Azione 43 del 22 ottobre 2018

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Da dieci anni in Ticino esistono i gruppi di auto aiuto per chi si trova ad affrontare un lutto

Ambiente e Benessere ESA ha lanciato in orbita un sofisticato satellite chiamato Aeolus (Eolo), con il compito di misurare dallo spazio i venti che soffiano su tutta la Terra

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 22 ottobre 2018

Azione 43 Politica e Economia Le elezioni politiche in Baviera, segnale di una crisi identitaria della Germania

Cultura e Spettacoli La Beyeler di Basilea propone un imperdibile viaggio alla scoperta di Balthus, re dei gatti

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AFP

Il Nicaragua contro la dittatura

10 anni dopo, un’UBS trasformata di Peter Schiesser Come il grounding della Swissair sette anni prima, anche la crisi esistenziale che aveva investito l’UBS nel 2008, quando la crisi finanziaria legata ai subprime americani esplose in tutta la sua forza con il fallimento della banca Lehman Brothers, è stata frutto di un imperdonabile peccato di superbia: la Swissair aveva voluto diventare più grande di quanto fosse possibile nel contesto di allora (comprando piccole compagnie poi rivelatesi fallimentari), l’UBS voleva crescere esponenzialmente in modo duraturo puntando fortemente sull’Investment banking, in particolare su prodotti strutturati legati al mercato ipotecario statunitense, ignorandone i rischi. Il risultato lo conosciamo: dalla Swissair nacque la ben più piccola Swiss (innestata sulla Crossair), che trovò stabilità finanziaria solo dopo essere stata ceduta alla Lufthansa (ed ora genera buoni utili), mentre l’UBS venne salvata in modo concertato dalle autorità federali e dalla Banca nazionale, con la creazione di un fondo di stabilizzazione presso la BNS in cui depositare «titoli tossici» per un massimo di 60 miliardi di franchi (furono 38,7) e la concessione

di un credito di 6 miliardi (dopo che la banca ne aveva persi oltre 20 sul mercato ipotecario americano). L’operazione annunciata il 16 ottobre 2008 ebbe successo: non vi fu una corsa agli sportelli, l’UBS venne stabilizzata. L’esempio di altri salvataggi statali durante la crisi finanziaria globale, la preparazione tecnica dei funzionari della Confederazione e della BNS, che negli anni precedenti avevano studiato a tavolino come reagire ad un simile scenario (allora altamente ipotetico) e la totale disponibilità dei dirigenti della banca (o meglio: arrendevolezza) aveva dato i suoi frutti. Ma, come ha ricordato nella NZZ (13.10’18) l’esperto finanziario David S. Gerber, coinvolto nell’elaborazione del pacchetto salva-UBS, a tutti era chiaro che non ci sarebbe stata una seconda chance: se il pacchetto non fosse risultato credibile ai mercati, la banca sarebbe stata perduta. Con enormi contraccolpi su tutta l’economia svizzera. Ma per l’UBS (come anche per il Credit Suisse, che dovette far fronte a minori perdite e non ebbe bisogno di un salvataggio statale) la strada per recuperare credibilità risultò ancora lunga e in salita: ci fu lo scandalo delle manipolazioni del tasso Libor, l’offensiva americana contro le banche svizzere (UBS e CS in primis) per aver favorito

l’evasione fiscale ai clienti americani, che svuotò il segreto bancario svizzero e obbligò gli istituti elvetici ad un radicale cambiamento di mentalità (abbandonando le attività off-shore), e il caso Adoboli, dal nome del bancario della sede di Londra che causò perdite per 2 miliardi di franchi e provocò le dimissioni del CEO Oswald Grübel. Con Sergio Ermotti alla direzione generale e Axel Weber come presidente del CdA, dal 2011 l’UBS ha recuperato redditività e credibilità. Certo, riducendo le attività di Investment banking (soprattutto riducendone i rischi) e concentrandosi sulla gestione patrimoniale i margini di guadagno sono più bassi, la somma di bilancio è dimezzata rispetto a prima della crisi finanziaria, ma il capitale proprio è aumentato e oggi la banca amministra patrimoni per 3mila miliardi di franchi. L’UBS è diventata più prevedibile, corre meno rischi. In questo anche aiutata (o condizionata) dai passi compiuti da governo e parlamento svizzeri, con la legge sui «too big to fail» e la «Strategia del denaro pulito». L’UBS e le altre banche, la BNS, le autorità politiche e finanziarie svizzere hanno imparato molto dalla crisi globale di 10 anni fa. Le prime si sono riorientate, sono diventate più solide e affidabili. Ciò di cui ha bisogno il paese.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Società e Territorio La guerra tra Como e Milano per il Ceresio Nel Medioevo il lago di Lugano fu teatro di battaglie navali quasi del tutto dimenticate, unico testimone fu un misterioso prete comasco che scrisse il De bello Mediolanensium adversus Comenses

Le classi inclusive Nelle scuole ticinesi si sono avviati dei progetti di classi inclusive, le esperienze coinvolgono diverse sedi scolastiche comunali; ne abbiamo parlato con Massimo Scarpa, capo della Sezione della pedagogia speciale del Decs

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Battaglie navali sul Ceresio

Storia Nel Medioevo il lago di Lugano fu teatro di scontri tra Milano e Como. Le tracce sono quasi tutte scomparse.

E l’unica fonte è un antico libro scritto da un testimone oculare Jonas Marti

Un sostegno nel lutto

Auto aiuto Nella condivisione del proprio

vissuto si creano spazi privilegiati di parola che danno conforto Maria Grazia Buletti «…comunque la vita chiama tutti, non possiamo ignorarlo, anche se quanto stiamo vivendo è molto doloroso, una parte di noi rimane vitale. La vita “spinge” e dobbiamo trovare le risorse per andare avanti, ritornare al quotidiano…», sono le parole di Rossana, che perde il compagno a febbraio dello scorso anno, dopo un lungo percorso di malattia durante il quale gli è stata al fianco. «Gli ultimi periodi sono stati molto duri: nel percorso della malattia si vuole essere d’aiuto, presenti; ci si vuole adoperare nel quotidiano e nel nuovo ritmo spesso frenetico delle visite mediche e delle cure. Ci si annulla, ci si mette da parte, si tiene duro e si pensa “per ora vado avanti così, poi penserò a me stessa”…». Rossana vive quel «grande vuoto» che la perdita del proprio compagno comporta e si rende conto che, malgrado la consapevolezza del decorso infausto «non sei mai pronto e ti vedi spiazzato, annientato, anche se quel momento lo vedi arrivare». Ci racconta di essersi sentita sola, «con le batterie scariche all’uno percento»: «Dopo i primi momenti, le persone che ti stanno attorno tendono a fuggire, si sentono a disagio e a giusta ragione ritornano alla loro vita. Tu, invece, rimani sola con il tuo dolore, con la tua stanchezza, con il tuo sgomento». La nostra società, oggi, fatica a fare i conti con la morte e tende a evitare chi è in questa situazione: «Spesso, per farti coraggio, ti esorta ad andare avanti, a vivere, a non pensarci, e quella non è la via migliore per elaborare il proprio dolore perché il tempo di un lutto diventa un tempo più lento, meno frenetico di quanto la società richiede». Un tempo lento e necessario, perché vedere sfuggire la vita di una persona amata e perderla è una delle prove più dolorose della nostra esistenza: un evento al quale siamo sempre impreparati. Chiunque sia mancato, perdiamo una parte di noi stessi ed entriamo in un periodo di grande sofferenza e difficoltà al quale spesso non si riesce a fare fronte da soli. Rossana racconta di aver

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

cominciato un percorso psicologico già durante la malattia del suo compagno, ma di aver poi trovato sollievo, ascolto, condivisione, empatia e «conosciuto preziose persone con cui condividere un simile dolore» nel frequentare i gruppi AMA-TI (Auto Mutuo Aiuto nel Lutto) promossi dalla Lega ticinese contro il cancro e dalla Fondazione Hospice Ticino, che quest’anno giungono al traguardo dei 10 anni di attività. «Il lutto è un percorso diverso da persona a persona per qualità, intensità e durata delle reazioni emozionali, ma a tutti richiede tempo e un vero e proprio lavoro per essere metabolizzato. Non vi sono soluzioni semplici, ma noi cerchiamo di offrire uno spazio di condivisione e ascolto fra persone che hanno subito un’esperienza simile, in un ambiente privo di giudizio», esordisce il direttore della Fondazione Hospice Ticino Omar Vanoni. «Questi gruppi di Auto Mutuo Aiuto nel Lutto sono attivi nei distretti di Bellinzona, Lugano e Mendrisio, mentre da pochi mesi ne è stato creato uno anche nel Locarnese», prosegue il direttore illustrando l’accompagnamento discreto di pazienti e dei loro parenti che Hospice Ticino opera: «Durante i percorsi di malattia non lasciamo pazienti e parenti da soli, ma li informiamo sulla possibilità della mano tesa dei nostri gruppi, senza trascurare quei lutti dati dall’improvvisa morte di un caro, quando le difficoltà di chi rimane possono presentarsi ancora più pressanti». A nessuno è dunque preclusa la frequentazione di questi gruppi la cui creazione, per quanto attiene a Hospice Ticino, nasce dall’esigenza di presentare e prestare cure palliative. Il direttore Vanoni afferma che il percorso che si crea in ciascun gruppo attivo è caratterizzato dalla sua autonomia e dal colloquio tra pari: «Anche se non dobbiamo dimenticare che ogni partecipante ha la possibilità di confrontarsi con i collaboratori professionali di Hospice Ticino e della Lega ticinese contro il cancro, sporadicamente presenti agli incontri». Dal canto suo, Rossana dice di aver superato ampiamente la titubanza iniziale e aver Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Omar Vanoni, direttore della Fondazione Hospice Ticino. (Vincenzo Cammarata)

aderito al gruppo nel quale ha trovato condivisione, ascolto privo di giudizio e anche tanta solidarietà reciproca nel darsi una mano quando ci si sente «in quei momenti di sconforto inevitabili»: «Ogni incontro settimanale dura circa un’ora e mezza; la partecipazione non è vincolante e può essere occasionale; abbiamo creato un gruppo WhatsApp nel quale ciascuno di noi può sentirsi e sostenere l’altro al bisogno, anche nel quotidiano, e in ogni gruppo siamo da 4 a 10 partecipanti; possiamo ascoltare l’esperienza dell’altro ed esprimere reciprocamente il proprio vissuto, nella condivisione essenziale del lutto che sì, è un fatto molto personale, ma nel contempo universale». Tutti insieme vivono un tempo comune nel quale elaborano con il proprio ritmo e le proprie risorse quel doloroso percorso che la perdita di un proprio caro rappresenta: «Condivisione, solidarietà umana e so-

stegno tramite l’ascolto ci permettono di ricomporre noi stessi nella ricostruzione della vita che va avanti». Tutto resta strettamente riservato e privo di giudizio. «Si crea un ambiente protetto, nel quale si può piangere, parlare o tacere, permettendo alle emozioni di non essere soffocate ma di emergere e, quindi, di essere elaborate», spiega Vanoni caratterizzando la dinamicità dei gruppi nei quali vi restano dei «senior» a condurre i nuovi arrivati, sempre sotto la sporadica supervisione del personale di Hospice Ticino e della Lega contro il cancro. Lentamente questi incontri lasciano spazio alla dolcezza del ricordo e alla pienezza della vita, come Rossana racconta: «La vita, a un certo punto, spinge…». Una vita che, afferma la filosofa Alexandrine Schniewind: «deve sapersi interrogare sulle questioni legate al morire, nella consapevolezza che non si

tratta di un affare puramente filosofico, ma che in divenire è una realtà appartenente non solo a medici o curanti, bensì a tutta la società». La filosofa pone l’accento proprio sulla nostra società che oggi più che mai deve riprendere questo confronto con la fine della vita.

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Quando le navi milanesi uscite dal porto di Lavena doppiano il capo di Morcote, le sentinelle comasche lanciano l’allarme. Dai boschi del San Giorgio parte subito una catena di segnali, giù fino alla punta della Poncia, da lì a Bissone e poi fino a Melano, il porto fortificato in mano al libero comune di Como. La flotta leva le ancore a tutta velocità e si dirige a colpi di remi verso nord per bloccare la via che porta al golfo di Lugano. Lo scontro è inevitabile. Tra Melide e Bissone le due flotte si dispongono a battaglia. Gli arcieri cominciano a scagliare frecce, i timonieri cercano di affondare i rostri nei ventri delle barche nemiche. Dopo una giornata di battaglia cala la notte e i milanesi battono in ritirata. È davvero sorprendente: nel Medioevo il Ceresio fu teatro di battaglie navali, nella guerra tra Como e Milano che allora si contendevano la regione. Gli storici la chiamano «guerra decennale», perché durò dieci anni, dal 1118 al 1127. Un periodo oscuro, che la conquista svizzera delle nostre terre ha presto relegato nell’oblio più profondo. Ma le cui vicende sono state tramandate in un libro rimasto fino al 1700 nei polverosi scantinati di un collegio di Milano: è il De bello Mediolanensium adversus Comenses, un breve poemetto epico scritto in versi latini da un misterioso prete comasco che afferma di essere stato testimone diretto degli eventi. È l’anno del Signore 1122 quando i venti di guerra cominciano a soffiare sulle acque del Ceresio. Ad aprire il nuovo fronte è la rivolta dei luganenses, gli abitanti della Valle di Lugano come allora veniva chiamato gran parte del Luganese, sobillati dalla diplomazia milanese. Da secoli sotto il dominio di Como, gli indomiti luganesi si ribellano e si alleano con la potente Milano, a cui cedono lo strategico passaggio di Ponte Tresa con il castello di San Martino e il porto di Lavena che viene subito fortificato. La risposta di Como è immediata. Nel villaggio di Melano, distante solo «10 miliaria» dalla città, i

comaschi improvvisano in pochi giorni una vera e propria roccaforte: il porto viene munito di grosse catene tese all’entrata per impedirne l’accesso, tutto attorno sono innalzate palizzate e si scava un largo fossato che crea di fatto un’isola inaccessibile via terra. La guerra per il dominio del lago Ceresio è di fondamentale importanza per la supremazia regionale. Per chi vince c’è in palio il controllo delle vie che dai passi alpini scendono in Lombardia, chiave del commercio in tutta l’Italia. Le forze in campo sono però decisamente impari: Como non ha più di diecimila abitanti, Milano ne conta invece centomila ed è una delle città più popolose d’Europa. Eppure la prima battaglia navale, lo abbiamo visto, finisce con la sconfitta della flotta milanese. E così anche il secondo scontro qualche giorno dopo a Ponte Tresa, quando i comaschi vincono con un espediente pittoresco. Preso da furori epici, l’anonimo prete comasco – forse troppo intento a glorificare la sua «splendida Como» piuttosto che a riportare i fatti – racconta che davanti all’inespugnabile castello di San Martino ad un certo punto il «coraggiosissi-

mo» soldato Giovanni Bono da Vesonzo ha un’idea: armato di tutto punto si fa mettere in una cesta e si fa calare da un improbabile sperone di roccia che sovrasta il castello, cominciando a lanciare «enormi sassi» sui milanesi. A quanto pare è una vera e propria mattanza. «I tetti schiacciano bambini. Frantumati fumano i tetti delle case. Le case crollano schiacciando gli uomini, le pareti rovinano sulle donne», scrive il poeta. Dopo queste cocenti sconfitte l’anno successivo – e siamo nel 1123 – i milanesi cambiano strategia e stabiliscono una nuova base militare sulla sponda opposta del lago a Porlezza. Questa volta sono loro a prendere l’iniziativa e «pongono assedio sia per terra sia per acqua» a un certo castello di San Michele, forse, dice qualcuno, in Valsolda poco sopra Cima, o forse altri credono a Castagnola, proprio dove oggi c’è l’omonimo parco San Michele. La conquista della fortezza appare presto ai milanesi impresa difficilissima. Durante la notte comincia a cadere una pioggia incessante e il mattino seguente il campo degli assedianti è completamente inzaccherato di fango. Si decide allora la via diplomatica, per

trattare arriva da Milano addirittura l’arcivescovo in persona, ma ogni negoziato fallisce. E i comaschi escono ancora una volta vittoriosi. È difficile oggi, scorrendo i concitati versi latini del poema, localizzare con precisione i luoghi di quella guerra combattuta novecento anni fa. Le tracce sono pochissime, i tanti castelli che presidiavano le rive del lago sono quasi tutti scomparsi. Erano decine: a Ponte Tresa, a Caslano, a Bissone, a Riva San Vitale, a Castagnola, in Valsolda; le uniche fortezze oggi visibili sono a Morcote e a Barbengo, dove in località Casoro è ancora ben conservata a pochi metri dal lago una torretta d’osservazione. E naturalmente c’è il castello San Giorgio di Magliaso, che ancora svetta sulla collina sebbene sia ridotto a un rudere: è proprio qui che ha inizio la guerra tra Como e Milano, nel 1118, quando dopo un assedio sfiancante i comaschi fanno prigioniero il vescovo filomilanese Landolfo da Carcano e uccidono due suoi nipoti. Vincere tutte le battaglie non significa però vincere la guerra. Per conquistare definitivamente il fronte del Ceresio, i comaschi hanno una sola op-

Il patrimonio architettonico rurale

Lanostrastoria.ch I documentari del grande etnografo ticinese Giovanni Bianconi

Video intervista

Lorenzo De Carli

Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista con Omar Vanoni.

In occasione della mostra «Il patrimonio si racconta» presso il Castello di Sasso Corbaro la piattaforma di storia partecipativa «lanostraStoria.ch» è stata presente con una postazione multimediale allestita dal Sistema per la valorizzazione del patrimonio culturale (SVPC) del DECS, dando a chiunque la possibilità di consultare documenti audio, video e fotografici utili ad esplorare la storia della Svizzera italiana. In corrispondenza della mostra, nella homepage di «lanostraStoria.ch» è stato posto in evidenza un dossier intitolato «Il patrimonio architettonico rurale descritto da Giovanni Bianconi». Giovanni Bianconi (Minusio 18911981), fu silografo, pittore, poeta in dialetto ed etnografo. Le Teche della RSI conservano le trasmissioni televisive che, negli anni Sessanta, sulla base degli studi ch’egli andava via via pubblicando, Bianconi dedicò al patri-

Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–

Controllare il Ceresio era fondamentale: collegava i passi alpini alla Lombardia. (Keystone)

zione: distruggere le navi milanesi una volta per tutte. La seconda battaglia navale è ancora più sanguinosa della prima. Quando i comaschi salpano da Melano in direzione di Porlezza, davanti a Gandria trovano ad aspettarli la flotta di Milano. Immediatamente viene dato l’ordine di disporre le navi per lo scontro, i rematori fanno forza sui lunghi remi facendo scivolare veloci le navi sull’acqua, i soldati si preparano alla battaglia con archi, pali ferrati e ganci. Trafitto da una lancia muore «il beneamato Alderamo de Quadrio», capitano comasco. Infine Como trionfa, conquista Porlezza nonostante «i massi che i milanesi in fuga sui monti fanno rotolare a valle» e riesce a distruggere la flotta milanese. La tenacia meneghina sorprende però per l’ultima volta. Dove le armi non vincono, vince l’astuzia. E con la sempre efficace promessa di denaro i milanesi giocano l’ultima carta: corrompono Arduino degli Avogadri «uomo malvagio e traditore», castellano della fortezza comasca di Melano, e si fanno consegnare il porto fortificato insieme alle navi di Como. Un tradimento pericolosissimo che può costare il dominio su tutto il bacino del Ceresio. Quando la notizia giunge in città, i comaschi prendono «l’Alberga» e «la Cristina», le navi più grandi della seconda flotta sul Lario. Le smontano, le caricano su due file di carri legati insieme e con il favore dell’oscurità le trasportano via terra fino a Riva San Vitale. Il mattino dopo, con i remi fasciati per attutire lo sciabordio, fanno rotta su Melano e prendono di sorpresa il castellano Arduino. «Siamo i cittadini di Como, mandati a difendere la Valle di Lugano e a proteggere le sue genti», gridano mentre entrano vittoriosi nel porto. Dopo due anni di guerra Como torna padrona incontrastata del lago Ceresio. Sarà una vittoria di Pirro: sugli altri fronti la superiorità dei milanesi è schiacciante, e quattro anni dopo a vincere la guerra sarà Milano. Un poema dimenticato, qualche rovina diroccata. E il lago Ceresio, testimone muto di una guerra antica.

monio architettonico rurale del Ticino. Risalgono, infatti, a quel decennio e al successivo la maggior parte degli studi etnografici di Bianconi: 1962 Muri; 1965 Tetti ticinesi; 1969 Valle Maggia; 1972 Ticino rurale; 1975 Artigianati scomparsi; 1976 Roccoli del Ticino; 1977 Valle Verzasca; 1982 Costruzioni contadine ticinesi. Lo scopo del dossier è circoscritto all’obiettivo di rendere pubbliche tutte le produzioni televisive dedicate al patrimonio architettonico rurale del Ticino realizzate con la stretta collaborazione di Bianconi, talvolta al lavoro con Sergio Genni, altre volte con Bruno Soldini. Accanto alle produzioni televisive realizzate con la mano di Bianconi, il dossier offre anche alcune produzioni radiofoniche dedicate alla sua attività etnografica: una puntata di «Zolle» del 2001 con l’architetto e geografo Giovanni Buzzi, e un’altra del 2004 con lo storico della letteratura Renato Martinoni, assieme con alcune fotografie

di Bianconi scattate nel 1969, in uno studio televisivo assieme con Eros Bellinelli, che conduceva il programma «Incontri». L’estratto della trasmissione televisiva della RTS intitolata Tessin: recherche d’une identité è invece un prezioso inedito nella Svizzera italiana, dove – finora – non sono reperibili documenti video, nei quali Giovanni Bianconi legge suoi versi. I video degli anni Sessanta, tutti basati su studi di prima mano pubblicati da Bianconi, sono di grande interesse sia per gli studiosi dell’architettura rurale delle valli ticinesi, sia per gli studiosi della civiltà contadina. Il servizio di Sergio Genni e Bruno Soldini del 1965, per esempio, è basato su un saggio che Bianconi pubblicò nel 1962 nella serie «Quaderni ticinesi». Si tratta di un viaggio alla scoperta dei numerosi muri a secco che, ancora a metà degli anni Sessanta, delimitavano proprietà o fornivano sostegno a ripidi terrazzi; così come quelli che fiancheggiavano

strade e ferrovie o che servivano per la costruzione di chiese o cascine. La camera riprende quegli stessi archi e quelle stesse volte a crociera che Bianconi descrive, quando illustra le caratteristiche dei rustici ticinesi – indugiando sulle cascine della Valle Verzasca che da lì a poco sarebbero state sommerse dal lago artificiale, portata a termine la diga di Contra. Di grande interesse il documentario – anch’esso del 1965 – dedicato ai tetti ticinesi. Le parole di Bianconi descrivono quelli sui quali si sofferma la camera di Chris Wittwer: quelli delle cascine della Valle Verzasca, quelli – di variabile complessità – dei campanili di tante chiese ticinesi, quelli in coppi del Sottoceneri, ma anche quelli in paglia ai Cento Campi, sui Monti di Caviano, che il documentario mostra nella loro fatiscenza. Lo sguardo di Bianconi è quello dell’etnologo, cosicché le vie, le piazze, le case, le cascine, i muri, le chiese del

Bianconi legge i suoi versi in un documentario della RTS. (lanostrastoria)

Canton Ticino non sono mai descritte senza soffermarsi sulla vita di chi li abita. Il documentario di Bruno Soldini del 1968 dedicato alla Valle Verzasca, anch’esso su testo di Giovanni Bianconi, è straordinario quindi non solo per la descrizione puntuale di luoghi che conservavano intatte caratteristiche rimaste uguali per duecento anni, ma anche per le testimonianze delle persone intervistate, come per esempio quell’anziana signora, che dice di non saper che farsene, del frigorifero, potendo conservare gli alimenti nella neve, e che la sua abitazione e le sue abitudini erano esattamente le stesse d’inizio secolo.


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Società e Territorio La guerra tra Como e Milano per il Ceresio Nel Medioevo il lago di Lugano fu teatro di battaglie navali quasi del tutto dimenticate, unico testimone fu un misterioso prete comasco che scrisse il De bello Mediolanensium adversus Comenses

Le classi inclusive Nelle scuole ticinesi si sono avviati dei progetti di classi inclusive, le esperienze coinvolgono diverse sedi scolastiche comunali; ne abbiamo parlato con Massimo Scarpa, capo della Sezione della pedagogia speciale del Decs

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Battaglie navali sul Ceresio

Storia Nel Medioevo il lago di Lugano fu teatro di scontri tra Milano e Como. Le tracce sono quasi tutte scomparse.

E l’unica fonte è un antico libro scritto da un testimone oculare Jonas Marti

Un sostegno nel lutto

Auto aiuto Nella condivisione del proprio

vissuto si creano spazi privilegiati di parola che danno conforto Maria Grazia Buletti «…comunque la vita chiama tutti, non possiamo ignorarlo, anche se quanto stiamo vivendo è molto doloroso, una parte di noi rimane vitale. La vita “spinge” e dobbiamo trovare le risorse per andare avanti, ritornare al quotidiano…», sono le parole di Rossana, che perde il compagno a febbraio dello scorso anno, dopo un lungo percorso di malattia durante il quale gli è stata al fianco. «Gli ultimi periodi sono stati molto duri: nel percorso della malattia si vuole essere d’aiuto, presenti; ci si vuole adoperare nel quotidiano e nel nuovo ritmo spesso frenetico delle visite mediche e delle cure. Ci si annulla, ci si mette da parte, si tiene duro e si pensa “per ora vado avanti così, poi penserò a me stessa”…». Rossana vive quel «grande vuoto» che la perdita del proprio compagno comporta e si rende conto che, malgrado la consapevolezza del decorso infausto «non sei mai pronto e ti vedi spiazzato, annientato, anche se quel momento lo vedi arrivare». Ci racconta di essersi sentita sola, «con le batterie scariche all’uno percento»: «Dopo i primi momenti, le persone che ti stanno attorno tendono a fuggire, si sentono a disagio e a giusta ragione ritornano alla loro vita. Tu, invece, rimani sola con il tuo dolore, con la tua stanchezza, con il tuo sgomento». La nostra società, oggi, fatica a fare i conti con la morte e tende a evitare chi è in questa situazione: «Spesso, per farti coraggio, ti esorta ad andare avanti, a vivere, a non pensarci, e quella non è la via migliore per elaborare il proprio dolore perché il tempo di un lutto diventa un tempo più lento, meno frenetico di quanto la società richiede». Un tempo lento e necessario, perché vedere sfuggire la vita di una persona amata e perderla è una delle prove più dolorose della nostra esistenza: un evento al quale siamo sempre impreparati. Chiunque sia mancato, perdiamo una parte di noi stessi ed entriamo in un periodo di grande sofferenza e difficoltà al quale spesso non si riesce a fare fronte da soli. Rossana racconta di aver

Azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

cominciato un percorso psicologico già durante la malattia del suo compagno, ma di aver poi trovato sollievo, ascolto, condivisione, empatia e «conosciuto preziose persone con cui condividere un simile dolore» nel frequentare i gruppi AMA-TI (Auto Mutuo Aiuto nel Lutto) promossi dalla Lega ticinese contro il cancro e dalla Fondazione Hospice Ticino, che quest’anno giungono al traguardo dei 10 anni di attività. «Il lutto è un percorso diverso da persona a persona per qualità, intensità e durata delle reazioni emozionali, ma a tutti richiede tempo e un vero e proprio lavoro per essere metabolizzato. Non vi sono soluzioni semplici, ma noi cerchiamo di offrire uno spazio di condivisione e ascolto fra persone che hanno subito un’esperienza simile, in un ambiente privo di giudizio», esordisce il direttore della Fondazione Hospice Ticino Omar Vanoni. «Questi gruppi di Auto Mutuo Aiuto nel Lutto sono attivi nei distretti di Bellinzona, Lugano e Mendrisio, mentre da pochi mesi ne è stato creato uno anche nel Locarnese», prosegue il direttore illustrando l’accompagnamento discreto di pazienti e dei loro parenti che Hospice Ticino opera: «Durante i percorsi di malattia non lasciamo pazienti e parenti da soli, ma li informiamo sulla possibilità della mano tesa dei nostri gruppi, senza trascurare quei lutti dati dall’improvvisa morte di un caro, quando le difficoltà di chi rimane possono presentarsi ancora più pressanti». A nessuno è dunque preclusa la frequentazione di questi gruppi la cui creazione, per quanto attiene a Hospice Ticino, nasce dall’esigenza di presentare e prestare cure palliative. Il direttore Vanoni afferma che il percorso che si crea in ciascun gruppo attivo è caratterizzato dalla sua autonomia e dal colloquio tra pari: «Anche se non dobbiamo dimenticare che ogni partecipante ha la possibilità di confrontarsi con i collaboratori professionali di Hospice Ticino e della Lega ticinese contro il cancro, sporadicamente presenti agli incontri». Dal canto suo, Rossana dice di aver superato ampiamente la titubanza iniziale e aver Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Omar Vanoni, direttore della Fondazione Hospice Ticino. (Vincenzo Cammarata)

aderito al gruppo nel quale ha trovato condivisione, ascolto privo di giudizio e anche tanta solidarietà reciproca nel darsi una mano quando ci si sente «in quei momenti di sconforto inevitabili»: «Ogni incontro settimanale dura circa un’ora e mezza; la partecipazione non è vincolante e può essere occasionale; abbiamo creato un gruppo WhatsApp nel quale ciascuno di noi può sentirsi e sostenere l’altro al bisogno, anche nel quotidiano, e in ogni gruppo siamo da 4 a 10 partecipanti; possiamo ascoltare l’esperienza dell’altro ed esprimere reciprocamente il proprio vissuto, nella condivisione essenziale del lutto che sì, è un fatto molto personale, ma nel contempo universale». Tutti insieme vivono un tempo comune nel quale elaborano con il proprio ritmo e le proprie risorse quel doloroso percorso che la perdita di un proprio caro rappresenta: «Condivisione, solidarietà umana e so-

stegno tramite l’ascolto ci permettono di ricomporre noi stessi nella ricostruzione della vita che va avanti». Tutto resta strettamente riservato e privo di giudizio. «Si crea un ambiente protetto, nel quale si può piangere, parlare o tacere, permettendo alle emozioni di non essere soffocate ma di emergere e, quindi, di essere elaborate», spiega Vanoni caratterizzando la dinamicità dei gruppi nei quali vi restano dei «senior» a condurre i nuovi arrivati, sempre sotto la sporadica supervisione del personale di Hospice Ticino e della Lega contro il cancro. Lentamente questi incontri lasciano spazio alla dolcezza del ricordo e alla pienezza della vita, come Rossana racconta: «La vita, a un certo punto, spinge…». Una vita che, afferma la filosofa Alexandrine Schniewind: «deve sapersi interrogare sulle questioni legate al morire, nella consapevolezza che non si

tratta di un affare puramente filosofico, ma che in divenire è una realtà appartenente non solo a medici o curanti, bensì a tutta la società». La filosofa pone l’accento proprio sulla nostra società che oggi più che mai deve riprendere questo confronto con la fine della vita.

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Quando le navi milanesi uscite dal porto di Lavena doppiano il capo di Morcote, le sentinelle comasche lanciano l’allarme. Dai boschi del San Giorgio parte subito una catena di segnali, giù fino alla punta della Poncia, da lì a Bissone e poi fino a Melano, il porto fortificato in mano al libero comune di Como. La flotta leva le ancore a tutta velocità e si dirige a colpi di remi verso nord per bloccare la via che porta al golfo di Lugano. Lo scontro è inevitabile. Tra Melide e Bissone le due flotte si dispongono a battaglia. Gli arcieri cominciano a scagliare frecce, i timonieri cercano di affondare i rostri nei ventri delle barche nemiche. Dopo una giornata di battaglia cala la notte e i milanesi battono in ritirata. È davvero sorprendente: nel Medioevo il Ceresio fu teatro di battaglie navali, nella guerra tra Como e Milano che allora si contendevano la regione. Gli storici la chiamano «guerra decennale», perché durò dieci anni, dal 1118 al 1127. Un periodo oscuro, che la conquista svizzera delle nostre terre ha presto relegato nell’oblio più profondo. Ma le cui vicende sono state tramandate in un libro rimasto fino al 1700 nei polverosi scantinati di un collegio di Milano: è il De bello Mediolanensium adversus Comenses, un breve poemetto epico scritto in versi latini da un misterioso prete comasco che afferma di essere stato testimone diretto degli eventi. È l’anno del Signore 1122 quando i venti di guerra cominciano a soffiare sulle acque del Ceresio. Ad aprire il nuovo fronte è la rivolta dei luganenses, gli abitanti della Valle di Lugano come allora veniva chiamato gran parte del Luganese, sobillati dalla diplomazia milanese. Da secoli sotto il dominio di Como, gli indomiti luganesi si ribellano e si alleano con la potente Milano, a cui cedono lo strategico passaggio di Ponte Tresa con il castello di San Martino e il porto di Lavena che viene subito fortificato. La risposta di Como è immediata. Nel villaggio di Melano, distante solo «10 miliaria» dalla città, i

comaschi improvvisano in pochi giorni una vera e propria roccaforte: il porto viene munito di grosse catene tese all’entrata per impedirne l’accesso, tutto attorno sono innalzate palizzate e si scava un largo fossato che crea di fatto un’isola inaccessibile via terra. La guerra per il dominio del lago Ceresio è di fondamentale importanza per la supremazia regionale. Per chi vince c’è in palio il controllo delle vie che dai passi alpini scendono in Lombardia, chiave del commercio in tutta l’Italia. Le forze in campo sono però decisamente impari: Como non ha più di diecimila abitanti, Milano ne conta invece centomila ed è una delle città più popolose d’Europa. Eppure la prima battaglia navale, lo abbiamo visto, finisce con la sconfitta della flotta milanese. E così anche il secondo scontro qualche giorno dopo a Ponte Tresa, quando i comaschi vincono con un espediente pittoresco. Preso da furori epici, l’anonimo prete comasco – forse troppo intento a glorificare la sua «splendida Como» piuttosto che a riportare i fatti – racconta che davanti all’inespugnabile castello di San Martino ad un certo punto il «coraggiosissi-

mo» soldato Giovanni Bono da Vesonzo ha un’idea: armato di tutto punto si fa mettere in una cesta e si fa calare da un improbabile sperone di roccia che sovrasta il castello, cominciando a lanciare «enormi sassi» sui milanesi. A quanto pare è una vera e propria mattanza. «I tetti schiacciano bambini. Frantumati fumano i tetti delle case. Le case crollano schiacciando gli uomini, le pareti rovinano sulle donne», scrive il poeta. Dopo queste cocenti sconfitte l’anno successivo – e siamo nel 1123 – i milanesi cambiano strategia e stabiliscono una nuova base militare sulla sponda opposta del lago a Porlezza. Questa volta sono loro a prendere l’iniziativa e «pongono assedio sia per terra sia per acqua» a un certo castello di San Michele, forse, dice qualcuno, in Valsolda poco sopra Cima, o forse altri credono a Castagnola, proprio dove oggi c’è l’omonimo parco San Michele. La conquista della fortezza appare presto ai milanesi impresa difficilissima. Durante la notte comincia a cadere una pioggia incessante e il mattino seguente il campo degli assedianti è completamente inzaccherato di fango. Si decide allora la via diplomatica, per

trattare arriva da Milano addirittura l’arcivescovo in persona, ma ogni negoziato fallisce. E i comaschi escono ancora una volta vittoriosi. È difficile oggi, scorrendo i concitati versi latini del poema, localizzare con precisione i luoghi di quella guerra combattuta novecento anni fa. Le tracce sono pochissime, i tanti castelli che presidiavano le rive del lago sono quasi tutti scomparsi. Erano decine: a Ponte Tresa, a Caslano, a Bissone, a Riva San Vitale, a Castagnola, in Valsolda; le uniche fortezze oggi visibili sono a Morcote e a Barbengo, dove in località Casoro è ancora ben conservata a pochi metri dal lago una torretta d’osservazione. E naturalmente c’è il castello San Giorgio di Magliaso, che ancora svetta sulla collina sebbene sia ridotto a un rudere: è proprio qui che ha inizio la guerra tra Como e Milano, nel 1118, quando dopo un assedio sfiancante i comaschi fanno prigioniero il vescovo filomilanese Landolfo da Carcano e uccidono due suoi nipoti. Vincere tutte le battaglie non significa però vincere la guerra. Per conquistare definitivamente il fronte del Ceresio, i comaschi hanno una sola op-

Il patrimonio architettonico rurale

Lanostrastoria.ch I documentari del grande etnografo ticinese Giovanni Bianconi

Video intervista

Lorenzo De Carli

Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista con Omar Vanoni.

In occasione della mostra «Il patrimonio si racconta» presso il Castello di Sasso Corbaro la piattaforma di storia partecipativa «lanostraStoria.ch» è stata presente con una postazione multimediale allestita dal Sistema per la valorizzazione del patrimonio culturale (SVPC) del DECS, dando a chiunque la possibilità di consultare documenti audio, video e fotografici utili ad esplorare la storia della Svizzera italiana. In corrispondenza della mostra, nella homepage di «lanostraStoria.ch» è stato posto in evidenza un dossier intitolato «Il patrimonio architettonico rurale descritto da Giovanni Bianconi». Giovanni Bianconi (Minusio 18911981), fu silografo, pittore, poeta in dialetto ed etnografo. Le Teche della RSI conservano le trasmissioni televisive che, negli anni Sessanta, sulla base degli studi ch’egli andava via via pubblicando, Bianconi dedicò al patri-

Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–

Controllare il Ceresio era fondamentale: collegava i passi alpini alla Lombardia. (Keystone)

zione: distruggere le navi milanesi una volta per tutte. La seconda battaglia navale è ancora più sanguinosa della prima. Quando i comaschi salpano da Melano in direzione di Porlezza, davanti a Gandria trovano ad aspettarli la flotta di Milano. Immediatamente viene dato l’ordine di disporre le navi per lo scontro, i rematori fanno forza sui lunghi remi facendo scivolare veloci le navi sull’acqua, i soldati si preparano alla battaglia con archi, pali ferrati e ganci. Trafitto da una lancia muore «il beneamato Alderamo de Quadrio», capitano comasco. Infine Como trionfa, conquista Porlezza nonostante «i massi che i milanesi in fuga sui monti fanno rotolare a valle» e riesce a distruggere la flotta milanese. La tenacia meneghina sorprende però per l’ultima volta. Dove le armi non vincono, vince l’astuzia. E con la sempre efficace promessa di denaro i milanesi giocano l’ultima carta: corrompono Arduino degli Avogadri «uomo malvagio e traditore», castellano della fortezza comasca di Melano, e si fanno consegnare il porto fortificato insieme alle navi di Como. Un tradimento pericolosissimo che può costare il dominio su tutto il bacino del Ceresio. Quando la notizia giunge in città, i comaschi prendono «l’Alberga» e «la Cristina», le navi più grandi della seconda flotta sul Lario. Le smontano, le caricano su due file di carri legati insieme e con il favore dell’oscurità le trasportano via terra fino a Riva San Vitale. Il mattino dopo, con i remi fasciati per attutire lo sciabordio, fanno rotta su Melano e prendono di sorpresa il castellano Arduino. «Siamo i cittadini di Como, mandati a difendere la Valle di Lugano e a proteggere le sue genti», gridano mentre entrano vittoriosi nel porto. Dopo due anni di guerra Como torna padrona incontrastata del lago Ceresio. Sarà una vittoria di Pirro: sugli altri fronti la superiorità dei milanesi è schiacciante, e quattro anni dopo a vincere la guerra sarà Milano. Un poema dimenticato, qualche rovina diroccata. E il lago Ceresio, testimone muto di una guerra antica.

monio architettonico rurale del Ticino. Risalgono, infatti, a quel decennio e al successivo la maggior parte degli studi etnografici di Bianconi: 1962 Muri; 1965 Tetti ticinesi; 1969 Valle Maggia; 1972 Ticino rurale; 1975 Artigianati scomparsi; 1976 Roccoli del Ticino; 1977 Valle Verzasca; 1982 Costruzioni contadine ticinesi. Lo scopo del dossier è circoscritto all’obiettivo di rendere pubbliche tutte le produzioni televisive dedicate al patrimonio architettonico rurale del Ticino realizzate con la stretta collaborazione di Bianconi, talvolta al lavoro con Sergio Genni, altre volte con Bruno Soldini. Accanto alle produzioni televisive realizzate con la mano di Bianconi, il dossier offre anche alcune produzioni radiofoniche dedicate alla sua attività etnografica: una puntata di «Zolle» del 2001 con l’architetto e geografo Giovanni Buzzi, e un’altra del 2004 con lo storico della letteratura Renato Martinoni, assieme con alcune fotografie

di Bianconi scattate nel 1969, in uno studio televisivo assieme con Eros Bellinelli, che conduceva il programma «Incontri». L’estratto della trasmissione televisiva della RTS intitolata Tessin: recherche d’une identité è invece un prezioso inedito nella Svizzera italiana, dove – finora – non sono reperibili documenti video, nei quali Giovanni Bianconi legge suoi versi. I video degli anni Sessanta, tutti basati su studi di prima mano pubblicati da Bianconi, sono di grande interesse sia per gli studiosi dell’architettura rurale delle valli ticinesi, sia per gli studiosi della civiltà contadina. Il servizio di Sergio Genni e Bruno Soldini del 1965, per esempio, è basato su un saggio che Bianconi pubblicò nel 1962 nella serie «Quaderni ticinesi». Si tratta di un viaggio alla scoperta dei numerosi muri a secco che, ancora a metà degli anni Sessanta, delimitavano proprietà o fornivano sostegno a ripidi terrazzi; così come quelli che fiancheggiavano

strade e ferrovie o che servivano per la costruzione di chiese o cascine. La camera riprende quegli stessi archi e quelle stesse volte a crociera che Bianconi descrive, quando illustra le caratteristiche dei rustici ticinesi – indugiando sulle cascine della Valle Verzasca che da lì a poco sarebbero state sommerse dal lago artificiale, portata a termine la diga di Contra. Di grande interesse il documentario – anch’esso del 1965 – dedicato ai tetti ticinesi. Le parole di Bianconi descrivono quelli sui quali si sofferma la camera di Chris Wittwer: quelli delle cascine della Valle Verzasca, quelli – di variabile complessità – dei campanili di tante chiese ticinesi, quelli in coppi del Sottoceneri, ma anche quelli in paglia ai Cento Campi, sui Monti di Caviano, che il documentario mostra nella loro fatiscenza. Lo sguardo di Bianconi è quello dell’etnologo, cosicché le vie, le piazze, le case, le cascine, i muri, le chiese del

Bianconi legge i suoi versi in un documentario della RTS. (lanostrastoria)

Canton Ticino non sono mai descritte senza soffermarsi sulla vita di chi li abita. Il documentario di Bruno Soldini del 1968 dedicato alla Valle Verzasca, anch’esso su testo di Giovanni Bianconi, è straordinario quindi non solo per la descrizione puntuale di luoghi che conservavano intatte caratteristiche rimaste uguali per duecento anni, ma anche per le testimonianze delle persone intervistate, come per esempio quell’anziana signora, che dice di non saper che farsene, del frigorifero, potendo conservare gli alimenti nella neve, e che la sua abitazione e le sue abitudini erano esattamente le stesse d’inizio secolo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Società e Territorio

L’inclusione passa dalla scuola

Incontri Massimo Scarpa, capo della Sezione della pedagogia speciale del Decs, parla della nuova esperienza

delle classi inclusive presenti in diverse sedi scolastiche comunali Guido Grilli Ricreazione. Gli allievi della scuola speciale e delle scuole regolari corrono uniti nella loro libertà. Siamo alla Scuola Media di Lugano Besso, dove si trovano tre classi di scuola speciale e una sede del Servizio dell’educazione precoce speciale. È qui che incontriamo Massimo Scarpa, capo della sezione della pedagogia speciale del Decs, classe 1968, dal 2014 attivo in questo importante universo della formazione dopo vent’anni trascorsi nel Servizio di sostegno pedagogico. Parliamo di inclusione nella scuola anche alla luce di un meraviglioso documentario presentato la scorsa edizione al Festival del film di Locarno dal regista vodese, Fernand Melgar, À l’école des philosophes, coprodotto dalla televisione svizzera Srg Ssr, storia di cinque bambini disabili mentali e fisici seguiti passo a passo all’interno di una classe di scuola speciale della Fondation de Verdeil di Yverdon-les-Bains. Ogni bambino è un essere unico nella sua singolarità e la pellicola mostra i progressi di ogni allievo e lo stupore e la felicità dei loro genitori.

«Abbiamo previsto che tutti i bambini nella scuola dell’infanzia possano seguire un percorso regolare» Come si pone il Ticino in tema di integrazione e inclusione? «In Ticino – e questo è un dato storico importante – le classi di scuola speciale sono inserite negli stabili di scuola regolare. In linea teorica e nel concreto, questa convivenza architettonica favorisce progetti di integrazione. Quindi dei ragazzi che in un certo ambito hanno delle capacità di adattamento o degli interessi particolari possono essere inseriti alle lezioni delle classi di scuola regolare. Avviene piuttosto regolarmente. Poi è naturale che vi siano contesti in cui è più facile metterlo in atto, perché abbiamo istituti scolastici più abituati, più pronti, e contesti dove invece è più difficile. È una questione di cultura di ogni singolo istituto, ve ne sono alcuni che per storia e tipologia di popolazione sono più abituati ad avere una diversità al loro interno e quindi più pronti ad accogliere la disabilità. Che è solo una delle tante forme di diversità che possiamo avere nel mondo scolastico».

Dal film À l’école des philosophes di Fernand Melgar girato in una classe di scuola speciale della Fondation de Verdeil di Yverdon-lesBains.

Come è strutturata la sezione della pedagogia speciale da lei guidata? «I nostri servizi coprono complessivamente la fascia da 0 a 20 anni. Abbiamo il Servizio dell’educazione precoce speciale (sei ambulatori cantonali): è un servizio pluridisciplinare formato da un capo servizio, solitamente psicologa o pedagogista, che gestisce un team composto da ergoterapisti, logopedisti, psicomotricisti e pedagogisti dell’età precoce, da 0 a 6 anni. Questi servizi, che sono sotto il cappello del Decs sono a orientamento pedagogico-clinico, quindi svolgono un lavoro terapeutico. Qui a Besso le mamme portano i loro figli non ancora in età della scuola dell’infanzia, che vengono ricevuti su segnalazione solitamente dei pediatri. Bambini con difficoltà di sviluppo, che mostrano ritardi negli apprendimenti di base, difficoltà nel linguaggio, problemi motori, deficit sensoriali, disabilità sociali e comunicative. Vi è poi l’Istituto delle scuole speciali cantonali per allievi in età scolastica (dai 6 ai 18-20 anni), presente alle Elementari, alle Medie e nel post obbligatorio delle scuole speciali, che prevede nei casi più leggeri l’inserimento professionale, fino a percorsi protetti (laboratori protetti e centri diurni gestiti dalle diverse fondazioni, Diamante, La Fonte, e altre ancora che hanno un mandato dal Cantone). Infine vi sono gli operatori pedagogici per l’integrazione che accompagnano nel percorso scolastico bambini con bisogni educativi particolari. Si cerca sempre di più, tramite queste figure professionali, di favorire

percorsi integrati. La legge stessa prevede di tenere i ragazzi e le ragazze con disabilità il più a lungo possibile nel percorso regolare». Con quale esito? «Abbiamo molti allievi con autismo che un tempo avrebbero fatto un percorso di scuola speciale e che invece oggi sono inseriti nel curricolo regolare. Noi abbiamo previsto che tutti i bambini, nella scuola dell’infanzia, possano seguire un percorso regolare nella fascia 4-6 anni, più o meno sostenuto con risorse in sezione o gruppi terapeutici di supporto. Indipendentemente dal tipo di profilo di difficoltà. Il nostro principio è che si designi la scuola speciale solo nel momento in cui tutti i tentativi a supporto di un percorso nella scuola regolare ci dimostrano che quel contesto non è adatto. Questo significa che sempre di più il passaggio alla scuola speciale è posticipato in là nel tempo». Massimo Scarpa fornisce alcune cifre significative. «Su una popolazione attuale di poco meno di 500 allievi inseriti nelle scuole speciali cantonali del canton Ticino, circa i due terzi sono di età pari o superiore ai 12 anni. Quindi vuol dire che si cerca di tenere sempre di più il bambino in un percorso regolare». E l’integrazione passa anche attraverso le classi inclusive presenti in diverse realtà ticinesi «Sì, sono progetti che si stanno facendo strada da qualche anno. Sono stati pensati per sostenere determinati allievi con bisogni educativi speciali in un percorso incluso nella classe regolare il più a

lungo possibile. Nelle scuole dell’infanzia sono presenti classi inclusive a Stabio, Ruvigliana, Breganzona, Caslano, Giubiasco, Orselina; mentre nelle Elementari abbiamo classi inclusive a Massagno, Rancate, Stabio, Locarno, Ronco Sopra Ascona, Biasca e Arbedo. Infine due classi inclusive sono presenti alle Medie di Losone. L’idea di fondo è quella di lavorare nel contesto regolare ma mettere un docente di scuola speciale che lavori in partenariato con il docente di scuola regolare. La scommessa è quella di andare verso l’inclusione sì, ma lo scopo non è solo di inserirli ma anche ridefinire una pianificazione didattica che permetta veramente di includerli in un percorso di senso. Si lavora in partnership tra docenti. Questa formula diventa interessante per tutti gli allievi. Non si lavora separatamente in classe, ma insieme, a gruppi misti. Le prime esperienze risalgono a sei sette anni fa, mentre dal 2014 questi progetti si svolgono in maniera più sistematica». Qual è il consuntivo? «A breve è atteso un rapporto allestito dal Centro competenze innovazione e ricerca sui sistemi educativi (Cirse) della Supsi che ci darà un feedback sull’inclusione. Sono progetti che necessitano di una grande preparazione e di un accompagnamento importante. Sono esperienze nuove, rappresentano una primizia a livello svizzero. Le esperienze stanno andando complessivamente piuttosto bene e sono stimolanti, anche se particolarmente impegnative. Ci tengo a sfatare un pregiudizio: la letteratura

nell’ambito della ricerca pedagogica ci conferma che l’inserimento di bambini con disabilità non rallenta l’apprendimento degli allievi a sviluppo normotipico. Lo smentisce anche la pratica: sono state svolte delle prove pedagogiche, ad esempio a Biasca, alla fine di una seconda, in cui si trovavano una classe inclusiva e due regolari. Ebbene, le prove pedagogiche degli allievi non hanno rilevato nessuna differenza tra gli allievi. Va anzi considerato il valore aggiunto per gli allievi, che imparano una moltitudine di competenze di ordine sociale, prime fra tutte la conoscenza della diversità». E concrete esperienze inclusive avvengono anche in seno all’Associazione ticinese di genitori ed amici dei bambini bisognosi di educazione speciale (Atgabbes). Donatella Oggier-Fusi, segretaria d’organizzazione, menziona la creazione dei preasili inclusivi di Atgabbes, i primi sorti già trent’anni fa e che oggi contano quattro sedi, l’ultima delle quali aperta a Locarno nel 2017. La novità più recente è invece la realtà degli asili nido comunali e privati, per cui Atgabbes mette al servizio le proprie competenze con l’inserimento in queste strutture riservate alla fascia 0-3 anni di una propria educatrice di sostegno. Ma qual è – chiediamo ancora a Massimo Scarpa – il suo orizzonte futuro nell’ambito della pedagogia speciale? «La mia speranza è che anche le storiche classi di scuola speciale possano ottenere sempre maggiori possibilità di progetti in comune con il contesto di sede in cui operano».

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Martin Helg, Stiamo con Roger!, ESG. Da 10 anni Nella collana «Campioni mondiali» delle Edizioni Svizzere per la Gioventù non poteva mancare un omaggio a Federer, ed ecco questo Stiamo con Roger, del giornalista della NZZ Martin Helg, che traccia una sintetica ma appassionata storia del suo percorso formativo e agonistico. Grazie anche al contributo delle illustrazioni di Grafilu (Pascal Staub), al giovane lettore viene offerto il racconto del campione, con il consueto dispiegarsi degli aggettivi che ne sottolineano l’eleganza, la grazia, la padronanza magistrale dell’arte tennistica, contro la forza più selvaggia del suo storico avversario Nadal, quasi l’alter ego speculare del campione elvetico, l’amico-nemico da combattere in campo e ammirare fuori, e comunque rispettare sempre. Non per nulla Roger è un re, la nobiltà d’animo si misura anche da queste cose.

Gli altri tratti che emergono da questa biografia di Federer sono la sua grande tenacia, il coraggio di rimettersi sempre in gioco – è il caso di dirlo –, quello di saper incassare con equilibrio le sconfitte, di saper gestire con misura i trionfi; la capacità di concentrarsi durante la performance, sapendo trovare modi e tempi anche per il recupero; la forza fisica ma prima ancora la forza interiore di controllo delle emozioni negative. Tutte cose a cui ogni giovane lettrice o lettore potrà ispirarsi per la

propria vita personale, al di là dello sport praticato. Anche perché questi grandi valori si conquistano, con pazienza e costanza: l’adolescente Roger non era così, aveva crisi di sconforto e scatti d’ira, e questa, che ripercorre la sua età giovanile, è una delle parti più interessanti del libro. Per ognuno quindi è possibile diventare, se non un artista del tennis, un artista della propria vita. Louison Nielman e Thierry Manes, collana «Piccolo Zen», De Agostini. Da 2 anni L’orsetto Noah fa la sua prima passeggiata nella neve: «tutto è così bianco, così calmo...». Si volta indietro e scopre le tracce dei suoi passi: «si ferma un istante e fa un lungo respiro rilassato». Induce pace solo a guardarlo, questo albo dalle belle pagine ariose, che invita il piccolo lettore a fermarsi, appunto, ogni tanto, e a fare

un bel respiro. Godendo di ciò che ha intorno. Anche i bambini oggi hanno bisogno di prendersi i loro tempi, allentando la pressione degli impegni. E anche i bambini hanno bisogno di dare un nome alle proprie emozioni, e trovare una via per elaborarle: se Rilassato come un panda parlava di Noah e della sua tranquilla giornata nella neve, Arrabbiato come un orso racconta dell’orsetta Flora, in preda alla rabbia perché la mamma non le ha comprato quello che voleva e perché

ha litigato con la sua amica ape. Sarà la mamma, con il suo abbraccio, con la sua voce calda e tranquilla, con l’invito a fare un bel respiro profondo e con l’ottima idea di mandar via il malumore soffiando nel Tubo della Rabbia, a farle ritrovare la serenità. C’è poi, in Distratto come un coniglio, la storia di Martino, nella cui testa «c’è una specie di giardino dove spuntano continuamente tante idee». Martino non riesce a stare fermo e questa agitazione a volte gli impedisce di concentrarsi e non lo rende felice: per fortuna gli amici che incontra nell’orto lo aiuteranno a calmarsi, e Martino immagina di essere un alberello che dondola dolcemente nel vento, ma con le radici ben piantate a terra... Rassicuranti, utili e divertenti, per bambini e genitori, queste storie della collana «Piccolo Zen» di De Agostini, sono scritte dalla psicologa dell’infanzia Louison Nielman.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Il casone dei sette morti Quello che avevano chiamato Paron Toni aveva posato le carte sul tavolo, capovolte in modo da poter riprendere la partita di briscola qualora avesse deciso. Giocare toccava a lui e dunque il gioco per ora si sarebbe fermato lì. Uno sguardo d’intesa veloce e poi anche gli altri tre giocatori avevano fatto altrettanto. Le partite di carte, come quelle di calcio, non si interrompono se non per motivi gravi, a ragion veduta. Tantomeno al Circolo Pescatori Anziani di Pellestrina, nella laguna Sud di Venezia, dove i mazzi si usurano in fretta giocati quotidianamente da mani artritiche, antiche e nodose, scrutati da occhi liquidi da cataratta che nemmeno riescono a cogliere i segnali del compagno di giochi e così non si litiga. «Così volete che vi racconti quella del Casone dei Sette Morti?». La conferma era diretta ai due componenti l’equipaggio di Cèmare, una barca a vela in transito per Venezia, appena ormeggiata al pontile antistante il Circolo. Il brusio dei giocatori nella

sala affollata era improvvisamente cessato, così come in laguna cade il vento, la sera e tutto attorno abbonaccia per la notte. «Vedete – cominciò Paron Toni – quella del Casone non si racconta spesso e nemmeno volentieri. Non so chi ve ne abbia parlato e nemmeno voglio saperlo. Ma visto che siete forestieri e siete arrivati in barca allora... allora per una volta... Insomma i nostri vecchi raccontavano di questo bragozzo veneziano che era uscito per pescare in laguna in un giorno di feste comandate: Paron Zuane non aveva paura di niente, nemmeno di nostro Signore, e pur di fare quattro schei in più avrebbe venduto l’anima al demonio. Avevano a bordo un putelin – un ragazzino che serviva da mozzo, uno che vuoi perché era proprio troppo giovane vuoi perché voglia di lavorare ce n’era poca – insomma se ne stava sottocoperta a giocare con un certo suo cagnolino. Bon: Paron Zuane ordina la prima calata e la rete pesa e pesa come se ci fosse dentro una balena... Macché:

piena della solita sardella ma... ma... sotto le sardelle non c’era un cadavere di cristiano mezzo mangiato dai granchi? A quei tempi pescare un cadavere in laguna non era meraviglia: fosse un suicida, fosse un pescatore caduto in acqua con la burrasca, fosse pure un forestiero assassinato – sì proprio uno come voi che non c’erano mica i telefonini che ti trovano anche se stai all’inferno (occhiata storta del vostro Altropologo preferito al suo compagno) – ovvero accoppato in qualche calle di Venezia e buttato in un canale... insomma lo tirano dalla rete e lo mettono a prua nascosto sotto una cerata. Arriva un temporale, uno di quelli brutti che per via dell’acqua corta in laguna le onde sono peggio che in mare. Insomma Paron Zuane decide di andare a passare la notte in un casone – quelle costruzioni antiche in mezzo alla laguna dove andavano un tempo cacciatori e pescatori a fare le loro cose... Là in fondo – vedete?! Laggiù proprio dove tramonta il sole proprio adesso?! Proprio dietro

al mio dito... Arrivano – Paron Zuane e i suoi sei marinai di equipaggio più il putelin con il suo cagnolo – si sistemano in questo casone che veniva giù, a pezzi, spaccano due travi e cominciano a fare polenta. Tirano fuori il vino e dopo due bevute decidono di fare uno scherzo al mozzo. “Non hai fatto niente fino adesso... tu: adesso vai a bordo a svegliare un nostro amico che sta dormendo a prua e digli che la cena è pronta!”. Il mozzo a malincuore esce nella burrasca e torna a bordo del bragozzo. “Paron Zuane! Il vostro amico non vuole svegliarsi!!! Cosa devo fare!?”. Risate avvinazzate dal casone: “Insisti, insisti – che sennò scaravento il tuo cagnolo in mare!”. Silenzio. Vento di bufera. Poi: “Paron Zuane! Paron Zuane! Ho pregato Dio per il mio cagnolo e il vostro amico si è svegliato! Buttate la polenta che stiamo arrivando a cena!”». A Pellestrina si racconta che dopo sette giorni trovarono i sette pescatori del bragozzo morti, bocche ed occhi stravolti in posizioni strane. Il putelin

sembrava strano e non parlava più. Anni dopo gli morì il cane che lo seguiva ovunque andasse ad elemosinare quel poco che gli passavano per pietà che era stato il solo a tornare vivo dal Casone dei Sette Morti. Mi chiedete come si faccia a sapere cosa sia successo al Casone dei Sette Morti dal momento che sono tutti morti e l’unico tornato è venuto fuori matto?! Ma possibile che voi marinai della domenica non capiate?! È che per tutta la vita il putelin ogni tanto gli veniva di parlare e quando parlava diceva che bisognava andare a messa ma non solo la Domenica e che i cani anche loro sono cristiani anzi meglio e che i morti bisogna lasciarli dove sono... Insomma: avete capito o no com’è andata al Casone dei Sette Morti, sacramento?!». Dato il 16 ottobre 2018 all’ancora notturna all’isola di Poveglia, laguna Sud di Venezia. Dove un tempo si confinavano i pazzi. E ora, deserta, ancorano ma per una notte soltanto gli Altropologi. Buon vento a tutti!

vivendo, o crediamo di vivere, una catastrofe. Lasciarsi dolorosamente è un modo per riconoscere che l’amore c’era e che quella che abbiamo vissuto era una storia profonda, difficile da sradicare. Solo nel momento del crollo possiamo misurare, dalla entità delle macerie, la quantità del nostro amore. E al tempo stesso comprendere che ci siamo sempre illusi, che c’era qualche cosa di non detto nella relazione. Quanto pagherebbe l’abbandonato per comprendere le vere ragioni del suo abbandono! Ma anche chi lascia non sempre sa perché lo fa e come mai proprio in quel momento e in quel modo. Probabilmente il fatto che lei considerasse il suo amante un complemento secondario della vita familiare deve averlo deluso anche se, senza dichiararlo, lui si è sempre comportato nello stesso modo. Ma il copione delle relazioni familiari vuole che lei desideri formalizzare l’unione mentre lui preferisca garantirsi un margine di autonomia. È un gioco delle parti difficile da districare. Di certo la sua richiesta di convivenza e di matrimonio ha scombinato le carte rivelando che la vostra passione

è stata una «schiuma frenata», subordinata all’interesse di altri, apparentemente assenti dalla scena ma in realtà coprotagonisti. L’adulterio è sempre una commedia con più personaggi, anche se alcuni rimangono dietro le quinte. Purtroppo la nostra cultura non ci aiuta a elaborare il lutto dell’abbandono e a organizzare la cerimonia degli addii. Una giovane donna, lasciata dal fidanzato dopo sei anni di fidanzamento, ha chiuso la sequela delle recriminazioni «condannandolo» a inviarle per sei mesi, ogni mattina, una rosa bianca. In questo modo ha ingentilito un atto che rischiava di diventare brutale. Ma quanti sanno essere così geniali? Scrive l’antropologo Franco La Cecla in Lasciami. Ignoranza dei congedi: «com’è possibile che le persone per chiudere una storia d’amore debbano essere crudeli?.... Uscire, congedarsi richiede una competenza che non è ovviamente solo individuale, ed è strano che in assenza di riti si tenda ad assimilare ogni uscita a una forma di incidente mortale, di tragedia sopita, di assurdo non tematizzato, di urlo non espresso, di fallimento

non ammesso». Nell’epoca fluida in cui viviamo cerchiamo di rendere le relazioni sempre più leggere, provvisorie, disimpegnate, eppure quando finiscono ci troviamo avvinti da lacci molto più tenaci di quanto credessimo. Nei legami affettivi entrano in gioco tutte le vibrazioni, le emozioni, le passioni di cui siamo capaci per cui, nel momento dello scacco, preferiamo tagliare il nodo piuttosto che scioglierlo. I rapporti privati si basano spesso su valori e pratiche in cui non crediamo più ma che si perpetuano per abitudine, per convenzione, per stanchezza e viltà, senza che subentri un’opera culturale di “ingentilimento”». «In fin dei conti – conclude La Cecla – il maggior difetto nostro, oggi, è di non avere un progetto generale di civilizzazione del mondo in cui viviamo».

zione. E così i vecchi simboli, Big Ben, Tower Bridge, Saint Paul si affiancano al The Shard, la scheggia del genovese Renzo Piano (cui la Royal Academy sta dedicando una grande retrospettiva) e alla Tate Modern degli svizzeri Herzog e De Meuron. Come dire, talenti stranieri che Londra ha fatto suoi, lungo un’incessante trasformazione, a ritmi intensi, di cui il turista assiduo ha potuto diventare il testimone. Una sorta di premio alla fedeltà. Ed è, a questo punto, che s’inserisce il tema del tipo di forma turistica s’intende fare: cioè, come, quando, dove e perché partire. La scelta, proprio in autunno, concerne, in particolare le città. Una meta che sta, infatti, godendo una crescente popolarità. Sembra quasi che, per un verso o per l’altro, si sia moltiplicato il numero delle città attraenti. Non si tratta soltanto delle canoniche

città d’arte, ma anche di centri minori, magari poco costosi, ideali per lo shopping o i mercatini natalizi. Tanto che, in certi casi, paradossalmente, le città sono vittime della loro popolarità. Da Venezia a Barcellona, da Amsterdam a Praga, fra cui la nostra Lucerna, subiscono l’assalto dall’ormai deprecatissimo «turismo di giornata». Tuttavia, persino i grupponi di visitatori, in fila dietro la guida con l’ombrellino aperto, dovevano trovare un inatteso e qualificato difensore. Sulle pagine della NZZ, Tilman Allert, già docente di sociologia a Francoforte, finiva per assolvere questo andare per città, apparentemente insensato. In realtà esprime, magari goffamente, una legittima curiosità. In proposito, l’autore sottolineava l’importanza della guida, a cui spetta il compito di «dare un senso a qualcosa di vago qual è il bisogno d’evasione». Forse è troppo chiedere a una categoria

di persone chiamate a svolgere una funzione, multiforme, in bilico fra necessità d’ordine pratico e ambizioni culturali. Costrette, come succedeva prima della caduta del Muro, a rispettare le consegne del regime, raggirando le curiosità imbarazzanti dei visitatori occidentali. Ricordo che, a Pietroburgo, allora Leningrado, un turista svizzero toccò il tema della tolleranza nei confronti dell’omosessualità. «Non ci concerne, rispose la guida in perfetto tedesco. Nella nostra città, ce ne sarà, al massimo… uno». Negli USA, il guaio, invece, era spesso d’ordine linguistico. Nella bellissima Savannah, le mie modeste conoscenze dell’inglese furono messe a durissima prova: delle spiegazioni, fornite dalla guida ufficiale, non riuscii a capire una sola parola. Dopo di che, affidai la conoscenza della città ai passi in libertà, modo insostituibile per appropriarsi di un luogo estraneo.

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Lasciarsi senza un congedo Cara Silvia, per quindici anni sono stata un’adultera mentre tutti (salvo mia madre) mi ritenevano moglie e madre felice. Certa di aver trovato l’uomo della mia vita e di essere altrettanto riamata, credevo che sarebbe stato disposto ad abbandonare la sua famiglia per vivere con me. Ma non gliel’ho mai chiesto per non far del male ai miei figli, per non ostacolare la loro crescita. Ma ora, sapendo che alla fine dell’estate si sarebbero entrambi trasferiti all’estero, ho osato accennare a una convivenza. Da quel momento tutto è cambiato, in peggio naturalmente. Avrebbe potuto dirmi «mi dispiace, è troppo tardi» invece niente. Zitto zitto è scomparso: ha cambiato numero di cellulare non si fa vedere al solito bar, non frequenta più gli amici comuni. Per me neppure una parola. Un taglio così improvviso non me lo aspettavo. Mi ferisce nel corpo e nell’anima. Non so darmi pace e vorrei solo morire. Perché tanta crudeltà? / Eva disperata Cara Eva, l’aggettivo «disperata» svela proprio l’obiettivo che il suo amante voleva

ottenere: ridurla nella condizione di umiliazione in cui lui si è trovato per anni a causa della sua determinazione a privilegiare il benessere dei figli rispetto alla realizzazione del vostro rapporto. Risponderle «occhio per occhio, dente per dente» è stata la sua vendetta e, come ogni vendetta, rincara la dose rispetto al danno subito. Non sono sicura che lui volesse davvero lasciare la famiglia. Di solito gli uomini preferiscono procedere su due binari piuttosto che scegliere. Ma indubbiamente non si aspettava di venire ancora una volta strumentalizzato a interessi che non sono i suoi. Lei lo ha trattato come un oggetto che si può allontanare o avvicinare a piacimento. Ponendolo di fronte a una scelta, lo ha indotto a prendere una decisione che probabilmente covava da tempo. Tagliare la corda è stato allora un modo per non gestire la fine, per non indugiare nei commiati. Di solito quando uno lascia, ha già lasciato. Certo lo stile non è stato dei migliori ma le buone maniere non abitano la fine di un amore. Ci separiamo così male proprio perché stiamo

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Ottobre, a spasso nelle città Ancora a Londra, si saranno detti i miei ormai pochi amici, ricevendo la solita cartolina dalla capitale inglese, proprio in questa stagione. Del resto, la loro intuibile ironia si giustifica e non mancano di esprimerla con osservazioni, ispirate al cosiddetto buon senso. Visitare insistentemente lo stesso luogo sottintende, per forza di cose, rinunciare a conoscerne altri, ugualmente meritevoli d’attenzione, magari più carichi di antichità, come Roma e Atene, o di esotismo, come Il Cairo, Samarkanda, Pechino, e via enumerando mete lontane, oggi raggiungibili. In altre parole, spendere tempo e denaro per un viaggio verso il già noto, anzi il risaputo, rischia di apparire una scelta fra lo snob e il maniacale, comunque una limitazione del proprio orizzonte culturale e umano. È un comportamento fisico e mentale, in cui evidentemente mi riconosco,

sapendomi anche in buona compagnia. Cresce, insomma, il culto per una Londra, promossa a nuova «caput mundi», da intendere nel senso giusto della definizione: non un’iperbole campata in aria, bensì una constatazione verificabile. In questo caso, una realtà storica e politica. Per dirla con Beppe Severgnini, anglomane doc, conclusa l’epoca imperiale, la corrente si è rovesciata: «Non sono più gli inglesi ad andare nel mondo, ma è il mondo che viene sulle rive del Tamigi». Al di là della battuta giornalistica, è un dato di fatto visibile: qui la molteplicità, assorbita dalla convivenza quotidiana fra diversi, persino diversissimi, funziona, almeno apparentemente. Ma di sicuro funziona, con effetti esemplari, la convivenza fra tradizione e modernità che ha cambiato, e continua a cambiare, la fisionomia di questa capitale, simile a un cantiere aperto alla sperimenta-


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Ambiente e Benessere Si evolve la Project Black S Presentata a Parigi un’elettrica da strada potenziata con il dual-hybrid di Formula Uno

Dall’Italia al Kirghizistan Un viaggio in sella a una Royal Enfield passando per Slovenia, Ungheria, Ucraina, Russia e Kazakhstan

Pasta al dente, ma non solo Quali sono le pietanze che restano più gustose e sane se non cucinate troppo a lungo? pagina 19

I distruttori di Ushuaia Il Governo della provincia argentina ha deciso di «eliminare» i castori: è polemica

pagina 15

pagina 13

pagina 21

Aeolus: la missione del vento ESA, in un’illustrazione grafica. (ESA/ AOES Medialab)

Eolo e Aladino a caccia dei venti Notizie dallo spazio Il satellite e il suo strumento pionieristico aprono nuovi scenari climatici Loris Fedele Per l’Organizzazione Meteorologica Mondiale la mancanza di misurazioni dirette del vento, soprattutto nell’emisfero sud del mondo, è una lacuna importante nell’intero sistema delle osservazioni che portano alla comprensione del clima e alle corrette previsioni del tempo. Per questa ragione si è detta felicissima del recente lancio di un pionieristico e sofisticato satellite, chiamato Aeolus (Eolo), che misurerà dallo spazio i venti che soffiano su tutta la Terra. Il vento altro non è che il movimento di una massa d’aria atmosferica che si sposta da una zona di alta pressione (la zona anticiclonica) a un’area con bassa pressione (zona ciclonica). Proprio la differenza di pressione atmosferica tra le due zone spinge l’aria da una all’altra generando il vento. Sembra elementare ma la descrizione di questo fenomeno e la sua misurazione sono tutt’altro che facili. Anzitutto perché la Terra gira e noi con lei, poi perché la temperatura è ben diversa all’equatore e ai poli, inoltre perché per effetti troppo difficili da spiegare in questa sede i flussi d’aria non si muovono su una linea diretta da un punto all’altro ma subiscono deviazioni. Infine a basse quote l’attrito con la superficie terrestre può modificare la direzione del vento, la cui intensità aumenta anche

con la quota. Insomma la circolazione dei venti è molto complicata. Sulla terra la direzione del vento è presto individuata osservando da che parte soffia. Basta una bandierina o una manichetta a vento come quelle in prossimità degli aeroporti. La velocità, invece, si misura con la dovuta precisione con gli anemometri che, con le loro eliche, sembrano delle piccole girandole. Esistono anche altri mezzi di misura più sofisticati. Per esempio per i venti in quota si possono usare le radiosonde, oppure è anche possibile dedurre la velocità del vento con le immagini registrate dai satelliti geostazionari, che vedono quanto ci mette una nuvola a spostarsi da un punto all’altro. La velocità del vento, o la sua intensità se volete, è un dato importante quando siamo in presenza di cicloni e tempeste. Conoscendola ci si può preparare e limitare i danni. Ma perché vi è tanto entusiasmo per il riuscito lancio del satellite Aeolus? Perché i suoi dati, in prospettiva, ci permetteranno di portare grandi miglioramenti alle previsioni meteorologiche e ai modelli climatici. La missione è la quinta del programma scientifico «Earth explorers» promosso dall’Agenzia spaziale Europea (ESA). Ci si aspetta che possa durare almeno tre anni, ma si spera di più. Facendo ogni giorno 16 volte il giro

della Terra, su un’orbita polare a 320 km dal suolo, Aeolus si collegherà ogni tre ore con le stazioni di terra di Kiruna, in Svezia, della Norvegia, delle Svalbard, e anche con la stazione antartica Troll. Da lì si smisteranno i dati ai vari centri di controllo e tecnici di parecchie nazioni europee, per essere processati. Per la mappatura di tutto il globo il satellite impiegherà una settimana. Aeolus sta attraversando una fase di collaudo che durerà fino a gennaio 2019, ma i primi dati ricevuti dimostrano già che sta funzionando bene e hanno entusiasmato gli specialisti del settore. Il satellite fornirà ai ricercatori le informazioni necessarie per svelare meglio le interazioni tra vento, pressione atmosferica, temperatura e umidità dell’aria. Lo farà con uno strumento tra i più sofisticati mai inviati nello spazio. Se, parlando di venti, gli scienziati non si sono sforzati troppo a trovare un nome al satellite, che hanno battezzato Aeolus, cioè Eolo, il Dio dei venti della mitologia greca e latina, per lo strumento rivoluzionario che porta con sé sono stati brillanti. L’hanno chiamato Aladin. Come il famoso Aladino che strofinando la lampada riusciva a far apparire il genio, gli scienziati da questo strumento si aspettano grandi cose e grandi sorprese. Aladin è in verità l’acronimo di

una dicitura inglese molto più complicata: Atmospheric LAser Doppler INstrument. È un lidar (Light Detection And Ranging), cioè un radar che invia impulsi luminosi anziché radio, e nella fattispecie invia raggi laser nelle frequenze dell’ultravioletto, con il più potente trasmettitore mai costruito per un’applicazione spaziale. È stato preparato in Italia, come di fattura italiana è il razzo Vega che ha portato in orbita il satellite. Serve una breve spiegazione tecnica, forse un poco difficile, ma utile per capire cosa fa Aladin. Un lidar è uno strumento molto conosciuto nel telerilevamento che, nelle misurazioni di Aladin, sfrutta un fenomeno fisico chiamato effetto Doppler. L’effetto Doppler è la variazione apparente di frequenza delle onde emesse da una sorgente in moto rispetto a un osservatore. La frequenza aumenta se la sorgente delle onde e l’osservatore si avvicinano e diminuisce quando si allontanano. L’esempio classico è quello delle onde sonore emesse dalla sirena di un’ambulanza il cui suono, pur restando sempre identico, ci sembra cambiare quando la fonte si avvicina a noi e poi si allontana. Aladin è munito di una sorgente laser, di un telescopio e di un ricevitore molto sensibile. Il sistema laser emette impulsi di luce ultravioletta nell’atmosfera, questi raggi incontrano tutti gli aerosol, le

particelle di polvere e le goccioline d’acqua presenti nell’aria e vengono riflessi. Il telescopio raccoglie questa luce retro diffusa. Il ricevitore analizza lo spostamento Doppler del segnale per determinare la velocità del vento alle varie altitudini sotto il satellite. Si conta di poter effettuare misurazioni accurate sui primi 30 km a partire dal suolo. Si profileranno i venti di tutto il globo. La missione farà luce sul modo con il quale i venti influenzano gli scambi di calore e d’umidità tra la superficie della Terra e la sua atmosfera, fattore essenziale per capire i cambiamenti climatici. Va da sé che parallelamente al contributo scientifico vi sarà un vantaggio anche nel possibile miglioramento della precisione delle previsioni del tempo, importanti per pianificare le nostre giornate, ma soprattutto vitali per numerose attività commerciali legate all’industria, all’agricoltura, alla pesca e ai trasporti, senza dimenticare la prevenzione delle catastrofi naturali. I dati forniti da Aeolus alimenteranno i modelli matematici che in questi ultimi anni hanno già subito un’importante evoluzione. Non da ultimo vi è la speranza di migliorare anche i modelli della qualità dell’aria con il controllo delle polveri e di altri elementi nocivi alla nostra salute.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Ambiente e Benessere

«Infiniti» stupisce con un prototipo da laboratorio

Motori Ecco come la tecnologia elettrica dual-hybrid di Formula Uno può essere dispiegata su una vettura stradale

Mario Alberto Cucchi Di prototipi di automobili se ne vedono tanti. Come meteore appaiono nei Saloni attirando tutti gli sguardi per poi a volte essere presto dimenticati. Ecco allora che questo mese, al Mondial de l’automobile di Parigi, il marchio Infiniti, nato nel 1989 come emanazione della Casa automobilistica giapponese Nissan Motor, stupisce con un prototipo-laboratorio, che si evolve di Salone in Salone. Si chiama Project Black S e non si tratta solo di un concept, ma di un vero e proprio progetto in evoluzione che rappresenta il massimo della tecnologia Infiniti applicata alle quattro ruote. Svelato al pubblico per la prima volta a marzo 2017 durante il Salone di Ginevra, aveva affascinato gli appassionati per le linee tese da supersportiva e per le grandi prese d’aria. Un’automobile che esprime dinamismo anche da ferma. A Parigi è arrivata l’evoluzione di Project Black S, esempio di come la tecnologia elettrica dual-hybrid di Formula Uno può essere impiegata su una vettura stradale. Va ricordato che Nissan e quindi Infiniti con Renault e Mitsubishi fanno parte di un unico Gruppo industriale legato da partecipazioni incrociate. Ecco spiegato perché la tecnologia di Formula Uno applicata è la stessa del motore dual-hybrid Renault

Sport Formula One. Un sistema che permette non solo di recuperare l’energia cinetica in frenata, ma anche l’energia termica, ovvero quella generata dal calore. I numeri? 420 Kilowatt pari a 563 cavalli di potenza sistema, ottenuti sommando i 405 cavalli di potenza massima generati da un propulsore alimentato a benzina biturbo sei cilindri a V da 3.0 litri alla potenza generata da tre gruppi elettrogeni chiamati MGU. Si tratta di un sistema ibrido virtuoso che mira a ottimizzare i rendimenti recuperando energia persino dai gas di scarico oltre che dal calore dissipato dal motore. Insomma si produce energia non solo quando si frena ma anche quando si accelera, grazie alla tecnologia chiamata dual-hybrid. E l’energia prodotta dove finisce? Viene stoccata all’interno di una batteria da 4,4 kWh che si trova nel baule. Per i primi test su strada bisogna attendere il 2019; grazie al powertrain con la tecnologia derivata dalla F1, le prestazioni promettono di essere entusiasmanti. Infiniti dichiara che scattando da ferma è in grado di raggiungere i cento orari in meno di quattro secondi. «Project Black S rappresenta il massimo dell’elettrificazione nel portafoglio dell’alleanza franco-giapponese» spiega il Presidente globale di Infiniti, Roland Krueger. «Il prototipo

«Infiniti» ha svelato il nuovo prototipo Project Black S al Salone di Parigi.

è un banco di prova per nuove idee e tecnologie». Produrre auto più ecologiche non è una velleità dei Costruttori automobilistici, ma una marcia a tappe forzate. Basti pensare che ai primi di ottobre il Parlamento europeo si è riunito in sessione plenaria per votare il Regolamen-

to relativo alla riduzione delle emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri immatricolati dopo il 2020. L’iniziale proposta della Commissione europea ha subìto un ulteriore inasprimento. È stato innalzato dal 15% al 20% il target di riduzione delle emissioni al 2025. Dal 30% al 40%

quello relativo al 2030. A questo si affianca anche il raggiungimento di una quota imposta di veicoli elettrici sul totale venduto: 20% al 2020 e 35% al 2030. In pratica nel 2030 ogni dieci automobili vendute più di tre dovranno essere elettriche. E il 2030 non è poi così lontano. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Ambiente e Benessere

Vite, catena e spazzolino da denti Viaggiatori d’Occidente In sella a una moto d’epoca lungo le distese dell’Asia centrale

di se stessi oltre che del mondo. Dall’Italia al Kirghizistan, passando per Slovenia, Ungheria, Ucraina, Russia e Kazakhstan. Ti ritrovi lungo la M32, dalla Russia ad Almaty, ad attraversare la steppa fra cavalli che corrono, cammelli che dondolano, mucche che pascolano e aquile che troppo spesso si fanno investire dai tir. La moto scivola, il sole picchia e le distanze si fanno sentire; questa non è l’Europa dove ogni cinquanta chilometri trovi una città o quantomeno un borgo. Qui corri per ore da solo. Giorno dopo giorno perce-

pisci la stanchezza in modo silenzioso. Il corpo ti richiama: la schiena, che tutti pensano sia sotto stress in moto, in realtà è sempre in esercizio e quindi sta bene; il collo invece patisce il vento che soffia orizzontale dalla pianura del Lago d’Aral; la mano destra, che stringe ininterrottamente la manopola dell’acceleratore sugli sterrati del Charyn Canyon, fa male. Chi l’avrebbe detto. Ogni tanto piccoli crampi al polpaccio. Occorre aver cura di sé: a letto presto, la sera cena leggera, acqua e sali minerali durante il giorno.

Sara Pellicoro

Sara Pellicoro

Manca una vite. Vedi un buco filettato proprio sopra il corpo del motore e pensi: la vite c’era o non c’era? A cosa serve? Non ci avevi mai fatto caso, possibile? E che parte del motore è? Non ne hai idea perché è di quelle che ancora non si sono guastate. Si romperà mentre viaggi? Cerchi una foto in rete e per un momento consideri l’ipotesi di mandare un amico da un concessionario per vedere se la vite c’è o non c’è. Intanto la Royal Enfield corre sulle strade infinitamente dritte del Kazakhstan. Corre, si fa per dire: la velocità di crociera è intorno ai 90 km/h e la velocità massima raggiunta restano i 115 km/h (anche se il contachilometri segna 160 km/h sfarfallando amabilmente). La Royal Enfield è una moto particolare, progettata quasi cent’anni or sono in Inghilterra. Dopo il fallimento della casa madre nel 1971, la produzione è continuata in India, dov’era stata apprezzata in età coloniale. La moto è rimasta praticamente immutata nel tempo, a parte l’adeguamento alle leggi anti-inquinamento, e quindi il resto ce lo devi mettere tu: ansie comprese. Viaggiare da soli in moto per settemila chilometri è una scoperta,

Sara Pellicoro

Guido Bosticco

E poi ti sorprendi dei tuoi pensieri. Dopo tre o quattro giorni dalla partenza, sulle strade malconce dell’Ucraina, fra Kiev e la piccola Baturyn, già gloriosa capitale dei cosacchi, sei tutto concentrato sull’essenziale: la moto (motore, gomme e benzina), la strada, il meteo, la forma fisica, l’attenzione dopo molte ore alla guida. Google Maps diventa l’interlocutore privilegiato, fin troppo. Ma la sua utilità è impagabile. Le mappe di carta, sempre presenti, sono ben conservate nelle borse della moto e finiranno il viaggio intonse. Un viaggio così, con questi tempi (quaranta giorni in tutto, compresi altri settemila chilometri al ritorno, ma questa volta in coppia con una disegnatrice; su www.azione.ch, altre immagini), era impensabile cinque anni fa se non per i super esperti. Oggi è alla portata di (quasi) tutti, grazie alla tecnologia di un semplice smartphone. Non sai il russo? Google Translator ha l’opzione «conversazione» e oltretutto regala molti momenti di ilarità, per esempio al mercato di Karakol, mentre cerchi di comprendere la ricetta dell’Ashlan Fu, piatto nazionale kirghizo. Non trovi un hotel sulla strada? Booking non ti abbandona nemmeno per il last minute e ormai ti porta in appartamenti, case private, luoghi che non troveresti mai su una guida, come l’ambigua casa-albergo tutta specchi e pelle di leopardo in un quartierino residenziale di Voronez, Russia. Non c’è campo? Scarichi le mappe e le usi offline, lo smartphone non perde mai il collegamento al satellite. Tutto il romanticismo del viaggio lo riservi alla moto, completamente analogica.

Risolti i problemi logistici non ti resta che farti ossessionare dalla meccanica (e magari goderti il viaggio). Le statistiche, per esempio. Un mezzo ad alta tecnologia ti mostra tutti i dati su un display in tempo reale. Con una moto storica devi contare a mente a ripetizione, dividendo i tempi per le distanze, moltiplicando per i consumi, calcolando i litri, il costo e la differenza fra uno Stato e l’altro, poi di nuovo ipotizzare il consumo delle gomme sullo sterrato, l’usura dei freni e della frizione sul misto. Soprattutto c’è la catena: i motociclisti esperti l’hanno in duplice copia nel fondo della valigia e sanno già quando andrà cambiata. Intanto quella in servizio va pulita ogni giorno con il giusto solvente e magari uno spazzolino, prima di una spruzzata di grasso. Quando, tornato a casa, vedi uno spazzolino da denti e pensi immediatamente alla catena della moto, è tempo di prendersi una pausa oppure – viceversa – significa che sei pronto a ripartire. Ma per fortuna i solitari non sono mai soli. C’è Koya, cacciatore di boa giapponese che pedala in Kirghizistan; dal lago Ysykköl, lasciate alle spalle le iurte e le Montagne celesti che segnano il confine con la Cina, punta a Bishkek, la capitale. E c’è Vladimir, ucraino, che invece sta scendendo a sud per il Kazakhstan, da Aqtöbe verso Turkistan, con una bici da città; dorme nella sua tenda, si lava nelle pozze d’acqua, scalda il cibo bruciando sterco di cammello. Di colpo, parlando con lui, tutto sembra più semplice e le paranoie da motociclista svaniscono. Resta una sola domanda che ti accompagna fino a casa: quella vite, c’era o non c’era? Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Ambiente e Benessere

Chi e come contribuì alla formazione dell’ampelografia

Scelto per voi

Il vino nella storia Una conoscenza tramandata e arricchita tra baroni e conti

Davide Comoli Il panorama ampelografico della prima metà dell’Ottocento fu segnato da una grande complessità e da molta confusione. In quel periodo era molto difficile destreggiarsi fra i vitigni, i loro nomi, i molti sinonimi locali e i termini dialettali; c’era insomma una grande incertezza che rendeva difficile capire quali fossero i più adattabili alle condizioni pedoclimatiche, quali fossero i più adatti alla vinificazione e quale fosse la loro produttività.

Nel 1887, Rovasenda fu chiamato a presiedere la prima Commissione centrale ampelografica per Regio decreto Fu nel corso dell’800 che, in Europa, ampi studi sulla materia portarono contributi molto importanti all’ampelografia, la disciplina che descrive e classifica i diversi vitigni. Non possiamo per spazio citare tutti gli autori di opere sul tema, ma possiamo segnalare le principali opere con i rispettivi responsabili: in Francia, il conte Pierre Odart diede il suo contributo con la Ampélographie Universelle del 1849; Jules Guyot, a partire dal 1861 iniziò a pubblicare gli Etudes des vignobles de France; Victor Pulliat con Mille variétés de vigne, nel 1869, e Le Vignoble scritto a quattro mani con Alphonse Mas nel 1875. In Germania due grandi autori di riferimento furono Johann Metzger, il barone Lamber von Bahu e J.L. Stoltz con la sua Ampélographie Rhénane pubblicata nel 1852. Anche in Spagna troviamo grandi trattati sull’argomento; il contributo che ebbe un grande

peso in quel periodo fu quello di Simon de Rojas Clemente y Rubio, direttore del Real Jardin botánico di Madrid. Tra le tante opere non va dimenticata però anche quella di un ticinese d.o.c., la gustosa Monografia di don Pietro Vegezzi edita a Lugano, pubblicato dalla tipografia Ajani e Berra nel lontano 1886. L’Italia non fu da meno e gli autorevoli studiosi di ampelografia furono molti. Nel 1825 a Milano fu pubblicato il lavoro di Giuseppe Acerbi, contenente anche monografie di altri autori, dal titolo «Dalle viti italiane o sia materia per servire alla classificazione, monografia e sinonimia, preceduti dal tentativo d’una classificazione geoponica delle viti». L’Acerbi, professore di botanica e agronomia a Milano, pubblicò anche un apprezzato catalogo con la descrizione e classificazione di una collezione di ceppi di vite che aveva impiantato a Castel Goffredo (in provincia di Mantova).

In quegli stessi anni, il conte Giorgio Gallesio di Finalborgo (Savona), grande studioso di pomologia e ampelografia, stava realizzando il suo sogno, con l’obiettivo di creare la «Pomona italiana» ovvero «il trattato degli alberi fruttiferi contenente la descrizione delle migliori varietà di frutta coltivati in Italia, con la loro sinonimia e la loro coltura». Si trattò di una grande impresa editoriale che iniziò a Pisa nel 1817 e prese buona parte della vita del conte. Nel 1839, alla morte di Gallesio, l’opera era ancora lontana dall’essere completata. L’estrema cura con cui fu realizzata, l’edizione e le stupende tavole in folio a colori, la resero molto costosa, riservata essenzialmente all’élite. Nella Pomona si trovano raffigurati e descritti anche i loro sinonimi come: Albarola, Barbarossa, Barbera, Bizzarria, Brachetto, Canajola, Canetto, Claretta di Nizza, Colorino, Grovino, Dolcetto, Fuella, Lacrima, Liatica, Marzemina, Moscadella nera, Nebbiolo Canavesano, Piccolito, Pignola, Rossana, Rossese, Salamanna, Sangioveto, Trebbiano, Fiorentino, Vermentino, Vite di tre raccolte l’anno. Un contemporaneo di Gallesio fu Giuseppe Giacinto Moris che, nel 1837, pubblicò la Flora Sardoa seu Historia Plantarum con la descrizione di molti vitigni sardi. Anche il marchese Leopoldo Incisa della Rocchetta, nella tenuta di Rocchetta Tanaro (Asti), si dedicò a studiare e collezionare vitigni locali e stranieri. La sua collezione ampelografica era interrata su tre zone: una sul colle di Montebruna, la seconda sul colle del Bricco, la terza in un vaso sino alla fruttificazione. Nel 1852 creò un vivaio allo scopo di fornire «barbatelle di buona qualità» ai viticoltori. Le barbatelle venivano consegnate «prospere» e con radici di due anni. Tutte le varietà presenti nel vivaio erano tenute anche in vaso,

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Il Dolcetto è il vino ideale per tutti i giorni e tutti i pasti. Il fatto di denominarsi Dolcetto deriva dalla particolare sensazione gradevolmente e intensamente dolce dell’uva che, avendo un limitato tenore acido, appare appunto molto dolce. Dolcetta l’uva, dunque, secco il vino come il Sant’Anna DOC, prodotto su due ettari con uve provenienti da viti con oltre 40 anni d’età, sulle colline intorno a Monforte d’Alba. Prodotto con il sistema biologico, questo vino simbolo del bere quotidiano delle famiglie contadine di questa zona del Piemonte, dopo una fermentazione naturale con macerazione sulle bucce, riposa per dieci mesi in acciaio e poi in bottiglia per altri due. Le uve curate con il massimo rispetto dell’equilibrio ambientale, bandendo tutti i trattamenti chimici e meccanici, ci donano un vino versatile, schietto e semplice, nel colore c’è una prevalenza di fucsia su un profondo rosso rubino, profumi eleganti che possono includere fragranze di bacche rosse mature. È, come dicevamo, un vino d’abbinare ai piatti semplici della cucina tradizionale, ma soprattutto è speciale con i risotti e in particolare con preparazioni di pollame e coniglio. / DC

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Zolla Primitivo di Manduria DOP

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a disposizione degli studiosi di viticoltura che avessero voluto studiarle. Nel 1862 L. Incisa della Rocchetta, pubblicò il suo primo catalogo relativo a 105 varietà di uve. Di ogni tipo descrisse denominazione, caratteri, uso delle uve, terreno ed esposizioni in cui meglio prosperano le rispettive ceppaie. Fra le uve straniere citava: Tokay rosso e bianco, Teinturier, Bordò nero e bianco, Borgogna bianco, Cendrine, Douce Noir, Morillon Noir, Brachetto del Nizzardo, Malaga. C’era in questo catalogo una buona presenza di vitigni siciliani, sardi e in minor misura varietà toscane e dell’Italia meridionale. Il suo secondo catalogo fu pubblicato nel 1869 e contava 375 varietà delle quali molte erano straniere, cioè provenienti da Francia, Svizzera, Spagna, Ungheria, Crimea, Dalmazia, Germania, Cipro, Algeria. Leopoldo Incisa era in corrispondenza con l’ibridatore francese Henri Bouchet e l’ampelografo Victor Pulliat, ma pure con il barone Antonio Mendola di Favara (Agrigento). Anche quest’ultimo personaggio creò una ricca collezione di vitigni provenienti dal Sudafrica e dall’Estremo Oriente. Il barone si dedicò anche agli studi su come ottenere nuovi vitigni attraverso la moltiplicazione per seme, purtroppo molti dei suoi scritti sono andati perduti. Certamente uno tra i più autorevoli ampelografi del 1800 fu il conte Giuseppe di Rovasenda, che fece arrivare vitigni da tutto il mondo. La sua collezione di vitigni, con 4mila ceppaie, fu considerata la più ricca d’Europa. Il suo: Saggio di ampelografia universale fu pubblicato a Torino nel 1877 e poco dopo venne tradotto in francese da Caralis e Viala. Nel marzo del 1887, il conte Rovasenda venne chiamato a presiedere la prima Commissione centrale ampelografica istituita con Regio decreto.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Ambiente e Benessere

Perché cuocere al dente? Un lettore domanda cosa si intende con il termine: «cuocere al dente». Non è facile definirlo quanto sembra. Di base è un’espressione che indica un grado di cottura ottimale che si applica principalmente ai cereali (alla pasta di semola di grano duro e ai cereali in chicchi). Questi non devono né «scuocere», diventando inconsistenti, né essere duri da masticare (con una parte interna ancora bianca e un aspetto traslucido, come l’ingrediente crudo), perché oltre a risultare sgradevoli sarebbero oltretutto indigesti.

I cereali cotti al dente sono più digeribili e hanno un indice glicemico più basso Per essere «al dente», un chicco di riso o di orzo, uno spaghetto o un maccherone devono mantenere una certa elasticità e consistenza sotto i denti. La giusta cottura è una questione delicata, perché non ci sono tempi ad hoc fissati per ogni cereale: basti dire che il raccolto di una stessa varietà di riso proveniente dalla stessa risaia, è diverso un anno con l’altro. E anche i maccheroni di una stessa marca possono avere un impasto diverso da una scatola all’altra… Ci vuole quindi un po’ di esperienza e molta attenzione, anche perché il punto giusto di cottura passa in fretta, un momento di troppo e la pasta o il riso sono scotti. È bene sapere che i tempi di cottura indicati sulle confezioni sono solo indicativi, che la cottura deve essere abbreviata se dopo è previsto un passaggio in forno o un salto in padella, che l’unico modo per sapere quando è il momento di scolare la pasta o di spegnere il fuoco sotto il risotto è quello di assaggiare spesso. Il giusto grado di cottura non rende soltanto i cereali più gustosi, ma anche più salutari: infatti, cotti al den-

te sono più digeribili e hanno un indice glicemico più basso rispetto ai cereali troppo cotti. Per la pasta, il termine è d’uso da pochi decenni. Il motivo? Per secoli la pasta è stata fatta essiccare al sole; la texture di conseguenza era molto simile a quella delle tagliatelle di oggi: forse un pochino più dura, anche se non abbiamo certezze in merito dal momento che non c’è più nessuno a ricordare com’era la pasta essiccata al sole. Con l’arrivo dei forni di essiccazione, che acceleravano e di molto questo processo, il «cuore» della pasta restava però leggermente duro. Che fare? Un geniale esperto di marketing, di cui non si sa nulla (anche se credo fosse un dipendente dei produttori di essiccatoi, non un pastaio), si «inventò» che la tenuta al dente era la migliore. Lo è, sia chiaro, dal punto di vista nutrizionale, ma lui o lei che fosse non lo sapevano, doveva solo trovare una spiegazione plausibile a una novità. Genialità pura. Anche le verdure si avvantaggiano di una cottura al dente, risultando di un bel colore vivido, croccanti e più nutrienti. Per questo è consigliabile sempre, o quasi, la tradizione francese del blanchir (sbollentare in italiano): ovvero gettare le verdure in abbondante acqua bollente, cuocere rapidamente, da 1 a 3 minuti a seconda delle verdure, scolarle in acqua e ghiaccio. E alla fine cuocerle in padella molto rapidamente, diciamo 5 minuti, poi scolarle e tenerle per la bisogna a temperatura ambiente; attenzione: vanno consumate in giornata. In mezza Europa la tradizione dice di cuocerle sino a spappolarle, in stile minestrone: ma per me questo è proprio sbagliato, si distruggono e perdono molti dei componenti buoni di cui sono ricche. È invece esclusa la cottura al dente per i legumi, che devono essere cotti finché non sono perfettamente morbidi.

CSF (come si fa)

F.L. Sanchez

Allan Bay

Pxhere.com

Gastronomia Il giusto grado di cottura non rende soltanto i cereali più gustosi, ma anche più salutari

Oggi vediamo come si fanno due vecchi e saporiti piattoni. Faggots. Tipica pietanza inglese vecchio stile, consistente in polpette di frattaglie miste di maiale, insaporite con erbe aromatiche. Ingredienti per 4/6 persone. Tritate 200 g di fegato di maiale, 2 cuori di maiale o di agnello non privati del loro grasso, 200 g di pancetta. Impastateli

con 4 cucchiai di soffritto di cipolle, una punta di macis in polvere, un mazzetto di erba cipollina spezzettata, 1 cucchiaino di salvia tritata, 2 uova sbattute e 120 g di pangrattato. Regolate di sale e di pepe e amalgamate. Formate 12 polpette, disponetele in una pirofila e ricopritele con 30 g di grasso di strutto sminuzzato. Cuocete in forno a 200° per circa 40’. Servite i faggots con il fondo di cottura deglassato con brodo di carne, accompagnando con piselli stufati. Fagiolata. Per 4. La sera prima mettete a bagno 400 g di fagioli borlotti. Scolateli, sciacquateli e metteteli in una pentola con acqua fredda insieme a 400 g di cotenne di maiale scottate e tagliate a pezzi. Unite 1 cipolla affettata e cuocete a fuoco basso per 1 ora e 30’. Verso la fine della cottura sbollen-

tate e sbucciate 300 g di pomodori. Fateli soffriggere in una casseruola con 4 cucchiai di olio e con un trito fatto con un ciuffetto di salvia, un rametto di rosmarino, 1 spicchio d’aglio e 4 steli di prezzemolo. Prelevate fagioli e cotenne con una schiumarola e metteteli nella casseruola. Proseguite la cottura a fiamma bassa per 20’ circa. Regolate di sale e di pepe e servite con polenta. Variante. Mettete i fagioli ammollati in una pentola, copriteli d’acqua e conditeli con olio. Non appena raggiungono l’ebollizione unite le cotenne e cuocete a fuoco basso per 2 ore. Tritate 2 cipolle, 1 spicchio di aglio, 1 costa di sedano e un mazzetto di prezzemolo, stufateli in un tegame con 3 cucchiai di olio. Aggiungeteli ai fagioli quando questi saranno cotti, regolate di sale e di pepe e servite.

Ballando coi gusti Oggi due antipasti, una polpetta e una crocchetta, semplici e gustosi. Le polpette di rognone le amo in modo particolare.

Polpette di rognone

Crocchette di riso, mais e baccalà

Ingredienti per 4 persone: 600 g di rognone · 1 fettona di pane raffermo · 1 cipolla · 2 uova · 50 g di pangrattato · 1 spicchio di aglio · paprika · olio di semi · sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: 100 g di riso · 150 g di baccalà bagnato · 100 g di mais precotto · prezzemolo · 1 uovo · 50 g di pangrattato · olio di oliva · sale e pepe.

Mondate e tagliate a fette il rognone. Scaldate poco olio con l’aglio in padella e saltate il rognone per 2’. Scolatelo in un colino in modo che perda tutti i liquidi, poi, da freddo, tritatelo finemente. Ammollate in acqua la fettona di pane spezzettata. Tritate molto finemente la cipolla. Mescolate il rognone col pane unendo 1 uovo, la cipolla e la paprika. Formate delle polpette delle dimensioni di un mandarino. Passatele nell’altro uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Fate friggere le polpette in abbondante olio bollente, rigiratele perché si dorino bene da tutte le parti, scolatele e adagiatele su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso di unto. Servitele ben calde.

Lessate il riso in abbondante acqua salata, scolatelo al dente. Sminuzzate il baccalà. Mescolate il riso con il mais sciacquato e ben scolato e il baccalà, spolverizzate con prezzemolo tritato mescolando con cura. Regolate di sale e di pepe. Formate delle polpette delle dimensioni di un mandarino. Passatele nell’uovo sbattuto e poi nel pangrattato. Fate friggere le crocchette in abbondante olio bollente, rigiratele perché si dorino bene da tutte le parti, scolatele e adagiatele su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso di unto. Servitele ben calde.


Attualità: festival dei cordon bleu al bancone della carne.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino •1822 ottobre 2018 • N. 43 20

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La Terra del fuoco minacciata castori (N. 38dai - ... giapponese, la rana porta fortuna) 24

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A Z O T O 21 A V A R I Ambiente e Benessere I V I L E T L I S E T U L O A R C O

SUDOKU PER A Reportage I simpatici roditori diventati la mascotte di6 Ushuaia stanno distruggendo boschi di alberi centenari 1 2 3 4 5 7 8 9

Stefania Prandi Le leggendarie foreste della Terra del fuoco, del «mondo alla fine del mondo», per usare le parole dello scrittore Luis Sepulveda, sono minacciate dai castori. Questi roditori di aspetto così simpatico da essere diventati la mascotte di Ushuaia, capoluogo della provincia argentina, ritratti in souvenir e dépliant, stanno distruggendo i boschi con gli alberi centenari. Percorrendo il Parco nazionale della Terra del fuoco, con le sue rocce verdi e la vegetazione fitta, e i sentieri umidi che portano a Laguna Esmeralda, ci si imbatte nelle distese di tronchi mutilati, annegati nell’acqua, ammassati uno sull’altro, a formare tane e lunghe dighe. Recentemente, un’indagine della facoltà di Agraria dell’Università di Buenos Aires ha analizzato per la prima volta l’impatto dei castori in questa parte dell’Argentina. La mappatura è stata realizzata attraverso immagini satellitari ad alta risoluzione, ottenute attraverso le piattaforme Google Earth e Bing Maps. È stata così registrata la presenza di circa 70mila dighe che tagliano il flusso dei fiumi e alterano la composizione e il funzionamento dell’ambiente, creando allagamenti in un’area complessiva di 100 chilometri quadrati. Karina Hodara, ricercatrice del dipartimento di Metodi quantitativi e sistemi informativi dell’Università di Buenos Aires, tra le promotrici dello studio, ha spiegato alla rivista di di-

Giochi Cruciverba «Ho appena bruciato 3000 calorie!» – «Bravissima e come hai fatto?». Trova la risposta risolvendo il cruciverba e leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 11, 2, 5, 3, 5)

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(N. 39 - ... raggiungere meno sessanta gradi)

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Giochi per “Azione” - Ottobre 2018 e una delle 2 carte regalo da 50Stefania franchi con il sudoku Sargentini 2 1 dimenticato la torta in forno!”)

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(N. 37 - Duecentottantaquattro) 3

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N. 39 H DIFFICILE E R O D E

U N E S C N O T E C A 3T O C 6 T 8 E O A T T A 4 9 A Z O T O A 7 V A R I 4 I V I L E T L I S E 5 T U 3 SUDOKU PER AZIONE - OTTOBRE 2018 L O A R C O

I D E M E N L O O S T5E L I R A T A C A T S I D O L I 9 7 3 A V E P R O S Soluzione A T 7 G4 I 1 G A 2P O5L I P O 2 7 4 1 8 9 6 2 3 51 9 2 8 9 4R 5 7O1 6 USN 8 OI 4 R 5 E C S E 6O U A L N3 E 6 6 A O9 1 R A R E 6 5 9 1 3 7 4 2 8 A G I T C A R N E L O T 8 N1 8 1 4 2 9 6 5 7 3 C2 A 9 P I 5 7 K 3 I E V 4 7 2 5 6 3 7 1 4 9 8 2 T R 3 A M A 4 9 C 8O R T E A F O N O E2 R A N O 2 O A S I 8 3 F O4 9 7 5 8 3 6 4 1

Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle S Acolorate. N T E Q U I N A C A B C T A V O N. 37 FACILE porta fortuna) Schema

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Sudoku Soluzione:

(N. 38 - ... giapponese, la rana

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25. Scampò alla distruzione di Sodoma 26. Non può parlare 27. Essere loro... nell’imperfetto 1 2 3 4 VERTICALI 1. Il famoso Terence 2. Antico nome di Tokyo 9 3. Nota tra le carte... 5. Motti, 11 sentenze 12 6. Protagonista di un’opera di Virgilio 8. Debitrici 15 12. Vasto ambiente 13. Persone con i requisiti per la loro 17 18 funzione 14. Una classe di persone 15. Lontani predecessori 21 20 16. Fuma in salotto 17. Stato del Medio Oriente 23

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ci si avventura, fuori strada, nei boschi. Come ci spiega Walter Moreno di Rayen Aventura (unico ad avere accettato l’intervista su oltre dieci tour operator contattati), le agenzie turistiche, insieme agli operatori che possiedono gli stabilimenti invernali, negli ultimi vent’anni hanno progettato l’escursione di «avvistamento dei castori perché così è stato 4 dato un senso e un vantaggio all’esistenza di questa specie esotica». 7 Il Governo della Terra del Fuoco argentina, però, ha avviato il program5di riduzione 9 della popolazione anima male anche nei settori vicini ai centri invernali, 7privandoli del «protagonista principale», per così dire. Per Moreno andrebbe trovato un modo più appro2 8 priato per salvaguardare il territorio, «senza intaccare una risorsa che aiuta, 5 parte, chi4si occupa anche se in piccola di turismo».

R A G U G I U N A N. 38 G MEDIO E L M N G I R L A T E N E O M E N O G E S S O E S S I A I R I N S T O O S C A R C T A G I T A4 O 8R I 30 A N da G 50Efranchi L A6con il D I 5T 2A Vinci una delle 3 carte regalo cruciverba

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I G A P O L I P O N. 37 FACILE N O R E Schema S E U L un’uccisione di massa sarebbe l’unico per rimuovere il proO R7 A4 R1 modo E efficace A 2 G 5I blema. Contestazioni sono arrivate dagli C A P I8 animalisti, K4 che 5Isi oppongono E Vall’idea 6 che a pagare per un errore umano siano R A M6 A 9 gli C1animali. O E non R sonoTcontenti E nemmeno alcuni operatori turistici. Infatti, le escursioni per avvistare i castori A S I8 1 F sono O2 tra 9le più gettonate, 5 insieme 7 alla 3 navigazione sul canale di Beagle e alle di un 4giorno 9 – con8giro sul O I R A3 camminate T trenino – nel Parco nazionale della Tergita per vedere i castori 8 La tra 3 U C2 E N radura, Tdelinfuoco. genere, le quattro e4 le cinque ore. Prevede il trasporto a bordo di una 5 Escondido 9 2e Fagnano, dove 7 L I P A8 S 4x4I ai laghi

vulgazione scientifica «Sobre la Tier12 13 14 ra» (redatta da un gruppo di ingegneri agronomi e giornalisti), che il castoro 15 16 rappresenta in assoluto la minaccia maggiore della nostra era geologica per le17 foreste18 andine-patagoniche: nelle 19 aree allagate si accumulano sedimenti che cambiano la struttura del suolo e 20 la morte degli alberi ancora in- 21 causano tatti, perché le loro radici muoiono. L’ecosistema viene completa22 23 mente alterato, con la sparizione degli insetti e degli altri animali tipici. La 24 25 distruzione corre veloce. Un castoro impiega una sola notte per abbattere 26un tronco di trenta cenun albero con timetri di diametro: conficca gli incisivi superiori nella corteccia e con quelli inferiori raschia il tronco, staccando i trucioli, tracciando una circonferen- Scorcio del Parco Nazionale di Ushuaia. Una galleria più ampia di immagini si trova za. Tra 1 le «vittime» 2 3 dei temibili den- 4 sul sito 5 www.azione.ch. (Stefania Prandi) ti ci sono anche i ponti di legno, che vengono rovinati con ingenti danni. che. Il problema principale è l’assenza ticolare a rischio ci sono le Ande. 6 7 solL’invasione, che ha risparmiato di un predatore con funzione di osta- Le istituzioni argentine hanno deciso tanto un quarto dei boschi, è dovuta a colo alla riproduzione incontrollata. di correre ai ripari alla fine del 2016, un errore umano: settant’anni or sono Inoltre, contrariamente alle previsioni, avviando un programma pilota di 8 9 7 la Marina argentina portò dieci coppie stanno dimostrando una capacità di «sradicamento», come viene chiamadi animali dal Canada per dare nuo- adattamento sorprendente. Secondo to tecnicamente. Il Cile si è mosso, in 10 11 vo slancio all’industria delle pellicce. Alejandro Pietrek, biologo della Duke parallelo. L’iniziativa prevede 3 l’elimiL’operazione non funzionò, perché la University (Usa), ci sono più colonie di nazione di una parte degli esemplari, 6 circoscritpelliccia castori maggior numero nuovi tra i 5 e i 10mila, in un’area 12 degli esemplari 13 che si riprodu14 e un15 16 di 17 cevano in questo territorio non aveva le nati nelle regioni della steppa rispetto ta, per stimare costi e tempi, per poi stesse caratteristiche di quella norda- all’ambiente della foresta. estendere l’operazione. È stato for1 18 19 20 21 mericana. Una volta entrati a far parte La biologa Giorgia Graells, dell’I- mato un team di cacciatori incaricati dell’habitat naturale, i castori si sono stituto di Patagonia all’Università di posizionare le trappole in diverse 3 22 23 24 Arena, in Cile, moltiplicati fino a diventare centomiMagallanes, a Punta zone, ad esempio lungo le sponde del la, come ha stimato il biologo Adrián ha spiegato in un’intervista alla ri- Río Pipo, dell’Arroyo Grande, nella riSchiavini, responsabile della vista «Scientific 27American», che serva Corazón de lsla. 8 25 26 Strategia 28 nazionale argentina sulle specie esoti- anche il Cile è minacciato, in parSecondo le autorità e gli esecutori,

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ORIZZONTALI 1. Possessivo inglese 4. Una lirica come Il 5 maggio 7. Usato per evitare ripetizioni 9. Preposizione francese 10. Articolo 11. Senza di lui non si fanno conti... 13. Un anagramma di tiara 14. Gatti inglesi 17. Simulacri 18. Anagramma di Eva 19. Con lei proprio... non c’è verso! 21. Pone fine al celibato 22. Mettono in comunicazione cavità nasali e faringe 23. Una metà di zero 24. Non ne mangiava Veronesi

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N8 O I 5R9A 2T 7 1 8 6 4 5 9 2 3 7 19. Orifizio25cutaneo 24 I7U C Esettimana N 1 T 6 precedente 3della 9 7 5 3 2 8 1 6 4 20. Antonio De Curtis Soluzione 26 22. Si ripete in un famoso ballo TEMPERATURE DA RECORD – La città di Yakutsk L2 I P7A S 8 I 4 4 in3 Siberia, 2 6d’inverno 7 1 può… 8 9 5 6 7 8 23. Il cantante Rosalino Cellamare Resto della frase: ... RAGGIUNGERE MENO SESSANTA GRADI. 4 1 5 2 (N. 39 - ... senza raggiungere meno sessanta gradi) N. 38 MEDIO 24.2 Discorso capo né coda 1 3 4 5 25. Le iniziali dell’attore R A7 G U G I 10Argentero 5 4 9 3 1 9 7 2 8 3 6 5 4 6 7 7 2 3 5 6 4 1 9 8 7 U3 N A G E L 8 9 14 I13vincitori 6M N 5 G9 I R L 6 8 4 5 9 7 1 3 2 10 11 9 5 1 3 7 4 2 6 8 A1 T E7 N E O 12 13 15 16 17 8 Vincitori del concorso14Cruciverba 4 26 3 9 2 8 7 1 7 5 M 3 E N2 O8 G E S S O 18 su 19«Azione 41», del 20 08.10.2018 21 8E S S I 5 A I4 R 8 7 2 1 6 5 3 4 9 B. Fornacca, N. Mignola, F.19 Pongelli 6 I N 9 7 22 23 24 4 8 3 1 9 4 5 2 8 7 6 Vincitori del concorso Sudoku S T O O S C A R C 25 26 27 28 su «Azione 41», del 08.10.2018 22 G I T 5 A2 O R I 6 7 4 6 8 3 9 85 2 3 1 T A6 5 29 M. Ramundo, D. Ferrara 30 5 2 8 7 1 6 4 9 3 A2 N G E1 L A 9 D I T A

N. 40 GENI (N. 41 - Non giudicare mai il libro dalla copertina) 5

C O N D O N A T O G I A U A D I R C A N L O R D E M A T I T A 16 E S S I L I T R O D N O E L I E T E B E R U O L O D A G D L 24 1 G N E 8 U L6 U (N. 40 - “Ho dimenticato la torta N. in 39 forno!”) A A Z DIFFICILE L I premi, cinque carte regalo Migros Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 25 26 27 3 8 5 3 I vincitori 5 1 4saranno 6 7 2 avvertiti 7 9 H6 partecipante E 4 R Odeve D E dei2premi. del valore di 50 franchi, saranno sor- soluzione del cruciverba o del sudoku 8indirizzo, del R email E G A L E C O P I A8 teggiati tra i partecipanti che avranno nell’apposito formulario pubblicato 4essere spedita9 a I«Redazione Azione, per iscritto. Il nome dei vincitori 4 1 6 7 9 2 3 5 sarà D E5 M E N 28 29 fatto pervenire la soluzione corretta sulla pagina del sito. C.P. 6315,4 6901 pubblicato su9«Azione». Partecipazione 8 OLugano». 7Concorsi, M 1T26 L corrispondenza O E I S suiT E riservata I 7G2esclusivamente O 3 R8 5 a 4lettori entro il venerdì seguente la pubblica- Partecipazione postale: la lettera o Non Isi intratterrà che 5 6 5in Svizzera. 7 9 1 3 8 2 4 31 L3 sonoI escluse. R ANon T A risiedono zione 30 del gioco. la cartolina postale che riporti la so- concorsi. Le vie legali I T 2E9 M 9O 7M3 O N 1 8 E 6 4 T7 3A 5 1

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Politica e Economia Gravi tensioni in Nicaragua Il presidente sandinista Ortega soffoca l’opposizione in modo sempre più tirannico

Asiatici più automatizzati Il Giappone, che è uno dei paesi con più anziani al mondo, sta puntando molto sull’automazione e sull’intelligenza artificiale, non solo in ambito turistico ma anche sociale

Elezione in Consiglio federale Nel PLR la favorita alla successione di Schneider-Ammann è Karin KellerSutter; l’erede di Doris Leuthard invece resta incerto pagina 29

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AFP

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Crisi d’identità

Germania Il risultato del recente voto in Baviera riflette la realtà di un Paese che quasi tre decenni

dopo la riunificazione vede significative differenze fra l’Est e l’Ovest. E soffre di fronte alla recente ondata migratoria Lucio Caracciolo Le recenti elezioni in Baviera confermano che la Germania è entrata in una delle sue ricorrenti fasi di crisi identitaria – chi siamo? che cosa vogliamo? – tipiche della storia di quel grande Paese. Tali cicli normalmente vengono assorbiti dal sistema. Solo raramente sfuggono di mano, slittando verso esiti drammatici se non catastrofici. Da rischi di tali dimensioni siamo fortunatamente molto lontani. Tuttavia è opportuno tenere un occhio attento al corpo e alle molte anime dello Stato centrale non solo geograficamente in Europa. A uno sguardo analitico, emergono tre fenomeni sistemici, di cui il voto bavarese – con la storica sconfitta della CSU, l’affermazione dei nazionalisti dell’AfD, il crollo della SPD e il successo dei Verdi – è interessante segnale. In primo luogo, ad appena un anno dall’ennesima riconferma alla cancelleria, la leadership di Angela Merkel è

in avanzata fase di decomposizione. Certo conta il fattore tempo: nessuno può resistere troppo a lungo al centro del potere senza logorarsi. Poi anche perché il centro cristiano-democratico schiacciandosi di fatto su posizioni socialdemocratiche ha tolto l’aria al suo principale partner di governo (SPD) mentre ha aperto uno spazio notevole alla sua destra, subito occupato dalla AfD (nel caso bavarese, anche dai Liberi Elettori, lista dai toni e dagli scopi affini a quelli dell’Alternativa per la Germania). Sicché per la prima volta nella storia della Germania postbellica dobbiamo attenderci per una fase prevedibilmente lunga uno spostamento verso la destra radicale dell’elettorato già centrista. A creare un nuovo polo politico e culturale. In secondo luogo, l’avanzato tramonto della cancelliera non ha per ora uno sbocco politico visibile. Far fuori il capo del governo in Germania non è facile, grazie al meccanismo della sfi-

ducia costruttiva per cui un cancelliere può essere sostituito solo quando un altro aspirante alla carica disponga di una maggioranza sufficiente al Bundestag. Oggi si potrebbe pensare, al massimo, al ritorno della SPD all’opposizione per riprofilarsi a sinistra, con i Verdi e i liberali della FDP ad offrire una sponda utile a un nuovo leader cristiano-democratico tutto da inventare (Merkel come ogni «monarca» in fine di regno ha cura di bruciare scientificamente possibili candidati alla sua poltrona). In terzo luogo, la Germania non è più il nocchiero della barca europea. Certo, resta il Paese decisivo, ma oggi non è più in grado di garantire quella rotta – sia pure accidentata – col pilota automatico, che ha finora permesso all’Ue e soprattutto all’Eurozona di sopravvivere alle tempeste monetarie e non solo. I rapporti con la Francia sono assai freddi, la chimica fra Macron e Merkel modesta. La Polonia, l’Unghe-

ria e altri paesi dell’ex impero sovietico, di fatto parte della catena del valore industriale tedesco e della sua sfera d’influenza geopolitica, vanno per fatti loro. E su questioni cruciali – migranti anzitutto – sono allineati con l’AfD piuttosto che con la CDU. L’Italia è in piena crisi e rischia di mettere in questione la struttura dell’Eurozona, non fosse che per le dimensioni del suo debito – e della sua economia, da Bologna in su strettamente connessa a quella tedesca. Eppure l’economia germanica non pare in crisi, la qualità dei servizi, malgrado alcune infrastrutture decadenti, è più che accettabile. Ma le percezioni della gente non sono all’altezza dei dati oggettivi. Secondo l’ultima analisi dell’Istituto demoscopico Allensbach, la percentuale di chi denuncia la carenza di appartamenti a prezzi accessibili è al 51% (35% nel 2014), quella di chi vede aumentare il divario fra ricchi e poveri al 51% (42% quattro anni fa), mentre il

72% teme l’incremento della violenza e della criminalità (contro il 42% rispetto allo stesso termine di paragone). Fatto è che la questione centrale non è economica, nemmeno principalmente politica, ma identitaria. Riflette la realtà di un Paese che quasi tre decenni dopo la riunificazione vede significative differenze, soprattutto cultural-politiche, fra l’ex Est e l’Ovest. E che soffre di fronte alla recente ondata migratoria, per cui oggi la Bundesrepublik è lo Stato probabilmente più multietnico dell’intera Europa. Ciò non vale solo per la difficoltà di integrare i nuovi arrivati dalla Siria o dal Medio Oriente, ma anche per ceppi da tempo insediati, come i turco-tedeschi. Le destre estreme, tra cui anche pattuglie neonaziste, soffiano su questo fuoco, alimentano la xenofobia. Come meravigliarsi se anche gli altri europei, pur così a lungo narcotizzati dal mito della Germania come Grande Svizzera, cominciano a preoccuparsi?


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Politica e Economia Migliaia di nicaraguensi si sono riversati nelle strade delle principali città per chiedere giustizia. (AFP)

Che fare dopo petrolio e calcio? Nomen Omen La scomparsa di Gian Marco

ha rappresentato la chiusura di un ciclo Alfio Caruso

Pieno regime a Managua Nicaragua Il sandinista Ortega sta varando lo stesso divieto

di manifestare imposto dalla dittatura di Somoza che rovesciò

Angela Nocioni Raffica di retate di oppositori politici o presunti tali a Managua. L’ultimo corteo antigovernativo, il 14 ottobre scorso, è stato sciolto prima ancora che si radunasse. Una trentina di persone, quasi tutti studenti universitari, sono state arrestate mentre camminavano per strada. Sarà reato d’ora in poi scendere in piazza contro il governo in Nicaragua. Arresto immediato per chiunque organizzi manifestazioni di protesta. Era questa una delle misure repressive in vigore durante il somozismo, la quarantennale dittatura sconfitta dalla rivoluzione sandinista guidata da Daniel Ortega che fu a capo del Paese centroamericano dal 1985 al 1990. Ed è la misura che lo stesso Ortega, oggi settantaduenne – eletto alla fine del 2006 e da allora mai allontanatosi dal potere che amministra da tempo come un affare di famiglia dopo aver piazzato nei posti chiave del governo solo parenti stretti – ha appena introdotto per cercare di frenare un movimento sociale molto esteso contro il suo regime. L’ondata di proteste, partita dalle università in aprile, sta coinvolgendo ormai buona parte della popolazione. Decisivo per l’estendersi del movimento è stato lo schierarsi a fianco degli studenti della Chiesa cattolica, molto influente nel Paese e restata invece per molto tempo in silenzioso temporeggiare di fronte ad Ortega, dal quale ha ottenuto un fondamentale sostegno per una legge ferocemente contraria all’aborto, più restrittiva di quella varata in Cile sotto la dittatura di Pinochet. L’opposizione attuale della Chiesa cattolica è l’elemento che più preoccupa il regime, tanto che Ortega il 19 luglio scorso, commemorando la rivoluzione sandinista, ha accusato i vertici religiosi locali di essere parte di un complotto contro di lui e di nascondere degli arsenali nelle diocesi. L’introduzione del divieto assoluto di proteste è stata inusualmente annunciata da un comunicato della polizia inviato a tutti i corrispondenti stranieri a Managua dalla moglie di Ortega, Rosario Murillo, nella sua veste di vicepresidente del Nicaragua. La «primera dama» e numero due del regime è una ex poetessa con una passione per lo spiritualismo esoterico, ha inclinazioni assai poco democratiche in politica e ha dimostrato negli anni di avere una grande e crescente influenza su Ortega che, per dirne una, convinto da lei della magica potenza del color fuxia nel contrastare i malefici, ha lasciato il rosso e nero della bandiera sandinista e avvolto di fuxia le sue campagne elettorali: muri, cartelloni, maglie, bandiere. Nel documento d’annuncio del divieto di manifestare si legge: «La po-

lizia nazionale avvisa che di fronte a qualsiasi alterazione e/o minaccia alla tranquillità, al lavoro, alla vita e ai diritti delle persone, delle famiglie e delle comunità, saranno considerati responsabili e risponderanno di ciò di fronte alla giustizia gli organizzatori di queste riunioni illegali causa di criminali attività di delinquenza». Che gli ex sandinisti una volta tornati al governo avrebbero ridotto molto i margini di libertà nel Paese è stato chiaro da subito dopo la prima rielezione di Ortega, riuscito poi a farsi rinnovare il mandato altre due volte. Un movimento organizzato contro il governo, però, ha preso piede solo negli ultimi mesi, con il dilagare delle proteste contro «el somozismo de vuelta», come lo chiamano gli studenti insorti, ossia il ritorno del somozismo per mano dell’ex capo della rivoluzione che lo sconfisse. Decine di migliaia di nicaraguensi si sono riversati nelle strade delle principali città, non solo a Managua, chiedendo «libertà e giustizia» e l’abolizione di misure economiche giudicate troppo penalizzanti per i più poveri. Il Nicaragua degli ultimi dieci anni è stato infatti governato, su esempio cinese, da una mescolanza di autoritarismo in politica e liberismo spinto in economia. La scintilla da cui hanno preso il via le mobilitazioni è stato il rifiuto di una riforma previdenziale che prevedeva l’aumento dei versamenti dovuti da lavoratori e datori di lavoro all’Istituto Nicaraguense di Sicurezza Sociale, prelevandoli direttamente dalle loro buste paga, e imponeva una tassa del 5% sulle pensioni. La repressione è stata da subito brutale. Un quindicenne, Alvaro Conrado, è stato ucciso da un proiettile alla gola. Il ministro della Salute ha pubblicamente richiesto che non fosse soccorso in un ospedale pubblico. Chiusi d’imperio due canali televisivi indipendenti e quello della Conferencia episcopale nicaraguense. Le proteste invece di scemare si sono moltiplicate, la riforma è stata ritirata, ma l’esercito è stato mandato a presidiare tutti i principali centri urbani. Secondo la Commissione interamericana dei diritti umani sono state uccise da aprile più di trecento persone. Secondo l’Associazione nicaraguense per i diritti umani (Anpdh), che raggruppa varie organizzazioni di base locali, i morti sarebbero invece 512, almeno 1200 persone risulterebbero scomparse e oltre 4000 ferite. Le persone scomparse, secondo il segretario esecutivo dell’Anpdh, Álvaro Leiva Sánchez, intervistato dal quotidiano indipendente «La Prensa», sono state sequestrate. Il climo politico s’è molto appesantito da fine settembre, dopo l’uccisione in piazza di un sedicenne, Matt Andrés

Romero. I medici che lo hanno soccorso presso l’Ospedale tedesco-nicaraguense hanno detto che il corpo del ragazzo presentava gravi ferite da arma da fuoco. La loro testimonianza non era scontata. Nei mesi scorsi sono stati licenziati dagli ospedali pubblici tutti i medici identificati come coloro che non si sono rifiutati di soccorrere i manifestanti arrivati feriti al pronto soccorso. Anche per questa ragione il sedicenne ucciso è diventato un simbolo della rivolta. La polizia nazionale sostiene che sia stato ucciso dopo essere capitato inavvertitamente nel mezzo di una sparatoria fra agenti e dimostranti, versione smentita da tutti i presenti che raccontano di un attacco deliberato e a bruciapelo. I dimostranti hanno dichiarato di essere stati attaccati dalla polizia nazionale e da elementi paramilitari nel quartiere «America 3» della capitale. Negli ultimi giorni è stato arrestato dalla polizia il giornalista Carl David Goette-Luciak, di doppia cittadinanza austriaca e statunitense. Lo ha denunciato, sulla sua pagina Facebook, Azucena Castillo, direttrice di Radio La Ciudadana una delle emittenti dell’opposizione. Goette Luciak stava seguendo la crisi nicaraguense per il giornale britannico «The Guardian». Quasi tutti gli ex leader del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale hanno prese le distanze ormai da tempo da Ortega, lo definiscono «un despota» e tentano di distinguere dalla sua persona quel che resta del sandinismo e della lotta ai contras, la guerriglia controrivoluzionaria che imperversò per buona parte degli anni Ottanta. L’ex ministro della cultura del Nicaragua sandinista, il teologo della liberazione Ernesto Cardenal – che si scontrò apertamente con Papa Giovanni Paolo II respingendo l’ordine di dimettersi dal governo – ha recentemente sfidato Ortega definendo il suo governo «una dittatura». Il regime ignora le critiche e ha addirittura espulso dal Paese la missione dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani. La decisione è arrivata due giorni dopo la diffusione di un rapporto che accusa apertamente Managua di «repressione e rappresaglie». L’Onu descrive «la violenza e l’impunità che hanno messo in evidenza la fragilità delle istituzioni del Paese e dello stato di diritto, e hanno generato un contesto di paura e sfiducia» e denuncia «l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia, che a volte si è trasformato in esecuzioni extragiudiziarie, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e generalizzate, torture e maltrattamenti, violazioni dei diritti alla libertà di opinione, espressione e riunione pacifica».

Per sessant’anni sono stati la famiglia più influente e trasversale della borghesia milanese. Senza l’allure degli Agnelli, lontano dalla tradizione monarchica di Torino, però espressione di una Milano policentrica, meritocratica, multinazionale. I Moratti ne hanno incarnato l’anima elitaria, aperta al mondo, tuttavia amante del basso profilo, del rispetto della buona creanza; sicura di sé sia in taverna sia nei consigli d’amministrazione delle banche. Il fulcro, anche da morto, è stato il capostipite Angelo, figlio del farmacista di piazza Fontana, andato via di casa giovanissimo dopo il decesso della madre, cresciuto nell’università della strada, straordinario ballerino, non a caso detto «samba», che proprio in una balera conobbe la donna della sua vita, l’energica Erminia: gli avrebbe scodellato cinque figli, più uno adottivo; sarebbe diventata, nella fraseologia dei giornali, la lady cittadina. Nel 1939, appena trentenne, Moratti compra una miniera di lignite all’aperto nei pressi del lago Trasimeno: da essa realizza una centrale elettrica alimentata dalla lignite che serviva diversi quartieri di Roma e un centro manifatturiero, dal quale si sviluppano vetrerie e centri di lavorazione della ceramica. Ma il colpo di genio è nel 1948: puntare sul petrolio, sulla commercializzazione partendo dall’acquisto di una vecchia raffineria in Texas. Nascono così gl’impianti in Sicilia, in Sardegna, in Toscana, in Liguria, in Giamaica. Sono tutti conglobati nella Saras, mentre il patrimonio della dinastia viene custodito nella «Angelo Moratti Sapa». Per mezzo secolo il petrolio garantisce proventi tali da appagare la vanità del capostipite: nel ’55 diviene proprietario dell’Inter reduce da due scudetti di fila. La prima foto lo ritrae ai bordi dell’Arena napoleonica, dove all’epoca si allenava la squadra: impermeabile bianco serrato in vita, sigaretta penzoloni, sguardo perso nel vuoto. Una reincarnazione di Humphrey Bogart in salsa meneghina, peccato che i lineamenti del viso richiamino più Trimalcione che Bogey. Moratti deve spendere un mare di milioni e di tempo. Per vincere servono otto anni, però ne viene fuori la «grande Inter» entrata nella storia del calcio: tre scudetti, due coppe campioni, due coppe intercontinentali in meno di un lustro; la saga di Herrera, di Mazzola, di Suarez, di Corso. L’addio è brusco: Moratti capisce che con l’arrivo del ’68 l’appartarsi paga più del mostrarsi. Assieme ai due figli maschi destinati a succedergli, Gian Marco e Massimo, si ritira dal palcoscenico e si dedica alla moltiplicazione dei profitti. Nel ’72 la famiglia accoglie la chiamata cittadina per impedire che il «Corriere della Sera», messo in vendita dagli storici proprietari, i Crespi, finisca nelle mani del torinese Agnelli. La coabitazione dura quattro anni, poi lasciano campo libero ai Rizzoli, che sono stati

Milly e Massimo Moratti. (Marka)

gli storici avversari nel calcio da padroni del Milan. Scomparso Angelo, i figli si sforzano di seguirne la strada e gl’insegnamenti. Per un decennio se ne stanno lontano dai riflettori, a eccezione della vulcanica Bedy innamorata di cinema, di teatro e per qualche mese di Klaus Kinski. Gian Marco si appassiona all’esperimento di Muccioli a San Patrignano contro la droga diventando il munifico finanziatore della comunità; Massimo è in prima fila nella candidatura olimpica di Milano, oltre che il discreto sponsorizzatore di progetti ecologici su spinta della moglie Milly, spesso eletta in comune con i verdi. A cambiare gli equilibri è l’ingresso di Berlusconi nel Milan con gli straripanti successi in Italia e nel mondo. La Milano interista costretta a un ruolo subalterno si mette a implorare i Moratti, che nel ’95 accettano di rilevare la società dall’allora presidente Pellegrini – industriale del catering, chiamato da Agnelli «il cuoco della Juve» – per 50 miliardi di lire (un po’ meno di 40 milioni di euro). Ne spenderanno oltre mille di milioni di euro per rinverdire le imprese del padre con Massimo in prima fila e Gian Marco defilato a far di conto. In pratica sull’altare del cuore sacrificheranno l’intero ricavato dell’ingresso in borsa della Saras, 750 milioni di euro. La scomparsa dei Pirelli, il tramonto dei Falck, la metamorfosi dei Feltrinelli, l’aver resistito perfino al ciclone Berlusconi, romano centrico dopo la discesa in politica, regala definitivamente ai Moratti la primazia cittadina. È sancita dall’elezione a sindaca di Letizia, la moglie di Gian Marco, la quale non disdegna il palcoscenico, su cui ha già recitato da presidentessa della Rai e da ministra. Sotto la sua gestione a Milano viene attribuita l’Expo del 2015, ma nelle elezioni del 2011 – un anno dopo la straordinaria tripletta dell’Inter (scudetto, champions league, coppa intercontinentale) – i milanesi le voltano le spalle: le preferenze vanno a Giandomenico Pisapia, famoso avvocato penalista, politico di lungo corso, erede di un’altrettanto apprezzata e radicata dinastia. Una sconfitta inattesa, cui fanno da contorno la crisi internazionale del petrolio, l’ingresso del gruppo petrolifero Rosneft nella Saras, di cui oggi i Moratti detengono il 50,02, gli incidenti sul lavoro con morti nello stabilimento di Sarroch. A salvare i bilanci interviene la trasversalità dei Moratti: ottengono 200 milioni d’incentivi dai governi Berlusconi e Prodi, come dire il diavolo e l’acquasanta, a secondo dei gusti. La situazione rimane, tuttavia, complicata con la Saras, che in Borsa ha perso gran parte della quotazione iniziale. Gian Marco reclama la chiusura del rubinetto Inter; Massimo a malincuore l’accontenta vendendola al tycoon indonesiano Tohir per circa 300 milioni di euro. I due fratelli, con le loro nutrite figliolanze, separano i percorsi. La scomparsa, lo scorso febbraio, di Gian Marco per molti ha rappresentato la chiusura di un ciclo.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Politica e Economia

La 4. rivoluzione industriale Robotica Perché, mentre in Asia i paesi più sviluppati trovano applicazioni ovunque, l’Occidente

continua a sospettare delle macchine con intelligenza artificiale?

Giulia Pompili Basta passeggiare per qualche chilometro nel centro di Tokyo. Alcuni robot all’ingresso dei negozi rispondono alle vostre parole, anche se siete stranieri. Reagiscono perfino al cambiamento delle vostre espressioni facciali: se sorridete, sorridono, se vi arrabbiate, si arrabbiano. Uno dei più famosi e turistici ristoranti del quartiere Shinjuku si chiama Robot restaurant, e per un prezzo spropositato si può godere dell’esperienza di essere serviti da robot che cantano e ballano. Di fronte al noto ristorante qualcuno ha pensato di aprire un «ristorante umano», che si chiama proprio così, e l’interno è ambientato in una specie di distopia post-apocalittica. I robot, e in genere l’intelligenza artificiale, per la capitale giapponese oggi sono un ottimo investimento per il turismo: all’Henn-na Hotel del quartiere di Ginza, che è stato inaugurato già da qualche anno, alla reception non c’è nessun umano, soltanto androidi. Che gestiscono check in e check out dei clienti con grazia ed efficienza. L’hotel gemello nella città di Nagasaki addirittura non consegna agli ospiti nemmeno le chiavi delle stanze: basta il riconoscimento facciale. Questo tipo di tecnologia però non è soltanto una strana attrazione per turisti. Il Giappone, che è uno dei paesi più vecchi del mondo, sta puntando molto sull’automazione e sull’intelligenza artificiale per l’assistenza agli anziani, e nelle vie del business non è difficile imbattersi in showroom interi dedicati a robot che si occupano di persone a ridotte capacità di autosufficienza, dai letti intelligenti ai carrellini per camminare smart.

I robot si rompono continuamente e quindi c’è sempre bisogno dell’uomo. Ma possono aiutare a vivere meglio La chiamano la Quarta rivoluzione industriale, e la guerra tecnologica tra oriente e occidente si muove proprio su quella direttrice. L’intelligenza artificiale, e tutto ciò che ne consegue nel campo della ricerca, della raccolta dei dati su larga scala, della produzione di sofisticate tecnologie determinerà, secondo gli analisti, la supremazia di una parte di mondo sull’altra. Ma in questo caso non si tratta, non solo almeno, di una nuova Corsa allo spazio. In un passato post-bellico si trattava di vincere o perdere la dominazione di universi ancora inesplorati, una corsa a cui i cittadini normali assistevano da lontano. L’intelligenza artificiale, invece, sta già cambiando il nostro modo di pensare e di effettuare la maggior parte delle azioni quotidiane. Non è un caso, del resto, che la

Donne robot accolgono i clienti alla reception dell’Henn-na Hotel di Tokyo. (AFP)

guerra commerciale tra America e Cina si muova soprattutto nel settore tecnologico, e sia destinata a durare a lungo. Sulla questione negli ultimi anni si è prodotta parecchia letteratura. L’ultimo libro in uscita è quello firmato da Kai-Fu Lee, cinese originario di Taiwan, ex presidente di Google China e uno dei massimi esperti di intelligenza artificiale al mondo, che ha appena pubblicato AI Superpowers: China, Silicon Valley, and the New World Order. Quello di Kai-Fu Lee è un libro considerato disruptor, che cambia la prospettiva con la quale per anni ci siamo avvicinati allo studio della nuova rivoluzione tecnologica. Secondo Lee, Pechino sta già vincendo la corsa contro gli Stati Uniti, grazie agli enormi investimenti governativi, la manodopera a basso costo, e forse grazie anche alla (quasi) totale assenza di questioni etiche, bioetiche e di privacy che anima il campo della ricerca cinese. Il mondo virtuale e quello reale nelle grandi città cinesi sono già mischiati, spiega Lee, e il prossimo passo sarà la loro sovrapposizione: andare in un supermercato, per esempio, e sapere che il supermercato conosce tutto di voi, della vostra famiglia e dei vostri gusti. In America – ma in gran parte della società occidentale – questo tipo di investimenti sono per lo più frammen-

tati, e nel caso americano è il settore privato a mandare avanti la ricerca e le sperimentazioni. Anche l’Europa sembra avere un approccio meno coordinato, ma soprattutto i paesi europei sembrano spaventati dai cambiamenti che la robotica e l’ingegneria potrebbero avere nella società. È la questione etica a essere diversa: in Asia, al contrario dell’Europa, il progresso si misura dall’evoluzione della ricerca e della tecnica. Se il caso cinese è un caso limite, perché imposto dal governo, altre potenze economiche e democratiche asiatiche si stanno già avviando verso un futuro che potrebbe aiutare l’essere umano, non solo minacciarlo. L’esempio della piccola isola di Taiwan è emblematico. Una delle sfide più importanti per Taipei è cercare di restare al passo con la concorrenza tecnologica. Per farlo, si sta dotando da anni di un «ecosistema» adatto, che possa spingere anche le imprese straniere a lavorare qui. Il governo di Taiwan – che non è riconosciuto da Pechino né ha rapporti diplomatici ufficiali con la maggior parte degli Stati, compresa l’Unione europea – sta usando il settore tecnologico proprio per riuscire a fare del business una valida alternativa all’isolamento diplomatico. A Taichung, per esempio, a un’ora di treno da Taipei,

ci sono i quindici chilometri quadrati del Central Taiwan Science Park, un luogo in cui la filiera della produzione tecnologica è ridotta al minimo, e 186 aziende (di cui almeno 34 sono colossi stranieri, soprattutto giapponesi) lavorano fianco a fianco in un sistema integrato e con parecchi servizi a disposizione. L’area è famosa soprattutto per l’optoelettronica, le macchine di precisione, ma più della metà della produzione che ha concorso alla crescita dell’11,13 per cento nel 2017 rispetto all’anno precedente sono i cosiddetti circuiti integrati. I chip, cioè le intelligenze di silicio di cui tutte le nuove tecnologie hanno bisogno, e che sempre più spesso i colossi occidentali diffidano dall’importare dalla Cina continentale. «Il punto più interessante però – spiega il direttore generale Ming-Huang Chen – è che le imprese per stare nel parco e usufruire dei servizi devono investire un’ampia percentuale dei loro fatturati in ricerca. Senza la ricerca sono fuori. È grazie a questa strategia che qui, nel 2017, sono stati approvati oltre tremila brevetti». Nel 2017 il parco è stato ampliato ancora, ed è stata data più importanza all’intelligenza artificiale. Nel Robotic Hub inaugurato a febbraio chiunque abbia una buona idea

può fare domanda per utilizzare i costosi macchinari messi a disposizione dal governo, e lavorare in team, sul modello della Silicon Valley americana. «Un tempo, dietro a un robot c’era sempre l’uomo a comandarlo», ci spiega Jerry Liu, ingegnere di 28 anni mentre ci mostra l’androide che gioca a Go, gli scacchi orientali, «adesso siamo in una fase in cui insegniamo ai robot cosa fare, e li lasciamo fare da soli». In Europa si dice continuamente che le macchine ci ruberanno il lavoro, cosa ne pensate voi? «Qui abbiamo un robot che prepara i caffè. Oggi è rotto, e quindi il caffè ce lo prepariamo da soli. Credo sia una ottima metafora: i robot si rompono continuamente, c’è sempre bisogno dell’uomo». Ma possono aiutare a vivere meglio: i robot intelligenti per l’edilizia, per esempio, oltre a essere più efficienti dell’uomo, riducono drasticamente gli incidenti sul lavoro. Una decina di giorni fa Fast Retailing, il colosso giapponese fondato da Tadashi Yanai che possiede anche il marchio Uniqlo, ha inaugurato a Tokyo il primo magazzino all’interno del quale non lavora nemmeno un essere umano. Tutto è automatizzato, e tutto può funzionare per ventiquattr’ore su ventiquattro, senza sosta. In Europa, qualche giornale ha titolato: «In Giappone i robot rubano già il lavoro ai magazzinieri». Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Il PLR ha una favorita, il PPD no

Elezioni in Consiglio federale Sciolte le riserve, la sangallese Karin Keller-Sutter sembra non aver rivali fra i liberali

radicali – Per la successione a Doris Leuthard in governo, invece, nel PPD non c’è un candidato che spicca Marzio Rigonalli Mancano una quarantina di giorni all’elezione in Consiglio federale dei successori di Johann Schneider-Ammann e di Doris Leuthard, prevista il 5 dicembre. Dalla fine di settembre è in corso la fase delle candidature, durante la quale i volontari si dichiarano disponibili e, un po’ più tardi, di solito vengono confermati dalle sezioni cantonali del loro partito. Questa fase terminerà fra pochi giorni. A metà novembre ci sarà poi un altro momento importante: i gruppi parlamentari interessati sceglieranno uno o due candidati che verranno proposti all’Assemblea federale, l’organo che elegge i consiglieri federali. All’interno dei due partiti direttamente coinvolti nella successione, il PLR e il PPD, emergono situazioni diverse. Nel PLR si è delineata una candidatura femminile forte, approvata e sostenuta in larga misura; nel PPD, invece, pochi ancora sono i papabili che si sono già pronunciati ed è possibile che tutto diventerà più chiaro soltanto negli ultimi giorni, addirittura nelle ultime ore, di questa fase. L’indiscussa favorita del PLR è la consigliera agli Stati sangallese Karin Keller-Sutter. Ha 54 anni, parla più lingue, ed è una forte personalità. Ha fatto parte del governo cantonale sangallese per dodici anni e da sette è nel Consiglio degli Stati, che quest’anno presiede. Al di là della sua lunga esperienza politica e delle sue qualità personali, vanta due punti a suo vantaggio. Innanzitutto, offre al suo partito la possibilità di avere una donna in seno al Consiglio federale. Fin ora, il PLR ha avuto una sola donna nel governo centrale, la signora Elisabeth Kopp, che d’altronde fu la prima donna consigliera federale e che fu costretta a dimettersi nel 1989, per una telefonata effettuata dal proprio ufficio, nella quale esortava il marito a dimettersi dal consiglio di amministrazione di un’azienda sotto inchiesta per riciclaggio di denaro. Lo stesso Johann Schneider-Ammann, il giorno delle sue dimissioni, disse che farebbe bene al suo partito se il suo successore fosse una donna. Il secondo punto a suo favore è la sua provenienza. L’ultimo consigliere federale sangallese è stato Kurt Furgler, uscito di scena nel 1986. Per di più, il

canton San Gallo è forse il più importante della Svizzera orientale, regione che rivendica un posto nel governo centrale. Per Karin Keller-Sutter, l’elezione del 5 dicembre costituirà il suo secondo tentativo per varcare la soglia del Consiglio federale. Il primo avvenne nel 2010, quando venne battuta da Schneider-Ammann. Allora appariva come una lady di ferro, una fotocopia di Christoph Blocher, ed era invisa al centro sinistra. Dopo questa prima esperienza mise molta acqua nel suo vino e seppe adottare posizioni più concilianti, sostenendo compromessi anche su importanti questioni sociali. Per esempio, oggi difende il compromesso sugli sgravi fiscali delle aziende e il finanziamento dell’AVS, o la posizione del Consiglio federale nei confronti dell’Unione europea, una posizione che come è noto non è condivisa dall’UDC. La candidatura di Karin KellerSutter ha annientato le ambizioni di altri potenziali candidati in seno al PLR. Le rinunce annunciate fin ora sono parecchie. Quelle di ben quattro consiglieri agli Stati: il grigionese Martin Schmid, lo zurighese Ruedi Noser, l’urano Josef Dittli e l’appenzellese Andrea Caroni. Quelle della consigliera nazionale zurighese Regine Sauter e della consigliera di Stato zurighese Carmen Walker Späh. Tutti pensano di non avere nessuna chance di essere eletti e preferiscono non vedere il proprio nome sul ticket del partito. Il politico che accetterà di scendere in campo accanto a Karin Keller-Sutter non lo farà con la speranza di essere eletto, ma perché è convinto che la candidatura, da sola, potrà essergli utile nella sua futura carriera politica. La ricerca di un secondo candidato non sarà facile, ma è necessaria, perché l’Assemblea federale vuole avere la possibilità di scegliere almeno fra due personalità. Più incerta è la situazione in seno al PPD. Sulla carta almeno, i papabili sono numerosi. Nelle ultime settimane, la favorita sembrava essere la consigliera nazionale vallesana Viola Amherd, vicepresidente del suo gruppo parlamentare, molto vicina a Doris Leuthard. Non è però gradita dai suoi compagni di partito dell’alto Vallese, che non hanno esitato a rendere pubblici i suoi problemi con la giustizia. Viola Amherd è

Karin Keller-Sutter, già consigliera di Stato, oggi presidente del Consiglio degli Stati, presto in governo con Cassis? (Keystone)

stata condannata in maggio, in prima istanza, a restituire 250mila franchi per affitti troppo elevati incassati da una società del gruppo Alpiq. La consigliera nazionale ha inoltrato ricorso contro la sentenza. Tra gli altri nomi emergenti spiccano: Peter Hegglin, consigliere agli Stati zughese, ex direttore delle finanze del suo cantone, che ha espresso la sua disponibilità; il consigliere agli Stati obvaldese Erich Ettlin e la consigliera di Stato urana Heidi Z’graggen, che potrebbe offrire al suo cantone, per la prima volta, la possibilità di avere un consigliere federale. Uri è uno dei cinque cantoni che non hanno mai avuto un consigliere federale. Gli altri quattro sono Svitto, Nidvaldo, Sciaffusa e Giura. Hanno invece già rinunciato alla candidatura due possibili pretendenti: il consigliere di Stato sangallese Benedikt Würth e la consigliera nazionale argoviese Ruth Humbel. Uno dei compiti del futuro consigliere federale del PPD è di assicurarsi la rielezione fra un anno, quando dopo le prossime elezioni federali, la possibile perdita di consensi del PPD potrebbe mettere in pericolo il suo

seggio, a vantaggio dei Verdi o di un’alleanza, oggi comunque ancora improbabile, tra Verdi e Verdi liberali. Da quanto è emerso fin ora, i criteri determinanti presi in considerazione nella scelta dei candidati, al di là delle competenze necessarie, sono essenzialmente due: il fattore donna e la provenienza geografica. È ben noto che le donne, pur rappresentando la maggioranza della popolazione, sono sottorappresentate nelle autorità politiche, in primo luogo in quelle federali. Le donne presenti in Consiglio nazionale rappresentano il 32 per cento. Nel Consiglio degli Stati, la percentuale scende al 15. E nel Consiglio federale è rimasta una sola donna, Simonetta Sommaruga. La richiesta di una maggiore presenza femminile è generale. La provenienza geografica sembra favorire principalmente due regioni: la Svizzera orientale e la Svizzera centrale. La prima regione comprende ben sette cantoni (GR, SG, GL, AI, AR, TG, SH) e non è più presente in Consiglio federale dal 2015, da quando è uscita la grigionese Eveline Widmer-Schlumpf. La seconda regio-

ne comprende sei cantoni (LZ, ZG, SZ, UR, NW, OW) ed ha avuto come suo ultimo rappresentante nel Consiglio federale il lucernese Kaspar Villiger, dimessosi nel 2003. Questa volta, contrariamente a quanto è successo con l’elezione di Cassis, il fattore linguistico non ha nessuna rilevanza. La Svizzera romanda ha due rappresentanti nel governo federale e la Svizzera italiana uno. Dalle due regioni non è emersa fin ora alcuna candidatura. La partita sembra dunque giocarsi tra candidati provenienti dalla Svizzera tedesca. L’ultima volta che abbiamo assistito alle dimissioni di due consiglieri federali fu nel 2010. I due dimissionari furono il socialista Moritz Leuenberger e il liberale radicale Hans-Rudolf Merz. Vennero sostituiti da due candidati bernesi, Simonetta Sommaruga e Johann Schneider-Ammann. I due partiti politici in primo piano erano dunque il PS ed il PLR. Questa volta, il 5 dicembre, ritroveremo il PLR, con accanto il PPD. Alla prima elezione l’Assemblea federale sceglierà il(la) candidato(a) del PPD. Poi toccherà al PLR.

Mondo del lavoro, rivoluzione alle porte Effetti della digitalizzazione S econdo un’indagine della McKinsey, entro il 2030 in Svizzera andranno persi

un milione di impieghi, ma al contempo ne verranno creati 800mila di nuovi, più specializzati Ignazio Bonoli Secondo un’indagine della McKinsey, nei prossimi dodici anni, verranno soppressi in Svizzera un milione di posti di lavoro. È l’effetto della crescente informatizzazione di quasi tutte le attività, in particolare di quelle legate all’economia. Forse un po’ ottimisticamente, la stessa indagine valuta che nello stesso periodo di tempo verranno creati 800’000 nuovi posti di lavoro. Posti che però richiederanno a chi li dovrà occupare altre capacità, in particolare più competenze sociali ed emozionali, creatività, spirito critico e talento organizzativo, oltre ovviamente a profonde conoscenze dell’informatica e della programmazione. Gli annunci di riduzione di personale, a cui assistiamo già oggi, sono destinati ad aumentare nei prossimi anni. Secondo i risultati della più completa analisi condotta finora in questo settore, dal 20 al 25 per cento di tutte le attività professionali verranno automatizzate

entro il 2030. Lo studio, di cui sono note alcune anticipazioni, prevede la soppressione da uno a 1,2 milioni di posti di lavoro. Nel contempo però si creeranno da 0,8 a 1 milione di nuovi posti. Circa la metà di questi nuovi posti verrà probabilmente creata direttamente nel settore delle nuove tecnologie, tanto nell’«hardware», quanto nel «software» e presso quelle aziende che saranno pronte a fornire soluzioni informatiche. Gli esperti della McKinsey fanno queste valutazioni contando sul fatto che l’informatizzazione migliorerà la produttività, aumentando i redditi e quindi i consumi. Ci si chiede però che cosa succederà al gran numero di persone che perderanno il posto di lavoro. Gli esperti dicono che una gran parte di queste persone potrà essere aggiornata o riciclata. Compito questo che richiederà grandi sforzi a parecchi livelli, ma fattibile. Molte aziende tenderanno, infatti, a trattenere il personale in funzione e a offrirgli molte possibilità di riciclaggio o di nuova formazione, preparandolo così

a nuove funzioni. Un’inchiesta specifica ha permesso di constatare che già oggi la metà dei dirigenti è pronta ad affrontare questo impegnativo passaggio, ma molti dovranno rendersi conto della necessità di queste trasformazioni e compiere uno sforzo notevole nella formazione specifica e nell’aggiornamento. Ci si rende però conto anche dei limiti in questi cambiamenti. Non tutto il personale sarà in grado di adeguarsi alle nuove esigenze, per cui si può prevedere che il progresso tecnologico potrebbe provocare profondi squilibri sul mercato del lavoro. In genere, le persone che vengono licenziate non hanno il profilo necessario per trovare un nuovo posto di lavoro. Vi sarà certamente un «gap» crescente tra le capacità offerte e quelle richieste. Gli esperti dell’indagine valutano tra i 15’000 e i 20’000 all’anno il numero di persone attive che non troveranno più un posto nel nuovo mercato del lavoro. Entro il 2030 potrebbero esserci da 150’000 a 200’000 dipendenti con

scarsa mobilità che resteranno senza lavoro. Oggi, infatti, la maggior parte dei lavoratori non dispone delle competenze che il futuro richiederà. La domanda di capacità cognitive semplici o forza fisica diminuirà di circa il 20 per cento. Ma quella di competenze sociali, emozionali e tecnologiche aumenterà tra il 20 e il 50 per cento. Ovviamente le ripercussioni dell’informatizzazione saranno diverse da ramo a ramo dell’economia. Tra i più toccati vi saranno il commercio al minuto e all’ingrosso: fino a 140’000 posti persi. Per l’industria si valuta una perdita tra 70’000 e 100’000 posti e nella finanza circa 50’000. Aumenteranno invece i posti di lavoro nei servizi tecnici specifici, nelle scienze e nell’informatica fino a 250’000. Un aumento tra i 55’000 e gli 85’000 nuovi posti di lavoro sono previsti nel settore della salute. La formazione diventerà quindi un fattore determinante. La classica formazione commerciale dovrà sviluppare nuove capacità, estendendole al campo

sociale e a quello dell’informatica. In ogni caso, saranno sempre più richieste persone con titoli universitari. Uno sforzo orientato alle future esigenze sarà necessario a ogni livello di formazione. Probabilmente l’aggiornamento e la formazione continua non basteranno. Già oggi vengono formati ogni anno 3000 specialisti in informatica, numero che probabilmente salirà a 10’000. La Svizzera da sola non potrà far fronte a questo impegno, per cui importerà specialisti dall’estero. Molto dipenderà anche dai tempi di adeguamento. Un’accelerazione del processo provocherà però un rischio di disoccupazione. La trasformazione dell’economia dovrà avvenire in modo da evitare crisi sul mercato del lavoro. Non sarà un compito facile, perché il processo di trasformazione avrà tendenza ad accelerare, ma dovrà essere affrontato per non perdere concorrenzialità. La Svizzera gode comunque di buone posizioni di partenza e potrà essere in grado di affrontare bene le nuove situazioni.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Airbnb fa concorrenza agli alberghi ticinesi? La stagione turistica 2018 si sta chiudendo in Ticino con risultati che dagli specialisti vengono giudicati come magri. C’era da aspettarselo! Dopo un anno strepitoso, come il 2017, dove, grazie all’apertura della galleria ferroviaria di base del S. Gottardo, i numeri degli arrivi e quelli dei pernottamenti in albergo erano aumentati, in misura straordinaria, l’evoluzione dei flussi turistici ha ritrovato i ritmi modesti degli anni precedenti. Di questo sono oramai convinti anche i responsabili del settore che, nei loro commenti ai dati del mese di agosto, parlano per l’appunto del 2017 come di un anno eccezionale con risultati che saranno difficili da ritrovare. Alla ricerca di possibili fattori che hanno influenzato in modo negativo l’evoluzione dei flussi turistici in Ticino, i responsabili del nostro turismo hanno ora trovato

un nuovo colpevole: l’Airbnb. L’Airbnb (in analogia con i «Bed and Breakfast» la sigla significa «materassi gonfiabili e colazione») è una comunità virtuale che consente al privato che ha una o più camere disponibili nella propria abitazione di affittarle a turisti che vorrebbero soggiornare nella sua zona. Airbnb è nata nel 2007, l’anno di nascita dello Smartphone, a San Francisco e, nel corso degli ultimi dieci anni, si è diffusa in tutto il mondo. Non si sa quanti letti siano oggi disponibili in case e appartamenti Airbnb. Una fonte li stima a circa 40’000 per tutta la Svizzera, ossia a un po’ più di un quarto dei letti di albergo. In certe destinazioni turistiche, come, per citare un solo caso, Barcellona, la loro proporzione è cosi grande da aver fatto nascere movimenti di protesta tra la popolazione che, praticamente, non

riesce più a trovare un appartamento a buon mercato nel centro per la concorrenza dei clienti Airbnb. I vantaggi di questa offerta ricettiva sono il prezzo, di solito inferiore a quello della camera di albergo, la facilità con la quale si può trovare un alloggio disponibile e l’assoluta carenza di qualsiasi intervento regolativo, al di là delle istruzioni per raggiungere e avere accesso alla camera. Gli svantaggi sono naturalmente la carenza di servizi al cliente. Ma torniamo al turismo ticinese. Commentando i nuovi risultati della statistica turistica i responsabili del settore argomentano che, se teniamo conto dei pernottamenti in residenze Airbnb, il numero dei pernottamenti in albergo non sarebbe diminuito quest’anno rispetto, si pensa, alla stagione 2016. Lo sviluppo dei pernottamenti in appartamenti Airbnb

cannibalizzerebbe dunque i pernottamenti in albergo. In parte bisogna dar loro ragione. Il pernottamento in un appartamento Airbnb costa di solito meno che un pernottamento in albergo. Di conseguenza è possibile che i turisti, particolarmente i giovani, siano particolarmente attratti da questa nuova struttura ricettiva. Ma quanto sta succedendo in Ticino, in materia di aumento dell’offerta di letti Airbnb, sta succedendo anche in quelle regioni turistiche svizzere che, per il 2018, annunciano invece risultati più che positivi in materia di aumento degli arrivi e dei pernottamenti in albergo. La domanda che ci si può porre è perché nella maggioranza delle altre regioni l’effetto di cannibalizzazione dei pernottamenti in albergo da parte di Airbnb non ha determinato una diminuzione del numero dei pernotta-

menti in albergo. La risposta alla stessa è che, in anni normali, queste altre regioni sono turisticamente maggiormente attrattive. In particolare lo sono le regioni urbane che conoscono attualmente i tassi di aumento maggiori dei flussi turistici, pur essendo, nel medesimo tempo, le regioni nelle quali si concentra la maggiore offerta di camere Airbnb. In altre parole, nelle regioni di grande attrattiva turistica l’aumento dell’offerta di letti Airbnb non ha influenzato negativamente i pernottamenti in albergo. A Zurigo, anzi, l’offerta di letti in albergo continua ad aumentare. Nei prossimi anni si prevede addirittura di crearne ancora 3000. L’offerta Airbnb sembra così avere un impatto negativo sui pernottamenti in albergo solo nelle regioni di scarsa attrattiva turistica. Ma resta ancora da vedere se è proprio così.

prezzo altissimo. E anche la coalizione di governo corre qualche rischio. Il vincitore è Matteo Salvini. È stato lui a imporre la controriforma delle pensioni, che inverte una tendenza giusta e inevitabile: andare in pensione più tardi. Ora si andrà in pensione prima, con conseguenze nefaste sui conti pubblici: in Italia c’è già troppa gente in pensione, e troppa poca che lavora. Ma la grande vittoria politico-culturale della Lega è una manovra piena di condoni, pensata per il suo elettorato; che però fa a pugni con i proclami lanciati da anni da parte del movimento di Grillo. È normale che, una volta al governo, una forza di protesta versi acqua nel vino delle sue parole-chiave. I Cinque Stelle ne avevano due. La prima è il Vaffa, di cui non abbiamo nostalgia (anche se talora il tic del linguaggio violento e aggressivo ritorna pure dietro le cravatte ministeriali). La seconda è «onestà». Nobile concetto, non proprio onorato da una manovra che consente agli evasori di rientrare in regola versando una frazione del dovuto, o addirittura nulla per le cartelle esattoriali sotto i

mille euro. E i contribuenti che hanno regolarmente pagato? Be’, dovrebbero sapere che il mondo, o almeno l’Italia, è dei furbi, non degli onesti. Perché allora sanzionare chi prenderà il reddito di cittadinanza e lavorerà in nero? C’è qualcuno che crede seriamente alla galera per gli elusori, minacciata da Di Maio? O sono già partiti i cantieri di nuove supercarceri? Si potrebbe obiettare che la «pace fiscale» è solo un dettaglio della manovra, visto che non prevede grandi spostamenti di risorse: è un modo per alleggerire famiglie e piccole imprese vessate dal fisco anche negli anni più bui della crisi; e, beninteso, per acquisire consenso, magari con i soldi dei contribuenti che onesti lo sono davvero. Purtroppo è proprio il consenso il cardine della «Manovra del Popolo», come la chiama Di Maio, che ormai si sente Marat. E il consenso per i populisti continuerà a crescere. Almeno fino a quando i nodi dei conti pubblici e della stagnazione economica non verranno al pettine. La situazione del Paese, infatti, è molto

grave. Il Sud è fermo. Il Nord fatica. In questo strano autunno caldo le città italiane sono state invase da turisti stranieri che girano in bermuda e infradito, come se fossero a Ibiza a luglio. Il turismo è l’unico settore davvero in crescita. Per il resto, l’economia non si è ancora davvero ripresa dalla grande crisi. E spendere di più in assistenzialismo non è il modo giusto per ripartire. L’Europa lo farà notare, bocciando la manovra del governo italiano. Ma in questo modo regalerà ai populisti un’arma in più per la loro campagna elettorale. Juncker e Moscovici sono ormai delegittimati. Salvini irride il presidente della Commissione europea tutti i giorni, dandogli dell’ubriacone. Non è certo un atteggiamento consono all’interesse nazionale; ma è utile alla propaganda; vale a dire l’unica cosa che i dioscuri Salvini-Di Maio sanno fare bene. Prima o poi gli italiani si stuferanno anche di loro, quando vedranno che le promesse impossibili non saranno mantenute. Ma nel frattempo il Paese avrà pagato un prezzo altissimo all’esperimento gialloverde.

dell’Assemblea a New York, presentando dati aggiornati ha annunciato che per il secondo anno consecutivo il numero delle persone denutrite nel mondo è tornato ad aumentare. Sono infatti passate da 784,4 milioni nel 2015 a 804,2 milioni nel 2016 e sono arrivate a 820,8 milioni l’anno scorso. In due anni, 36,4 milioni di persone denutrite in più. Quasi per cercare di sminuire l’impatto di questo fallimento, responsabili dei vari programmi e dirigenti di Fao, Ifad, Pam, Unicef e Oms (tutti acronimi riconducibili all’Onu) hanno voluto precisare che il dato risulta meno impressionante tenendo conto che è aumentata anche la popolazione mondiale. Infatti se nel 2016 gli affamati nel mondo erano il 10,8 per cento della popolazione mondiale nel 2016, sono diventati il 10,9 per cento nel 2017, e quindi lo scarto è di un decimale soltanto. Su questi dati il collega Eugenio Cau de «Il Foglio» ha però voluto effettuare un’analisi un po’ più approfondita, basata su un’operazione

molto semplice: scorporare i dati scendendo nei dettagli sino ad analizzare quelli dei singoli paesi. È così arrivato a una prima interessante deduzione: il numero di denutriti è praticamente aumentato in modo significativo solo nell’Africa subsahariana e in America latina. Inoltre ha potuto appurare che i paesi in cui denutrizione e fame colpiscono di più sono quelli in cui, per ragioni legate alla sicurezza (Africa subsahariana, più i paesi mediorientali in guerra come la Siria e lo Yemen) o per motivi politici (regimi assolutisti), i benefici del libero mercato e della globalizzazione dell’economia non sono riusciti ad arrivare o sono stati semplicemente rigettati. Spingendo l’analisi dei dettagli in profondità ha infine scoperto che in America latina c’è un solo paese in cui il numero di persone affamate è aumentato; il Venezuela. Il disastro sociale in atto in quel disgraziato paese – che, non dimentichiamolo, siede sulle più grandi riserve di petrolio di tutto il mondo – per la

prima volta viene rilevato anche dalla Fao, che però si è preoccupata subito di minimizzarne la portata, preferendo parlare dei dati globali dell’America latina. È assai probabile che si cerchi di nascondere che al Venezuela, da oltre un decennio dominato da una cleptocrazia pseudo-socialista responsabile di una crisi umanitaria drammatica, soltanto tre anni fa era stato assegnato dalla stessa Fao un premio per l’ottimo lavoro svolto nel ridurre la fame nel paese! Un riconoscimento a lungo sventolato dal regime venezuelano come legittimazione a livello internazionale, nonostante tutti già conoscessero i scellerati risultati del «nuovo socialismo» chavista. Ora v’è da sperare che nei prossimi rilevamenti della Fao non si inneggi ancora a un miglioramento nel numero di affamati in Venezuela, visto che due milioni di suoi cittadini sono fuggiti per sopravvivere e ora attendono assistenza e aiuti come profughi in Brasile o in altri paesi dell’America latina.

In&outlet di Aldo Cazzullo Promesse impossibili lavoro, ricchezza, sviluppo; è comprare consenso. La speranza è che il voto della prossima primavera ribalti l’asse che ha retto l’Europa – e la Germania – in questi anni, vale a dire l’alleanza tra popolari e socialisti, per sostituirlo con un accordo tra popolari e populisti. Nell’attesa, l’Italia rischia di pagare un

Keystone

Lo scontro tra l’Italia e l’Europa è destinato a non produrre nulla di buono. Alla maggioranza Lega-Cinque Stelle (nella foto Salvini-Di Maio) non importa molto della crescita, e neppure della manovra. A loro importano solo le elezioni europee del maggio 2019. Lo scopo della manovra non è creare

Zig-Zag di Ovidio Biffi Quell’Onu che non vuol cambiare Ancora una volta settembre, oltre alle passerelle delle «fashion week» di Milano e Parigi, ha vissuto anche la sfilata dei capi di Stato e di governo di tutto il mondo sul palco della sede delle Nazioni Unite di Nuova York. Ancora una volta, seguendo sui media il succedersi dei vari discorsi, è giunta l’ennesima delusione: mai che qualcuno davanti a quel microfono arrivi a dire «Signori, questa organizzazione ormai va rifatta da cima a fondo. Mettiamoci al lavoro». Ingenuamente, vedendo sui social media le simpatiche e molto condivise foto del nostro presidente Alain Berset che prende appunti seduto sul bordino di un marciapiede di New York, con zainetto accanto come un semplice studentello, ho sperato che potesse essere lui a trovare il coraggio di una denuncia. Invece anch’egli ha preferito pigiare sul tasto del multilateralismo, emulando Macron nell’evidenziare i pericoli collegati a disaccordi e protezionismi, per concludere con queste parole: «Il mondo non deve seguire le regole del

gioco a somma zero. Deve invece essere un gioco a somma positiva, nel quale la cooperazione rende tutti vincitori». Intanto però l’organizzazione creata dopo la Seconda guerra mondiale continuerà a nascondere sotto il tappeto della vetustà l’incapacità ormai cronica di affrontare i problemi prima che questi diventino tragedie, con migliaia di morti, milioni di profughi, miliardi di danni da assegnare. Se il mondo vede ogni anno spegnersi in tanti paesi la luce della speranza, la colpa non è solo dei governi: è anche di questa organizzazione, in particolare delle sue ipertrofiche emanazioni sempre meno disposte a liberarsi dai legacci della politica e ad attivarsi per concretamente soccorrere chi soffre o aiutare chi ha bisogno senza distinzioni ideologiche. La lunga premessa era necessaria per introdurre un esempio concreto di questa crisi dell’Onu che riguarda la sua attività volta a debellare la fame nel mondo. Proprio nei giorni immediatamente precedenti la sessione plenaria


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Cultura e Spettacoli Al LAC con OSI e «Azione» A partire da questo numero «Azione» metterà regolarmente in palio dei biglietti per i concerti dell’Orchestra della Svizzera italiana pagina 35

Piazzaparola al femminile Le donne che leggono sono davvero pericolose? Risponderanno a questa domanda le numerose ospiti dell’edizione di quest’anno del festival luganese

L’arte di Rosetsu Al Rietberg di Zurigo una mostra meravigliosa propone le opere d’arte di un pittore giapponese del Settecento

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Il re dei gatti Mostre Balthus alla Fondation Beyeler

di Basilea

Gianluigi Bellei Il re dei gatti è Balthus. Nome d’arte di Balthasar Klossowski de Rola nato a Parigi il 29 febbraio 1908. Così si definisce in un autoritratto del 1935. Più precisamente il titolo esatto è A portrait of H.M. The King of cats painted by himself (dove per H.M. intende sua maestà). Il dipinto è ora in mostra alla Fondation Beyeler di Basilea che dedica all’artista un’intensa retrospettiva. Qui si ritrae con vestiti molto attillati, la mano destra sui fianchi, quella sinistra attaccata alla giacca, le gambe lunghissime e il volto serio, un po’ imbronciato. In primo piano un grosso gatto sornione che si struscia sui pantaloni. I gatti sono la sua passione e qua e là fanno spesso capolino nei suoi dipinti. Forse Balthus si identifica con loro: aristocratici, indipendenti, fieri, solitari. L’amicizia di un gatto è preziosa perché sa riconoscere un suo simile e lo tratta da pari. Questo suo amore lo identifica come un artista fuori dagli schemi, fuori dalle avanguardie che oggi sono sinonimo di conservazione. Lui, invece, il massimo concentrato di restaurazione, sia nei modi che nell’arte, appare come il vero rivoluzionario. Il nonno materno era compositore per la sinagoga di Breslavia. Lo zio materno, tale Spiro, sposato con l’attrice Tilla Durieux, ritratta da Max Oppenheim come Giocasta e infine «intima» di Rosa Luxemburg. Alberto Arbasino racconta che quando Balthus era direttore di Villa Medici a Roma «si presentava come un leggendario maître d’hôtel celebrato da Proust perché più aristocratico dei suoi signori». Un dandy fuori da ogni contesto sociale, singolare in ogni aspetto. Sembra che tagliasse l’insalata a piccoli quadrettini prima di mangiarla. I suoi punti di riferimento estetici sono Piero della Francesca e, soprattutto, Masaccio. I dipinti che ne risultano sono composti da colori terrosi, sporchi; le figure appaiono immobili e

ieratiche, come sospese in un universo irreale. Certo le proporzioni delle persone non sono quelle canoniche e le forme femminili non sono di una bellezza classica: i volti fissi, immobili, le gambe tozze a colonna. Ma sono venate di una certa inquietudine intrisa di latente surrealismo e da un ritorno all’ordine. Per tutta la vita (1908-2001) Balthus è andato avanti per la sua strada incurante di ciò che gli accadeva intorno e per tutta la vita, nonostante i riconoscimenti internazionali, è rimasto ai margini della storia dell’arte, costellata da provocazioni sostanziali più che tecniche, di forma più che di metodo, di intenti più che di prassi. L’arte per l’avanguardia del secolo scorso è solo pensiero e la tecnica è annullata, come elemento negativo e inutile. Siamo nel regno dell’intelletto, del «concetto», e l’artista vuole assurgere a intellettuale. Quasi mai ci riesce. Balthus, al contrario, pur con una tecnica e una forma sgrammaticata, entra di diritto nella scia degli artisti pittori che con le sue provocazioni (almeno così ad alcuni paiono) rivoluziona la recente storia dell’arte. Certo di lui si scrive solo per la sua presunta morbosità e i suoi lavori si osservano con l’occhio viziato dal peccato. Recentemente un suo Thérèse rêvant del 1938, ricoverato al Metropolitan Museum of Art di New York e ora in mostra a Basilea, è salito agli onori della cronaca per una petizione fantasiosa che ne richiedeva la rimozione o la ricollocazione in un nuovo contesto per via della sua forte carica erotica o per meglio dire per il suo incitamento alla pedofilia. Si sa, viviamo in un mondo pieno di neopuritanesimo, dove tutto viene rimesso in discussione e qualche anima bella in odore di politicamente corretto si sofferma su questioni inesistenti mentre ci sono uomini che sgozzano altri uomini. Scrive l’artista: «I miei dipinti, che trattino adolescenti o siano paesaggi, sono dominati da una stessa idea… il risveglio della vita. Perché ci sia vita, è

Di Balthus, Thérèse, 1938, The Metropolitan Museum of Art, New York, eredità Mr. e Mrs. Allan D. Emil, in onore di William S. Lieberman, 1987. (© Balthus Foto: © 2018. Digital image, The Museum of Modern Art, New York / Scala, Firenze)

necessario che ci sia il desiderio amoroso». Antonin Artaud, per il quale Balthus progetta scenari e costumi per Les Cenci, scrive in occasione della prima personale dell’artista alla Galerie Pierre di Parigi del 1934: «Il nudo ha qualcosa di secco, di duro, di esattamente riempito, e anche di crudele, bisogna dirlo. Invita all’amore ma non dissimula i suoi pericoli. Quanto alla poesia essa entra nella pittura di Balthus a mezzo di una tela intitolata La Toilette de Cathy dove il corpo giovane e amoroso di una donna si impone come un sogno». La donna ha il volto da sfinge, il sesso ben marcato e i seni divaricati. È comunque l’ambiguità la cifra caratterizzante dei suoi lavori. Ne La rue del 1933 troviamo diversi personaggi: dalla bambina che gioca alla mamma con il pargolo in braccio, all’operaio con un pezzo di legno sulle spalle. Ma è sulla sinistra che un uomo, fra la generale indifferenza, avvicina una

ragazza. Un incidente, un inciampo o come sostengono i malevoli un tentativo di stupro in strada? La sintesi del suo lavoro si trova in una delle ultime opere in mostra: Le Chat au miroir III del 1989-1994. Qui una giovane ragazza seduta su un sofà porge uno specchio al gatto di fronte che si guarda. Il suo mondo trova così una sintesi fra bellezza femminile e bellezza animale, fra seduzione e verità, fra mondo reale e mondo immaginario. Le due figure, simbolo dell’indipendenza e del desiderio, si fondono come in una fiaba per «vecchi bambini». La mostra di Basilea non è ovviamente esaustiva come quella curata da Jean Clair a Palazzo Grassi di Venezia nel 2002, che proponeva circa 200 opere delle 350 dipinte dall’artista, ma vale comunque la pena di visitarla. Le opere esposte sono 40 e ripercorrono tutte le stagioni creative di Balthus dal 1928 agli anni Novanta. Realizzata in

collaborazione con il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid, dove si sposterà agli inizi del prossimo anno, vanta una serie di prestiti internazionali da musei come il Metropolitan Museum of Art e il Museum of Modern Art di New York, il Centre Pompidou di Parigi e la Tate di Londra. Nelle sale sono presenti dei mediatori artistici per eventuali informazioni o dubbi e in un pannello apposito, posizionato nel lungo corridoio vetrato che dà sul giardino, si possono lasciare dei commenti sulla cartolina argentata prestampata con la domanda: Cosa ti affascina, irrita o sorprende nelle opere di Balthus? Dove e quando

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Cultura e Spettacoli

Quattro personaggi che dicono ciò che tacciono In scena Una commedia di Florian Zeller, autore francese di grande successo

Giovanni Fattorini Con la locuzione avverbiale «a parte» – come si legge in una voce dell’Enciclopedia dello spettacolo firmata da Silvio D’Amico – «si sogliono designare le parole che il personaggio d’un dramma pronuncia durante un dialogo non già rivolgendole agl’interlocutori, ma dicendole “fra sé”, ossia, in pratica, rivolgendole al pubblico, per fargli conoscere il suo intimo pensiero, non confessato agli altri personaggi. Gli a. p. sono solitamente indicati da apposita didascalia, oppure messi, nel testo, tra parentesi». Bandito dai drammaturghi naturalisti al pari del monologo, l’a parte è ricomparso nelle opere di alcuni autori novecenteschi, e marcatamente nel monumentale Strano interludio di Eugene O’Neill, ridondante dramma in nove atti di cui Luca Ronconi, nel 1990, dopo opportuni sfrondamenti, curò un’affascinante messinscena della durata di cinque ore e mezza. Più che dall’inusuale lunghezza del testo, la singolarità di Strano interludio deriva dal particolare procedimento con cui sono stati costruiti i dialoghi, e cioè dal costante alternarsi di parole dette e parole pensate, ovvero di battute che un personaggio rivolge ad altri personaggi e battute dette tra sé ma pronunciate ad alta voce, con effetti, a volte, di arduo contrappunto, che all’epoca della prima rappresentazione (New York, 1928) suscitò grande scalpore. Quasi novant’anni dopo i nove atti di Strano interludio, un uso particolarmente (ma non ugualmente) abbondante dell’a parte lo ritroviamo nei due atti di A testa in giù (L’envers du décor, 2016), commedia di Florian Zeller, narratore e drammaturgo francese (Parigi, 1979), autore di cinque romanzi e dodici testi teatrali, tra cui il premiatissimo Il padre (Le père, 2012), che il prossimo gennaio approderà al Manzoni di Milano con la regia di Piero Maccarinelli.

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Emilio Solfrizzi e Paola Minaccioni sulla locandina della pièce.

L’azione di A testa in giù (messa in scena per la prima volta da Daniel Auteuil, che ne ha diretto una trasposizione cinematografica intitolata Amoureux de ma femme, in italiano: Sogno di una notte di mezza età) si svolge nell’arco di poche ore in casa di Daniel (un editore sulla cinquantina) e di sua moglie Isabelle (insegnante e giornalista). Fin dalla prima scena il loro rapporto mostra chiari segni di logoramento ed è subito evidente che il carattere forte è quello di Isabelle. Quando Daniel, timorosamente, le comunica di aver invitato a cena il suo migliore amico, Patrick, insieme alla nuova e non ancora vista compagna Emma, Isabelle dà sfogo al proprio disappunto: non perdona a Patrick di aver lasciato la moglie per una donna molto più giovane. Nel corso della serata, mentre l’atteggiamento di Isabelle nei confronti degli invitati (Emma è molto bella e Patrick si dichiara felice del passo compiuto) non può certo dirsi cordiale (ma a un certo punto sembra ammorbidirsi), il turbamen-

to di Daniel si fa sempre più profondo (è lui il personaggio più articolato della pièce, diciamo pure il protagonista). Attraverso gli a parte, vengono allo scoperto le sue frustrazioni, i risentimenti, le fantasie erotiche, il tedio della routine domestica, i propositi velleitari di rifarsi una vita, i pavidi ripiegamenti. Commedia senza trama, A testa in giù sviluppa – principalmente sul piano psicologico – la poco originale situazione di partenza grazie all’uso quantitativamente abnorme di una convenzione teatrale (l’artificio dell’a parte, cioè del dire i pensieri che nella realtà si tacciono), con effetti di smascheramento di volta in volta comici, scontati, cinici, patetici o ammiccanti che in varia misura rivelano l’envers du décor (il rovescio della medaglia). Come è facile immaginare, una commedia i cui dialoghi si sviluppano attraverso il continuo alternarsi di battute rivolte a un interlocutore e battute dette tra sé (ma pronunciate in modo che lo spettatore le possa udire

chiaramente) pone a chi voglia curarne la messinscena non pochi problemi di ritmo dell’azione e di espressività corporea degli interpreti. Tranne che in alcuni passaggi dove si ritrovano fastidiosi cliché recitativi da commedia «brillante» (specie per quanto riguarda i gesti e i movimenti), Gioele Dix ha ben concertato le prestazioni degli attori, tre dei quali danno corpo e voce ad altrettanti personaggi di poco spessore: la rigida Isabelle (Paola Minaccioni), la bella e quasi sempre sorridente Emma (Viviana Altieri), il «rinato» Patrick (Bruno Armando). Emilio Solfrizzi interpreta brillantemente (a volte però con qualche sottolineatura di troppo) il personaggio psicologicamente meglio tratteggiato di una pièce boulevardière che non è destinata a durare nei secoli. Dove e quando

Milano, Teatro Manzoni, fino al 28 ottobre; Lugano, LAC, 5 e 6 novembre.

Una festa per il teatro di figura e le sorprese dell’arte circense Spettacoli L’incanto di storie fantastiche nelle rappresentazioni del Teatro Dimitri

e del Festival Internazionale delle Marionette Giorgio Thoeni Teatro di animazione, marionette mosse da fili, burattini che nascono da sapienti e misteriose mani inguantate, ombre magicamente distribuite su un telo... tutto ciò e molto altro ancora alla 36esima edizione del Festival Internazionale delle Marionette sostenuto dal Percento culturale di Migros Ticino e diretto dall’indomito e sempreverde Michel Poletti. A quell’uomo dovrebbero fare un monumento, per l’inesauribile passione per il teatro di figura messa in campo per una vita intera. Michel è un esempio ininterrotto di artistico entusiasmo che andrebbe maggiormente riconosciuto. Ma su questo dovrebbero riflettere ai piani alti cantonali e locali mentre vogliamo registrare l’ennesimo successo di una rassegna appena iniziata che occuperà il Teatro Foce di Lugano con 3 rappresentazioni a weekend fino a domenica 4 novembre. Il segreto del festival è nel suo genere di spettacoli, visivi e sensoriali che conquistano grandi e piccini. Soprattutto i piccini: il pubblico più difficile in assoluto. Basta infatti un indugio, una falsa partenza o un ammiccamento di troppo a

Grieg e Dvořák con OSI e «Azione»

Michel Poletti. (www.palco.ch)

far emergere la temuta domanda: «Ma quando finisce?». Per fortuna spesso è solo un contagioso vezzo verbale destinato a soffocarsi con l’accendersi delle luci della ribalta. Bene dunque, laddove emergono scelte oculate che fanno riaffiorare le origini popolari di un genere di spettacolo che oggi ha raggiunto livelli sofisticati di ritmo, di sorprese, con la magia delle luci e delle musiche. Come lo spettacolo d’apertura scelto da Poletti, Skretch di Claudio Cinelli, un maestro eclettico dalla lunga e variegata

esperienza, dà vita a storie fantastiche. La sua rappresentazione, strutturata come un varietà, mostra una galleria di situazioni in cui mani, oggetti, pupazzi, marionette a filo e un pizzico di magia sono protagonisti di istantanee dove trionfano humour noire e soluzioni demenziali dalle venature poetiche. Il regno di Cinelli, gran burattinaio, che opera le sue metamorfosi teatrali sotto gli occhi della platea. Divertente, ipnotico, è uno dei migliori esempi di fantasia multitasking. Il carattere internazionale del festival è stato confermato dal ritorno della compagnia The Fifth Wheel, una coppia di giovani maestri di S. Pietroburgo che ha proposto Wild West, sequenza di marionette a fili in cui prevale il virtuosismo nei cambi, nelle ambientazioni, nella fantasiosa realizzazione di marionette a comparsa. Anche in questo caso è stato un meritato successo. Ma il festival continua e merita di essere seguito. Novità e sorprese al Teatro Dimitri

Il cartellone del Teatro di Verscio va tenuto d’occhio. Il taglio scelto da David Dimitri, incentrato spesso su abilità circensi internazionali, offre infatti spunti

di eccellenza. Come il recente Respire avec piano della compagnia italo-francese Circoncentrique con Alessandro Maida e Maxime Pythoud accompagnati in scena dal pianoforte di Lea Petrasso: 55 minuti di poesia acrobatica di grande suggestione con abat-jours, sfere, palline, gran cerchio e portés acrobatici al limite dell’impossibile per due serate di gran spettacolo virtuoso accompagnato da meritate standing ovation. Le righe conclusive vogliamo dedicarle a La coeurdonnière di Masha Dimitri, creazione che al debutto non convinceva ma che ora, dopo un rimaneggiamento registico di Jean-Martin Roy, sembra aver assunto contorni più definiti che regalano l’atmosfera di una pantomima d’altri tempi. Ottanta minuti di tenuta scenica, nonostante qualche lentezza, per una storia che ha il sapore della poetica dagli sviluppi prevedibili ma aperti all’incanto infantile del clown primordiale. Masha è brava e mostra carattere grazie a una non facile e costante e quasi del tutto silenziosa tenuta scenica nel suo fantasioso atelier di riparazioni per cuori infranti, trafitti o di pietra da rimettere in sesto con l’aiuto di una piccola marionetta.

Da questa settimana a Migros Ticino si può trovare anche la musica classica. Dal vivo, in alta definizione e in alta esecuzione. Il settimanale «Azione» offrirà ai suoi lettori alcuni biglietti per seguire gratuitamente i concerti che la principale istituzione sinfonica ticinese tiene al LAC e nell’Auditorio Stelio Molo. Un’occasione non solo per i tanti appassionati, ma anche per chi abitualmente non frequenta i teatri né ascolta Beethoven e Mozart; un’occasione per «assaggiare» le fragranze di una grande pagina del Classicismo viennese o del pieno Romanticismo nordico, scoprendo l’incredibile varietà di sapori, colori e atmosfere che le sette note riescono a creare. Il concerto dell’OSI di giovedì, diretto da Krzysztof Urbanski, accosta la nona sinfonia Dal Nuovo Mondo di Antonin Dvořák al Concerto per pianoforte in la minore di Edvard Grieg. Dvořák compose la sua sinfonia nel 1893 in America («dal Nuovo Mondo» appunto), dove si era recato per dirigere il conservatorio di New York. Il compositore aveva una passione per i piccioni (ne aveva un allevamento a casa) e un’ossessione per i treni: uno dei suoi passatempi era rilevare tempi di arrivo e partenza dei convogli rimanendo in stazione per ore o costringendo qualche suo allievo a farlo per lui. Dvořák amava profondamente la sua terra, che aveva raccontato in tanti suoi lavori, trasfigurando in note i canti dei contadini, i colori e i panorami. Ma nella sua ultima sinfonia si ispirò alle suggestioni ambientali e musicali dell’America: «Nelle melodie dei neri d’America ho potuto trovare tutto ciò che serve a una grande, nobile scuola musicale (la speranza era che il boemo aiutasse a creare una scuola nazionale americana come stava succedendo in vari Paesi europei, ndr.): sanno essere tenere e appassionate, patetiche e solenni, religiose e vigorose (...) Mi sono sforzato di ricreare lo spirito di queste melodie pur non avendone citata direttamente nemmeno una». Lo si vede in modo straordinario nell’introduzione lenta e nel secondo, poetico movimento, dove il corno inglese intona su un morbido accompagnamento degli strumenti ad arco una melodia che sembra venire da una tribù indiana. Con Grieg invece ci si sposta nel profondo Nord, tra i fiordi e le aurore boreali della Norvegia: il suo Concerto ha un primo e un ultimo movimento infuocati, ma il romanticismo assume un colore più cereo e brunito, più nordico; e il meraviglioso Adagio centrale evoca davvero l’incantato stupore davanti a un’aurora norvegese. Come partecipare

«Azione» offre tre coppie di biglietti per il concerto del 25 ottobre 2018 al LAC di Lugano (ore 20.30); direzione Krzysztof Urbański, pianoforte Jan Lisiecki. Per partecipare all’estrazione basta seguire le istruzioni indicate sulla pagina web www.azione.ch/concorsi

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Cultura e Spettacoli

Quell’esercito di Penelopi

Narrativa Sono numerose le giovani scrittrici italiane recentemente balzate agli onori

della cronaca per opere di qualità

Laura Marzi Il verbo latino «exordior» significa iniziare a tessere: del resto è di dominio pubblico come la metafora della tessitura sia perfetta per la scrittura, in particolare lo è quando si parla di autrici. Le donne nei secoli, almeno a partire dal mito di Penelope, si dedicavano al telaio, alla composizione di tele, le scrittrici compongono delle trame. Le esordienti iniziano a tessere le loro storie e soprattutto le espongono attraverso la pubblicazione all’interno di un panorama, quale per esempio quello dell’editoria italiana, quanto mai denso e affollato, se si pensa che in Italia in media ogni anno vengono editi circa 60’000 libri, senza parlare dei corsi di scrittura, delle scuole, dei laboratori, dei concorsi e chi più ne ha più ne metta. Se i sogni ognuno li riponesse davvero nel cassetto, quelli degli italiani starebbero meglio in una libreria, considerato il numero di aspiranti scrittori e scrittrici. Alcune ce la fanno e può essere interessante comprendere attraverso l’analisi di qualche testo di esordio al femminile quale vento tira nel mondo della letteratura che più contemporanea non si può.

Sono molte le donne che anche in Italia fanno sentire la propria voce attraverso la letteratura Prima si nominavano i premi, ma ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio: checché ne dicano con sprezzo coloro che, per rispetto alla vera, grande letteratura leggono solo romanzi pubblicati prima del 1950, esistono ancora dei riconoscimenti letterari ben organizzati che sanno premiare un testo quando esso per qualità di scrittura o per lo spessore dei personaggi, per la capacità di raccontare davvero a un vasto numero di lettrici e lettori una sto-

ria, si distingue nel mare magnum delle pubblicazioni ogni anno. Fra questi, per esempio, il premio Calvino, che nel 2017 ha riconosciuto all’unanimità nel romanzo edito da Einaudi di Emanuela Canepa L’animale femmina un testo strutturato, compiuto. La protagonista una giovane, infelice, studentessa fuori sede che dal sud Italia e soprattutto da una madre anaffettiva quanto appiccicosa si è trasferita in Veneto, è una personaggia complessa, ma semplice, come sono molte giovani donne capaci di grande resistenza, ma condannate a una vita che non le rende felici, perché pare che il loro destino sia prima di tutto quello di dimostrare che sono abbastanza coraggiose per sopravvivere. Canepa è riuscita con la protagonista Rosita a creare una verità umana, allora. Molto interessante, poi, e di grande attualità, il suo focus sulla realtà di genere, sulla masquerade, per usare un termine della grande Judith Butler, che il maschile e il femminile espongono sulla scena sociale e che in questo tempo di grande attenzione alla questione, invece che attenuarsi, pare aumentare drasticamente. Come se la ricerca della libertà non passasse per la consapevolezza, bensì per l’esasperazione delle caratteristiche che il genere sessuale per definizione impone e dalle quali non si sfugge, neanche aderendo a quello opposto. Di grande interesse sociale anche il libro di esordio di Carolina Orlandi pubblicato da Mondadori, Se tu potessi vedermi ora. Si tratta di un testo che è a metà tra un mémoire e un romanzo d’inchiesta: la giovane autrice racconta infatti dal suo punto di vista il suicidio di David Rossi, il manager della Monte dei Paschi di Siena che pare evidentemente essere stato gettato dalla finestra del suo ufficio più che aver scelto volontariamente di buttarsi giù. Scopriamo leggendo queste pagine le varie tappe di una battaglia legale tuttora in corso per far emergere la verità e che poggia tutta sulle spalle di Carolina, la figlia della moglie di Rossi. Il motore immobile del testo è infatti l’amore e la stima sconfi-

Piazzaparola

Dal 24 al 28 ottobre ritorna il festival letterario luganese

Simona Sala

Dettaglio della copertina di Se tu potessi vedermi ora di Carolina Orlandi, libro dedicato alla misteriosa morte di David Rossi.

nata che l’autrice prova per quest’uomo che non ha sostituito il padre a cui infatti Orlandi fa un ringraziamento molto giusto nelle ultime pagine del testo, ma che è stato un mentore, un modello e l’uomo di casa per molti anni, nonché il grande, sconfinato amore di sua madre. Orlandi ci fa entrare in un fatto di cronaca nera non risparmiandoci giustamente particolari mostruosi di una morte ingiusta, perché il destino non li ha risparmiati a lei. La mostruosità del corpo morto campeggia nel romanzo di esordio di Giorgia Tribuiani, Guasti, edito da Voland: al centro della scena, infatti, al secondo piano di un museo, il corpo plastinato di uno dei fotografi più famosi del mondo, che ha donato i suoi resti alla scienza, conducendo in questo modo la sua compagna Giada, assoluta protagonista del romanzo, nel baratro della follia. Come affrontare il lutto di una persona amata, dell’uomo della propria vita, se il suo corpo è ancora intatto, visibile fino all’ultimo tendine per chiunque sia disposto a pagare un biglietto di ingresso? Non è possibile, e

infatti Giada si ostina ogni giorno a presidiare il piano di quel museo, a parlare con l’uomo adorato che le ha rovinato la vita, privandola di qualsiasi progetto o ambizione, annientati dalla fama di lui, complice il debole della donna per la vita mondana. Agli opposti del personaggio di Giada, della sua ossessività e desiderio di essere sotto i riflettori, anche se non per meriti suoi, Selene, la protagonista di La bellezza dell’attesa di Nicoletta Prestifilippo, pubblicato da Edizioni della Sera. Una giovane contenta del suo lavoro come bidella in una scuola elementare, in dolce attesa di iniziare una storia d’amore col maestro di scuola, che molto probabilmente darà frutti e fiocchi rosa e azzurri. Insomma tra corpi plastinati e amori romanzati il panorama delle esordienti italiane è più che mai vasto e non può che incoraggiare tutte quelle Penelopi che per timore stanno tessendo la loro trama, ma la disfano ogni notte, incredule di fronte all’ipotesi che a realizzarsi sia proprio il loro sogno nel cassetto: un nuovo libro col loro nome sugli scaffali delle librerie.

Biscotti e un pizzico di horror Narrativa Esce per Adelphi l’imperdibile Paranoia della scrittrice

statunitense Shirley Jackson Mariarosa Mancuso Molti sono i luoghi comuni sugli scrittori. Figuriamoci se non esistono luoghi comuni sugli scrittori dell’orrore. Siamo convinti che abbiano avuto un’infanzia piena di paure, per esempio, terrorizzati dal babau sotto il letto. Saremmo disposti a giurare che al primo campeggio estivo senza genitori siano stati oggetto di scherzi paurosi. Immaginiamo che siano scarsi o sprovvisti di senso dell’umorismo: una bella risata, assieme all’indifferenza, toglie il fantasma di torno. Come ben sa il fantasma di Canterville – nel racconto con lo stesso titolo di Oscar Wilde: se lo spettro lascia una macchia di sangue sul tappeto la famiglia di americani che abita il castello inglese entra in azione con il detersivo Pinkerton. I pestiferi gemelli Stars e Stripes sottopongono il poveretto a ogni sorta di angherie. Shirley Jackson, sublime scrittrice dell’orrore che colpisce alla testa – il grado più alto della scala Stephen King: «miro per prima cosa alla testa del lettore, se fallisco miro al cuore, se fallisco di nuovo li colpisco allo stomaco – racconta di aver avuto un’infanzia piacevole, rapida, rilassata». Quando uno dei quattro figli le chiede «viene davvero

nostalgia di casa al campo estivo?» lei ripensa alla sua prima notte fuori casa da sola, e risponde «no, in un modo o nell’altro va sempre tutto bene». Quanto al senso dell’umorismo, ne dà generosa prova in Paranoia, il suo ultimo libro uscito da Adelphi. Oltre a qualche racconto dell’orrore – inedito per i lettori italiani che già conoscono La lotteria e L’incubo di Hill House (dal romanzo è stata tratta una mini-serie ora su Netflix) – contiene i suoi quadretti familiari e le sue opinioni in materia di scrittura e di lettori. Florilegio di florilegi nasconde sotto il titolo da antologia letteraria uno spassoso ritratto del marito, «recensore di libri per mestiere». Era un professore universitario nel Vermont, si occupava di miti e rituali. Da qui deve essere scoccata la scintilla per scrivere La lotteria: un crudele sacrificio officiato in un bel giorno di sole, da famiglie con bambini che somigliavano molto agli antipatici vicini di casa. Cosa ho fatto di male per meritarmi un simile castigo? si chiede Shirley Jackson, convinta che «Nel matrimonio di una ragazza giovane e sana le recensioni di libri non dovrebbero trovare posto». Una donna di buon senso sposa un recensore con la speranza che poi il

Il pericolo di una donna che legge

giovanotto trovi un lavoro migliore, per esempio venditore di aspirapolvere. Invece il suo consorte è sempre lì, circondato da pile di romanzi-mattone, che passa alla consorte perché li legga (salvo poi scrivere nella recensione le opinioni della lettrice a cottimo). Anche il linguaggio ha i suoi vizi. Guai a scrivere «bello», meglio «altamente leggibile», seguito da una serie di aggettivi multifunzione: il preferito dal consorte è «suggestivo» – «riconoscerei una sua recensione a 50 metri di distanza», garantisce. Recensisci oggi e recensisci domani, il critico si convince di essere un artista, e si guarda in giro cercando applausi tutti per lui. Shirley Jackson scriveva nel tempo avanzato dopo aver messo in ordine la casa, fatto la spesa, preparato la cena e lavato i piatti. Nella postfazione a Paranoia i figli Laurence e Sarah confermano: «gli articoli e i racconti li abbiamo letteralmente sentiti nascere», e ricordano la mamma che prendeva appunti in cucina mentre cuoceva i biscotti al cioccolato. Molti decenni dopo la morte della scrittrice (nel 1965, aveva 48 anni), Laurence trovò davanti alla porta di casa una scatola senza l’indirizzo del mittente. Dentro c’erano altri manoscritti del-

Shirley Jackson è morta a soli 48 anni. (Wikipedia)

la madre, fogli di carta gialla con i caratteri della macchina per scrivere Royal. Un’altra bella storia di fantasmi, che spinse i figli a cercare altri inediti nelle quaranta scatole donate dal padre alla biblioteca del congresso di Washington. Senza questi inediti non avremmo scoperto la passione di Shirley Jackson per le case, anche non abitate da fantasmi. Né le sue fissazioni quando trafficava in cucina: bicchieri del servizio buono che si pavoneggiano, le forchette di servizio che «sono follemente gelose l’una dell’altra», i timidi strofinacci (ma basta afferrarne uno perché i mobili e i pavimenti gioiscano), «la piastra per le cialde che, se non viene tenuta sotto controllo, tenta di strangolare il tostapane». Né il suo odio per gli insegnanti che davano le tesine su di lei: «le maestre di tutto il mondo dovranno pagare per tutto il male che fanno agli scrittori».

Come da tradizione, anche quest’anno Piazzaparola ha deciso di mettere al centro del festival (giunto ormai all’ottava edizione) un personaggio letterario. E forse ad oggi è il personaggio (o forse dovremmo dire, la personaggia?) più in linea con i tempi che stiamo vivendo: si tratta infatti della Madame Bovary dell’omonimo romanzo di Gustave Flaubert, definita un’«eroina romantica per eccellenza». In fondo, per capire la recente ondata di rivendicazioni femminili che ha toccato un po’ tutto il mondo, è utile compiere un salto nel passato, nell’800 per l’esattezza, al fine di ritrovare le origini di quel processo di liberazione che sta gradualmente (ciò è perlomeno auspicabile) portando all’agognata parità tra sessi in tutti i campi. A Piazzaparola anche quest’anno non mancheranno appuntamenti musicali, cinematografici ed espositivi, ma a farla da padrona saranno senza dubbio le numerose e notevoli ospiti attese ad animare la kermesse. Lo sguardo è a 360° gradi, si dedica infatti attenzione alla produzione letteraria elvetica (con Eveline Hasler, Leta Semadeni, Simone Müller, Noëlle Revaz e Noëmi Lerch), per poi estendere l’attenzione all’Italia, Paese con cui condividiamo la nostra modalità espressiva. Ospiti di Piazzaparola saranno le scrittrici Daria Galateria, Marta Morazzoni, Dacia Maraini, Sandra Petrignani, Isabella Bossi Fedrigotti, Patrizia Valduga, Rosa Teruzzi, Daniela Di Sora e Alessia Gazzola. Incontrerà il pubblico anche Silvia Vegetti Finzi, che da molti anni tiene una rubrica su «Azione». Ma la presenza femminile non è ormai più da cercarsi solamente davanti alle pagine di un libro, bensì anche dietro: lo dimostrano due brave editrici come Emilia Lodigiani di Iperborea e Daniela di Sora di Voland, forse in qualche modo figlie di quella compianta Inge Feltrinelli scomparsa di recente e che ha segnato la storia letteraria del Belpaese; a lei verrà offerto un omaggio attraverso la proiezione del documentario di Luca Scarzella e di Simonetta Fiori. Per par condicio sarà rappresentata anche l’altra parte del cielo grazie alle presenze di Andrea Fazioli, Alberto Mario Banti e Paolo Di Paolo. Dove e quando

PiazzaParola 2018. Emma Bovary e le altre. Le donne che leggono sono pericolose. Lugano, LAC, 24-28 ottobre 2018. Per informazioni: www.luganolac.ch/it/piazzaparola In collaborazione con

La locandina di PiazzaParola.


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Cultura e Spettacoli

Rosetsu, anticonformismo e originalità nel Giappone del ’700

Mostre Il Museo Rietberg di Zurigo propone un’esposizione eccezionale grazie al prestito di opere d’arte

considerate «tesori nazionali» del patrimonio artistico nipponico

Marco Horat Due tigri si contendono il titolo di superstar a quattro zampe della pittura giapponese: la piccola e dinoccolata Vecchia tigre nella neve di Hokusai e quella quasi altrettanto celebre dovuta al pennello di Nagasawa Rosetsu che con un balzo felino sembra uscire dalla parete per andare incontro al visitatore. Quest’ultima è al centro della eccezionale mostra attualmente aperta nella ariosa sala sotterranea del Museo Rietberg di Zurigo, dove è stato ricostituito lo spazio architettonico del tempio Muryoji vicino a Kyoto dal quale proviene unitamente ad altri capolavori del maestro vissuto tra il 1754 e il 1799. L’aggettivo eccezionale è usato a proposito: per la prima volta da più di duecento anni infatti le 48 pitture di grandi dimensioni che decoravano in origine le pareti e i pannelli scorrevoli che davano accesso ai locali interni del tempio (oggi sostituite con copie, mentre gli originali erano conservati in un annesso museo) hanno lasciato il Giappone. «Il museo del tempio Muryoji – mi racconta Elena DelCarlo, responsabile della comunicazione del Rietberg – è in fase di ristrutturazione e così i curatori Khanh Trinh, conservatrice delle nostre collezioni d’arte giappo-

nese e coreana, insieme a Matthew McKelway della Columbia University, sono riusciti ad ottenere in via del tutto eccezionale dall’Agenzia per gli Affari culturali del governo giapponese, il permesso di portare questi tesori a Zurigo; per sole otto settimane poiché le opere, considerate “tesori nazionali”, non possono essere esposte al pubblico per più di sessanta giorni vista la loro fragilità». Dopo di che non sarà più possibile vederli se non saltuariamente a Kyoto ma comunque non in un allestimento a tre dimensioni come a Zurigo e non insieme ai capolavori prestati da altri templi zen, musei famosi come il Metropolitan di New York, musei tedeschi, collezionisti privati o già di proprietà del Rietberg; per un totale di oltre sessanta opere. Non ci sono infatti solo la monumentale tigre e il dragone che gli fa da pendant – sembra dipinti in una sola notte del 1786, in un impeto creativo simile a quello del Cellini quando fuse nel bronzo il suo Perseo – ma tutte le pitture spesso a sfondo simbolico che costituivano la decorazione del tempio, tracciate su ampie superfici che accoglievano i visitatori e li invitavano alla riflessione; oppure dipinte sui classici rotoli. Inoltre composizioni a inchiostro o a colori di grandi e piccole dimensioni (compresa

una miniatura di poco più di 3 centimetri di lato con cinquecento profili di arath buddhisti) tracciate col pennello ma anche usando le dita, su fondi dorati o su carta bagnata dove il vuoto, che l’artista utilizza sapientemente per avvolgere i personaggi ritratti, le figure di animali o gli straordinari paesaggi naturali, gioca un ruolo fondamentale e ci colpisce per la sua modernità. Un artista estroso quanto completo, eccentrico e innovatore malgrado sia morto in giovane età, che partito dalla pittura tradizionale del maestro Maruyama Okyo legata al mondo del Buddhismo Zen, ha poi percorso con furia, leggerezza, humor e molta poesia, strade originali che lo hanno portato a essere uno degli artisti più richiesti da parte del clero buddhista e dei ricchi mercanti del Giappone del ’700. Un ricco catalogo come pure una serie di occasioni culturali e ricreative accompagnano la mostra che chiude il 4 novembre. Dove e quando

Rosetsu. Fantastische Bilderwelt aus Japan, Museum Rietberg, Zurigo. Orari ma-ve-sa 10.00-17.00; me-gio 10.00-20.00; do 10.00-18.00; lunedì chiuso. Fino al 4 novembre 2018. www.rietberg.ch

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Idee e acquisti per la settimana

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Minestrone bio: naturalmente buono

Attualità Grazie ai prodotti Migros bio svizzeri si soddisfano davvero i gusti

di tutti i commensali. Inoltre, scegliendo articoli locali si sostiene l’agricoltura indigena che lavora in sintonia con la natura. Questa settimana vi suggeriamo di assaggiare il nostro minestrone bio Quando le temperature cominciano ad abbassarsi, non c’è niente di più nutriente e gustoso che portare in tavolo un bel minestrone fumante. Piatto leggero, facilmente digeribile e sano per eccellenza, un ottimo minestrone è solitamente composto da legumi secchi o freschi, patate, zucca, pasta o riso, e naturalmente una ricca e aromatica varietà di verdure fresche come elemento base. Servito come antipasto, piatto principale oppure per riscaldare lo stomaco dopo una lunga giornata, il minestrone apporta velocemente una sensazione di sazietà, corroborando al contempo il nostro organismo. Il nostro minestrone bio contiene verdure coltivate in Svizzera secondo i severi criteri di Bio Suisse. La vaschetta è composta da una miscela di ortaggi già tagliati pronti per essere solo cucinati e arricchiti a piacimento, nella fattispecie verza, carote, sedano a coste, porro e borlotti. Una volta preparato, il minestrone può essere conservato alcuni giorni in frigorifero, oppure fino a quattro mesi nel congelatore: in questo modo potrete portare in tavola un piatto veloce e sano, riscaldato in pochissimi minuti. Ecco come preparare un minestrone gustoso e completo: sciacquare sotto l’acqua corrente la miscela di verdure bio per minestrone. In una pentola con bordi alti soffriggere in un po’ d’olio qualche dadino di pancetta. Unire dell’aglio e della cipolla tritati, aggiungere le verdure, qualche patata e continuare la rosolatura per qualche minuto. Bagnare con del brodo fino a coprire le verdure e lasciare sobbollire per ca. 20 minuti. Aggiungere della pasta secca (p. es spaghetti spezzettati, pennette o maccheroni) e completare la cottura per ancora 10 minuti. Condire con sale e pepe e servire il minestrone cosparso di prezzemolo tritato fresco e una spolverata di parmigiano.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Idee e acquisti per la settimana

Settimane vallesane

Attualità Fino al 3 novembre a Migros Ticino vi aspettano deliziosi salumi

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Carne secca vallesana d’Hérens Fleury* 100 g Fr. 11.20

Carne secca vallesana IGP Fleury* 100 g Fr. 10.70

Il Vallese è conosciuto non solo per i suoi paesaggi mozzafiato, ma anche per le molte specialità enogastronomiche. Tra queste, figurano pure i salumi. Il marchio Fleury, nei pressi di Sierre, è fin dagli anni Sessanta sinonimo di prelibatezze di carne secca di grande qualità. Grazie alla loro preparazione artigianale e alla perfetta stagionatura all’aria secca e profumata del Vallese, conquistano il palato di grandi e piccoli buongustai. Dalla salsiccia alla carne secca, dal prosciutto crudo alla pancetta piana, le specialità sono tutte prodotte partendo da carni bovine e suine di origine rigorosamente svizzera, lavorate con cura secondo le ricette originali di Gabriel Fleury. Vere chicche, sono poi la carne secca e la salsiccia prodotte con carne di bovini di razza Hérens, la razza indigena dal manto nero originaria dell’omonima valle. Questi animali si caratterizzano per la loro natura montanara e per il temperamento vivace e bellicoso. In primavera, durante la salita all’alpe, le mucche ingaggiano tra di loro duelli a colpi di corna per puro istinto. Da questa inclinazione è così nata la celeberrima «battaglia delle regine». La loro carne, delicatamente marmorizzata e saporita, permette di ottenere specialità eccelse della cucina vallesana.

Prosciutto crudo vallesano IGP Fleury* 100 g Fr. 6.30

Pancetta piana vallesana IGP Fleury* 100 g Fr. 5.20

Salsiccia vallesana d’Hérens Fleury* 165 g Fr. 7.40 *Nelle maggiori filiali

Zucca Halloween da intagliare non commestibile al pezzo Fr. 6.90 Nelle filiali di S. Antonino, Locarno, Serfontana, Lugano e Biasca

Halloween da paura! Si avvicina la notte più terrificante dell’anno: il 31 ottobre si celebra la festa di Halloween. Al calar del sole bimbi travestiti da vampiri, streghe, fantasmi e mostri andranno di porta in porta a reclamare dolci e caramelle al motto di «Dolcetto o scherzetto?». Coloro che si rifiuteranno di elargire dolcetti, subiranno qualche scherzo indesiderato. Altro simbolo per eccellenza di Halloween, è ovviamente la zucca intagliata dalla faccia spaventosa, che si trasforma in una lanterna inserendo al suo interno una candelina. Migros si è preparata per l’occasione e offre alla clientela articoli a tema come zucche da intagliare, golosi dolcetti e altre originali idee che renderanno la festa indimenticabile. Ma non finisce qui: settimana prossima, dal 29 ottobre al 3 novembre, il Centro Migros S. Antonino ospiterà un laboratorio creativo e un’area giochi per bambini interamente dedicati a Halloween. Assolutamente da non perdere!

Zucca o fantasmino Halloween con sorpresa Fr. 9.90

Moretti Halloween 2 pezzi Fr. 4.90


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

43

Idee e acquisti per la settimana

La mia scelta quotidiana

1

2

Novità Nuove fresche bontà

5

si aggiungono al già ricco e apprezzato assortimento Migros Daily 6 Le novità Migros Daily: 1 Antipasto al prosciutto e fichi 180 g Fr. 6.60

3

2 Birchermüesli alla prugna

310 g Fr. 4.90 3 Insalata al radicchio e taralli 270 g Fr. 4.90 4 Spinacine e parmigiano 160 g Fr. 6.– 5 Insalata di quinoa e edamame 240 g Fr. 5.80 6 Tramezzino integrale alla bresaola 200 g Fr. 5.20 7 Bretzel al cotto 245 g Fr. 5.90

7

8 Focaccina speck e zola 230 g Fr. 6.50

studiopagi.ch

Freschezza, gustosità e praticità sono gli inconfondibili segni distintivi di Migros Daily, l’ampio e variegato assortimento di prodotti pronti al consumo per chi va di fretta, ma non solo. Ispirate alle abitudini alimentari più trendy, queste specialità sono preparate quotidianamente con cura e savoir-faire utilizzando ingredienti di prima scelta. Che si tratti di insalate, panini, menu caldi, müesli, succhi, pizze, torte salate, prodotti vegan o vegetariani… ognuno troverà la pietanza adatta ai propri gusti ed esigenze. Infine, segnaliamo che l’assortimento Migros Daily si è appena arricchito di diverse sfiziose novità.

4

8

L’assortimento Migros Daily è disponibile nelle filiali Migros di S. Antonino, Lugano, Giubiasco, Biasca, Taverne, Pregassona, Arbedo e Bellinzona.

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Novità

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6.90 ARAD Docciacrema 250ml


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Idee e acquisti per la settimana

Noi firmiamo. Noi garantiamo.

M-Industria

Tutti possono partecipare

Il mitico Ice Tea nasce qui Nel 1909 è stata fondata la Bischofszell Nahrungsmittel AG (Bina). A quel tempo produceva frutta secca e altri prodotti essiccati. Fecero seguito i piselli in scatola e il latte condensato.

Poiché Migros appartiene alla gente, i clienti contribuiscono a sviluppare nuovi prodotti. Su IceTeaBeats.ch, presentato da Migipedia, sono pubblicate le proposte di abbinamenti per i nuovi Ice Tea della Migros. Dal caffè, passando dai petali di rose e fino al frutto del drago, la pitaya: la lista dei possibili ingredienti è lunga Testo Melanie Michael, Foto Joshua Amissah

Dal 1945 l’azienda è parte dell’industria Migros. Nel 1984 inizia la produzione dell‘Ice Tea nel cartone (Tetra Pak). In Svizzera nessuna altro tè freddo è stato bevuto in così grandi quantità quanto il mitico Ice Tea. Il gusto più apprezzato è il risultato di una particolare ricetta e di uno speciale processo di infusione, entrambi rimasti invariati da oltre 30 anni.

Jenny (20), Winterthur Il mio abbinamento di aromi: tè bianco con menta, petali di rosa, frutto della passione e frutto del drago Il nome della mia creazione: Ferme les yeux Jérôme (19), Andelfingen ZH Il mio abbinamento di aromi: mate con sambuco, menta, limone e rabarbaro

Oggi Bina è uno dei principali fabbricanti di prodotti convenience e a base di frutta, così come di cibi pronti e bevande per il commercio al dettaglio, l’industria, i grandi consumatori e l’esportazione.

Il nome della mia creazione: Avventura

«Il sambuco mi ricorda i miei nonni: quando a suo tempo andavo in visita da loro veniva sempre servito lo sciroppo di fiori di sambuco fatto in casa. Uscendo ho invece conosciuto e apprezzato il mate. Il gusto aspro del mate mi ricorda la vita notturna. Il tutto l’ho completato con ingredienti semplici come il limone, la menta, il rabarbaro e il sambuco. È veramente favoloso il fatto che il configuratore abbia generato un video del mio abbinamento di gusti. L’opportunità di portare la propria idea e darle forma, per me significa libertà e pluralità, due importanti componenti della vita».

Sono oltre 1000 i diversi prodotti oggi elaborati dall’azienda. Dalle idee di Jenny, Jérôme e molti altri partecipanti sono stati definiti i vincitori degli abbinamenti di gusti, da cui gli esperti della Bina hanno sviluppato una nuova variante di Ice Tea.

Foto zVg

«La menta facilità la digestione, per questo l’ho considerata nel mio abbinamento. I petali di rosa hanno un buon profumo. Il frutto della passione e quello del drago addolciscono ulteriormente la miscela. Il tè bianco rende svegli e vigili. Trovo sia bello che Migros coinvolga i suoi clienti nello sviluppo di nuovi prodotti e vada così incontro ai loro desideri».

1

2

3

4

5

Avviare il configuratore: richiamare il configuratore su IceTeaBeats.ch.

Definire il tè di base: scegliere una delle cinque varietà di tè, per esempio tè verde, mate o tè di canapa.

Aggiungere ingredienti: tra i 30 ingredienti sceglierne da uno a quattro, che andranno ad aggiungersi al tè di base.

Assegnare un nome al mix di tè freddo: dare un nome alla propria miscela di tè freddo e inoltrarlo online.

Riproduzione del videoclip: per ogni mix di tè freddo su IceTeaBeats.ch viene prodotto un videoclip musicale.

Condividere: scarica il videoclip e condividilo con i tuoi amici, per esempio su Instagram.


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Idee e acquisti per la settimana

Noi firmiamo. Noi garantiamo.

M-Industria

Tutti possono partecipare

Il mitico Ice Tea nasce qui Nel 1909 è stata fondata la Bischofszell Nahrungsmittel AG (Bina). A quel tempo produceva frutta secca e altri prodotti essiccati. Fecero seguito i piselli in scatola e il latte condensato.

Poiché Migros appartiene alla gente, i clienti contribuiscono a sviluppare nuovi prodotti. Su IceTeaBeats.ch, presentato da Migipedia, sono pubblicate le proposte di abbinamenti per i nuovi Ice Tea della Migros. Dal caffè, passando dai petali di rose e fino al frutto del drago, la pitaya: la lista dei possibili ingredienti è lunga Testo Melanie Michael, Foto Joshua Amissah

Dal 1945 l’azienda è parte dell’industria Migros. Nel 1984 inizia la produzione dell‘Ice Tea nel cartone (Tetra Pak). In Svizzera nessuna altro tè freddo è stato bevuto in così grandi quantità quanto il mitico Ice Tea. Il gusto più apprezzato è il risultato di una particolare ricetta e di uno speciale processo di infusione, entrambi rimasti invariati da oltre 30 anni.

Jenny (20), Winterthur Il mio abbinamento di aromi: tè bianco con menta, petali di rosa, frutto della passione e frutto del drago Il nome della mia creazione: Ferme les yeux Jérôme (19), Andelfingen ZH Il mio abbinamento di aromi: mate con sambuco, menta, limone e rabarbaro

Oggi Bina è uno dei principali fabbricanti di prodotti convenience e a base di frutta, così come di cibi pronti e bevande per il commercio al dettaglio, l’industria, i grandi consumatori e l’esportazione.

Il nome della mia creazione: Avventura

«Il sambuco mi ricorda i miei nonni: quando a suo tempo andavo in visita da loro veniva sempre servito lo sciroppo di fiori di sambuco fatto in casa. Uscendo ho invece conosciuto e apprezzato il mate. Il gusto aspro del mate mi ricorda la vita notturna. Il tutto l’ho completato con ingredienti semplici come il limone, la menta, il rabarbaro e il sambuco. È veramente favoloso il fatto che il configuratore abbia generato un video del mio abbinamento di gusti. L’opportunità di portare la propria idea e darle forma, per me significa libertà e pluralità, due importanti componenti della vita».

Sono oltre 1000 i diversi prodotti oggi elaborati dall’azienda. Dalle idee di Jenny, Jérôme e molti altri partecipanti sono stati definiti i vincitori degli abbinamenti di gusti, da cui gli esperti della Bina hanno sviluppato una nuova variante di Ice Tea.

Foto zVg

«La menta facilità la digestione, per questo l’ho considerata nel mio abbinamento. I petali di rosa hanno un buon profumo. Il frutto della passione e quello del drago addolciscono ulteriormente la miscela. Il tè bianco rende svegli e vigili. Trovo sia bello che Migros coinvolga i suoi clienti nello sviluppo di nuovi prodotti e vada così incontro ai loro desideri».

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Avviare il configuratore: richiamare il configuratore su IceTeaBeats.ch.

Definire il tè di base: scegliere una delle cinque varietà di tè, per esempio tè verde, mate o tè di canapa.

Aggiungere ingredienti: tra i 30 ingredienti sceglierne da uno a quattro, che andranno ad aggiungersi al tè di base.

Assegnare un nome al mix di tè freddo: dare un nome alla propria miscela di tè freddo e inoltrarlo online.

Riproduzione del videoclip: per ogni mix di tè freddo su IceTeaBeats.ch viene prodotto un videoclip musicale.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Idee e acquisti per la settimana

Cathedral City

Cheese, please! Quella che in Svizzera si cura fin dalla notte dei tempi, anche i britannici la preservano bene: la tradizione per il formaggio. L’apprezzato formaggio Cheddar della Cornovaglia, del marchio Cathedral City, è ora disponibile come novità anche nelle pratiche monoporzioni, nelle varianti Cheddar maturo, Red Leicester e Double Gloucester. Il formaggio Cheddar si caratterizza per la sua colorazione arancione, la consistenza cremosa e l’aroma intenso. Il formaggio a pasta dura Red Leicester attira l’attenzione grazie al suo colore arancio-rosso e l’inconfondibile gusto. Il Cathedral City viene prodotto secondo un’antica tradizione con latte proveniente da fattorie situate nel verde sudovest dell’Inghilterra.

Cathedral City Mature 200 g Fr. 4.40

Essendo confezionati singolarmente, i bocconcini di formaggio sono pratici non solo a casa, ma anche quando si è in giro.

Foto Christine Benz, Styling Vera Guala

Cathedral City Selection 14 pezzi, 168 g* Fr. 4.90

Cathedral City Mature Sliced 150 g* Fr. 3.60

*Nelle maggiori filiali


Azione

Clementine Spagna, rete da 2 kg

30% Tutti i salami Rapelli Classico e Rustico, affettati e al pezzo Svizzera, per es. Classico in vaschetta maxi, per 100 g, 3.20 invece di 4.60

a par tire da i 2 confezion

20x PUNTI

Tutti i tipi di pasta per biscotti per es. pasta in blocco per stelle alla cannella Anna's Best, 500 g, 3.85

App Migros

3.15 invece di 5.30

Tutto l'assortimento di giocattoli per es. Pauli Furreal, il pappagallo canterino, il pezzo, 83.30 invece di 119.–

4.10 invece di 6.90

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FEBBRE DA STAMPINI CUMULUS

–.60

di riduzione Tutto l’assortimento Blévita a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l'una, per es. al sesamo, 295 g, 2.70 invece di 3.30

Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.10 AL 29.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Prosciutto cotto Italia, affettato in vaschetta da 100 g

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6.60 invece di 9.90 Filetto di manzo Australia, al banco a servizio, per 100 g

50% Tutti i tipi di Aproz in conf. da 6 x 1,5 l per es. Classic, 2.85 invece di 5.70


. to a c r e m l a e m o c a La freschezz 50%

9.90 invece di 19.80 Salmone affumicato dell'Atlantico ASC in conf. speciale d’allevamento, Norvegia, 300 g

40%

33%

1.55 invece di 2.65

9.70 invece di 14.60

Cordon bleu di maiale TerraSuisse per 100 g

25%

2.60 invece di 3.50 Aletta di manzo TerraSuisse Svizzera, imballata, per 100 g

Filetto dorsale di merluzzo MSC pesca, Atlantico nordorientale, 340 g

20%

9.50 invece di 12.– Ossibuchi di maiale Svizzera, imballati, al kg

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.10 AL 29.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

20%

6.30 invece di 7.90 Fettine fesa di vitello fini TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g

conf. da 5

50%

30%

7.35 invece di 14.75

9.40 invece di 13.50

Wienerli M-Classic in conf. da 5 Svizzera, 5 x 4 pezzi, 1 kg

Galletto Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg

30%

6.80 invece di 9.75 Luganighetta Svizzera, in conf. da 2 x 250 g / 500 g

30%

1.50 invece di 2.20 Raccard al naturale in blocco maxi per 100 g

30%

1.40 invece di 2.– Fleischkäse TerraSuisse affettato finemente in conf. speciale per 100 g

20%

1.20 invece di 1.55 Emmentaler dolce per 100 g

25%

2.90 invece di 3.90 Salametti di cavallo prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi / ca. 180 g, per 100 g

15%

2.80 invece di 3.30 Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g


. to a c r e m l a e m o c a La freschezz 50%

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Cordon bleu di maiale TerraSuisse per 100 g

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2.80 invece di 3.30 Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g


20%

33%

2.90 invece di 4.40

1.80 invece di 2.30

Formentino Ticino, imballato, 150 g

35%

4.95 invece di 7.90 Zucca bio a spicchi Svizzera, al kg

conf. da 4

40%

30%

2.20 invece di 3.20 Cavoletti di Bruxelles Svizzera/Paesi Bassi, in sacchetto da 500 g

33%

2.50 invece di 3.80

Pizza M-Classic in conf. da 4 Kiwi per es. del padrone, 4 x 400 g, 12.90 invece di 21.60 Nuova Zelanda, imballati, 500 g Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.10 AL 29.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Avocado Perù, al pezzo

50%

1.20 invece di 2.50 Carote Svizzera, sacchetto, 1 kg

Hit

1.25

Minestrone bio Svizzera, imballato, per 100 g

Hit

7.90

Castagne Italia, rete da 1 kg

40%

2.90 invece di 4.90 Cachi Persimon Spagna, al kg

25%

1.80 invece di 2.40 Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g

20%

11.– invece di 14.– Fondue Swiss-Style Moitié-Moitié in conf. da 800 g

20%

1.80 invece di 2.30 Sbrinz in self-service, per 100 g

50%

3.70 invece di 7.40 Succo d'arancia Anna’s Best 2l


20%

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2.90 invece di 4.40

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Formentino Ticino, imballato, 150 g

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conf. da 4

40%

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2.20 invece di 3.20 Cavoletti di Bruxelles Svizzera/Paesi Bassi, in sacchetto da 500 g

33%

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Pizza M-Classic in conf. da 4 Kiwi per es. del padrone, 4 x 400 g, 12.90 invece di 21.60 Nuova Zelanda, imballati, 500 g Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.10 AL 29.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Avocado Perù, al pezzo

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1.20 invece di 2.50 Carote Svizzera, sacchetto, 1 kg

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1.25

Minestrone bio Svizzera, imballato, per 100 g

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Castagne Italia, rete da 1 kg

40%

2.90 invece di 4.90 Cachi Persimon Spagna, al kg

25%

1.80 invece di 2.40 Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g

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20%

1.80 invece di 2.30 Sbrinz in self-service, per 100 g

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3.70 invece di 7.40 Succo d'arancia Anna’s Best 2l


. à it c li p m e s a tt tu in Risparmiare conf. da 12

20% Tutti gli yogurt Excellence per es. ai truffes, 150 g, –.75 invece di –.95

20%

12.45 invece di 15.60 Latte intero Valflora UHT in conf. da 12 12 x 1 l

a par tire da 2 pe z zi

– .5 0

di riduzione Tutti i tipi di pasta M-Classic a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l'uno, per es. spaghetti, 750 g, 1.65 invece di 2.15

CONSIGLIO

Il camembert è farcito con crema alla doppia panna e mirtilli rossi fatta in casa. Qualche ciuffo di formentino e l’antipasto è servito! Trovate la ricetta su migusto.ch/consigli

20%

4.20 invece di 5.25 Camembert Suisse crémeux 300 g

20% Tutte le millefoglie, 2 pezzi 157 g, 1.75 invece di 2.20

20% Cake della nonna per es. cake alla tirolese, 340 g, 2.85 invece di 3.60

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.10 AL 29.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

conf. da 2

20%

3.90 invece di 4.90 Emmentaler e Le Gruyère grattugiati in conf. da 2 2 x 120 g

– .5 0

di riduzione

2.– invece di 2.50 Rombo chiaro e scuro cotto su pietra, bio per es. scuro, 250 g

conf. da 2

20% Tutto l’assortimento Thai Kitchen, Saitaku e Kikkoman per es. salsa di soja Kikkoman, 500 ml, 4.70 invece di 5.90

a par tire da i 2 confezion

30%

Tutti i filetti Gourmet e i bastoncini di pesce Pelican surgelati, a partire da 2 confezioni, 30% di riduzione

40%

6.85 invece di 11.45 Sminuzzato di pollo M-Classic in conf. da 2 surgelato, 2 x 350 g

40%

14.55 invece di 24.30 Gamberetti tail-on Pelican cotti, in conf. speciale, ASC surgelati, 750 g

20% Tutte le olive Migros e Polli non refrigerate, per es. olive greche bio, 270 g, 2.15 invece di 2.70


. à it c li p m e s a tt tu in Risparmiare conf. da 12

20% Tutti gli yogurt Excellence per es. ai truffes, 150 g, –.75 invece di –.95

20%

12.45 invece di 15.60 Latte intero Valflora UHT in conf. da 12 12 x 1 l

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– .5 0

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CONSIGLIO

Il camembert è farcito con crema alla doppia panna e mirtilli rossi fatta in casa. Qualche ciuffo di formentino e l’antipasto è servito! Trovate la ricetta su migusto.ch/consigli

20%

4.20 invece di 5.25 Camembert Suisse crémeux 300 g

20% Tutte le millefoglie, 2 pezzi 157 g, 1.75 invece di 2.20

20% Cake della nonna per es. cake alla tirolese, 340 g, 2.85 invece di 3.60

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.10 AL 29.10.2018, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

conf. da 2

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3.90 invece di 4.90 Emmentaler e Le Gruyère grattugiati in conf. da 2 2 x 120 g

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2.– invece di 2.50 Rombo chiaro e scuro cotto su pietra, bio per es. scuro, 250 g

conf. da 2

20% Tutto l’assortimento Thai Kitchen, Saitaku e Kikkoman per es. salsa di soja Kikkoman, 500 ml, 4.70 invece di 5.90

a par tire da i 2 confezion

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Tutti i filetti Gourmet e i bastoncini di pesce Pelican surgelati, a partire da 2 confezioni, 30% di riduzione

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6.85 invece di 11.45 Sminuzzato di pollo M-Classic in conf. da 2 surgelato, 2 x 350 g

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14.55 invece di 24.30 Gamberetti tail-on Pelican cotti, in conf. speciale, ASC surgelati, 750 g

20% Tutte le olive Migros e Polli non refrigerate, per es. olive greche bio, 270 g, 2.15 invece di 2.70


conf. da 4

–.60

30%

di riduzione

Nocciole e mandorle macinate M-Classic in conf. speciale 400 g, per es. mandorle, 3.95 invece di 5.70

Diversi tipi di miele in vasetto da 550 g e in flacone squeezer da 500 g per es. miele ai fiori cremoso, 550 g, 5.– invece di 5.60

40%

a par tire da i 2 confezion

20%

6.– invece di 10.– Petit Beurre con cioccolato al latte in conf. da 4 4 x 150 g

Tutto l’assortimento di barrette ai cereali Farmer a partire da 2 confezioni, 20% di riduzione

conf. da 3

Hit

3.50

Zuppe Knorr in conf. da 3 per es. crema di funghi porcini, 3 x 56 g

a par tire da 2 pe z zi

20%

20%

Chips al naturale, alla paprica e Kezz Zweifel in conf. XXL per es. alla paprica, 380 g, 5.95 invece di 7.75

Tutte le vaschette Crème d’or 750 ml o 1000 ml, a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione

conf. da 3

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2018 • N. 43

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Idee e acquisti per la settimana

aha!

Fondente vegano I vegani, i flexitariani e gli individui con intolleranza al lattosio non devono più rinunciare a pietanze quali la raclette e i sufflé. Il formaggio vegetale di lupini aha! è un’alternativa vegana alla classica raclette, che non esclude nessuno dal partecipare a questo tipo di pasto conviviale. La raclette di lupini si prepara facendola fondere come di consueto nell’apposito tegamino. Le opportunità culinarie non si limitano però alla raclette: il sostituto del formaggio senza lattosio e vegano è adatto anche per gratinare. In più non contiene olio di palma, un altro punto a favore dell’alternativa vegetale al formaggio.

Suggerimento

Tagliare il formaggio vegetale di lupini a fette di ca. 5 mm e lasciar fondere nel fornello da raclette. Versare su fettine di patate bollite. Condire a piacimento con anelli di cipolla, pomodorini cherry semi-secchi e cetrioli. Condire con sale, pepe, paprica e un po’ di noce moscata grattugiata.

Il marchio aha! contraddistingue i prodotti particolarmente indicati per chi soffre di allergie o intolleranze.

Parte di

Foto e Styling Veronika Studer

L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.

aha! Lupinen Schmelz 380 g Fr. 9.80

La raclette vegana soddisfa ogni esigenza di occhio e palato. M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche la raclette di lupini aha!


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Idee e acquisti per la settimana

Gomme da masticare all’aroma di lampone Minion 40 g Fr. 2.80

Gomma da masticare

Lampone anziché «bananaaa!»

Illustrazione Anja Ammann, Foto Christine Benz, Styling Vera Guala

Chi conosce gli esuberanti Minion sa che la banana è il loro alimento preferito. Ma è sicuro che a loro piacciono anche le nuove cicche al lampone della Migros. I piccoli personaggi gialli presenti sulla confezione esprimono il loro entusiasmo. La gomma da masticare è amica dei denti e contiene aromi naturali e, come succedaneo dello zucchero, lo xylitolo, ottenuto dalle cortecce di betulla e faggio. Come tutte le gomme da masticare della Migros, anche le cicche Minion sono prodotte da Chocolat Frey SA a Buchs.

Un vivace piacere da masticare: i coloranti delle nuove cicche sono naturali.

In filiali selezionate, negli espositori alle casse

M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le gomme da masticare Minion della Frey.


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Idee e acquisti per la settimana

I am Face

Un momento per me Rilassarsi e prendersi cura di sé stesse. Con le nuove maschere in capsula di I am Face è davvero facile: aprire, applicare e lasciar agire. Esistono sei maschere per sei bisogni cutanei ben specifici

Con argilla e estratto di rosa I am Clarifying Mask Fr. 2.90

La pelle è spenta e stressata? Le nuove maschere apportano freschezza e cura in un tutt’uno. Le maschere al gel e alla crema vanno lasciate agire durante 10-15 minuti, quindi massaggiare ed eliminare il prodotto con una salvietta cosmetica.

Con argilla bianca e estratto di scutellaria I am Purifying Mask Fr. 2.90

Pelle secca o zona T lucida? Per ogni esigenza è disponibile la maschera giusta che si prende cura del viso. Lasciare agire le maschere all’argilla 10-15 minuti fino a quando sono secche. Sciacquare in seguito con dell’acqua tiepida.

Utilizzare preferibilmente le maschere da una a due volte alla settimana. La tollerabilità cutanea è dermatologicamente testata.

Foto Yves Roth

Con burro di karité e miele I am Nourishing Mask Fr. 2.90

Con estratto di tè verde e mentolo I am Refreshing Mask Fr. 2.90


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Idee e acquisti per la settimana

Pulizia delicata per il viso: la pregiata formulazione protegge dalla disidratazione e previene l’irritazione della pelle. Novità Latte detergente pH Balance 200 ml Fr. 4.80

pH Balance

Cura delicata per tutta la famiglia La pelle delicata richiede cure specifiche. Adatti per tutta la famiglia, i prodotti pH Balance detergono delicatamente e aiutano a evitare gli influssi ambientali dannosi. Hanno un pH neutro per la pelle e stabilizzano l’acidità del mantello idrolipidico della pelle. I prodotti si caratterizzano per una composizione particolarmente delicata sulla pelle e sono stati clinicamente testati presso l’Inselspital di Berna.

Cura delicata per pelli e capelli secchi: la formulazione senza sapone è adatta per l’uso quotidiano. Novità 2 in 1 gel doccia e shampoo pH Balance con il 5% di urea 250 ml Fr. 4.90

Idratazione per pelli da secche a molto secche: la crema per il viso aiuta a prevenire la sensazione di tensione della pelle.

24 ore di protezione per le pelli sensibili: la formulazione offre una tangibile azione protettiva e previene la disidratazione della pelle. Novità Deo Roll-on pH Balance senza sali di alluminio 50 ml Fr. 3.50

Illustrazione Corina Vögele

Novità Crema per il viso pH Balance con il 5 % di urea 75 ml Fr. 6.90


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Idee e acquisti per la settimana

Handymatic

Una perfetta lucentezza senza macchie d’acqua

Foto Yves Roth; Styling Miriam Vieli-Goll

In una lavastoviglie trovano spazio tutti i tipi di posate, piatti o ciotole. Grazie all’effetto asciugatura extra delle nuove Handymatic Ultra Shine & Dry All in 1 Caps ogni stoviglia, dal contenitore in plastica fino al piatto in ceramica, esce dalla lavapiatti asciutta e brillante, senza aloni di acqua. Le pratiche capsule, avvolte in una pellicola che si scioglie in acqua, sono una combinazione di polvere e gel e contengono brillantante e sale rigeneratore. Il loro potere sgrassante rimuove anche le macchie di unto più ostinate.

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