Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 15 ottobre 2018
Azione 42 M sho p alle pa ping gine 4 5-50 / 63-67
Società e Territorio Un libro per parlare di bullismo con i bambini delle scuole elementari
Ambiente e Benessere Il dottor Graziano Ruggieri, primario della Clinica Hildebrand di Brissago spiega la filosofia della medicina riabilitativa
Politica e Economia Il Papa riceverà un invito da Pyongyang a visitare la Corea del Nord
Cultura e Spettacoli La voce di Bernhard Schlink – autore di A voce alta – si fa più necessaria che mai
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Disegni per Bellinzona
di Alberto Caruso pagina 5
Keystone
L’altro volto della primavera saudita di Peter Schiesser È davvero stato ucciso e fatto a pezzi, il giornalista saudita Jamal Khashoggi, all’interno del consolato saudita a Istanbul, come suggeriscono fonti turche? Agghiacciante, se fosse vero. O forse è stato rapito dai sauditi per essere portato in patria e poi sparire del tutto? Nonostante i dinieghi delle autorità saudite, è certo che Khashoggi è entrato al consolato il 2 ottobre, per le pratiche legate al suo divorzio e al suo prossimo matrimonio, per non uscirne più (o non più da uomo libero). E sempre secondo le fonti turche, 15 agenti sauditi sono arrivati quel giorno a Istanbul, si sono recati al consolato e qualche ora dopo la sparizione di Khashoggi si sono diretti in un convoglio di auto con i vetri anneriti alla residenza del console turco, per poi fare ritorno in patria lo stesso giorno. Forse le rivelazioni turche hanno l’obiettivo di spingere i sauditi a far «riemergere» quel giornalista, diventato così scomodo per l’attuale monarca, Mohammed bin Salman, da farlo emigrare negli Stati Uniti. In ogni caso, i sauditi perderebbero la faccia. E certo è che con il nome di Khashoggi la lista dei giornalisti spariti nel nulla solo l’anno scorso in Arabia
Saudita si allunga a 17 nomi. Cui si aggiunge una lista di principi sauditi dissidenti, rapiti all’estero e scomparsi negli ultimi anni. Jamal Khashoggi era una voce autorevole, dentro e fuori l’Arabia Saudita, da quando si era trasferito negli Stati Uniti era un importante collaboratore e fonte di notizie del «Washington Post». Tutt’altro che un estremista, piuttosto una voce liberal, dall’avvento al potere del principe ereditario bin Salman aveva denunciato il clima repressivo e autoritario che questi ha imposto: «Ci si aspetta che applaudiamo alle riforme sociali e inneggiamo al principe ereditario, evitando ogni riferimento a quei cittadini che le hanno tematizzate da decenni. Ci viene chiesto di abbandonare ogni speranza di libertà politica, di restare zitti sugli arresti e sui divieti di espatrio delle voci critiche e dei loro famigliari» aveva scritto sul «Washington Post» in maggio. Khashoggi aveva criticato l’intervento militare saudita nello Yemen, le pressioni sul primo ministro libanese Hariri (tenuto in ostaggio fino a quando ha annunciato le sue dimissioni, poi ritirate una volta tornato a Beirut), il conflitto diplomatico con il Canada. Quanto basta per imbestialire un «impulsivo» (secondo Khashoggi) Mohammed bin Salman.
E questo è un alleato dell’Occidente? I servizi segreti americani, il Pentagono e il Dipartimento di Stato avrebbero preferito il principe Mohammed bin Nayef, ritenevano poco adatto bin Salman, ma il genero di Trump, Jared Kushner, era di diverso avviso, vedeva in MBS l’alleato perfetto per il suo piano di pace per il Medio Oriente (pro Israele). Alcuni deputati del Congresso vorrebbero ora bloccare le forniture di armi all’Arabia Saudita, ma il presidente Trump non ha intenzione di mandare a monte un tale affare, di 110 miliardi di dollari, per un giornalista dissidente. Il messaggio è molto chiaro: contano i posti di lavoro negli Stati Uniti, non la libertà di espressione in un paese alleato, in perfetta sintonia con la dottrina dell’America first, nel tempo in cui sono più gradite le fake news. Ma allora, in che cosa si differenziano oggi moralmente gli Stati Uniti dagli autoritarismi di Russia, Cina,Turchia, Iran? L’indifferenza di Donald Trump verso i diritti umani ha un doppio effetto, di portare gli Stati Uniti sullo stesso piano dei suoi avversari e di far abbassare la guardia in tutto il mondo: i governi autoritari (e sono tanti) sanno che con Trump non devono più temere ritorsioni se fanno sparire le voci libere che li contestano. L’Arabia Saudita è solo un esempio.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Attualità Migros
M Una nuova Migros per Mendrisio Borgo Filiali Riapre giovedì completamente rinnovata la sede di Piazzale alla Valle. Per l’occasione 10% di sconto
sull’intero assortimento, grande concorso e animazione per i bambini Aperto nel 1997, questo apprezzato punto vendita cittadino del Mendrisiotto aveva bisogno di un radicale lifting per restare al passo con i tempi. Con l’intervento iniziato lo scorso primo settembre si è quindi deciso di fare un ulteriore significativo passo avanti nel rinnovo della rete di vendita di Migros Ticino. L’investimento totale è stato di 1,6 milioni di franchi. I lavori hanno tenuto conto degli ambiziosi obiettivi di risparmio energetico fissati dalla Cooperativa. Le strutture, interamente ammodernate e all’avanguardia, sono caratterizzate dai più alti e innovativi standard di costruzione e sostenibilità ambientale: il solo abbandono del fossile a favore di una termopompa per il riscaldamento permetterà di risparmiare ben 8 mila metri cubi di gas all’anno. Anche i nuovi impianti d’illuminazione LED a basso consumo e i nuovi frigoriferi a gas naturale CO2 faranno la loro parte e sull’impianto del freddo del supermercato verrà eseguito un recupero calore a beneficio del riscaldamento delle filiale stessa e della produzione di acqua calda per il centro Activ Fitness situato al secondo piano. Il supermercato, in grado di servire comodamente tutta la popolazione di Mendrisio e dintorni, si presenta ora in nuova veste, con una superficie di vendita di circa 830 metri quadrati. La clientela avrà la possibilità di fare una spesa quotidiana veloce e completa. L’offerta di prodotti alimentari si è focalizzata sul fresco e sull’ultra fresco, con i fiori all’occhiello rappresentati dal grande Angolo del Buongustaio, che proporrà le migliori specialità gastronomiche locali e internazionali, e dall’assortimento di prodotti Daily, nuovo moderno marchio che racchiude una vasta scelta di bibite e cibi a consu-
mo istantaneo di ottima qualità, e che farà la felicità dei molti studenti e impiegati d’ufficio della zona. Degni di nota saranno anche il reparto frutta e verdura e le ben presenti gamme di prodotto Migros bio e Alnatura. Sarà quindi garantito anche un ampio assortimento di beni di prima necessità del non food. Un altro punto di forza del negozio sarà il moderno forno per la cottura del pane, che permetterà di acquistare prodotti freschissimi fino alla chiusura del negozio. E per chi va di fretta, oltre alle casse tradizionali, sono state allestite delle comode e veloci casse subito per il self checkout. Ricordiamo inoltre che dal 2005 questa filiale di Migros Ticino ospita pure l’agenzia postale. Verrà riproposto anche l’apprezzato e coloratissimo reparto fiori. Per sottolineare questo nuovo importante intervento di miglioria, Migros Ticino ha previsto varie iniziative e uno sconto generale del 10 per cento sull’intero assortimento durante le giornate di giovedì 18, venerdì 19 e sabato 20 ottobre. Completeranno la giornata di festa e allegria un grande concorso con in palio tre carte regalo Migros del valore di 100 franchi l’una e – giovedì dalle 16.00 alle 20.00 e sabato dalle 9.00 alle 17.00 – la vivacità di un simpatico clown, che distribuirà colorati palloncini a tutti i bimbi. Il responsabile Dario Cellura e i suoi 15 collaboratori, cordiali e ben preparati, sono pronti a soddisfare i bisogni della clientela con cura e attenzione, in un clima accogliente e famigliare. Orari di apertura
Lunedì-sabato: 08.00 – 19.00 Giovedì: 08.00 – 20.00 Tel. 091 82175 00.
Lo staff è pronto. (Flavia Leuenberger)
I nuovi apprendisti di Migros Ticino
Variazioni sul canto a Bioggio Eventi «Effetto Voce», per la terza volta
un incontro al vertice tra corali
ratura classica, sacra, rinascimentale e contemporanea, con brani di raccolta popolare e di musica leggera. Il gruppo corale ha inoltre all’attivo diverse registrazioni con le quali racconta il suo viaggio nella musica, un percorso che l’anno venturo raggiungerà il traguardo del trentesimo anno di attività.
Ecco i giovani che da quest’anno intraprenderanno un nuovo percorso di formazione nei rami di impiego offerti dalla Cooperativa ticinese. Da sinistra a destra, in piedi: Marin Kovacevic, Mattia Malingamba, Dary Peralta Cabada, Dario Sertori, Marco Sabbioni, Leon Mahmuti, Emanuele Ciaramella, Miguel Da Silva. Seduti: Oezen Sabiye, Valentina Zollo, Chantal Giavazzoli, Hyolanda Costa Oliveira, Shelany Jiriti, Veronica Lorenzetti, Alessia Coku. Assente: Eron Osmani.
Domenica 21 ottobre alle ore 17.00 si terrà nella Chiesa parrocchiale di Bioggio la terza edizione della rassegna corale «Effetto Voce, variazioni sul canto» promossa dal Gruppo vocale Vox Nova, diretto da Roberta Mangiacavalli. L’esibizione del coro ticinese sarà affiancata da quella dell’Ensemble vocale femminile Corclerù, di Desio, e dell’Ensemble vocale L’Una e Cinque di Torino. La manifestazione è sostenuta dal Percento culturale di Migros Ticino. Formatosi nel 1989, il Gruppo corale VOX NOVA, a composizione mista, ha progressivamente ampliato l’orizzonte della sua ricerca di repertorio confrontandosi con pagine di lette-
Azione
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Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
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Società e Territorio Le Università e il Processo Bologna Nel prossimo triennio gli atenei svizzeri saranno toccati da alcune modifiche: intervista a Mauro Dell’Ambrogio, Segretario di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione
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Valentina Pellandini
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Visita al Théâtre de Vidy Questa settimana Oliver Scharpf ci accompagna a Losanna per scoprire la struttura modulare metallica ideata da Max Bill per l’esposizione nazionale del 1964
Un ranocchio diverso dagli altri
Bullismo La psicologa Paola Morniroli ha ideato un libro e degli atelier per sensibilizzare i bambini delle elementari Stefania Hubmann Che cosa è il bullismo per un bambino delle scuole elementari? La parola è sulla bocca di tutti, incute timore e il suo uso talvolta improprio non contribuisce certo ad affrontare in maniera consapevole e costruttiva l’argomento per riuscire a prevenire le diverse forme di prevaricazione. Riflettere, contestualizzare, capire le emozioni dell’altro sono tappe di un percorso che anche i più piccoli possono compiere per migliorare le relazioni e superare i disagi. Tutto questo può avvenire in modo divertente partendo da una storia ricca di colpi di scena con tanto di filastrocca già trasformata in canzone. La giovane psicologa e psicoterapeuta Paola Morniroli, attraverso l’associazione EmoVere, ha infatti appena pubblicato il libro Ranocchio Scarabocchio che racchiude, oltre alle vicende del ranocchio Teodoro, alcune pagine didattiche. Al progetto, arricchito da due atelier condotti in classe dall’autrice in collaborazione con i docenti, hanno già aderito le scuole di diversi Comuni. I primi a sostenerlo sono stati Bissone, Canobbio, Castel San Pietro, Chiasso, Melide e Morcote. «Quando siamo tutti insieme, se vogliamo stare bene, non ci deve essere un bullo che fa scherzi da citrullo! Sia-
mo amici! Ci aiutiamo! È così che noi viviamo!». È questo il messaggio finale della storia di Teodoro, illustrata da Valentina Pellandini con immagini accattivanti che conducono i lettori nell’evoluzione delle emozioni di Teodoro, della sua mamma e dei compagni, compreso l’iniziale bullo Grullio. «La figura dell’insegnante è volutamente assente dalla narrazione – spiega Paola Morniroli – perché interviene al momento del lavoro in classe. Inoltre ho potuto constatare che gli episodi all’origine dei disagi di solito avvengono quando l’attenzione del docente non è concentrata sugli allievi, come nelle pause o durante il tragitto casa-scuola e viceversa». A ferire e creare malessere non è solo il bullismo – comportamento aggressivo di una o più persone che ripetutamente e intenzionalmente intimidiscono e maltrattano una persona reputata incapace di difendersi – ma anche avvenimenti estemporanei più o meno gravi, dalle conseguenze però sempre dolorose per la vittima, la quale può manifestare il suo malessere a più livelli, dalla perdita di autostima alle ansie, dalle sensazioni di esclusione fino a vere e proprie fobie scolastiche. Ranocchio Scarabocchio nasce da queste esperienze con le quali l’autrice si è confrontata nel suo percorso profes-
sionale. Un percorso che già in precedenza aveva portato alla pubblicazione di un libro per alleviare la sofferenza dei bambini. Spiega Paola Morniroli: «Al termine degli studi universitari a Losanna ho effettuato uno stage presso l’ospedale San Gerardo di Monza, nel reparto di ematologia pediatrica. Lì mi sono resa conto che fra i numerosi strumenti utilizzati per spiegare ai bambini cosa è un tumore mancava un mezzo per affrontare il loro rapporto con i genitori durante la malattia. Con la collega Daiana Piotti nel 2013 ho allora costituito l’associazione EmoVere con l’obiettivo generale di promuovere progetti benefici a favore del benessere psico-fisico dei bambini e delle loro famiglie nelle situazioni avverse della vita. I fondi raccolti ci hanno permesso di pubblicare Leon, pure illustrato da Valentina Pellandini. Il volumetto, distribuito gratuitamente alle famiglie che si trovano in questa situazione, aiuta bambini e genitori a comunicare sulle emozioni provate durante il percorso di cura». Ranocchio Scarabocchio è invece un progetto più ampio. È ispirato – come riferisce la stessa autrice, oggi titolare di uno studio di psicoterapia a Lugano – alle esperienze professionali maturate fra il 2012 e il 2017 in diverse città della Svizzera romanda. «Ho purtroppo in-
contrato e seguito bambini di soli 7 o 8 anni che non riuscivano più ad andare a scuola», racconta Paola Morniroli. «Con loro è stato necessario compiere un lento e graduale percorso per riconquistare la fiducia e la sicurezza andate perse a causa del comportamento di alcuni compagni. Per non giungere a questo stadio di fobia scolastica è indispensabile agire prima. Ranocchio Scarabocchio è un testo ad alta leggibilità (tiene conto delle difficoltà legate alla dislessia e alla disortografia) proprio per non escludere nessun bambino, in particolare chi è già confrontato con un cammino scolastico più faticoso. La storia è adatta anche agli allievi della scuola dell’infanzia, mentre l’intero progetto è consigliato alle classi fra la seconda e la quarta elementare. Per raggiungere tutti i bambini di un Comune è quindi auspicabile che venga proposto sull’arco di più anni». Avviato da poco, il progetto ha già conosciuto interessanti sviluppi. La filastrocca di Ranocchio Scarabocchio è stata trasformata in canzone da Valeria Nidola con musica di Damiris Guglielmetti. Essa viene ora utilizzata nella parte didattica composta da due atelier. L’autrice si reca nella classe in altrettante occasioni. La prima volta racconta la storia del ranocchio Teodoro alla presenza del docente e svolge la parte di-
dattica iniziale che mira a far emergere pensieri, sensazioni e comportamenti. Dopo qualche mese si torna sulle vicende di Teodoro per cercare soluzioni agli atti che suscitano disagio. Le proposte degli allievi sono valorizzate e per non dimenticarle si crea un riferimento visivo con due adesivi. «No ai bulli, sì agli amici!» è il motto da ricordare. Il messaggio lanciato dalla giovane psicologa è quello di uno sguardo reciproco che bullo e vittima devono rivolgersi per capirsi e superare la dinamica negativa che ha caratterizzato la loro relazione. «È necessario lavorare sull’empatia che può nascere tra loro nel capire l’uno le emozioni dell’altro», conclude Paola Morniroli. «Dopo aver compreso cosa hanno provato, possono unirsi e appacificarsi, come accade a Teodoro e Grullio nella storia dei ranocchi». L’importanza di questo approccio deve essere capita anche nell’ambito familiare. I genitori sono spesso all’oscuro del disagio e quando scoprono la verità tendono a manifestare sentimenti di rivalsa. Occorre invece un ascolto amorevole e aperto, la ricerca del sostegno specialistico per capire le difficoltà del bullo e la volontà di costruire una nuova relazione. Ranocchio Scarabocchio è quindi una piacevole e utile lettura anche in famiglia.
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Società e Territorio
Progetti per Bellinzona
La domenica in biblioteca
Mostre La Sala dell’Arsenale di Castelgrande ospita le tavole degli anni 60 di Carloni, Snozzi
21 ottobre A ttività
e Vacchini per il Piano Regolatore del centro storico e lancia uno sguardo al futuro Alberto Caruso
Concorso per i nostri lettori «Azione» mette in palio alcune coppie di biglietti omaggio per la mostra Storie, utopie, progetti per Bellinzona. Per partecipare all’estrazione basta seguire le istruzioni sul sito www.azione.ch/concorsi.
In mostra anche i lavori degli ultimi anni dedicati al territorio della Nuova Bellinzona. (Fondazione AAT)
Carloni, Snozzi e Vacchini avevano compreso che gli strumenti urbanistici – gli «illusori piani regolatori», così definiti da Carloni nel 1983 – devono essere considerati strumenti, mezzi, per rappresentare una visione del futuro della città, e per attuarla attraverso regole finalizzate allo scopo. E non, come spesso è invece avvenuto, pesanti impianti normativi poco o per nulla motivati, e privi di un disegno che non sia quello di massimizzare la rendita. Al centro della mostra sono esposte le formidabili tavole del rilievo, eseguito nel 1968, di tutti gli edifici del centro storico. Un lavoro monumentale, rigoroso e raffinato, che rivela la complessità morfologica e tipologica formata da secolari trasformazioni, che hanno mutato continuamente la forma della città e ne hanno alimentato la storia. Lo spazio pubblico è il tema centrale di tutti i progetti esposti nella mostra. Esso è considerato la chiave progettuale per intervenire, riqualificare e rinnovare i contesti già edificati. Numerosi sono i progetti di nuove edificazioni e di modifica dei tracciati stradali e delle aree pubbliche, sempre finalizzati a realizzare nuovi spazi pubblici. Ovviamente è necessario storicizzare le condizioni progettuali nelle quali sono state formulate queste ipotesi, e i commenti scritti lungo il percorso della mostra risultano utili allo scopo. Si tratta di progetti concepiti quando non erano ancora maturati – a seguito del dibattito internazionale, soprattutto italiano, sulla tutela dei centri storici – sia i concetti di «insieme ambientale» dei beni culturali, che le convinzioni più diffusamente conservative oggi prevalenti. I progetti, infatti, prevedevano demolizioni di alcuni fabbricati e non di altri, secondo criteri applicati ai singoli oggetti architettonici, che per questo in taluni casi non sarebbero oggi condivisibili. Il valore, comunque, di questa mole di studi sta nella dimensione progettuale dell’analisi, mai fine a se stessa e sempre finalizzata alla progettazione di trasformazioni. La caratteristica fondamentale, che fa diversa la cultura architettonica ticinese da quella milanese degli stessi anni, così importante sul piano teorico, è che quella ticinese è maturata come concreta esperienza progettuale. Ciò che fa di questa mostra un’occasione attuale di confronto e di proposta è la conclusione del percorso espositivo. L’ultima sala è dedicata alla Bellinzona di oggi, che è diventata una città di 40’000 abitanti, in seguito all’aggregazione di 13 comuni. La pianificazione di un’area così vasta, formata da tanti centri e da vaste periferie urbanizzate in modo diffuso e disordinato, oltre che da infrastrutture importanti che attraversano il fondovalle, è una sfida culturale nuovissima.
La dimensione storica e geografica del territorio, delimitato dalle montagne e con al centro un insieme di beni culturali e di paesaggio di rilievo internazionale, impone un impegno di scala molto diversa da quella degli anni ’60. Nella mostra sono illustrati i lavori degli ultimi anni del Seminario Internazionale di Monte Carasso, dedicati al progetto per la Nuova Bellinzona, insieme agli studi del Laboratorio Ticino dell’Accademia di Mendrisio e al lavoro, sempre sullo stesso tema, dell’Atelier Guidotti-Schermesser della scuola HES-SO di Friborgo. Sono risorse in-
tellettuali di grande spessore, che devono essere utilizzate per affrontare con successo la sfida di far diventare il territorio della Nuova Bellinzona una vera città, con la carica progettuale che alimentava il pensiero di Carloni, Snozzi e Vacchini.
«Menti sempre aperte... anche di domenica», è questo il motto della seconda edizione della giornata cantonale «Domenica in biblioteca» alla quale aderiscono oltre alle quattro biblioteche cantonali anche tanti altri istituti attivi su tutto il territorio. Il Sistema bibliotecario ticinese e l’Associazione bibliotecari, archivisti e documentalisti della Svizzera italiana invitano il prossimo 21 ottobre a scoprire biblioteche e archivi che per l’occasione saranno animati con attività, conferenze, letture, visite guidate, concerti e appuntamenti pensati per adulti, giovani, bambini e famiglie. Il programma completo proposto dalle diverse sedi è consultabile sul sito www.domenicainbiblioteca.ch
Dove e quando
Storie, utopie, progetti per Bellinzona. La città di Carloni, Snozzi e Vacchini (1962-1970), Sala Arsenale, Castelgrande, orari: lu-do, 10.00-18.00. Fino al 20 gennaio 2019. Annuncio pubblicitario
Il mammo, una meraviglia dei mari
Solo le mamme sanno cosa significa partorire. Fatta eccezione per i maschi di cavalluccio marino: in questa specie sono loro, infatti, a covare le uova in un apposito marsupio. Per altre meraviglie: mari.wwf.ch
Proteggiamo le meraviglie della natura.
SPINAS CIVIL VOICES
L’architettura ticinese degli anni ’70 e ’80 era caratterizzata da una forte «urbanità», cioè dalla tensione, in ogni occasione progettuale, verso intense relazioni con il contesto urbano o territoriale. I protagonisti di quell’architettura, pur divisi da linguaggi diversi, erano uniti dalla comune convinzione che la città fosse il modo più evoluto di abitare. Le ragioni fondative di questa tensione sono da far risalire alla necessità di recuperare l’esperienza della modernità – nei confronti della quale il Ticino era in ritardo, avendo scoperto la modernità soltanto nel dopoguerra – e del rinnovamento delle città. Lo studio degli antichi borghi ticinesi, rimasti intatti proprio per il ritardo dello sviluppo economico, è stata l’occasione, alimentata dai contemporanei importanti studi milanesi sulla città, per conoscenze e prove progettuali. La mostra che è stata inaugurata a Castelgrande lo scorso 20 settembre, organizzata dalla Fondazione Archivi Architetti Ticinesi (e curata da Angela Riverso Ortelli, insieme a Raffaella Macaluso e a Valeria Lollobattista), ha offerto interessanti materiali per riempire di senso quest’ultima considerazione. La ricerca sulla città di Bellinzona e la conoscenza operativa del suo centro antico – finalizzata ad un piano di protezione del patrimonio edilizio – iniziata nei primi anni ’60 dai giovani Tita Carloni, Luigi Snozzi e Livio Vacchini, è stata infatti un’esperienza decisiva nella loro formazione. Nel catalogo della mostra è richiamato uno scritto del 1983 nel quale Tita Carloni afferma che «il fatto di chinarsi sulle carte delle città e dei villaggi, di rilevare in scala 1:250 tutto il centro di Bellinzona, di stendere illusori piani regolatori avrebbe poi costituito un humus sul quale si sarebbe sviluppato negli anni ’70… un modo nuovo di progettare». Un’analoga condizione, fatta salva la diversa situazione geografica e temporale, potrebbe essere ipotizzata per gli architetti del razionalismo lariano, la cui architettura così espressivamente cittadina non potrebbe essere spiegata senza considerare la loro conoscenza ed esperienza dell’antica compagine edilizia della città murata comasca. Le coloratissime tavole del progetto di Piano Regolatore del Centro Storico di Bellinzona, del 1966, pur redatte secondo le regole vigenti dell’azzonamento (della divisione, cioè del territorio in zone, in ognuna delle quali – distinta da un colore – l’edificazione è soggetta ad una specifica normativa), rivelano la chiara e forte idea di una città il cui carattere è costituito dalla relazione tra la compatta forma urbana costruita intorno a Castelgrande e il parco golenale del Ticino. Il parco nel quale già allora era stata costruita la caserma, poi scuola cantonale di commercio, il primo dei grandi edifici pubblici che vi saranno in seguito insediati. Già allora, ci è sembrato di ,
e incontri in tante biblioteche del Cantone
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Società e Territorio
Invecchiare tra guadagni e perdite Movimento AvaEva Il sesto convegno
è dedicato a donne e vecchiaia
Il Processo Bologna evolve sempre Università Il Segretario di Stato per la formazione, la ricerca
e l’innovazione Mauro Dell’Ambrogio fa chiarezza riguardo alle modifiche che toccheranno gli atenei svizzeri nel prossimo triennio
Eleonora Bertossa
Un invito per tutte le donne della terza e quarta età. (www.avaeva.ch)
Il Movimento AvaEva si occupa da anni dell’invecchiamento al femminile, cercando di modificare pian piano la percezione di un tema che per lungo tempo è stato ignorato. Attraverso la creazione di spazi di discussione e riflessione, l’associazione, sostenuta dal Percento culturale Migros, vuole promuovere la crescita di legami emotivi, intellettuali e culturali valorizzando i cambiamenti sia a livello individuale che collettivo. Il Movimento AvaEva, nato proprio con lo scopo di favorire reti di contatto per le donne della generazione delle nonne, organizza giovedì 25 ottobre presso la Casa del popolo di Bellinzona (dalle 9.00 alle 17.00), il suo sesto Convegno. Durante la giornata saranno proposti degli approfondimenti di alcuni aspetti di questa stagione di vita quali: l’intrecciarsi di perdite e guadagni, il chiedere e il ricevere, l’essere sole e l’essere insieme, la riflessione al cospetto della politica. Al centro della giornata di incontri ci sarà spazio anche per lo sguardo che altre generazioni hanno sulle donne anziane oggi. Testimonianze di bambini, adolescenti e giovani adulti stimoleranno la riflessione su come incentivare lo scambio di vissuti, competenze, culture e come rafforzare i rapporti intergenerazionali. Il convegno è rivolto a tutte le donne della terza e quarta età, che trove-
ranno un’occasione per scoprire e condividere le proprie difficoltà, risorse e visioni. In questo percorso prezioso sarà l’incontro con la sociologa Marina Piazza, che proporrà un intervento dal titolo Incontrare la vecchiaia ispirato al suo ultimo saggio in cui scrive: «La vecchiaia può comportare aspetti come la possibile solitudine, il gelo interiore, il deterioramento del corpo, la sensazione che ormai i giochi siano fatti, il restringimento dello spazio, la pochezza del tempo che resta. Ma anche la consapevolezza delle risorse acquisite, le esperienze e le aperture del femminismo, la gioia di incontrarsi con la nascita di una vita, la capacità di offrirsi a ciò che ti porge la vita in questa età. Resta aperta la domanda: come intrecciare i due poli?». La giornata organizzata da AvaEva continuerà con degli approfondimenti in gruppi e si chiuderà con una riflessione sulle prospettive future dell’associazione e con la musica del gruppo Vox Blenii. Informazioni
Incontrare la vecchiaia, 25 ottobre 2018, Casa del popolo, viale Stazione 31, Bellinzona, 9.00-17.00. Costo, pranzo compreso, 50 franchi per le socie (60 per non socie). Iscrizioni entro il 20 ottobre: norma@avaeva.ch, 079 352 98 89.
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Per la filiale di Serfontana (TO4), cerchiamo un/una
Responsabile Team (settore non Food)
Requisiti Certificati di formazione nel ramo (AFC o Specialista del commercio al dettaglio); Buone conoscenze merceologiche ramo non alimentare; Attitudine al lavoro di gruppo e all’organizzazione delle attività; Facilità nei rapporti interpersonali con clienti e colleghi e buona capacità comunicativa; Gestione strutturata delle priorità e delle informazioni; Conoscenze linguistiche costituiranno titolo preferenziale. Flessibilità e disponibilità al cambiamento (anche legata a spostamenti sul territorio ticinese), sono fattori collegati alla funzione in oggetto. Mansioni Svolgimento di lavori manuali che comportano un’attività fisica costante; Gestione, organizzazione e valutazione di un team di lavoro; Responsabilità merceologica di uno o più settori; Utilizzo di applicativi informatici specifici (SAP, Office); Mantenimento dei contatti con i referenti della centrale amministrativa. Saranno prese in considerazione unicamente le candidature con i requisiti corrispondenti al profilo indicato. Le persone interessate sono invitate a compilare la loro candidatura in forma elettronica, collegandosi al sito www.migrosticino.ch, sezione «Lavora con noi» «Posti disponibili», includendo la scansione dei certificati d’uso entro il 03.11.2018.
Era il 1999 quando i ministri di 29 paesi europei, tra cui la Svizzera, sottoscrissero la dichiarazione di Bologna. Il documento dava ufficialmente il via a un processo di riforma internazionale dei sistemi di istruzione superiore. Obiettivo principale era la creazione dell’Area Europea dell’istruzione superiore (EHEA) che permettesse di promuovere la mobilità e facilitare la competitività della piazza formativa europea. Grazie a questa riforma sono stati introdotti gli attuali metodi di istruzione universitaria, come il sistema dei cicli (Bachelor, Master e Dottorato), dei crediti ECTS, e l’introduzione di sistemi nazionali delle qualifiche. I punti cardine di questo progetto sono quindi: mobilità, chiarezza e controllo della qualità. Ad oggi sono 49 i paesi che aderiscono all’EHEA. Nel maggio di quest’anno si è tenuta a Parigi la conferenza ministeriale dell’Area Europea dell’istruzione superiore, durante la quale i Ministri dell’Istruzione dei diversi paesi hanno discusso e approvato nuove iniziative. Tra gli obiettivi proposti per il triennio 2018-2020 ci sono temi come l’incremento della trasparenza per favorire il riconoscimento delle qualifiche, della formazione e dei tempi di studio, anche per ciò che riguarda gli studenti rifugiati. Inoltre, si accorderà particolare attenzione alle nuove tecnologie digitali e allo sviluppo di pratiche di insegnamento e apprendimento innovative. Per il 2020 è prevista la prossima conferenza che permetterà di valutare l’efficacia dei cambiamenti introdotti e discutere i prossimi obiettivi. Abbiamo intervistato il Segretario di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione Mauro Dell’Ambrogio per cercare di capire quali sono gli esiti di questi primi 19 anni dall’introduzione del Processo Bologna, quali sono i vantaggi che le modifiche hanno apportato, quali i miglioramenti necessari, ma anche per placare alcune preoccupazioni riguardo alla possibilità che questo sistema possa portare alla standardizzazione degli studi e conseguentemente alla perdita della specificità dell’insegnamento secondo la tradizione accademica elvetica. Come messo in luce dal Segretario di Stato, il Processo Bologna non detta riforme vere e proprie, ma favorisce il dialogo tra le nazioni, tenendo in considerazione le opinioni dei diversi governi, delle varie università e degli studenti stessi. Signor Dell’Ambrogio, il Processo di Bologna avviato all’inizio degli anni 2000 ha avuto, a suo avviso, un esito positivo?
In due decenni nel mondo universitario è cambiato molto, in Svizzera e all’estero, in meglio o in peggio secondo luoghi, punti di vista e discipline. E questo per una molteplicità di cause: anzitutto per riforme nazionali più o meno – spesso più dichiaratamente che nei fatti – ispirate al Processo di Bologna, con obiettivi molto diversi. Ma anche per cause demografiche, economiche, del mondo del lavoro o abitudini sociali. È difficile catalogare esiti positivi e negativi di Bologna. Sicuramente positivo è stato il guadagno di chiarezza, attraverso procedure di accreditamento armonizzate, nel riconoscimento internazionale reciproco dei titoli di studio e delle istituzioni che li rilasciano, sia pubbliche che private.
Mauro Dell’Ambrogio. (CdT - Crinari) Come mai si è sentita la necessità di introdurre delle ulteriori riforme al sistema?
I «sistemi» universitari, nel senso di un insieme coerente di regole che li governano, restano nazionali. Il Processo di Bologna consiste nel fatto che i rappresentanti delle università, degli studenti e dei governi di una quarantina di paesi, ben oltre i confini europei, su base volontaria, scambiano informazioni e si consultano regolarmente allo scopo di rendere i loro sistemi il più possibile compatibili. Il che non significa conformi a uno standard, ma con diversità trasparenti e riconoscibili. Un tale processo non potrà mai dirsi compiuto. Da ogni sviluppo dovuto a riforme nazionali o a fattori esterni derivano nuovi bisogni di chiarimento.
Nello specifico a cosa mira la conferenza del 2020?
Nel 2020 è prevista la prossima conferenza a livello ministeriale. La Svizzera ha assunto per turno la co-presidenza e contribuirà in modo importante alla preparazione, con le associazioni dei rettori e degli studenti. Vi è un elenco di temi, quali ad esempio le misure per incentivare la presenza di uomini rispettivamente donne nelle discipline dove sono troppo minoritari. Si tratta insomma di scambiare esperienze, di verificare l’effetto di misure introdotte da taluni paesi, di ipotizzarne di nuove. E, concretamente, che cambiamenti sono previsti per le università svizzere?
Saranno i nostri organi accademici a deciderlo. Bologna non detta riforme, ma può influire sui cambiamenti che ciascun paese liberamente decide. In Svizzera le università hanno ampia autonomia, ad esempio per definire le discipline di studio e la loro struttura; in altri paesi sono i governi a farlo. Cambiamenti possono avvenire in un contesto più ampio. Qualche anno fa, considerato il prolungamento degli studi universitari dovuto a Bachelor + Master, la Germania decise di ridurre di un anno la durata del liceo. Un tale passo in Svizzera sarebbe di competenza dei governi cantonali, ma è attualmente improbabile.
Quali sono i vantaggi che le modifiche possono fornire agli studenti e agli istituti Svizzeri? Quali invece le eventuali criticità che si paventano?
Il più importante vantaggio per gli studenti è sempre la qualità della formazione, che dipende da molti fattori. Bologna non persegue un modello standard di università e riconosce che la diversità è un valore. Che va però soppesato con l’ostacolo che la diversità può rappresentare per la mobilità degli studenti, utile alla loro esperienza. Gli studenti che cambiano sede o paese in modo transitorio o definitivo nel corso degli studi dovrebbero usufruire almeno di chiarezza e prevedibilità. Che non significa sempre riconoscimenti automatici. Si tratta anche di impedire, a chi se lo può permettere, di svolgere parte degli studi in sedi meno esigenti e selettive per mirare poi a un titolo di maggiore prestigio. Favorire la mobilità, senza imporre uniformità e senza effetti collaterali indesiderati, è un esempio dei punti delicati che ripetutamente affiorano nel Processo.
Prendiamo ad esempio la questione dell’abolizione della terza materia e dell’introduzione di un sistema Major-minor forzato: questo non pone un grosso limite alle scelte individuali?
La domanda fa riferimento a possibilità di scelta tipiche delle facoltà di lettere. Il dover tirare le somme di quel che si è imparato dopo un primo ciclo triennale e non più quadriennale ha comportato inevitabili restrizioni quantitative. Ogni sede d’altra parte suddivide le materie a modo suo, sia prima che dopo Bologna. Storia la si può considerare una materia, o suddividere in antica, medievale e contemporanea; o in storia economica ecc. Una regola del tipo: «chi sceglie Filosofia come materia principale e Storia come secondaria, deve scegliere tra Antica o Medievale, non può (più) farle entrambe», non impedisce poi di scegliere nel Master un altro approfondimento. Né già prima di seguire corsi o di leggere libri per i quali non si dovranno presentare esami. Il limite di scelta se lo impongono anzitutto gli studenti, se sposano la logica del minimo sforzo per conseguire un titolo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni L’autorità esautorata Un breve saggio di Sigmund Freud, scritto nel 1914, ha per titolo Psicologia del ginnasiale: rileggerlo oggi fa un effetto curioso, tanto sa di passato. Il ginnasio frequentato da Freud fra il 1865 e il 1873 riuniva i livelli d’istruzione che oggi, per noi, comprendono la scuola media e il liceo, in quel tratto di vita che corrisponde all’adolescenza. Nei ricordi freudiani dell’esperienza ginnasiale spiccano in particolare i rapporti con i docenti: figure d’autorità indiscussa, a quel tempo, che attiravano l’attenzione del giovane Freud e dei suoi compagni al punto che, come si legge nel testo freudiano, era difficile stabilire se fosse maggiore l’interesse per le scienze che venivano insegnate oppure per la persona dell’insegnante. Il docente era allora un’autorità indiscussa: risvegliava nel ragazzo la figura del padre, il protettore e la guida verso un futuro ancora solo sognato. Beninteso, l’autorità non può essere –
né nel genitore, né nell’insegnante – un autoritarismo dogmatico o violento, e neppure un permissivismo indifferente: un padre può perdere la sua autorità sia picchiando il figlio, sia mettendosi a discutere interminabilmente con lui; l’autorevolezza non appartiene né a un tiranno, né a un uguale. Quando un adulto è autorevole induce spontaneamente all’obbedienza, perché in primo luogo suscita rispetto; e il rispetto – per la persona e per la carica che ricopre – è stato sempre il fondamento dell’autorità. Ecco perché ogni educatore non può commettere ingiustizie, mostrare parzialità, cadere nel ridicolo: il nemico peggiore dell’autorità è il disprezzo e la via più sicura per distruggere l’autorità è deriderla. È quanto avviene sempre più spesso oggi: si legge, ad esempio, di studenti che filmano di nascosto un insegnante mentre chiede inutilmente il silenzio in aula; e poi il filmato derisorio finisce in rete.
Al tempo di Freud, e poi ancora per decenni, l’insegnante fu una figura d’autorità per i giovani studenti; e come il genitore tracciava al figlio la via verso la crescita interiore, così anche l’autorevolezza del docente, riprendendo l’educazione familiare, guidava il ragazzo verso un corretto comportamento adulto. Ma ho l’impressione che questa prassi educativa appartenga sempre più al passato. Esiste ancora l’autorità? C’è chi sostiene che è finita: ad esempio, lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet nel suo libro L’autorità perduta. In questo libro, apparso pochi anni or sono, l’autore conduce una critica severa contro il permissivismo e la condiscendenza eccessiva degli educatori nei confronti dei giovani; disegna un quadro desolante di bambini maleducati, adolescenti che rifiutano ogni regola, ragazzi apatici che pensano solo a godere del presente senza impegnarsi a costruire un futuro. E
tutto, questo – dice Crepet – perché i genitori rinunciano alla loro responsabilità educativa, accondiscendono a ogni desiderio dei figli pur di evitare conflitti: ottengono dunque una sorta di «pace sociale» al costo di appiattire i giovani in un presente senza futuro. In questo modo l’autorità svanisce, perché – come ebbe a scrivere quella donna straordinaria che fu la filosofa Hannah Arendt – non ci può essere autorità senza responsabilità: «Che gli adulti abbiano voluto disfarsi dell’autorità significa solo questo: essi rifiutano di assumersi la responsabilità del mondo in cui hanno introdotto i loro figli». L’etimologia della parola «autorità» (auctoritas) spiega che il termine significa, letteralmente, «far crescere»: il giovane si avvia alla condizione adulta grazie a figure d’autorevolezza, assumendone le regole e imitandone il comportamento. Ma la famiglia e la
scuola avvertono oggi cambiamenti radicali: entrambe le istituzioni educative sono in crisi. Il processo è in atto da tempo, ma progressivamente le incrinature si dilatano in squarci sempre più vistosi. Scriveva ancora la Arendt che «la moderna prassi pedagogica ha perfino sperimentato questo assurdo modo di trattare i bambini come una minoranza oppressa da liberare». Questa affermazione risale agli anni Sessanta del secolo scorso: da allora la pedagogia si è lanciata alla grande nella direzione deprecata dalla filosofa. Ma è forse inevitabile che sia così: la scuola riflette l’evoluzione della società, si accoda, e la società d’oggi si fa sempre più libertaria, populista, permissiva; il cittadino rivendica sempre più diritti, preferisce non pensare che esistono anche doveri. In questo contesto difficilmente l’autorità potrà sopravvivere.
non sia rimasto l’arioso bar di Max Bill concepito per l’Expo 64 e per il quale aveva disegnato i leggiadri sgabelli da bar ancora in produzione che male, al bancone, non starebbero. Eppure se è svanito il mesoscafo di Jacques Piccard, già bello che è restato in piedi questo «blocco austero». Così l’ha definito su «Le Temps» il critico teatrale Alexandre Demidoff qualche anno fa, nella recensione del libro uscito per festeggiare un glorioso e inatteso mezzo secolo. Fuori in terrazza, lo sguardo si perde verso il lago. Posizione unica, per un teatro. «Un teatro in riva al lago» lo slogan di Matthias Langhoff: noto regista tedesco figlio d’arte nato a Zurigo e approdato qui come direttore nel 1989. In due anni, prima di ripartire per dirigere il Berliner Ensemble, porta una ventata d’aria internazionale. Debutta con Au perroquet vert di Schnitzler, atto unico andato poi in scena quell’estate, nel Chiostro dei Carmi, al festival di Avignon. Mi siedo con il mio tè freddo a un tavolino e in cima ai pilastri galva-
nizzati, noto i bulloni a vista. Architettura-meccano, fugace, funzionale al massimo. Mancano dieci minuti alle otto, c’è parecchia gente, entro nella sala Charles Apothéloz. La più grande delle quattro, trecentottantasei posti, è dedicata al salvatore e primo direttore del teatro. Nato qui a Losanna, grande promessa dell’atletica leggera nei duecento metri, obiettore di coscienza, mette in scena nel 1948 al Théâtre Municipal una sceneggiatura di Sartre mai realizzata: Faux-nez. Faux-nez sarà anche il nome della compagnia che crea e del piccolo cabaret-teatro in rue de Bourg. Viene spesso ricordato per l’epocale regia di La Muraille de Chine di Frisch, ma il suo nome è anche molto legato all’affaire Gulliver. Proprio in occasione dell’Expo 64 allestisce un Gulliver gigante che interroga i visitatori sull’identità svizzera creando un polverone perché i risultati dell’inchiesta, pare, verranno censurati dalle autorità. Fila elle, posto ventidue, la sala è piena. Entra in scena, al ralenti, su
ipnotiche note techno, la prima ballerina di Crowd. La coreografia è di Gisèle Vienne, il palcoscenico è pieno di terra, la musica è Illuminator (1995) di Mike Banks meglio noto come Mad Mike. Un ragazzo ora passa la lattina di birra da mezzo alla ragazza, i movimenti al rallentatore sono di una precisione virtuosa che commuove. È il rallentatore il segno antitetico che sposta estaticamente il caos di quelle turbolenti notti anni novanta in qualcosa di più etereo e rigoroso. Senza perderne il carattere selvaggio, disperato, ilare; anzi. La danza, in un crescendo drammaturgico, diventa rito collettivo dove erotismo, violenza, e tenerezza si riuniscono in esplorazione perenne del terreno vago della giovinezza. Ricordo, senza malinconia, sprazzi di certe nottate di quasi trent’anni fa. Poi di colpo, un tuffo in un passato ancestrale presente qui vicino, dall’altra parte di rue de Rhodanie, dove durante gli scavi per costruire una casa, sono stati rinvenuti i resti di un teatro gallo-romano.
A due passi di Oliver Scharpf Théâtre de Vidy a Losanna Una quindicina di ragazzi, nel cuore della notte, si ritrova su un terrain vague, per un rave. Questa la sinossi dello spettacolo di danza in scena stasera al Théâtre de Vidy. Rinomato oggi a livello europeo, nasce per la durata di sette mesi soltanto, il tempo dell’Expo 64. Ideato da Max Bill (1908-1994) come struttura modulare metallica rapida da montare e smontare, viene poi salvato da Charles Apothéloz (1922-1982). Sorto su una lingua di terra un tempo palude – bonificata proprio in vista della quinta esposizione nazionale svoltasi da quelle parti tra aprile e ottobre 1964 – prende il nome dal breve toponimo che comprende diversi chilometri lungo le rive del Lemano. Dove cammino, con calma, una sera d’autunno. Ma se siete un po’ in ritardo prendete il bus numero due, da Ouchy sono un paio di fermate. Non potete sbagliare, la fermata si chiama Théâtre de Vidy. A prima vista, da fuori, il teatro è un’opera modesta. Provvisorietà prevista a parte, è un po’ lo stile ostile allo spettacolare
di Max Bill: designer, grafico, pittore, scultore, e architetto nato a Winterthur. A Dessau a fine anni venti, per un anno, frequenta la Bauhaus, fonda e dirige negli anni cinquanta la Scuola di Ulm, entra in molte cucine tedesche attraverso un orologio da parete con cronometro per le uova alla coque. Ma il suo pezzo forse più famoso rimane uno sgabello oltremodo spartano – originariamente in legno di peccio con un innesto di faggio – utilizzato però pressoché solo come tavolino. Assaporo ancora per un attimo i riflessi delle linee verticali in acciaio inox e poi entro, dalla porta a vetri aperta, nel Théâtre de Vidy (377 m) a Losanna. Sulla sinistra, la libreria; dietro l’angolo c’è il bar-ristorante chiamato La Kantina. Vasto spazio aperto anche nei giorni senza rappresentazioni, dalle nove di mattina alle quattro di pomeriggio. Non mancano gli sgabelli di Bill – noti anche come sgabelli di Ulm perché disegnati per la scuola nel 1954 – posti appunto non come sedie ma come appoggiaoggetti. Peccato
La società connessa di Natascha Fioretti Nel prossimo futuro avranno successo i creativi e gli empatici L’ultima volta, seguendo il pensiero del filosofo David Precht, ci siamo lasciati dicendo che se non ci sarà un’inversione di tendenza, se non ci ravvederemo per tempo, l’uomo del 2040 sarà un senzatetto digitale, un uomo senza qualità fatto di bits e di bytes in mano alla tecnologia e ai finti giganti buoni della Silicon Valley che carpiscono i nostri dati. Molti decenni fa Oscar Wilde, molto prima di Erich Fromm, scrisse che l’errore umano risiede nel pensare che
la cosa più importante sia avere, senza sapere che ciò che davvero conta è essere. In piena rivoluzione industriale disse anche «ora le macchine sostituiranno l’uomo. Create le giuste circostanze lo serviranno». Secoli dopo non siamo andati poi così lontano e abbiamo nuovamente bisogno di qualcuno che nel frastuono digitale e tecnologico ci rammenti cosa davvero conti per vivere una vita umana. Sembra facile ma è difficile in una società che ci vede ancora come degli uomini nati per il commer-
Nella rivoluzione tecnologica odierna sarà essenziale ripensare al fattore umano.
cio e per lo scambio che godono di più o meno credito in base alla loro capacità produttiva e dunque il loro successo. Nella scala dei valori mettiamo il rendimento sul lavoro al primo posto. Chi rende di più, riceve di più. Ma il concetto di rendimento è assai nebuloso. Pensare che un assicuratore miliardario per aver venduto polizze dubbie renda di più di una badante è una tesi ardita. E cosa faremo quando migliaia di posti di lavoro scompariranno perché le macchine sostituiranno molte delle professioni di oggi? La società fondata sul rendimento cadrà su se stessa come un castello di carta perché è tutta una finzione. Dov’è finito Il diritto alla pigrizia di cui parlava Paul Lafargue nel 1883? Rivoluzionario francese di origini cubane e di ispirazione comunista, Lafargue sosteneva che il lavoro è la causa della degenerazione intellettuale tipica delle società capitalistiche e generatrice di miserie individuali e sociali. In buona sostanza, Precht ci dice che la grande rivoluzione tecnologica nella
quale siamo immersi comporta un profondo ripensamento dell’essere umano in quanto tale e del suo ruolo, del suo valore nella società. Secondo un recente studio internazionale dal titolo «2050 Il futuro del lavoro» promosso dal Think Thank internazionale Millenium Project, molto presto tutti i mestieri sostituibili dalla tecnica scompariranno mentre fioriranno quei lavori che richiedono empatia, cura, attenzione, risoluzione di problemi, coaching. Studio e formazione saranno indispensabili per sopravvivere alla tempesta del nuovo mondo del lavoro, avranno successo i creativi, gli empatici e chi sviluppa capacità di adattamento. Ci sarà una grossa ondata di licenziamenti e ci scivolerà via la terra sotto i piedi. Qual è la via di uscita? Secondo David Precht garantire un reddito di cittadinanza che permetta agli individui di soddisfare i loro bisogni materiali primari e li renda liberi dal giogo del rendimento e del lavoro retribuito. Le risorse deriverebbero da
quelle persone, aziende, banche, società e istituzioni che possiedono più di quel che possono spendere. Nella società utopica del filosofo tedesco l’uomo è un individuo libero e un cittadino consapevole intento a modellare e a trasformare la cultura perché possa garantirgli la sopravvivenza e la felicità in un mondo determinato dalla tecnica. E qui Precht cita la cultura animi di Cicerone e ci ricorda l’importanza di riconoscere il valore di ciò che ci circonda, l’importanza di guardare con più attenzione, di darsi tempo, di lasciare che le cose accadono senza forzarle. In barba alla cultura digitale del tutto e subito rimette al centro il valore di fare qualcosa per il piacere di farlo e non perché abbia uno scopo o sia funzionale a qualcosa. Di tutto questo l’utopista deve avere riguardo avendo cura in particolare della motivazione intrinseca e non dell’interesse personale nell’agire. Così deve essere vista la tecnologia digitale: un mezzo d’aiuto per un futuro migliore, non lo scopo dello sviluppo umano.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Ambiente e Benessere Pasqua sul Reno Per i lettori di «Azione», Hotelplan organizza una crociera romantica
Ancora straordinari e formativi? La nostra vita potrebbe essere raccontata solo attraverso i viaggi? Un tempo la risposta sarebbe stata affermativa. Oggi?
Merluzzo, verza e pancetta I sapori del mare uniti a quelli della terra in un piatto già quasi invernale pagina 20
L’altra faccia dell’antidoping Troppo facile farsi stritolare dagli ingranaggi di una giustizia sportiva ancora balbettante
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La filosofia della medicina riabilitativa Salute Un percorso terapeutico che
restituisce il paziente al suo ambiente, considerata la sua patologia e la conseguente disabilità
Maria Grazia Buletti Quando una ciotola o un vaso prezioso cadono frantumandosi in mille cocci, noi li buttiamo con rabbia e dispiacere. Eppure un’alternativa suggerita da una pratica giapponese fa l’esatto opposto: evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto. È il Kintsugi che letteralmente riunisce e ripara con l’oro. È l’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite riportandole a una rinnovata funzionalità. Abbiamo pensato a questa delicata lezione simbolica nel colloquio con il dottor Graziano Ruggieri, medico geriatra e primario della Clinica Hildebrand Centro riabilitazione di Brissago dove i principi della cura sono quelli della medicina riabilitativa, assurta negli anni 80 a rango di disciplina specialistica proprio grazie alle tante scoperte sulla capacità intrinseca di rigenerazione cellulare e neuronale in particolare. «Oggi proiettiamo i suoi obiettivi clinici su prevenzione, riduzione e recupero guidato degli esiti invalidanti delle malattie, sul ripristino e il mantenimento del massimo dell’autonomia del paziente, compatibile con le sue residue potenzialità fisiche, psicologiche e vocazionali di vita», esordisce il geriatra, riferendosi a pazienti che perdono l’autosufficienza a seguito di un trauma o di una malattia, e necessitano questo tipo di approccio terapeutico per il recupero parziale o totale delle abilità compromesse. Il concetto di recupero è il fondamento necessario per migliorare la qualità di vita di questi pazienti. Non bisogna poi sottovalutare l’invecchiamento demografico della popolazione che conduce a una mutazione epidemiologica delle malattie verso quelle croniche e progressivamente invalidanti. «La medicina ci assicura il prolungamento della vita, ma che possiamo farcene se non fosse possibile viverla con la qualità per tutti noi desiderabile? Se non dovessimo più riuscire a muoverci, nel senso più lato del verbo, attraversando il mondo con l’insieme dei valori che ci contraddistinguono?». Una grossa responsabilità, dunque, quella della prassi curativa della riabilitazione che chiediamo di mettere a confronto con la medicina acuta. «I
nostri pazienti sono gli stessi della medicina acuta, con la differenza che noi ci occupiamo dei postumi disabilitanti dopo un trauma cerebrale o vertebromidollare, oppure di quelli conseguenti a disordini degenerativi progressivi che colpiscono ossa e muscoli, sistema nervoso o apparato cardiovascolare». Pazienti che il medico specialista della riabilitazione incontra e conosce durante la degenza nei reparti acuti degli ospedali: «Collaboriamo, ad esempio, con il Neurocentro dell’EOC, dove un nostro specialista affianca i neurologi con il compito di valutare la situazione clinica e il grado di disabilità residua di quei pazienti che potenzialmente dovranno proseguire con cure riabilitative». Dopo la dimissione che segue la degenza acuta, oggigiorno sempre più breve «questi pazienti saranno accolti dalla medicina riabilitativa (in Clinica) senza interruzione di continuità di cura, iniziando lì il loro individuale percorso in un settore della medicina pronto e abituato ad assumersi la grande complessità delle situazioni cliniche: una medicina necessariamente più dilatata nei tempi clinici, perché fondata su una imprescindibile necessità di interdisciplinarità di cure e di ricerca di interazione positiva con paziente e suoi famigliari». Il dottor Ruggieri paragona metaforicamente la fase acuta (accoglienza del paziente nell’emergenza) a una sorta di non programmabile ma necessario pit stop ai box ospedalieri per risolvere il problema di salute, mentre la riabilitazione sarebbe più simile al «bacino di carenaggio di un cantiere navale» al quale l’armatore (il paziente che auspica il recupero della propria integralità corporea e funzionale) si deve affidare per rimediare alle falle dovute a una dura navigazione: «All’intervento acuto segue il tempo di recupero delle condizioni di validità necessarie per poter riprendere a navigare in tutta sicurezza; ciò necessita competenze, regolarità e intensità quotidiane d’esercizio terapeutico atte a ripristinare le menomazioni funzionali. Cambia il paradigma perché non ripariamo traumi né guariamo o blocchiamo malattie, ma ci occupiamo di permettere al malato di ripristinare tutte le possibili quote perse di funzionalità, per il recupero dell’integrità persa». Per ottenere questo risultato «possiamo ricorrere
Il dottor Graziano Ruggieri, primario alla Clinica Hildebrand di Brissago. (Vincenzo Cammarata)
alla protesizzazione, all’affiancamento di ausili tecnologici o a nuove risorse che gli restituiscano la migliore qualità di vita possibile». Questi pazienti non sono solo la loro malattia, ma persone integre che sono fatte oggetto di un’attenzione medica diversa. Infatti, spesso traumi e malattie serie compromettono non soltanto una, ma differenti funzioni: «La disabilità motoria, piuttosto che sensoriale o cognitiva e via dicendo, è raramente riconducibile in modo esclusivo alla natura della patologia originaria, ma sempre una risultante più generale». Ai medici e alle altre professionalità è dunque richiesta una competenza interdisciplinare per necessità clinica, e comprende la collaborazione del paziente e della sua famiglia che riveste molta importanza nel garantire le corrette prestazioni d’assistenza al momento del rientro a domicilio, non appena sarà possibile». Una presa in carico onnicomprensiva che decreta molti successi: «Non
di tipo verticista, ma che chiama a sé, più orizzontalmente, le competenze di molte figure professionali: medico fisiatra, neurologo, cardiologo, neuropsicologo e via dicendo, insieme a infermiere, fisioterapista, logopedista, ergoterapista e altre figure disciplinari con le quali collaborano paziente, famiglia ed entourage nella vita corrente». Di grande rilievo sarà quindi la cosiddetta «valutazione funzionale oggettiva» e individualizzata per ogni paziente: «È un bilancio clinico dell’autonomia residua conseguente a una disabilità acquisita che mira all’identificazione sistematica degli esiti invalidanti attuali o attesi per ogni determinata condizione. Così si documenta il grado di disabilità s u cui dobbiamo concentrarci per strutturare programma di cura e progetto riabilitativo coerente con la persona, il suo stile di vita e l’ambiente sociale che lo riaccoglierà». La medicina riabilitativa ha cambiato il paradigma del recupero della salute di chi ne fruisce. Perciò appro-
fondiremo nel corso dei prossimi mesi ciascuna specialità che le compete, a cominciare dalla riabilitazione neurologica, prima tappa di una medicina mirata a restituire il paziente alla propria vita, considerate la sua patologia e le sue disabilità: «Aggiungendo non solo giorni in più alla vita, bensì più vitalità funzionale e qualità alla vita attesa», conclude il dottor Ruggieri.
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista con il dottor Graziano Ruggieri.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Ambiente e Benessere
Una Pasqua di tulipani
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Viaggio Per i lettori di Azione, Hotelplan
Tagliando di prenotazione Desidero iscrivermi alla crociera dal 24 aprile al 1. maggio 2019 Nome Cognome
organizza dal 24 aprile al 1. maggio 2019 una crociera lungo il romantico Reno
Via NAP Località
Quando si pensa al Reno, si pensa alla Germania. Il che è un’associazione senz’altro sensata: il grande fiume attraversa tutta la parte occidentale dello Stato. Però non solo in terra tedesca scorre questo lungo corso d’acqua: prima di entrare in Germania, il Reno segna il confine con questa e la Svizzera e poi tra Francia e Germania, toccando città importanti come Basilea e Strasburgo; e dopo aver passato la terra alemanna, entra in Olanda, dove sfocia nel Mare
del Nord nei pressi di Nimega. Quattro nazioni, dunque: sono anche le stesse che tocca la crociera lungo il fiume, una delle esperienze più belle per conoscere da vicino l’Europa centrale. In nave, infatti, si può godere nel migliore dei modi del panorama attorno al Reno. Non per niente i paesaggi renani hanno ispirato nei secoli numerosi poeti, scrittori e pittori: fu il viaggio sul Reno di Goethe, nel 1774, che diede inizio all’epoca del Romanticismo. Da
Telefono e-mail
allora il Reno divenne una meta imprescindibile per i turisti di tutta Europa; e ancora oggi il paesaggio – con i suoi castelli, le case a graticcio, i boschi e i vigneti – non manca di esercitare il suo fascino. Per i lettori di Azione, Hotelplan organizza dal 24 aprile al 1. maggio 2019
Il programma di viaggio 23 aprile 2019 – Ticino-Basilea Trasferimento in torpedone verso il porto di Basilea e imbarco: alle 17.00 si salpa. 24 aprile 2019 – Strasburgo Arrivo a Strasburgo e visita panoramica della città. 25 aprile 2019 – Colonia Passaggio della famosa Loreley. Arrivo a Colonia e passeggiata nel centro storico. 26 aprile 2019 – DordrechtRotterdam Visita dei magnifici mulini a vento di Kinderdijk (Patrimonio UNESCO). Nel pomeriggio arrivo a Rotterdam; giro panoramico della città.
27 aprile 2019 – Amsterdam Visita del parco botanico Keukenhof a Lisse, nell’Olanda Meridionale: il più grande parco di fiori a bulbo del mondo. In serata, giro in barca sui canali di Amsterdam per apprezzare le luci del tramonto. 28 aprile 2019 – DuisburgDüsseldorf Arrivo nel pomeriggio e visita del complesso industriale con le miniere di carbone «Zeche Zollverein» a Essen, attive fino il 1986. (Patrimonio UNESCO) Trasferimento facoltativo verso Düsseldorf per un’escursione individuale. Rientro sulla nave per la cena.
29 aprile 2019 – Coblenza Giro panoramico con visita dell’imponente Fortezza di Ehrenbreitstein. Proseguimento della rotta attraverso il «Romantico Reno» scorgendo sulle rive le rovine di Stolzenfels, Marksburg, Maus e il castello di Rheinstein. 30 aprile 2019 – Baden-Baden Dalla cittadina di Plittersdorf escursione in bus verso Baden-Baden. Rientro sulla nave da Gambsheim. Fortezza di Ehrenbreitstein. 1. maggio 2019 – Basilea-Ticino Arrivo al porto di Basilea, sbarco e torpedone per rientrare in Ticino. Arrivo in serata.
Bellinzona
Lugano
Lugano
Viale Stazione 8a 6500 – Bellinzona T +41 91 820 25 25 bellinzona@hotelplan.ch
Via Pietro Peri 6 6900 – Lugano T +41 91 910 47 27 lugano@hotelplan.ch
Via Emilio Bossi 1 6900 – Lugano T +41 91 913 84 80 lugano-viabossi@hotelplan.ch
Sul sito web www.azione.ch/concorsi » continua il «Quiz Hotelplan gio viag ni buo io In pal da 100.– franchi. Buona fortuna!
una crociera lungo questo fiume a bordo del MS Thurgau Prestige*****, una delle navi fluviali di lusso più apprezzata in Europa. 124 passeggeri per un totale di 41 cabine a 2 letti (15mq), 7 Junior Suite (19mq) e 14 Master Suite (30mq), tutte dotate di doccia/WC, TV/Radio, minibar, asciugacapelli, telefono e aria condizionata con regolazione individuale. La nave (la lingua parlata a bordo sarà principalmente tedesco) dispone, inoltre, di un ristorante principale, un salone panoramico con il pavimento da bal-
Sarò accompagnato da … adulti. Sistemazione desiderata (cerchiare ciò che fa al caso) a)
b)
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Variante singola:
Sì
No
lo, bar, reception, boutique, bistro con angolo Internet, sala fitness, e un ponte prendisole con jacuzzi.
Prezzo a persona a) In cabina doppia a 2 letti, ponte principale*: CHF 2495.– b) In cabina doppia a 2 letti, ponte intermedio con balcone: CHF 2990.– c) In cabina doppia Junior Suite, ponte intermedio con balcone: CHF 3188.– d) In cabina doppia Junior Suite, ponte superiore con balcone: CHF 3288.– e) In cabina doppia Master Suite, ponte superiore con balcone: CHF 3580.– Supplemento singola sul ponte principale CHF 320.– (non possibile nelle Junior Suite e Master Suite). Supplemento singola sul ponte intermedio CHF 980.– (non possibile nelle Junior Suite e Master Suite) / Spese di dossier Hotelplan: CHF 70.–.
*Attenzione: le cabine sul ponte principale hanno una finestra non apribile. Le quote comprendono Trasferta in torpedone Ticino-Basilea e ritorno; tasse portuali; servizi privati in cabina prenotata; pensione completa senza bevande durante la crociera; pacchetto di 8 escursioni in lingua italiana; carta regalo Migros CHF 50.– a cabina; accompagnatore Hotelplan Ticino. Le quote non comprendono Bevande; extra in genere; assicurazione viaggio da CHF 57.–; mance (ca. 5-7 EUR per persona al giorno da pagare in loco); spese agenzia, e ogni extra non menzionato nella voce «la quota comprende».
Il nastro paradossale Giochi Ricordate la leggenda dei chicchi di riso sulla scacchiera? sta, infatti, era uguale a: 1+2+22+23+.... +263 = 18’446’744’073’709’551’615 (circa 18,5 miliardi di miliardi). Assumendo come superficie della Terra il valore di 511 milioni kmq, se fosse possibile ricoprirla uniformemente (compresi mari, oceani, deserti e ghiacciai) con una quantità di riso del genere, risulterebbe una densità di circa: 3,6 chicchi/cmq. Ma esistono delle verità matematiche che, pur riguardando insiemi finiti e facilmente computabili, portano ugualmente a delle conclusioni apparentemente assurde. Come nel seguente semplice esempio. Due poderi adiacenti sono separati da un tratto lineare che misura 100 metri esatti. I due proprietari hanno pensato di evidenziare questo confine, sovrappo-
nendovi un nastro colorato, lungo tutta la sua estensione. Per errore, però, è stato fornito loro un nastro lungo 101 metri (e non 100 metri). Di conseguenza, dopo aver fissato i capi del nastro alle estremità della li-
nea, questo non aderisce perfettamente al terreno, ma rimane un po’ lento. Se si pensasse di sollevare il nastro al centro e tenderlo al massimo, quanto misurerebbe l’altezza del triangolo che verrebbe così a formarsi? Più o meno di 3 metri?
Soluzione
Utilizzando i consueti strumenti matematici, a volte si ottengono dei risultati apparentemente incredibili, perché contrastano con la nostra immediata perspicacia, ma non sono frutto di errori. Alcune di queste contingenze matematiche, che vengono comunemente definite paradossi, non trovano facile riscontro nella realtà, o perché necessitano di un elevato numero di prove per essere accertate, o perché coinvolgono il concetto di infinito. Una delle tipologie di paradossi matematici più ricorrenti deriva dalla difficoltà di valutare correttamente la crescita incredibilmente rapida che assume una potenza, all’incrementare del suo esponente; come
accade nel seguente classico esempio. Narra un’antica leggenda persiana che il saggio Sussa ibn Dahir, inventore del gioco degli scacchi, invitato dal re Shiram a esprimere un desiderio, come ricompensa per la propria geniale invenzione, chiese semplicemente che venisse messo un chicco di grano sulla prima casella della scacchiera, due chicchi sulla seconda, quattro sulla terza e così via, raddoppiando ogni volta la quantità precedente. Di fronte a una richiesta in apparenza tanto modesta, il re si meravigliò molto, non rendendosi conto che, per soddisfarla appieno, sarebbe servito un ammontare di chicchi talmente sconfinato, da superare largamente (anche oggi…), la capacità di tutti i granai del mondo. La quantità totale di chicchi richie-
Al di là di qualsiasi spontanea supposizione, l’altezza di un simile triangolo misurerebbe addirittura un po’ più di 7 metri! È possibile confermare l’attendibilità di questo risultato, in maniera rigorosa. applicando il teorema di Pitagora a un triangolo ABC, dove: – AB è il cateto maggiore, la cui lunghezza vale la metà di quella del tratto lineare (AB = 100/2 = 50); – AC è l’ipotenusa, la cui lunghezza vale la metà di quella del nastro (AC = 101/2 = 50,5); – CB è il cateto minore e corrisponde all’altezza da trovare. Con tali impostazioni, possiamo porre: CB2 = (50,5)2–502 = 2550,25–2500 = 50,25 CB = √50,25 = 7,0887 circa
Ennio Peres
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Ambiente e Benessere
Astri autunnali
Mondoverde Della famiglia delle Composite,
contano quasi duecento specie e decine e decine di varietà Anita Negretti I veri protagonisti di fine estate sono sicuramente gli astri o settembrini, erbacee perenni dai capolini variopinti che si aprono quando la calura estiva diminuisce, tra le prime settimane di settembre e le ultime di ottobre. Gli Aster, della famiglia delle Composite, contano quasi duecento specie e decine di varietà, di cui le due specie più note sono Aster novi-belgii e Aster novae-angliae. Entrambe sono alte dagli 80 ai 150 centimetri, con steli eretti, rigidi e portanti foglie lanceolate e fiori semplici, simili a quelli delle margherite, con delicati colori pastello.
Tra fine ottobre e inizio marzo, si possono dividere i cespi delle radici, che ripiantate e tenute bagnate daranno vita a nuove piante in fioritura lo stesso anno Negli ultimi decenni, grazie all’ibridazione con una terza specie dalle dimensioni più contenute, Aster dumosum, si sono ottenute varietà compatte, tra i 20 e i 60 centimetri di altezza, ideali per i primi piani in aiuole e bordure. Per nulla esigenti, crescono bene al sole o a mezz’ombra, con terra sia calcarea sia acida, fertile o ricca di sostanza organica, in climi caldi o freddi, sopportando gelate fino a -20 °C durante l’inverno e punte di calura intorno ai 40°C. L’unico problema da scongiurare durante la coltivazione di queste belle piante è l’attacco di oidio o mal bianco, dovuto allo sviluppo del fungo Erisyope cichoriacearum, in grado di moltiplicarsi molto velocemente e di regalare alla vegetazione una patina biancastra, che andrà a indebolire la pianta compromettendone la fioritura e la sopravvivenza.
Per scongiurare questo problema fitosanitario è bene sia dividere i cespi ogni 2-3 anni in maniera tale da garantire una buona circolazione dell’aria tra le foglie, sia utilizzare un prodotto a base di zolfo a fine fioritura, da spruzzare dopo la potatura di pulizia, quando si interviene tagliando gli steli appassiti a livello del terreno. Rusticissimi, si moltiplicano molto velocemente sia per divisione dei cespi, sia per talea o tramite semina. In questo ultimo caso, seminateli tra aprile e luglio, quando in poco più di un mese, in un angolo semi ombreggiato del giardino, vedrete spuntare le nuove piantine. Diradate e curate a dovere, fioriranno dall’autunno successivo. In giugno si esegue invece la moltiplicazione tramite talee di punta, con le cime lunghe una decina di centimetri e derivanti dalla potatura estiva che si esegue per accestire maggiormente le piante. Interrate in un miscuglio di terra, torba e sabbia, le talee radicheranno in 4-5 settimane e saranno successivamente pronte per il trapianto in piena terra nella primavera a seguire. Infine, tra fine ottobre e inizio marzo, si possono dividere i cespi delle radici estirpando le piante durante il loro riposo vegetativo e dividendole in 2 o 4 porzioni con un coltello ben affilato. Ripiantate subito dopo il taglio e tenute bagnate per le prime settimane, le porzioni daranno vita a nuove piante in fioritura lo stesso anno. Belle da sole, diventano magnifiche se abbinate ad altre erbacee perenni da fiore: ad esempio, la varietà «Carnival» dai fiori rosso porpora ed alte 60 cm, ben si abbinano con del Sedum spectabile. «Mrs S. T. Wright» con fiori rosa chiaro si sposa con molte graminacee, «Herbstschnee» alta fino a un metro, presenta capolini grandi color bianco puro e spicca se accostata a rudbeckia e solidago. Grandi gruppi di Echinacea purpurea e anemoni giapponesi si uniscono agli steli di «Autumn Beauty» dallo stupendo color blu ametista dei suoi fiori doppi.
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Ambiente e Benessere
Spedizioni memorabili
Viaggiatori d’Occidente I ricordi di terre straniere formano la nostra personalità
Claudio Visentin «Cos’hai mangiato a cena tre giorni fa?». La maggior parte degli intervistati non ha saputo rispondere a questa banale domanda. Può sembrare strano, ma così funziona la nostra mente: ogni giorno non registra tantissimi eventi, soprattutto quelli poco significativi e ripetitivi. Ma non appena si è passati ai ricordi di viaggio, anche le esperienze più distanti nel tempo sono riemerse in tutta la loro nitidezza: («Sono seduto nell’aereo, sto guardando dal finestrino e all’improvviso vedo lo skyline di New York nella realtà, dopo averlo visto tante volte in fotografia. Accidenti! – mi dico – sto davvero atterrando a New York, proprio in questo momento!»). Stiamo parlando di una ricerca commissionata da Swiss all’Università di Zurigo (mille intervistati tra i 18 e i 55 anni in ciascun Paese: Gran Bretagna, Germania, Italia, Svizzera e Stati Uniti). I risultati confermano con rigore scientifico quanto i viaggiatori in fondo sapevano da tempo: i ricordi di viaggio sono più vividi e duraturi degli altri. Inoltre, sempre secondo la ricerca, il dieci per cento di tutti i nostri ricordi sarebbe legato ai viaggi, anche se naturalmente la percentuale di tempo della nostra vita trascorsa in viaggio è di solito molto inferiore. Sappiamo bene poi che i ricordi più profondi sono associati a forti emozioni (il primo giorno di scuola, un terribile litigio, il matrimonio o la nascita del primo figlio…) e queste non
mancano mai in viaggio, di fronte a continue novità e con il pilota automatico disattivato. Forse per questo invece dei monumenti più famosi – in teoria la ragione del viaggio – ricordiamo gli incontri con gli stranieri, scenari naturali o avventure condivise con amici e famigliari. Leggendo questi risultati, per un momento ho immaginato che la nostra vita potrebbe essere raccontata solo attraverso i viaggi, collegando tra loro tutte le esperienze lontano da casa in un’autobiografia di nuovo tipo. Dopo tutto siamo ciò che ricordiamo e ogni giorno ripercorriamo da capo il nostro passato, cercando un filo rosso mutevole e sfuggente, ridefinendo l’importanza dei diversi episodi alla luce del presente. «La vita va vissuta in avanti ma può essere capita solo guardando indietro» diceva giustamente il filosofo Kierkegaard. E in questa ricerca di un senso, le esperienze di viaggio hanno un’importanza particolare, sono tra i pilastri che reggono l’edificio della nostra identità. Lontano da casa prendono forma aspetti fondamentali della nostra personalità: un viaggiatore su due – è ancora la ricerca a dirlo – sente di essere cambiato dopo un viaggio importante. Strada facendo poi prendiamo spesso decisioni che modificano il tranquillo corso della nostra esistenza: un nuovo hobby, uno sport, una relazione (o la scelta finale di una separazione). Per questo, molti viaggiatori non accetterebbero di cancellare le foto dei loro viaggi nemmeno per tutto il dena-
«E mo te vuo’ piglia’ ’nu cafè?» Bussole I nviti a letture per viaggiare
Vista da un volo di linea su New York. (Pxhere.com)
ro del mondo. In realtà – nonostante il timore di dimenticare momenti importanti, scacciato scattando centinaia di fotografie – basta un dettaglio (un profumo, un sapore, una canzone) per risvegliare i ricordi. E sarà ancora più facile se nel nostro viaggio avremo tenuto un diario o riempito una scatola delle meraviglie con biglietti, souvenir, foglie d’albero secche…
Fin qui tutto bene. A patto naturalmente che il nostro viaggio sia all’altezza delle aspettative: avventuroso, divertente, ricco di incontri e soprattutto pieno di sorprese. Lo sottolineo perché le nuove tecnologie stanno cambiando il nostro modo di viaggiare. Per esempio qualche giorno fa Tripadvisor, il portale dedicato alle recensioni di alberghi, ristoranti, musei eccettera (se
ne contano più di 660 milioni), ha annunciato di volersi avvicinare alla formula dei social network. Già oggi riceviamo molte informazioni turistiche attraverso Facebook, ma queste sono mescolate a molte altre, secondo i capricci dell’algoritmo. Ora invece ci sarà un Social Network solo per i viaggi. State pensando a Parigi? Subito riceverete informazioni sui luoghi visitati dai vostri amici (o dagli esperti dei quali vi fidate, per esempio i giornalisti di «National Geographic»), con le relative recensioni: un albergo di tendenza, un museo divertente, un ristorante etnico nascosto, un locale con buona musica, il bar per l’ultimo bicchiere della serata. Con un semplice click potrete aggiungere queste tappe al vostro itinerario in gestazione. E dopo il ritorno, altri aspiranti viaggiatori saranno a loro volta influenzati e quasi guidati da voi. Meraviglioso, da un certo punto di vista: prima ancora di averci messo piede, saprete cosa aspettarvi. E certo non siete obbligati a ricalcare i passi dei vostri amici, ma quanti avranno il coraggio di sfidare una recensione negativa, di uscire da una via così ben tracciata, esponendosi a scoperte ma anche a inevitabili delusioni? In questo modo, tuttavia, il viaggio potrebbe perdere la sua capacità di sottrarci alle nostre confortevoli convinzioni, di stupirci, anche di provocarci. E quando i nostri ricordi saranno uguali a quelli di tanti altri, sarà ancora un piacere rievocarli a distanza di tempo? Annuncio pubblicitario
Azione
«Non mancano, al mondo, città meravigliose. Napoli però è tra le più incredibili: affollata di storie e di segreti, colori e ombre, sapori, odori, regala a ogni angolo simboli, icone e miti provenienti dal suo passato di grande capitale mediterranea e al tempo stesso europea…». Dopo una lunga eclissi legata alle confuse vicende della politica locale e allo smaltimento dei rifiuti (non proprio la miglior promozione turistica), Napoli ha ricominciato a incuriosire i viaggiatori. Del resto questa città è così, più che risolvere i suoi problemi, se li lascia alle spalle e riprende il cammino. E poi a Napoli non dovete chiedere quel che non può dare, considerato anche quanto dà di suo spontaneamente. A Napoli trovate palazzi, chiese, musei secondi a nessun altro. Ma la superiorità di Napoli rispetto alle altre città è piuttosto nelle parti meno conosciute, miniere a cielo aperto di curiosità e storie. Il nostro collaboratore Natalino Russo ha vissuto molti anni a Napoli e ora ha percorso, fotografato e descritto centoundici di questi luoghi. Un esempio? Nella chiesetta di Santa Maria delle anime del Purgatorio potete adottare un’anima pezzentella, ovvero l’anima di chi muore solo, senza nessuno, e quindi generosa di grazie e intercessioni per chi ne adotta la capuzzella, cioè il teschio, pulendolo e offrendogli fiori. Ma il vero miracolo per i napoletani resta lo scudetto del 1987, propiziato da San Maradona, il cui cappello è esposto come una reliquia nel Bar Nilo in una piccola teca tinteggiata di azzurro. Ci si può fare un selfie ma poi bisogna obbedire all’imperioso cartello: «Hai fatto la fotografia? E mo te vuo’ piglia’ ’nu cafè?».
La copertina di 111 luoghi di Napoli che devi proprio scoprire.
Hit
Non dimenticate la Napoli sotterranea, misteriosa e infinita, a cominciare dai sotterranei di Castel Nuovo, noto come Maschio Angioino. E prima di partire fatevi regalare (altrimenti non funziona) come souvenir il famoso curniciello portafortuna, per scacciare il malocchio e propiziare la buona sorte. Per essere efficace deve essere tuosto, stuorto e cu ’a ponta (solido, ricurvo e appuntito), naturalmente di corallo, color rosso vivo. Perché essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male… Bibliografia
Natalino Russo, 111 luoghi di Napoli che devi proprio scoprire, Emons, 2018, pp. 240, ill., € 14,95.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Ambiente e Benessere
Merluzzo su letto di verza alla pancetta
Migusto La ricetta della settimana
Secondo piatto
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
Ingredienti per 4 persone: 500 g di verza · 1 scalogno · 2 spicchi d’aglio · 100 g di pancetta da arrostire a fette · 2 dl di panna · sale · pepe dal macinapepe · 4 filetti di merluzzo di circa 180 g ciascuno · 4 c d’olio d’oliva · ½ mazzetto d’erbe aromatiche, ad es. aneto o prezzemolo.
1. Dimezzate la verza ed eliminate il torsolo centrale. Tagliate la verza a bocconi. Tritate lo scalogno e l’aglio. Tagliate la pancetta a striscioline. In una padella mettete la pancetta con lo scalogno e l’aglio e scaldate. Unite la verza e fate soffriggere per circa 5 minuti. Unite la panna, mettete il coperchio e lasciate sobbollire per circa 5 minuti. Condite con sale e pepe. 2. Contemporaneamente condite i filetti di merluzzo con sale e pepe e rosolateli nell’olio da ambo i lati per circa 5 minuti. Tritate le erbe aromatiche. Servite i merluzzi con la verza alla pancetta. Distribuite il trito di erbe sul piatto e servite. Ottimo con un contorno di patate arrosto. Preparazione: circa 30 minuti. Per persona: circa 42 g di proteine, 34 g di grassi, 7 g di carboidrati, 520
kcal/2150 kJ.
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Francia, 6 x 75 cl rtogallo, 6 x 75 cl
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Ambiente e Benessere
Dei delitti e delle pene
Giochi per “Azione” - Ottobre 20 Sport La giustizia sportiva, complessa, segmentata, a volte lenta, rischia di indebolire la credibilità sport Stefaniadello Sargentini (N. 37 - Duecentottantaquattro)
Giancarlo Dionisio Ama! Non è un’esortazione a voler bene al prossimo. È l’acronimo di Agenzia Mondiale Antidoping (Wada in inglese), l’organizzazione che gestisce il programma di prevenzione, controllo e sanzione in materia di frode sportiva farmacologica e tecnologica. Sotto di lei si pongono le varie Agenzie Antidoping Nazionali, che non necessariamente adottano gli stessi principi giuridici. Anche il Comitato Internazionale Olimpico (Cio) si occupa di argomenti analoghi con i suoi organi specifici. Il Cio governa a sua volta i vari Comitati Nazionali; nel nostro caso: Swiss Olympic. Non dimentichiamo poi le varie Federazioni Internazionali, come la Fifa, la Fis, L’Uci, o la Iaaf, le quali reggono le sorti di quelle Nazionali, che in Svizzera si chiamano Asf, Swissski, Swisscycling, Swissathletics, e che pure posseggono i loro organi giudiziari. Insomma, a dipendenza delle circostanze, l’infrazione di un atleta può essere giudicata da parte di una o più fra queste istanze. Al di sopra di tutte si colloca infine il Tas (Tribunale Arbitrale dello Sport) con sede a Losanna, voluto dal Cio nel 1984, dal 2003 organo indipendente, chiamato a risolvere le controversie transnazionali. Sovente il Tas ha ribaltato sentenze prese in altre sedi. Atto assolutamente lecito, ma che deve far riflettere sulla, a mio modo di vedere, eccessiva parcellizzazione della giustizia sportiva. Se una decisione non ottiene l’unanimità dei consensi, è probabile che qualcosa non sia girato per il verso giusto in sede d’inchiesta, oppure che ci sia ancora troppa diversità fra i codici delle varie camere giudicanti e, in
Giochi Cruciverba La città di Yakutsk in Siberia, d’inverno può… Trova il resto della frase, risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 11, 4, 8, 5)
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S E N A T
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Valverde 24 sull’Aubisque durante la 28 diciannovesima tappa del Tour de France 2018. (S. Yuki)
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A Q A B A
N U C V
D E I T T A I C I L O L
(N. 38 - ... giapponese, la rana porta fortuna)
ultima analisi, si potrebbe persino ipo- Cio, innocenti dalla Fis. Uno scenario 2 3 5 6 7 8 tizzare1che la mancata unità di visione e 4 delirante che, oltre a minare l’autostima di intenti possa nascondere ragioni me- degli interessati, ha contribuito alla per9 politiche: ad esempio, ciò10che 11 dello sport. ramente dita di credibilità del mondo è grave per Tizio nel paese X, è consideLo spunto per parlare di giustizia rato da12Caio come una bagattella non sportiva mi viene 14 da alcune conside13 punibile nel paese Y, mentre sul suolo di razioni colte recentemente sui social Z, Sempronio si batterebbe per la radia- media, che, oltre ad avere in parte sosti15 16ruolo di «Università dello zione a vita. tuito i bar, nel Emblematico il caso dei fondisti sport», si pongono come dei formida17 18Vylegzhanin, Petukhov 19 russi (Legkov, bili acceleratori dell’informazione. Poe altri), ritenuti colpevoli di essere chi istanti dopo il trionfo di Alejandro coinvolti 20 in un programma di doping 21Valverde al Campionato Mondiale di di Stato nel periodo precedente i Gio- ciclismo (Innsbruck, 30 settembre), si è chi Olimpici di Sochi del 2014. Questi potuto assistere al tripudio di chi si ral22 23 atleti sono stati condannati, assolti, legrava per l’impresa del corridore di ricondannati, nuovamente assolti, con- Murcia, finalmente Campione iridato, a siderati, dal 38 anni e mezzo, dopo essere salito per 24al tempo stesso, colpevoli 25
(N. 39 - ... 2
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e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku raggiungere meno sessanta gradi)4 2 7 4 5 Sudoku 7
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N. 37 FACILE
I G A P Schema O L I P O N O 7 R4 E1 S E 2 U L5 O R A R8 E 4 A5 G I 6 C A6 P I9 1 K I E V R A M8 A1 C2 O9 R T5 E7 3 A S I F3 O 4 9 8 O I 2 R A T 8 3 4 U C E8 N T 5 9 2 7 Vinci una delle 3 carte regalo L da I 50Pfranchi A7 S con I3 il cruciverba 1 6
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U N E S C N O T E C A T E T O C O A T T A A Z O T O A V A R I V I L E T I S E T U O A R C O SUDOKU PER A
ben sei volte sugli altri gradini del podio. D’altro canto c’era chi (una minoranza) riteneva indegno celebrare le gesta di un ex dopato. È vero. Alejandro Valverde fa parte di quella cinquantina di corridori che nel 2006 era stata coinvolta nell’Operacion Puerto, un programma di doping ematico gestito dal ginecologo (sic) Eufemiano Fuentes, nel suo studio di Calle Zurbano a Madrid. Stranamente i nomi di atleti, provenienti da altre discipline, più potenti e più ricche, sparirono dalle liste in un nanosecondo. L’inchiesta provò che alcune delle sacche di sangue, stoccate nei refrigeranti del medico per essere, all’occorrenza, reintrodotte in circolo, appartenevano effettivamente al neo campione del mondo.
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G U A N T O N I
Spiegarne le ragioni richiederebbe troppo spazio, ma va detto che Valverde fu indagato, processato e sospeso per due anni dagli organi giudiziari del Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), mentre la giustizia spagnola continuò a fare orecchio da mercante e a consentire al corridore la partecipazione alle gare su suolo iberico. Un approccio schizofrenico alla situazione, che, secondo me, ha nuociuto all’immagine di Valverde. Di fatto lui ha pagato il prezzo che gli è stato richiesto. È tornato alle gare, motivato, arrabbiato, forse in cuor suo convinto di essere stato vittima di un errore giudiziario, disposto a lavorare e a soffrire ancora più duramente di prima. I risultati, ottenuti nell’ambito di un ciclismo iper controllato e ripulito, non si sono fatti attendere poiché se c’è una qualità che non fa difetto a colui che viene soprannominato «l’embatido», è la classe cristallina. Valverde, diversamente, ad esempio, di Marco Pantani, è riuscito a non farsi stritolare dagli ingranaggi di una giustizia sportiva ancora troppo balbettante (vedi la vicenda di Chris Froome) ed è tornato più grande che mai. Qualcuno, a giusta ragione, dirà che in fondo lo sport è semplicemente lo specchio della società civile, in cui pure si manifestano discrepanze giudiziarie tra situazioni simili. Questo, però, non deve servire da alibi. Tendere a una maggiore omogeneità di giudizio, con regole e codici uguali per ogni disciplina, federazione, paese, è una via imprescindibile se si vuole che lo sport , oltre a essere uno straordinario dispensatore di motivazione e di emozioni, sia un ambito considerato eticamente credibile da parte del pubblico.
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R A G UN. 38 MEDIO G I Scoprire i3 U N A G E7 L numeri corretti da inserire nelle M colorate. N G I3 R L caselle A T E6 N E O5 9 14 15 16 17 Giochi per “Azione” - Ottobre 1 G 2018 M EStefania N O E7 Sargentini 20 21 (N. 37 - Duecentottantaquattro) E S S I A3 I R2 24 D U N E S C S T OE N 8O O T E S C AC A 27 28 O C 4 T A TI OTGE AI TT T A T A 30 6 ASE QA NNU TIGA AEAV AZL OR ATI O D Soluzione:
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(N. 40 - “Ho dimenticato la torta in forno!”)
ORIZZONTALI 1. Un condimento per tagliatelle 4. Una consonante 6. Contrapposta all’altra 7. Il freddo che cinge Turandot 8. Simbolo chimico del manganese 9. La ragazza del boy 10. Università 13. Un Brian musicista inglese 14. Minerale molto tenero 18. Pronome personale 20. Regione montuosa del Sahara 21. Una domenica alla RAI 22. Si dice a «Sette e mezzo» 23. Il nome dello scrittore Wilde 25. Sono in fin di vita 26. Può essere intervallata da un picnic
27. Si contano a scopa 29. Nome femminile 30. Corrono sulle tastiere
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I premi, cinque carte 24 regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto 26 pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
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VERTICALI 1. Si distilla dalla melassa 7 2. L’attrice Valle 3. Le iniziali del politico Alemanno 10 4. L’attore protagonista di Autunno a New York 5. Assurda, irragionevole 7. Il cantautore Paoli 9. Particelle cromosomiche 14 15 16 11. Un anagramma di oste 12. Malinconica, triste 19 15. La18 Giunone dei greci 16. Le iniziali della regista Izzo 21 per guantoni da22 17. Misura box
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19. Il famoso Laurel 24 27 20. Un25tipo di 26vendita 2823. Antica lingua francese 29 2 24. Re 3 di Francia 4 5 6 26. In mezzo al congegno (N. 38 - ... giapponese, la rana 28.2 Le3iniziali 8 del ballerino 96 Todaro7 8 1 4 5
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S S 8 I R5 8 O R 5 I T
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N A C I V I L E T A B C L I S E T U Soluzione della SUDOKU settimana precedente PER AZIONE - OTTOBRE 2018 T A V O L O A R C O PAESE CHE VAI USANZE CHE TROVI – Nella cultura … Resto della frase: N. 37 FACILE LA RANA PORTA FORTUNA ...GIAPPONESE, porta fortuna) 8 3 6Soluzione Schema 7G 4 I 1 G A 2 P O5 L I P O 7 4 1 8 6 2 3 4 4 R 5 E S E6 3 92 8 9 4 5 57 U N 8O U L 6A O9 1 R A R E 6 5 9 1 3 7 4 A G I 7 4 8N 1 8 1 4 2 9 6 5 C 2 A 9 P I 5 7 K3 I E V 5 6 33 7 1 4 9 T R 3 A M A 4 9 C8 O5R T E 2O A S I 8 3 F O4 2 9 7 5 8 3 6 9 8 5 9 2 7 1 8 6 4 7 5 9 32 N O I R A T 3 C E N1 T 6 9 7 5 3 2 8 1 I 7U 2 9 4 4 3 2 6 7 1 8 L 2 I P 7 A S8 I
N. 39 DIFFICILE
H E R O D E I D E M E N5 9 1 6 11 12 I vincitori L O O S T E2 8 13 7 3 L I R A T A8 2 Vincitori del concorso Cruciverba 17 su «Azione 40», del 01.10.2018 4 1 C. Di Sunno, W. Casada, V. Pliha C A T S I D O L I 3 7 Vincitori del concorso Sudoku su «Azione 40», del 01.10.2018 20 A V E P R O S A T 61 4 S. Mercoli, M. Zmölnig 9 5 23 N. 38 (N. 39 - ... raggiungere meno sessanta gradi) SMEDIO I C O A N E 6R inO Partecipazione 25 online: inserire la luzione,7 corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento 1 9 7 2 8 3 6 contanti 5 4 R A Gemail U del G I 4 deve dei premi. soluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, partecipante I vincitori saranno avvertiti T C A N E 4 3 7R 2 73 5 L 6 4O 1 9 T8 27 nell’apposito formulario pubblicato essere aG«Redazione Azione, per iscritto. Il nome dei vincitori sarà U N spedita A E L 6Concorsi, 5C.P.9 6315, 6901 Lugano». 6 8 su4«Azione». 5 9 Partecipazione 7 1 3 2 sulla27 pagina del sito. pubblicato M N G I R L 6 1 AAsi 1intratterrà F O N O E R A N O6 8che Partecipazione postale: la lettera o Non corrispondenza sui riservata esclusivamente 7 9 5 1 3 7 4 a8 2lettori T E N E O 9
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Politica e Economia Scenari europei In maggio si svolgeranno le elezioni europee, le più importanti per l’Ue e le prime dopo la Brexit
Famiglie e dinastie Vita e miracoli del patron di Luxottica Leonardo Del Veccchio, che di recente si è unito in matrimonio con la Essilor francese pagina 25
Brasile, shock elettorale Con la sua retorica nazionalista e incendiaria, il candidato di estrema destra Jair Bolsonaro trionfa nel primo turno delle elezioni
Multe per fare cassa Le autorità usano le infrazioni stradali come entrate supplementari per l’erario
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AFP
pagina 25
C’è posta per Francesco Missiva di Kim Jong-un Il 18 ottobre il presidente sudcoreano consegnerà al Papa, in Vaticano, una lettera autografa
del suo omologo nordcoreano con la proposta di visitare la Corea del Nord
Lucio Caracciolo «Papa Francesco è profondamente interessato a costruire pace e prosperità nella Penisola Coreana. Che ne diresti di invitare il papa a Pyongyang?». Così il presidente sudcoreano Moon-Jae-in si rivolse al leader nordcoreano Kim Jong-un durante il loro terzo incontro al vertice, svoltosi in settembre a Pyongyang. «Se il papa vorrà venire qui, lo accoglieremo a cuore aperto», la risposta del capo della Corea del Nord. Il quale chiese al collega del Sud di sondare il terreno. Detto fatto. Il 18 ottobre Moon-Jae-in consegnerà a Francesco, in Vaticano, una lettera autografa del collega di Pyongyang con la proposta di visitare la Corea del Nord, assicurando che l’accoglienza sarebbe calorosa. Qualcosa di notevole sta accadendo nell’Asia del Nord-Est. Fino a ieri immaginare un dialogo così disteso e concreto fra i capi delle due Coree sarebbe stato impensabile, ancora meno si sarebbe scommesso su un invito del
regime nordcoreano al romano pontefice di visitare Pyongyang, anche se un tentativo del genere, sfumato sul nascere, venne abbozzato dal padre di Kim Jong-un. Esaminiamo i due scenari separatamente. L’apertura di dialogo fra le due Coree, possibile dopo l’avvento di Moon alla guida dell’esecutivo di Seul, è figlia di una crisi e di un’avventura. La crisi venne alla luce lo scorso anno, quando Trump annunciò che il programma nucleare militare nordcoreano stava facendo passi da gigante, come dimostrato anche dai ripetuti lanci missilistici, palesemente provocatori e ostentativi. Secondo diversi esperti e dirigenti americani, il regime di Pyongyang era vicino alla possibilità di colpire con un missile balistico munizionato con testata nucleare quasi ogni punto del territorio statunitense, di sicuro le basi nel Pacifico, Guam su tutte. Dopo una aspra discussione interna all’Amministrazione e negli
apparati di Washington, in cui si esaminarono varie opzioni offensive, tra cui quella dell’attacco preventivo, concludendo che erano troppo rischiose, Trump decise di tentare il grande colpo mediatico, incontrando Kim Jongun a Singapore. Grandi sorrisi e strette di mano, sostanza poca o nulla. L’idea di una spontanea e totale denuclearizzazione della Corea del Nord non pare realizzabile, almeno nei prossimi anni. Eppure un filo di dialogo – o di moine reciproche, a scopo pubblicitario – fra Washington e Pyongyang resta teso. Ma la conseguenza più immediata della relativa distensione nei rapporti Usa-Corea del Nord è il riavvicinamento fra le due Coree, parallelo al loro allentamento dei vincoli con i rispettivi grandi alleati e «protettori», Pechino e Washington. Di più. Fra Moon e Kim si è stabilito un ottimo rapporto personale, che è riflesso in gesti simbolici e progetti economicocommerciali e infrastrutturali destinati a integrare le due Coree. L’ipotesi
della riunificazione coreana non è più solo utopia. Non è certo per domani, ma altrettanto sicuramente forze decisive, nelle due capitali, lavorano per questa prospettiva di lungo termine. Una Corea unificata cambierebbe i rapporti di forza nell’Asia intera. Sicché gli attuali primattori della scena asiatica – dalla Cina al Giappone oltre che naturalmente agli Usa – non la vedono di buon occhio. Il secondo aspetto riguarda il ruolo della Santa Sede. Papa Francesco e i suoi collaboratori, in testa il segretario di Stato Parolin, seguono molto da vicino l’evoluzione dello scenario coreano. E hanno favorito nei modi loro consueti – ovvero assai discreti – la ripresa del dialogo intercoreano come di quello fra Washington e Pyongyang. Tanto è vero che la visita in Vaticano comprenderà una messa in San Pietro per la pace in Corea, celebrata da Parolin alla presenza di Moon. La comunità cattolica in Corea del Sud è molto vivace, mentre di quella nordcoreana si sono
perse le tracce, perché in quel Paese l’unica religione ammessa e praticata riguarda il culto della regnante dinastia Kim. A cominciare dal fondatore Kim Il sung, eretto a «eterno leader». Inoltre, l’annuncio dell’invito di Kim jong-un al papa segue di pochi giorni la notizia dell’accordo fra Repubblica Popolare Cinese e Santa Sede sulla possibilità per i cattolici di professare più o meno liberamente la loro fede sul suolo cinese. Un’intesa di cui non esiste testo scritto, ma che apre comunque la strada a una (molto?) futura visita del papa in Cina. Di fatto è come se Kim avesse voluto mettere il bastone fra le ruote al riavvicinamento fra Pechino e Roma, confermando così il suo crescente dissidio con Xi Jinping. Il papa certamente non andrà a Pyongyang prima di essersi spinto a Pechino, se mai potrà. Insomma, i pezzi del puzzle nordasiatico sono in movimento, sullo sfondo della grande sfida fra Usa e Cina per il primato mondiale.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Politica e Economia
L’Europa già in campagna elettorale
Scenari In maggio si svolgeranno le elezioni europee, le più importanti per l’Ue dalla sua fondazione e le prime
dopo la Brexit. Per l’Italia si tratterà anche di una sorta di primo test nazionale per il governo Conte
Alfredo Venturi «Dobbiamo salvare l’Europa», dice Pierre Moscovici, «da Salvini, Orban e Le Pen». Uno dei tre personaggi che il commissario europeo per gli affari economici e monetari vorrebbe neutralizzare, Matteo Salvini, risponde così: Juncker e Moscovici stanno rovinando l’Italia e l’Unione europea. Anche Luigi Di Maio, l’altro vicepresidente del consiglio italiano, evocando l’imminente «terremoto politico» coinvolge nella polemica il presidente della commissione JeanClaude Juncker: la sua Europa, «questa» Europa, non ha che pochi mesi di vita. Salvini concorda: a maggio cancelleremo l’Unione dei banchieri. Poi invita a cercare notizie su Juncker con parole chiave come «sobrio» e «barcollante», insinuando che i problemi di deambulazione del capo della commissione, postumi di un incidente stradale, derivano invece da libagioni troppo generose. Il lussemburghese Jean-Claude Juncker replica pacatamente: questo linguaggio sboccato fa pensare... Poi anche lui mena fendenti: con gli euroscettici si può discutere, ma vanno bloccati «i populisti stupidi e i nazionalisti ottusi». Lo scambio di gentilezze fra i consoli del governo di Roma nominalmente guidato da Giuseppe Conte e gli uomini di punta di Bruxelles è la cornice verbale di uno scontro fra due visioni dell’Unione. Quella europeista di Juncker e dei suoi commissari e quella sovranista che fa capo ai politici citati da Moscovici: il vicepresidente italiano, il primo ministro ungherese, la figlia d’arte che a Parigi guida l’ultradestra del Rassemblement National. La sfida è stata rilanciata dalle previsioni di bilancio del governo italiano. Per finanziare le loro onerose promesse elettorali i due vincitori del 4 marzo chiedono di alzare l’asticella del deficit consentito dagli accordi europei. Ricordando la paurosa voragine del debito pubblico italiano l’Europa risponde che non è possibile e Salvini, incuran-
te del precedente storico, replica con la consueta levigatezza verbale: «dell’Europa me ne frego». Già ai ferri corti con Bruxelles a causa della questione migratoria, cavallo di battaglia dei leghisti, il governo di Roma trova proprio nella contrapposizione all’Unione, restia a consentire lo sforamento del deficit, il collante che lo tiene insieme. È infatti formato da due forze la cui visione politica e sociale non potrebbe essere più discordante. Il Movimento 5S è soprattutto radicato nel Sud afflitto dalla disoccupazione di massa, è dunque portato a interventi di tipo assistenzialistico come il reddito di cittadinanza. La Lega, che invece raccoglie la maggior parte dei suoi consensi nel Nord produttivo e vive con disagio l’impronta pauperistica dell’alleato e il soccorso ai «fannulloni», insiste piuttosto sugli sgravi fiscali per le imprese. Inoltre, mentre i Cinquestelle hanno costruito il loro successo a spese del Partito democratico, e cercano di conservare quei consensi con un approccio «di sinistra», egualitario e solidaristico, la Lega si rivolge all’opinione pubblica più conservatrice. Non a caso Salvini è legatissimo alla francese Marine Le Pen, che ha incontrato nei giorni dello scontro con l’Unione incassandone il plauso e l’appoggio e delineando assieme a lei un’Europa in cui ogni paese «controlla le sue frontiere» e «sceglie la sua economia». Un altro punto sul quale il leghista e Di Maio concordano è la convinzione che nonostante i negativi contraccolpi delle loro politiche sulla borsa e sul differenziale di rendimento fra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, la situazione economica del Paese è destinata a migliorare. Confidano nell’effetto di alcune misure a favore delle imprese e nelle conseguenze in termini di domanda interna del reddito di cittadinanza. Contando sulla maggior crescita promettono che il rapporto deficit-pil, fissato al 2,4 per cento l’anno prossimo, scenderà al 2,1 nel 2020
Matteo Salvini stringe la mano a Viktor Orban a Milano in agosto. (AFP)
per attestarsi sull’1,8 nel 2021. Vanamente l’Europa ricorda che l’oggetto del contendere, oggi, è solo il dato del 2019, che l’Italia si è impegnata a contenere. Ma queste per Salvini e Di Maio sono quisquilie. Per una semplice ragione: sono convinti che proprio nel 2019 Juncker, Moscovici e compagnia dovranno andarsene e cedere il posto a una commissione di segno diverso, finalmente sensibile agli umori dei sovranisti. Fra il 23 e il 26 maggio i cittadini europei saranno chiamati al voto e sull’auspicato esito di questo voto i due vicepresidenti fondano il loro avvertimento: la vostra Europa è destinata agli archivi. È la stessa prospettiva che induce Juncker e Moscovici a invocare la resistenza per salvare l’Unione dalla rivoluzione che la minaccia. Di fatto, una nuova maggioranza potrebbe prendere il posto dell’attuale che regge la commissione Juncker, costituita dal Partito popolare, dai socialisti e dai liberal-democratici. Salvini si sta dando un gran daffare in vista dell’appuntamento elettorale di
maggio. Allaccia contatti con i partiti sovranisti scandinavi e con gli austriaci, invita l’amico ungherese Viktor Orban a lasciare il Partito popolare per entrare nel gruppo Europa delle nazioni e delle libertà, nel quale la Lega è in compagnia del Rassemblement lepenista. Orban, ideologicamente vicino all’italiano ma abituato a fare di testa sua (per esempio lo applaude sulla questione migranti ma non vuol saperne di alleggerire il carico sull’Italia ospitandone una parte in Ungheria), declina l’invito. Con il suo Fidesz preferisce rimanere nel Ppe e cercare piuttosto di spostarlo verso destra. Per quanto abbiano il vento in poppa, i gruppi sovranisti non pensano di poter raggiungere la maggioranza assoluta: si accontenterebbero di un terzo dei seggi. Quanto basta per poter costruire nel parlamento di Strasburgo l’inedito connubio Ppe-sovranisti. L’obiettivo principale è chiaro: sconfiggere i socialisti, relegare la sinistra all’opposizione. Magari con l’apporto dei Cinquestelle, oggi alleati a Strasburgo dell’Alternative für Deutschland che auspica da
tempo la svolta euroscettica. Lavora in questa direzione anche The Movement, il gruppo fondato da Steve Bannon, l’ex capo stratega di Donald Trump che veste i panni dell’ideologo del sovranismo internazionale. Bannon considera l’Italia giallo-verde il «centro del mondo politico», guidata com’è da «un partito populista con tendenze nazionaliste come i Cinquestelle e un partito nazionalista con tendenze populiste come la Lega». Che cosa si potrebbe immaginare di meglio? Nella visione dell’uomo cacciato dalla Casa bianca Roma è un modello per tutti, dagli Stati Uniti all’Asia. Ovviamente la realizzazione del progetto di Bannon e dei suoi seguaci dipenderà dalle scelte del Ppe, il cui presidente Manfred Weber non manca di lanciare ai sovranisti segnali d’apertura: per esempio elogia la «linea dura» italiana, sia pure respingendone l’aggressività e augurandosi che sia ricondotta nell’alveo delle politiche concordate dell’Unione. Il mese prossimo il Ppe celebrerà il suo congresso a Helsinki: in quella sede Orban e soci cercheranno di dare al partito la loro impronta sfidando la componente europeista. I sondaggi danno il Ppe in perdita e in forte calo i socialisti. Dalle demoscopie emerge un dato apparentemente paradossale: i voti perduti dalle due massime formazioni andrebbero non soltanto ai sovranisti, ma in qualche misura anche all’Alde, un gruppo fortemente europeista. Sarà insomma, quella di maggio, una battaglia pro o contro l’Unione europea: euroscettici contro europeisti, i primi baciati dai favori del pronostico, i secondi ansiosi di riscossa. Da una parte chi vuole riprendersi la sovranità ceduta alle istituzioni di Bruxelles, dall’altra la resistenza di chi intende proseguire lungo la strada del federalismo. Tutto ruota attorno al concetto d’integrazione, il duello divide chi la considera eccessiva da chi la trova insufficiente, e proprio per questo si ostina a sognare la storica ascesa verso gli Stati Uniti d’Europa.
Del Vecchio, tre matrimoni e una fusione
Nomen omen La grande famiglia del patron di Luxottica e il recente «matrimonio» fra il gruppo italiano
dell’occhialeria e quello francese delle lenti Essilor Alfio Caruso Sei figli, due mogli, tre matrimoni (ha fatto il bis con Nicoletta Zampillo), una compagna: a ottantatrè anni Leonardo Del Vecchio (foto) si sforza ancora di far combaciare amori e affari, patrimonio e dinastia. In testa alla classifica dei paperoni italiani e 37.mo al mondo con una ricchezza personale di quasi 24 miliardi di dollari, pochi anni addietro è stato costretto a riprendere il timone della sua creatura, la Luxottica, la più grande produttrice e venditrice mondiale di occhiali e lenti (82’282 dipendenti, oltre 8000 negozi, quasi 10 miliardi di ricavi e uno di utile). I manager, bravissimi, dei quali si era circondato hanno avuto da eccepire sulla decisione di convolare di nuovo a nozze con l’affascinante Nicoletta, che era già stata la sua seconda moglie nel ’97. Le riserve non riguardavano ovviamente le qualità della signora, bensì il terremoto, cui sarebbe stata sottoposta la finanziaria di famiglia, la lussemburghese Delfin. All’inizio del secolo, quando Del Vecchio si accompagnava a Sabrina Grassi, dirigente della Luxottica, il capitale era stato diviso tra i sei figli: Claudio, Marisa e Paola avuti da Luciana Nervo; Leonardo Maria dalla Zampillo; Luca e Clemente dalla Grassi. Con la prole ben lontana dai posti di comando, l’assetto era stato strutturato in modo che nessuno di essi
potesse defenestrare i fratelli o metterne uno in minoranza. Per Del Vecchio la quadratura del cerchio, il viatico di una serena vecchiaia da godere nei suoi rifugi: lo chalet con vista sul Monte Bianco, la villa sul mare di Cap Ferrat, lo yacht Moneikos, una barchetta di 62 metri ancorata a Montecarlo. Il premio più che meritato di un’esistenza interamente dedicata al lavoro cominciando dal gradino più basso della scala sociale, il collegio dei Martinitt, che a Milano ospita gli orfani, i cui parenti non sono in grado di mantenerli. E nel ’35 la mor-
te del fruttivendolo Leonardo, giunto dalle Puglie, aveva mandato in crisi la famiglia Del Vecchio. La moglie aspettava il quarto figlio, cui fu dato lo stesso nome del padre. I Martinitt rappresentarono l’unica chance di dargli anche un’istruzione con il diploma di scuola media. A 15 anni entrò da garzone in una fabbrica di coppe e medaglie: conquistati dalla sua dedizione i proprietari lo spinsero a iscriversi ai corsi serali dell’Accademia di Brera. Studiò disegno e incisione. La specializzazione gli fruttò una chiamata in Trentino da un’azienda di incisioni metalliche. Dopo un anno, nel ’58, si trasferì ad Agordo, in provincia di Belluno, e aprì una bottega di montature per occhiali. Un impegno intensissimo senz’alcuna distinzione fra il giorno e la notte facendo spesso ricorso alla simpamina per superare la stanchezza e il sonno. Nel ’61 la fondazione, assieme ad alcuni soci, della Luxottica con quattordici dipendenti, specializzata nella produzione di minuteria metallica per le occhialerie. Un’iniziativa del comune a sostegno dell’area industriale, gli consentì di ricevere gratis il terreno sul quale costruire un enorme garage con capannone. Divenuto unico proprietario, Del Vecchio ebbe nel ’67 l’intuizione giusta: produrre gli occhiali e commercializzarli con il marchio Luxottica.
È l’inizio di una scalata inarrestabile. Nell’81 lo sbarco negli Stati Uniti con un’aggressiva politica di acquisizioni. Diventano suoi marchi leggendari come Ray-Ban. L’alleanza nel ’93 con i Benetton per impossessarsi della Sme gli consente di trarre un cospicuo guadagno dalla successiva vendita ai francesi di Carrefour. Nasce l’amicizia e l’alleanza in nuove intraprese imprenditoriali con il quasi coetaneo Giorgio Armani. Quotata prima alla borsa di New York e poi a quella di Milano, Luxottica è da ventitré anni il maggior produttore e distributore sul mercato ottico mondiale. Mai dimenticandosi da dove arriva, i sogni e bisogni di quanti operano per il successo del titolare. Da qui un contratto aziendale all’avanguardia su bonus, assistenza medica, asili per i figli dei dipendenti. Gli estimatori affermano che il tocco magico di Del Vecchio traspaia pure a sua insaputa: dopo il primo matrimonio nel ’97 con la Zampillo, figlia di un rappresentante del marchio in Lombardia, la coppia va a vivere a Villa Mondadori, una magione di 2mila metri quadrati che si estende per un intero isolato nel pieno centro di Milano; finita l’unione, la villa viene venduta per 24 milioni di euro. Ma la scintilla con l’ex moglie riesplode del 2010 quando il cuore indomito del guerriero non batte più per la madre dei suoi ultimi due fi-
gli, la Grassi. Significa una complicata riforma della Delfin, nella quale molti intravedono il peso assunto dalla neo signora Del Vecchio. S’infittiscono i pettegolezzi: alla Zampillo è attribuita la volontà di ricevere il 25 per cento della finanziaria, si accenna a contrasti con i vertici della Luxottica. Di sicuro avviene soltanto il cambio degli arredi sul «Moneikos». Per evitare complicazioni immediate Del Vecchio s’intesta il 25 per cento in discussione; il restante viene diviso in parti eguali (12,5 per cento) tra i sei figli. Comporta, però, che alla sua scomparsa, la moglie e Leonardo Maria, studente alla Bocconi, avranno una rilevante quota azionaria. A modificare ulteriormente il panorama interviene nel 2017 l’operazione Luxottica-Essilor. Porta alla costituzione del più grande gruppo al mondo dell’occhialeria (le montature dei bellunesi, più le lenti dei francesi: un colosso da 50 miliardi di euro di capitalizzazione). La Delfin passa così dal possedere il 62 per cento della vecchia impresa a possedere il 30-35 per cento di un gruppo più ampio con meno possibilità di creare problemi quando il patriarca non ci sarà più. Gli analisti finanziari si chiedono se in questo modo Del Vecchio abbia voluto salvaguardare la famiglia dalle sorti dell’azienda o l’azienda dalle possibili liti della famiglia.
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Politica e Economia
Brasile Con la sua retorica nazionalista e incendiaria, che s’ispira
al presidente americano Trump, Jair Bolsonaro, candidato di estrema destra, ha trionfato nel primo turno delle elezioni
Jair Bolsonaro fa paura alle donne #EleNão In Brasile il movimento delle
donne che lo contesta è trasversale ai partiti Luisa Betti Dakli
Jair Bolsonaro candidato del partito Socialliberale è stato accoltellato a inizio settembre durante un comizio. (AFP)
Angela Nocioni Saranno poche migliaia di voti a decidere, al ballottaggio del 28 ottobre in Brasile, se sarà l’ex militare d’estrema destra Jair Messias Bolsonaro, 46,5% al primo turno, il prossimo presidente della quarta democrazia del mondo. Con lo slogan «lui no, il fascismo mai» Ciro Gomes (del Pdt, centrosinistra, arrivato terzo con il 12,5%) l’avvocato che fu ministro dell’Integrazione del governo Lula e che ha corso per suo conto domenica presentandosi come alternativa possibile tanto alla sinistra del Partito dei lavoratori (Pt), travolta da una serie di inchieste sulla corruzione e il finanziamento illecito alle campagne elettorali, quanto ai nostalgici dell’ordine garantito dai militari rappresentato da Bolsonaro, ha chiesto ai suoi elettori di votare il candidato di Lula, Fernando Haddad, l’ex sindaco paulista del Partito dei lavoratori arrivato secondo (29,5%) a 17 punti percentuali da Bolsonaro. I sondaggi per il ballottaggio danno Bolsonaro al 45% e Haddad al 43%. Nella storia brasiliana il secondo turno non ha mai rovesciato il risultato del primo. A far crescere l’onda che spinge in avanti l’ex colonnello, nel tentativo di raggiungere la presidenza ormai a portata di mano, ci sta pensando la destra profonda ed estrema che esiste in Brasile, sopravvissuta alla fine della dittatura, che mal ha sopportato negli ultimi trent’anni il costruirsi di una società democratica e ora finalmente può sorridere appagata quando sente Bolsonaro dire che «i negri non vanno bene nemmeno per la riproduzione». Rendere presentabile Bolsonaro nei salotti buoni della finanza, non costringere chi ha interesse a votarlo a doversene vergognare, è compito del ministro dell’Economia in pectore, Paolo Guedes, economista sessantottenne, con un’infarinatura di Chicago University. È stato assunto apposta per far da ponte tra Bolsonaro, gli industriali paulisti e il grande potere agrario. Appena alla fine di settembre, i sondaggi sulle intenzioni di voto al primo turno hanno fatto balzare l’ex colonnello sopra il 30% (il consenso nei suoi confronti è stato molto sottostimato fino alla vigilia del voto) gran parte dell’establishment brasiliano ha superato l’imbarazzo e ha spalancato le braccia al candidato dell’ultradestra in volata. Cominciando dai latifondisti, i quali peraltro non sono mai stati danneggiati nei loro interessi dai governi della sinistra che, già dal primo governo Lula nel 2003 fino all’ultimo governo di Dilma Rousseff fatto cadere due estati fa con un impeachment del tutto illegittimo, sono stati molto accorti nel
non infastidire i grandi ricchi riuscendo a tirar fuori i soldi per le vaste politiche sociali realizzate dall’aumento dei profitti di un momento di miracoloso ma fugace boom delle esportazioni. Quell’area di ultradestra, nonostante non abbia perso privilegi economici, ha comunque concepito un odio profondo nei confronti della sinistra al potere che sul piano concreto e simbolico dell’integrazione sociale ha rivoluzionato il senso comune nazionale. Basti pensare alle quote riservate ai neri nelle università o alla tutela dei diritti di chi fa lavori domestici: norme che la parte profondamente razzista del Brasile che pure esiste, persone davvero convinte di poter trattare i propri camerieri un po’ peggio dei propri cani da guardia, non ha mai perdonato all’era del lulismo al potere. L’ex colonnello Bolsonaro (alcune sue frasi «polizia buona è solo la polizia che uccide», «accetto il risultato delle elezioni solo se vinco io», «una figlia femmina è solo la punizione per una disattenzione») incassa l’appoggio discreto del mondo finanziario paulista e lo scatenarsi in suo favore di quello che in Brasile si chiama «il partito Bibbia, vacche e pallottole», la potentissima lobby degli evangelici (un brasiliano su quattro è fedele a una chiesa evangelica) sommata a quelle dei latifondisti e dei militari, questi ultimi mai tanto attivi in politica dalla fine della dittatura nel 1985. L’ex presidente Lula da Silva, detenuto nel carcere di Curitiba, ancora a capo del Partito dei lavoratori e sostituito all’ultimo minuto nella corsa alle presidenziali da Haddad dopo essere stato dichiarato incandidabile dal Tribunale supremo perché condannato in appello al 12 anni per corruzione e lavaggio di denaro, punta a far recuperare al suo malconcio partito consensi da quel 20% di astensione che, se riassorbito, deciderà l’esito del ballottaggio. Fondamentale sarà anche la scelta degli elettori del Psdb, il partito liberal dell’ex presidente Fernando Henrique Cardoso, storicamente molto più numerosi del misero 4,76% raccolto dal candidato Geraldo Alckmin. Bolsonaro, 63 anni, non è un outsider. Cacciato dall’esercito per «episodi di insubordinazione e eccesso di aggressività», negli ultimi 28 anni è stato deputato federale a Rio de Janeiro (il Brasile ha una struttura federale) per il Partito social liberale, un partito di estrema destra in mano agli evangelici che hanno messo a disposizione dell’ex colonnello i loro 199 deputati e 4 senatori oltre alla Record tv, canale del fondatore della Chiesa universale del regno di Dio, Edir Macedo. Da lì Bolsonaro ha tenuto comizi in solitaria, sen-
za contraddittorio possibile, rifiutando il confronto televisivo con gli altri candidati. I principali pastori evangelici brasiliani, personaggi potentissimi che hanno visto inginocchiarsi di fronte a loro tutti i principali leader politici in cerca di voti inclusa l’ex presidente del Partito dei lavoratori Dilma Rousseff poco prima della sua rielezione, sono stati finora i suoi più efficienti luogotenenti. «Perché mai non dovremmo appoggiarlo se ha l’agenda politica che noi difendiamo – diceva giorni fa Silos Malafaia, uno dei leaderini della Assemblea di Dio, altra congregazione evangelica – è stata la sinistra brasiliana a sostenenere in questi anni la spazzatura morale che abbiamo visto qua, addirittura un bacio gay nella telenovela delle sei del pomeriggio!». Una agenda politica in realtà Bolsonaro non s’è dato la pena di procurarsela, non ne aveva bisogno. I suoi elettori non gli chiedono di averla. La sua è stata ed è una candidatura «contro». Contro Lula, anche se in galera. Contro la crisi economica. Contro tutto quello che poteva essere spacciato per una delle conseguenze negative delle politiche degli ultimi governi della sinistra. In questo è stato provvidenzialmente aiutato dalla brutta coltellata rifilatagli durante un bagno di folla. Ferita profonda, ma non letale. Ciò gli ha permesso di non fare campagna elettorale, ottima opportunità per un candidato senza programma. I suoi voti se li è rastrellati con una efficientissima pioggia di notizie false diffuse via social. Il suo principale strumento è stato Whatsapp, veicolo prezioso di persuasione politica in un Paese in gran parte a recente alfabetizzazione e in cui 6 persone su 10 sono attive nei social. Come candidato vice, Bolsonaro ha scelto l’ex generale Hamilton Mourão, che ha più volte lodato la tortura e il golpe. Può contare sull’attivismo in suo favore di tutti quegli alti gradi militari riaffacciatisi in politica negli ultimi mesi. Su quello del generale Fernando Azevedo e Silva, per esempio, diventato suo stratega politico dopo essere stato nominato consigliere speciale del Tribunale supremo federale dal nuovo presidente, José Antonio Dias Toffoli. Lo stesso Toffoli ha detto di non sopportare la parola «golpe» riferita al colpo di stato del 1964 che instaurò la dittatura militare. Lui preferisce dire «movimento del ’64». Ha anche spiegato che, a suo parere, è scorretto «dare la responsabilità di quell’intervento militare ai militari». Perché la causa del loro «irrompere» andrebbe piuttosto fatta risalire «al conflitto politico tra la destra e la sinistra». Toffoli presiede dal mese scorso il più importante tribunale del Brasile.
È stato ucciso con 12 coltellate alla schiena per aver dichiarato il suo voto a sinistra in un bar di Salvador de Bahia. Romualdo Rosario Da Costa, conosciuto come Maestro Moa, era un famoso capoeirista di 63 anni ed è stato accoltellato domenica 7 ottobre, nel giorno delle elezioni in Brasile, da Sérgio Ferreira Santana, un elettore della destra di Jair Bolsonaro, che dopo la discussione è andato a casa, ha preso un coltello, ed è tornato al bar per colpire a morte l’uomo che l’aveva contestato. Un clima di violenza quello che ha scandito la campagna elettorale, con lo stesso Bolsonaro ferito all’addome, e che continua ora nell’attesa del ballottaggio del 28 ottobre in cui si scontreranno il candidato di destra, forte del 47,6% conquistato al primo turno, e la sinistra di Fernando Haddad che ha convinto solo il 27,7% dei cittadini. Eppure, malgrado il successo del Partito social-liberale (Psl) che è passato da un deputato eletto nel 2014 ai 51 di domenica, l’ex militare Bolsonaro non piace a tutti. Oltre al 20,3% di astenuti, tra chi non ha votato il Trump dei Tropici ci sono molte di quelle donne che prima delle elezioni sono scese in piazza con lo slogan «#EleNão» (Non lui) in imponenti manifestazioni a Rio de Janeiro, San Paolo, Brasilia e in altre 60 città: una contestazione descritta dai giornali come «la più grande mobilitazione di donne nella storia del Brasile». Un movimento di protesta che, iniziato su Facebook, ha raccolto finora 4 milioni di adesioni puntando il dito contro il machismo di Bolsonaro, che oltre a essere un nostalgico della dittatura e un fervente religioso a favore della famiglia tradizionale, si è rivelato un sessista strenuo oppositore dei diritti civili. Famose alcune sue dichiarazioni come quella sugli attivisti per i diritti umani chiamati «vagabondi», o la frase che rivolse alla deputata Maria do Rosario dicendole «non ti stupro perché sei troppo brutta per meritartelo». Il gruppo «Donne contro Bolsonaro», creato da una pubblicitaria di 36 anni di Bahia, Ludimilla Teixeira, ha avuto il sostegno di star della musica brasiliana come Daniela Mercury e Anitta, e attrici come Madiline Brewer della serie The Handmaid’s Tale, ed Ellen Page che ha definito il leader d’estrema destra: «un pericoloso omofobo, misogino e razzista». Un candidato alla presidenza che ha dichiarato in un’intervista che non assumerebbe mai «una donna con lo stesso stipendio di un uomo, perché le donne vanno in gravidanza», e che a proposito dei suoi 5 figli disse: «Dopo i primi quattro maschi mi sono indebolito, ed è arrivata una ragazza».
Per Eloà Dos Santos, del Movimento delle donne nere di Rio, quello di Bolsonaro «è un attacco feroce» e la sua vittoria al primo turno è stato uno shock. «Fino a 5 anni fa qui il Partito social-liberale non era niente e ora vincono le elezioni, e ci chiediamo dove abbiano preso i soldi per fare tutta la propaganda che hanno fatto». In Brasile il movimento delle donne è trasversale e anche quelle che non sono di sinistra si sono opposte, perché Bolsonaro fa paura. «Stamattina hanno picchiato una deputata di sinistra e minacciato di stupro una giornalista sfregiandola in viso– dice Dos Santos – e prima delle elezioni il deputato Rodrigo Amorim ha spaccato la targa di Marielle Franco (la consigliera comunale del Psol assassinata il 14 marzo, ndr): un atto che è stato applaudito mentre lui è stato il candidato più votato. Si tratta di gruppi di giovani fascisti che hanno trovato la loro identità nell’estrema destra appoggiata anche dagli evangelisti e pentecostali brasiliani che qui sono una forza». Una politica che vuole controllare la famiglia, dove le donne vanno relegate sotto il controllo del capofamiglia maschio, al punto tale che anche dentro questi gruppi religiosi favorevoli alla destra, si sono formati schieramenti come le «Mujeres evangelicas contra Bolsonaro». «La loro propaganda si poggia su ragionamenti semplici, moralistici ma diretti – continua Dos Santos – quindi per esempio contro i gay, appoggiati dalla sinistra, dicono: vuoi una sinistra che trasformi i tuoi bambini in omosessuali? Oppure: vuoi una sinistra che faccia abortire tua figlia?». Il rischio oggi è di perdere tutti i diritti conquistati finora: dal Ministero delle donne, spazzato via dopo il colpo di Stato di due anni fa, alle case popolari intestate alle donne come capo famiglia, che dal candidato alla vicepresidenza, il generale Antonio Hamilton Mourão, sono considerate «una fabbrica di malavitosi», fino alle misure di contrasto alla violenza di genere contro la quale Bolsonaro prevede come soluzione quella di armare le donne che si dovranno difendere da sole grazie alla liberalizzazione delle armi. Quello che viene contestato è «il maschilismo, la misoginia e i pregiudizi» del candidato alla guida del Brasile che, in un incontro televisivo, è arrivato a dire che se suo figlio fosse stato gay, avrebbe preferito vederlo morto in un incidente, paragonando l’omosessualità alla pedofilia. Donne che rappresentano il 52% dell’elettorato brasiliano e che al ballottaggio del 28 ottobre potrebbero ribaltare il risultato ottenuto al primo turno.
AFP
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Politica e Economia
Atteso un moderato aumento dei tassi La consulenza della Banca Migros
Irina Martín
Obbligazioni della Confederazione decennali di nuovo appena sopra lo zero 4%
3%
2%
0%
Stati Uniti
Italia
Germania
Giappone
Svizzera
Per i prestiti della Confederazione a dieci anni continuiamo ad aspettarci un leggero aumento dei tassi d’interesse a lungo termine, poiché l’inflazione tende a crescere in molti
paesi e la politica monetaria tende a restringersi a livello globale. Il nostro scenario di base per gli interessi ipotecari rimane di conseguenza invariato: le ipoteche Libor diffi-
10-2018
09-2018
08-2018
07-2018
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04-2018
03-2018
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-1 %
Fonte: Thomson Reuters Datastream
1%
01-2018
Irina Martín è economista presso la Banca Migros
Nell’ultima valutazione della politica monetaria la Banca Nazionale Svizzera (BNS) ha mantenuto il tasso di riferimento invariato al –0,75 percento. Una decisione che non ci ha sorpreso. Nonostante in Svizzera si sia registrata un’ulteriore forte crescita del prodotto interno lordo reale nel secondo trimestre (+0,7 percento rispetto al trimestre precedente), l’inflazione rimane ben al di sotto della soglia del 2 percento, che la BNS considera il limite superiore per la stabilità dei prezzi. Ad agosto il rincaro annuo dei prezzi al consumo è rimasto invariato all’1,2 percento rispetto all’anno precedente. Per i prossimi trimestri non ci attendiamo un cambiamento della politica monetaria della BNS, sebbene il contesto monetario in Svizzera sia leggermente mutato negli ultimi mesi. Il franco svizzero si è nettamente apprezzato rispetto all’euro sulla scia della crisi della bilancia dei pagamenti in Turchia e della perdurante incertezza politica in Italia. Tuttavia, nelle condizioni attuali, la BNS difficilmente aumenterà il tasso d’interesse di riferimento prima della Banca Centrale Europea (BCE), in quanto ciò accentuerebbe ulteriormente la tendenza al rafforzamento del franco. Di fatto, la BNS rimarrà vincolata fino al prossimo aumento dei tassi di riferimento della BCE (previsto a partire dall’autunno 2019).
cilmente diventeranno più costose entro la metà del prossimo anno. Nel caso di mutui fissi con scadenze più lunghe prevediamo un moderato aumento. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Politica e Economia
Tributi, tasse e multe disciplinari rincarano la fiscalità in Svizzera
Lo Stato e il cittadino Ormai non sembra più soltanto un’impressione il fatto che l’ente pubblico cerchi
di rimpolpare le entrate mediante provvedimenti destinati ad altri scopi. Le multe disciplinari ne sono un esempio Ignazio Bonoli Da qualche tempo si nota anche in Svizzera un aumento della pressione fiscale sotto varie forme. Di regola non si tratta di aumenti delle aliquote fiscali, ma di un procedimento meno appariscente. Il contribuente che riceve la tassazione definitiva si accorge che l’imposta da pagare aumenta ai tre livelli (Cantone, Comune, Confederazione), mentre il suo reddito non aumenta o perfino diminuisce. E qui bisogna rilevare una situazione un po’ anomala: non c’è inflazione e quindi non ci sono (o ci sono in misura minima) adeguamenti salariali. Non tali però da far entrare in gioco la correzione a freddo delle aliquote d’imposta. Un altro fattore importante dell’aumento della pressione fiscale è dato dalla riduzione delle possibili deduzioni delle spese sostenute per il conseguimento del reddito, a cominciare, per esempio, dalle spese di trasferimento dal domicilio al luogo di lavoro. Per non parlare delle deduzioni possibili per la manutenzione della propria casa, per altro già gravato dal cosiddetto valore locativo imponibile, che tende pure ad aumentare insieme con l’aumento generale delle stime. Spesso le statistiche internazionali che pongono la Svizzera fra i paesi fiscalmente più favorevoli, non tengono
conto della cosiddetta «parafiscalità» che non fa parte della tassazione del reddito come tale, ma che fa aumentare il totale di imposte e tasse da pagare. Si pensi ai premi di cassa malati (obbligatori e deducibili solo in parte) o ad altri tipi di tassazione (per esempio tasse di cancelleria di vario tipo) che sui redditi medi a bassi pesano parecchio. Forse questa situazione è anche all’origine delle lamentele di parecchi Cantoni che mostrano difficoltà nell’incassare le imposte regolari, soprattutto quando si tratta di conguagli. Infatti, è proprio solo a questo livello che il contribuente constata un inatteso aumento delle imposte da pagare. Di conseguenza, aumentano anche le procedure d’incasso e le relative spese. Tra le imposte cosiddette occulte figurano sempre più spesso quelle dovute alla circolazione stradale. Non solo per quanto concerne le tasse di circolazione (il Ticino si è distinto per un aumento che lo ha fatto diventare uno dei più cari, mentre rimane il Cantone con la minore copertura del territorio da parte dei mezzi pubblici). È proprio in situazioni in cui l’uso del mezzo privato è obbligatorio (o quasi, in tutto o in parte) che le tasse di circolazione assumono il carattere di una vera e propria imposta. Sta però diffondendosi anche un altro fenomeno che in molti hanno co-
minciato a denunciare: quello di conferire alle multe disciplinari il carattere di fonte di entrate per l’ente pubblico, più che quello di disciplinare il traffico o di migliorare la sicurezza. Secondo la statistica dello scorso anno le polizie cantonali e quelle cittadine hanno incassato, globalmente in Svizzera, 420 milioni di franchi. I Cantoni che si trovano sui grandi assi di traffico incassano multe dovute al superamento della velocità consentita e constatata in numerosi controlli, mentre nelle città il gettito maggiore è dato soprattutto dalle multe di parcheggio. In rapporto al numero di abitanti e a quello delle patenti di guida, è il Canton Uri che ha emesso il maggior numero di multe per superamento del limite di velocità (quasi 4 milioni di franchi). Ciò è senz’altro dovuto all’intensità del traffico in certe stagioni. In assoluto l’incasso maggiore di multe spetta al canton Zurigo, con 95 milioni di franchi, seguito da Vaud (60 milioni) e Berna con 39 milioni. Il calcolo degli incassi di multe cittadine non è più possibile, perché molti Cantoni non hanno più polizie municipali e quindi conteggi separati delle multe. Il calcolo per città indica oltre 60 milioni di franchi per Zurigo, 17 milioni per Losanna e 13 milioni per Basilea. Oltre la metà degli incassi è dovuta a multe di posteggio. Ma anche in questi casi – e parec-
In Svizzera nel 2017 sono state incassate multe per 420 milioni di franchi, una fonte di entrate importante. (Keystone)
chi politici lo ammettono – lo scopo è più quello di rimpinguare le casse della città, che quello di migliorare il traffico. Lo dimostrano le soppressioni di misure come quella della gratuità la domenica o in determinate ore in settimana. Inoltre, in alcune città, il costo dei parcheggi è diventato proibitivo. Sono for-
se misure mirate, ma il cui uso fa sì che le spese a carico del contribuente siano in costante aumento. Siamo ormai vicini al punto in cui alle imposte da pagare bisogna aggiungere, magari preventivamente, tasse, tributi e anche le inevitabili multe dovute all’uso, anche se necessario, dell’automobile. Annuncio
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Romer, Nordhaus e la crescita economica secolare Il premio Nobel dell’economia è stato assegnato quest’anno a due economisti nordamericani: i loro nomi sono, in ordine di età, William Nordhaus e Paul Romer. Nei commenti che si sono potuti leggere, nei giorni seguenti alla nomina, i due economisti sono stati descritti come se fossero dei veri e propri ecologisti. Di fatto si tratta invece di due rappresentanti della scuola neoclassica che di ecologia non è che si occupi molto. Hanno avuto però ambedue il merito di impostare le loro ricerche su aspetti e problemi dello sviluppo economico di lungo termine. E questa scelta li ha portati a formulare modelli di crescita che vanno ben oltre i problemi di cui si occupa di solito la teoria tradizionale. Cominciamo da Paul Romer che è conosciuto come uno dei padri del modello di crescita endogena (l’altro è Robert E.
Lucas, che è stato anche lui, a suo tempo, premio Nobel). Nel suo modello Romer considera lo stock di sapere come uno dei determinanti più importanti della crescita economica. Questo aggregato di conoscenze genera delle esternalità (ossia degli effetti non regolati dal mercato) che per Romer sono un bene pubblico, a disposizione, quindi, di tutte le imprese di un determinato sistema economico, indipendentemente dal fatto se abbiano partecipato, o meno, alla formazione dello stock in questione. Il sapere va dunque ad aggiungersi – come componente non privatizzabile – allo stock di capitale fisso, che è invece, per una buona parte almeno, di proprietà privata. L’esistenza di questo stock di conoscenze determina economie di scala e fa sì che il sistema possa crescere con rendimenti crescenti. Presentato in
questi termini il modello di Romer non impressionerà di certo i lettori di questo articolo. Va quindi spiegato che uno dei problemi aperti della teoria della crescita economica era per l’appunto quello dei rendimenti crescenti. Come mai certe economie conoscono un processo di crescita economica secolare quando la teoria economica afferma che l’aumento della produzione non si può fare che con rendimenti decrescenti?. L’ipotesi di Romer sull’accumulazione del sapere e sulla sua natura di bene pubblico potrebbe spiegare perché la crescita economica in certi paesi e in certe regioni è secolare. Il grande merito del suo modello è di dimostrare che grazie all’accumulazione del sapere, l’economia conoscerà, anche nel lungo termine, un tasso positivo di aumento della produttività e quindi anche un
aumento continuo del reddito procapite. Se volete, il modello di Romer è, né più né meno, la scala per il paradiso. Anche William Nordhaus ha messo a punto un modello sulla crescita di lungo termine. Il suo scopo è però quello di valutare gli impatti della medesima sul cambiamento climatico. Molto citato è soprattutto il suo articolo del 1982, nella rivista americana di economia. La crescita economica fa aumentare il consumo di petrolio e quindi la quantità di diossido di carbonio rilasciata nell’atmosfera. Di conseguenza bisogna prevedere, nel lungo termine (ricordo che l’articolo fu pubblicato nel 1982), un riscaldamento significativo dell’atmosfera. Come dobbiamo reagire a questa minaccia? Nordhaus propone di applicare l’analisi costi e benefici per valutare la portata della stessa. Con il suo mo-
dello di crescita calcola la velocità con la quale il diossido di carbonio si accumula nell’atmosfera e indica quali potrebbero essere le strategie per conseguire un processo di crescita ottimale. Una strategia per la sopravvivenza, se volete. La preoccupazione di gestire i processi di inquinamento in modo da ottimizzare i risultati della crescita economica, rispetto alla minaccia del cambiamento climatico, ha portato Nordhaus a occuparsi da vicino di tutti i problemi legati alla tassazione delle attività di produzione e di consumo inquinanti. Il suo approccio a questi problemi, lo ripetiamo ancora, in conclusione di questo commento, è ottimista. Nordhaus è infatti convinto che si possano trovare soluzioni razionali al conflitto tra la crescita economica e la minaccia del cambiamento climatico.
dibattito pubblico americano (non solo americano) per cui ogni battaglia è una battaglia politica, io contro di te, rabbia contro rabbia. E così i fatti hanno smesso di avere importanza, quel che è accaduto davvero, trent’anni fa, a una festa di adolescenti con tanta birra, ha smesso di essere rilevante, le birre che il giudice Kavanaugh ama molto sono diventate disegni sulle magliette, feticcio da ostentare per dichiarare da che parte si sta. Il presidente Donald Trump ha investito su questa trasformazione e ha applicato la sua regola, quella per cui è diventato il presidente degli Stati Uniti: se loro menano, io meno più forte. Non si indietreggia, non si mostrano debolezze, crepe, ripensamenti: si mena. Alla vigilia del voto per la conferma di Kavanaugh – non c’era la certezza, ma era nell’aria, l’inchiesta dell’Fbi aveva di fatto dato un via libera non trovando nulla sul «cattivo comportamento» del giudice – in un comizio in Minnesota, Trump ha proposto un paragone definitivo: avete visto che cosa ha fatto il senatore Al Franken (che è del Minnesota e quindi tutti lo conoscono)? È stato accusato di molestie sessuali e in
un attimo se n’è andato, si è dimesso, è scomparso, non ha lottato nemmeno un po’. La decenza diventa un esempio negativo, un motivo per ridere assieme al proprio popolo delle fragilità altrui. Come già ci è capitato di constatare in passato, ha avuto ragione Trump. I liberal continuano a dire che nulla sarà più come prima e che il caso Kavanaugh ha aumentato la mobilitazione elettorale – si vota alle midterm a inizio novembre – e che le donne, questa volta, saranno decisive. Era già accaduto nel 1992, con le accuse di molestie (erano verbali in quel caso) da parte di Anita Hill contro il giudice Clarence Thomas: lui fu confermato, ma quella tornata elettorale è passata alla storia come «l’anno delle donne», il Congresso accolse molte nuove senatrici e deputate, e furono costruiti i bagni per le donne che prima di allora non erano stati ritenuti necessari. Candidate ed elettrici: i sondaggi dicono che questo è il trend. Ma che il filone rosa possa essere decisivo ancora non è chiaro, perché il voto femminile, già durante l’elezione di Trump, era a favore dei democratici. Si convince chi è già convinto, insomma.
I repubblicani al contrario sono riusciti a capovolgere il dibattito su Kavanaugh a proprio favore, approfittando di quello che è chiamato il «Brett bump», un’accelerazione di raccolta fondi e di spirito di partito che ha messo i democratici sulla difensiva. I quali si interrogano sulla propria capacità di resistenza: questo appuntamento di metà mandato doveva essere una sanzione al trumpismo facile ed evidente e invece è maledettamente complicato. Il presidente sfrutta il momento per dipingere i democratici come il partito dell’ostruzionismo, dei trucchetti – hanno costruito ad arte l’assassinio politico di Kavanaugh, dice, e hanno pure perso, ride – mentre sventola tutti i cavalli di battaglia della destra globale, a partire da George Soros. I sondaggisti si soffermano sui seggi in bilico, proiettano, dicono che un cambiamento ci sarà, un segnale ci sarà, due anni di trumpismo non sono passati invano, né l’America è rimasta indenne, ma il timore di prendere un abbaglio è ancora enorme: in fondo anche nel 2016 pareva impossibile che Trump vincesse, contro una donna poi, e invece.
nelle zone rurali furono altrettanto gravi che negli agglomerati urbani, segno che le cause andavano ricercate nell’indigenza in cui versavano i ceti popolari, nelle insufficienze del regime alimentare, nella precarietà delle condizioni igieniche, nell’insalubrità degli alloggi. Il fatto è che la società di allora non si aspettava un cataclisma del genere. Le autorità sanitarie allargarono le braccia confessando la loro impotenza; non meglio fece la scienza medica del tempo, che sulle prime credette di aver individuato l’agente patogeno in un batterio, il «bacillo influenzale di Pfeiffer», isolato all’indomani dell’epidemia che aveva visitato la Russia nel 1889-1890. Il vaccino che s’era approntato in quell’occasione non servì a nulla, come non servirono altri rimedi escogitati dall’industria farmaceutica e frettolosamente immessi sul mercato sotto nomi promettenti come la polvere dentifricia Serodent con canfora, o il Sirolin. Inefficaci si rivelarono pure
prodotti noti come l’aspirina o il chinino. Solo nel 1920 si iniziò a sospettare che all’origine della pandemia non vi fosse un batterio bensì un virus, ossia un agente molto più piccolo, quasi invisibile. Ma i laboratori riuscirono a catturarlo solo negli anni ’30 (e solo nel 1995 fu possibile decifrare compiutamente il suo traliccio genetico). In quei mesi di sconforto e di desolazione era parso che la medicina non fosse in grado di mantenere le sue promesse salvifiche di matrice positivistica. Cosicché nella società cominciarono a circolare diffidenze nei confronti di medici e vaccini spacciati come miracolosi e che tali non erano. Non era questa, come poi si vedrà, il modo corretto di reagire all’insuccesso delle misure profilattiche raccomandate dalle autorità sanitarie. Esauritasi nel 1920 la furia epidemica, la scienza medica fu ben presto in grado di riscattarsi e di riprendere il suo cammino, forse con più modestia ma non con minore determinazione.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Il giudice e il filone rosa È stato un attimo, quarantotto ore di previsioni, negoziati, dichiarazioni, dilemmi, e poi tutto si è capovolto. Il giudice Brett Kavanaugh è stato nominato alla Corte Suprema americana, dopo due settimane di discussioni e audizioni sulle sue presunte molestie sessuali a compagne di liceo, ed è diventato l’elemento unificante della destra americana, la vittima di un processo pubblico brutale e politicizzato. Fino al momento prima, le vittime erano altre: le donne che hanno denunciato Kavanaugh, in particolare una, la professoressa Ford, che è andata a testimoniare
al Senato, pacata, emozionata, precisa, con il tormento di un trauma subito molti anni fa e le paure attualissime, per sé, per la propria famiglia, per la necessità di essere protetta da minacce di morte che arrivano. La Ford è diventata il simbolo del coraggio, la sua immagine è stata proiettata sui muri di Washington, come esempio, come monito: non siete sole, c’è lei con voi. Ma attorno alla storia tremenda della Ford se n’è creata un’altra, potentissima, che ha che fare più con il vittimismo che con la vittima, e che ha a che fare con l’estrema polarizzazione del
Brett Kavanaugh è stato nominato giudice alla Corte Suprema dopo le accuse di molestie.
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti L’abbraccio mortale della «spagnola» L’autunno-inverno 1918 fu un anno di macabri conteggi. Nelle trincee francesi, russe, tedesche, italiane e austroungariche perirono all’incirca dieci milioni di soldati; a questi occorreva aggiungere le vittime civili (cinque-sei milioni) e infine i defunti per grippe, i caduti della cosiddetta «spagnola», una pandemia che, dagli Stati Uniti all’Africa, si portò via, dal 1918 al 1920, un numero esorbitante di persone infette: dai 25 ai 70 milioni (sono sempre stime). Nella Svizzera neutrale i morti furono 25mila, di cui 913 militi. L’influenza prese quel nome divenuto poi sinistro, «spagnola», non perché fosse insorta la prima volta in quel paese, ma perché la stampa iberica, non sottoposta alla censura, fu una delle prime fonti a segnalarne la pericolosità. Il contagio non risparmiò nemmeno la popolazione ticinese. Il governo, viste le conseguenze, adottò provvedimenti draconiani. Il 29 ottobre il Dipartimento Igiene e Lavoro decise di vietare in tutto il territorio cantonale gli spetta-
coli pubblici, i balli, le fiere, i mercati, l’«agglomeramento nei cimiteri». Gli esercizi pubblici dovevano chiudere entro le 22. Ogni assembramento poteva dar luogo ad un focolaio d’infezione. Nel continente europeo, già devastato da quattro anni di guerra, la grippe indusse i ministeri e gli stati maggiori ad accelerare le trattative per sospendere le ostilità. Gli eserciti, giunti alle porte dell’inverno ormai stremati, denutriti e stanchi, finirono per arrendersi di fronte ad un nemico subdolo, contro cui era impossibile battersi. Uno sperimentato diplomatico tedesco, Paul von Hintze, reputò «illusorio che il popolo tedesco, per metà affamato, piagato dal contagio influenzale, decimato centinaia di volte dalle levate militari e con il sentimento patrio a pezzi potesse di nuovo alimentare il suo “furor teutonicus”». Ondata dopo ondata (la prima registrata nel febbraio del 1918), il virus galoppò da fronte a fronte, da caserma a caserma, da ospedale a ospedale, con la velocità di un puledro impazzito, seminando
ovunque morte e disperazione. Impossibile, in queste condizioni, continuare i combattimenti. Nel mese di ottobre la sfiducia investì il vecchio ordine monarchico, decretandone il collasso. L’esaurimento delle scorte alimentari (di patate e rape in primo luogo) e l’epidemia portarono alla firma di un trattato che purtroppo non significava pace ma soltanto armistizio. E infatti, vent’anni dopo, la guerra riprese più violenta di prima. Il grande economista John Maynard Keynes ne previde il decorso nefasto nel suo commento al trattato di Versailles e pubblicato sotto il titolo Le conseguenze economiche della pace. Anche nella neutrale Svizzera la propagazione della grippe fu motivo di polemica e di scontro tra le forze politiche. Ogni «adunanza», ogni assemblea convocata dal movimento sindacale era considerata una minaccia alla salute pubblica; ma agli occhi della sinistra pure le continue «chiamate alle armi» dei presidi militari sortivano il medesimo effetto. In realtà le ripercussioni
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Cultura e Spettacoli Quella lettera a Checov Al di là delle polemiche, al LAC va in scena il suggestivo Donka di Daniele Finzi Pasca pagina 37
Burkhardt, una giusta riscoperta Al Museo Vela di Ligornetto una mostra celebra Carl Burkhardt, artista forse ancora poco noto alle nostre latitudini
Il ritorno di Lazzaro A colloquio con Adriano Tardiolo, protagonista del nuovo film di Alice Rohrwacher
Arte del corpo Si apre il 21 ottobre la stagione 2018-19 degli spettacoli al San Materno di Ascona
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Nelle pieghe di una storia
Pubblicazioni In un’era in cui sempre più
spesso si tende a dimenticare, Neri Pozza propone una nuova traduzione di Der Vorleser, capolavoro di Bernhard Schlink
Luigi Forte Sono passati oltre vent’anni da quando il giurista-scrittore Bernhard Schlink pubblicò il suo bestseller Der Vorleser, tradotto in tutto il mondo e portato poi sullo schermo da due registi inglesi, Anthony Minghella e Stephen Daldry. Nel 1996 uscì in italiano con il titolo A voce alta. Ora l’editore Neri Pozza propone il romanzo in una nuova versione a cura di Chiara Ujka e con un titolo, Il lettore, che rispecchia l’originale. In tempi in cui sembra che la memoria storica si stia sempre più affievolendo, le pagine di Schlink risultano più che mai attuali con la loro dolorosa riflessione su un tragico passato che nemmeno l’amore può estinguere. Al pubblico di lingua italiana lo scrittore Schlink, nato a Bielefeld nel 1944, per anni magistrato, poi docente di filosofia del diritto presso l’università Humboldt di Berlino, è soprattutto noto per alcuni romanzi polizieschi incentrati intorno alla figura dell’investigatore privato Selb, simpatico e sornione un po’ come Maigret, che tra un’inchiesta e l’altra si addentra nei labirinti del dopoguerra. Schlink scandaglia così atmosfere e psicologie, ambienti e personaggi, ma in realtà le sue detective stories rappresentano solo un pretesto, perché ciò che gli sta a cuore è sempre una sola cosa: la storia tedesca e le sue profonde ferite e contraddizioni. E Il lettore rispecchia tale prospettiva in modo assai coinvolgente e appassionato, anche se il romanziere, da abile funambolo qual è, riesce a mantenere in equilibrio la scrittura prosciugandola al massimo. Ambientato nella Germania degli anni Cinquanta proprio quando il paese cercava a fatica di affrancarsi dall’esperienza terribile della dittatura e della guerra per ritrovare il gusto della vita, Il lettore racconta la storia di un’attrazione fatale a cui soggiace Michael Berg, all’inizio solo un quindicenne che cerca di lasciarsi alle spalle l’adolescenza e il
ricordo di un lungo inverno trascorso per lo più a letto a causa dell’itterizia. Proprio all’uscita dalla scuola, mesi prima, era stato colto da forti conati di vomito e soccorso da una sconosciuta trentenne, Hanna Schmitz, che dopo averlo aiutato lo aveva accompagnato a casa. L’immagine della donna rapisce a tal punto il ragazzo da indurlo a cercarla e a farle visita nella sua modesta abitazione, memore di quell’attimo in cui lei, per rincuorarlo lo aveva abbracciato. Momenti che nel corso degli anni si riaffacceranno sulla soglia della realtà, nelle fantasie oniriche, come se quell’iniziazione sentimentale fosse il centro di una complessa e inesauribile esperienza di vita. La curiosità e l’ardore di Michael trovano una risposta pressoché immediata nell’accoglienza di Hanna, nei suoi slanci amorosi e nelle sue gioiose pulsioni erotiche. Pudori, turbamenti, sensualità si alternano su uno sfondo di mistero in cui è radicata l’esistenza della donna. E la grazia dell’amore soggiace alla violenza del passato: alle responsabilità che Hanna si porta dietro come ex ausiliaria delle SS in un lager satellite di Auschwitz. Un tema intrigante, sul filo di un disinvolto kitsch, che la scrittura sorvegliata e asciutta di Schlink domina perfettamente. La passione sembra non aver fine, anzi il ragazzo s’innamora ed entra nella sua vita: ora sa che la donna è cresciuta in Transilvania ed è giunta a Berlino non ancora ventenne, è stata operaia della Siemens e ha fatto molti lavori prima di diventare bigliettaia presso l’azienda dei trasporti. Dai loro incontri nasce intanto un nuovo interesse: la lettura come «magnifica ossessione». Hanna insiste perché sia lui a leggerle dei libri e così il loro rapporto si cementa ulteriormente sulle pagine di autori classici e moderni, da Omero a Tolstoj e oltre. Ma il tempo passa e Michael si affaccia sempre più sul mondo, mentre la vita di Hanna conserva imperscrutabili zone d’ombra finché un bel giorno
Bernhard Schlink (qui in una foto dell’anno scorso) è l’autore di A voce alta, ora diventato Il lettore. (Keystone)
essa scompare. Proprio nel momento in cui l’aspettava una promozione sul posto di lavoro legata stavolta al saper leggere e scrivere. È la seconda parte di un romanzo dai riflessi autobiografici che si sviluppa sul filo della memoria e nella lenta e complessa maturazione di un giovane alle prese con gli studi giuridici. Anni dopo infatti lo studente di diritto Michael ritrova Hanna come imputata in un’aula di tribunale. È accusata, assieme ad alcune compagne, della morte di oltre trecento donne ebree bruciate vive nell’incendio di una chiesa durante una «marcia della morte». Di quel gruppo solo due, madre e figlia, riusciranno a salvarsi ed è grazie alla loro testimonianza che il processo ha luogo sollevando una domanda essenziale: chi diede l’ordine di chiudere le porte della chiesa e redasse come responsabile del gruppo di au-
siliarie, il rapporto sul tragico evento? Le compagne accusano Hanna che si fa carico senza batter ciglio di tale responsabilità e viene condannata all’ergastolo. Sarà Michael, perplesso e dubbioso, a capire che tale atteggiamento nasconde un segreto. Hanna infatti, che ascoltava con piacere le sue letture e che sparì nel mo-mento in cui un nuovo lavoro la obbligava a scrivere e leggere, è analfabeta. Ma si vergogna a tal punto da accettare il carcere a vita piuttosto di rivelare il suo segreto. E Michael per problemi di natura penale non la può aiutare. Anche per lui inizia una nuova fase: per anni legge ad alta voce opere letterarie che registra su nastro e invia a quella donna che non è mai uscita dalla sua vita nonostante egli abbia intrapreso ben altro cammino e si sia anche sposato. L’avvocato Berg sembra ritrovare le emozioni della
sua giovinezza mentre Hanna si dimostra un’allieva entusiasta dalla condotta esemplare. Potrà lasciare il carcere anzitempo e Michael non esita a cercarle un lavoro e un alloggio. Il passato però la travolge e la sera prima della sua scarcerazione si suicida in cella. L’analfabeta Hanna è tornata alla ribalta, incupita e disorientata dai fantasmi di un’immane tragedia che sembra soffocare ogni speranza di futuro. Ma Bernhard Schlink ricordava allora, alla propria generazione, che non c’era prospettiva senza una vera, critica disanima del passato. E vale anche per noi, oggi, sempre più propensi a dimenticare. Bibliografia
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Cultura e Spettacoli
Katja Snozzi, Max Frisch e l’Islanda
Donka e la fragilità di un sogno In scena Al LAC fino al 16 ottobre
Mostre A Loco è esposto il progetto artistico (purtroppo incompiuto) l’acclamato spettacolo di Daniele Finzi Pasca
avviato dalla fotografa con il grande intellettuale svizzero Gian Franco Ragno
Giorgio Thoeni
Dopo aver ripreso idealmente – in una lunga serie di ritratti – tutta la popolazione di un nuovo comune del Locarnese (Gente di Pedemonte), una rappresentanza di coloro che hanno superato il secolo di vita in Svizzera (Anime centenni, libro in seguito tradotto anche in un’esposizione al Museo Vela di Ligornetto con il titolo di La bambinaia di Rita Hayworth) Katja Snozzi propone, in questa nuova mostra, un’idea rimasta nei cassetti grazie alla quale dialogava con uno dei più celebri ospiti del Ticino, Max Frisch. Snozzi e Frisch si conobbero durante una sessione fotografica nei primi anni Ottanta: lo scrittore svizzero e la giovane fotografa, accompagnata dal marito Alfredo, diventarono presto amici, sintonizzandosi su un progetto editoriale purtroppo rimasto inedito: si sarebbe trattato di un libro sull’Islanda in cui, nelle intenzioni iniziali, la fotografia e il testo avrebbero dovuto procedere paralleli, evocando entrambi atmosfere lontane, senza tuttavia interferire l’uno nel lavoro dell’altra, senza volontà didascalica o illustrativa della scrittura rispetto al linguaggio visivo. Il progetto, a lungo rimasto a uno stadio di bozza su carta, fatta di appunti e di corrispondenza in corso d’opera, è oggi esposto a Loco, ed è diventato insieme esposizione e catalogo, dal titolo, appunto, Von Berzona nach Island – come recitava una dedica di Frisch a Katja Snozzi. E il volume su cui venne posta è proprio L’uomo nell’Olocene del 1979 che, come è noto, prende spunto dal soggiorno obbligato e forzato dello scrittore in Val Onsernone nei giorni della grande alluvione del 1978. Nelle pagine del racconto, in cui si traspone l’esperienza di quei giorni, troviamo il pensionato basilese Geiser che cerca in tutti i modi di frenare la perdita della memoria – e quindi dell’identità, come sentenzia nelle primissime battute il protagonista preoccupato: «senza memoria non si sa niente» – con la ripresa di una serie di informazioni
Sono passati alcuni anni da quando seguivamo le prove di Donka negli spazi della Polivideo di Riazzino: erano pomeriggi di grande fascino e mistero fino al debutto del 2010 al Théâtre de Vidy a Losanna nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni dalla nascita di Čechov. A quel tempo la compagnia di Daniele Finzi Pasca era ancora lontana da casa. La sede era all’estero e ci si chiedeva se ci sarebbero state le condizioni per avere una scena capace di ospitare grandi spettacoli, ma soprattutto se saremmo stati in grado di far tornare a Lugano un artista e un gruppo che stavano dando lustro alla città a livello mondiale. Da pochi giorni Donka. Una lettera a Cechov ha finalmente debuttato a Lugano sul palco del LAC e le vicende che hanno accompagnato le ultime settimane hanno trasformato l’ambizione di una città in una palestra di piccinerie strapaesane, fra colpi bassi e ripicche politiche, che stanno minando l’immagine stessa di una comunità. Non vogliamo aggiungerci alla rissa, siamo però risucchiati dalla tristezza. Pensieri e preoccupazioni hanno, seppur per poco, lasciato il posto al teatro e all’apertura del grande sipario sulla fantasia e sui colori messi in campo dalla creazione di un artista che ha fatto della leggerezza la sua fede compositiva. «Sono un collezionista di attimi, di dettagli, di piccoli particolari. Il mio teatro è fatto di immagini che si sovrappongono, che spesso non raccontano in modo lineare», ha
Una veduta della mostra in corso a Loco.
enciclopediche e nozionistiche tra cui, appunto, un riferimento alla lontana isola. Ma più in generale, oltre lo spunto per il racconto, va detto che il rapporto tra Frisch e Berzona, nato con l’acquisto di una casa di vacanza nel 1964, è assai ricco e complesso, e non può essere certo esaurito in poche righe. Tra una pianta di azalee e un vecchio viale delle bocce Frisch visse e lavorò, invitando ospiti vicini (come Alfred Andersch e Golo Mann) e lontani, a cui lasciava fruire l’abitazione. Una cosa è certa però: Berzona non fu un «buen retiro», un luogo dove riposarsi al termine di una vita lavorativa. In quegli anni Frisch era ancora in piena attività, nomade tra i cuori pulsanti del mondo (Berlino, New York, Roma e Zurigo le sue tappe abituali) e protagonista del vivace dibattito culturale. In questo contesto, quindi, l’angolo del Ticino prescelto conquista una funzione privilegiata, nonostante qualche scomodità: toglie alla quotidianità il rumore – fisico e metaforico – della città, imponendo un ritorno all’essenzialità necessaria delle cose, alla sobrietà della pagina bianca. L’allestimento dell’esposizione curata da Riccardo Carazzetti e dalla stes-
sa fotografa nel piccolo museo di Loco cerca di evocare proprio la condizione del progetto comune rimasto incompiuto, l’impressione di qualcosa di lasciato «in sospeso» e non ancora giunto a termine: da una parte, sulla parete, le fotografie – allora scattate in pellicola – della natura scabra ed essenziale, i ghiacci del paese ai margini della zone abitate (un contesto ideale per evocare le riflessioni contenute nel libro di Frisch), e dall’altra parte le parole dello scrittore stampate su tende trasparenti che si sovrappongono alle immagini nella visione d’insieme: le ventotto citazioni che, a quello stadio del progetto, erano state scelte dallo scrittore per il libro. Seppur non concluso, l’insieme, ad oggi, non manca di suggestione, rimandando a una condizione universale di incompiutezza, comune a tutti, di una parte delle nostre aspirazioni: esso gioca su un duplice confronto tra uomo e natura, il primo in Val Onsernone, il secondo nell’isola nordica. Dove e quando
Katja Snozzi – Von Berzona nach Island. Frammenti di un progetto rimasto incompiuto. Loco, Museo Onsernonese. Fino al 28 ottobre 2018.
Un momento di Donka. (finzipasca.com)
annotato Finzi Pasca sul programma di sala. «Amo i silenzi, le pause, i momenti di sospensione, forse perché fondamentalmente cerco, da anni, stati di leggerezza. Ho deciso di scoprire Čechov allo stesso modo: andando alla ricerca di particolari, di dettagli nella sua vita, nelle pagine dei suoi scritti e non solo». La citazione accompagna l’entusiasmo e la complicità della Compagnia nel riprendere uno spettacolo dove gli otto attori-acrobati della versione originale sono diventati dodici, tutti straordinari nel raccontare il grande drammaturgo con un’avvincente tavolozza di essenziale semplicità, dove l’estro compositivo musicale di Maria Bonzanigo, le invenzioni scenografiche di Hugo Gargiulo, le luci di Alexis Bowles e i costumi di Giovanna Buzzi affiancano il gioco del regista fino a diventarne protagonisti. Senza dimenticare l’intelligenza subliminale di Julie Hamelin che continua ad aleggiare sulla compagnia: una figura di cui si sente la mancanza soprattutto per come avrebbe saputo contribuire nel risolvere molte delle attuali situazioni. Donka è il caleidoscopio simbolico e primordiale di una genesi artistica attraverso gli accostamenti alla vita di Čechov, alle sue passioni, alla sua malattia e persino alla sua morte. Attraverso i dettagli Daniele riordina i colori sulla tela di un grande quadro. Come il campanellino («Donka», in russo) attaccato alla lenza della canna da pesca, un passatempo che lo scrittore adorava. Lo spettacolo parte dal dialogo di due clown che ricordano il castello di Trevano con l’aggiunta di luoghi e personaggi ormai svaniti ma fortemente rappresentativi. Universi che ora ruotano sulla scena con festose acrobazie, con la forza della fantasia, lavorando sulla cifra poetica che contraddistingue tutte le creazioni di Daniele. Istantanee in movimento che rievocano eroi ed episodi che hanno punteggiato la vita e le opere di Čechov : dalle Tre sorelle al trapezio ai letti d’ospedale, dal rito della pesca alla parodia di un duello, dal mondo del circo alla fragilità di un lampadario di ghiaccio. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
La nuova forma dell’antico Mostre/1 Il Museo Vela di Ligornetto dedica una mostra a Carl Burckhardt
Alessia Brughera Era il 1923 quando Carl Burckhardt, a soli quarantasei anni non ancora compiuti, si spegneva a Ligornetto, nell’allora Palazzo Casanova che poco distava dalla casa-museo di Vincenzo Vela. La dimora, con tante stanze e un ampio giardino, era stata affittata dall’artista tre anni prima, appena presa la decisione di trasferirsi in Ticino affinché la sua salute cagionevole potesse trarre giovamento dal clima mite del cantone. Qui Burckhardt, nato a Lindau ma cresciuto a Basilea, oltre all’aria buona, poteva respirare quell’italianità che aveva conosciuto e amato nei suoi numerosi soggiorni nel Belpaese e di cui sentiva molto la mancanza. Il paesaggio del Mendrisiotto, dalle «colline giottesche con splendide ville e chiese», e la gente locale, affabile e accogliente, lo fanno stare bene e diventano per lui una fonte di ispirazione continua. Gli anni ticinesi sono per Burckhardt sereni e prolifici, un momento breve ma intenso caratterizzato da una grande creatività che trova espressione sia nella pittura, passione trascurata in passato dall’artista per i suoi numerosi impegni, sia nella scultura, ambito che vede nascere proprio in questo periodo i suoi lavori più vitali e dinamici. Dallo stretto legame che Burckhardt ha instaurato con il Ticino, e in particolare con Ligornetto, nasce la mostra monografica a lui dedicata allestita negli spazi del Museo Vincenzo Vela, una rassegna che riscopre questo artista affermato e apprezzato al Nord (dove il suo operato gli vale la definizione di padre della scultura moderna elvetica) ma rimasto invece nell’oblio in territorio italofono. L’esposizione di Burckhardt a Ligornetto è difatti la prima nella Svizzera italiana e arriva a ben quarant’anni di distanza dalla retrospettiva sull’artista che Basilea aveva organizzato alla Kunsthalle. Ciò rivela come questo maestro sia da annoverare tra gli scultori a cavallo tra Ottocento e Novecento dimenticati dai grandi musei e, a dispetto
Carl Burckhardt, Amazzone che conduce un cavallo, 1921-23. (Basilea, Skulpturhalle Basel, deposito permanente del Basler Kunstverein © Museo Vincenzo Vela / Foto Ruedi Habegger, Basel)
della portata innovativa del loro lavoro, ancora poco noti a un pubblico vasto. Ben venga, dunque, una mostra capace di riportare l’attenzione su questa figura di rilievo del panorama artistico moderno proponendone l’intero percorso, dagli esordi a Basilea e a Monaco fino al periodo ticinese, attraverso una nutrita raccolta di opere plastiche a cui è stata affiancata un’accurata selezione di dipinti e disegni.
Uomo estremamente versatile, Burckhardt si muove tra scultura, pittura e disegno con eguale abilità. All’attività di artista, poi, si accompagna quella di teorico, che lo vede molto attivo in veste di saggista, critico e curatore di mostre, con una spiccata attitudine a intercettare gli esiti più interessanti dei suoi colleghi. Si deve a lui, ad esempio, l’importante rassegna di Auguste Rodin alla Kunsthalle di Basilea che
ha permesso di far scoprire l’opera del maestro francese in terra elvetica. A Rodin, su cui nel 1921 scrive anche un libro, Burckhardt riconosce il merito di aver «restituito alla scultura la spontaneità dei suoi momenti più felici». Ed è proprio l’assimilazione della lezione rodiniana che spinge Burckhardt a seguire nei suoi lavori la traiettoria di un plasticismo dalle forme elementari. La ricerca di una volumetria pura va di pari passo in Burckhardt con il costante confronto con l’antichità: il glorioso passato artistico diventa per lui un repertorio infinito da cui desumere temi e linguaggi da rielaborare secondo una cifra espressiva personale. L’amore per la cultura antica viene nutrito negli anni dai molti soggiorni in Italia. L’incontro con Roma, soprattutto, gli svela il fascino della classicità stimolandolo a coglierne la sostanza e a riproporla secondo dettami moderni. Per Burckhardt, infatti, le opere antiche non costituiscono un mero esempio da imitare bensì un patrimonio da esplorare e da rievocare in maniera del tutto originale, senza alcun vincolo di forma e stile. L’artista approda così a una scultura intrisa del passato che riesce però a superarne le costrizioni creando «qualcosa di appena sbocciato», come lui stesso affermava. Nel percorso di mostra troviamo alcune opere che attestano come Burckhardt interpreti con estrema libertà i soggetti tratti dalla mitologia. Ne è un esempio Zeus ed Eros, lavoro rimasto incompiuto di cui a Ligornetto sono esposte la Testa di Eros, del 1902, e Zeus seduto, bronzo postumo datato 1924-25. In questa scultura l’artista stravolge la tradizionale iconografia del tema classico riducendo la differenza di età tra il signore dell’Olimpo, raffigurato senza barba, e il dio dell’amore, dall’aspetto già adulto. Altra testimonianza in questo senso è l’inedita Venere in marmi policromi che prende vita nel 1908-09, rappresentata dall’artista non nella consueta posa che la vede intenta ad asciugarsi i capelli, ma con le braccia sollevate che si incrociano
all’altezza del collo e con un velo che la copre dal busto in giù. Ben documentati in mostra da schizzi e disegni sono poi il rilievo del portale della chiesa di San Paolo a Basilea, la decorazione della facciata del Kunsthaus di Zurigo e le statue delle fontane collocate davanti alla stazione badese di Basilea, tre importanti lavori eseguiti per gli edifici progettati dal celebre architetto Karl Moser in cui incomincia ad affiorare quella tensione verso la sobrietà delle forme che per Burckhardt si manifesta come l’unica via per raggiungere l’essenza del plasticismo. Questo processo di ricerca di volumetrie cristalline e stilizzate, dotate però di grande energia, trova piena maturità nelle sculture del periodo ticinese: nell’Amazzone che conduce un cavallo, di cui in mostra è presente il modello originale in gesso, le figure paiono avanzare disinvolte nello spazio, memori delle movenze dell’Homme qui marche di Rodin; il Danzatore è un’opera vivace governata dal sapiente gioco di equilibri che nasce da forze contrastanti; ancora, il San Giorgio a cavallo è animato da fisionomie esili e slanciate che creano un insieme dinamico. Anche nella produzione pittorica di Burckhardt che si dispiega nelle sale del Museo Vela appare evidente lo sviluppo di uno stile caratterizzato da una sintesi formale. Sfilano Amazzoni in riva al mare e cortei di baccanti, così come scorci panoramici del Mendrisiotto e scene di vita quotidiana ticinese, tutti soggetti immortalati dall’artista con la sua capacità di afferrare la complessità della natura per restituirla nella sua più pura semplicità. Dove e quando
Echi dall’antichità. Carl Burckhardt (1878-1923). Museo Vela, Ligornetto. Fino al 28/10. www.museo-vela.ch Do 28/10, ore 11.00: concerto di finissage con la soprano Monica Trini e l’arpista Lorenza Pollini. Musiche di Britten, Poulenc, Ghedini, Ginastera.
Ciao, sono un robot Mostre/2 A Winterthur ci si confronta con le sfide legate
a un futuro tecnologico abitato dall’intelligenza artificiale Sebastiano Caroni La vostra quotidianità vi annoia? I vostri amici sono poco propositivi? Desiderate un momento di evasione, qualcosa di stimolante, ma perdete tempo su internet senza sapere cosa cercate? Forse è il momento di concedervi un’escursione nel paese dei robot. Al Gewerbemuseum di Winterthur è infatti in corso un’intrigante esposizione dal titolo Hello, Robot, che ha il pregio di ricordarci e di ripercorrere le tappe importanti lungo le quali i robot si sono progressivamente infiltrati nella mentalità, nella società, e nella cultura dei tempi moderni, tanto da diventarne un’icona. Il termine robot fu introdotto all’inizio del XX secolo e deriva dal termine ceco «robota», che significa lavoro pesante o forzato. Coerentemente con la sua etimologia, fino a qualche decennio fa il termine evocava soprattutto lavori in fabbrica o, eventualmente, immagini di assemblaggi metallici dall’aspetto sgraziatamente umanoide, perlopiù ingombranti, lenti, e goffi. Oggi, invece, i robot sono diventati molto più mimetici, parlano ormai correntemente la nostra lingua, conoscono le nostre abitudini, i nostri gusti, e forse anche
i nostri vizi. Molti hanno mantenuto un aspetto o caratteristiche umanoidi (come la voce), altri hanno assunto forme e dimensioni in funzione del loro contesto d’uso. Queste sono alcune delle coordinate che potrete ritrovare nell’esposizione di Winterthur, ma c’è dell’altro. Nel dare forma e corpo alle generazioni di robot che si sono susseguite nel corso degli anni, il design – inteso come disciplina che dà forma alla relazione fra l’essere umano, lo spazio, e gli oggetti– ha sempre giocato un ruolo fondamentale. Non a caso, infatti, Hello, Robot dimostra come proprio il design abbia sempre cercato di valorizzare al meglio il potenziale interattivo, funzionale ed estetico insito nella tecnologia robotica. Dopotutto, come si suole dire, anche l’occhio vuole la sua parte: a maggior ragione quando il futuro, lo sappiamo, promette un mondo dove i robot saranno onnipresenti: tanto nelle nostre case (l’internet delle cose), quanto sulle nostre strade (le vetture autoguidate), nelle nostre città tecnologiche, e nelle nostre comunità (i robot dotati di intelligenza artificiale). Perciò il design lavora sodo affinché questa presenza sia percepita come piacevole, istruttiva, ludica: insomma, tutto fuorché invasiva.
Per aiutare i molti visitatori curiosi, l’esposizione di Winterthur è strutturata in quattro sezioni: «Scienza e finzione», «Programmato per lavorare», «Amico e aiuto» e «Due in uno». Grazie all’organizzazione intelligente dello spazio attorno ai quattro assi tematici, il visitatore può trarre il massimo giovamento senza il rischio di perdersi o di rimanere confuso dalla varietà del materiale esposto. La mostra propone infatti un itinerario fatto di tante immagini, installazioni e oggetti che raccontano tanto il fascino e i timori che i robot hanno sempre esercitato su di noi, quanto le molte forme attraverso cui queste macchine sono penetrate nella nostra quotidianità: senza dimenticare il modo in cui la cultura popolare (i libri di fantascienza, il cinema, la musica, la moda, ecc.) ha plasmato la nostra percezione dei robot giocando spesso sul binomio identitàdifferenza. La mostra spazia da robot che hanno un aspetto industriale a installazioni che esplorano la linea di demarcazione tra il lavoro automatizzato e la creatività umana. L’impatto delle nuove tecnologie sulla quotidianità è, come detto, al centro di diverse postazioni della mostra, che illustrano tanto
«Musio» di Zos Lee e Gina Jeon, robot pedagogico del 2016. (© AKA, LLC., Tokio)
l’applicazione della robotica nelle cure infermieristiche, quanto l’entrata del digitale nella sfera dell’intimità con un’allusione, per esempio, al cybersesso. Non mancano neppure piani architettonici di città intelligenti ed ecologiche, o portali web che ti svelano la rapidità con la quale molti lavori diventeranno obsoleti nel prossimo futuro perché sostituiti dalle macchine. Camminando fra le sale, poi, sugli schermi accesi qua e là potrete ascoltare le testimonianze di alcuni interpreti dei recenti sviluppi tecno-scientifici: Elon Musk, Stephen Hawking, Ray Kurzweil, per citarne alcuni. Anche in questo caso, i confini fra scienza e fantascienza si scoprono essere molto permeabili. Pronti allora per partire verso il paese dei robot? Non preoccupatevi,
non correte il rischio di rimanere in ostaggio di qualche macchina maligna! Al contrario, come avrete capito, non solo l’atmosfera dell’esposizione è assai gradevole, ma la promessa è di portarsi a casa un bel ricordo e di imparare cose nuove. E se poi qualche donna o uomo affascinante dovesse farvi l’occhiolino mentre girate fra le sale, provate a improvvisare una conversazione. Se dopo qualche domanda trovate che le risposte siano incoerenti, fuori luogo e poco attendibili, allora forse siete al cospetto di una macchina. Dove e quando
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Cultura e Spettacoli
Lazzaro, un buono redivivo
Incontri A colloquio con Adriano Tardiolo, protagonista di Lazzaro Felice, un film della regista
Alice Rohrwacher che a Cannes ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura Nicola Falcinella Premiato al Festival di Cannes per la migliore sceneggiatura lo scorso maggio, arriva nelle sale del Ticino il 18 ottobre Lazzaro felice di Alice Rohrwacher. Il terzo film della sorella dell’attrice Alba, già premiata sulla Croisette con Le meraviglie, è una coproduzione italo-svizzera che vede coinvolte Amka Films e RSI. A precedere l’uscita è prevista un’anteprima al Cinema Lux di Massagno martedì 16 ottobre alle 20.30 con la presenza dei giovani interpreti Adriano Tardiolo e Luca Chikovani. Una favola con protagonista il giovane Lazzaro, che negli anni 90 vive nella campagna del centro Italia, con i contadini che lavorano come mezzadri per conto di una marchesa avida, mentre il giovane si distingue per bontà d’animo e purezza di spirito. Morto per una caduta, il ragazzo si risveglia, e non potrebbe essere altrimenti, anni dopo. Giunto a Milano, Lazzaro si aggrega a un gruppo di persone che vivono accampate lungo la ferrovia. Un film inconsueto, con tanti temi e riferimenti, del quale abbiamo parlato con Adriano Tardiolo, che inizialmente aveva rifiutato il ruolo principale. «Alice Rohrwacher e Chiara Polizzi, la responsabile del casting, stavano facendo provini nella scuola superiore di Orvieto dove frequentavo l’Istituto per amministrazione, finanza e marketing. Non ho partecipato perché non ero interessato. Poi ho incontrato
Chiara nella mia aula e mi ha condotto da Alice, con la quale ho fatto un provino impacciato, non è andato bene, ero timido. La regista ha voluto che ci conoscessimo lo stesso, abbiamo parlato, voleva sapere cosa facessi nella vita. Dopo qualche giorno mi ha proposto di interpretare Lazzaro, ma ho rifiutato, ero spaventato. Mi hanno spiegato meglio di cosa si trattasse e dopo due mesi ho accettato».
rio De Sica. Li conosceva già oppure Alice Rohrwacher glieli ha mostrati durante la preparazione?
Come si è avvicinato al personaggio?
È stata un’esperienza forte, strana e difficile. Sono un po’ timido, stare sotto i riflettori è difficile per me. Ho un bel ricordo, il bilancio è positivo. L’effetto che fa vedere il film in una sala come quella è indimenticabile: tante persone, lo schermo gigante: è molto bello.
Con Alice ho visto solo il suo precedente, Le meraviglie: me l’ha mostrato per spiegarmi il suo metodo di lavoro. Questi film li ho visti successivamente, anche La dolce vita con il quale avevo sentito un paragone durante un’intervista a Cannes. Cannes è stata la prima presentazione. Come ricorda l’esperienza?
Non ho letto la sceneggiatura fino al momento delle prove, ho scoperto man mano il personaggio. Mi sono ritrovato in lui, mi ha affascinato la sua bontà, il modo di porsi con le persone e di stare al mondo. Anch’io sono un ragazzo abbastanza strano, non sono un ragazzo moderno. Rispetto a miei amici non uso molto i social network. Nel modo in cui mi vesto o nel rapporto con gli adulti, mi sento diverso rispetto a miei coetanei.
E il suo rapporto con la campagna?
I miei genitori lavorano in un’azienda agricola che produce vino, i miei nonni avevano un podere, tuttora vivo in una casa in campagna. Per questo recitare è stato naturale per alcune cose, come il rapporto con gli animali.
Chi potrebbe essere Lazzaro, oggi?
Non so chi possa essere Lazzaro, forse sarebbe visto come un extraterrestre. È una persona inusuale, gli altri lo guardano in modo strano, per i vestiti e il comportamento, Lazzaro è un pesce fuor d’acqua, non è omologato. Gli altri contadini lo vedono come un sempliciotto, ma a un occhio più attento è un buono. Forse sarebbe un santo. Oggi molto spesso le persone non hanno fiducia in chi non conoscono. Nel film ci sono parecchi rimandi
Ha recitato in altri film o li ha in programma?
Il giovane Adriano Tardiolo durante la presentazione del film a Cannes. (Marka) religiosi. Lei è cattolico? Quale l’ha colpito di più?
Sì, sono cattolico. Mi ha affascinato molto il lupo, che è un rimando a San
Francesco. Sono umbro e per noi è il santo per eccellenza.
Lazzaro felice ricorda, tra gli altri, alcuni film di Ermanno Olmi o Vitto-
Per ora non ho avuto proposte. Forse un’altra esperienza così la rifarei. Sono al secondo anno di economia aziendale all’Università della Tuscia a Viterbo: dopo il film sono rimasto indietro con gli esami e sto recuperando. Ho scoperto un po’ di passione per il cinema, ho iniziato a vedere film che prima non avrei guardato. Ho scoperto che mi piacciono molto Nanni Moretti, Paolo Virzì e altri italiani. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Cultura e Spettacoli
Stagione di danza, musica e teatro
Per la prima volta Calanca Exhibit Festival L’acropoli di Santa Maria
si apre all’arte visual internazionale
Concorso Quattro spettacoli al Teatro San Materno di Ascona
Enza Di Santo Quattro eventi, tra i molti proposti, in cui la danza, il teatro e la musica osservano l’umanità di questo controverso e stupendo mondo. Desideri, incertezza, momenti di gioia e di difficoltà, insieme, raccontano il valore della vita come ricerca della propria storia unica e irripetibile. Ecco che il Teatro San Materno di Ascona entra nel vivo della sua stagione di spettacoli e prepara il palcoscenico per una serie di appuntamenti ricchi di bellezza artistica e intrisi di emozioni vibranti. Il sostegno del Percento culturale di Migros Ticino come sponsor della rassegna si rinnova e si consolida anche quest’anno e regala ai lettori la possibilità di essere spettatori di quattro momenti con l’arte della danza. Domenica 21 ottobre alle 17.00, Susanne Linke, danzatrice e coreografa artefice di una pagina della danza contemporanea, si esibirà in prima mondiale in Susanne Linke écoute… Chopin. Sulle note del celebre compositore, l’artista eseguirà progressive sequenze di movimento e interazione tra emozioni e sensazioni corporee. Un altro grandissimo compositore sarà al centro del pomeriggio di domenica 11 novembre, che sarà dedicato a Johann Sebastian Bach in Immortal Bach attraverso le percussioni di Simone Rubino. Dopo una tournée in tutta
Europa, il giovane percussionista, arriva ad Ascona con la sua prodigiosa agilità, la precisione ritmica e la capacità di variare il suono, capacità che lo hanno condotto a vincere sei concorsi internazionali. Le percussioni scandiscono, così, un ritmo, e nello stesso tempo ne creano uno proprio, in cui Rubino passa da uno strumento all’altro in battiti armoniosi. Di diverso genere invece, lo spettacolo proposto da Il Teatro la Ribalta, per l’ora del tè del 25 novembre. Il proposito del racconto messo in scena è di far riflettere sulla diversità umana e sul concetto di ciò che vorremmo fosse
«normale». Un teatro-danza intitolato Ali, che racconta l’incontro tra un giovane uomo un po’ disilluso e pessimista e un angelo caduto con le ferite sulle spalle delle ali perdute, disposto a soffrire e amare come fanno tutti gli esseri umani. I due protagonisti si incontrano e si scontrano in una danza della vita. Tra di loro, interrogativi reciproci, curiosità e conflitti che permettono all’angelo di scoprire sentimenti e sensazioni mai provate prima. Tutti questi spettacoli si caratterizzano per l’importanza dei corpi in scena, per il loro sapersi muovere e interagire con emozioni, oggetti e altri individui. Il corpo è anche l’essenza nella sua materialità dello spettacolo di danza Il canto del corpo della Compagnia Tiziana Arnaboldi. Sul palco sabato 2 febbraio 2019 alle 20.30 e in replica domenica 3 febbraio alle 17.00, danzatori circondati da pietre riscoprono il valore della natura umana e invitano il gesto e il suono a vibrare liberi nel linguaggio semplice del corpo, in cui la sua fragilità diventa forza motrice. Il percento culturale di Migros Ticino sostiene questi appuntamenti artistici e offre ai lettori di «Azione» di vincere una delle cinque coppie di biglietti omaggio in palio per ciascuno dei quattro spettacoli menzionati sopra. Per partecipare all’estrazione basta seguire le istruzioni indicate sulla pagina web www.azione.ch/concorsi.
La Val Calanca, un luogo in cui pare che il tempo si sia fermato, ospiterà dal 1. giugno al 6 ottobre 2019 un’originale iniziativa di animazione artistica, con il sostegno del Percento culturale di Migros Ticino. L’intento dell’artista Adria Nabekle, che è ideatrice e coordinatrice del progetto, è quello di farci riflettere sul tempo: il tempo ha l’unico scopo di dare ordine alle nostre vite? È una comoda e banale invenzione umana? Il progetto Calanca Exhibit si propone di ribaltare e manipolare il concetto di tempo. Attraverso occhi diversi, emozioni diverse e diverse interpretazioni delle opere degli artisti internazionali proposte, potrebbe dare risposte a queste domande o suscitarne di nuove. Si tratterà dunque di una manifestazione in cui il concetto di tempo e la nostra rincorsa per non perdere neppure un minuto, diventeranno totalmente vani, davanti all’asserzione che il tempo non esiste. La creatività e la curiosità dell’arte aprono le porte di Santa Maria Calanca, dando vita a un percorso espositivo in questo luogo forgiato dai ghiacciai e dal loro movimento nel corso dei millenni. Qui, sotto Piz de Groven, tra le creste della montagna si situa l’antica acropoli su cui si ergono maestosi il Castello, il Convento e la Chiesa di Santa Maria Assunta. Un panorama pittoresco, con le cime sullo sfondo e con strutture eclettiche in
paese che rimandano allo scorrere del tempo. L’allestimento, lungo tutto il percorso dell’acropoli, con le provocatorie sculture arcaiche in legno e in bronzo di Franz Canins, radicheranno gli spettatori nel passato, mentre le proiezioni fotografiche nel chiostro del convento ci porteranno nel moderno, nel post-moderno, nel sur-moderno, in un contesto non più strettamente alpigiano, ma che si schiude al mondo. Tutto questo in un tempo presente e nella cornice dai tratti talvolta anacronistici di Santa Maria Calanca, che diventa partenza e arrivo di un viaggio evocativo in cui il tempo si sovrappone e scompare. Da qui, all’apertura effettiva dell’esposizione mancano diversi mesi, ma vale proprio la pena, anche solo per l’immensità del paesaggio, visitare questo paese di appena 102 abitanti racchiuso nelle Alpi grigionesi. Un piccolo gioiello delle montagne svizzere che per la prima volta, con Calanca Exhibit, sarà protagonista della scena culturale internazionale grazie alla rilevanza degli artisti presenti con le loro sculture e fotografie. Nell’attesa di scoprire questo festival dal vivo, è possibile visitare il sito internet www.calanca-exhibit.net, in cui sono presentati gli artisti provenienti da diverse nazioni che esporranno le loro opere in questo luogo così suggestivo. / ED Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Non sei degno di finire in un film! Lo confesso, sono arrivato fino alla soglia dei trent’anni senza leggere un libro giallo. Mi sembrava tempo perso, con tanti classici del Novecento ancora da scalare, tante Montagne Incantate (o Magiche, come si dice dopo la nuova traduzione del romanzo di Mann nei Meridiani). Poi mi sono rifatto, ho dovuto leggerne a vagonate, sia libri che sceneggiature. Si è trattato di una sorta di contrappasso. Una delle prove per superare l’esame per diventare programmista alla Rai consisteva nel ridurre per il piccolo schermo un classico del repertorio teatrale. Il mio lavoro sulle Baccanti di Euripide era stato molto apprezzato, di conseguenza mi hanno assegnato a una nuova struttura che doveva progettare e programmare gialli originali, cioè non desunti da precedenti opere letterarie. Ho finito per appassionarmi al genere, fino al punto di provare a scriverne, all’inizio in coppia con qualcuno più esperto di me. Penso che la fortuna, di vendite e di ascolti,
che continua a premiare il genere, sia dovuta al fatto che si tratta di un tipo di narrazione «consolatoria». Ho incontrato per la prima volta il termine, usato in connotazione negativa, negli scritti di Elio Vittorini, che lo impiegava per valorizzare la ricerca e la sperimentazione nell’ambito della narrativa. Per inciso, può darsi che la decisione di Vittorini di rimandare al mittente il manoscritto del Gattopardo, sia derivata dal considerare «consolatorio» il romanzo di Tomasi di Lampedusa. A mio parere, il romanzo giallo, in tutte le sue articolazioni ha un effetto consolatorio, anche se il sangue scorre a fiumi e abbondano cadaveri e sevizie, perché non fa altro che rimettere il mondo in ordine, dopo che un evento criminoso l’aveva scompaginato. Al termine della narrazione non residuano tessere fuori posto, il puzzle è stato completato. Se, dopo la stesura, fossero rimasti brandelli di storia non collocati e immotivati, l’editor avrebbe chiesto di toglierli prima della pubblicazione.
Nella vita vera non è così, il disordine, i gesti dissennati, l’incoerenza dei protagonisti, non trovano una sistemazione ordinata ma, bene che vada, finiscono incasellati in quella che viene classificata «verità giudiziaria». Una serie di polizieschi da me prodotti nel corso degli anni 70 s’intitolava Qui Squadra Mobile e aveva avuto una curiosa genesi. Dal Ministero degli Affari Interni era arrivata alla Rai la proposta di realizzare un programma che illustrasse attraverso la messa in scena di indagini le qualità e i meriti della polizia italiana. Il ministero offriva la disponibilità di mezzi e di uomini per le riprese e una consulenza di prima mano. Inoltre «aprivano gli armadi» agli sceneggiatori perché potessero attingere alla documentazione di casi risolti dalla squadra mobile di Roma. Si trattava di una ghiotta occasione da non perdere e con i due autori incaricati di scrivere le sceneggiature, Massimo Felisatti e Fabio Pittorru, abbiamo iniziato a esplorare i fascicoli, convinti che avrem-
mo trovato storie già pronte per essere cucinate per il pubblico della Prima Rete. Non è stato così, ognuno di quei casi risolti, dopo un inizio promettente, faceva cadere le braccia per gli stupidi errori commessi dagli autori dei crimini. Ne ricordo uno fra i tanti. Una banda di rapinatori prepara per mesi l’assalto a un furgone blindato porta valori, con pedinamenti, sopralluoghi, prove, cronometraggi. Il colpo riesce, due auto messe di traverso bloccano il furgone, gli autisti sotto la minaccia delle armi aprono la cassaforte e i banditi, preso il malloppo e immobilizzati i portavalori, fuggono usando un’auto rubata. Arrivano senza problemi in una via deserta di un altro quartiere di Roma, dove lasciano l’auto rubata per salire su quella pulita. Compiono l’operazione in modo concitato, con una brusca frenata e lasciando aperti gli sportelli dell’auto abbandonata dopo esserne discesi, quasi volessero farsi notare dall’unico passante, un pensionato che porta a
spasso il cane. Gli uomini della squadra mobile, sopraggiunti, lo interrogano: è in grado di ricordare le caratteristiche dell’auto sulle quale sono saliti i banditi? Il pensionato risponde senza esitare: si tratta di una Porsche Cayenne. La stavo studiando perché mio nipote colleziona automobiline e mi sta facendo diventare matto per trovarne una di quel modello. Al pubblico registro automobilistico di Roma risultano immatricolate 13 auto di quel tipo; 12 proprietari sono incensurati, titolare della tredicesima è un farmacista che l’ha venduta e non ha ancora perfezionato il passaggio. Trovato il nome dell’acquirente il caso è risolto. Sarà sufficiente stargli alle costole per qualche giorno, per catturare tutta la banda. A parte la sfortuna di incappare nel pensionato, tu bandito lavori mesi per organizzare il colpo e poi usi un tipo di auto che circola in pochissimi esemplari? E tu saresti un criminale degno di finire in un telefilm? Ma mi faccia il piacere!
bero nascessero dei vermi», anche se c’è una parte della nostra anima che «è affine alla parte superiore dell’anima universale, è simile a un agricoltore che, preoccupato dei vermi che sono nella pianta, rivolga alla pianta tutte le sue cure». L’Enneade IV parla chiaro, il corpo del mondo è «perfetto, indefettibile e sufficiente a se stesso», nulla gli si oppone, pertanto ha bisogno solo di un «cenno di comando», questo è il compito della sua anima, «che governa le cose con autorità regale, in tranquilla sorveglianza». Come il respiro di un bambino, anche se non si deve dire che l’anima sia «soffio», pneuma, perché questo le darebbe una sorta di corporeità. È piuttosto una presenza che senza fatica governa il mondo. Le anime umane, invece, assomigliano al sonno degli adulti, spesso faticoso, agitato da incubi, quando non sono brutti sogni sono comunque sogni strani, in cui possiamo volare o addirittura vedere noi stessi morire, dove all’improvviso
compaiono persone che non ci sono più, o che speravamo di non dover rivedere mai più. Nei nostri sonni patiamo nostalgia, paura, passione e tanto straniamento. Perché le anime degli uomini, racconta sempre Plotino, sono state spinte nei corpi, rimanendo solo con un fragile legame con l’anima del mondo. Faticano quindi a governare l’elemento materiale, soffrono, vorrebbero fuggire, si sentono come gli adulti, prigionieri dei loro sogni. Io, devo dire, non condivido questa visione dualista, per quanto la trovi affascinante e sappia che a partire dai misteri orfici per arrivare fino a tanti esoterismi di oggi, per millenni milioni di persone hanno sperato di trovare una salvezza nella negazione del corpo. Platone su questo tema ha scritto miti di grande potenza, tra tutti quello di Eros, demone del desiderio, che porta l’essere umano a desiderare dopo un bel corpo la bellezza di tutti i corpi, poi la bellezza dell’intelligenza – quindi delle leggi e delle scienze – infine la bellezza
soprasensibile, finché la mente si ritrova a contemplare il bello in sé, e questo è, per Platone, il momento della vita per cui vale la pena di averla vissuta. Ma per me è difficile comprendere come possa essere bello il bello in sé, senza avere alcuna corporeità, nemmeno quella della luce, che sarebbe comunque oggetto della vista, quindi materiale. Così come non riuscirei a pensare a una persona senza ricordarne il corpo, il viso, le mani. Non diciamo ad amarla. Infatti noi umani agli angeli abbiamo appioppato ali, abiti svolazzanti, volti, a volte anche spade e scudi. E se pensiamo un aldilà, bello o brutto che sia, immaginiamo fuoco o musiche celesti, dolore o corse sulle nuvolette. D’altra parte, quando appoggio la mano sulla schiena del piccino, mi accorgo con sollievo che respira, e percepisco quindi il respiro leggero del mondo, sento qualcosa che si scioglie dentro, un tepore unito all’accelerazione del battito del cuore: anche la tenerezza non è solo spirito.
neutrini o neutroni (non esiste la famosa neutrinità elvetica?) è un interrogativo che rimane sospeso come il leggendario ponte dentale di Berlusconi. Il quale, non va mai dimenticato, nel 2011 espresse il desiderio di conoscere personalmente papà Cervi, il padre dei sette fratelli partigiani torturati e fucilati dai fascisti nel 1943. All’insaputa dell’allora Cavaliere, papà Alcide Cervi (niente a che vedere con il Peppone di Gino Cervi) era però morto nel 1970. A proposito di ponte sospeso, sempre Toninelli, fotografato sorridente davanti al plastico di Renzo Piano, per sdrammatizzare la disgrazia di Genova un giorno ha dichiarato che «il nuovo ponte sarà un luogo dove mangiare e giocare». Mangiare e giocare? Niente di più surreale. Qualche giorno dopo quel memorabile auspicio, il disegnatore Vauro (5+) firmò una vignetta in cui si vedeva, affacciato sul baratro del ponte crollato, lo stesso ministro in calzoncini corti con pallone sotto un braccio e cestino delle merendine nell’altra mano. A
volte la poesia del nonsense colpisce nel segno della realtà più che cento dichiarazioni ufficiali. Quel genio inarrivabile di Gianni Rodari (6), per esempio, nel 1962 aveva visto lontano scrivendo una filastrocca in cui scherzava su un ponte crollato a causa di una erre mancante: «l’avevano fatto / di cemento «amato». / Invece doveva essere / «armato», s’intende, / ma la erre c’è sempre / qualcuno che se la prende». D’altra parte, se Rodari era un gran professionista della fantasia, il ministro Toninelli, laureato in giurisprudenza all’Università di Brescia (non alla Sorbona o al King’s College e neanche alla Statale di Milano), prima di diventare politico ha fatto l’impiegato assicurativo per molti anni: i trasporti, i ponti, i tunnel non sono mai stati il suo pane quotidiano. A Brescia si è laureata, sempre in Giurisprudenza, anche l’ex ministra Gelmini, che ha superato l’esame di praticantato per l’avvocatura spostandosi a Reggio Calabria perché, per sua stessa ammissione, in quella
sede la percentuale di promozioni era del 90 per cento, mentre nelle città del Nord era solo del 30 per cento. L’istruzione non è mai stata il suo forte, e tanto meno il neutrino. La competenza è diventata uno svantaggio: uno steward da stadio come Luigi Di Maio può diventare vice-premier ed essere responsabile di una riforma finanziaria senza mai aver finito gli studi universitari e neanche gestito i conti della sua famiglia. «Pitòr, parla de quadri», scrisse il grande poeta veneto Giacomo Noventa invitando (in dialetto) il pittore a parlare di pittura, e dunque implicitamente l’idraulico a parlare di rubinetti, l’elettricista di lampadine, l’avvocato di diritto penale, il giornalista di giornali, il medico di salute e così via. Oggi, per andare a colpo sicuro in politica è consigliabile, invece, parlare a vanvera: l’idraulico di giornali, l’avvocato di rubinetti, il giornalista di pittura, il medico di lampadine, il pittore di diritto penale, l’elettricista di salute. Né brevi né circoncisi.
Postille filosofiche di Maria Bettetini Il respiro leggero del mondo I bambini hanno paura ad addormentarsi, perché temono che, chiudendo gli occhi e abbandonandosi, il mondo sparisca, e col mondo la mamma. Poi però la stanchezza li prende, dormono, il respiro si fa lento e rilassato. È allora che esplode una poesia, quel soffio leggero che non si sente nemmeno, io devo avvicinare una mano alla loro schiena per rassicurarmi, sì, il piccolo respira, dorme, sta solo dormendo. Ho di nuovo provato questa emozione di recente, l’ultimo arrivato in famiglia è scatenato di giorno, e per fortuna dorme di notte, con quel respiro di chi si abbandona a un mondo sconosciuto, lui piccolo indifeso e morbido. Quando i filosofi e gli alchimisti hanno pensato a concetti come l’anima del mondo, il respiro del mondo, io credo che l’abbiano potuto dire solo dopo aver visto un piccolo dormire. Il tranquillo innocente respirare del bambino è l’unica via possibile per immaginare un respiro della natura. Proprio credere a un’ani-
ma dell’universo ha giustificato magia e alchimia: se tutto è un unico corpo mosso da un’unica forza, sarà possibile agendo su una parte influenzarne un’altra. L’idea, per quanto ne sappiamo, è per primo esplicitata da Plotino, l’egiziano migrato a Roma, amato dalle signore dell’Impero nel secondo secolo, apparentemente così schivo da ogni contatto corporeo da fuggire chi gli voleva fare un ritratto, da non lavarsi per mesi, in nome di un millantato odio per la sua corporeità. Però lo stesso Plotino, notando la tristezza, anzi la depressione del discepolo Porfirio, originario di Tiro, gli consigliò un soggiorno in Sicilia, dove il buon clima e il buon cibo lo avrebbero aiutato a superare ogni malinconia. E Plotino parlò appunto di anima del mondo: «l’Anima dell’Universo è simile all’anima di un grande albero che, senza fatica e in silenzio, governa la pianta», mentre invece per quanto riguarda l’anima umana «è come se in un pezzo putrefatto dell’al-
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Tunnel di cemento amato Il ministro dei trasporti italiano Danilo Toninelli ha detto che gli imprenditori utilizzano il tunnel del Brennero per il trasporto merci su gomma. Ministro del trasporto che parla di trasporti: dovrebbe essere il suo pane quotidiano, come per un medico sapere che il fegato si trova a destra e la milza a sinistra. Si dà il caso però che il tunnel del Brennero non esiste ancora, o meglio è in costruzione, sarà solo ferroviario (niente gomma) e collegherà l’Italia e l’Austria, se tutto va bene, dal 2025. C’è un precedente clamoroso, ugualmente ministeriale, che risale al 2011, quando la ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini in un comunicato ufficiale dichiarò il suo entusiasmo per il tunnel che collegava il Cern di Ginevra al Gran Sasso e lungo il quale viaggiavano velocissimi i neutrini. Non specificava, la ministra, se i neutrini viaggiavano a piedi o su gomma, in bicicletta o in Ferrari. Gelmini in Parlamento dichiarò, sbagliando l’accento, che un certo libro bianco era stato scritto sotto l’«egìda del governo Prodi».
Incidenti di percorso (o di percorsò?). Se i ministri parlassero meno non farebbero tutte queste goffe gaffe. Ma parlano troppo senza nessuno sprezzo dell’errore e dell’orrore. Qualche mese fa Davide Tripiedi, un parlamentare grillino, cominciò il suo intervento alla Camera con il più classico degli scivoloni: «Sarò breve e circonciso». Fu corretto dal presidente di turno: «Si dice coinciso! Circonciso è un’altra cosa…». Anche «coinciso» è un’altra cosa, per la verità. Si potrebbe continuare con il catalogo degli strafalcioni. Detto ciò, invitiamo i suddetti ministri e parlamentari (voto complessivo 2, da dividere per tre o quattro quanti sono) a imboccare il Ponte di Messina che notoriamente unisce Reggio Emilia a Siracusa, ridente cittadina sul lago Verbano, da dove si dipartono il tunnel del Sempione e quello sotto la Manica (o sopra?), anch’essa piena di neutrini velocissimi e neutroni molto lenti arrivati direttamente, via Ginevra e su gomma, dal Gran Sasso. Se gli svizzeri siano
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«Il nostro formentino biologico viene raccolto al mattino e fornito già nel pomeriggio alla Migros. La sua coltivazione richiede di rado dei trattamenti, in quanto si tratta di un’insalata piuttosto forte e resistente. Il principale “nemico” che potrebbe intaccare e danneggiare le piantine si chiama oidio, conosciuto anche con il nome di mal bianco, una specie di fungo. In caso di bisogno contro il mal bianco utilizziamo degli efficaci trattamenti rigorosamente naturali a base di bicarbonato di sodio oppure una soluzione a base di finocchio. Coltiviamo il formentino da settembre a
maggio, sotto serra, in un terreno neutro e ricco di humus. Mi piace mangiare questa insalata dal gusto delicato con l’aggiunta di qualche gheriglio di noce, dei dadini di pancetta croccanti saltati brevemente in padella e dei pezzetti di uova sode». Formentino che delizia!
Quello che da noi è conosciuto come formentino, nella vicina penisola è chiamato più comunemente valeriana, valerianella, soncino o songino. Un tempo si riteneva fosse una malerba, in quanto in inverno cresceva tra i campi di cereali. È l’unica insalata che cresce anche con condizioni climatiche avver-
se, come gelo oppure giornate invernali con poca luce. È un tipico ortaggio della stagione fredda di cui si mangiano le foglie unite a rosetta, anche se negli ultimi anni è sempre più coltivato e consumato anche durante l’estate. Oltre a essere apprezzato per il suo sapore delicatamente nocciolato, il formentino contiene anche importanti sostanze salutari come potassio, ferro e vitamine A, C, E e B9. Inoltre, ha pochissime calorie, meno di 25 kcal ogni 100 grammi di prodotto commestibile. Grazie al suo tipico aroma, si accosta molto bene a olio di noci, uova, funghi, formaggio stagionato, selvaggina, carni affumicate, come pure a agrumi quali pompelmi e arance. È
ottimo anche per la preparazione del pesto oppure saltato appena in padella in poco olio. Una volta acquistato deve essere maneggiato con delicatezza e consumato entro breve tempo in quanto è un’insalata sensibile al caldo. Lavare con cura prima del consumo perché tra le foglie potrebbe nascondersi della terra. Per evitare di rovinare le foglioline del formentino, è meglio non lavarlo direttamente sotto l’acqua corrente, ma immergerlo in una bacinella con dell’acqua molto fredda. Sgocciolarlo bene, asciugarlo con un canovaccio pulito o della carta da cucina. Conservarlo in frigorifero in una scatola chiusa e consumarlo al massimo entro due giorni.
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Giovanni Barberis
Ogni occasione è buona per gustare un bel pezzo di formaggio dei nostri alpeggi. Queste saporite specialità, che racchiudono gli aromi dei pascoli alpini, sono ben rappresentate nei negozi Migros, dal momento che l’assortimento attuale può contare su formaggi provenienti da oltre dieci alpeggi ticinesi, e ne seguiranno altri nelle prossime settimane. Ma cos’è che accomuna tutte queste prelibatezze della nostra tradizione casearia? L’utilizzo di solo latte crudo, munto e lavorato in quota, nonché la stagionatura sull’alpe per un periodo di almeno 60 giorni, tempo necessario per potersi fregiare del prestigioso marchio DOP. La vivacità aromatica dei formaggi d’alpe è dovuta alla straordinaria ricchezza del latte, proveniente da mucche che da giugno a settembre pascolano libere sugli alpeggi situati tra i 1500 e gli oltre 2300 metri s.l.m. I bovini brucano nei prati di questi luoghi incontaminati, dove trovano e mangiano oltre 50 varietà di erbe grasse e fiori tipici per tutta l’estate. La proposta di formaggi d’alpe al momento disponibile alla Migros comprende le varietà Gorda, Fortunei, Predasca, Prato, Pesciüm, Camadra, Vallemaggia, Fieudo, Pontino, Pian Segn, Manegorio, Croce e Piora. Chi predilige un sapore ancora più caratteristico e pronunciato, può prolungare ulteriormente l’affinamento per qualche mese a condizione di avere una buona cantina casalinga.
Un piatto memorabile
Attualità Questa settimana le macellerie Migros vi consigliano di gustare la sella di capriolo
*Azione 20% sulla Sella di capriolo Flavia Leuenberger Ceppi
dal 16 al 22 ottobre
Chi ama i sapori della selvaggina non può perdersi, per nessuna ragione al mondo, uno dei piatti più gustosi dell’autunno: la sella di capriolo. Un piatto che si distingue per la sua caratteristica sapidità e tenerezza. Per 4-6 persone prendere una bella sella di capriolo di circa 2 kg. Togliere la membrana fibrosa dai controfiletti e separarli un po’ dall’osso centrale (i nostri macellai lo possono fare per voi). Condire la carne all’interno e all’esterno con sale, pepe, timo, rosmarino e legare la sella con lo spago in più punti. Rosolare la sella a fuoco vivo in poco olio da tutti i lati, trasferirla in una teglia e cuocere nel forno preriscaldato a 200-220 °C per ca. 12 minuti. Nel frattempo in un pentolino sciogliere 50 grammi di burro insieme a un poco di timo e rosmarino fresco e qualche bacca di ginepro schiacciata. Togliere la sella dal forno, eliminare lo spago e irrorarla con il burro aromatico. Rimettere la sella nel forno spento per ca. 10 minuti, quindi separare completamente la carne dall’osso e servirla tagliata a fettine su piatti ben caldi. Accompagnare la sella con i suoi molti tipici contorni: a tal proposito fatevi consigliare dai nostri competenti mastri macellai. Sella di capriolo Austria, al banco a servizio, per 100 g Fr. 3.75* invece di 4.70 Fino ad esaurimento stock
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Idee e acquisti per la settimana
Nostrana e sociale
Novità La crostata prodotta a mano con l’aiuto degli utenti della Fondazione La Fonte
La nuova crostata ticinese all’uva americana non è solo un’irresistibile delizia, ma possiede pure una preziosa valenza sociale. È infatti prodotta con il contributo artigianale degli utenti della Fondazione La Fonte di Agno, istituzione attiva da oltre trent’anni nel sostegno alle persone a beneficio di una rendita AI. I genuini ingredienti utilizzati sono di provenienza rigorosamente ticinese: la farina è del Mulino Maroggia, il burro del Caseificio Dimostrativo del Gottardo, mentre la marmellata e le uova provengono dalla Fattoria protetta di Vaglio, struttura pure appartenente alla Fondazione La Fonte. Ovviamente, anche la frutta per la preparazione delle marmellate arriva dalla regione, ciò permette, grazie alla conoscenza diretta dei produttori, una qualità eccellente del prodotto finale. Per sottolineare il forte legame con il nostro territorio, alla crostata è anche stato dato il nome dialettale «Torta da l’ofelée a l’üga americana». Forse non tutti sanno che il termine «Ofelée» significa pasticcere, da qui il detto «Ofelée fa ul tò mestée». Quella all’uva americana è solo la prima di una serie di crostate stagionali prodotte dalla Fondazione La Fonte: in inverno sarà infatti la volta di quella alla zucca, in primavera ci delizierà la variante alle fragole e rabarbaro, e per finire, in estate arriverà la crostata ai mirtilli.
Crostata all’uva americana 355 g Fr. 13.90 In vendita fino alla fine di novembre nelle maggiori filiali Migros. Il ricavato della vendita viene ritornato alla Fondazione La Fonte
Crea con noi Il Centro Migros S. Antonino ha in programma alcuni pomeriggi di bricolage creativo dedicati ai bimbi dai 5 ai 10 anni. Con l’aiuto della decoratrice Giovanna Grimaldi Leoni, curatrice della rubrica online «Crea con noi» su www.azione.ch, i piccoli artisti in erba avranno la possibilità di creare dei simpatici personaggi decorativi da utiliz-
zare, per esempio, come chiudi-pacco, ornamento, regalo o addobbo natalizio. I pomeriggi si terranno mercoledì 17 e 24 ottobre dalle 14.30 alle 18.30 e nei sabati 10, 17 e 24 novembre dalle 14.30 alle 17.00, in zona uscita casse, e saranno suddivisi in gruppetti da 8-10 bambini per la durata di ca. 30 minuti. Ti aspettiamo!
Che affaroni a Bioggio! porary tem
Gli Outlet Migros sono il luogo perfetto per chi è alla ricerca di incredibili affari. Prodotti di qualità e prezzi convenienti sono, infatti, le caratteristiche vincenti di questi punti vendita già presenti in Ticino a Bellinzona e Grancia. Da qualche giorno, e almeno fino a fine dicembre, anche Bioggio potrà contare su un «temporary» Outlet Migros. Qui la clientela, su una superficie di 400 metri quadrati, può trovare un variegato assortimento di articoli per la casa, decorazioni, giocattoli, biancheria da letto, articoli per l’igiene personale e per la pulizia, lampade, valigeria, casalinghi… nonché alcuni prodotti alimentari. Il negozio si trova in Via della Posta 23 ed è aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle 18.30, mentre il sabato dalle 9.00 alle 17.00.
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Idee e acquisti per la settimana
Le Gruyère
L’arte di fare il formaggio
Azione 30% sul Gruyère piccante dal 16 al 22 ottobre
Il Gruyère è un formaggio di qualità molto apprezzato ovunque. Quello che non tutti sanno è che ogni formaggio DOP viene prodotto con sapienza artigianale in piccoli caseifici di paese. La provenienza del formaggio la potrete in futuro vedere sulla confezione Testo Claudia Schmidt, Foto Daniel Winkler
1
2 3
1 Su ogni forma è indicato quando e in quale caseificio è stato prodotto il formaggio. 2 Prima di andare nella cantina di stagionatura, le forme di formaggio vengono lasciate 24 ore in salamoia. 3 Subito dopo che la cagliata è stata messa nelle forme, viene contrassegnata con il suo marchio.
Höhlengold Gruyère DOP 250 g, per 100 g Fr. 2.70
Gruyère DOP piccante per 100 g Fr. 1.90 Su ogni confezione è indicato in quale caseificio è stato prodotto il Gruyère DOP.
Il
mastro casaro Frédéric Pasquier (37) si alza molto presto e già di buon mattino, nel suo caseificio di Echarlens, nel Canton Friburgo, gli viene consegnato il latte di 15 produttori. Il contatto personale con i fornitori è per Pasquier molto importante. Il latte mattutino viene subito lavorato insieme a quello della sera prima per essere trasformato in Gruyère. Ciò avviene sette giorni la settimana, «Utilizziamo latte crudo. Bisogna lavorarlo velocemente, le mucche non fanno pausa», racconta Pasquier. Una volta che il latte è cagliato, si passa con la lira da formaggio attraverso la massa fino a formare una pasta granulosa. La dimensione dei grani viene controllata con cura «Devo poter
sentire la cagliata. Con il latte crudo essa cambia molto rapidamente», spiega il produttore friburghese di formaggio. I grani non devono essere né troppo grandi, né troppo piccoli, altrimenti nel formaggio rimane troppo siero di latte. Pertanto il casaro verifica la cagliata più volte e quando raggiunge la consistenza desiderata viene riscaldata e successivamente posta nelle forme. Con una pressione di quattro bar, il formaggio viene infine pressato fino a quando raggiunge la tipica consistenza del Gruyère DOP. Con il massimo dei voti
A seguito del processo di produzione iniziale, le forme vengono messe in un bagno di salamoia per 24 ore. Un sup-
porto di metallo evita che la forma di formaggio «nuoti» nella vasca colma d’acqua contenente il 22 percento di sale. Poi, il Gruyère matura in cantina per almeno tre mesi, dove viene curato e strofinato regolarmente con una soluzione salina. Solo a questo punto le forme di formaggio vengono ritirate da Mifroma – l’azienda di trasformazione del formaggio della Migros – e lasciate stagionare per un ulteriore periodo nelle proprie cantine. Tuttavia, se questo formaggio viene premiato regolarmente con il miglior voto, il merito è tutto di Pasquier. Sulla base del numero presente su ogni forma si può risalire con esattezza alla provenienza e all’età del formaggio.
Gruyère DOP dolce per 100 g Fr. 1.70
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche il formaggio della Mifroma.
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Idee e acquisti per la settimana
Le Gruyère
L’arte di fare il formaggio
Azione 30% sul Gruyère piccante dal 16 al 22 ottobre
Il Gruyère è un formaggio di qualità molto apprezzato ovunque. Quello che non tutti sanno è che ogni formaggio DOP viene prodotto con sapienza artigianale in piccoli caseifici di paese. La provenienza del formaggio la potrete in futuro vedere sulla confezione Testo Claudia Schmidt, Foto Daniel Winkler
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1 Su ogni forma è indicato quando e in quale caseificio è stato prodotto il formaggio. 2 Prima di andare nella cantina di stagionatura, le forme di formaggio vengono lasciate 24 ore in salamoia. 3 Subito dopo che la cagliata è stata messa nelle forme, viene contrassegnata con il suo marchio.
Höhlengold Gruyère DOP 250 g, per 100 g Fr. 2.70
Gruyère DOP piccante per 100 g Fr. 1.90 Su ogni confezione è indicato in quale caseificio è stato prodotto il Gruyère DOP.
Il
mastro casaro Frédéric Pasquier (37) si alza molto presto e già di buon mattino, nel suo caseificio di Echarlens, nel Canton Friburgo, gli viene consegnato il latte di 15 produttori. Il contatto personale con i fornitori è per Pasquier molto importante. Il latte mattutino viene subito lavorato insieme a quello della sera prima per essere trasformato in Gruyère. Ciò avviene sette giorni la settimana, «Utilizziamo latte crudo. Bisogna lavorarlo velocemente, le mucche non fanno pausa», racconta Pasquier. Una volta che il latte è cagliato, si passa con la lira da formaggio attraverso la massa fino a formare una pasta granulosa. La dimensione dei grani viene controllata con cura «Devo poter
sentire la cagliata. Con il latte crudo essa cambia molto rapidamente», spiega il produttore friburghese di formaggio. I grani non devono essere né troppo grandi, né troppo piccoli, altrimenti nel formaggio rimane troppo siero di latte. Pertanto il casaro verifica la cagliata più volte e quando raggiunge la consistenza desiderata viene riscaldata e successivamente posta nelle forme. Con una pressione di quattro bar, il formaggio viene infine pressato fino a quando raggiunge la tipica consistenza del Gruyère DOP. Con il massimo dei voti
A seguito del processo di produzione iniziale, le forme vengono messe in un bagno di salamoia per 24 ore. Un sup-
porto di metallo evita che la forma di formaggio «nuoti» nella vasca colma d’acqua contenente il 22 percento di sale. Poi, il Gruyère matura in cantina per almeno tre mesi, dove viene curato e strofinato regolarmente con una soluzione salina. Solo a questo punto le forme di formaggio vengono ritirate da Mifroma – l’azienda di trasformazione del formaggio della Migros – e lasciate stagionare per un ulteriore periodo nelle proprie cantine. Tuttavia, se questo formaggio viene premiato regolarmente con il miglior voto, il merito è tutto di Pasquier. Sulla base del numero presente su ogni forma si può risalire con esattezza alla provenienza e all’età del formaggio.
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M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche il formaggio della Mifroma.
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Idee e acquisti per la settimana
Vanish
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11.50 invece di 19.20 Filetti di salmone senza pelle d’allevamento, Norvegia, 400 g
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4.40 invece di 7.35 Cervelas TerraSuisse prodotto svizzero, in conf. da 3 x 2 pezzi / 600 g
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30% Cosce di pollo Optigal, 4 pezzi, al naturale o speziate Svizzera, per es. al naturale, al kg, 9.– invece di 13.–
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6.90 invece di 8.65 Carne secca affettata in conf. speciale Svizzera, 125 g
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2.– invece di 2.70 Branzino 300–600 g Grecia/Croazia, per 100 g, valido fino al 20.10.2018
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2.55 invece di 3.65 Fettine di tacchino "La Belle Escalope" Francia, imballate, per 100 g
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2.90 invece di 4.90 Cachi Italia, imballati, 700 g
33%
3.95 invece di 5.90 Clementine a foglia Spagna, sciolte, al kg
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25%
3.40 invece di 4.25
3.50 invece di 4.70
Arrosto collo di vitello arrotolato TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
Coppa prodotta in Ticino, affettata in vaschetta, per 100 g
conf. da 2
20%
6.40 invece di 8.– Formentino Anna’s Best in conf. da 2 2 x 120 g
25%
2.90 invece di 3.90 Formentino bio Ticino, imballato, per 100 g
50%
–.95 invece di 2.10
1.35 invece di 1.95
Cetrioli Ticino, il pezzo
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4.90 invece di 6.90 Zucca a cubetti Ticino, imballata, al kg
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3.75 invece di 4.70
Formagín ticinés (Formaggini ticinesi) prodotti in Ticino, in self-service, per 100 g
35%
3.60 invece di 5.60 Patate resistenti alla cottura, bio Svizzera, busta da 2 kg
20%
2.40 invece di 3.05 San Gottardo Prealpi prodotto in Ticino, in self-service, per 100 g
Sella di capriolo Austria, al banco a servizio, per 100 g
conf. da 2
conf. da 2
20%
20%
9.25 invece di 11.60 Rosette di formaggio Tête de Moine in conf. da 2 2 x 120 g
20.45 invece di 25.60 Fondue moitié-moitié fresca già pronta in conf. da 2 2 x 600 g
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. te r e p io m r a p is r te r e ff Le nostre o 20%
6.60 invece di 8.25 Biberli finissimi ripieni 634 g
20% Tutti i panini confezionati M-Classic per es. panini per sandwich TerraSuisse, 4 pezzi, 4 x 65 g, 1.60 invece di 2.–
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20%
Tutto l’assortimento Farmer’s Best surgelati, a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione
CONSIGLIO UN SALTO IN PADELLA
Una sfiziosa variante dei ravioli: dopo averli lessati, si rosolano nell’olio e si servono con un dip piccante al cetriolo. Un piatto dal gusto sorprendente, pronto in pochi istanti. Trovate la ricetta su migusto.ch/consigli
conf. da 4
40% Ravioli Anna’s Best in conf. da 4 per es. ricotta e spinaci, 4 x 250 g, 11.70 invece di 19.60
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conf. da 12
conf. da 2 conf. da 2
conf. da 2
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40% Ravioli Anna’s Best in conf. da 4 per es. ricotta e spinaci, 4 x 250 g, 11.70 invece di 19.60
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Idee e acquisti per la settimana
*Azione 50% sugli ammorbidenti Exelia in bottiglia dal 16 al 22 ottobre
Exelia
Nobile fragranza da profumiere
Foto Yves Roth, Styling Miriam Vieli-Goll
Exelia Parfumeur è la linea esclusiva degli ammorbidenti Migros. La più recente fragranza si chiama Green Glow ed è stata creata dal noto profumiere Philippe Durand. Il balsamo ammorbidente ha un profumo di fiori combinato con un leggero bouquet fruttato. Rende la biancheria morbida e piacevole da indossare. Protegge inoltre i tessuti dalle pieghe, previene le cariche elettrostatiche e facilita la stiratura. Exelia Green Glow è dermatologicamente testato.
Exelia Green Glow 1 l Fr. 3.25* invece di 6.50
M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche gli ammorbidenti Exelia.
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Idee e acquisti per la settimana
Ellen Amber e John Adams
Leggeri come una piuma
Piumino da donna Ellen Amber taglia S-XXL* Fr. 69.–
Le giacche di Ellen Amber e John Adams con piume prodotte in modo sostenibile, scacciano il freddo e tengono davvero al caldo. Con il loro sacco, sono praticissime da portare con sé quando la temperatura permette di non indossarle: basta piegare la giacca, schiacciarla per eliminare l’aria, imballarla nell’apposito sacchetto e il gioco è fatto! Il cappuccio può essere tolto. Queste giacche si possono indossare sotto il mantello quando le temperature scendono Foto Christian Dietrich, Styling Esther Egli Shirt maniche lunghe da donna Ellen Amber taglia S-XXL* Fr. 17.80
Piumino da uomo John Adams taglia S-XXL* Fr. 69.–
I piumini leggeri per lei e per lui sono perfetti per romantiche passeggiate autunnali. In inverno possono essere indossati sotto il cappotto.
Pile da uomo John Adams taglia S-XXL* Fr. 29.80 *Nelle maggiori filiali
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 ottobre 2018 • N. 42
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Idee e acquisti per la settimana
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Idee e acquisti per la settimana
Un profondo effetto vellutante
Una maschera per la rigenerazione notturna
Siero Revitalift Laser X3 30 ml Fr. 24.80
Crema notte Revitalift Laser X3 50 ml Fr. 23.80
L’Oréal Paris
Anti-Age giorno e notte A partire dai 40 anni la pelle perde elasticità, le rughe diventano più visibili e la densità cutanea diminuisce. Grazie a un contenuto altamente concentrato del principio attivo Pro-Xilane, Revitalfit Laser X3 di L’Oreal Paris penetra rapidamente nella pelle e riduce questi segni dell’invecchiamento. Uno studio indipendenze dimostra che l’effetto dura a lungo: 97 donne hanno testato la crema per sei mesi. Il risultato: le rughe sono regredite del 18 percento rispetto al momento in cui ha avuto inizio lo studio.
Ridensificare per combattere le rughe Crema giorno Revitalift Laser X3 50 ml Fr. 23.80 Per distendere lo sguardo Trattamento occhi Revitalift Laser X3 15 ml Fr. 23.20
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Idee e acquisti per la settimana
Azione 20% sui detersivi per tessuti delicati Yvette a partire dall’acquisto di 2 prodotti Yvette Sensitive
Pulizia delicata Yvette Sensitive è il detersivo per tessuti delicati ideale per chiunque abbia la pelle sensibile. Il prodotto non contiene candeggina e sbiancanti ottici. Il profumo discreto e l’accurato abbinamento degli ingredienti provvedono a una pulizia delicata, proteggono le fibre dei tessuti e garantiscono un’ottimale compatibilità con la pelle. Yvette Sensitive è dermatologicamente testato ed è adatto per lavare in lavatrice e a mano.
dal 16 al 29 ottobre
Yvette Sensitive Detersivo per tessuti delicati 1,5 l Fr. 8.80
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Da questa offerta sono esclusi gli articoli già ridotti. OFFERTA VALIDA SOLO DAL 16.10 AL 29.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Prepara una ricetta a base di zucca e vinci un viaggio culinario!
3 viaggi culinari del valore di fr. 7000.– l’uno
Partecipa ora su migusto.ch e con un pizzico di fortuna vincerai un viaggio culinario a New York, in Sardegna o a Bordeaux. Ulteriori informazioni e condizioni di partecipazione su migusto.ch/concorso-zucca