamo perciò rivolti a Giovanni Pagani, gestore patrimoniale. Ed è lui che ci ha spiegato i vari ostacoli che possono frapporsi tra il rudere e la sua rinascita.
«Bisogna innanzitutto tener presente – spiega Pagani – che sovente la costituzione di un trust avviene quando la persona/le persone emigrate dal Ticino oltre oceano, hanno accumulato lì una discreta fortuna. Detto altrimenti: non si costituisce un trust per un rustico in Ticino, ma perché si è costituita una fortuna importante al punto che, per essere trasferita ai discendenti senza versare importi considerevoli al fisco, il trust costituisce
la via più sicura ed economica giacché evita, de facto, la dispersione dei capitali di famiglia. In questi casi il rustico conferito al trust rappresenta
un’inezia in rapporto al totale del patrimonio complessivo del trust. L’interesse economico è quindi limitato e di conseguenza anche l’attenzione a questo bene da parte del trustee (amministratore del trust). Il legame affettivo degli eredi (beneficiari del trust) rischia a sua volta di essere scemato, visto che sono passate varie generazioni da quella della persona emigrata dal Ticino. Inoltre, il fondatore del trust potrebbe aver lasciato disposizioni speciali per i beni della madrepatria, per esempio delle limitazioni alla cessione. Si capisce perciò facilmente perché i trustee dedichino poca attenzione ai rustici e quindi ad eventuali ristrutturazioni a migliaia di chilometri di distanza». Dunque sta dicendo che il rustico è destinato a trasformarsi in un ammasso di pietre? «È una eventualità assai probabile – continua Pagani – . Quanto vale un rustico abbandonato ai giorni nostri? Trentamila-quarantamila franchi? Meno? Che cosa so-
verificare se il trust è stato costituito in vita o post-mortem e se i beni sono stati attribuiti al trust o inclusi nella massa successoria. Spesso il testamento stabilisce che i residui della successione passino al trust. Questo crea un sistema «binario» tra trust e testamento, dove è necessario analizzare documenti collegati per capire chi guida la proprietà: trustee o successione. La mancanza di un documento può bloccare l’attribuzione della proprietà, generando così «terreni silenti». Senza un’indagine preliminare, è impossibile sapere se il proprietario originale o i suoi successori hanno disposto della proprietà tramite trust, testamento o senza disposizioni aggiornate.
È immaginabile trovare i legittimi eredi di un rustico parte di un trust?
Certo, ma non è una procedura rapida. Pensi, ad esempio, che in quest’ambito si trovano immobili intestati a proprietari di fine XIX secolo, senza che l’attribuzione a cascata abbia ancora avuto luogo. Perché ciò avvenga è talvolta necessario far capo a società genealogiche. Ce n’è una molto importante in Francia, sviluppatasi dopo la guerra d’Indocina, che opera una vera e propria «caccia agli eredi» con un prezzo base sui 1500 € per ogni «testa» trovata. Bisogna poi calcolare che, per risolvere una situazione di mancanza di un destinatario legittimo della proprietà, occorrono almeno un paio di anni.
ture e gli uffici del registro fondiario dei circondari cantonali di valle. Una situazione inevitabile se si pensa che proprio queste erano le zone a più forte incidenza di emigrazione».
Avv. Salvioni, perché è impossibile evitare che il rustico cada progressivamente in rovina?
La materia è complessa e può complicarsi ulteriormente in caso di trust. Un bene può essere trasferito direttamente a un trustee o, come indicato in un testamento, tramite figure intermediarie come esecutori testamentari o amministratori. Nelle successioni anglosassoni, è cruciale
Cosa cambia se si individua il legittimo proprietario o se invece l’immobile resta senza un destinatario?
Se non si trovano eredi, il pretore può nominare un amministratore o pubblicare avvisi (artt. 466 e 555 CCS). Senza reclami, l’immobile passa al Cantone (art. 466 CCS). Inoltre, l’art. 666a CCS disciplina misure giudiziarie per la gestione di terreni con proprietario irreperibile. In Italia, con iniziative regionali come la «banca della terra», i terreni silenti possono diventare patrimonio pubblico in 20 anni.
no nell’ambito di un trust questi importi? Poco. Se a ciò si aggiunge un qualche vincolo da parte del trust, oppure complicazioni edificatorie, ecco che il rustico è bloccato, a meno che ci sia uno degli eredi davvero interessato a rendere imperitura la memoria degli avi. Penso che la vendita del rustico da parte del trust sia la soluzione più realistica per sbloccare la situazione. Potrebbe essere una società privata o para-pubblica che si propone come acquirente, in grado di prendersi cura del rustico e che in seconda battuta può rivenderlo così com’è o sistemarlo e poi rivenderlo o darlo in affitto. Ma offrirsi come acquirente potrebbe non essere sufficiente. A mio avviso, bisognerebbe anche facilitare il trustee newyorkese o californiano che non conosce la nostra regione, fornendogli contatti di avvocati e altri specialisti ticinesi che possano curare i suoi interessi in loco, evitandogli dispendiose trasferte transoceaniche e le incognite di ven-
dite in un Paese che non conosce». Sebbene il valore di un rustico all’interno di un trust pesi solitamente poco o nulla, in Ticino i rustici oggi sono molto richiesti dal mercato immobiliare. Queste costruzioni in pietra costituiscono infatti per molti la seconda casa ideale dove assaporare pace e tranquillità; per altri sono invece un investimento. Ce la faranno questi edifici di valle che ci parlano della nostra storia con le loro mute pietre a sopravvivere al passare del tempo? Probabilmente sì, nonostante i trust e il wi-fi, ed è importante sia così perché, come ricordava l’architetto Tita Carloni, «tutti dovrebbero sapere com’era un tempo la vita sui monti. In sintesi: fam, füm e frecc Il mangiare era poco e sempre quello. Non vi era luce né acqua in casa. Il maltempo sgocciolava dal tetto perché nessun coperto di piode è mai stato stagno. Dentro: promiscuità, angustia ed odori (…)». Anche questa, è la nostra storia.
I film ci raccontano il clima che cambia
Ambiente ◆ Il festival diffuso L’uomo e il Clima in corso a Lugano continua con una rassegna cinematografica
Barbara Manzoni
Da sempre l’uomo, per riflettere sul suo rapporto con il mondo che lo circonda e sulle ansie che questo rapporto genera in lui, si affida alla rappresentazione grafica (almeno dalle prime pitture rupestri nelle grotte) o più in generale artistica. Le varie forme dell’arte sono dunque il veicolo privilegiato per raccontare non solo le nostre paure e le nostre speranze, ma anche lo stato delle nostre conoscenze e le vie percorribili che queste ci suggeriscono. In questo senso il festival diffuso L’Uomo e il Clima, in corso a Lugano, si propone come un’occasione privilegiata per scandagliare lo sfaccettato rapporto tra l’umanità e il clima che cambia. Il mosaico offerto al pubblico dal festival che annovera già due mostre attualmente in corso, una al Musec e una all’Artphilein Library, si arricchisce ora con la rassegna cinematografica Cinema e Clima , al LUX art house di Massagno, per quattro mercoledì dal 15 gennaio al 5 febbraio.
La rassegna promossa in collaborazione con l’Associazione Trame si articola in quattro serate tematiche, come ci spiega la coordinatrice Clara Caverzasio: «Abbiamo cercato di dare una panoramica diversificata di quanto il cinema sta proponendo in questo ambito. La scelta dei film è nata dalla constatazione che in questi anni anche il cinema si è evoluto per affrontare il tema del cam-
biamento climatico. A lungo, infatti, i film hanno trattato l’argomento in chiave fantascientifica, immaginando scenari distopici con la cosiddetta climate fiction. Ovviamen-
che in diversi modi combinando intrattenimento, informazione, arte e sensibilizzazione. La rassegna Cinema e Clima, nel suo piccolo, vuole, dunque, dare una breve panoramica di quanto questo mezzo possa offrire alla riflessione sulla crisi ambientale da prospettive diverse e con approcci artistici anche sperimentali molto vari. Abbiamo così scelto di suddividere la rassegna in quattro serate tematiche: “Il Volto del Cambiamento Climatico”, “Effetti e Soluzioni”, “Serata corti: Arte e Sperimentazione sulla Crisi Climatica” e, infine, “Rinnovare la Narrativa”. Inoltre prevediamo un dibattito con due registi presenti il 29 gennaio, cioè alla serata dedicata ai corti: Francesco Clerici (co-autore di The Ice Builders) e Alberto Molinari (uno dei registi di The Good Story) racconteranno al pubblico come sono nati i loro corti e qual è la loro visione sul rapporto tra cinema e cambiamento climatico».
la serata dedicata ai cortometraggi e infine il 5 febbraio la rassegna si chiuderà con il film Captain Fantastic di Matt Ross. Una riflessione su natura e società attraverso la storia di una famiglia che vive isolata nei boschi, costretta poi a confrontarsi con il materialismo della società moderna. Tutte le proiezioni sono previste alle 20.30.
te ora il cambiamento climatico non è più fantascienza e anche il cinema affronta il tema in modo sempre più incisivo, dando anche un contributo significativo alle questioni climati-
Il programma della rassegna prevede il 15 gennaio la proiezione del film Siccità di Paolo Virzì, ambientato in una Roma sconvolta da tre anni di siccità. Il 22 gennaio, invece, sarà proiettato il documentario Apocalypse Plan B di Caitlin Starowicz e Mark Starowicz. Un’analisi approfondita su due approcci contrapposti per combattere il cambiamento climatico: la geoingegneria e la rigenerazione naturale. Il 29 gennaio sarà
Questa rassegna è il primo appuntamento del 2025 proposto dal festival L’Uomo e il Clima che proseguirà in febbraio con l’inaugurazione di altre due mostre, una alla galleria Repetto, e in questo caso saranno gli artisti a raccontare il rapporto dell’uomo con l’ambiente e il clima. La seconda invece abiterà gli spazi del Museo di storia naturale di Lugano ed è organizzata in collaborazione col Museo di storia naturale di Milano. Intitolata La mano del Clima e la mano dell’Uomo darà voce agli animali e racconterà di come, alle nostre latitudini, si è passati da una fauna tipica dei climi temperati con leoni, ippopotami e rinoceronti a una fauna glaciale con i mammut a quella che conosciamo oggi.
Informazioni
www.uomoeclima.org www.jfcinema.ch
La rassegna è a ingresso libero; si consiglia la prenotazione scrivendo a info@uomoeclima.org
Molto più di un semplice pasto a domicilio
Pro Senectute ◆ Visita alla cucina di Lugano-Besso che, oltre agli aspetti nutrizionali, rivolge la sua attenzione alla sostenibilità, all’integrazione e a migliorare il servizio a favore dell’utenza che comprende anche istituti come scuole e centri diurni
Stefania Hubmann
Ricevere un pasto caldo al giorno a casa propria è solo all’apparenza un gesto semplice che permette agli anziani di prolungare la loro permanenza al domicilio e sostiene chi necessita di un’assistenza temporanea. Quanto lavoro, quale preparazione e che tipo di organizzazione si cela dietro a un menù completo consegnato sulla porta di casa? Visitando la cucina di Pro Senectute Ticino e Moesano a Lugano-Besso si scopre che, oltre agli aspetti nutrizionali, l’attenzione è rivolta alla sostenibilità, all’integrazione e a migliorare continuamente il servizio a favore dell’utenza che comprende anche istituti come scuole e centri diurni. Per raggiungere le persone a domicilio in tutto il cantone si conta su un’ampia rete di collaboratrici e collaboratori che assicurano la distribuzione dei pasti. Questi ultimi comprendono i pasti caldi dal lunedì al sabato e quelli in atmosfera modificata (riscaldabili) da consumare la sera o nei giorni festivi.
«A Besso una brigata composta da nove persone guidate dallo chef Raffaele Laurenza cucina dal lunedì al sabato i pasti caldi per gli utenti della zona di Lugano Nord: nel complesso sono distribuiti circa mezzo milione di pasti all’anno».
Grazie ai numeri è facile capire la portata di questa prestazione, divenuta con il passare degli anni sempre più essenziale in relazione all’invecchiamento della popolazione. Eva Scolari, vicedirettrice di Pro Senectute Ticino e Moesano, spiega che «in tutto il Ticino sono in funzione 22 centri di distribuzione che si avvalgono di circa 350 collaboratori. Quello di Besso è l’unico che è nel contempo anche centro di produzione. Nelle altre regioni i pasti sono preparati all’interno di case per anziani, scuole o ospedali. A Besso una brigata composta da nove persone guidate dallo chef Raffaele Laurenza cucina dal lunedì al sabato i pasti caldi per gli utenti della zona di Lugano Nord, assicurando inoltre la produzione dei pasti in atmosfera modificata da consegnare su tutto il territorio cantonale. Nel complesso so-
no distribuiti circa mezzo milione di pasti all’anno a favore di 3000 utenti regolari che salgono a oltre 4000 se aggiungiamo le persone che ne fanno richiesta per un periodo limitato». Questo servizio ha un notevole impatto sulla qualità di vita e il mantenimento degli anziani al loro domicilio. Precisa al riguardo la vicedirettrice: «Oltre a consegnare il pasto caldo, i nostri collaboratori fungono da antenna sociale, incontrando quotidianamente la persona anziana e sincerandosi che stia bene». La consegna avviene al mattino, fra le 10.30 e mezzogiorno, raggiungendo anche le zone più discoste del cantone. Qual è il grado di soddisfazione degli utenti?
Risponde Eva Scolari: «Ogni anno effettuiamo un sondaggio chiedendo di valutare diversi aspetti del servizio, fra cui qualità, quantità e temperatura del pasto. I risultati sono molto buoni. Sulla base delle risposte cerchiamo comunque di migliorare continuamente il servizio che ha pure il vantaggio della flessibilità in quanto il pasto può essere ordinato per i giorni e il periodo desiderati».
«Una delle ripetute osservazioni contenute nelle risposte ai sondaggi –prosegue la nostra interlocutrice – ha evidenziato il problema dell’accumulo di rifiuti, in particolare per chi usufruisce dei pasti tutti i giorni. Abbiamo pertanto avviato un progetto pilota in collaborazione con una ditta ticinese per introdurre stoviglie riutilizzabi-
li ritirate dai collaboratori durante la consegna successiva. A questa iniziativa partecipano per il momento i centri di distribuzione di Besso, Caslano e Bedano. Contiamo però di estenderla progressivamente a tutto il cantone, in virtù dell’apprezzamento espresso dagli utenti».
Un’altra domanda sorge spontanea. Quanto costa un pasto a domicilio? «Le tariffe – risponde l’intervistata – sono calcolate in base alla situazione economica dell’utente e si situano fra gli 11.55 e i 18.90 franchi, un prezzo contenuto anche in considerazione del fatto che si tratta di un’alimentazione sana che considera le esigenze legate all’invecchiamento (i beneficiari sono in prevalenza ultraottantenni). Il pasto soddisfa i requisiti del marchio di qualità “Fourchette verte Senior@home” di cui può fregiarsi la cucina di Besso».
Trasferitasi nella nuova sede di via Lucerna 1 nel 2020, l’equipe che gestisce la cucina di Pro Senectute è motivata e sempre professionale. Oltre ai pasti normali, definiti secondo un piano settimanale, deve infatti gestire ogni giorno una trentina di richieste la cui dieta dell’utente prevede preparazioni specifiche in ragione di allergie, intolleranze e particolari esigenze sulla consistenza del cibo. Raffaele Laurenza è consapevole della complessità dell’attività, estesa anche ai pasti forniti a tredici istituti come centri diurni e scuole di ordini diversi. «In alcu-
Oltre a consegnare il pasto caldo, i collaboratori di Pro Senectute fungono da antenna sociale, incontrando quotidianamente la persona anziana e sincerandosi che stia bene. (Pro Senectute)
ni casi – precisa al riguardo – i nostri collaboratori non si limitano alla consegna del pasto, ma fungono da supporto al servizio del pranzo. Da parte nostra ogni giorno prepariamo circa 450-500 pasti suddivisi in 180-200 per la consegna quotidiana a domicilio, 150 per i centri esterni e un centinaio in atmosfera modificata. Per questi ultimi ci dedichiamo ogni giorno a una diversa componente. Tutti i pasti comprendono un’entrata, il piatto principale e un dessert disposti in due ciotole e in un piatto a tre scomparti. Per quelli quotidiani consegnati a domicilio l’entrata può essere a scelta un’insalata o una minestra; il piatto principale è suddiviso in proteine, car-
boidrati e verdure; sulle cinque giornate il dessert prevede due volte frutta fresca, una volta torta e due volte una preparazione a base di latticini». Si tratta quindi di un’alimentazione equilibrata con una volta alla settimana pesce, due volte carne e due volte un piatto vegetariano. L’opzione carne o vegetariano è sempre proposta per i pasti in atmosfera modificata, da conservare in frigorifero e poi riscaldare secondo le istruzioni allegate. Per quanto concerne l’introduzione delle stoviglie riutilizzabili, lo chef Laurenza spiega che «si è iniziato lo scorso settembre con le ciotole destinate all’entrata e al dessert, completando la sostituzione con il nuovo piatto a tre scomparti a partire dallo scorso mese di novembre». Assieme ai quattro cuochi lavorano in cucina due apprendisti, mentre altre tre persone si occupano delle mansioni amministrative e di pulizia. La cucina di Besso è però anche un esempio di integrazione. «Siamo fieri di poter contribuire allo sviluppo di due progetti sociali», aggiunge Raffaele Laurenza. «Nel periodo scolastico accogliamo a ciclo continuo adolescenti provenienti dalle scuole speciali che svolgono due settimane di stage, sperimentando così la realtà di un’attività lavorativa non protetta. Li accompagniamo e discutiamo con loro e il rispettivo referente il rapporto finale. Constatiamo in diversi casi ottimi risultati, così come per il programma occupazionale legato alle misure cantonali AUP (Attività di Utilità Pubblica) volto a favorire il reinserimento professionale».
La cucina di Besso di Pro Senectute Ticino e Moesano è quindi molto più di un luogo predisposto per la preparazione delle vivande su larga scala. Si sperimentano innovazioni per rendere il servizio pasti più sostenibile dal punto di vista ambientale, si accolgono persone con difficoltà di vario genere che possono trovare in questa attività professionale nuovi stimoli e sbocchi, restando focalizzati sul garantire un’alimentazione sana e al contempo gustosa per diverse fasce di età, ognuna con le proprie esigenze.
Informazioni www.prosenectute.org; info@prosenectute.org; Tel. 091 91217 17.
ATTUALITÀ
Gesti di solidarietà all’inferno
La storia di Yappio, un bambino solo al mondo scampato alla morte in mare, e della famiglia di migranti che lo ha accolto. Ora sono a Tunisi e sognano un futuro migliore
In Germania sta vincendo la paura
L’economia è allo sbando, aumenta l’astio contro gli stranieri e Alternative für Deutschland avanza mentre si avvicinano le elezioni federali
Le dimissioni di Pfister e il Governo imbrigliato
Berna ◆ La rinuncia del presidente del Centro potrebbe portare ad un rimescolamento delle carte anche in Consiglio federale
A Berna qualcosa si muove. Nel giorno dell’Epifania, della festa che oltre San Gottardo viene chiamata anche «dei tre re», il presidente del Centro Gerhard Pfister (nella foto) ha annunciato di voler lasciare la guida del suo partito, compagine che fino a pochi anni fa si chiamava Partito democratico-cristiano, e che in Ticino portava il nome di Popolare-democratico. Pfister non ha scelto a caso il giorno «dei tre re», proprio per l’Epifania di nove anni fa aveva annunciato la sua disponibilità ad assumere questa presidenza. Sessantadue anni, il consigliere nazionale zughese rimarrà in carica ancora per sei mesi, il tempo di cercare un nuovo o una nuova presidente.
Da tempo a Berna si rincorrono le voci che definiscono «prossime» le dimissioni di Viola Amherd, ministra della difesa
Dall’inizio di questa legislatura, poco più di un anno fa, sono così già tre i partiti che hanno sostituito il loro numero uno. Lo hanno fatto i Verdi, usciti malconci dalle elezioni federali del 2023, guidati ora dalla ginevrina Lisa Mazzone. E lo ha fatto l’Udc, che in quelle elezioni aveva invece rafforzato la sua posizione di primo partito svizzero. Marco Chiesa ha così potuto lasciare a testa alta il compito di presidente che svolgeva dall’agosto del 2020. Dalla scorsa primavera i democentristi sono guidati dal consigliere nazionale svittese Marcel Dettling. L’uscita di scena di Gerhard Pfister chiude un’epoca ben più lunga e significativa rispetto a quella degli ormai ex presidenti dei Verdi e dell’Udc, un periodo segnato in particolare da un rafforzamento elettorale del partito e dal suo nuovo nome, con la rinuncia alla «c» di cristiano. In questi anni c’è stata anche una fusione con i Borghesi democratici, formazione in forte calo di consensi dopo l’uscita di scena della loro consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf. Pfister rimarrà comunque in Parlamento, dove siede da ben 21 anni e dove si è costruito la reputazione di abile «tessitore di intese», con il suo partito che si è spesso ritrovato nel ruolo, strategicamente rilevante, di ago della bilancia. Non che il Centro sia sempre unito a sostegno del suo presidente, più volte in particolare i consiglieri agli Stati centristi si sono schierati su posizioni diverse da quelle della loro dirigenza, creando tensioni e imbarazzo. Un problema che presto passerà nelle mani di chi succederà a Pfister e che rischia di scoraggiare anche qualche possibile «papabile». Ma al di là di queste dinamiche interne al Centro, la dimissioni di Pfister potrebbero portare ad
un rimescolamento delle carte anche in Consiglio federale. Da tempo a Berna si rincorrono le voci che definiscono «prossime» le dimissioni di Viola Amherd, ministra della difesa, proprio del Centro. La consigliera federale vallesana è in carica dal primo gennaio del 2019, ha appena concluso un anno da presidente della Confederazione. A detta di diversi osservatori, il dinamismo e l’energia che avevano caratterizzato i suoi primi anni in Governo si sono ormai almeno parzialmente esauriti. E questa potrebbe anche essere una delle motivazioni che stanno alla base delle dimissioni di Pfister. La storia insegna che per un presidente di partito non è mai facile affrontare la corsa, e la campagna politica, che porta all’elezione in Consiglio federale, anche se in questo senso non mancano di certo le eccezioni, alcune proprio legate all’ormai ex partito democratico-cristiano.
Nel 2006 Doris Leuthard si candidò per il Governo quando era ancora presidente del suo partito, e lo stesso fece nel 1987 il ticinese Flavio Cotti. Entrambi furono eletti brillantemente, già al primo turno.
Su questo punto nelle interviste rilasciate dopo aver annunciato le sue dimissioni, Gerhard Pfister non si è sbilanciato, come del resto prevede il canovaccio in queste occasioni, pur lasciando capire di «essere pronto ad affrontare nuove sfide».
È come se al Governo mancasse la forza necessaria per dare al Paese gli impulsi di cui ha bisogno
Una cosa è certa, nella sua attuale composizione il Consiglio federale appare piuttosto imbrigliato, come se gli mancasse la forza necessaria per dare al Paese gli impulsi di cui ha bisogno. Lo si è visto in modo piuttosto eloquente lo scorso 20 dicembre quando il Governo ha presentato i risultati delle trattative con l’Unione europea per la definizione dei bilaterali del futuro. In quella lunga conferenza stampa c’è voluto del tempo prima di sentire il ministro degli esteri Ignazio Cassis affermare di «essere fiero del lavoro svolto». È mancata però forza e convinzione anche
nelle parole degli altri due ministri –Guy Parmelin e Beat Jans – che con lui hanno presentato la conclusione «materiale» di quelle trattative. Appaiono così pertinenti i dubbi di chi ritiene che con questo tipo di atteggiamento sarà ben difficile riuscire a convincere il popolo svizzero a dare il proprio definitivo nullaosta a questo nuovo accordo. Su questo punto si è espressa di recente sulle colonne di «Le Temps» anche Ruth Dreifuss. In quell’intervista l’ex consigliera federale socialista ha ricordato gli anni Novanta del secolo scorso, quando il Governo aveva deciso di aprire i negoziati per la definizione dei primi accordi bilaterali. «All’epoca emerse una forte leadership del Consiglio federale. Oggi non posso dire di avere la stessa impressione, e questo mi dispiace molto». A suo dire il Governo si è finora rifugiato in un «silenzio imbarazzante». A questo proposito va detto che dopo un lungo silenzio stampa Ignazio Cassis ha finalmente rilasciato lo scorso 30 dicembre un’intervista, al «Tages Anzeiger» e alle testate di questo gruppo. Un colloquio a 360 gradi in cui, sul tema dei bilaterali, il ministro ticinese non è però
andato molto al di là rispetto a quello che aveva già dichiarato al momento della presentazione dei risultati di queste trattative. E qui, in conclusione, torniamo a Viola Amherd e alle sue possibili, prossime, dimissioni dal Consiglio federale. E questo perché la sua uscita dal Governo potrebbe anche spingere lo stesso Cassis a compiere lo stesso passo, magari una volta consegnato al Parlamento il rapporto sull’accordo con l’Ue, previsto nel corso dell’estate. Un modo per portare le Camere federali ad una doppia e simultanea elezione di due nuovi ministri. Con il Plr che in questo modo avrebbe tutte le carte in regola per confermare il seggio vacante, e allontanare così il rischio di rimanere con un solo consigliere federale. A contendergli uno dei due seggi, da tempo, è proprio il Centro, ed è del tutto improbabile che il Parlamento decida di eleggere contemporaneamente due nuovi ministri centristi, anche perché elettoralmente i due partiti al momento si equivalgono. Il 2025 inizia dunque con una partenza di spicco, quella di Pfister, e con qualche possibile scossa di assestamento, forse anche dentro il Governo.
Ucraina, cosa succederà con l’avvento di Trump?
Prospettive ◆ Il punto sulla guerra tra Mosca e Kiev in attesa del
Anna Zafesova
«Donald Trump è forte e imprevedibile, e quindi capace di fermare Vladimir Putin». Nell'attesa del 20 gennaio il presidente ucraino insiste, in numerose interviste, che la qualità che più preoccupa molti nel nuovo leader americano è invece una virtù. Volodymyr Zelensky, che non ha risparmiato critiche taglienti a molti leader occidentali, è estremamente attento a non irritare il prossimo presidente americano, anche rispetto alle sue promesse di togliere a Kiev gli aiuti necessari a respingere l'invasione russa. Un atteggiamento che potrebbe essere la tenacia della disperazione visto che, senza l'assistenza politica e militare degli Stati Uniti, l'Ucraina probabilmente non potrà resistere a lungo. Potrebbe essere anche dettato dalla delusione per l'indecisione dell'amministrazione Biden, oppure dalla speranza di lusingare il suo successore, che spesso si mostra più emotivo che razionale. Potrebbe anche essere un calcolo lucido, di fronte alla prospettiva di una tregua con Mosca che viene data per imminente da molti media internazionali, ma che vista dalle città bombardate dell'Ucraina appare molto meno probabile.
Un’eventuale sconfitta dell’Ucraina metterebbe tutto l'Est e Nord Europa a rischio di un’ulteriore espansione russa
Del resto anche lo stesso Trump, dopo la vittoria, non ha più ripetuto la sua promessa di «far finire la guerra in 24 ore». Pochi giorni prima dell'entrata in carica ha parlato più vagamente di un termine di sei mesi, mentre il suo inviato speciale per l'Ucraina, il generale Keith Kellogg, prima di partire per Kiev si è posto il termine di 100 giorni per raggiungere un accordo. Sul «piano di pace» esistono per ora soltanto delle indiscrezioni di alcuni esponenti del team trumpiano, e delle dichiarazioni del presidente eletto dalle quali non risulta chiaro cosa pensi dei punti chiave dell'ipotetico accordo: dove passerà la linea di «congelamento» del conflitto, chi la
controllerà e soprattutto quali garanzie di sicurezza otterrà l'Ucraina contro una ripresa dell'aggressione russa e contro i bombardamenti. Domande cui l'America non può rispondere da sola. Non si possono lasciare i territori occupati dell'Ucraina sotto il controllo di fatto dei russi senza il consenso di Kiev, e Putin insiste per ottenere anche territori che non ha conquistato, e di annetterli alla Russia, un atto che il diritto internazionale non può riconoscere. La forza di interposizione nel Donbass sarebbe, nella visione dei trumpiani, composta da truppe europee, ma nelle capitali dell’Unione europea non si vede molta disponibilità a inviare i propri soldati. E non è chiaro quanto Mosca accetterebbe dei peacekeeper di Paesi della Nato. Infine, sulla questione più importante, Trump sembra contrario a far entrare Kiev nella Nato, però senza gli alleati e le loro armi a garantirne l'incolumità, l'Ucraina non può che continuare a combattere, e una sua eventuale sconfitta metterebbe tutto l'Est e Nord Europa a rischio di un'ulteriore espansione russa.
Una situazione talmente complessa da spiegare perché Trump all'improvviso porti in cima alla sua agenda internazionale Panama e la Groenlandia (che oltretutto sarebbe strategica proprio per fronteggiare la Russia nell'Artico). Prima di proporre un negoziato che suoni convincente per Kiev e poi per Mosca, oltre che per gli europei, la nuova Casa Bianca deve capire di quali bastoni e di quali carote dispone. Se gli ucraini possono venire ricattati con la minaccia di consegnare il loro Paese di fatto a Putin, gli strumenti per fare pressioni sul dittatore russo sono molto meno evidenti. A giudicare dalle sue ultime dichiarazioni – inclusa l'inquietante affermazione «vinceremo perché dio è con noi!», fatta in una conferenza stampa a fine 2024 e ripetuta nella messa di Natale dal patriarca di Mosca Kirill – il padrone del Cremlino ritiene di essere nella posizione del più forte. La sua tattica del 2024 è stata quella di resistere fino alla vittoria di Trump e, negli ultimi mesi, le truppe russe hanno battuto il record
delle perdite, con il comando che le sta spingendo ad avanzare a ogni costo per trovarsi nella posizione più possibile vantaggiosa al momento dell'eventuale tregua. Uno sforzo che ha alzato il numero dei russi uccisi e feriti nell'invasione a 800 mila in meno di tre anni: un numero immenso, e l'esercito russo fa sempre più fatica a colmare i suoi ranghi con i volontari, mentre una mobilitazione sembra rimanere un tabù per Putin, che non vuole rischiare un collasso dei consensi. Ma la vera vulnerabilità della Russia è nell'economia: con l'inflazione in perenne aumento e i tassi al 21% nonostante le proteste degli oligarchi, e con le sanzioni internazionali che cominciano a colpire anche il commercio con la Cina e l'India, il Cremlino non potrà mantenere ancora a lungo una macchina bellica in espansione. Se, come credono molti commentatori, il nuovo padrone del-
la Casa Bianca vorrà usare l'arma del barile, facendo abbassare i prezzi del petrolio, la Russia potrebbe entrare in crisi già nel 2025. È una corsa contro il tempo quindi, per entrambi: l'Ucraina è drammaticamente a corto di uomini da mandare al fronte, e l'avanzata lenta ma costante dei russi sta mettendo a rischio le sue difese nell'Est del Paese. Dai sondaggi sembra che la quota dell'opinione pubblica ucraina contraria a lasciare dei territori sotto l'occupazione russa si sia visibilmente ridotta negli ultimi mesi, anche se resta per ora la maggioranza. Putin, al contrario, preferisce parlare di «vittoria» invece che di «pace»: ha rifiutato la proposta di tregua natalizia e in diversi discorsi di fine anno ha decantato i nuovi missili russi a testata multipla Oreshnik. È vero che Trump probabilmente sente più affinità, di visione e di metodo, con il
padrone del Cremlino, ma non potrà ignorare né gli interessi degli ucraini – ai quali Kellogg ha promesso «garanzie per salvare la loro sovranità», negando che il suo principale voglia «favorire» Putin – né degli europei. Per il regime di Putin, imperniato ormai sul sentimento anti-europeo e soprattutto anti-americano – bastava vedere il video propagandistico del Santa Claus americano abbattuto nei cieli di Mosca insieme alle renne da un missile russo puntato dal Nonno Gelo autarchico – la svolta verso una «distensione» con gli Usa sconvolgerebbe la base del potere del Cremlino, mentre la prosecuzione della linea che dipinge l'America come l'impero del male difficilmente verrà gradita dalla nuova amministrazione repubblicana. E, in quel caso, l'imprevedibilità di Trump nella quale confida Zelensky potrebbe portare a una nuova escalation.
Gesti di solidarietà e di amore all’inferno
Tunisia ◆ La storia di Yappio, un bambino solo al mondo scampato alla morte in mare, e della famiglia di migranti che lo ha accolto
Angela Nocioni
Ora sono nascosti in una stanza a Tunisi aspettando (di nuovo) un contatto per tentare la traversata via mare verso la Sicilia. Hanno 18 anni, sono marito e moglie e hanno con loro la loro bambina di 2 anni e Yappio. Sono di due famiglie non poverissime della Sierra Leone. Sono scappati per evitare alla bambina l’intervento di asportazione della clitoride (mutilazione degli organi genitali femminili) deciso dai loro parenti. Nell’ottobre scorso lui, Mohammed, esce di sera nella capitale della Tunisia per andare a comperare del latte e vede, per strada, un ragazzino nero che lo fissa terrorizzato. «L’ho trovato per strada – ci racconta al telefono – era solo, nudo e con le gambe bruciate. Può avere una decina d’anni. L’ho portato qui a casa. Non poteva rimanere solo fuori per strada la notte. Gli ho fatto alcune domande. Per fortuna veniamo dallo stesso Paese. Mi ha detto di aver perso entrambi i genitori nel Mar Mediterraneo e che non ha nessun posto dove andare, non ha nessuno. Lo abbiamo lavato, gli abbiamo dato dei vestiti e qualcosa da mangiare. Abbiamo cercato di parlare con lui per capire se ci fosse qualcuno, un parente, da poter rintracciare». Il ragazzino si chiama Yappio, appunto, si era imbarcato qualche settimana prima da Sfax insieme alla sua famiglia e ad altre persone. I suoi sono morti. Lui è stato salvato da un peschereccio dopo molte ore passate in
acqua. Le bruciature sulle gambe sono state causate dalla mistura di acqua di mare e carburante del motore.
I due ragazzi che non sanno come comportarsi per aiutare il ragazzino telefonano a una ricercatrice italiana conosciuta a Tunisi, Ludovica G., che ci dice: «Ho cercato di individuare membri della sua famiglia o fare in modo che fosse preso in carico dai servizi di protezione dell’infanzia. Ma in Tunisia, per un bambino straniero senza documenti, l’assistenza si è dimostrata inesistente. Ho contattato una persona dell’Organizzazione internazionale per la migrazione, spiegando la situazione, gli hanno dato un primo appuntamento». Ecco il racconto di Mohammed: «Sono andato lì con Yappio, ma il numero con cui avevo fissato l’appuntamento non corrispondeva. Ho provato tante volte a suonare, nessuna risposta. Ero lì davanti al cancello con il bambino. Alla fine ho parlato con un dipendente dell’ufficio, mi ha detto che il mio nome e quello del ragazzino non erano sulla lista. Mi sono sentito molto male, per me e per lui. Sono andato due volte. La seconda volta è stata uguale. Dopo qualche ora di attesa siamo andati via». Il ragazzo che ha trovato Yappio continua: «Dopo alcune settimane siamo riusciti a contattare una zia che era a Kasserine (città della Tunisia centro-occidentale, ndr.). Ma non parlava dal suo telefono: da allora
non siamo più riusciti a rintracciarla. Questo ragazzino solo aveva bisogno del mio aiuto, lo merita».
Ludovica G. spiega: «Sabato 30 novembre 2024 la coppia mi informa che la loro partenza è vicina. Lui mi dice che il giorno dopo sarebbe andato a pagare il viaggio per loro e Yappio. Dicono di avere un contatto sicuro che per 3 mila dinari tunisini li avrebbe fatti arrivare a Lampedusa. Il giorno seguente cerco di mettermi nuovamente in contatto con loro per assicurarmi che vada tutto bene. Non ricevono i miei messaggi. Insisto, ma nulla. Riprovo il giorno seguente
e quello dopo ancora… Una sola cosa mi viene da pensare: hanno preso il mare e non ce l’hanno fatta. Mercoledì 4 dicembre arriva un messaggio su Messenger, è della ragazza: “Mio marito è stato rapito, non so niente di più. Sua madre ha ricevuto al cellulare questo video ieri. Lo picchiano forte e chiedono un riscatto”. Lei è disperata, mi inoltra il video dei soprusi inflitti al compagno, denudato, picchiato e ripreso mentre implora di lasciarlo andare. Non è chiaro chi siano le persone che lo tengono in ostaggio».
La madre dalla Sierra Leone invia un riscatto di 2000 dinari tunisi-
ni, circa 570 franchi, ma Mohammed non viene liberato. Passano alcuni giorni, nessuna notizia. Torna a casa il 9 dicembre e racconta: «Sono partito presto la mattina, verso un quartiere della periferia di Tunisi. Avevo un contatto sicuro di una persona che ci avrebbe aiutati a partire. Mi ha dato appuntamento in una piazzetta. Aspetto un’ora e nessuno si fa vivo, chiamo questa persona che mi dice che sta arrivando. Passa un uomo, mi chiede indicazioni, non so rispondere. Mentre cerco di aiutarlo a trovare la strada qualcuno mi prende da dietro. Mi ritrovo poco dopo in una grande casa. Non ero solo, con me c’erano altri due uomini e una donna. Ci hanno imprigionati. Ci hanno fatto spogliare, con i loro telefoni hanno cominciato a filmarci, chiedendo un riscatto alle nostre famiglie. Mia madre ha mandato subito i soldi. Mi avevano già rubato tutto: il telefono e 3 mila dinari che avevo con me per pagare la traversata. Durante i giorni di prigionia non ci hanno dato né da mangiare né da bere, ci hanno tenuti nudi. Hanno violentato una donna davanti a me. Io una notte sono riuscito a scappare. Fortunatamente sono stato trovato da un giovane ragazzo tunisino, ero in mutande, infreddolito e sotto choc. Il ragazzo mi ha aiutato, mi ha portato a casa sua. Mi ha dato da bere, da mangiare, dei vestiti. Come abbiamo fatto noi con Yappio».
In Germania sta vincendo la paura
Verso le elezioni ◆ L’economia è allo sbando, aumenta l’astio contro gli stranieri e Alternative für Deutschland avanza
Stefano Vastano
Trecento feriti, e la sesta vittima deceduta settimana scorsa. L’attentato di venerdì 20 dicembre al mercatino di Natale, nel cuore della città di Magdeburgo, è stato un inferno. Un gesto folle che ha gettato su tutta la Germania, come ha detto Frank-Walter Steinmeier, il presidente della Repubblica federale, «un’ombra oscura di tristezza e dolore». Ma il gesto assassino di Taleb Jawad al-Abdulmohsen, lo psichiatra 50enne, cittadino dell’Arabia saudita, sta avendo ripercussioni anche sulle elezioni tedesche indette, dopo il crollo del Governo Scholz, per il prossimo 23 febbraio. Subito dopo la strage al mercatino di Natale infatti Alternative für Deutschland (AfD), il partito di estrema destra guidato da Alice Weidel e Tino Chrupalla, è stato velocissimo ad urlare contro i musulmani, a chiedere l’espulsione dei migranti. Il killer, ha detto Weidel nel suo comizio a Magdeburgo, «era un islamista, ed era pieno di odio contro noi tedeschi!». Tutte menzogne, ovviamente. Oggi sappiamo che il medico arabo da tempo sui social denunciava una fantomatica «islamizzazione della Germania», ed era persino simpatizzante di AfD. Ciò non toglie che, in tutti i sondaggi, il partito d’estrema destra raccolga ampi consensi (anche Elon Musk, con un controverso articolo pubblicato dalla «Welt am Sonntag», ha ribadito il suo sostegno alla formazione). A fine dicembre 2024 ad AfD andavano oltre il 18 per cento delle simpatie. Ben due punti in più della Spd del cancelliere Olaf Scholz, il quale alle politiche si ripresenta come candidato alla Cancelleria, ma con una Spd che ora arranca sul 16 per cento dei consensi (in alcuni sondaggi anzi è precipitata al 14 per cento).
Cosa spinge oggi tanti tedeschi, molti di loro giovani, ad affidarsi ad un partito così reazionario e di ultradestra come AfD?
A poche settimane dal voto, dunque, uno spettro si aggira per una Germania paralizzata dallo choc dell’attentato di Natale, e da una crisi che sta mandando in tilt l’economia tedesca: la realtà di AfD appunto, che rischia di diventare il secondo partito nel più grande Paese dell’Unione europea. Certo, dopo l’eclatante fallimento del «Governo-semaforo» di Spd, Fdp e Verdi, il nome del prossimo cancelliere probabilmente sarà Friedrich Merz. E l’attuale presidente della Cdu varcherà, a 69 anni, la soglia della cancelleria a Berlino forte di almeno il 30 per cento dei consensi. Al di là però del drammatico crollo dei socialdemocratici, e dell’ancora più vi-
stosa crisi dei liberali della Fdp (che rischiano di non superare il quorum del 5 per cento), la questione decisiva resta la seguente: cosa spinge oggi tanti tedeschi ad affidarsi ad un partito così reazionario e di ultra-destra come Alternative für Deutschland?
Alle recenti elezioni regionali in Sassonia e in Turingia (in quest’ultima regione AfD ha incassato oltre il 32 per cento dei voti), sono stati soprattutto i più giovani, cioè elettori fra i 18 e i 30 anni, a dare il loro voto al partito di Weidel.
Proprio in Turingia, lì dove AfD è più radicale e xenofoba, a votare il partito sono stati il 35 per cento dei giovani. E in Sassonia AfD ha raccolto il voto del 30 per cento dei più giovani. Politologi come Rüdiger Mass sostengono che, per i giovani tedeschi, «AfD è un partito “normale”, dato che loro non credono più alle classiche distinzioni tra destra e sinistra».
A «normalizzare» l’avanzata dell’estrema destra c’è anche il fatto che, sui social, AfD non ha reale concorrenza: su piattaforme come TikTok o X sono le tesi estreme e demagogiche di Alternative für Deutschland a richiamare più follower e clic. Poi ci sono i fattori economici che portano,
specialmente nelle regioni dell’est, voti a palate alla formazione di estrema destra: come la differenza dei salari, all’est e all’ovest del Paese e il disagio di lavori o pensioni sempre più precari. AfD, riassume la scrittrice Manja Präkels, «si impone con le sue tesi populiste lì dove le paure della gente sono più forti». Basta sfogliare le pagine dei giornali per accorgersi quali siano i dati concreti della crisi che sta scuotendo la Germania.
«Il numero dei fallimenti ha raggiunto il livello della crisi finanziaria» titolava il 6 gennaio scorso il settimanale «Der Spiegel». I casi delle «Insolvenzen» di piccole e medie aziende tedesche sono in effetti a dir poco allarmanti: oltre 1400 al mese sono state costrette nel 2024 a chiudere i battenti. Le notizie di licenziamenti di massa e chiusure di impianti alla Volkswagen, e dall’intero indotto delle 4 ruote, hanno finito per ratificare «una crisi congiunturale» del sistema tedesco. Come sintetizza Guido Baldi dell’istituto Diw berlinese: «Oggi la Germania è paralizzata dal punto di vista politico ed economico». A «paralizzare» il Paese al centro d’Europa è anche l’aumento della violenza nelle metropoli tedesche. Le statistiche
della polizia registrano un incremento in particolare dei reati a sfondo antisemita: nel 2024 la polizia ha contato oltre 3200 di episodi di questo genere. Ma non sono solo i numeri dei reati che spaventano in questa spirale di violenza: l’antisemitismo, ci spiega Akiva Weingarten, il rabbino di Dresda e della Sassonia, «non è certo un fenomeno nuovo in Germania. Quel che ora più colpisce è che, a causa della situazione in Israele, non sia più un tabù qui in Germania mostrarsi antisemita in pubblico, odiare gli ebrei o accusarli per la politica israeliana». Se questo è il clima diffuso, non stupisce che Friedrich Merz si stia lanciando in campagna elettorale sui temi sempre più scottanti di politica migratoria. Subito dopo l’attentato a Magdeburgo, Merz ha spiegato come la gente sia insoddisfatta della politica migratoria del fallito «Governo-semaforo». In un futuro Governo-Merz quindi, il diritto di soggiorno verrà automaticamente revocato ai migranti che compiono reati. «Vogliamo più sicurezza per i nostri cittadini», ripete Merz appena può. Hanno voglia i «compagni» della Spd, o gli alternativi dei Verdi, a rinfacciare alla Cdu «di rincorrere» la AfD nelle sue
accuse indiscriminate contro gli stranieri. Di fatto Olaf Scholz, alfiere di una Spd allo sbaraglio, dovrà recuperare molti punti nella simpatia dei tedeschi: è vero che solo il 28 per cento degli interpellati ritiene che Friedrich Merz sarà un buon cancelliere; ma solo il 19 per cento pensa che Scholz farebbe meglio in un suo secondo mandato. Al confronto, il 27 per cento è convinto che Robert Habeck, il candidato dei Grünen, sarebbe un cancelliere migliore di Scholz. Non per niente la campagna elettorale della Spd – su cui il partito sta investendo 17 milioni di euro – si basa tutta su più vantaggi al consumatore, sgravi fiscali e pensioni più stabili.
Al motto di «Più per te, meglio per la Germania», Scholz promette un salario minimo di 15 euro all’ora; un fondo di 100 miliardi per rilanciare l’industria tedesca, e più tasse ai super-ricchi. Anche con questi temi però è arduo che Scholz ripeta il «miracolo» del settembre 2021, quando spuntò le politiche con il 25,7 per cento (e la Cdu della Merkel si fermò al 24,2). Le previsioni di Alice Weidel, la 45enne presidente di AfD, sono altre: «La maggioranza dei tedeschi vuole ora una coalizione blu-nera», ossia un Governo della Cdu e delle sue truppe di estremisti (blu è il colore di AfD). Merz ha giurato che la Cdu sarà «un muro insormontabile» contro ogni velleità degli estremisti. Più che probabile allora che le nuove elezioni porteranno al Governo di Berlino l’ennesima edizione della «GroKo»: una «grande coalizione» di Cdu e Spd, con i socialdemocratici partner di minoranza del cancelliere Merz. Certo, sarà forse la variante noiosa di un più originale Governo nero-verde, ossia della Cdu insieme ai Grünen. Ma pur sempre l’opzione più sicura e stabile in una Germania dilaniata da varie crisi, e davanti al rischio di
Il Mercato e la Piazza
Vivere in un Paese di pensionati
L’anno nuovo è cominciato da poco ma i problemi sono restati quelli di sempre. Per il Ticino uno dei più importanti è l’invecchiamento della popolazione. Lo si può misurare con molti indicatori. Per restare a uno dei più semplici: con la quota delle persone con più di 65 anni, l’età del pensionamento, sul totale della popolazione. Nel 1970 le persone che avevano superato quel limite di età rappresentavano il 12% della popolazione residente nel Cantone. Nel 2000 il valore di questa quota era già salito al 18% per poi crescere fino al 23,6% nel 2022. Negli ultimi 50 anni il tasso di invecchiamento è quindi sempre aumentato. Se dovesse continuare ad aumentare al ritmo con il quale è cresciuto dal 2000 al 2022, verso il 2080 si conteranno, nella popolazione residente del Ticino, più pensionati che persone con meno di 65 anni. Fra qualche decennio diventeremo dunque un Paese
Affari Esteri
L’accanita
di pensionati: si tratta di un’evoluzione probabilmente inevitabile. Cerchiamo di farci un’idea, anche se è difficile, di cosa vuol dire vivere in un Paese di pensionati. Non è che oggi le persone anziane manchino. Ma fra 60 anni la loro presenza sarà largamente dominante. E i loro bisogni saranno quelli che faranno girare l’economia. Sui marciapiedi, nei negozi, negli uffici pubblici, nei musei, nelle chiese ci saranno il doppio di deambulatori e carrozzine di quelli che possiamo incontrare oggi. Gli ostacoli all’accesso non saranno stati ancora eliminati. Ma il partito di quelli che esigono un accesso libero generalizzato si farà sentire, eccome! Bisognerà trovare anche i luoghi di riunione, i negozi, i mezzi di trasporto pubblico che possano accogliere e ospitare questi anziani con i loro sostegni per la deambulazione. Se volete mettervi in un ramo di produzione al quale non
mancheranno le ordinazioni, cominciate a costruire panchine adatte anche per quelle infrastrutture, come i supermercati, le stazioni ferroviarie o gli ospedali, nelle quali i percorsi sono diventati chilometrici. Per la cura e l’assistenza degli anziani, per la costruzione e la gestione delle strutture necessarie per queste prestazioni, è probabile che Cantone, Comuni e casse malati dovranno spendere centinaia di milioni. La cura degli anziani sostituirà l’educazione dei giovani come cespite di spesa più importante per i Cantoni. Se la metà della popolazione godrà della pensione bisogna aspettarsi che più della metà dei contribuenti disporrà di un reddito tassabile inferiore a quello di cui poteva disporre mentre ancora lavoravano. Di conseguenza il gettito delle imposte delle persone fisiche aumenterà solo quando aumenteranno le rendite delle casse pensioni, vale a dire quasi mai.
lotta contro la sinistra di Elon Musk
Gli attacchi di Elon Musk al primo ministro britannico, Keir Starmer, sono iniziati subito. Starmer è stato eletto all’inizio dello scorso luglio, dopo una vittoria elettorale solidissima e dopo 14 anni di Governo conservatore: una piccola rivoluzione per il Regno Unito. La luna di miele con il nuovo Governo è durata poco, il Paese è malmesso, e Musk, l’uomo più ricco del pianeta che sosteneva deciso un candidato alla presidenza degli Usa, Donald Trump, ci ha messo del suo per mettervi fine ancora più in fretta. Perché? Perché Starmer è di sinistra. Ci lambicchiamo parecchio, e spesso giustamente, sulle sfumature politiche di Musk, su quanto la sua visione libertaria sia compatibile con il trumpismo, e per quanto tempo lo sarà, se esistono punti di rottura, e quali, al di là degli evidenti interessi di imprenditore globale. Ma scarnificando al massimo la questione,
quel che tiene insieme queste destre è la lotta alla sinistra. Starmer ne è un esempio straordinario.
Lo scontro è iniziato con l’attacco contro una scuola estiva a Southport: tre bambine morte, un attentatore britannico ma di origini africane, una campagna mediatica ossessiva e spesso disinformata, fino all’intervento di Musk, che ha iniziato a dire che Starmer non è in grado di governare queste crisi, non solo perché è «molle», ma perché è figlio dell’ideologia progressista che gli impedisce di guardare alla società, alla legge e all’ordine con il piglio necessario. Per Musk, Starmer è un problema strutturale, l’esponente di una visione del mondo che ha deformato la convivenza occidentale, cioè quella di sinistra. È iniziata così, con qualche battuta su X, con qualche sberleffo successivo, un po’ ossessivo, quasi ridicolo, se non fosse che oggi Musk sta facen-
Il presente come storia
do campagna per indire nuove elezioni nel Regno Unito e per sostituire la sinistra non con il suo contraltare, il Partito conservatore, ma con l’estrema destra. Anzi, poiché il caos è la regola, Musk non si accontenta più nemmeno del leader nazionalista Nigel Farage, l’ospite di Trump più ricorrente dal 2016, l’alleato britannico per eccellenza, no: promuove Tommy Robinson, che è un suprematista non lontano dal mondo paranazista. Persino Farage, che si sentiva al sicuro sotto la protezione e promozione di Musk – il quale avrebbe promesso un finanziamento corposo al partito Reform Uk (ma non si sa come questi fondi possano essere elargiti, visto che le regole britanniche non lo consentono; il padre di Musk fa valere una nonna inglese…) – ora è costretto a denunciare ingerenze intollerabili, una volubilità perniciosa, masticando amaro.
La Svizzera, una super-potenza tascabile
Collocata geograficamente al centro dell’Europa, la Svizzera è condannata a fare i conti con i più estesi e potenti vicini, i quali non sempre osservano le sue mosse con occhio benevolo. La politica, attraverso intricati processi di negoziazione, cerca la quadra, ma non sempre ci riesce, e l’opinione pubblica rimane scettica e riluttante. Tali fatiche non sono una caratteristica dei nostri tempi. Anche in passato la piccola Repubblica alpina ha dovuto intavolare trattative con i Paesi che l’attorniavano, cercando di non farsi trascinare in conflitti che l’avrebbero portata alla rovina. Attraverso quali vie la Svizzera è riuscita a sopravvivere? La risposta, sostiene André Holenstein nel suo pregevole studio da poco tradotto in italiano La Svizzera nel cuore dell’Europa. Una storia fra apertura e ripiegamento (Casagrande), va ricercata nelle strategie di volta in volta adottate dalle élites al potere, sia durante l’età moder-
na (Ancien régime), sia nel corso delle turbolenze che videro la nascita prima della Repubblica elvetica (1798-1803) e poi del nuovo Stato federale (Rigenerazione, sconfitta del Sonderbund, Costituzione del 1848).
Il processo fu lento e macchinoso fin dal basso Medioevo, e sarebbe errato, dice Holenstein, interpretare il patto del 1291 alla luce delle categorie della politologia moderna. Quella pergamena fu una delle tante in quell’epoca di torbidi e di tensioni; un contratto di autodifesa che tra l’altro ne richiamava uno precedente, andato perduto. Molte altre alleanze si sfasciarono, ma non quella ch’era sbocciata nei territori selvosi (Waldstätte) ai margini dell’impero. Prese forma così, secolo dopo secolo, un «conglomerato» di comunità eterogenee, alcune reggenti, altre sottomesse, come i baliaggi, vincolate tra loro da patti differenti. La vecchia Confederazione non ebbe mai
di Angelo Rossi
La spesa pubblica, invece, tenderà ad aumentare con il passo con il quale la popolazione invecchierà. L’invecchiamento porterà però anche qualche aspetto positivo. Vi sarà in generale un rallentamento del ritmo di vita. Lo sport professionistico perderà parte dell’importanza che ha oggi. La quiete ridiventerà un bene molto apprezzato. È anche probabile che i volumi del traffico stradale non crescano più. Di conseguenza vi saranno meno code, meno incidenti e meno necessità di dedicare risorse finanziarie dell’ente pubblico alla manutenzione e agli investimenti nella rete stradale. Volendo essere ottimisti prevediamo anche una drastica diminuzione dell’inquinamento dell’aria e dell’inquinamento dovuto al rumore (quest’ultima anche per la scomparsa del motore a scoppio dalle nostre strade). La portata dell’influsso dei pensionati sul modo di vivere quotidiano
dipenderà ovviamente da come evolverà la speranza di vita e dall’età in cui, nel 2080, si andrà effettivamente in pensione. Tuttavia, il problema principale, provocato da questa evoluzione della nostra demografia, resterà quello di insegnare ai futuri pensionati come occupare il loro tempo libero. È vero che una fetta importante dello stesso sarà assorbita dai nuovi compiti che l’ulteriore sviluppo del digitale attribuirà agli utenti e ai consumatori. Pensiamo, per fare un solo esempio, a quali saranno le conseguenze della scomparsa del denaro contante e delle casse nei negozi, nei ristoranti, negli alberghi e nelle amministrazioni. Tuttavia, anche così, ai futuri pensionati il tempo libero non mancherà. Per molti di loro il non saper cosa fare per occuparlo diventerà il vero problema esistenziale. Preparatevi e ricordate: purché non vi fermiate, non importa quanto lenti potrete andare!
Musk procede intanto come un carrarmato contro Starmer. In una serie infinita di post su X, ha accusato il premier britannico di essere stato complice «degli stupri di massa in cambio di voti». Si riferisce a quel che è accaduto per più di 20 anni nell’Inghilterra di Rotherham, Rochdale e Oldham, dove delle bande di uomini, soprattutto di origine pachistana, hanno adescato, drogato, violentato centinaia di donne, ragazze, bambine. Starmer è stato, tra il 2008 e il 2013, a capo del Crown Prosecution Services, che supervisiona le azioni penali in Inghilterra e Galles, e che è accusato di non essere stato sufficientemente determinato nel punire questa banda di stupratori e pedofili. Alla gogna quindi Starmer e molti altri esponenti del Governo, in particolare Jess Phillips, che si occupa di contrastare la violenza contro le donne. Per Musk è «una strega cattiva» che «fa
apologia del genocidio dello stupro»: complice, debole, dovrebbe dimettersi. Su X, la piattaforma-megafono del «muskismo» dall’algoritmo intossicante, il premier britannico sembra davvero un mostro. Per il momento il Governo britannico è aperto a una nuova inchiesta sui fatti tremendi di Rotherham e dintorni, ma nulla pare placare l’onda che Musk alza in Europa, con l’intento esplicito di sostenere i partiti più estremi, come l’AfD in Germania dove si vota alla fine di febbraio, e quello di affossare i moderati, soprattutto quelli di sinistra, ma pure la destra tradizionale soffre. Nel Regno Unito che ha bisogno di un accordo commerciale con gli Usa e che non può permettersi, pur riavvicinandosi un po’ all’Europa, di prescindere dalla special relationship, il «martellamento» di Musk è ogni giorno più minaccioso.
una coerente «politica estera»: a dettarla furono prima il re di Francia e poi Napoleone. Solo dopo il tramonto del protettorato francese e le deliberazioni del Congresso di Vienna (1815) i Cantoni iniziarono a darsi una politica propria, istituendo una diplomazia e un esercito federale a difesa della neutralità. Holenstein dedica numerose pagine all’emigrazione, militare e civile. Il mercenariato fu praticato su larga scala fin nell’Ottocento inoltrato: conferiva potere e prestigio all’élite urbana interessata alla carriera, garantiva vantaggi fiscali, distribuiva prebende e pensioni e infine forniva una valvola di sfogo ai villaggi alpini poveri di risorse. La corona di Francia fu la principale agenzia arruolatrice, ma molti armigeri furono ingaggiati anche dall’Olanda, dalla Spagna e dal Papa, finendo per combattersi a vicenda, come accadde nella battaglia di Malplaquet in Belgio (1709). L’e-
migrazione di mestiere fu invece una prerogativa dei territori cisalpini e di alcune vallate delle Tre Leghe: capitolo questo assai noto, con nomi eccelsi impegnati nei cantieri di mezza Europa, con alla testa figure come Fontana, Maderno, Borromini, Trezzini, seguite da una schiera di lapicidi, scultori, stuccatori, affreschisti. Molte famiglie retiche fecero fortuna a Venezia, sfruttando una promettente nicchia di mercato: quella del caffè e dei pasticcini. Anche in questo tipo di migrazione, sottolinea l’autore, si è in presenza di un alacre andirivieni di menti e braccia: uno stuolo in cammino di negozianti, domestiche, spazzacamini, facchini, come pure di scienziati, medici e dotti (questi ultimi pochi e apprezzati nelle corti e nelle accademie europee). Questa indagine di Holenstein vuol essere transnazionale. Significa che la Svizzera, così come si è sviluppata a partire dal Ri-
nascimento, è da considerare come il risultato di un fitto intreccio di relazioni tra l’interno e l’esterno: flussi migratori a volte promossi (apertura), a volte ostacolati (ripiegamento), a somiglianza di un movimento sistole-diastole. Questo continuo scambio oltre le frontiere politiche è mutato nel tempo, ma non è mai scomparso, nemmeno al tempo delle dittature. Sempre ha trovato il modo di inserirsi nella corrente pulsante dei commerci, nella produzione e nella compravendita di prodotti industriali di qualità e, più recentemente, nell’offerta di servizi bancari e finanziari, fino a diventare una super-potenza tascabile, piattaforma girevole di capitali alla ricerca di un porto sicuro. Il saggio di Holenstein ha già avuto tre edizioni in tedesco (Hier und Jetzt) e una in francese (Antipodes). L’edizione in lingua italiana è corredata di una galleria di immagini pensata a scopo didattico.
CULTURA
Sulle tracce di Pratt
A colloquio con il fotografo ticinese Marco
D’Anna che, grazie alla propria professione, si è ritrovato nei luoghi più impensati della terra
Pagina 17
La lotta per la terra
Finalmente tradotto in italiano Erediterai la terra, il romanzo che è valso a Jane Smiley il prestigioso Premio Pulitzer
Pagina 18
L’ascesa del male
Ispirata al romanzo di Antonio Scurati, esce su Sky Atlantic la serie M – Il figlio del secolo; nei panni di Mussolini l’ottimo Luca Marinelli
Pagina 19
Le forme del fantastico tra sogno e realtà
Mostre ◆ Al Kunsthaus di Zurigo, il lato oscuro di Albert Welti, in dialogo con maestri europei come Goya e Redon
Emanuela Burgazzoli
«Le due fonti della sua maestria erano una forte, ostinata fantasia – nutrita da profonde fondamenta dell’anima e da un’antica volontà di forma»: sono parole di Hermann Hesse, amico di Albert Welti che negli anni è diventato il Sonderfall, il caso unico nella storia dell’arte svizzera di un artista «fuori tempo», a lungo dimenticato.
Welti nasce a Zurigo nel 1862, studia a Monaco e poi diventa assistente del suo maestro Arnold Böcklin. Figura importante, come quella del suo mecenate Franz Rose-Döhlau che gli garantirà il sostentamento per quasi tutta la sua vita in cambio della proprietà dell’intera opera: un contratto che vincola Welti anche nelle scelte stilistiche e artistiche. Dopo la Notte di Valpurga, Rose-Döhlau lo esorta a raffigurare meno nudità e a concentrarsi sulle vedute dei paesaggi del Sud.
Ma l’opera grafica e la tecnica dell’incisione restano un territorio di sperimentazione, in cui, come osserva nel saggio in catalogo Bice Curiger – che aveva già riscoperto l’anima «demoniaca» di Welti curando al Kunsthaus una sua mostra nel 1984 –manifesta il suo lato più sincero, antieroico e antimonumentale. Una produzione grafica rimasta in ombra rispetto a quella del pittore ossequioso degli stili convenzionali dei maestri antichi (del Welti che firma un austero ritratto dei genitori in stile fiammingo), ora invece riproposta da Jonas Beyer, responsabile della collezione di grafica del museo, in un contesto più ampio compreso tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento.
Nell’opera di Welti, l’arte grafica diventa strumento di indagine interiore e sociale attraverso un forte immaginario onirico
Il «Wild Swiss» (così era noto in Gran Bretagna Welti) aveva raggiunto l’apice della carriera a cavallo tra due secoli e tra due mondi, coltivando la sua arte a margine della corrente principale dell’arte moderna in Svizzera dominata dalle figure di Hodler, Amiet e Giovanni Giacometti; l’anima di Albert Welti resterà sempre in bilico tra due poli, quello di un’esistenza tranquilla, piccolo borghese, che lo vede autore di molti lavori su commissione (come l’affresco per la sala del Consiglio degli Stati a Palazzo federale) e quello invece che lo vede assecondare una forza più «selvaggia», appartenente alla sua più autentica vena artistica, che lo porta a esplorare il versante oscuro e multiforme della dimensione del fantastico e del sogno, sospesa tra visioni apocalittiche e atmosfere simboliste. Ed è nel bianco e nero della grafica, in particolare nelle varie tecniche di incisione, che il pitto-
re svizzero si rivela uno sperimentatore senza sosta, con esiti che ne fanno un maestro accanto ad altri grandi artisti quali Rops, Klinger, Goya, Bresdin o Redon, le cui opere sono inserite nel percorso espositivo a comporre un dialogo a più voci, serrato e fluido al tempo stesso, che nell’insieme forma una costellazione eterogenea, ma compatta, di grande potenza visiva. Un dialogo suddiviso per temi – i cavalli, la folla, i ponti, il sogno – con opere di formato variabile, da quello piccolissimo delle cartoline d’auguri e
degli ex libris al grande formato; ma la dimensione non incide sulla forza di attrazione che sembra in grado di trascinare lo spettatore all’interno della scena; Welti infatti è un grande narratore per immagini del suo tempo, capace di sorprendenti intuizioni sul mondo che si stava affacciando con il nuovo secolo.
Nel capitolo dedicato al tema della «folla» troviamo, esposta insieme ai disegni preparatori che ci guidano anche nel percorso dall’idea all’esecuzione, la sua più famosa incisione, Die Fahrt ins
XX Jahrhundert, (1899-1900), in cui è raffigurato il viaggio verso il ventesimo secolo come una sorta di carovana di personaggi gesticolanti, in cui si distingue un Cristo che sta per essere buttato giù da un grande carro che avanza su binari sospesi, retti dalle possenti braccia di giganti, illuminati da una figura a margine del disegno: un metaforico passaggio al nuovo secolo in cui sembra di sentire la sferragliante avanzata di questo carro verso un futuro pieno di incertezze, verso un vuoto (di valori?).
Uno sguardo disilluso, se non amaramente sarcastico, è quello che Welti sembra avere anche in Fortuna (che doveva preludere a un’altra opera, mai realizzata, intitolata Trionfo della stupidità), altro esempio del ritratto dettagliato di una folla animata da una cieca e scomposta energia, che sembra segnare, seppur con umorismo, lo sgretolamento di un’intera società, come quella raffigurata da Ensor nella celebre La Cathédrale (1896), in cui una cattedrale gotica domina su una moltitudine di figure, divise tra quella che sembra una parata militare e una macabra sfilata di Carnevale. Tutte incisioni che assumono il valore di compendi sociologici, precisi e acuti, come accade anche nel movimentato Ehehafen, un racconto caleidoscopico di scene sulle relazioni matrimoniali, che tutto sembrano, fuorché un «porto sicuro».
Da incisioni e dipinti, emerge un linguaggio capace di evocare visioni apocalittiche e paesaggi sospesi tra realtà e mito
Albert Welti è stato capace di sondare, come il Klinger di Accordi, le profondità dell’io interiore, raccontando già le visioni dell’inconscio, in anticipo sulle scoperte della psicanalisi; ne è un esempio l’acquaforte intitolata Mondnacht (Notte illuminata dalla luna), la prima opera di Welti che ha colpito profondamente Herman Hesse. Sogno o visione? Rivelatoria è l’annotazione dell’artista trovata su una delle sue pagine di schizzi: «L’arte è sogno / chi vuole intendere di più si sbaglia». E nel regno oscuro dell’immaginazione emergono scene sinistre, popolate da creature bizzarre, come fantasmi, diavoli, scheletri e naturalmente streghe, che sono le protagoniste del dipinto capolavoro La notte di Valpurga, (1897), accostato alle sue versioni grafiche, non meno potenti, e a un Capriccio con strega (n. 66) di Goya, il maestro spagnolo ammirato dal pittore zurighese. Osservando il dipinto si ha l’impressione di volteggiare insieme a questi corpi nudi capovolti in frenetiche capriole, di percepire lo stesso furore che il pittore ha trasmesso a queste creature diaboliche; perché in fondo davanti alle visioni di Welti ci sentiamo anche scagliati in un mondo, il nostro, che ci presenta oggi i suoi lati più oscuri.
Dove e quando Albert Welti und die Grafik des Fantastischen, Zurigo, Kunsthaus. Fino al 9 febbraio 2025. Orari: ma-me, ve-do 10.00-18.00; gio 10.00-20.00; lu chiuso. Informazioni: www.kunsthaus.ch
Trucchi per risparmiare un bel po’ di soldi nella vita di tutti i giorni
Anno nuovo e portafoglio quasi vuoto: scopri come risparmiare nella vita quotidiana senza dover rinunciare (quasi) a niente.
Edita Dizdar, Kian Ramezani
Salva il cibo
Fin troppi alimenti finiscono nella spazzatura. È ora di darci un taglio!
L’app Too Good To Go ti permette di trovare gli alimenti avanzati e non venduti dei tuoi negozi e ristoranti preferiti a un prezzo equo. La Migros dà il suo contributo, e tu?
Prezzi bassi e azioni
Con oltre 500 prodotti a basso prezzo, risparmi 365 giorni all’anno. A ciò si aggiungono le azioni settimanali, valide dal martedì al lunedì sera. Per scoprire quali sono i prodotti di volta in volta ridotti di prezzo, ti basta consultare il volantino allegato al settimanale «Azione» o la tua app Migros. Se ami la praticità, ogni domenica puoi informarti sulle azioni previste tramite WhatsApp.
Per saperne di più clicca qui:
Controllare gli abbonamenti
Quanti abbonamenti a giornali, riviste e servizi di streaming hai? E li usi tutti regolarmente?
Se non è così, ti consigliamo di controllare e disdire i vari contratti.
Utilizzare il filtro risparmio su migusto.ch
Sapevi che su migusto.ch è possibile filtrare le ricette in base agli articoli in azione e ai prodotti M-Budget? O che è possibile preparare molti piatti economici per quattro persone a meno di dieci franchi? In pochi clic puoi trovare l’ispirazione per il tuo prossimo menù fai da te, risparmiando allo stesso tempo.
Finanze
Fare un bilancio familiare Chi vuole risparmiare dovrebbe innanzitutto farsi un quadro generale della propria situazione finanziaria. Il primo passo è elencare tutte le spese. Le app specifiche per il cellulare permettono di farlo facilmente e velocemente. L’offerta è ampia. Molto popolari sono, ad esempio, MoneyControl e Mein Budget.
Grandi quantità dove ha senso Quello che puoi senz’altro comprare in quantità maggiori e quando è in azione, sono gli alimenti a lunga conservazione. Tra essi figurano la pasta, la farina o lo zucchero. Anche sui detersivi per il bucato e per le stoviglie vi sono azioni al 50% più volte all’anno che permettono di fare scorta per diversi mesi.
Riscaldamento intelligente
Nella maggior parte delle località della Svizzera, gennaio è il mese più freddo dell’anno. Che sia a olio combustibile, a gas, a legna o a pompa di calore, il riscaldamento intelligente permette di non patire il freddo e di risparmiare. Di notte si può abbassare facilmente, anche in camera da letto, stanza nella quale la temperatura non dovrebbe comunque superare i 18 gradi. In inverno arieggiare è importante ed è meglio farlo in maniera breve e intensa.
Portarsi da mangiare
Un panino qui, un pranzo là, un caffè to go: quel che consumiamo in una giornata (lavorativa) a poco a poco si accumula e grava sul budget. Se vuoi percepire velocemente gli effetti del risparmio, per un po’ puoi fare a meno di acquistare fuori casa pasti, snack e bevande e portare invece tutto da casa in lunch box e borracce sostenibili o in tazze portatili.
Risparmiare energia elettrica
Anche se nel 2025 il prezzo dell’elettricità scenderà di nuovo in molti comuni, sarà comunque significativamente più alto rispetto a qualche anno fa. Allora vale davvero la pena di risparmiare sulla corrente: il bucato meno sporco, ad esempio, si può tranquillamente lavare a 30 gradi, meglio ancora se non con la lavatrice a mezzo carico. Lo stesso vale per la lavastoviglie. Non lasciare in stand-by apparecchi come televisori e macchine per il caffè, ma spegnili completamente quando non sono in uso. Farlo è molto semplice se li colleghi a una presa multipla dotata di interruttore e che puoi quindi accendere e spegnere con grande facilità. Quando cucini, poi, non dimenticare di mettere il coperchio sulle pentole. Quanto alla doccia, anche qualche minuto e/o qualche grado in meno fanno una grande differenza.
Noleggiare invece che acquistare
L’elettronica ricreativa può essere molto costosa, per non parlare delle automobili. Allora perché non noleggiare invece che acquistare?
Con il car sharing di Mobility l’auto è tua solo quando ne hai davvero bisogno. E su Sharely si possono noleggiare computer, proiettori e molto altro ancora. Se poi preferisci acquistare, vale la pena dare un’occhiata ai prezzi che Revendo propone per la sua elettronica ricreativa d’occasione.
Marco D’Anna, fotografo viaggiatore
Primi piani ◆ Inseguendo avventure reali e visioni prattiane, dal Canale di Beagle alla Transiberiana, il fotografo ticinese ha nutrito per anni la propria ricerca di bellezza e di significato
Stefano Spinelli
«Se qualcuno mi avesse detto che avrei scalato vulcani alle Azzorre, navigato a vela nel Canale di Beagle, fatto picnic a -40 gradi sul lago Bajkal in Siberia, scalato le piramidi Maya in Guatemala, viaggiato su treni nelle montagne Schaan in Birmania, percorso le piste dei deserti del Rajasthan in sella alle Royal Enfield, disceso il Mekong in Vietnam, scommesso agli incontri clandestini di galli a Cuba, bevuto whisky alle Orcadi, incontrato i cercatori d’oro sulle spiagge del Pacifico in Cile, rincorso i cavalli selvaggi in Mongolia, reso omaggio alla tomba di R.L. Stevenson ad Apia in Polinesia, mangiato cavallette nei mercati di Harbin in Cina, navigato nelle paludi del Suriname, cercato i pirati nel golfo di Aden in Somalia a bordo di elicotteri militari, attraversato i deserti della Dancalia, e potrei andare avanti ancora un bel po’… avrei detto: “È impossibile”. Invece ho fatto tutte queste cose con Marco Steiner nella nostra ricerca improbabile degli itinerari di Corto Maltese».
Marco D’Anna – fotografo di lungo corso, con una carriera di oltre quarant’anni, attraverso i quali ha potuto affrontare e portare a buon fine numerose sfide professionali di non poco conto – oggi raccoglie a piene mani i frutti delle sue esplorazioni, con mostre importanti in giro per il mondo, pubblicazioni, acquisizioni da parte di collezionisti.
Ancora adolescente, segue la canonica formazione di apprendista. Muove poi i primi passi lavorando per diversi giornali locali. Presto si rende però conto – ammirando, come ci dice, il senso di leggerezza dei gabbiani in volo, che una redazione mandava a fotografare per esercitare le capacità di reazione – di aspirare lui medesimo a quella libertà, di voler soddisfare il bisogno insorgente di viaggiare alla scoperta del mondo e di sé.
La libertà è diventata la sua musa, un bisogno vitale che ha trovato soddisfazione solo nel continuo viaggiare per nutrire lo spirito creativo
Approfondisce la conoscenza della materia collaborando con fotografi di fama, tra i quali Gabriele Basilico, René Groebli, Marco De Biasi, René Burri, Gianni Berengo Gardin. Nell’1986 apre il suo primo studio da indipendente. Ma è nei primi anni Novanta che gli si presenta l’occasione di conoscere e instaurare una proficua relazione d’amicizia e di lavoro con Franco Maria Ricci, editore italiano che per decenni sarà di riferimento per le sue raffinatissime pubblicazioni d’arte.
Grazie a questa collaborazione, Marco inizia a viaggiare in varie parti d’Europa – vere e proprie spedizioni, con quintali di materiale e assistenti al seguito – per fotografare opere d’arte: quadri, affreschi, sculture, chiese, giardini… L’esperienza, durata sette anni, diventa un formidabile periodo formativo durante il quale acquisisce una grande perizia tecnica, perizia che gli tornerà utile nel corso della carriera. Non dimentichiamo che allora, per questo tipo di committenze, si lavorava ancora in pellicola positiva (e, in questi frangenti, col banco ottico) con tutta la complessità operativa
che ciò comportava. Allo stesso tempo, grazie ai tanti viaggi arricchisce il proprio bagaglio culturale e artistico. È un periodo di cui serba un indelebile ricordo: «È stato bellissimo, un grande azzardo, ma anche una grande volontà di farcela. Poi ho fatto tanti libri e tanti reportage con lui. Ovunque. Bellissimo. Ho raramente incontrato una persona così colta, così speciale e di straordinaria competenza come lui».
Periodo che però si esaurisce in forza del fatto che il lavoro, in buona sostanza, consisteva prettamente in un esercizio d’ordine tecnico, documentario. Di grande impegno, certo, ma che escludeva qualsivoglia mira interpretativa. La fotografia implica invece anche altre dimensioni – creative e di comunicazione – di cui, alla lunga, un fotografo non può fare a meno. Nel 2004, un ulteriore incontro fortuito gli aprirà le porte ad altri innumerevoli viaggi che segneranno i suoi anni a venire. Marco entra in contatto con la società Cong che progetta la riedizione delle storie di Corto Maltese – figlie del maestro di Malamocco, Hugo Pratt – ampliandole con dei testi introduttivi e con fotografie da realizzare nei luoghi in cui le storie si svolgono. Nasce così, in questa occasione, il sodalizio tra D’Anna e Marco Steiner, scrittore e viaggiatore. Insieme, per quattordici anni, ripercorreranno gli itinerari seguiti dall’avventuroso marinaio prattiano, più altri concepiti da Steiner. Sono viaggi che, oltre a servire alla riedizione degli album di Corto Maltese, sfoceranno in molteplici altre pubblicazioni e mostre.
Prima tappa di questo lungo percorso è l’Etiopia. D’Anna e Steiner visitano poi la Manciuria, l’Armenia, l’Irlanda, la Bretagna, l’Argentina, la Turchia, le isole del Pacifico e dei Caraibi, l’Amazzonia, la Mongolia, la Siberia. Vivendo in ognuno di questi luoghi momenti e incontri straordinari. E scattando splendide fotografie.
D’Anna si prepara per questi viaggi approfondendo aspetti culturali dei Paesi che andrà a scoprire: «Vai in Argentina, ascolti Gardel, il tango, leggi Borges… In questo modo, ogni volta siamo entrati in profondità esplorando, dei vari Paesi, la cinematografia, la letteratura, la pittura, la musica soprattutto, che erano i mondi di Pratt». Partendo, poi, fanno tabula rasa delle varie nozioni acquisi-
te e si lasciano trasportare, in modo fluido, dall’istinto e dagli eventi a cui vanno incontro, da quello che erano le occasioni e le opportunità. Spesso partono sprovvisti del biglietto di ritorno per poter godere di un massimo di libertà d’azione. Ovviamente, degli scenari attraversati da Corto Maltese più di cento anni or sono, in tanti posti non c’è praticamente più traccia. Si tratta al-
lora, con l’immagine fotografica, di riuscire a cogliere nei vari luoghi le emozioni e i valori – e quella certa dimensione magica – che ritroviamo nei mondi di Pratt. Da un punto di vista formale, per rendere omaggio ai disegni prattiani, alla loro genesi, D’Anna adotta l’uso di pellicole bianco e nero ad altissimo contrasto, mentre per il colore – sempre in un’ottica di omaggio, riferendosi alle raffinate colorazioni acquarellate di Pratt – impiegherà perlopiù del materiale polaroid, in sintonia con quel tipo di tonalità. Un tempo manualità e tecnica esigevano un rigore assoluto, ogni scatto era una sfida da non fallire Nel fotografare i vari luoghi visitati, Marco D’Anna entra con rispetto e gentilezza nelle situazioni, non ruba mai un’immagine, ma chiede il permesso, anche perché, a dipendenza delle situazioni, potrebbe essere assai pericoloso comportarsi diversamente – e in questo modo quasi mai ha ricevuto rifiuti. Solo una volta, ci racconta, su un treno della Transiberiana, passando davanti a uno scompartimento, si è trovato di fronte a una situazione che ci descrive come dantesca e che non vuole lasciarsi sfuggire: «C’era un uomo a torso nudo, enorme, un Buddha, asiatico, con una catena d’oro. C’era del vapore acqueo, denso, all’interno dello scompartimento, e aveva tra le gambe una pentola. Stava cucinando una testa di pecora, e aveva di fianco due persone vestite di nero…». Così, insiste un po’ troppo nella richiesta e finisce per farsi rincorrere lungo i vagoni dagli scagnozzi del personaggio in questione. Una foto mancata, di cui resterà però intenso il ricordo.
Un’altra volta, invece, in Suriname, di fronte al diniego espresso da un gruppo di giovani armati di pistole, intenti a giocare a biliardo, con tanta pazienza e birre offerte riesce a farseli amici e a poter infine scattare uno splendido ritratto di gruppo (vi invito caldamente ad andare a visitare il sito marcodanna.ch, in cui trovate questa e tante altre immagini tratte da altrettante serie fotografiche).
I viaggi sulle tracce di Corto Maltese rappresentano una tappa fondamentale nel suo percorso di crescita. Viaggiare, come ci dice, se resti aperto, modifica il tuo spirito, la tua cultura, cambia assolutamente il modo di vedere te stesso e il mondo: «E questo mondo, quello di Pratt, mi ha toccato in profondità. Oggi tutto quello che faccio vive di queste esperienze profonde».
Oggi, Marco D’Anna si dedica praticamente solo a ciò che l’appassiona. Le esigenze, col tempo, riguardo la qualità dei progetti che realizza, suoi o quelli in cui viene coinvolto, si sono alzate. Nel fare, deve esserci piacere – un piacere che si traduce in bellezza – che s’instillerà nel lavoro prodotto e che, per forza, in un qualche modo verrà colto e apprezzato dall’osservatore. Ma oltre alla bellezza, ci dice, le immagini devono veicolare un messaggio, un senso profondo, trasmettere uno sguardo sul mondo che possa sollecitare domande, senza per questo dover fornire risposte. Anche in questo risiede la potenza della fotografia, nella sua capacità etica di evocare la complessità del mondo rinnovando il nostro sguardo.
Le conseguenze delle relazioni
Letteratura ◆ Il capolavoro di Jane Smiley, vincitore del Pulitzer, esplora con intensità la complessità dei rapporti familiari
Marzi
Laura
Erediterai la terra di Jane Smiley, edito da La Nuova Frontiera e tradotto da Raffaella Vitangeli, si è aggiudicato il premio Pulitzer nel 1991 ed è stato pubblicato in Italia quest’anno per la prima volta. Sono sempre più numerose le polemiche che riguardano i premi, perché si sa che molto spesso i romanzi che vincono non sono i migliori, che a determinarne il successo non è il valore letterario, ma altri criteri. Basterebbe leggere questo testo per smentire tutto ciò: almeno per una volta non è andata così.
Il romanzo di Jane Smiley è una di quelle storie che ti dispiace lasciare quando è ora di dormire e che sei contenta di ritrovare l’indomani: racconta di una famiglia che possiede mille acri di terreno agricolo nella contea di Zebulon, in Georgia, Stati Uniti d’America: una proprietà che costituisce un’indubbia ricchezza e anche una maledizione. Le vicende raccontate iniziano con la decisione del padre di cedere la terra alle tre figlie prima della sua morte, per evitare in questo modo le tasse di successione. La minore delle tre, Caroline, che è l’unica che non vive più nella contea ma si è trasferita in città, dove esercita la professione di avvocata, è anche la sola a non accettare la donazione e a opporsi alla scelta delle sorelle di iniziare a occuparsi della fattoria paterna coi rispettivi mariti. In effetti, nel giro di pochissimo tempo il padre, privo della sua proprietà, inizia
a perdere il senno e a essere ancora più aggressivo nei confronti delle due figlie che si occupano di lui da sempre: Ginny e Rose. Ginny è la voce narrante di questo romanzo e la sua relazione con la sorella Rose è al centro di questa storia: le due bambine sono cresciute insieme e si sono date man forte durante la malattia della madre e poi si sono occupate della piccola Caroline, che era solo una bambina quando la loro mamma è
morta. Rose è una donna determinata e dispotica, che all’inizio del romanzo è in fase di guarigione da un tumore al seno. A connotarla è la sua rabbia e la capacità che ha di esternarla, senza avere paura delle conseguenze. Ginny, al contrario, è accondiscendente, fa sempre quello che Rose le dice e si adegua senza mai lamentarsi al volere del marito Ty, che è un uomo gentile, ma estremamente determinato a dedicare la sua esistenza alla terra che sua mo-
Immagine della copertina del romanzo di Jane Smiley.
glie ha appena ricevuto in donazione. Ginny e Rose sono due adolescenti abusate e picchiate dal loro padre, «e l’aspetto più assurdo è che gli altri lo rispettano. Lo trovano simpatico e lo ammirano». Rose ricorda tutto, mentre Ginny ha rimosso le violenze sessuali. Caroline, infine, che è scampata alla tragedia dello stupro, difende il padre, convinta che le due sorelle agiscano così a causa dell’avidità. Jane Smiley riesce attraverso un ro-
manzo denso di avvenimenti, ma anche di riflessioni profonde sulle conseguenze delle relazioni e sugli scenari che si creano quando di mezzo ci sono beni ed eredità, a creare un racconto universale sulle tragedie familiari e sulle ingiustizie che si perpetrano di generazione in generazione. Lo fa a partire dal suo strumento: la letteratura. Nel libro non ci sono personaggi del tutto innocenti, se non forse Linda e Pam, le due figlie di Rose che sono ragazzine all’inizio della storia, e i sentimenti vengono raccontati come sono nella realtà: ambigui, a volte sbagliati, ma inesorabilmente umani. Gli eventi narrati, dalle conseguenze che i composti chimici usati per fertilizzare le terre della contea hanno avuto sulla salute di Ginny, Rose e chissà quanti altri abitanti di Zebulon e dintorni, agli abusi sessuali, fino ai rapporti di genere, non vengono mai raccontati solo per suscitare indignazione, ma come aspetti, seppur tremendi, della vita di molte persone che per sopravvivere sono state costrette a farci i conti e ad andare avanti: «Ho solo la certezza di aver visto! Di aver visto senza paura e senza voltare le spalle, e di non aver perdonato l’imperdonabile».
Bibliografia
Jane Smiley, Erediterai la terra, Roma, La Nuova Frontiera, pp. 445.
• Chiamate e SMS illimitati all’interno della Svizzera
• 8 GB di dati in Svizzera
Il nostro amico Albi
Podcast ◆ Un nuovo podcast firmato RSI racconta uno dei protagonisti della Lugano underground della fine degli anni 90
Olmo Cerri
Me lo ricordo bene, Albi. Anzi: «l’Albi» , con quell’articolo determinativo, come lo chiamavamo noi. E come lo ricorderà sicuramente chiunque sia cresciuto nella Lugano «alternativa» della fine degli anni 90 e dei primi anni Duemila: quella dell’occupazione dei Molini Bernasconi, dei Goa Party e dei canapai.
Una presenza costante, una figura quasi mitica, che potevi incrociare al parco del Tassino o al Ciani, a volte in piazza Dante – o meglio: sulle panchine di «Piazza Inno» – o al limite «al Pedro», la mitica birreria in Via al Forte. Età indefinibile, sicuramente oltre i quaranta, forse quasi cinquanta: «Appariva a tutti come giovane e vecchio al contempo». Magro come uno stecco, con guance incavate e capelli scuri. Addosso portava sempre un persistente profumo di patchouli e di incenso, accompagnato da un grande sorriso. Sulla sua immancabile giacca di jeans spiccava una vistosa spilla di Madre Meera – la mistica indiana dall’aria serena. Albi accennava a un passato a Milano, fatto di eroina, comunità e di militanza politica. Sbarcato a Lugano per ragioni familiari la sua omosessualità vissuta liberamente non passò certo inosservata, «Scandalizzammo la città, perché andavamo sempre in giro abbracciati o mano nella mano. Ci facemmo pure sbattere fuori da alcuni locali e caffè, baciandoci impunemente in pubblico». Quando lo conoscemmo noi era single e già non si faceva più. Era stato a «Le Patriarche», la mitica e contestata comunità di recupero, rollava canne a tutto spiano, e parlava senza sosta di musica e letteratura. Fu lui a introdurmi alla fantascienza, alle sonorità degli anni 70 e agli autori della Beat Generation. Albi aveva un modo tutto suo di prendersi cura di noi: era una presenza rassicurante e quasi paterna per molti di noi «regaz», perduti nella placida e borghese Lugano pre-aggregazione.
Oggi Daniele Bernardi, classe 1981, attore, poeta e collaboratore di «Azione», e anch’egli parte di quella generazione profondamente segnata da Albi, dedica a questa storia iperlocale un toccante podcast in cinque puntate, Droga Yoga ed Hiv. Storia del mio amico Albi. Pubblicato in occasione della Giornata mondiale contro l’AIDS, è già disponibile sulle principali piattaforme. La produzione è firmata da Francesca Giorzi che, con Audiofiction RSI, sta svolgendo
un prezioso lavoro di valorizzazione di frammenti dimenticati della storia recente del nostro territorio; la sonorizzazione è curata da Yuri Ruspini. Il racconto di Daniele prende avvio dal suo primo incontro con Albi: «Quando, quell’autunno, (…) Albi mi si avvicinò per conoscermi meglio, io lo sapevo da un pezzo che aveva l’HIV. Lo sapevano tutti, in piazza. Non faceva nulla per tenerlo nascosto, anzi: nel presentarsi, fra le prime cose ti diceva: “Sono omosessuale, sieropositivo ed ebreo”. Allora nessuno di noi aveva mai incontrato né un omosessuale né un sieropositivo né un ebreo e un simile biglietto da visita faceva subito colpo».
Nel podcast sono riscritte memorie personali e collettive, raccolte tramite incontri e interviste a chi lo ha conosciuto
Il podcast ci conduce anche alla scoperta di un blog scritto da Albi stesso negli ultimi anni della sua vita. Un diario virtuale che viene fatto emergere da strati di sedimenti informatici, quasi fosse archeologia digitale. Daniele racconta: «Era venticinque anni che volevo raccontare questa storia. Quando trovai questo blog, ebbi davvero la sensazione di aprire lo sportello di un’astronave». E con quell’astronave, che viaggia attraverso spazi interstellari, l’autore ci guida in quello che, in altri periodi, sarebbe stato definito un romanzo di formazione. «Piazza Dante, allora, era un luogo di ritrovo ma pure di perdizione: non pochi dei ragazzi che lì si radunavano se ne sono andati presto, perché, come Albi e il suo compagno, troppo sbandati e fragili per vivere». Nelle cinque puntate del podcast scopriamo non solo la storia di Albi, ma anche quella di una generazione di sopravvissuti che ha dovuto destreggiarsi tra le lusinghe delle droghe, la fine degli ideali, gli scompensi psicotici e le derive mistiche.
Concepito come un viaggio sonoro, il podcast riscrive memorie personali e collettive raccolte tramite incontri e interviste a decine di persone che, per motivi diversi, hanno conosciuto Albi, inserendole poi in un immaginario a metà strada tra il racconto storico-letterario e quello fantascientifico. Una solida voce si intreccia con scene finzionali che, a
Il ritratto oscuro di un dittatore
TV ◆ La nuova serie di Sky Atlantic, tratta dal romanzo di Antonio Scurati, esplora l’ascesa di Mussolini e l’ambiguità del potere
Nicola Falcinella
tratti, rischiano di incrinare la credibilità del racconto. Un percorso narrativo che intreccia ricordi autobiografici con continui riferimenti filosofici e cyberpunk: da Alien 4 a Majakovskij, dal pensiero di Michel Foucault (anch’egli morto di AIDS) alla visionarietà mainstream di Matrix; e ancora, dal mistico indiano Śri Aurobindo allo scrittore Isaac Asimov (ennesima vittima della stessa malattia). Proprio quell’immaginario fantastico, tanto amato da Albi, capace di portarci fuori dal sistema solare, nello spazio e nel tempo, diventa metafora del suo percorso spirituale e della sua malattia. Gli spietati xenomorfi della saga di Alien, con la loro invasiva capacità di annidarsi nei corpi umani, diventano una potente metafora dell’epidemia che ha segnato una generazione. La fantascienza diventa però anche metafora politica, racconta infatti lo stesso Albi nel suo blog: «…mi è servita per rifugiarmi in quei mondi fantastici che non trovavo nella mia vita e mi ha aiutato ad acquisire una certa elasticità mentale che poi in seguito mi ha aiutato a penetrare nei mondi dello yoga; l’anarchia mi ha fatto capire che quel mondo ideale andava creato, che c’erano altre persone al mondo che ci credevano, che lottavano e addirittura ci lasciavano la vita lottando per realizzarlo».
Albi poi è morto, il sangue sulfureo di Alien ha avuto la meglio. Come Daniele Bernardi, anche io pensavo che fosse eterno e invece ci sbagliavamo. Lascia un vuoto.
In occasione della presentazione del podcast, Zonaprotetta, il servizio che a Lugano si occupa di diritti, salute e sessualità, ci ricorda che oggi in Svizzera, grazie alle terapie antiretrovirali, di AIDS non si muore quasi più. Se adeguatamente trattato, il virus dell’HIV può diventare non rilevabile nel sangue, riducendo il rischio di trasmissione a zero. Sono oltre 17’000 le persone che in Svizzera convivono con l’HIV. Oltre a prevenire nuovi contagi, è fondamentale combattere stigma e pregiudizi, ancora troppo diffusi. È anche questo il senso di questo podcast in cui, i ricordi di Albi – e della sua malattia – riaffiorano dalla nebbia del tempo come files riportati alla luce da un server dimenticato. La sua voce squillante risuona ancora, diffondendo radiazioni cosmiche e vibrazioni mistiche lungo le strade della Gotham City sulle rive del Ceresio.
È un’opera ambiziosa dal respiro internazionale, che si rivolge anche a un pubblico che poco conosce la storia italiana, con qualche ammiccamento e una esplicita citazione di Donald Trump. Stiamo parlando di M – Il figlio del secolo, la novità decisamente più interessante di inizio anno tra le serie televisive, ora disponibile su Sky Atlantic dopo essere stata presentata fuori concorso alla Mostra di Venezia lo scorso settembre. Sono otto gli episodi ricavati dall’omonimo romanzo storico di Antonio Scurati, per la regia dell’inglese Joe Wright, noto soprattutto per L’ora più buia del 2017, ispirata, quest’ultima, alle vicende dell’allora Primo ministro britannico Winston Churchill. Nel ruolo di Benito Mussolini c’è Luca Marinelli – attore affermatosi con La solitudine dei numeri primi, Lo chiamavano Jeeg Robot, Diabolik o Le otto montagne – reso molto somigliante grazie a un trucco accurato. Il rapido prologo è un sunto del Ventennio fascista e si conclude con l’inquietante dichiarazione «Siamo ancora tra voi»: da una parte è come se la narrazione avvenisse in un lungo flash-back, dall’altra è come se mettesse lo spettatore davanti all’epilogo della sua parabola.
L’uomo che si rivolge direttamente al pubblico è tanto seducente quanto tragico è il destino verso cui porterà il suo Paese e non solo. Il protagonista parla spesso rivolto alla cinepresa, rendendo chiara la manipolazione attuata da Mussolini e chiamando in causa lo spettatore. Si crea così l’ambiguità che è uno dei punti di forza, ma pure un rischio, dell’operazione, perché mettere sul banco errori e malefatte forse non toglie la fascinazione del personaggio. M, scritto da Stefano Bises e Davide Serino, inizia a Milano il 23 marzo 1919, quando in piazza San Sepolcro furono fondati i Fasci di combattimento, per terminare il 3 gennaio 1925, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, che segnò una svolta senza ritorno del regime. Dallo squadrismo (il futuro Duce incita, sfrutta o giustifica la violenza fin dagli inizi) agli equilibrismi politici (dall’intenzione di riscattare i reduci della Grande guerra per passare presto a ricambiare i possidenti per i generosi finanziamenti) si corre veloci verso la marcia su Roma nell’ottobre 1922, poi l’ingresso al Gover-
no e una presa del potere sempre più ferrea.
La narrazione è coinvolgente e ritmata, su un montaggio spesso veloce e con accostamenti stimolanti e sulle musiche di Tom Rowlands dei The Chemical Brothers. L’impianto è fedele al romanzo di Scurati, che da poco ha pubblicato il quarto della serie, M. L’ora del destino, dedicato ai primi tempi della guerra.
Se ne L’ora più buia, Churchill bollava Mussolini come «lacchè di Hitler» (sui loro rapporti, c’è l’interessante documentario del ticinese Villi Hermann Mussolini, Churchill e cartoline), qui Wright approfondisce la figura del fondatore del fascismo. Ne esce un personaggio complesso e, per questi otto episodi, affascinante e vincente. Un opportunista favorito da avvenimenti quasi casuali, in un misto di sfacciataggine, arroganza, coraggio, carisma, nonché debolezza e divisioni degli avversari e forse qualcuno che, da dietro, sta a guardare e lascia fare.
Il bravo Marinelli è protagonista assoluto, presente in quasi tutte le inquadrature, nei panni di un politico che sembra procedere da solo, senza nessuno al suo fianco, spinto avanti dalla propria protervia. Un manipolatore, abile nello sfruttare i mezzi di comunicazione e deciso ad avere sempre l’ultima parola: soltanto Margherita Sarfatti (cruciale il suo contributo iniziale), Matteotti e la vedova di lui Velia Titta sanno rispondergli a tono.
M – Il figlio del secolo è il resoconto di ciò che accadde in Italia, ma punta a esplorare come nascano le dittature e come queste possano proporsi in tutte le epoche. Il fatto che il Duce si assuma con sfacciataggine le responsabilità politiche del delitto Matteotti senza pagarne le conseguenze, andando avanti senza perdere la presa sui cittadini, crea una strana prospettiva e getta una luce minacciosa anche sul presente.
I tanti spunti di riflessione sono contenuti dentro una confezione cinematografica sontuosa, dalla regia a tutti i singoli reparti. Nel nutrito e azzeccato cast che affianca Marinelli figurano Barbara Chichiarelli, Elena Lietti e Claudio Bigagli, mentre Paolo Pierobon (visto anche in Rapito) è Gabriele D’Annunzio proprio come in Qui rido io di Mario Martone.
VIVERE
100 anni Migros
Il giro del mondo
dei modi di dire grazie
La Migros compie 100 anni e ringrazia tutta la Svizzera anche con una speciale raccolta promozionale. Ma come si ringrazia in altre parti del mondo?
Dinah Leuenberger, Kian Ramezani
India/Thailandia
In India, spesso si ringrazia annuendo leggermente col capo e accompagnando il gesto con la parola hindi «dhanyavaad». Usatissimo è anche il gesto del «namasté»: si congiungono le mani davanti al petto, per esprimere sia rispetto sia gratitudine. Un altro gesto simile, chiamato «wai», viene eseguito anche in Thailandia per ringraziare.
Mondo arabo
Nel mondo arabo si dice «shukran», oppure ci si inchina leggermente portando la mano destra ad appoggiarsi sul petto, e anche questo è un segno di rispetto e sincera gratitudine.
Giappone
In Giappone in segno di ringraziamento si china il capo. A seconda del grado di gratitudine, l’inchino del capo può essere più profondo e prolungato. Il gesto viene eseguito in modi differenti dagli uomini e dalle donne. Gli uomini mettono le mani ai lati del corpo o leggermente davanti alle cosce. Le braccia sono comunque distese lungo i fianchi. Le donne stringono la mano sinistra con la destra in modo da formare con le braccia un triangolo davanti al grembo.
Nuova Zelanda
I Māori, la popolazione indigena della Nuova Zelanda, esprimono la loro gratitudine dicendo «kia ora». Questa espressione è spesso accompagnata da un gesto denominato «hongi», che consiste nel premere contemporaneamente fronte e naso contro quelli della persona a cui ci si rivolge per mostrare il legame che si sente nei suoi confronti.
Iran
In questo Paese un ringraziamento molto speciale viene riservato a chi cucina bene: dopo un pasto gustoso, si dice «dast-e schoma dard nakoneh», espressione in persiano che significa «Che le tue mani non ti facciano mai male».
Filippine
Mentre in molti Paesi, come la Russia, gli Stati Uniti o l’Italia, per ringraziare è bene usare una stretta di mano decisa, nelle Filippine ce ne vuole una delicata. Di solito accompagnata dalla parola «salamat».
VIVERE
100 anni Migros
Tibet
In Tibet è consuetudine mostrare la lingua in segno di rispetto e gratitudine. Questo gesto ha profonde radici storiche e viene spesso usato come saluto amichevole.
La Migros dice Merci
La Migros compie 100 anni e ringrazia le proprie e i propri clienti per la loro fedeltà: dal 14 gennaio al 10 febbraio 2025, si riceverà un bollino ogni 20 franchi spesi. Con una cartolina di raccolta completa (20 bollini) si ottiene una Merci Box, che contiene sette prodotti di uso quotidiano. E in più, 100 Merci Box scelte in modo del tutto casuale conterranno un attestato di vincita che potrà essere scambiato con un esclusivo doblone d’anniversario in vero oro.
Tutte le informazioni sono disponibili su:
Nigeria
Nella cultura degli Yoruba, un gruppo etnico presente soprattutto in Nigeria, i giovani esprimono gratitudine e rispetto per gli anziani inginocchiandosi (per le donne) o sdraiandosi completamente a terra (per gli uomini). Questi gesti sono profondamente radicati nelle pratiche culturali e simboleggiano umiltà e riverenza.
Gran Bretagna
Quel che un tempo era un costume comune anche alle nostre latitudini, in Inghilterra lo si fa ancora oggi: se si è grati a qualcuno per qualcosa, gli si scrive una «thank you note», cioè una letterina con alcune belle parole di ringraziamento.
Ghana
In Ghana, la gratitudine viene spesso espressa battendo le mani ed eseguendo il gesto a un ritmo particolare che vuole simboleggiare il rispetto e l’apprezzamento per l’aiuto o il sostegno ricevuto.
Il powerpack svizzero
TEMPO LIBERO
Il fascino controverso del «Bobostan»
Da Vienna a Parigi, la trasformazione degli spazi urbani passa attraverso storia, gentrificazione e il fenomeno dei «bobo», che stanno ridefinendo e modellando le città
Un magico orsetto polare con neve fatta in casa Fiocchi bianchi finti con bicarbonato e schiuma da barba, danno corpo a una perfetta attività sensoriale per bambini che amano il bricolage. È un’idea regalo originale
La traccia di un grande snowboarder paralimpico
Altri campioni ◆ Le incredibili vette sportive raggiunte da Aron Fahrni, come le vittorie in Coppa del Mondo, sono frutto del suo modo di guardare alla vita
La cabina teleferica rallenta progressivamente la sua velocità per fermarsi alla stazione di arrivo, in quota. L’addetto all’impianto apre le porte. C’è chi scalpita, chi esce canticchiando, chi è ancora rinchiuso nel suo mondo, chi inavvertitamente spintona gli altri per essere il primo. C’è chi, invece, più in là con gli anni, sorride e, osservando la scena, lascia uscire indisturbati i giovani sciatori e snowboarder, impazienti di tracciare la propria scia prima di tutti gli altri. Oltre a medaglie e risultati, la vera vittoria di Aron Fahrni è il modo in cui trasforma ogni ostacolo in un nuovo punto di partenza
E poi c’è Aron Fahrni. E anche lui si fa strada, immaginandosi la propria traccia a segnare la neve fresca sul pendio a due passi da noi. Ma questo non accadrà oggi, non ora. Perché oggi abbiamo deciso di darci appuntamento per una chiacchierata in vetta, prima che inizi il suo allenamento. Aron è un atleta paralimpico di snowboard molto conosciuto nel suo ambiente per i risultati ottenuti soprattutto nelle ultime due stagioni. Questi, i suoi risultati principali: primo posto ai Campionati del mondo di Banked slalom nel 2023 e secondo posto nello Snowboard cross; secondo posto in Coppa del mondo generale nello Snowboard cross nella scorsa stagione; terzo posto nel Banked slalom e secondo posto nella Coppa del mondo overall
Aron è noto nell’ambiente non solo per i suoi risultati, ma anche per essere un personaggio decisamente fuori dagli schemi. Si definisce una persona aperta e che ama le sfide di qualsiasi genere. E di regola si lancia in avventure apparentemente anche non logiche, come ama definirle lui. Adora disegnare e suonare e, quando è a casa sua, nell’Emmental, aiuta la famiglia nei lavori in fattoria. In questo momento, entrambi puntiamo lo sguardo alla finestra del bar in cui ci troviamo, a oltre 2500 metri. Ci sembra di dominare le montagne a 360 gradi. Davanti a noi, fra le creste innevate filtrano i raggi del sole, che sembrano raggiungerci con tutta la loro forza. E qui, improvvisamente, esce una parte che pochi conoscono di Aron. «Sono molto religioso, o meglio, credente», ci dice Aron. «Quando ho avuto il mio incidente, credo di aver vissuto un’esperienza cosiddetta extracorporea. Almeno questo è il ricordo che ho, anche se sempre più sfocato. Avevo solo sei anni. Per tanto tempo ho chiesto a mia madre se ciò che raccontavo fosse stato un sogno.
Alcuni particolari della mia descrizione però lasciavano intendere che fosse reale».
Realtà o immaginazione? Poco importa per Aron. Lui dopo l’incidente e nei molti anni di riabilitazione ha trovato nella fede la ragione per superare i molti ostacoli che la vita gli ha presentato. «Attraverso il mio credo riesco a sentirmi libero e leggero e questo ha degli effetti anche sulle mie prestazioni sportive». In un certo senso Aron sente di aver ricevuto dall’al-
to un talento sportivo e attraverso il risultato della prestazione è come se ringraziasse un’entità superiore per, appunto, il dono ricevuto. Fa strano sentire parlare in questo modo un giovane ventiseienne snowboarder. Ma casi simili nel mondo sportivo non sono un’eccezione. Non è di questo però che siamo qui a parlare oggi. Il tempo del caffè è finito. Senza spendere fiato in parole, decidiamo di mettere gli attrezzi ai piedi e di scendere verso la pista in cui è tracciato lo slalom per il suo allenamento giornaliero. In pista non è ancora sceso nessuno. Le tracce pettinate dal gatto delle nevi sono intatte. Mi fermo a osservare la discesa di Aron. «Vedi –mi dice una volta raggiunto – non riesco a essere completamente simmetrico nella sciata. Anche se per me è normale e non ho problemi a muovermi con il braccio sinistro paralizzato, a volte nello snowboard compenso una serie di movimenti con il braccio destro e questo si ripercuote nell’efficacia della mia discesa».
Aron, il suo corpo, lo conosce bene. Eccome. Dopo il liceo ha infatti deciso di intraprendere lo studio in scienze motorie. Si è preparato e ha superato con successo gli esami di ammissione, frequentando poi tutti i corsi come il resto degli studenti. «Ho svolto tutti gli esami pratici co-
me gli altri compagni, fatta eccezione per le prove di attrezzistica e di nuoto, discipline nelle quali il mio handicap avrebbe potuto penalizzare fortemente la prestazione». Durante gli studi decide di frequentare un corso di Gioventù e Sport di snowboard. Qui conosce Silvan Hofer, l’attuale allenatore della nazionale paralimpica di Snowboard. Il talento viene subito riconosciuto da quest’ultimo, che lo invita successivamente a trascorrere qualche giornata di allenamento assieme alla squadra rossocrociata. «È iniziata così la mia carriera sportiva come atleta paralimpico di snowboard», aggiunge Aron. Poi si gira di colpo, e mi chiede: «Sai che cosa significa Handschuhe Fresser in svizzero tedesco? Avevo sei anni. Subito dopo pranzo non avevo voglia di mettere gli sci ai piedi. Allora mi sono avvicinato al ponylift, ovvero lo skilift per i bambini che ti trasporta afferrandoti forte con le mani alla corda». Handschuhe Fresser tradotto letteralmente significa divoratore di guanti, perché in effetti l’attrito della corda sui guanti consuma il tessuto. «Quel giorno ho deciso di non più rovinare i miei guanti. Sono quindi salito a piedi e ho deciso di aggrapparmi alla corda per farmi trascinare verso il basso, per gioco. Era divertente». Qualcosa però è andato
storto. La manica della giacca si è incastrata nella corda e il piccolo Aron è rimasto impigliato nella ruota di partenza dello skilift.
«Ho strappato i nervi del braccio sinistro. Mi sono visto a terra, con gli altri bambini attorno. Ho questo ricordo. Sfuocato». Il percorso riabilitativo è stato lungo, con un trapianto di un muscolo della gamba per guadagnare una minima funzionalità del braccio. «Non voglio mettermi in mostra per la mia disabilità. Io sono così da venti anni e per me è normale. E non so se è per l’incidente che mi sono avvicinato alla fede, allo sport. Non lo so. So di essere qui, felice, dopo una discesa sulla pista. E sono felice e soddisfatto del mio percorso fatto fino a oggi».
Aron volge lo sguardo dall’altra parte, sulla pista, qui, ad Arosa, in cui lo scorso anno allo Swiss Snow Happening ha vinto i campionati svizzeri di maestri di Snowboard, partecipando nella categoria per normodotati. Un esempio di inclusione. E un esempio che potrebbe ispirare altri giovani a lanciarsi nello sport dopo essere stati messi alla prova dalla vita. E dove il risultato sportivo – anche se arriva, come nel caso di Aron – è al secondo posto. Al primo troviamo un esempio di come un incidente può tracciare una nuova via. Buona discesa, Aron.
Approfittane subito!
da 12 Tutti i prodotti Emmi Aktifit p. es. Aktifit fragola, 12 × 65ml, 7.60 invece di 9.50 20%
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide dal 14.1 al 20.1.2025, fino a esaurimento dello stock.
Le radici urbane del «Bobostan»
Reportage ◆ Viaggio tra quartieri trasformati da una nuova élite bohémienne, da Berlino a Londra passando per Vienna e Parigi
Simona Dalla Valle, testo e foto
La prima volta che ho sentito la parola «Bobostan» è stato qualche tempo fa a Vienna, durante una conversazione sui quartieri interni risalenti alla cosiddetta Gründerzeit, il quarto di secolo trascorso tra la rivoluzione del 1848 e il crollo della borsa del 1873 – che pochi giorni dopo l’apertura dell’Esposizione Universale di Vienna portò a una brusca interruzione di un periodo economico fino ad allora scoppiettante. Si parlava nello specifico del Karmeliterviertel, quartiere dove nel corso del XVII secolo confluirono tutti gli ebrei espulsi dalla città vecchia e in particolare dalla Judenplatz, centro della vita ebraica di Vienna sin dal Medioevo. Di conseguenza Leopoldstadt, distretto viennese così chiamato in onore del re Leopoldo, e anzitutto il Karmeliterviertel, divennero il nuovo centro della comunità ebraica, della quale rimangono le panetterie e i negozi di cibo kosher.
Cuore del quartiere, è il vivace Karmelitermarkt insieme alla vicina Karmeliterplatz, dominata dalla Chiesa cattolica di Sankt Josef. Sebbene nella capitale austriaca anche la zona di lusso intorno al Naschmarkt, il MuseumsQuartier, lo Spittelberg e altre parti di quartieri interni come Mariahilf, Neubau e Alsergrund sono conosciuti come Bobostan. In comune tra loro hanno raffinati gastro-pub, boutique di beni di lusso e ampi e luminosi open space per il coworking
Il «bohémien borghese»
è un nuovo tipo umano che vive una vita piena di ideali, coltiva un materialismo gentile, è corretto e creativo allo stesso tempo
Ma da dove arriva il soprannome Bobostan, e perché è stato attribuito a queste zone? Sebbene vi sia un po’ di confusione sull’origine del termine, ha senz’altro a che fare con bohémien, l’aggettivo coniato dal francese Henri Murger, contemporaneo di Baudelaire e autore del romanzo del 1857, Scene della vita di Bohème, che lo utilizzò come sinonimo di vita vagabonda e marginale.
Ma è in Bel Ami di Guy de Maupassant, 1885, che il termine bohémien apparve per la prima volta insieme a bourgeois, in un abbinamento usato per descrivere il personaggio di Clotilde de Marelle: «Fu allora che lei gli strinse la mano molto forte, per molto tempo; ed egli si sentì commosso da questa confessione silenziosa, preso da un’improvvisa cotta per questa piccola borghese bohémienne e bonaria che lo amava davvero, forse».
Fu tuttavia lo scrittore americano ed editorialista del «New York Times», David Brooks, a coniare il neologismo bobo nel quale lui stesso si riconosceva, quale abbreviazione dei termini bohémien e borghese.
Nel suo saggio del 2000, Bobos in Paradise: The New Upper Class and How They Got There, facendo riferimento per lo più alla upper class degli Stati Uniti alla fine degli anni Novanta, David Brooks definì i bobo «conservatori in jeans» e «capitalisti della controcultura». Un ossimoro ambulante! I bobo sintetizzano così due opposti che si credevano inconciliabili: quello della borghesia e dell’anti-borghese, dell’affermazione e della rivolta.
Mettendo insieme in modo scherzoso, quasi insolente, la selvaggia voglia di libertà dei movimenti di protesta degli anni Sessanta con l’etica imprenditoriale degli yuppies degli anni Ottanta, si ottiene un risultato ibrido e dissonante. Come raccontava Brooks vent’anni or sono, lo stile di vita dei bobo riuniva ciò che prima era considerato incompatibile: ricchezza e ribellione, successo professionale e atteggiamento anticonformista, il pensiero degli hippies e lo spirito imprenditoriale degli yuppies. Il «bohémien
borghese» è un nuovo tipo umano che vive una vita piena di ideali, coltiva un materialismo gentile, è corretto e creativo allo stesso tempo e plasma sempre più la nostra vita sociale, culturale e politica.
Nel 2007, Guillaume Paoli parlò del fenomeno in termini piuttosto aspri riferendosi alla zona intorno alla Kastanienallee a Berlino, che aveva sperimentato un quasi totale rinnovo dei suoi residenti nei dieci anni precedenti: «Per un quartiere, uno sciame di bobo è devastante come un’invasio-
Londra, East End – il quartiere di Shoreditch è visitato da chi si interessa all’arte, al cibo e ai locali notturni; sotto da sinistra a destra: Parigi, il Marais – loft nascosto in una corte interna. Parigi, il Marais – bistrot all’angolo della Rue de Rivoli e bobo in sella alle loro biciclette Vélib; in
è il cuore del quartiere ebraico.
ne di turisti lo è per i Paesi esotici». Questo perché l’apparente partecipazione dei bobo alla vita delle scene e sottoculture a cui si ispirano, porta le zone interessate a un rapido aumento degli affitti e quindi a un esodo degli abitanti originari, a causa di un potere d’acquisto notevolmente maggiore da parte dei nuovi arrivati. I bobo fungerebbero così da punta di diamante di una gentrificazione accelerata. Oltre alla riqualificazione degli immobili, positiva per l’economia, si formano spesso quartieri benestanti e socialmente omogenei, dai quali gli stili di vita tipici del quartiere sono completamente scomparsi. Ma l’anglicismo gentrificazione, diffuso pressoché in tutto il mondo, presuppone il coinvolgimento di una gentry, ovvero di una bassa nobiltà, che con questi casi non ha nulla a che fare. Paoli faceva originare il termine dal mondo delle ricerche di marketing, dove indicava un individuo in continua oscillazione tra marche di moda costose e sottocultura, segni di esclusività da un lato e appartenenza a una scena dall’altro. Il bobo fu descritto da Paoli come «un notaio indifferente, un imprenditore dei media, un agente immobiliare, […] un erede che sa bene che la curva economica che ha spinto in alto i suoi genitori si sta appiattendo».
Come per ogni cosa, non sono
mancate parodie e variazioni: accanto a bobo sono comparsi i termini bonobo (borghese non bohémien), e bobobo (borghese bohémien di Bordeaux). Ma bobo e Bobostan non sono espressioni appannaggio della cultura mitteleuropea. A Parigi, i quartieri bobo per eccellenza sono collocati a est del centro: il Marais e il Canal Saint-Martin, ma anche Saint-Germain des Prés e Batignolles. In un articolo di «France Today», i bobo sono stati descritti come discendenti dei figli dei fiori e dei sessantottini che si ribellarono tra le strade a ciottoli del Quartiere Latino; comprano mele biologiche, votano i verdi e sfrecciano per gli arrondissements a bordo delle biciclette a noleggio Vélib.
A Londra uno degli esempi più eclatanti è Hackney, che se un tempo ospitava la cosiddetta «murder mile » (zone ad alto tasso di criminalità), oggi accoglie caffè dedicati ai felini, gallerie d’arte e boutique alla moda. Poco più a sud, la zona dell’East End ha vissuto una simile ascesa; intorno al 1888 Jack lo Squartatore adescava le sue vittime al pub Ten Bells sulla Commercial Street, che oggi si trova all’angolo del famoso mercato di Spitalfields.
Informazioni
Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
L’orso polare e la finta neve
Crea con noi ◆ Un simpatico paesaggio da realizzare insieme ai bambini nei mesi invernali
Giovanna Grimaldi Leoni
Volete sorprendere i vostri bambini con un’attività creativa e divertente o realizzare un pensiero originale?
Questo tutorial vi guiderà nella creazione di neve finta utilizzando solamente due ingredienti: bicarbonato e schiuma da barba. La neve finta non è solo bella da vedere, ma si presta anche per giochi di manipolazione sensoriale, offrendo ai più piccoli un’esperienza tattile coinvolgente e stimolante. Inoltre, trasformeremo una bottiglia di plastica in un simpatico orsetto polare, perfetto per conservare o donare la neve in una confezione unica e originale.
Procedimento
Stampate il cartamodello e riportate
le parti dell’orsetto sulla gomma crepla. Ritagliatele.
Lavate e asciugate la bottiglia di plastica. Con un taglierino, tagliatela in due parti a circa 2/3 dell’altezza, nel punto in cui il perimetro inizia a restringersi. Passate delicatamente entrambi i bordi tagliati con la fiamma di un accendino, in modo che risultino arrotondati e non taglienti, quindi incollate le parti dell’orsetto ricavate in precedenza. Il muso e la pancia saranno fissati con la colla a caldo nella parte inferiore della bottiglia, mentre occhi e orecchie alla parte superiore. Da un vecchio calzino o da una ghetta, ricavate una sciarpa e un berretto. Per la sciarpa tagliate un anello di stoffa alto circa 4-5 cm dalla parte
Giochi e passatempi
Cruciverba
Per dare alla luce i maialini la mamma ha una gestazione di… termina la frase leggendo, a soluzione ultimata, le lettere evidenziate.
(Frase: 13, 6, 5)
ORIZZONTALI
1. C ’è anche quello genetico
6. Famoso
9. Nella mitologia erano dei semidei
10. Avverbio di luogo
12. Sono uguali nel fidanzamento
13. Rintocco di campana
14. Pronome relativo
15. Passa da parte a parte
16. Il nome del cantante
D’Angelo
18. Una nota schiava biblica
19. Famoso quello di Pericle ad Atene
20. Preposizione articolata
21. Stella principale del Cane Maggiore
22. Fondò l’impero persiano
23. Le iniziali del Carducci
25. Capatina in centro
26. Fanno rima con ma...
28. Un Gianni cantante
VERTICALI
1. Simile al limone
2. Comprendono il settebello
3. Figure nelle carte da gioco
4. Due romani
5. Imparziale, giusto
6. Tredicesima lettera dell’alfabeto greco
superiore del calzino o della ghetta. Non sono necessarie ulteriori cuciture, perché l’anello rimarrà elasticizzato.
Per il berretto tagliate una sezione più lunga del calzino (circa 10-12 cm). Chiudete l’estremità superiore con ago e filo, cucendo alcuni punti per
stringere e formare la sommità del berretto. Se desiderate potete aggiungere un pompon come decorazione. Vestite la bottiglia e aggiungete dettagli a piacere. Il contenitore è pronto. Preparate ora la neve finta mescolando in una ciotola bicarbonato di sodio e schiuma da barba in parti uguali, utilizzando una spatola per amalgamare il tutto. Lavorate il composto fino a ottenere una consistenza friabile, ma che si compatta facilmente se manipolata con le mani. Se la neve risulta troppo secca e fatica a compattarsi, aggiungete gradualmente altra schiuma da barba fino a raggiungere la consistenza ideale. Se non avete bicarbonato di sodio a disposizione, potete ottenere un risultato simile sostituendolo con amido di mais.
Inserite la neve finta all’interno dell’orsetto per creare un regalo fai da te originale o per presentarla ai bambini in modo divertente. In questo modo, la neve potrà essere conservata per diversi giorni senza seccarsi. Proponete la neve finta su un grande vassoio, arricchendola con elementi naturali raccolti nel bosco, come pigne, rametti e piccole decorazioni per dar vita a paesaggi invernali incantati. Naturalmente è importante che i bambini sotto i 3 anni, o quelli che potrebbero mettere in bocca la neve o gli altri elementi, siano sempre sotto la stretta sorveglianza di un adulto per garantire la loro sicurezza.
Materiale
Per la finta neve:
• 1 tazza di bicarbonato di sodio
• 1 tazza schiuma da barba
Per l’orsetto:
• 1 bottiglia in plastica trasparente (PET)
• 1 calzino o una ghetta
• 2 occhietti mobili (in alternativa, puoi disegnarli su carta e ritagliarli)
• Colla a caldo
• Gomma crepla bianca
• Piccolo pezzo di gomma crepla nera (in alternativa pennarello nero per disegnare il naso)
• Forbici e accendino (per lisciare i bordi della bottiglia)
(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)
Buon divertimento!
Tutorial completo azione.ch/tempo-libero/passatempi
7. Una delle principali lingue delle Filippine
8. Rispettabilità, dignità
11. Due vocali
14. Emittente televisiva statunitense
15. Si legano in reste
17. Satellite di Giove
18. Prime luci del giorno
20. Titolo nobiliare
21. Posto, collocato
22. Capostipite della razza nera
24. Preposizione articolata
27. Una domenica alla RAI
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del
intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non
Viaggiatori d’Occidente
Roma: il divieto del self check-in
Un cappello di Robin Hood e un cartello: «Basta affitti brevi!». In una via di Roma i proprietari di alcuni appartamenti hanno trovato questo messaggio al posto dei loro smart locker, rimossi dagli attivisti contrari all’Overtourism. Gli smart locker sono piccoli contenitori all’esterno degli edifici; si aprono con un codice numerico e permettono di ritirare le chiavi per accedere agli appartamenti affittati tramite Airbnb senza bisogno della presenza del proprietario. Sono dunque un semplice strumento, utilizzato anche per altre attività (dai corrieri a biblioteche e farmacie) ma, come spesso accade, sono diventati il simbolo degli affitti brevi, accusati di sottrarre abitazioni per i residenti, o di farne salire il prezzo esponenzialmente. In realtà il rapporto causa-effetto non è così chiaro, ma certo nella Roma che si prepara al Giubileo 2025 e all’arrivo di de-
cine di milioni di turisti, l’emergenza abitativa è conclamata: migliaia di famiglie vivono sotto sfratto o in attesa di una casa popolare, a fronte di centomila appartamenti sfitti, molti dei quali utilizzati dai turisti. Per una volta le autorità hanno seguito la via tracciata dai contestatori. Infatti qualche settimana dopo questi eventi il Ministero dell’Interno italiano ha vietato le cassette portachiavi e altri sistemi di self check-in Ai proprietari (o gestori) degli alloggi si chiede di accogliere personalmente gli ospiti, per accertarsi della loro identità. Le motivazioni ufficiali sono di sicurezza pubblica, ovvero evitare che qualcuno possa prenotare e poi passare i codici a individui pericolosi o legati ad attività criminali. La misura è severa perché tocca abitudini radicate ma ha un suo senso. Certo è parte anche di un più generale orientamento a limitare le atti-
Cammino per Milano
Bar Luce
Tre lettere maiuscole al neon color verde acido mela granny smith, in verticale, riluciono nella fuga prospettica sfumata nella nebbia di via Orobia che fa molto Sironi. L’insegna luminosa di un generico bar, in contrasto con il beige deliberatamente delabré di una ex distilleria riconvertita da Rem Koolhaas nella Fondazione Prada, è il delicato preludio a un posto più che speciale. Il bar immaginato dal regista Wes Anderson: I Tenenbaum (2001), Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2004), Grand Budapest Hotel (2014), per citarne solo tre, per ora, attentissimo ai dettagli, l’atmosfera retrò ossessiva al limite del leitmotiv pastello-perfettino, simmetrie maniacali. Appena dentro il bar Luce, inaugurato il nove maggio del 2015, appeso a sinistra sulla boiserie leggera, c’è incorniciato un fotogramma di Miracolo a Milano (1951). La scena invernale, girata
in un terreno vago vicino ai binari di Lambrate, è quando gli abitanti della baraccopoli si raggruppano per scaldarsi nel cono flebile di sole. Sopra la boiserie tipo legno di ciliegio, inizia la carta da parati a motivo galleria Vittorio Emanuele II, luogo simbolo di Milano dove nel 1913 parte la storia di Prada con le valigerie. La formica turchese domina questa riproduzione di bar italiano anni cinquanta: otto tavolini, otto poltroncine pastello con mini tavolino-vassoio girevole, parte delle due colonne, i cestini, e soprattutto i banconi. Nei banconi, rapisce subito la vetrinetta retroilluminata in grembo. Un bancone così, con le bottiglie dentro la vetrinetta, appare nel baretto di paese in Castello Cavalcanti (2013), cortometraggio felliniano dove un corridore delle Molte Miglia si schianta contro la statua di un santo. Finisce per sentirsi a casa fuori dal bar, ritro-
Sport in Azione
Concerto in sci minore
Negli scorsi mesi ci eravamo soffermati sul rientro alle gare dell’imperatore dello sci alpino. Dopo un paio di slalom, Marcel Hirscher si è già ritrovato ai box. Rientrare, a 35 anni, dopo cinque anni di stop, in un circo bianco sempre più hi-tech, si è rivelata un’impresa al di fuori della portata di colui che aveva dominato la scena per un decennio. Diverso il discorso per l’ex norvegese Lucas Braathen che è stato fermo un solo anno. Il suo passaporto recita: nato il 19 aprile 2000. Sotto le insegne del Brasile, Paese di origine di sua madre, in questo primo scorcio di stagione, ha già dimostrato che in slalom e in gigante è molto vicino ai vertici delle discipline. Oggi vorrei però concentrarmi sul rientro di due regine. Il primo, quello della sciatrice statunitense Lindsey Vonn, è stato massicciamente mediatizzato. Lo sci alpino sa essere mol-
vità di Airbnb, comune a molte città: oltre a Roma, Firenze, Venezia, Barcellona, Amsterdam, New York eccetera. Airbnb fu fondata nel 2007 a San Francisco da due ragazzi, Brian Chesky e Joe Gebbia, che faticavano a pagare le spese del loro appartamento in condivisione. In occasione di un’importante conferenza di design in città, quando tutti gli alberghi erano al completo, affittarono agli ospiti tre materassi ad aria (da qui il nome dell’azienda) nel loro soggiorno.
Gli inizi furono stentati e ci volle qualche tempo per convincere i padroni di casa ad accogliere sconosciuti, grazie a un sistema di recensioni per generare fiducia. Ma a partire dal 2010, grazie a cospicui finanziamenti, Airbnb ha cambiato ed esteso sempre più il suo modello operativo, espandendo l’offerta a interi appartamenti, case vacanze
e altri tipi di proprietà. Il successo globale tuttavia ha lasciato in ombra molte incertezze che ora riaffiorano. Un conto infatti è affittare occasionalmente una stanza della propria casa, dove si vive abitualmente, per integrare il proprio reddito e conoscere persone nuove; un conto è ricavarne in forma stabile un’entrata. Cambiano l’impegno, i requisiti dell’abitazione, le garanzie. Di fronte a una concorrenza di questa portata, bene fanno gli alberghi a chiedere regole simili anche per gli affitti turistici. Tornando all’esempio dal quale siamo partiti, in un hotel c’è sempre un addetto al ricevimento, anche di notte, e quindi è garantito il controllo dell’identità dei viaggiatori (e di eventuali accompagnatori). La questione ci riguarda da vicino perché, dopo un avvio lento, il numero delle strutture attive sul mercato ticinese è in crescita: sarebbe-
ro circa 4500 gli alloggi destinati a uso turistico e posti in locazione su piattaforme online (30% del totale dei posti letto). Dal 2022 sono stati (opportunamente) posti dei limiti: massimo 6 posti letto (per tutto l’anno) o, se di più, solo per 90 giorni all’anno perché l’attività sia considerata accessoria e svincolata da requisiti rigorosi. Gli smart locker saranno presto dimenticati, come tutto quanto fa notizia per un giorno. Ma la questione di fondo è qui per restare. Il digitale ha reso disponibili spazi prima poco sfruttati, ha svelato possibilità abitative delle quali non eravamo consapevoli. Ma ora il settore è in mezzo al guado: tornare indietro alla filosofia delle origini non pare possibile e dunque è tempo di accettare nuove responsabilità, di metterci la faccia: in questo caso letteralmente, aprendo la porta ai nuovi clienti.
vando i suoi antenati attraverso i vecchietti che giocano a carte sorseggiando un aperitivo fittizio battezzato Limetta Pazzo. Liquori veri, alcuni estinti, sono esposti qui in una delle quattro vetrine. Nel mio studio al volo, semi-inginocchiato, la carrellata conta ventitré bottiglie desuete con lo sfondo di rettangolini-specchio come sfere da discoteca. Tra le quali brilla il liquido color camomilla del Millefiori Cucchi distillato un tempo a Cernusco sul Naviglio, dentro il quale c’è, come pianta d’acquario, un ramo d’erica. Accanto al Kambusa – infuso di erbe amaricanti dei Mari del Sud prodotto una volta a Dolzago e la cui ancora-logo lega il nome marinaresco al suo slogan – non poteva mancare il Brandy Cavallino Rosso. Prodotto proprio qui, nella distilleria Società Italiana Spiriti il cui acronimo corrisponde ai servizi segreti inglesi e su
questo, ai tempi, ci giocava uno spot pubblicitario. Il soffitto, con pieghe a fisarmonica simili alla carta ondivaga dei titoli delle canzoni nei jukebox, continua il gioco illusionistico della galleria, ventidue lampadari-lampioni prolungano la finzione. Azzanno, al bancone, fuori orario, la veneziana alla crema, una cannonata va detto, pasticceria Marchesi (1824). I tavolini sono tutti occupati, tanti divorano panini fatti a regola d’arte. Il piacere del posto è il continuo sentirsi al confine tra bar vero e set cinematografico. In un trafiletto della rubrica Mirabilia sul domenicale del «Sole 24ore » di quasi una decade fa, Stefano Salis osserva: «il Bar Luce è un’idea di bar italiano degli anni 50». È questo il trucco, come nei suoi film, la finzione è dichiarata e la cura delle sue creature è tale da farle sembrare più vere o possibili della realtà. Immaginazione e real-
tà sconfinano sempre l’una nell’altra. In uno dei due flipper, come nei giochi di scatole cinesi di certi paesaggisti fiamminghi, riacchiappo con gli occhi, in miniatura naïf, bancone e bella barista del paesino Castello Cavalcanti. L’altro flipper è identico a quello che spunta nel café Le Sans Blague di The French Dispatch (2021). Un aggiornamento: l’ultima volta, sei anni fa, con il mio amico Fabio, in occasione di due Caravaggio, al suo posto c’era il flipper apparso a Nettuno e dedicato al protagonista oceanografo del secondo film citato prima. Purtroppo «i flipper non funzionano più» dicono i camerieri. Pure il jukebox è ornamentale, una cedrata, seduto, con calma, come attività, ora, il giorno dell’Epifania, è quantomeno necessaria. La glassa rosa antico della torta, in una delle vetrinette del bancone, mi ricorda l’immaginaria pasticceria mitteleuropea Mendl’s.
to sexy. E in questo processo di seduzione, la monumentale discesista originaria del Minnesota, ci sa fare. La quarantenne Lindsey ha contribuito a fare da cassa di risonanza al suo comeback, con una presenza asfissiante sui social media. Alternando momenti che esaltavano la fatica e il sudore nelle pesantissime sedute di allenamento in palestra, ad altri in cui lasciava emergere la sua sensuale femminilità.
Il ritorno alle gare della fondista norvegese Therese Johaug è invece passato sotto traccia, tranne che nel suo Paese, dove lo sci nordico è quasi religione di Stato. Therese era ferma da due anni e mezzo. Il tempo di diventare mamma e di avviare una fiorente attività imprenditoriale nel campo dell’abbigliamento sportivo. Lecito quindi pensare a un rientro inteso come veicolo promozionale del suo marchio. Magari anche, non lo esclu-
do. Ma la trentaseienne campionessa sta facendo sul serio. Anzitutto va detto che ha curato la preparazione in modo maniacale. Ha lavorato come una forsennata. Pure lei documentando astutamente tutto il suo percorso di avvicinamento alle competizioni sui social media. Non a caso, già in dicembre, a Lillehammer, ha piazzato la doppietta imponendosi sia nella 10 km, sia nello skiathlon di 20 km a tecnica mista. Therese è un personaggio controverso. Sa incantare col suo sorriso deflagrante e col suo portamento da scricciolo di 162 cm per 46 kg. Ma nasconde dentro di sé la furia di una combattente. Nella sua bacheca ci sono già quattro ori olimpici e quattordici titoli mondiali. Il resto sono briciole che quasi non fanno statistica. Questo fa di lei la regina dello sci di fondo. Alle spalle dell’imperatrice, la sua connazionale Marit Bjoergen,
l’atleta più vincente della storia degli sport invernali. Tuttavia la Johaug sembra voler puntare al sorpasso. Ha capito anzitutto che nel suo Paese si stava creando un buco generazionale, che aveva ridato fiato alle rivali di sempre: svedesi, finlandesi e americane. Ma soprattutto, da grande predatrice qual è, ha sentito sia l’odore dei prossimi Mondiali, che si disputeranno proprio in Norvegia a Trondheim, sia quello dei Giochi Olimpici del 2026 di Milano-Cortina. Therese ha un conto in sospeso: quei maledetti diciotto mesi di squalifica che l’hanno esclusa dai Mondiali del 2017 e dai Giochi del 2018, proprio quando era all’apice della condizione psicofisica. Una brutta storia di positività a un anabolizzante. «Era contenuto, in quantità infinitesimali, in uno stick per le labbra col quale stavo curando un herpes» aveva sostenuto l’atleta. «Si tratta di dolo» avevano
replicato gli esperti. È una delle tante sanzioni mal digerite, recepite con profondo senso di ingiustizia, come era capitato, in una situazione analoga, al ciclista Alberto Contador. Tuttavia, si sa, «dura lex, sed lex» («La legge è dura, ma è legge»). Quindi, la squalifica te la porti a casa. Se hai risorse fisiche e mentali, reagisci e dimostri che sei forte, senza se e senza ma. Così sta facendo Therese Johaug. Il dominio nel recente Tour de Ski, l’ha proiettata in seconda posizione nella classifica generale, a pochissimi punti dall’americana Jessica Diggins. Ora si tratta di capire se la regina norvegese punterà alla sua quinta sfera di cristallo o se vorrà concentrarsi sui Mondiali, dove potrebbe dare la caccia a quattro o cinque medaglie d’oro. Ad ogni modo, la differenza tra obiettivo e risultato, per lei è una pura formalità. Volere è potere, è da sempre il suo motto.
2.10 invece
2.70
Validi gio. – dom.
imbattibili weekend del Prezzi
9.95
Fino a esaurimento dello stock. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti.
Settimana Migros
con Miggy
2.70 invece di 4.55
Mini mele Svizzera, sacchetto da 1,5 kg, (1 kg = 1.80)
conf. da 6 40%
Schweppes
Bitter Lemon, Ginger Ale o Indian Tonic, 6 x 1 litro e 6 x 500 ml, per es. Bitter Lemon, 6 x 500 ml, 7.14 invece di 11.90, (100 ml = 0.24)
Si conserva per molti mesi
a partire da 2 pezzi 40%
Tutti i tipi di caffè istantaneo Nescafé Gold in busta disponibili in diverse varietà, 180 g, per es. Finesse, 7.47 invece di 12.45, (100 g = 4.15)
Carta da forno, foglio d'alluminio o pellicola salvafreschezza, Kitchen & Co. in conf. multipla, per es. rotolo di carta forno N° 33, 3 x 15 m, 5.– invece di 7.50, 2 + 1 gratis 2 + 1
conf. da 6 40%
Pepsi Regular, Zero, Cherry Zero e decaffeinata, 6 x 1,5 litri, 6 x 500 ml o 6 x 330 ml, per es. Regular, 6 x 1,5 litri, 7.50 invece di 12.50, (100 ml = 0.08)
Dentifricio Candida in conf. multipla, per es. Fresh Gel, 3 x 125 ml, 5.90 invece di 8.85, (100 ml = 1.57), 2 + 1 gratis 2 + 1
Tutti i detersivi Elan (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Spring Time, in conf. di ricarica, 2 litri, 6.48 invece di 12.95, (1 l = 3.24) a partire da 2 pezzi 50%
Tutto l'assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. All in 1 in polvere, 800 g, invece di 9.95, (100 g = 0.62) a partire da 2 pezzi 50%
a partire da 3 pezzi 40%
Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Sheba e Dreamies per es. Sheba Classics al pollame, 85 g, –.81 invece di 1.35, (100 g = 0.95)
3.16
invece di 3.95
Champignon Migros Bio marroni e bianchi, Svizzera, vaschetta da 250 g, (100 g = 1.26) 20%
33%
33%
3.95
invece di 5.90
1.95
invece di 2.95
Extra cavolini di Bruxelles
Paesi Bassi, 350 g, confezionati, (100 g = 0.56)
Cavolo nero
Italia, al kg, confezionato
3.95
28%
3.95
invece di 5.50
Poker di cavoletti
Italia, 700 g, confezionati, (100 g = 0.63)
Pesce e frutti di mare
Per deliziosi piatti a base di pesce
1.70 Pomodorini ciliegia a grappolo Spagna/Italia, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.34) Hit
3.95
7.95
invece di 15.90
Cozze fresche M-Classic, MSC pesca, Paesi Bassi, 2 kg, in self-service, (1 kg = 3.98) 50%
6.95
invece di 8.70
Filetti di platessa M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordorientale, 300 g, in self-service, 20%
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
Il merluzzo va rosolato solo brevemente per mantenerlo perlato al centro. Così rimarrà bello succoso. Trovi altri consigli e informazioni al banco del pesce, dove tutto il pesce viene anche sfilettato, marinato e messo sottovuoto secondo i desideri della clientela.
Insalata invernale Migros Bio 200 g, (100 g = 1.98) Hit
Filetto dorsale di merluzzo M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordorientale, 360 g, in self-service, (100 g = 3.88) 31%
13.95 invece di 20.30
Un suggerimento di presentazione stagionale e azioni allettanti
Prosciutto saporito, prodotto secondo una ricetta di famiglia
2.30
invece di 2.90 Zucca butternut Svizzera/Portogallo, al kg 20%
1.95
invece di 3.50 Lonza di maiale affumicata IP-SUISSE per 100 g, in self-service 44%
7.90
invece di 9.90
Svizzera, 2 x 150 g, (100 g = 2.63) conf. da 2 20%
Prosciutto contadino Tradition
Michette o panini al burro, precotti, M-Classic, IP-SUISSE per es. michette, 1 kg, 5.– invece di 6.25, (100 g = 0.50) 20%
2.35
invece di 2.95
Mortadella Beretta
Italia, per 100 g, in self-service, (100 g = 2.35) 20%
7.95
invece di 9.90
Svizzera, 4 x 2 pezzi, 400 g, in self-service, (100 g = 1.99) 19%
Landjäger Tradition, affumicato
4.90
Formaggi e latticini
Squisitezze per un piatto di formaggi e per la voglia di dolce
1.70 invece di 2.05
Asiago pressato, DOP per 100 g, prodotto confezionato 17%
Le Gruyère dolce Migros Bio, AOP per 100 g, prodotto confezionato 20%
2.12
invece di 2.65
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le mozzarelle Alfredo Classico per es. mozzarelline, 160 g, 2.– invece di 2.50, (100 g = 1.25)
2.05
Gottardo Caseificio per 100 g, prodotto confezionato 16%
invece di 2.45
4.05 invece di 4.50
Selezione Reale DOP per es. dolce, 200 g, (100 g = 2.03) 10%
gli yogurt bio e i vegurt V-Love bio (yogurt di latte di pecora e di bufala esclusi), per es. al moca Migros Bio, Fairtrade, 180 g, –.76 invece di –.95, (100 g = 0.42)
7.60
i tipi di Caffè Latte Emmi per es. macchiato, 230 ml, 1.68 invece di 2.10, (100 ml = 0.73)
Fino all’ultima
Il nostro pane della settimana: cotto su pietra, con ingredienti bio selezionati e crosta bella croccante
3.95
Pane d'altri tempi cotto su pietra Migros Bio 500 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.79)
Stessa ricetta, nuova confezione
50% in meno di carboidrati, 21% di proteine vegetali
2.50
da cuocere in forno Oh!
Protein 300 g, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 0.83)
Prodotti freschi e pronti
Veloci, facili, deliziosi
Pasta Anna's Best, refrigerata ravioli di manzo d'Hérens del Vallese o spaetzli all'uovo, per es. ravioli, 3 x 250 g, 11.75 invece di 14.85, (100 g = 1.57)
Suggerimento: deliziosi con salsa a base di yogurt e cetrioli e con l'hummus
13.95 Oriental Snacks Anna's Best Kibbeh & Sambousek, Spinach & Beetroot Falafel, Crunchy Cauliflower, 510 g, (100 g = 2.74)
ml, (100 ml = 0.69)
Tesori per la dispensa
Lenticchie, quinoa, ceci e couscous, Migros Bio (articoli Alnatura esclusi), per es. lenticchie rosse, 500 g, 2.32 invece di 2.90, (100 g = 0.46) 20%
Pancho Villa
Soft Tortillas o Nacho Chips, per es. Tortillas flour, 2 x 326 g, 7.25 invece di 9.10, (100 g = 1.11)
Con carne svizzera
Tutte le noci e le noci miste Sun Queen Apéro, salate e tostate per es. noci miste, 170 g, 3.72 invece di 4.65, (100 g = 2.19) 20%
Particolarmente croccanti
invece di 4.95 Chips Tyrrells Sea Salted, Sea Salt & Cider Vinegar o Sweet Chilli & Red Pepper, 150 g, (100 g = 2.47) 25%
Lasagne La Trattoria surgelate, alla bolognese o alle verdure, per es. alla bolognese, 2 x 600 g, 6.60 invece di 9.90, (100 g = 0.55) conf. da 2 33%
Tutte le zuppe Bon Chef per es. vellutata ai funghi porcini, in bustina da 75 g, 1.36 invece di 1.70, (100 g = 1.81)
20%
Tutto l'assortimento di barrette ai cereali Farmer (barrette singole Farmer Nuts escluse), per es. Soft Choc alla mela, 288 g, 3.68 invece di 4.60, (100 g = 1.28)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le confetture Fruits Suisses e Satin, Belle Journée per es. Fruits Suisses ai frutti di bosco, IP-SUISSE, 350 g, 3.88 invece di 4.85, (100 g = 1.11)
conf. da 2 20%
Prodotti per la colazione Ovomaltine müesli o prodotti in polvere, per es. müsli, 2 x 420 g, 11.10 invece di 13.90, (100 g = 1.32)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le bevande Biotta, non refrigerate bio, per es. mirtilli rossi Plus, 500 ml, 3.96 invece di 4.95, (100 ml = 0.79)
Tutti i tipi di caffè Exquisito, in chicchi e macinato per es. Extra Mild macinato, 250 g, 4.76 invece di 5.95, (100 g = 1.90) 20%
Dolci e cioccolato
Dai cioccolatini alle caramelle
a partire da 2
Tutto l'assortimento di cioccolato Lindt per es. palline al latte Lindor, 200 g, 9.56 invece di 11.95, (100 g = 4.78)
conf. da 3 21%
20% 9.95 invece di 12.60 Ovomaltine Crunchy Biscuits 3 x 250 g, (100 g = 1.33)
a partire da 2 pezzi 30%
Tutto l'assortimento Katjes per es. nastrini aciduli, 200 g, 2.07 invece di 2.95, (100 g = 1.04)
da 3 32%
5.95 invece di 8.85
Mikado al cioccolato al latte o fondente 3 x 75 g, (100 g = 2.64)
20%
Cioccolato Ovomaltine disponibile in diverse varietà e confezioni speciali, per es. Ovo Rocks, 2 x 120 g, 6.60 invece di 8.30, (100 g = 2.75)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le caramelle Ricola per es. Original, busta da 125 g, 3.68 invece di 4.60, (100 g = 2.94)
Cura e rinfresca
conf. da 3 33%
6.40 invece di 9.60
Gomma da masticare Candida Fresh Classic 3 x 55 g, (100 g = 3.88)
Per chi ha buon fiuto
Tutto l'assortimento di alimenti per bebè Nestlé (latte Pre, latte di tipo 1, Comfort e confezioni multiple esclusi), per es. Beba Optipro Junior 18+, 800 g, 17.56 invece di 21.95, (100 g = 2.20)
da viaggio a guscio rigido Travel & Co. disponibile in diversi colori, misura L, il pezzo
Sorriso smagliante e labbra tirabaci
LIFEHACK
Le sneaker in pelle sporche possono tornare bianche con il dentifricio. Applicare del dentifricio bianco sulla pelle e strofinare con una spazzola morbida o con un panno. Lasciare agire brevemente. 7.40
Prodotti per l'igiene orale Candida in confezioni multiple, per es. collutorio Parodin, 2 x 400 ml, 6.75 invece di 9.–, (100 ml = 0.84)
di 9.90
Always Discreet in confezioni multiple o speciali, per es. Discreet Normal, 2 x 28 pezzi, 9.35 invece di 11.–conf. da 2 15%
di 5.90
Always in confezioni multiple o speciali, per es. Normal Plus, 38 pezzi, 5.50 invece di 6.94
Tutto l'assortimento di cosmesi decorativa L’Oréal Paris (confezioni multiple escluse), per es. mascara Volume Million Lashes Panorama, nero, il pezzo, 17.47 invece di 24.95
Alleati domestici che profumano di convenienza
Calgon in confezioni multiple o speciali, per es. Power Gel, 2 x 750 ml, 15.90 invece di 19.90, (100 ml = 1.06)
La nostra marca propria dalle prestazionielevate
Vanish in confezioni multiple o speciali, per es. spray pretrattante Oxi Action, 2 x 750 ml, 13.65 invece di 19.50, (100 ml = 0.91) conf. da 2 30%
Detergenti Potz in confezioni multiple, per es. Calc, 3 x 1 litro, 11.60 invece di 17.40, (100 ml = 0.39)
Detersivo per lavastoviglie o per stoviglie a mano, Nature Clean (confezioni multiple escluse), per es. al profumo di limone, 500 ml, 2.36 invece di 2.95, (100 ml = 0.47)
Rimuove le macchie al primo lavaggio senza scolorire
Vanish Oxi Action in polvere fucsia o bianco, in conf. speciale, 2,4 kg, (1 kg = 8.73)
Prezzi imbattibili del weekend
50%
9.95
invece di 19.95
30%
Salmone affumicato dell'Atlantico ASC d'allevamento, Norvegia, 300 g, in self-service, (100 g = 3.32), offerta valida dal 16.1 al 19.1.2025
3.45 invece di 4.95 Patate Amandine Svizzera, sacchetto da 1,5 kg, (1 kg = 2.30), offerta valida dal 16.1 al 19.1.2025
30%
Oli d'oliva Don Pablo
500 ml e 1 litro, per es. 500 ml, 5.04 invece di 7.20, (100 ml = 1.01), offerta valida dal 16.1 al 19.1.2025