Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 11 dicembre 2017
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Società e Territorio Intervista a Lisa Feldman Barrett su come il cervello costruisce le emozioni
Ambiente e Benessere L’importanza di nutrire al seno va insegnata seguendo l’invito dell’OMS che, per la settimana mondiale dell’allattamento materno, quest’anno ha scelto il motto: «L’allattamento – un tema per tutti»
Politica e Economia Come e perché il flusso dei migranti dall’Africa all’Europa è diminuito nel 2017
Cultura e Spettacoli Finalmente è uscita anche in italiano l’autobiografia del celebre comico Harpo Marx
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Gerusalemme, vaso di Pandora
Quando la moda divenne arte
di Peter Schiesser
di Alessia Brughera
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Enrico Gallerie d’Arte Milano
Ciò che nessun presidente statunitense ha osato fare prima di lui, Donald Trump l’ha fatto: riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele e annunciare di volervi insediare l’ambasciata americana, oggi situata a Tel Aviv. Per essere chiari: è la mossa più esplosiva che potesse compiere nel contesto del conflitto fra palestinesi e israeliani, ma anche fra arabi e israeliani, poiché Gerusalemme (Est) è ambita quale capitale di un futuro Stato palestinese sovrano ma è pure, con la Moschea al Aqsa, il terzo luogo più santo dell’Islam. Perché l’ha fatto? Per mantenere una promessa elettorale fatta a cerchie ebraiche americane (viene da più parti citato il re dei casinò Sheldon Adelson, che finanziò la campagna presidenziale di Trump con 25 milioni di dollari) e a gruppi evangelici – così se lo spiegano alcuni commentatori. Ma nessuno riesce a capirne il senso, poiché così facendo Trump si isola totalmente dalla comunità internazionale, anche dagli alleati europei, generando una situazione pericolosa. Gerusalemme è un luogo emotivamente e simbolicamente fra i più carichi al mondo. Nel settembre del 2000 una «innocua» passeggiata dell’allora capo del Likud (all’opposizione) Ariel Sharon sulla Spianata delle moschee fu la scintilla che accese la seconda Intifada, che costò la vita a 3000 palestinesi ma anche a 1000 israeliani. Che cosa pensare? Donald Trump ha voluto assicurare il presidente dell’autonomia palestinese Mahmud Abbas che gli Stati Uniti continueranno a difendere gli interessi dei palestinesi e lo ha invitato alla Casa Bianca (invito declinato): è feroce cinismo o ignoranza della realtà? Perché una cosa è certa: il danno al processo di pace è enorme, nessun palestinese potrà mai accettare che Gerusalemme sia tutta israeliana; e gli estremisti arabi potranno scagliarsi con rinnovato slancio contro gli Stati Uniti. Gerusalemme è sotto controllo israeliano da 50 anni, dalla Guerra dei sei giorni. Ma secondo il diritto internazionale si tratta di un territorio occupato, l’annessione unilaterale di Gerusalemme Est non viene riconosciuta dalla comunità internazionale né dagli Stati Uniti. Motivo per cui, dal 1995, ossia da quando il Congresso americano ha approvato una legge in cui impone al presidente di spostare l’ambasciata a Gerusalemme, Clinton, Bush e Obama hanno firmato ogni sei mesi un decreto di rinvio. Lo ha fatto anche Trump, poco dopo essere entrato in carica, e lo farà ancora almeno una volta, per avere il tempo di dare avvio alla procedura di spostamento dell’ambasciata, processo che a detta di fonti governative durerà alcuni anni (3 o 4, si legge). Ma se anche lo spostamento dell’ambasciata non è «fisicamente» previsto per domani, la sola intenzione pesa come un macigno. Muore così, ancora prima di cominciare, il processo di pace che nell’Amministrazione Trump era stato affidato al genero del presidente, Jared Kushner, fra i consiglieri più stretti e marito di origine ebraica della figlia prediletta, Ivanka? Oppure Trump, dietro al suo agire all’apparenza irrazionale, ha un’agenda politica lucida? Pochi giorni prima dell’annuncio era stata pubblicata dal «New York Times» un’altra notizia sconcertante e preoccupante: il mese scorso, l’erede al trono saudita e uomo forte del regno, principe Mohammed bin Salman, ha convocato a Riad il presidente palestinese Mahmud Abbas per tentare di imporgli un «piano di pace» che più penalizzante di così non si può: uno Stato palestinese discontinuo (ossia disseminato delle attuali colonie ebraiche in Cisgiordania), nessun diritto al ritorno dei profughi palestinesi (fuggiti in occasione della nascita di Israele), capitale ad Abu Dis, un sobborgo di Gerusalemme Est – in caso di assenso lo avrebbero ricoperto di oro, in caso di rifiuto l’Arabia Saudita si sarebbe adoperata per scalzare Abbas dalla presidenza dell’Autonomia palestinese. Il piano ha fatto infuriare Abbas, ma impensierire anche molti attori mediorientali ed europei. Le prossime settimane e i prossimi mesi aiuteranno a capire meglio i contorni e le conseguenze di questo dirompente annuncio del presidente americano. Se c’è un fondamento logico, un piano concreto, una visione per il futuro assetto dei rapporti di Israele con i suoi vicini. Recentemente si era notato un progressivo avvicinamento tra Tel Aviv e Riad, che a sua volta ha stretto ottimi rapporti con l’America di Trump, dopo la freddezza reciproca che ha caratterizzato il secondo mandato di Barack Obama, ma Gerusalemme capitale di Israele è qualcosa difficile da digerire anche per l’Arabia Saudita (pure re Salman ha messo in guardia Trump, inutilmente). Sarà soprattutto importante vedere come reagiranno i palestinesi, fra le cui fila da oltre un anno è in corso una strisciante terza Intifada, caratterizzata da attacchi contro comuni cittadini israeliani, con il coltello o lanciandosi in auto sulla folla. La domanda di fondo è e resta: tutto questo aumenterà o diminuirà la sicurezza, rispettivamente la vulnerabilità dello Stato ebraico?
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Attualità Migros
M Un aiuto che corre sul filo
Campagna natalizia 2017 Il servizio telefonico «Consulenza + Aiuto 147» di Pro Juventute
è un punto di riferimento per giovani e adolescenti in difficoltà Forse non tutti si rendono conto del problema, ma è importante sapere che in Svizzera, oggi, il suicidio è la seconda principale causa di morte per bambini e adolescenti. Una dura realtà controbilanciata però da un altro fatto concreto: ogni giorno almeno due bambini o adolescenti prima di compiere il gesto estremo chiedono aiuto per confidare le proprie difficoltà al numero di telefono «Consulenza + aiuto 147», di Pro Juventute. Per chi lavora in questo servizio certo non è facile sentirsi porre un problema di tale portata. Eppure mantenendo il sangue freddo e aiutando gli interessati a esprimere i dubbi e le sofferenze è possibile spostare l’attenzione sulle risorse positive del singolo
e su sviluppi meno drammatici. Il servizio di Pro Juventute è stato inaugurato nel 1999 e offre una possibilità di contatto sia attraverso il telefono ma anche attraverso un sito Internet. I collaboratori del numero 147 sono quasi settanta, in tutta la Svizzera: sono psicologi, educatori e operatori sociali. La gamma delle domande poste agli operatori è molto ampia, e non sempre di tono drammatico. Uno dei collaboratori ricorda di essere stato contattato una domenica mattina da un bambino di cinque anni che voleva sapere se poteva accendere la televisione mentre i suoi genitori erano ancora a letto a dormire... Al di là da questi esempi divertenti, però, l’impegno quotidiano mette a confronto anche con situazioni dal forte coinvolgimento emozionale. I centri di informazione svizzeri sono situati a Berna, Losanna e Giubiasco. Sono attivi ininterrottamente durante tutti i giorni della settimana. Ricevono in media 400 telefonate al giorno. Nella maggior parte dei casi il «147» è chiamato in causa per richieste concrete di aiuto a causa di problemi personali: può trattarsi di paure, si mancanza di fiducia in sé stessi, pensieri suicidali, casi di autolesionismo. Diversamente dal passato sono in diminuzione le richieste legate ai
Come contribuire Alle casse dei supermercati Migros sono presenti degli espositori che contengono cuori di cioccolata confezionati in carta stagnola colorata. Acquistandoli sosterrete l’azione natalizia di Migros. La cifra sarà immediatamente riversata nel fondo di solidarietà. Alla fine dell’azione Migros aggiungerà alla cifra raccolta un milione di
franchi. Il ricavato complessivo sarà suddiviso in parti uguali tra Caritas, Heks – Aiuto alle chiese protestanti, Pro Juventute, Pro Senectute e Soccorso d’inverno. Le cinque organizzazioni lo impiegheranno per progetti d’intervento in Svizzera. Altre informazioni di dettaglio sull’azione sono pubblicate nel sito web www.migros.ch/natale
servizio rinvia gli interessati a centri di competenza specialistica in tutta la Svizzera. Tra i punti positivi legati alla sua attività, il 147 constata regolarmente che molti dei suoi utenti «passano parola» ai loro amici, dopo averlo consultato. Si tratta di un fattore importante che sottolinea l’apprezzamento per il lavoro dell’équipe. Con i proventi della raccolta di fondi di Migros, Pro Juventute intende potenziare questo suo servizio, in particolare nella Svizzera occidentale e nel Ticino, e nelle stesse regioni creare una chat su Internet. A livello nazionale poi si finanzieranno le soluzioni che permettano un più semplice accesso di giovani e adolescenti al numero telefonico «Consulenza+aiuto 147».
Ferdinand, il toro che annusava i fiori
Concorso Un film d’animazione avventuroso e commovente dal 21 dicembre al cinema Ferdinand racconta la storia di un grosso toro che vive nelle campagne spagnole. Ha il pelo nero lucente, una grande forza, un grande cuore, una bella famiglia che ama molto. La sua passione è il profumo dei fiori, e passa il suo tempo annusandone le fragranze. Un giorno infausto, viene scambiato erroneamente per un animale pericoloso perché a causa di una puntura d’ape, si imbizzarrisce, e la sua forza distruttrice lo fa apparire come un toro guerriero e furioso. Viene allora catturato e portato via dalla sua casa, lontano dalla sua famiglia e dai suoi fiori. Sembra esattamente il tipo di toro adatto ai combattimenti della corrida: enorme, forte, spaventoso e feroce... ma le apparenze ingannano. Deve iniziare a combattere come tutti i tori? Determinato a tornare dalla sua famiglia, Ferdinand raduna una squadra di
animali emarginati conosciuti nel corso di questa avvincente storia e parte con loro nel lungo viaggio verso casa. La sua stazza incute un gran timore, ma in realtà l’animale, per quanto imponente, è un cucciolone, affettuoso e tenero che desidera solo starsene tranquillo sotto il suo albero preferito ad annusare i fiori. Il film è tratto dal celebre libro per ragazzi scritto da Munro Leaf e illustrato da Robert Lawson La storia del toro Ferdinando, pubblicato per la prima volta nel 1936 a pochi mesi dallo scoppio della guerra civile spagnola. Nel 1938 la Disney ne fece una breve pellicola che vinse addirittura l’Oscar per il miglior cortometraggio d’animazione l’anno successivo. Ferdinand, la pellicola della Blue Sky Studios che uscirà nelle sale il 21 dicembre, anche in versione 3D, si discosta un pochino dal racconto origi-
Podismo Nei vicoli
e sul bel lungolago di Ascona il 17 dicembre
Una delle operatrici del servizio, Laurence Zbinden. (Mathieu Rod)
temi dell’amore e della sessualità. Gli esperti spiegano il calo con la constatazione che oggi, grazie ad Internet, molte tematiche possono già trovare una risposta nella Grande rete. L’intervento degli operatori del 147 è sempre mirato a proporre una soluzione in tempi brevi. La preoccupazione è che la situazione di disagio possa cronicizzarsi. E la consulenza telefonica mira ad individuare le risorse e le forze personali che il singolo può mettere in opera per attivarsi nei confronti del suo problema. Va detto che l’obiettivo dell’intervento non è creare una relazione di lunga durata con il servizio di aiuto, ma intervenire solo nelle situazioni di emergenza. Per la presa a carico a lungo termine dei problemi, il
Natale a passo di corsa
nale di Leaf, che tra l’altro era un testo di appena 50 pagine. Infatti, il regista di Rio e della trilogia dell’Era Glaciale, Carlos Saldanha ha aggiunto molti nuovi personaggi di sua invenzione che danno brio alla storia contribuendo a renderla ancora più emozionante e commovente. Tra questi ci saranno tre simpatici e audaci porcospini, una capra, cavallucci vanitosi, ovviamente altri tori e la famiglia di umani che sono i proprietari del toro. Ferdinand, non è la semplice storia di un toro qualunque, è una pellicola che coglie con avventurosa energia l’essenza del significato nascosto dietro questo enorme bestione: Ferdinand, tanto grosso quanto buono, dimostra che spesso le apparenze ingannano e che per capire qualcuno occorre conoscerlo senza limitarsi alla prima occhiata.
La «Corsa da Natal - memorial Daniel Wyss» è una gara podistica aperta a tutti. Vi possono partecipare bambini, adulti, dilettanti e atleti professionisti. Le distanze percorse sono 300 m, 1500 m, 3000 m e 6000 m. Quest’anno la partenza della gara è prevista per le ore 10.00 di domenica 17 dicembre 2017 sulla Piazza Giuseppe Motta, di Ascona. Le iscrizioni avvengono tramite il sito web degli organizzatori, www. usascona.ch e saranno aperte fino a venerdì 15 dicembre. In seguito, sarà possibile iscriversi al momento delle gare (entro un’ora dalla partenza di categoria) ma versando un supplemento di 5 franchi. La corsa si terrà con qualsiasi tempo: in caso di forti nevicate è possibile rivolgersi per informazioni al numero telefonico 1600. La gara si svolgerà come sempre nell’affascinante cornice invernale delle viuzze di Ascona. Le premiazioni, oltre ai classici premi ai primi classificati, prevedono un regalo ricordo destinato a tutti i partecipanti. Sono previste poco dopo il termine delle gare di ogni categoria.
Migros Ticino sostiene la «Corsa da Natal - Memorial Daniel Wyss».
Gadget in palio per i nostri lettori In occasione dell’uscita di Ferdinand il 21 dicembre (anche in 3D), Twentieth Century Fox in collaborazione con Migros Ticino mette in palio 3 pacchi contenenti ognuno: ■ 1 zainetto ■ 1 berretto natalizio ■ 1 cerchietto per la testa con corna ■ 1 maschera di cartone con la testa di Ferdinand ■ 1 penna a forma di fiore La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in altri concorsi promossi da «Azione» negli scorsi mesi. Per partecipare basta visitare il sito www.azione.ch/concorsi. Buona Fortuna!
#Ferdinand
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
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Società e Territorio Politiche giovanili Riflessioni a vent’anni dalla Legge sul sostegno e il coordinamento delle attività giovanili pagina 5
Attaccati allo smartphone In famiglia si riesce ancora a conversare senza essere perennemente inchiodati allo schermo del cellulare? Se lo è chiesto anche Aldo Cazzullo nel suo ultimo libro
Dallo spazio alla terra Anche in Svizzera l’Agenzia spaziale europea ESA sostiene start-up che con i loro progetti sfruttano le tecnologie spaziali
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Come sono fatte le emozioni Intervista Lisa Feldman Barrett
è professoressa di Psicologia alla Northeastern University di Boston. Ha trascorso la sua carriera cercando di capire come il cervello costruisce le emozioni
Stefania Prandi Un giorno, mentre era al liceo, Lisa Feldman Barrett accettò l’invito di un compagno che le faceva la corte. Non si sentiva attratta da lui, ma pensò che non ci fosse nulla di male nel bere un caffè insieme. Mentre parlavano, iniziò a sentire il viso arrossire, lo stomaco in subbuglio e la testa girare. Forse per lui provava qualcosa, pensò. Appena arrivata a casa, però, si ritrovò in bagno con lo stomaco sottosopra e poi a letto, con l’influenza, per una settimana. Come aveva potuto confondere un possibile innamoramento con un malanno di stagione? Lisa Feldman Barrett è professoressa di Psicologia alla Northeastern University di Boston e tiene lezioni all’Harvard Medical School e al Massachusetts General Hospital. Ha trascorso la sua carriera cercando di capire come il cervello costruisce le emozioni: il suo lavoro è culminato in un libro, How Emotions Are Made: The Secret Life of the Brain (Come sono fatte le emozioni: la vita segreta del cervello), tradotto in cinese, coreano, russo, giapponese, romeno, spagnolo, polacco, ucraino, turco e svedese. «Azione» l’ha intervistata. Professoressa Barrett come funzionano le emozioni?
Un’emozione è l’ipotesi migliore che il cervello formula rispetto a una sensazione fisica, basata su una situazione presente oppure su un’esperienza passata. Faccio un esempio: immaginiamo che il cuore mi stia battendo forte. Questa funzione del corpo non ha un significato intrinseco. Supponiamo che io stia guardando un film horror. Il mio cervello potrebbe ipotizzare, basandosi sulla conoscenza della paura e delle esperienze passate, che il cuore stia battendo perché sono impaurita.
Oppure, se mi sto preparando a calciare il pallone per vincere una partita, il mio cervello potrebbe immaginare che il cuore batta forte perché sono in agitazione. Ancora, se qualcuno di attraente mi si siede vicino, se mi batte il cuore potrebbe essere un segno di eccitazione. In ognuno di questi casi, le ipotesi del cervello preparano il corpo per un’azione e diventano l’esperienza reale: paura, agitazione, eccitazione.
Come è cambiata rispetto al passato l’interpretazione delle emozioni?
Per lungo tempo gli studiosi hanno pensato che le emozioni fossero prodotte da un meccanismo distinto nel cervello e nel corpo. L’idea era che il cervello fosse dotato di un circuito cerebrale per la paura, di uno per la felicità e così via, e tutto fosse arrivato a noi attraverso l’evoluzione, dai nostri antenati. Si pensava che questi ipotetici circuiti venissero innescati da eventi esterni e causassero reazioni fisiche ed espressioni del viso. Questa è la visione che io chiamo «classica» e che arriva da Platone, dalla Grecia antica. Il problema è che finora non ci sono stati studi scientifici che abbiano individuato un circuito, un’area, un sistema, uno schema di attività neuronale nel cervello per determinate emozioni. Anche le espressioni facciali che esprimono le emozioni non sono né ricorrenti né specifiche. Persone diverse esprimono quello che provano con espressioni diverse. Non ci sono prove che il cervello contenga dei circuiti emozionali. Nel mondo reale non funziona come nei cartoni animati: si piange se si è tristi, ma si può anche sorridere, essere accigliati, oppure non avere particolari espressioni. Il battito cardiaco può accelerare oppure no. Quindi, abbiamo bisogno di trovare una teoria migliore per le emozioni, che risponda alle
Le emozioni sono ipotesi del cervello. (Marka)
variazioni che vediamo negli studi di laboratorio e nella vita di tutti i giorni.
Nel suo libro spiega che molte idee che abbiamo sulle emozioni sono sbagliate. Non è vero, ad esempio, che tutti proviamo le stesse emozioni. Perché?
Tutti gli esseri umani provano le «sensazioni base»: piacere, fastidio, calma, agitazione. Queste sensazioni risultano universali e si presentano in ogni momento della vita. Le emozioni, invece, sono più complesse. Un’emozione familiare per gli occidentali come la paura, ad esempio, non è semplificabile perché contiene sfumature importanti. Di solito è spiacevole, ma può anche essere piacevole, come quando si è sulle montagne russe oppure si guarda un film horror. E ci possono essere reazioni diverse alla paura: c’è chi si immobilizza, chi lotta, oppure chi ride. Le variazioni sono individuali e dipendono anche dalla cultura. È importante dare un nome alle emozioni?
Una parola legata a un’emozione permette al cervello di costruirla e concepirla in maniera più efficiente.
Possiamo dire che è una scorciatoia per imparare e comunicare i concetti correlati. Il punto, comunque, per le ricerche del mio laboratorio non è dare un nome alle emozioni, ma capire se il cervello le concepisca davvero. Stiamo ipotizzando che il cervello non riesca a concepirle e non possa vederle nelle altre persone. La ragione non è intuitiva, me ne rendo conto, nel mio libro ho impiegato due capitoli per spiegarla. Ogni persona in salute ha esperienza delle «sensazioni base» senza avere bisogno di parole. Ma emozioni come la rabbia, la sorpresa, la paura sono qualcosa di più. Abbiamo un’idea di queste emozioni perché sono radicate nel nostro cervello a causa della nostra cultura. Senza un concetto per la rabbia, ad esempio, non possiamo davvero provarla, possiamo solo avere una sensazione spiacevole. Questo può essere più facilmente comprensibile se consideriamo emozioni che non esistono nella nostra cultura, per esempio quella che in russo si chiama «rocka», una sorta di angoscia spirituale. Se non si è mai imparato questo concetto
emozionale, e non lo si può combinare con altri concetti che si conoscono, non se ne può fare esperienza. Le donne e gli uomini sono emozionalmente uguali?
L’idea che ci siano differenze è dovuta a uno stereotipo, che convince le persone che le donne siano più emozionali, il che non fa altro che rinforzare il pregiudizio. Nel mio laboratorio abbiamo monitorato uomini e donne per settimane, attraverso un computer. Il risultato è che donne e uomini sono uguali nel modo in cui vivono le emozioni. Abbiamo anche fatto un esperimento nel quale abbiamo mostrato foto di facce femminili e maschili, chiedendo ai partecipanti quali fossero più «emozionali per natura». In gran parte sono state indicate le facce femminili. Il punto è che le facce mostrate nell’esperimento erano le stesse, semplicemente quando le abbiamo indicate come femminili abbiamo cambiato i capelli. *L’intervista è stata tradotta e in alcuni passaggi sintetizzata e adattata dalla giornalista
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Società e Territorio
Tutto il potenziale dei giovani
Politiche giovanili A vent’anni dall’entrata in vigore della Legge sul sostegno e il coordinamento delle attività
giovanili si è svolto un convegno per riflettere su temi come il diritto, la partecipazione e l’autodeterminazione Stefania Hubmann I giovani sono il presente prima ancora che il futuro della società. Occorre riconoscerli quale risorsa, valorizzarli e stimolare i Comuni a gettare un ponte verso questa fascia della popolazione. Il messaggio del primo convegno cantonale delle politiche giovanili, svoltosi lo scorso novembre a Bellinzona, è chiaro. A vent’anni dalla sua entrata in vigore, la «Legge sul sostegno e il coordinamento delle attività giovanili» resta una base solida per affrontare i temi riguardanti la gioventù, ma visione d’insieme e prospettive di sviluppo vanno aggiornate alla luce dei mutamenti che investono l’intera società. Comportamenti e bisogni del mondo giovanile sono oggi determinati dall’evoluzione sociodemografica e dalle innovazioni tecnologiche che hanno modificato le forme di comunicazione e socializzazione. Bisogna quindi approfondire progetti di lavoro innovativi per permettere ai giovani di esprimere al meglio il loro potenziale. Al provocatorio titolo del convegno Giovani: protagonisti o comparse? il responsabile dell’Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani, Marco Galli, risponde con «i giovani come soggetto a parte intera della società. Non rafforziamo le forme di protagonismo, ma ascoltiamo i giovani e il loro punto di vista di cittadini. Sulle questioni che li riguardano devono potersi esprimere e trovare ascolto presso le autorità. A livello cantonale esiste il Consiglio cantonale dei Giovani il cui lavoro sfocia in domande e proposte al Consiglio di Stato dal quale ottiene una risposta. A livello comunale, andrebbe maggiormente praticato l’ascolto del parere dei giovani su temi che li possono riguardare come un percorso pedonale, un parco giochi o uno spazio aggregativo. Per questo, il Cantone sostiene la creazione di forum comunali dei giovani». Non si tratta necessariamente di dover investire somme ingenti, quanto piuttosto di dimostrare volontà e impegno nel confrontarsi con i giovani. Confronto che la maggior parte dei 150 partecipanti al convegno col-
Un momento dei lavori del Consiglio cantonale dei Giovani di quest’anno all’interno dell’aula del Gran Consiglio ticinese. (Ti-Press)
tiva nell’ambito delle rispettive attività professionali, che spaziano dalla protezione alla prevenzione, dall’educazione all’animazione. L’incontro, svoltosi in occasione della Giornata mondiale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e del ventesimo anniversario della sottoscrizione da parte della Svizzera della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, ha costituito, oltre a un approfondimento per favorire la partecipazione e l’autodeterminazione dei giovani, una preziosa occasione per gli addetti ai lavori di rafforzare le sinergie, sentendosi parte di un progetto comune con obiettivi a lungo termine. Lo dimostra d’altronde anche l’impostazione medesima del convegno. Promosso dall’Ufficio di cui è responsabile Marco Galli e dalla SUPSI, esso è stato infatti organizzato dalla Piattaforma delle politiche giovanili che riunisce appunto i numerosi enti e le persone attivi nel settore. Si è così dato vita al primo evento del «Progetto di adeguamento e rafforzamento delle politiche giovanili a fronte dei bisogni emergenti delle nuove generazioni», un programma cantonale triennale (2017-2019) sostenuto dalla Confederazione e che
prevede altri due incontri annuali affiancati da iniziative più mirate. Spiega Marco Galli: «In questo primo convegno si è voluto approfondire i grandi temi delle politiche giovanili: i diritti, la partecipazione, l’autodeterminazione, la protezione. Abbiamo invitato relatori provenienti dal resto della Svizzera, dall’Italia e dal Belgio, per confrontarci con quanto avviene negli altri Cantoni e al di fuori dei confini nazionali, legandoci anche alla ricorrenza della sottoscrizione della Convenzione ONU».
Le politiche giovanili oggi esplorano progetti innovativi e nuove forme di animazione e di accompagnamento Quale la posizione del nostro Cantone rispetto al resto del Paese in materia di politiche giovanili? «Il Ticino è fra i Cantoni più attivi e propositivi come lo era d’altronde già vent’anni fa, quando fu fra i primi a varare la cosiddetta Legge giovani. Ora bisogna
sviluppare e promuovere ulteriormente gli strumenti offerti da questa Legge, adeguandoli ai tempi e coordinando le proposte. Al convegno si è parlato anche di nuove tecnologie, la cui influenza sui giovani, sui loro bisogni e sulle loro aspettative, è senza precedenti». Tre gli obiettivi principali evidenziati dai lavori dello scorso novembre. Così li illustra il nostro interlocutore: «In primo luogo dobbiamo riuscire a coinvolgere maggiormente i Comuni, affinché riportino le politiche giovanili al centro della loro agenda. Devono capire che queste attività rappresentano un investimento per il futuro e che le possibilità sono molteplici, anche nell’ambito di progetti intercomunali. Bastano piccole azioni, come ad esempio l’introduzione di figure di riferimento. Il nostro Ufficio è a disposizione per informazioni e consulenze ed invitiamo pertanto i Comuni a contattarci. Da parte nostra organizzeremo all’inizio dell’anno prossimo un incontro informativo mirato». «Anche verso i giovani – prosegue Galli – dobbiamo intensificare l’informazione nel senso di una maggiore conoscenza della Legge. Essi devono
sapere che possono essere sostenuti nella promozione di attività culturali legate ai loro interessi, dalla realizzazione di film, video e CD all’organizzazione di piccoli festival. Il portale Infogiovani (www.ti.ch/infogiovani) offre numerose informazioni, fra le quali le due Carte delle politiche giovanili in Ticino, la prima più teorica e la più recente ricca di esempi su come tramutare idee e sogni individuali o collettivi in azioni concrete. I due opuscoli sono molto utili anche per le autorità comunali, perché definiscono cosa sono strumenti come lo sportello, il delegato, il centro giovanile». Terzo punto importante: le nuove forme di animazione e accompagnamento. «Esistono progetti innovativi di lavoro con i giovani che meritano di essere sviluppati. Penso ad esempio alla peer education, che consiste nel coinvolgere in un ruolo educativo dei pari con particolari competenze, o ancora all’“animazione di prossimità”, basata sul lavoro di operatori nei luoghi di vita dei giovani, lavoro svolto con i singoli o con piccoli gruppi. Un altro progetto interessante è il mentoring che vede affiancati giovani adulti con risorse personali e motivazione a giovani fra i 15 e i 2225 anni) bisognosi di supporto». Il rilancio delle politiche giovanili passa quindi da una maggior sensibilizzazione dei diretti interessati e delle autorità affinché si instauri quel contatto indispensabile per permettere alla comunità di crescere in modo partecipativo, intergenerazionale e solidale. Lo sguardo del giovane spesso coglie aspetti che all’adulto tendono a sfuggire, arricchendo la discussione. La partecipazione delle giovani generazioni alla vita sociale e comunale è inoltre una forma di educazione alla cittadinanza sul campo. Persone disponibili all’ascolto, adeguati spazi di aggregazione e attività stimolanti permettono ai giovani di affermarsi quali attori nel mondo nel quale vivono. Informazioni
www.ti.ch/infogiovani Annuncio pubblicitario
Fare la cosa giusta
Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Olivia e la sua famiglia: www.farelacosagiusta.caritas.ch
Olivia Keller (7 anni) Alunna di prima elementare in Svizzera
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Società e Territorio
Sopravvivere allo smartphone Il caffè delle mamme Si può ancora
evitare che le serate in famiglia diventino dei soliloqui con il cellulare?
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Simona Ravizza Il grido è ripetuto in una giornata da praticamente tutti i genitori: «Metti via quel cellulare». Adesso l’appello/supplica, che si trasforma spesso in rimprovero/ fonte di arrabbiatura, diventa il titolo di un libro dello scrittore e giornalista Aldo Cazzullo (ed. Mondadori, settembre 2017): in una conversazione con i figli Francesco e Rossana, a rischio di rimbecillirsi come tutti gli adolescenti eternamente attaccati allo smartphone, emerge lo sfogo di un padre desideroso di riuscire a conversare in famiglia senza vedere volti perennemente inchiodati sul telefonino, ma contemporaneamente c’è la replica dei due giovani e del perché per loro il cellulare è tanto importante. È il dialogo che ormai accompagna la famiglia contemporanea e che allo stesso tempo rappresenta uno spaccato della nostra società. Il primo smartphone di solito viene regalato a undici anni per la promozione di quinta elementare: da quel momento (se non prima ancora) iniziano serrate trattative di regole per l’uso quotidiano e soprattutto nei fine settimana. Limiti indispensabili perché, da mamme e papà, è difficile non condividere la provocazione di Cazzullo: «La rivoluzione digitale è il più grande rincoglionimento di massa nella storia dell’umanità». Con serate in famiglia che non sono più serate, ma soliloqui con il cellulare: lo stesso vale per le cene e le vacanze. In una perenne lotta contro il telefonino. C’è da capire se è una battaglia che gli adulti possono vincere e, successivamente, come comportarsi. L’impegno è spingere i figli a vivere una vita reale e non una virtuale. Non usare il telefonino durante i pasti, non tirarlo fuori quando ci sono ospiti in casa né tantomeno «whatsappare» quando mamma e papà chiacchierano con te, non sostituirlo mai al gioco con gli amici, spegnerlo la notte sono le regole-base. Ma regolamentare tutte le situazioni e prevedere tutte le insidie del cellulare è impossibile. L’unico vero limite da imporre sarebbe quello utile ad evitare il rimbecillimento da smartphone. Ma qual è? E soprattutto fino a che punto possiamo spingerci nei divieti? Michele Facci, psicologo clinico e forense di Trento, si occupa in particolare di infanzia, adolescenza e genitorialità ed è autore del manuale Generazione Cloud. Essere genitori ai tempi di smartphone e tablet (ed. Erickson, 2013): «È soprattutto una questione di background educativo – spiega ad “Azione” –. Se le prime regole che i genitori danno ai figli arrivano con la preadolescenza e il telefonino, è certamente difficile essere ascoltati. I bambini devono crescere fin da piccoli con l’autorevolezza e non con l’autorità: il problema non è l’uso del cellulare, ma riuscire a impostare con loro durante la crescita un dialogo costruttivo su come bisogna comportarsi. Può essere utile, in ogni caso, farli immedesimare nelle situazioni con frasi del tipo: “Se quando parli
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con una tua amica, lei fissa il cellulare e ti ascolta con un orecchio solo, sei contento? Lo stesso vale per te quando sei con gli altri, a partire da mamma e papà”». Nel libro Le nostre anime di notte di Kent Haruf, la coppia di settantenni Addie Moore e Louis Waters riesce a strappare dal telefonino Jamie, nipote di sette anni di Addie, con il baseball, l’amicizia di un cane e il dialogo. Senza mai vietare l’uso del cellulare che, semplicemente, a un certo punto smette di essere la cosa più interessante per il bimbo. Ma la regola più importante, forse, è il buon esempio: «Se i figli ci vedono perennemente connessi, anche quando siamo con loro – ragiona Facci –, come possiamo pretendere un comportamento contrario?». Del resto, il pensiero degli adolescenti è lo stesso dei figli di Cazzullo: «Non e vero che il telefonino ci isola dal mondo, ce lo crea. Possiamo decidere di stare soli, o possiamo decidere di stare con gli altri. Possiamo spegnerlo e uscire con gli amici, o confrontarci con gli stessi amici stando a casa. Ormai ci è indispensabile per studiare, per leggere, per scrivere; anche a scuola, se usato bene». Ma da Francesco e Rossana arriva anche un’ammissione importante: «I cellulari possono portare a qualcosa anche peggiore dei litigi: l’indifferenza. Ci capita spesso di vedere famiglie in un ristorante che sono sedute insieme, ma non si parlano, perché sono tutti incollati a uno schermo, ognuno il suo. E ci dispiace ammetterlo, ma ogni tanto capita anche a noi di venire risucchiati in questo vortice, quasi senza rendercene conto». Un’applicazione appena messa sul mercato USA da Google, la app Family link, permette ai genitori sia di decidere la tipologia dei file che i bambini possono scaricare sia di impostare limiti di tempo. Una sorta di vigile dello smartphone, che controlla le applicazioni scaricate e permette di capire in base ai minuti di utilizzo puntualmente riportati, come i bambini usano il cellulare. Ma prima d’affidarci alla tecnologia per imporre ai nostri figli i limiti che come genitori non riusciamo a far loro rispettare, bisogna riflettere su un aspetto: il telefonino troppo spesso rischia di essere un alibi delle mamme e dei papà. È quel che spiegano bene al padre Francesco e Rossana: «I cellulari non vi impediscono di parlarci, non ci rendono completamente alienati e incapaci di apprezzare gli stimoli che ci date. Sai che odiamo sentirci dire che usiamo i telefonini come una barriera per isolarci, anche se a volte è più facile rifugiarci nei nostri piccoli mondi ed evitare il confronto diretto. Ma non devi pensare che lo smartphone possa sostituire la figura del genitore, semmai spesso sono i genitori a utilizzarli per distrarre i loro figli, come magari anche tu da piccolo venivi messo davanti alla televisione. Voi mantenete sempre il vostro ruolo fondamentale di trasmettere valori, passioni e interessi». Una riflessione che può essere un monito importante per tutti noi genitori.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Società e Territorio
Idee spaziali, risultati terrestri Start-up Progetti innovativi che sfruttano le tecnologie spaziali: anche la Svizzera approfitta del sostegno finanziario
e tecnico dell’Agenzia spaziale europea (ESA) e crea un incubatore aziendale
Loris Fedele Le attività spaziali hanno da tempo guadagnato un posto importante nella nostra società e sono entrate nella vita quotidiana di tutti attraverso i servizi di telecomunicazione via satellite, le previsioni meteo, la navigazione stradale, aerea e marittima. Ci tengono anche aggiornati su come evolve il mondo in cui viviamo a seguito degli ormai accertati cambiamenti climatici. In tutto questo processo la Svizzera ha trovato il suo posto fin dall’inizio. Era già sulla Luna nel 1969, nel primo sbarco delle missioni Apollo, con un esperimento scientifico dell’Università di Berna e con un orologio svizzero al polso degli astronauti americani. È tra le nazioni fondatrici dell’Agenzia spaziale europea (ESA). Ha sempre cercato di mantenersi nel solco delle strategie europee in campo spaziale, difendendo così i propri interessi e la promozione delle proprie capacità e competenze. Chiaramente non avrebbe mai potuto operare da sola in un campo così costoso e impegnativo e quindi, facendone pure parte, ha contribuito a far nascere un programma che mette a disposizione anche dei piccoli Stati le competenze dell’ESA per lo sviluppo di progetti scientifico-tecnologici destinati alla ricerca spaziale, con ricadute utili sulla terra.
L’automobile elettrica volante, il drone intelligente per fornire pasti caldi, l’applicazione di plasma freddo per curare le infezioni: sono alcune iniziative europee che si basano su tecnologie usate nei programmi spaziali Le interazioni tra la scienza e l’industria costituiscono sempre di più una sorgente di ispirazione per entrambe le parti. Nel novembre 2016 l’Agenzia spaziale europea in accordo con il nostro Segretariato di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI), guidato da Mauro Dell’Ambrogio, ha inaugurato a Zurigo l’«ESA Business Incubation Centre Switzerland» (ESA BIC). Si tratta di un cosiddetto Incubatore aziendale che offre un pacchetto di sostegno estensivo agli imprenditori con idee innovative che sfruttino le tecnologie spaziali, al
Il progetto di TwingTec produce energia sfruttando il vento a quote più alte rispetto alle normali pale eoliche. (twingtec.ch)
fine di sviluppare i loro affari nello Spazio oppure sulla Terra. La sua sede si trova presso il Politecnico federale di Zurigo. In sostanza questo incubatore mette a disposizione delle start-up cospicui finanziamenti (la cifra totale stanziata attualmente per ogni nazione è di 500mila euro all’anno) oltre a un sostegno sul piano tecnico e in materia d’economia di impresa. Nel settembre scorso l’ESA ha annunciato che, attraverso i 16 centri di incubazione aziendale di altrettante nazioni, sta sostenendo 500 di queste start-up. L’accompagnamento delle ESA BIC a imprenditori e ricercatori dura al massimo 5 anni. Chi aspira all’aiuto deve annunciarsi e passare attraverso una procedura di selezione. In Svizzera la prima edizione del programma di incoraggiamento scelse tre start-up. A un anno di distanza, il 10 novembre 2017, sono state presentate a Zurigo con una cerimonia ufficiale. TwingTec: che sta sviluppando una tecnologia per una centrale eolica che produce energia a basso costo catturando il vento fino a 300 metri da terra senza una torre, ma usando aquiloni posizionati con un sistema di assistenza satellitare. L’energia è portata verso il basso attraverso un cavo attaccato
alla stazione al suolo. Insolight: che sviluppa celle solari con una tecnologia derivata dai satelliti. Punta a ottenere applicazioni terrestri due volte più efficienti dei prodotti attualmente sul mercato. Ligentec: che promette di incrementare la capacità di trasmissione di dati su fibra ottica di un fattore 200, utilizzando sorgenti laser e design innovativi di quelli che in gergo sono detti «pettini di frequenze». Le tematiche energetiche e i sistemi di comunicazione sono le applicazioni più ricercate dell’Agenzia spaziale europea. Il fatto non sorprende perché l’ESA è impegnata in progetti importanti come Galileo, che è la versione europea del sistema di geolocalizzazione satellitare GPS, e nell’EDRS (European Data Relay System). EDRS è un satellite operato da Eutelsat (la stessa compagnia che ci ha dato i nostri canali radiotelevisivi) ed è stato soprannominato l’autostrada spaziale delle informazioni. Sfrutta tecnologie laser di punta per trasmettere dati in tempo quasi reale dai satelliti in orbite basse verso gli utilizzatori al suolo. Dallo scorso anno serve il programma Copernicus di osservazione della terra attraverso i suoi satelliti Sentinel. EDRS fa parte di un partenariato pub-
blico-privato tra ESA e Airbus Defence and Space, che ne assicura i servizi commerciali e finanzia lo sviluppo del terminale laser. Ma anche altre applicazioni terrestri della tecnologia spaziale trovano la dovuta attenzione: il Programma di Trasferimento delle Tecnologie dell’ESA le promuove e le accompagna da oltre 10 anni. Tornando alle ultime iniziative europee favorite dai centri di incubazione possiamo menzionare il prototipo di automobile elettrica volante, capace di decollare e atterrare in verticale anche in centro città. Il primo test è stato condotto con successo nell’aprile di quest’anno a Monaco di Baviera, con un modello a due posti teleguidato. Sempre in Germania, a Darmstadt, si sta perfezionando un sistema basato sulla geolocalizzazione per effettuare consegne in luoghi isolati dell’Africa. Allo stesso modo in Portogallo un drone intelligente fornisce pasti caldi agli abitanti di zone isolate. Nel settore medico una start-up britannica ha messo a punto un servizio che permette alle donne di ricevere i risultati degli esami clinici di ricerca del cancro al seno in sole 24 ore, contro le due settimane abituali. In Germania si promuove l’applicazione di un pla-
prodotto delle scelte delle generazioni precedenti. Secondo l’editore del «The New Inquiry» le industrie e i governi non trattano i bambini come persone ma come investimenti, macchine produttive e capitale umano. In questa visione l’infanzia non è un tempo per imparare o crescere ma per allenarsi. E fa un esempio molto chiaro riportando il testo di una lettera inviata dal direttore di un asilo di New York ai genitori, una lettera che in sostanza comunica la cancellazione della recita annuale per meglio rispondere alle esigenze e alle sfide del 21 secolo: «Abbiamo la responsabilità di preparare i bambini per il college e la carriera, di attrezzarli con abilità di valore e a lungo termine, renderli dei forti lettori, scrittori, coworker e risolutori di problemi». E alla fine i ragazzi di oggi
studiano di più rispetto al passato e arrivano con un bagaglio di conoscenze enorme nel mondo del lavoro per il quale, nella maggior parte dei casi, si sono dovuti indebitare. E una volta entrati lavorano più dei loro predecessori ma presto si accorgono che tutto questo non viene ricompensato, i compensi sono bassi o non adeguati alla posizione che ricoprono. I ragazzi vengono truffati, i loro sforzi e le loro conoscenze non vengono riconosciuti. La sua tesi dunque è semplice: i giovani fanno di più ma ricevono meno in cambio da una società che ha incentivato il loro lavoro con la promessa di un trattamento equo. Prospettive per il futuro? Malcolm Harris non è particolarmente ottimista, dice «se non saremo fortunati o coraggiosi, guardando in retrospettiva
sma freddo sulle piaghe per guarire le infezioni, visto che è un efficace agente battericida. È un uso che deriva direttamente da esperienze sui plasmi (che sono gas ionizzati) condotte in collaborazione con i russi sulla Stazione Spaziale Internazionale. Sempre in Germania con questi plasmi freddi si stanno sviluppando soluzioni per togliere i cattivi odori nei processi alimentari industriali, per esempio per le patatine fritte (chips). Nell’aeronautica una start-up francese offre ai piloti un legame di comunicazione diretta e immediata coi servizi al suolo e propone una connessione WiFi per computer, tablet e smartphone dei passeggeri. In Italia una ditta è partita dalle immagini dei satelliti di osservazione terrestre per aggiungervi rilevamenti radar al suolo e, con misure incrociate, verificare la stabilità degli edifici storici. Un’idea curiosa, sempre in Italia, permette di analizzare una partita di calcio misurando in tempo reale la velocità, l’accelerazione e la posizione in campo di ogni singolo giocatore, grazie a un apparecchio miniaturizzato fissato nei parastinchi. Naturalmente anch’essa è mutuata dalla tecnologia usata nei programmi spaziali.
La società connessa di Natascha Fioretti Un libro spiega chi sono davvero i Millennials Negli Stati Uniti c’è un libro che sta facendo molto discutere. Si tratta di Kids these Days: Human Capital and the Making of Millennials (I bambini al giorno d’oggi: capitale umano e la realizzazione dei Millennials). Un libro sui Millennials scritto da uno di loro, Malcolm Harris, giornalista per il magazine di cultura e politica online «The New Inquiry», attivista del movimento Occupy Wall Street. Del suo saggio qualcuno ha scritto che era ora che qualcuno lo scrivesse mentre in molti, dal «New Yorker» al «Financial Times» fino al «New York Times», concordano nel sottolinearne la rilevanza per l’argomento trattato, della serie, finalmente qualcuno ci racconta come sono, cosa vogliono, cosa pensa-
no e come vivono questi Millennials. Grossolanamente vengono definiti dei narcisisti, ossessivi tecnologici che distruggono moltitudini di industrie e mercati come quello della birra, delle saponette e dei ristoranti. Per quanto riguarda la birra, le giovani generazioni preferiscono il vino e i super alcolici, alle saponette preferiscono il sapone liquido e per mangiare optano per la cucina a casa o la consegna del cibo a domicilio. Niente ristoranti o fast food. Nulla si salva di fronte a questa frattura culturale e di consumi che in apparenza narra una storia precisa: i Millennials usano il potere crescente del mercato libero per imporre la loro verità. Ma non è così, dice Malcolm Harris. Se noi Millennials oggi siamo ciò che siamo non è per caso, siamo il
sembrerà che non abbiamo mai avuto la possibilità di scegliere... Ma disponiamo di tutto ciò che è necessario per farcela, sta a noi diventare altro da quello che ci hanno fatto diventare. E magari quello che dovremmo fare, ma non possiamo farlo da soli, è far morire il sogno americano affinché qualcosa di nuovo possa nascere». Non sorprende che il libro negli Stati Uniti sia al centro dell’attenzione, quella di Malcolm Harris è una lettura libera dai cliché e dai luoghi comuni ai quali finora siamo stati abituati. Così come una ricerca condotta dal Media Insight Project sfata il mito secondo il quale i Millennials non si informano. In realtà il 69% si informa quotidianamente almeno una volta al giorno e lo fa grazie alle notizie che arrivano via social o altri canali digitali.
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni «Ultime notizie»: speriamo di no Tra i tanti settori che affrontano una crisi in quest’epoca di tramonti e di nuove albe, ci sono i giornali. Il calo degli abbonamenti e delle entrate pubblicitarie; la concorrenza dei nuovi media; il dilagare dell’informazione in pillole che puoi sempre trovare e deglutire on-line: sono molte le cause della crisi. Le testate reagiscono aumentando le tariffe d’abbonamento, riducendo l’organico redazionale, ricorrendo sempre più alle agenzie di stampa; ma è dubbio che queste misure possano sanare la crisi e, soprattutto, garantire a lungo termine l’imparzialità e l’obiettività dell’informazione. Il prevalere dell’immagine sulla parola scritta è iniziato con la televisione e da tempo e da più parti è stato rilevato che ormai è la televisione che crea l’avvenimento. La stampa scritta la commenta e si accoda. Così, quella che si può considerare una delle grandi conquiste del mondo
moderno – la libertà di stampa – si avvìa a un tramonto forse inevitabile. Ma, paradossalmente, non perché vi sia un potere dittatoriale che impone una rigida censura dell’informazione, ma – esattamente al contrario – perché non c’è più alcuna limitazione alla diffusione della notizia: così dilagano in Rete versioni innumerevoli di fatti accaduti, e anche di fatti inventati. Il lettore superficiale che pesca in Facebook o in Google la prima notizia che capita non ha molte possibilità di essere informato davvero. Quando, nella prima metà dell’Ottocento, Stefano Franscini si batteva per l’alfabetizzazione del Paese, la libertà di stampa e la diffusione di giornali, lo faceva sulla base della convinzione che non può esserci una buona democrazia senza una buona informazione. E il XIX secolo fu proprio il tempo che vide il pieno affermarsi del giornalismo e la nascita di testate di parti avverse, che offrivano una ragionevo-
le pluralità d’informazione. Oggi, la crisi del giornalismo di qualità va di pari passo con la crisi delle democrazie, anzi, ne è una delle componenti. Però, chi è abituato a osservare il presente nello specchio del passato, sa bene che l’elogio della stampa giornalistica non è mai stato unanime. Se Hegel diceva che «leggere il giornale è la preghiera mattutina dell’uomo moderno», nello stesso secolo XIX ci furono critici radicali del giornalismo, come Kierkegaard e Nietzsche, per i quali la stampa di cronaca costituiva «il vero indirizzo culturale della nostra epoca» – ossia l’estensione ma anche la riduzione e l’abbassamento della cultura. E Baudelaire scriveva nel suo diario: «Dalla prima all’ultima riga, ogni giornale non è che un tessuto di orrori... E con questo disgustoso aperitivo l’uomo civilizzato accompagna il suo pasto ogni mattina. Non capisco come una mano pura possa toccare un giornale senza
una scossa di disgusto». E se, agli inizi dell’Ottocento, Joubert chiamava i giornalisti «mercanti di rumori», Gesualdo Bufalino, riprendendone la tesi non molti anni fa, aggiungeva che «in un secolo e mezzo non è cambiato granché, anzi il rumore è cresciuto e lo vendon più caro». Per quanto si possa parlar male del giornalismo (e gli autori ai quali ho fatto riferimento sono solo un piccolo campione di questa maldicenza), non si può negare che ne abbiamo bisogno. Senza un’informazione valida non solo la partecipazione democratica alla vita civile, ma anche la conoscenza della realtà rischia di indebolirsi e di sfumare nelle nebbie dell’ignoranza. Certo, servono bravi giornalisti, capaci di informare correttamente, dotati di quelle qualità che Voltaire indicava già nell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, alla voce «Gazettier»: istruiti, veritieri, imparziali, semplici
e corretti nello stile. Aggiungeva poi – purtroppo – che è raro trovare un buon cronista. Ma i bravi giornalisti – che indubbiamente ci sono ancora – non bastano se non ci sono lettori altrettanto bravi. Pubblicando nel 1975 (dunque, prima dell’era digitale) un libro dal titolo Come si legge un giornale, il giornalista e scrittore Paolo Murialdi rilevava l’importanza di leggere il giornale con occhio critico e distaccato, essendo attenti ad avvertire le manipolazioni delle informazioni fornite. A questo scopo – suggeriva – sono molto utili i confronti tra due o più quotidiani. Non so se siano molte le persone che hanno il tempo di fare tali letture critiche; e soprattutto, non so quanti ne abbiano voglia. Tra i giovani, in particolare, queste caratteristiche mi sembrano scarse: e sono loro, ovviamente, che tracciano le nuove vie del futuro dell’informazione.
anni avanti Cristo come dea della terra e della fertilità, alcuni vedono invece incisa in questo monolite, una cometa. Peccato solo che esposta così alla carlona, conficcata tra caccole di argilla espansa per scadenti orchidee olandesi d’appartamento, un po’ viene penalizzata. Il cortile lascia a bocca aperta: un porticato ritmato da quattro arcate a tutto sesto per lato, sovrastate da un loggiato al primo piano che raddoppia le colonne creando arcatelle grandi la metà. Sopra le quali lo sguardo sale a beccare i frammenti bluastri sopravvissuti dell’Eneide di Virgilio, cibandosi così a intermittenza di questi pezzi semicancellati attribuiti alla bottega bresciana di Vincenzo de Barberis. Fino a sfuggire in cima: quattro garguglie draghesche spuntano nel quadrato di cielo dove passano le nuvole. Oltre le fauci del mostro che raffigura l’Averno, si nota l’unico personaggio scappato dal monocromo delle scene virgiliane sparse. Un’ipotesi azzarda che sia Ortensio Lando, errabondo umanista ospite alla
corte dei Besta considerato da Maria Luisa Gatti Perer, il consulente iconografico del palazzo. Ad ogni modo è proprio nel Commentario delle più notabili e mostruose cose d’Italia ed altri luoghi (1554) di Ortensio Lando che vengono nominati per la prima volta, nella tappa di Teglio, i pizzoccheri. Naso all’insù ma con i piedi per terra: il pavimento di pietre a spina di pesce vale la gita. Dal viaggio di Enea, salendo le scale, passiamo al piano nobile: affreschi ariosteschi adornano il salone d’onore. Un ciclo pittorico di ventun riquadri ispirati dall’Orlando Furioso (1516) di Ludovico Ariosto scorre per tutta la stanza. Sono attratto, come nella lettura liceale del prodigioso poema cavalleresco, dalle scene dove interviene il meraviglioso. Come laggiù, dove una stralunata Angelica nuda in groppa a una specie di idra rossiccia con testa di ghepardo fugge magicamente – al posto dell’anello mangiato per sparire nel decimo canto – da Ruggero. L’ippogrifo c’è ben tre volte. In un angolo
porta Astolfo sulla luna per recuperare l’ampolla con il senno di Orlando. In questo riquadro sono rappresentate anche le «versate minestre» in forma di zuppiere volanti che un incompetente in vena di protagonismo, su un settimanale di Sondrio, presumeva fossero ufo. Qua e là, altre meraviglie. Una fantastica volta a ombrello, l’odore di cembro delle stue settecentesche, la freschezza dei colori nella sala della creazione conservata al meglio grazie al fieno dei contadini che ha assorbito l’umidità, la scoperta lì sulla mappa astrale del tredicesimo segno zodiacale chiamato Ofiuco, il mar rosso del planisfero, il panorama orobico dalle finestre, grottesche con frutta mista e dragonerie varie, la scimmia e lo struzzo nella sala da pranzo, lo stemma dei Besta avvistato nelle banderuole forate segnavento: un leone appoggia una zampa a un pino, l’alcova con le metamorfosi di Ovidio, la sepoltura del falco preferito da Azzo II che ha cacciato duemilacinquantotto quaglie e cinquecento pernici.
buona pace della divulgazione, ancora di là da venire. D’altro canto, quell’ormai storico incontro con un medico, troppo bello per essere bravo, fece affiorare i dubbi, i sospetti, i pregiudizi che producono i nostri malumori. Ne offre una testimonianza, spietatamente rive-
latrice di mentalità, oltre che di stile giornalistico, l’articolo, comparso sul «Dovere», del 2 marzo ’70, dove si annunciava l’avvenimento. Sotto il titolo «Esauriti i biglietti per la conferenza Barnard sarà una bella…serata mondana», ecco il cappello introduttivo: «Per le donne un’occasione più unica che rara di poter vedere da vicino il cinquantenne famoso eternamente giovane; gli uomini, chissà, seguiranno le mogli nella speranza che anche il conferenziere porti la sua, giovanissima». Il seguito conferma l’avvio. Si parla di un chirurgo che, come «uomo che ha sfruttato la notorietà per guadagnarsi un posto nello “smart set” internazionale. Si allude alle «belle gambe della signora Barnard «messe generosamente in vista». Per concludere: «La cardiochirurgia? Un pretesto per dare a una serata mondana la patina di serietà». Per Sergio Jacomella, l’episodio rifletteva l’incapacità, che era di ieri ed è di oggi, di accettare il nuovo.
A due passi di Oliver Scharpf Il palazzo Besta di Teglio Teglio, anticamente Tellium, ha dato il nome a tutta la valle ed è la patria dei pizzoccheri. Posto su un terrazzo del versante retico della Valtellina, qui quindici anni fa è stata perfino fondata l’Accademia del Pizzocchero di Teglio. Il suo nome però è anche legato a palazzo Besta, dimora rinascimentale verso la quale m’incammino subito dopo colazione. Costruita verso il 1490 a partire da una struttura medievale per desiderio di Azzo Besta, abbellita da Azzo II e sua moglie Agnese, dal 1720 in poi passa di mano in mano – famiglia Morelli, Juvalta, Parravicini – e agli inizi del Novecento viene occupata da alcuni contadini diventando stalla e fienile. Alla fine di viale Eugenio Morelli, a una curva, eccolo lì, salvato in tempo dalla rovina, palazzo Besta (825 m): sullo sfondo sfilano le alpi Orobie innevate un mattino di dicembre. Svettano anche quattro strambi comignoli con i segnavento. La facciata è percorsa da una fascia di losanghe bicolori a scacchiera. Novit paucos secura
quies è scolpito nel marmo del portale: «È per pochi la quiete sicura». A margine del motto tratto dall’Ercole furioso di Seneca, medaglioni cesellati con un pellicano che si becca a sangue il petto – simbolo cristiano ma anche massonico e alchemico – e una fenice che si sa, risorge dalle sue ceneri. All’interno dell’arco, una serie di marmoree rose mutevoli, alle quali uno studioso amatoriale ha dedicato pagine intere d’infervorata interpretazione tra l’esoterico, la numerologia, e il disturbo delirante. L’antica porta in ferro battuto di solito chiodata, è insolitamente stellata. Dentro, subito a destra, nelle cantine, trovo le tre steli rinvenute nel febbraio 1940 in occasione dello scasso per un nuovo vigneto non lontanissimo da qui, in località Caven. Tra le tre steli risalta la più nota, l’enigmatica terza stele di Caven detta Caven 3. Linee parallele e cerchi concentrici tracciano sulla superficie di granodiorite tonalitica, una Dea Madre cicciotta tipo matrioska ultrastilizzata. Venerata milleottocento
Mode e modi di Luciana Caglio Christian Barnard e malumori ticinesi Mezzo secolo fa, precisamente nella notte fra il 2 e il 3 dicembre, al Groote Schuur Hospital di Città del Capo, fu portato a termine un intervento senza precedenti: il primo trapianto cardiaco. E proprio la simbologia che, da sempre, spetta al cuore, sede della nostra affettività, doveva attribuire all’operazione un risalto particolare, non soltanto dal profilo medico-tecnologico ma anche umano e morale. Per di più, ad alimentare una notorietà contraddittoria, in bilico fra speranze e timori, era l’autore stesso di questa performance: il dottor Christian Barnard, 43 anni, un aspetto attraente di tipo hollywoodiano, fotogenico e ben disposto nei confronti della popolarità che lo circondava. Di lui si vedevano, su giornali e teleschermi, le immagini in giro per il mondo, si conoscevano le abitudini private, la passione per il golf e, soprattutto, per le donne, giovani e belle e, non da ultimo, per un compiaciuto egocentrismo. Erano i connotati di un divo, un precursore della comu-
nicazione scientifica, cioè una figura inedita, in una categoria professionale allora lontana dai riflettori mediatici. E, appunto, questa fama di protagonista della mondanità fini per avere il sopravvento. Come dimostra un fatto di cronaca di casa nostra. Il 5 marzo 1970, Christian Barnard, accompagnato dalla moglie Barbara, arriva a Lugano, per tenere una conferenza nell’auditorio della Radio, affollatissimo, sul tema « Trapianti cardiaci : successo o fallimento?». L’avvenimento, di portata nazionale, sorprende la stampa d’oltre Gottardo. Come si spiega la presenza in Ticino di una delle più ricercate celebrità del momento? Ecco la risposta, pubblicata sul «Blick» del 3 marzo, con il titolo «I ticinesi esultano», e che ci concerne da vicino: «Ciò che finora nessuna università e nessun grande medico in Svizzera era riuscito a fare è, invece, stato ottenuto dalla Scuola Club Migros Ticino, grazie al responsabile delle attività culturali, Sergio Jacomella.»
Nell’articolo si sottolineava, poi, la sorridente spontaneità di Barnard :«un ragazzone che ama il mondo e la gente». Precisando, infine, che l’eccezionale serata era costata «parecchio meno di 1000 franchi». Secondo il quotidiano zurighese, un grande successo, di cui ero stata diretta testimone. Che, però, fu tutt’altro che unanime. Si manifestarono, infatti, reazioni di segno opposto, anche se di tenore diverso. Da un lato, quelle motivate da argomenti d’ordine scientifico. I medici ticinesi avevano, di proposito, snobbato l’appuntamento con Barnard. Lo ritenevano un propagandista di false illusioni e, addirittura, un usurpatore. Non era l’unico cardiochirurgo al mondo, obiettavano. A Zurigo, stava compiendo progressi promettenti la squadra, guidata da Ake Senning: che fu poi invitato a Lugano, dall’ordine dei medici, per una conferenza, volutamente esclusiva. In tono asciutto, un tecnico si rivolgeva ai dei tecnici. Nessuna concessione al pubblico, con
Christian e Barbara Barnard . (Keystone)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Ambiente e Benessere Tra mercatini e tradizioni Dal Christkindlesmarkt di Lipsia a quello di Norimberga passando per molte altre località
Il galateo in volo Secondo la IATA nei prossimi vent’anni il numero dei passeggeri trasportati in aereo raddoppierà: servono delle regole precise di convivenza forzata
Un piatto ideale per le feste Cenare in famiglia con un filetto di vitello glassato al miele accompagnato da puré di patate pagina 18
Letteratura ed ecologia Scaffai spiega nel suo ultimo libro perché non è ragionevole escludere l’uomo dall’ambiente
pagina 17
pagina 19
pagine 14-15
Il primo nutrimento
Salute Alla nascita di un bambino,
l’allattamento è il gesto quasi immediato e più naturale che riavvicina fisicamente madre e neonato
Maria Grazia Buletti «Il bambino appena nato cerca subito e naturalmente il capezzolo della mamma», l’infermiera pediatrica Elena Ferrari ci riceve nel reparto di maternità della Clinica Sant’Anna di Sorengo che ogni anno vede venire alla luce in media circa 850 neonati. Non è in discussione il ruolo importante dell’allattamento al seno per lo sviluppo del neonato, tant’è che l’OMS indice ogni anno la settimana mondiale dell’allattamento materno, il cui motto quest’anno è stato «L’allattamento – un tema per tutti». Oggi bisogna però parlarne più di prima, per spiegare e sensibilizzare. «Ai nostri giorni, e come succede oramai per tutto quanto riguarda la salute in generale, è cambiato il modo di accedere alle informazioni necessarie ai futuri genitori e ai neo genitori sul tema dell’allattamento: le indicazioni e ogni sorta di informazione possono essere cercate su Internet, attraverso siti più o meno ufficiali e sono molto in voga i blog con discussioni fra mamme. Questi ultimi non sortiscono effetti sempre positivi, perché solitamente raccontano di esperienze negative, quelle che si ha bisogno di esorcizzare e condividere»; Ferrari così giustifica l’importanza di una sensibilizzazione e una consulenza personale e individualizzata proposta da figure competenti che diventino di riferimento, per essere in grado di creare un rapporto diretto e intimo con ciascuna mamma e ciascun papà. «L’allattamento al seno è un tema discusso già nel corso di preparazione al parto, nell’ambito della struttura prescelta, in cui i futuri genitori saranno informati sulle consulenze a loro disposizione: servizi sul territorio, levatrici a domicilio e consultori genitori-bambino che seguiranno la nuova famigliola a domicilio». Un tempo le madri sapevano cosa fare, mentre oggi l’eccesso di informazione crea paradossalmente madri più confuse che informate: «L’istinto materno c’è sempre stato, ma oggi si tende meno ad affidarvisi perché si cercano altrove risposte che le madri hanno dentro; malgrado tu sia la mamma e lui è il tuo bambino, sei por-
tata ad affidarti a qualsiasi altro mezzo (telefonino, google…) piuttosto che al tuo istinto, mentre l’imperativo è risolvere tutto subito». Invece ci vuole ben altro: «Per iniziare l’allattamento e portarlo avanti con serenità, beneficio e successo ci vuole tanta pazienza e possiamo dire che, di principio, non esistono mamme che non siano in grado di allattare il proprio neonato, perché il meccanismo della lattazione implica un gesto naturale e fisiologico, in fondo indipendente dalla nostra volontà». Molteplici e indiscutibili sono i benefici di allattare il proprio neonato al seno, sia per lui sia per la mamma: «L’allattamento favorisce la ripresa post parto, l’involuzione dell’utero con un puerperio più naturale e agevola il legame madre-bambino; si dice che un allattamento al seno esclusivo per almeno sei mesi diminuisca anche il rischio di sviluppare un tumore mammario». Per il neonato i vantaggi sono speculari: «Oltre a favorire la relazione con la madre, il latte materno è il migliore alimento che possa ricevere il neonato perché cresca bene, è sempre pronto, lo si può dare dovunque ci si trovi e, comunque, è gratuito». Il periodo dell’allattamento può differire in modo individuale: «Oggi le mamme hanno un grande bisogno di essere supportate da noi, perché non esiste più la famiglia matriarcale come un tempo. Detto ciò, l’OMS consiglia dai quattro ai sei mesi di allattamento materno a cui segue un graduale svezzamento. Delle numerosissime nascite a cui ho partecipato qui a Sant’Anna, posso dire che il 95 per cento delle mamme inizia ad allattare. Di queste, la metà lo fa per i primi tre mesi (periodo che coincide per molte donne con il rientro al lavoro), e l’altra buona metà allatta fino a sei mesi e oltre». Nell’accompagnare le neo mamme nelle prime fasi dell’allattamento è importante non illuderle facendo loro credere che tutto sia immediato e semplice: «Ci vuole tempo, il bello dell’allattamento al seno inizia dopo tre settimane circa e fino a lì si tratta di un periodo di adattamento per entrambi, mamma e piccolo, di conoscenza reciproca per riuscire a decifrare e ricono-
Una mamma mentre allatta il suo bambino, con l’aiuto di Elena Ferrari. (Vincenzo Cammarata)
scere i segnali inviati dal neonato, come in qualsiasi inizio relazionale». Parecchi i problemi che le infermiere pediatriche aiutano a risolvere: «Le mamme si chiedono se il neonato ha mangiato a sufficienza (la montata lattea arriva a 72 ore dal parto) e temono che possa morire di fame. Non comprendono perché le prime 24 ore dorme e invece poi vuole sempre attaccarsi al seno (ciò serve da stimolazione per la produzione del latte), devono imparare a riposare quando riposa il bambino, approfittando delle sue pause. E poi c’è il dolore iniziale al seno, talvolta le ragadi che possono far male e via dicendo. La nostra strategia sta nel supportare queste mamme, facendo loro capire che è normale scoraggiarsi per stanchezza, che tutto sembra più difficile e complicato di quanto non lo sia davvero». Eppure vi sono donne che decidono di non allattare il proprio bambino, o che non possono farlo: «Alcune ci mettono troppa razionalità, altre si sen-
tono costrette contro la loro volontà, le gravidanze assistite sono un caso a sé a causa del particolare stato ormonale della neo mamma o della sua età avanzata e via dicendo. Dobbiamo spesso essere più psicologhe che infermiere; dobbiamo essere in grado di leggere tra le righe e interpretare i sentimenti che magari la mamma non esprime, in una sorta di relazione empatica. Non va mai colpevolizzata, comunque, una mamma che decide di non allattare». Le motivazioni più frequenti: «Non me la sento, non è nelle mie corde, riprenderò presto il lavoro, non vorrei ma mi sento in colpa…». Sono sentimenti che meritano assoluto rispetto: «A quel punto non si forza la scelta dell’allattamento e il nostro supporto va nei due sensi. E naturalmente anche il neo papà viene coinvolto, sebbene la decisione di allattare dovrebbe essere piuttosto ad appannaggio della donna, perché in natura allattare è comunque un atto predisposto per la
donna che deve poter decidere quale scelta la fa sentire a proprio agio». «L’allattamento – un tema per tutti?» Naturalmente sì, è un tema sociale che però mette al centro la neonata relazione madre-figlio: un rapporto indissolubile che dura una vita e che per tutti dovrebbe iniziare nel modo più sereno e gioioso possibile.
Video intervista Sul canale Youtube di «Azione» e su www.azione.ch la videointervista a Elena Ferrari.
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Ambiente e Benessere
Ambiente e Benessere
Il nordico avvento di Natale
Viaggi fuori porta Nelle piazze di numerose città tedesche (e non solo) tra mercatini e curiose tradizioni
Simona Dalla Valle, testo e foto Una delle usanze più radicate in Germania è senz’altro quella dei mercatini di Natale, che costituiscono non solo l’occasione per acquistare decorazioni natalizie o prodotti artigianali, ma rappresentano anche l’opportunità di conoscere le tradizioni tipiche delle città o dei Länder nelle quali sono ambientati. Si tratta infatti di vere e proprie feste popolari con il trionfo del folklore locale. La tradizione dei mercati di Natale risale ai tempi in cui bisognava aspettare le fiere organizzate in genere alla scadenza di ricorrenze annuali per generare un momento di incontro, come appunto il periodo dell’Avvento. Le prime forme di mercati natalizi risalgono al XIV secolo in Germania e Alsazia con il nome di Sankt Nikolaus Markt. All’incirca nel 1434 si ha la prima attestazione di un mercato di Natale, nella quale si cita uno Striezelmarkt (dal dolce tedesco Striezel) nella città di Dresda. Durante la riforma protestante il nome dei mercati viene cambiato da Weihnachtsmarkt (mercato di Natale) a Christkindlmarkt, mercato di Gesù Bambino, per opposizione al culto dei santi. Altri antichi mercati sono quello di Strasburgo che risale al 1570, e quello di Norimberga del 1628. Nella città bavarese il mercatino si tiene in Hauptmarkt, piazza nella quale viene inaugurato il venerdì precedente la prima domenica di Avvento. La cerimonia avviene in presenza di un «angelo del Natale», il Christkind, che dalla balconata della Frauenkirche apre l’attività
Panoramica sul mercatino di Norimberga.
del mercatino con la recita di un discorso solenne. Il Christkind diventa l’ambasciatore della città di Norimberga e, nel periodo che precede il Natale, ha un programma molto fitto di appuntamenti e accoglie visitatori provenienti da tutte
le parti del mondo. La figura dell’angelo è selezionata ogni due anni fra le ragazze locali di età compresa tra i 16 e i 19 anni alte almeno 160 cm. Quasi inutile ma inevitabile sottolineare poi i profumi e i sapori di quelli più tradizionali. Una delle prelibatezze
che abbondano in queste manifestazioni è il Glühwein (vin brulé); offerto quasi dappertutto, costituisce il modo più caratteristico per riscaldarsi nelle fredde giornate invernali. Molto amati sono anche il Feuerzangenbowle (in una pentola di vino rosso caldo, bastoncini
di cannella, chiodi di garofano e buccia di arancia e limone è posta una cosiddetta «pinza di fuoco» – il Feuerzangen – con dello zucchero, sul quale si versa il 54 per cento di rum. Accendendolo, lo zucchero si scioglie e gocciola nel vino rosso) o specialità più esotiche qua-
li Lumumba (miscela di cacao, panna e rum), Grog (fatto di rum, zucchero e acqua calda), ed Eierpunsch (con albumi d’uovo e rum). Tra i profumi che inebriano non si può tralasciare quello dei Lebkuchen, biscotti speziati fatti con frutta secca, agrumi canditi, miele e zenzero, per non parlare delle innumerevoli salsicce, delle quali ogni regione possiede la sua variante. La tradizione dei mercatini di Natale è stata ripresa in diverse città, non solo d’Europa ma di tutto il mondo, e rivisitati a seconda delle tradizioni locali o della conformazione del territorio, come ad esempio quello della cittadina di Hauzenberg, ambientato in una vecchia cava di granito nel cuore della foresta bavarese e affiancato da proiezioni di film d’atmosfera e dimostrazioni di tecniche artigianali tradizionali (www.granitweihnacht.de). Il soprannome di mercatino di Natale più erotico, invece, va a quello di St. Pauli, nel cuore del famoso Rotlichtviertel (quartiere a luci rosse) di Amburgo a partire dal 17 novembre. Oltre alle bancarelle di bratwurst e a quelle di bevande dove vengono serviti i cocktail Bordsteinschwalben («lucciole»), i visitatori troveranno idee regalo maliziose e frivoli cuori di pan di zenzero. Angeli sexy, gnomi croccanti, musica dal vivo e vaudeville sono solo alcuni tra gli intrattenimenti di «Santa Pauli – Hamburgs geilstem Weihnachtsmarkt». A tema arcobaleno è il mercatino natalizio del Glockenbachviertel a Monaco di Baviera, dove si svolge il «Pink Christmas», uno spettacolo natalizio lesbo-gay, a cui «tutte le altre persone sono benvenute». Oltre a un’ambientazione rosa shocking, sorprese inusuali e un programma serale con artisti travestiti, cabarettisti, DJ e cantanti pop, Pink Christmas offre anche molti prodotti di design e commercio equo e solidale (www.pink-christmas.de). Sotterraneo, nel vero senso della
A passeggio tra le bancarelle del mercatino di Norimberga.
parola, è il mercatino di Natale nelle cantine sotto Traben-Trarbach an der Mosel. Nella «Vinotropolis», una rete di cantine storiche nei sotterranei della città, artigiani ed espositori della zona presentano specialità locali (www. mosel-wein-nachts-markt.de). Alcuni mercatini di Natale invitano anche a viaggiare nel tempo, come quello del castello di Wartburg ad Eisenach in Turingia, patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1999, cornice di un mercatino natalizio medievale dove i visitatori possono incontrare erboriste, pellettieri, saponieri, mercanti, giocolieri e lirici come un tempo, e offrono pure spettacoli di burattini e concerti (www.eisenach.de). Uscendo dai confini tedeschi, sulle coste del mare del Nord si svolge ogni anno l’Engelkemarkt a Emden, che vede di fronte al municipio illuminato una serie di bancarelle allestite sui pontili galleggianti tra le navi museo. Anche Babbo Natale arriva in barca (www. emden-touristik.de). A Forgaria, in provincia di Udine, si celebra un Natale subacqueo. Da 38 anni,
Il mercatino di Norimberga sulle rive del fiume Pegnitz.
I tradizionali omini di zenzero.
nella prima settimana di dicembre il diving club locale costruisce un presepe a nove metri di profondità nelle acque del lago di Cornino e la sera del 24 dicembre, alla fine della messa di Natale – che si celebra sulle rive del lago alla luce delle fiaccole – un subacqueo riporta il bambino
Gesù in superficie e lo depone nella stalla del presepe. Poco dopo, altri subacquei emergono dal fondo del lago per allestire le restanti 30 figure del presepe (www.turismofriuliveneziagiulia.it). Anche in Olanda troviamo un Natale singolare: «sottoterra». La Fluwee-
lengrotte sotto Valkenburg aan de Geul fu costruita nel dodicesimo secolo, quando fu scavata nella roccia per la costruzione del castello. Il sistema di passaggi sotterranei, che in seguito fu utilizzato come via di fuga dal castello durante questo periodo ospita Babbo Natale che risiede proprio nella grotta. I visitatori possono passeggiare nella sua abitazione, scrutando nella sala dei regali, ammirando renne e slitte, nonché i murali e le sculture nella cappella del diciottesimo secolo (www. kerststadvalkenburg.nl). Un salto oltre la Manica e arriviamo a Birmingham. Qui, al Mercatino di Natale di Francoforte a Victoria Square, ogni giorno si possono assaporare vin brulé e salsicce, birra tedesca e pretzel, oltre ad acquistare giocattoli fatti a mano e oggetti d’artigianato (www.visitbirmingham.com). E ora una curiosità: le tradizioni si stanno diffondendo anche attraverso il mare e i continenti. A Shanghai, dove il Natale non è nemmeno festeggiato, dal 2012 si svolge un «mercatino di Natale tedesco».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Ambiente e Benessere
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Il nordico avvento di Natale
Viaggi fuori porta Nelle piazze di numerose città tedesche (e non solo) tra mercatini e curiose tradizioni
Simona Dalla Valle, testo e foto Una delle usanze più radicate in Germania è senz’altro quella dei mercatini di Natale, che costituiscono non solo l’occasione per acquistare decorazioni natalizie o prodotti artigianali, ma rappresentano anche l’opportunità di conoscere le tradizioni tipiche delle città o dei Länder nelle quali sono ambientati. Si tratta infatti di vere e proprie feste popolari con il trionfo del folklore locale. La tradizione dei mercati di Natale risale ai tempi in cui bisognava aspettare le fiere organizzate in genere alla scadenza di ricorrenze annuali per generare un momento di incontro, come appunto il periodo dell’Avvento. Le prime forme di mercati natalizi risalgono al XIV secolo in Germania e Alsazia con il nome di Sankt Nikolaus Markt. All’incirca nel 1434 si ha la prima attestazione di un mercato di Natale, nella quale si cita uno Striezelmarkt (dal dolce tedesco Striezel) nella città di Dresda. Durante la riforma protestante il nome dei mercati viene cambiato da Weihnachtsmarkt (mercato di Natale) a Christkindlmarkt, mercato di Gesù Bambino, per opposizione al culto dei santi. Altri antichi mercati sono quello di Strasburgo che risale al 1570, e quello di Norimberga del 1628. Nella città bavarese il mercatino si tiene in Hauptmarkt, piazza nella quale viene inaugurato il venerdì precedente la prima domenica di Avvento. La cerimonia avviene in presenza di un «angelo del Natale», il Christkind, che dalla balconata della Frauenkirche apre l’attività
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le parti del mondo. La figura dell’angelo è selezionata ogni due anni fra le ragazze locali di età compresa tra i 16 e i 19 anni alte almeno 160 cm. Quasi inutile ma inevitabile sottolineare poi i profumi e i sapori di quelli più tradizionali. Una delle prelibatezze
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li Lumumba (miscela di cacao, panna e rum), Grog (fatto di rum, zucchero e acqua calda), ed Eierpunsch (con albumi d’uovo e rum). Tra i profumi che inebriano non si può tralasciare quello dei Lebkuchen, biscotti speziati fatti con frutta secca, agrumi canditi, miele e zenzero, per non parlare delle innumerevoli salsicce, delle quali ogni regione possiede la sua variante. La tradizione dei mercatini di Natale è stata ripresa in diverse città, non solo d’Europa ma di tutto il mondo, e rivisitati a seconda delle tradizioni locali o della conformazione del territorio, come ad esempio quello della cittadina di Hauzenberg, ambientato in una vecchia cava di granito nel cuore della foresta bavarese e affiancato da proiezioni di film d’atmosfera e dimostrazioni di tecniche artigianali tradizionali (www.granitweihnacht.de). Il soprannome di mercatino di Natale più erotico, invece, va a quello di St. Pauli, nel cuore del famoso Rotlichtviertel (quartiere a luci rosse) di Amburgo a partire dal 17 novembre. Oltre alle bancarelle di bratwurst e a quelle di bevande dove vengono serviti i cocktail Bordsteinschwalben («lucciole»), i visitatori troveranno idee regalo maliziose e frivoli cuori di pan di zenzero. Angeli sexy, gnomi croccanti, musica dal vivo e vaudeville sono solo alcuni tra gli intrattenimenti di «Santa Pauli – Hamburgs geilstem Weihnachtsmarkt». A tema arcobaleno è il mercatino natalizio del Glockenbachviertel a Monaco di Baviera, dove si svolge il «Pink Christmas», uno spettacolo natalizio lesbo-gay, a cui «tutte le altre persone sono benvenute». Oltre a un’ambientazione rosa shocking, sorprese inusuali e un programma serale con artisti travestiti, cabarettisti, DJ e cantanti pop, Pink Christmas offre anche molti prodotti di design e commercio equo e solidale (www.pink-christmas.de). Sotterraneo, nel vero senso della
A passeggio tra le bancarelle del mercatino di Norimberga.
parola, è il mercatino di Natale nelle cantine sotto Traben-Trarbach an der Mosel. Nella «Vinotropolis», una rete di cantine storiche nei sotterranei della città, artigiani ed espositori della zona presentano specialità locali (www. mosel-wein-nachts-markt.de). Alcuni mercatini di Natale invitano anche a viaggiare nel tempo, come quello del castello di Wartburg ad Eisenach in Turingia, patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1999, cornice di un mercatino natalizio medievale dove i visitatori possono incontrare erboriste, pellettieri, saponieri, mercanti, giocolieri e lirici come un tempo, e offrono pure spettacoli di burattini e concerti (www.eisenach.de). Uscendo dai confini tedeschi, sulle coste del mare del Nord si svolge ogni anno l’Engelkemarkt a Emden, che vede di fronte al municipio illuminato una serie di bancarelle allestite sui pontili galleggianti tra le navi museo. Anche Babbo Natale arriva in barca (www. emden-touristik.de). A Forgaria, in provincia di Udine, si celebra un Natale subacqueo. Da 38 anni,
Il mercatino di Norimberga sulle rive del fiume Pegnitz.
I tradizionali omini di zenzero.
nella prima settimana di dicembre il diving club locale costruisce un presepe a nove metri di profondità nelle acque del lago di Cornino e la sera del 24 dicembre, alla fine della messa di Natale – che si celebra sulle rive del lago alla luce delle fiaccole – un subacqueo riporta il bambino
Gesù in superficie e lo depone nella stalla del presepe. Poco dopo, altri subacquei emergono dal fondo del lago per allestire le restanti 30 figure del presepe (www.turismofriuliveneziagiulia.it). Anche in Olanda troviamo un Natale singolare: «sottoterra». La Fluwee-
lengrotte sotto Valkenburg aan de Geul fu costruita nel dodicesimo secolo, quando fu scavata nella roccia per la costruzione del castello. Il sistema di passaggi sotterranei, che in seguito fu utilizzato come via di fuga dal castello durante questo periodo ospita Babbo Natale che risiede proprio nella grotta. I visitatori possono passeggiare nella sua abitazione, scrutando nella sala dei regali, ammirando renne e slitte, nonché i murali e le sculture nella cappella del diciottesimo secolo (www. kerststadvalkenburg.nl). Un salto oltre la Manica e arriviamo a Birmingham. Qui, al Mercatino di Natale di Francoforte a Victoria Square, ogni giorno si possono assaporare vin brulé e salsicce, birra tedesca e pretzel, oltre ad acquistare giocattoli fatti a mano e oggetti d’artigianato (www.visitbirmingham.com). E ora una curiosità: le tradizioni si stanno diffondendo anche attraverso il mare e i continenti. A Shanghai, dove il Natale non è nemmeno festeggiato, dal 2012 si svolge un «mercatino di Natale tedesco».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Ambiente e Benessere
Acrobazie in cabina
Viaggiatori d’Occidente Alla ricerca di un nuovo galateo del volo Claudio Visentin È tornato in circolazione un video promozionale del 1958 (http://bit. ly/2AgJDJj) realizzato dalla compagnia Pan Am (Pan American World Airways). L’anno precedente il numero dei passeggeri trasportati in aereo attraverso l’Atlantico aveva per la prima volta superato quello delle grandi navi di linea, decretando il loro irreversibile declino. C’era l’entusiasmo e la rilassatezza dei nuovi inizi. Per esempio si poteva viaggiare senza documenti d’identità, presentandosi all’aeroporto una mezzora prima della partenza, accompagnati al gate da amici e parenti. Solo nel 1973 furono introdotti i controlli di sicurezza, ma rimasero assai rilassati sino all’attentato dell’undici settembre 2001. Torniamo al nostro video Pan AM, con scene della vita a bordo di un grande aereo di linea durante una traversata atlantica: i passeggeri pranzano con diverse portate e in un salottino conversano amabilmente, fumano o giocano a scacchi. La voce narrante sottolinea la completa assenza di vibrazioni nonostante l’aereo viaggi a oltre mille chilometri l’ora. Colpisce soprattutto l’abbondanza di spazio a disposizione, tra le file di poltrone, negli ambienti comuni, nei bagni spaziosi. Naturalmente questo privilegio aveva un prezzo: un viaggio di sola andata dagli Stati Uniti all’Europa poteva costare tremila dollari di oggi. Anche per questo bastava salire la scaletta di un aereo per sentirsi parte del Jet Set, il bel mondo elegan-
te che faceva colazione a New York e pranzava a Parigi e Roma. Negli anni Settanta i Jumbo Jet aprirono i cieli a milioni di passeggeri a prezzi sempre più ragionevoli. Il simbolo di quell’epoca è il grande Boeing 747, la «regina del cielo», impiegato per la prima volta nel 1970; proprio in questi giorni le grandi compagnie li stanno gradualmente ritirando dal servizio per sostituirli con modelli più efficienti ma anche decisamente meno spaziosi. In quegli anni non si avvertiva l’esigenza di particolari regole di condotta, di un galateo del viaggio aereo. Semplicemente l’abbondanza di spazio permetteva di applicare le stesse regole di buona educazione utilizzate a terra. Ma negli anni Novanta le compagnie low cost, Ryanair ed Easy Jet, hanno completamente cambiato il significato del viaggio aereo. Attraverso la radicale compressione dei costi sono riuscite a offrire tariffe minime rendendo il volo accessibile a tutti: secondo la IATA (International Air Transport Association) nei prossimi vent’anni il numero dei passeggeri trasportati raddoppierà. Ma inevitabilmente lo spazio e i servizi a bordo sono stati ridotti al minimo, anche nelle compagnie aeree tradizionali; e il tono della vita a bordo è scaduto parecchio rispetto all’austera eleganza degli anni Cinquanta. Gli episodi più stravaganti si succedono a ritmo serrato. Pochi giorni fa un volo Qantas da Canberra a Melbourne ha dovuto interrompere il decollo e tornare al gate perché un passeggero si è rifiutato di spegnere il
suo tablet. Un volo Qatar Airways tra Doha e Bali ha invece dovuto atterrare quando una donna ha utilizzato il dito e le impronte digitali del marito addormentato per accedere al suo smarphone, dove ha trovate ampie prove di infedeltà coniugale; la moglie tradita ha poi scatenato un putiferio, tanto che la coppia è stata sbarcata a Chennai, India, a cinquemila miglia di distanza dalla loro destinazione. Desta invece quasi simpatia l’anziana signora cinese che prima della partenza del volo China Southern Airlines da Shanghai a Guangzhou ha gettato nove monete nel motore per propiziare un volo fortunato. Naturalmente i meccanici hanno dovuto smontare e ispezionare attentamente la turbina con un inevitabile ritardo di ore. Ecco perché si cercano nuove regole per la convivenza a bordo in spazi serrati. Il quotidiano inglese «The Telegraph» ha cercato di fare chiarezza. La questione riguarda soprattutto i voli di qualche ora, per i lunghi viaggi intercontinentali è richiesto inevitabilmente un maggior grado di sopportazione. Volete mettervi alla prova? E allora pensate a cosa fareste in queste diverse situazioni. Per esempio avete il posto vicino al finestrino, dovete andare in bagno ma il vostro vicino dorme di gusto: svegliarlo o scavalcarlo con un’agile manovra? E cosa succede se si sveglia proprio mentre siete su di lui? Meglio forse concordare le diverse possibilità prima che si addormenti? Secondo un recente sondaggio di British Airways, l’80% dei passeggeri considera accet-
«L’Europa è solo a un sogno di distanza», manifesto pubblicitario Pan Am del 1956. (Delta Flight Museum)
tabile svegliare il vicino, ma (precisa il 40%) solo una volta per viaggio. Un’altra questione toccata dal sondaggio: a chi appartengono i braccioli? Ciascuno il suo, si potrebbe pensare, ma molti ritengono che il passeggero nel posto centrale dovrebbe poterli utilizzare entrambi, visto che è chiaramente il più svantaggiato, senza la vista di chi sta al finestrino né la comodità di movimento del posto nel corridoio. Si possono togliere le scarpe? Il 78% dei viaggiatori inglesi (e il 60% degli americani) è favorevole. Quasi tutti pensano invece che togliere anche le calze… no, proprio non si fa. E se il vicino russa pesantemente? Il 66% del campione preferisce pazientare ma anche qui si fanno sentire diverse sensibilità nazionali, e gli inglesi sono molto più inclini degli americani
a svegliare il disturbatore con un tocco apparentemente accidentale. Dovreste fare un poco di conversazione con chi vi sta accanto? La questione fu posta già ai tempi della ferrovia e non è mai stata risolta. Ma sugli aerei la disponibilità e l’interesse per il dialogo sembra essere minore, dal momento che una larga maggioranza degli intervistati (83%) preferisce essere lasciata in pace dopo un saluto e un sorriso di convenienza al momento di prendere posto. E se avete contemporaneamente un posto al finestrino, un passeggero di mezzo chiacchierone e un altro addormentato nel sedile sul corridoio? Siete finiti nella peggiore combinazione possibile e state forse scontando qualche peccato compiuto in una vita precedente: questioni di karma. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Filetto di vitello glassato al miele con puré di patate
Migusto La ricetta della settimana
Piatto principale
migusto.migros.ch/it/ricette
Ingredienti per 4 persone: 1,2 kg di patate farinose, ad es. Bintje · sale · 2,5 dl di latte · 50 g di burro · pepe dal macinapepe · noce moscata · 1 filetto di vitello di ca. 750 g · 140 g di pancetta da arrostire a fette · 2 cucchiai di miele · 2 cucchiai d’olio d’oliva · 2 d di fondo bruno.
Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
1. Tagliate le patate a dadi e lessatele in acqua salata finché non sono cotte. Scolatele, fatele sgocciolare bene e schiacciatele con lo schiacciapatate o con il passaverdura. Scaldate il latte con il burro e incorporate alle patate schiacciate. Mescolate bene con un mestolo fino a ottenere un puré omogeneo. Se il puré risulta troppo compatto, aggiungete ancora un po’ di latte. Condite con sale, pepe e noce moscata. 2. Nel frattempo, scaldate il forno a 150 °C. Avvolgete le fette di pancetta intorno al filetto. Scaldate una brasiera. Rosolate con cura il filetto per circa 5 minuti. Continuate la cottura al centro del forno per circa 25 minuti, finché la temperatura interna del filetto non ha raggiunto 56 °C. Mescolate il miele con l’olio e di tanto in tanto, durante la cottura spennellate il filetto. 3. Sfornate la carne, avvolgetela nella carta alu e mettetela da parte. Sfumate il fondo di cottura nella brasiera con il fondo bruno e fate ridurre un po’ sul fuoco. Spacchettate il filetto. Versate il succo formatosi nella salsa e condite con sale e pepe. A piacere, legate un po’ la salsa. Tagliate il filetto e servitelo con il puré di patate. Servite la salsa a parte. Preparazione: circa 30 minuti + cottura circa 25 minuti. Per persone: circa 57 g di proteine, 36 g di grassi, 59 g di carboidrati,
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Ambiente e Benessere
GIOCHI
I conflitti sollevati dalla narrazione ecologica
Dicembre 2017
SCOPRI IL
Il seme nel cassetto N ell’ultimo libro di Niccolò Scaffai, un testo sulla relazione che ”viene a crearsi
Laura Di Corcia Più di una volta, nell’ambito di questa rubrica, abbiamo delineato lo stretto rapporto che si sostanzia fra natura e letteratura. Per questo non mi sembra azzardato proporre, all’interno di questo contenitore, un libro dotato di stratificazione e complessità, che sicuramente si distanzia da quelli trattati fino ad ora ma del tutto pertinente con il tema (anzi, pare riassumerne molte coordinate emerse via via lungo il percorso).
”
Lo scopo ultimo della letteratura non è offrire soluzioni pronte, ma individuare le contraddizioni e comprenderne le cause
milmente che non vi sia nessun disegno divino atto a predisporre i rapporti fra essere umano e ambiente). Ma, superate le sirene della possibilità da parte dell’uomo di assoggettare le cose per il tramite della ragione, con il Romanticismo lo spazio naturale diventa il luogo di un dissidio, lo spazio dove si registra una perdita incolmabile. In America, soprattutto ad opera di autori come Thoreau, poi, il verde è inteso come wilderness, il selvaggio che permette il trascendente dentro la realtà – operazione possibile mettendo in atto il semplice gesto di ritirarsi dal paesaggio urbano per fondersi con quello naturale. La natura vista come spazio buono, puro e incontaminato rispetto alla corruzione, ad opera sempre e solo dell’uomo: una prospettiva manichea non ancora superata e attorno alla quale Scaffai imbastisce ragionamenti senS satissimi. F Non è ragionevole escludere l’uomo dall’ambiente che lo abita, l’uomo I stesso è natura, e lo stesso vale anche conoscitiva. Lo scopo della letteratura potrebbero essere catastrofiche. ComeD per le degenerazioni che si riscontra- non è infatti quello di offrire soluzioni uscirne? Ricordando che la relazione no nella sfera della sua azione. Per dirla pronte, ma di individuare le contraddi- con l’altro da me è una versione parzia-A con parole dell’autore, queste tendenze zioni, di rappresentare forme di relazio- le della verità, che «dentro» e «fuori» del pensiero ecologico contemporaneo ne anche conflittuali affinando le capa- sono spazi permeabili, porosi. In que-M «hanno entrambe lo stesso limite: quel- cità di comprenderne le cause». sto, sì – senza eccedere nelle letture ide-E ILAspesso TAN trovano I HCO lo di accreditare soluzioni massimaliste, FormeI Zche deiI Gologiche – tutta la storia della letteranegative o positive, che risolvano in uninitpunti in comune con la- narrazione tura mette in scena questo dialogo, siaL n e g r a S a i n a f e t S 7 1 0 2 e r b m e c i D senso o in un altro la tensione che si crea ecologica, la quale fa suo il paradigma quando assume i connotati del conflit-T tra il soggetto e l’alterità. Quella tensio- dell’Apocalisse, uno fra i più fecondi to sia quando assume quelli dell’idillio. ne, che è spesso anche la struttura cono- stilemi dai tempi della Bibbia: se l’uomo Il paesaggio, quello che accoglie scitiva della narrazione, va invece con- persevererà nella sua opera distruttrice il mio sguardo e decreta la presenza di I Gdell’ambiente, GASSE M L I I RPOCun’esteriorità, S servata, specialmente come funzione aiO danni le conseguenze è quindi – come sugge-
GIOCHI NATALIZI
Dicembre 2017 -Stefania Sargentini
Letteratura e ecologia, scritto dal professore di Letterature comparate all’Università di Losanna, Niccolò Scaffai, e pubblicato per la casa editrice Carocci, è un testo sulla relazione, sul rapporto che si viene a creare fra soggetto e ambiente e sulle fratture che questo stesso scambio pone in essere. Fratture che emergono soprattutto a partire dall’Illuminismo, quando il concetto di dominio dell’uomo sulla natura raggiunge il suo apice, all’indomani della scoperta che la Terra non è, come credevamo, al centro del cosmo (e verosi-
SCOPRI IL MESSAGGIO
Giochi
SUDOKU PER AZIONE e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il- NOVEMBRE sudoku2017 N. 41 FACILE Schema
Dicembre 2017 -Stefania Sargentini
Cruciverba Nel sacco, Babbo SCOPRI IL MESSAGGIO Natale, ha messo anche un messaggio per voi da parte di tutta la redazione. Trovatelo risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere lungo il tracciato. (Frase: 9, 1, 5, 1, 6, 7, 4, 6) 2
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A M B A C R E S T A U G A V I O L A N L U R A L I I N T risce altamente E A ScaffaiI a Tinizio E libro S –O I A straniante, perché frantuma le illusioni F A T E C U L sull’io. Ha valore di rivelazione, perR A in questione L O B eOla succesK mette laMmessa sivaTriformulazione U O D E del L soggetto. I RNon Aè forse T T A questo P che O cerchiamo S T O (anche) O nella letteratura? T R I N O R E T I B I L I A R A I N O Bibliografia Niccolò Scaffai, Letteratura e ecologia. Forme e temi di una relazione narrativa, Carocci Editore, 2017, 270 pp.
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fra soggetto e ambiente e sulle fratture che questo stesso scambio pone in essere
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ORIZZONTALI 38. Un attributo di Dio 26. Ha subito un danno 4 9 5 1 6 3 8 2 7 A T S E 5R C 6 A B M A S 1. Danza brasiliana 40. Sono sul campo da calcio 27. Due di noi 3 1 8 5 2 7 6 9 4 6 4 A G U F N A L O I V 5. L’abbassa chi si umilia 42. Trascinamento a rimorchio 28. La nota Ricciarelli 2 6 7 4 9 8 1 5 3 T N2 I I 4L A R8 U 1 L I 10. Allontanamento rapido 43. Buca del biliardo 29. Fusione a Londra A I O S E T I A E D 6 5 9 3 1 4 2 7 8 7 8 2017 11. Un colore VERTICALI 30. Un’ educatrice Giochi per “Azione” - Dicembre L U C E T A F A 12. Quarantanove romani 1. Provocazione 31. Presente per le feste 8 7 4 9 5 2 3 1 6 7 5 Sargentini 3 Stefania K O B O L A Msettimana R Soluzione della precedente 13. Dividono l’Europa dall’ A sia 2. Sale per riunioni solenni 33. Arrosto a Parigi S A M B A C R E S T A 1 2 3 7 8 6 9 4 5 1 2 7 6 La Limousine più grande del mondo è lunga circa: 15. Cinta senza i lati... F U G A 3. Le iniziali 35. Un codice d’accesso A R I VIAGGIARE L E D COMODI O T U –M V I O L A N dell’attore Giallini TRENTA METRI eA ha VENTISEI RUOTE. 17. Signora dell’Olimpo I L 36.49 Un-anagramma del 6 verticale O O T DIFFICILE S O P T E U R A L 4. I Espressione I N T canina... (N. ... trenta metri, ventiseiTruote) N. 43 S AallaMlatinaB A ESStato Sdell’ A del Sud 19. Andate 39. Fanno rima ...con ma D E A CI TRE 5. O I T AAmerica I T8 E R O N I R T L 1 2 3 4 5 6 7 4 S T3O P 20. Ne consumano moltaAi vegetariani 6. URe di Francia 41. Ne ha due la pelle 1 4 8 3 2 6 7 9 5 R RE TT I N A F A T E C L A I L I B I O N A F A U G V I O L A N 9 10 R M A L O B O spagnolo K 21. Flora e Serena ne’ La Bella 7. Lo... 9 1 7 9 5 3 8 1 7 4 6 2 O U T G A M E S T M U T O D E L8. Indumento I R A per religiosi Addormentata 11 12 13 I L nel Bosco U R A L I I N T 9 2 7 6 5 9 4 3 1 8 R A V I S P O V E P O S T9. O O T E T A 23. Simbolo chimico del rame Un’imposta 14 15 E T IIper ilA 6 T D Efa coppia A con seLI TT R EI N O 11. SRPoeta... O 4 6 1 7 8 9 5 2 3 R8 E A T I 3 C O N 25. Spesso poeta B I L I A T R A I N O 16 17 18 26. È spesso bucato 14. Nome femminile Vincitori del concorso Cruciverba 9 5 1 4 8 9 2 6 5 3 1 4 7 AS L I S E F - OI48», GG AS SE M L I I RPOECSL - IenToizRulo C 16. U Niente Lper Cicerone :etnatlusir essua19r«Azione A sempreF A T E 29. Tace del 27.11.2017 20 4 1 9 6 5 3 7 2 4 1 9 8 6 A N T A O 31. Preposizione articolata Finocchiaro J. Olsson, M. Bravo, L. Kellenberger ELATAN NOU R M A L O 18. B LeOiniziali dell’attrice K 21 B :I R OTTEL 22 I RTS O N I ITTUT A O MAI R U G UA 2 4 7 3 2 4 9 6 5 8 7 1 A S I A L R 32. Saliera senza sale 20. Usa le bombole Vincitori del concorso Sudoku 23 Soluzione ILa punta MESSAGGIO - Frase risultante: 34. M Dipende 22. Finisce su «Azione 48», del 27.11.2017 U dalla T classe O D E L- SCOPRI I R A 6 1U 8D O S 6 1 5 4 7 8 2 3 9 T 35. Collocazione, sede AUGURIAMO A 23.TUTTI La pistola del Far West 24 F. Ineichen, C. Raspanti I NOSTRI LETTORI: BUON NATALE 5 4 7 8 9 1 3 2 6 5 4 T R E M I T I P O S T 24. O Un libro OdellaTBibbia E inTmotoA 37. Due OI ZILATAN UKOD USN. 44 GENI L T R I N O R EE NTOI Z I ULOS AM E H C S Regolamento per i concorsi a premi I premi, cinque carte regalo Migros (N. Partecipazione online: inserire la luzione, corredata da nome, cognome, è possibile un pagamento in contanti 50 - Marte, Monte Olimpo, Ventidue) 4 9 1 8 5 2 7 6 3 7 pubblicati «Azione» valore saranno sorsoluzione del cruciverba o del sudoku indirizzo, email del partecipante deve dei premi. I vincitori saranno avvertiti I Ne sulOsito webB del I SUDOKU L Idi 50Afranchi, T Rsu A NATALIZIO 2 3 4 5 6 7 8 SOLUZIONE SCHEMA 3 7 5 6 4 1 9 2 8 3 www.azione.ch teggiati tra i partecipanti che avranno 1 nell’apposito formulario pubblicato essere Azione, M A 6spedita R T aI «Redazione R E M O N per iscritto. Il nome dei vincitori sarà fatto pervenire la soluzione corretta 9 sulla pagina del sito. 10 11 Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». pubblicato 8 6 su2«Azione». 7 3 Partecipazione 9 4 1 5 8 E2 T E R 9 O L 5O I R entro il venerdì seguente la pubblica- 12Partecipazione 13postale: la lettera14 o Non si intratterrà corrispondenza sui riservata esclusivamente 7 3 6 1 8 5 a 2lettori 9 che 4 7 3 S E1 T 8 A 2M E S S I A zione del gioco. la cartolina postale che riporti la so- concorsi. Le vie legali sono escluse. Non risiedono in Svizzera. 15 16 1 8 4 9 2 3 6 5 7 T4 O T L6A T 7T E P 42
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Politica e Economia Trump accelera Il presidente americano fa ripartire la sua «rivoluzione» politico-economica
Yemen L’uccisione dell’ex dittatore Saleh segna l’ennesima svolta drammatica nelle sanguinosissime guerre che stanno martoriando lo Yemen, terreno di scontro fra Arabia Saudita e Iran pagina 23
Stampa sotto assedio Negli ultimi decenni, la Romandia ha perso numerose testate e quelle che sopravvivono sono in mano ai gruppi zurighesi
L’ascesa delle cripto-valute Stupisce e al contempo preoccupa l’astronomica crescita del bitcoin e altre valute digitali
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AFP
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Piccola grande Europa
Crollo migranti dall’Africa La questione migratoria per quanto si stia dimostrando gestibile in termini di numeri
diventa ingestibile per la collisione fra culture politiche incompatibili Lucio Caracciolo Il 2017 passerà alla storia come l’anno in cui la pressione migratoria in Europa è drasticamente diminuita. Contemporaneamente, mai come oggi in alcuni paesi europei si grida all’invasione dei migranti che metterebbero in questione la convivenza e la stessa identità nazionale. Come si spiegano questi due fenomeni apparentemente contraddittori? Conviene esaminarli separatamente, per poi esaminarne la connessione. Tra la primavera del 2016 e l’estate del 2017 si è notevolmente ridotta la portata dei flussi migratori Sud-Nord lungo le tre classiche rotte: l’occidentale (Marocco-Spagna), la centrale (LibiaItalia) e l’orientale (Turchia-Grecia). Nel primo caso soprattutto per iniziativa del Marocco, uno dei pochi Stati effettivi e relativamente efficienti del continente africano, grazie anche al sostegno della Spagna e, sulla frontiera meridionale, della Mauritania. Oggi lungo questa tratta, che punta verso le exclavi spagnole di Ceuta e Melilla inci-
state in territorio marocchino, transitano poche migliaia di persone all’anno. Il secondo caso riguarda in particolare l’Italia, che negli ultimi tre anni era diventata il grande collettore di migranti in provenienza soprattutto dall’Africa profonda, i quali attraversando il deserto raggiungevano le coste libiche, in mano a milizie e trafficanti d’ogni risma, da cui i più fortunati, via Canale di Sicilia, giungevano nella penisola. Quasi tutti puntavano verso il Centro-Nord d’Europa. Destinazioni preferite Germania, Gran Bretagna, paesi scandinavi, ma anche Svizzera. Le autorità italiane, di ciò consapevoli, chiudevano un occhio o due nella fase decisiva del controllo d’identità dei migranti appena sbarcati, di fatto invitandoli a varcare le Alpi. La pressione differenziata ma congiunta di Francia e Germania, ma anche di Svizzera e Austria, che hanno rafforzato i controlli di frontiera, ha gradualmente costretto l’Italia a mantenere sul proprio territorio la maggior parte dei migranti e degli aspiranti rifugiati. Sicché il Belpaese da tapis roulant verso l’Europa si è tra-
sformato in Paese obiettivo, nel quale i migranti erano costretti a rimanere – e spesso allo sbando. Questo rischiava di trasformare l’Italia, attraverso il combinato disposto della (semi)chiusura delle frontiere alpine e del perdurante flusso da sud, in una pentola a pressione a rischio di esplosione. La svolta in luglio. Il ministro italiano dell’Interno, Marco Minniti, convocava a Roma i principali capi tribali e delle milizie libiche per scambiare aiuti più o meno informali da parte italiana (ed europea) con l’impegno dei vari guardiani del deserto a filtrare i migranti. Operazione in gran parte segreta, gestita dalla intelligence italiana, particolarmente esperta di usi e costumi nordafricani. Risultato: questa estate, e ancora in autunno, i flussi LibiaItalia sono crollati di circa il 30%. Se l’anno scorso i migranti sbarcati in Italia sono stati oltre 180 mila, quest’anno non dovrebbero superare i 120-130 mila. I calcoli più ottimisti del governo italiano prevedono di dimezzare questa cifra entro due anni, rendendola più o meno stabile.
Contemporaneamente, Francia, Italia e Germania intervenivano sul governo nigerino per bonificare la frontiera con la Libia e in particolare lo hub migratorio di Agadez, sempre in cambio di aiuti economici. Intanto sul terreno nigerino si struttura la presenza militare delle maggiori potenze europee, anche con lo scopo di contribuire al contenimento dei traffici e alla lotta alle milizie jihadiste. Sul fronte orientale, regge ormai da più di un anno il patto MerkelErdoğan, vestito da accordo Ue-Turchia, che ha di fatto disseccato la rotta che attraverso l’Egeo puntava sulla Grecia e di qui, via Balcani, verso la Germania e il Nord Europa. Nessuno di questi tre corridoi migratori è sigillato. Gli equilibri e gli accordi formali e informali possono essere rapidamente rovesciati. In ogni caso, il fenomeno migratorio resterà un fenomeno strutturale con cui dovremo fare i conti per decenni almeno. Eppure quei paesi che avrebbero dovuto rallegrarsi per il rallentamento degli arrivi di stranieri a loro dire non integrabili, anzi pe-
ricolosi, e che si rifiutano di accogliere persino una manciata di rifugiati, continuano a fare il viso dell’arme. Perché? La risposta è che la xenofobia prescinde dal dato di fatto, dai numeri, perché si nutre di una profonda ideologia identitaria. Questo almeno in gran parte dei paesi dell’ex Est europeo, dall’Ungheria alla Polonia, culturalmente e linguisticamente quasi monoetnici. Nulla a che vedere, con la Germania, dove 11 milioni di abitanti sono nati all’estero (più di uno su otto), della Francia, della Gran Bretagna, in minor misura anche dell’Italia. Sicché la questione migratoria, per quanto gestibile in termini di numeri, diventa ingestibile per la collisione fra culture politiche fra loro incompatibili. Che poi questi paesi partecipino tutti dell’Unione Europea è solo l’ennesima conferma che questa «Grande Europa» non è e non sarà per il tempo visibile integrabile in un’effettiva unità geopolitica tale da farne un attore della politica internazionale. Campo nel quale fra noi europei vale la regola «ciascuno per sé nessuno per tutti».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Politica e Economia
La contro-rivoluzione di Trump Stati Uniti The Donald è ripartito all’offensiva, come fosse tornato ai suoi primi 100 giorni: dalla riforma fiscale
andata in porto, all’entrata in vigore del Muslim Ban, al riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele
Federico Rampini Sulle tasse Donald Trump celebra la sua prima vera vittoria legislativa. Il Senato ha approvato la riforma fiscale su cui il presidente si gioca molto. È la prima grossa riforma che lui porta a conclusione in un anno di governo. La versione del Senato andrà armonizzata con quella della Camera ma la prova di coesione della destra lascia pochi dubbi: prima delle vacanze di Natale con ogni probabilità la riforma arriverà sul tavolo del presidente per la sua firma e il varo definitivo. Dentro le quasi 500 pagine del testo ci sono 1500 miliardi di dollari di riduzioni d’imposte spalmate su dieci anni. I repubblicani la presentano come una manovra «reaganiana» che sosterrà la crescita, l’occupazione e i redditi delle famiglie. I democratici denunciano un iter precipitoso, l’effetto disastroso sui conti pubblici, i regali alle imprese che aumenteranno le diseguaglianze.
Trump incassa il sì del Senato alla riforma fiscale che premia imprese e ricchi. Tasse su aziende giù dal 35 al 20% Il beneficio più sostanziale va senza dubbio alle aziende che si vedono abbassare dal 35% al 20% la tassa sugli utili (al 22% nella versione della Camera). C’è anche un alleggerimento speciale riservato alle imprese a proprietà familiare. In teoria quest’ultimo dovrebbe aiutare le piccole imprese, in realtà anche un’azienda medio-grande come quella dello stesso Trump, la cui architettura proprietaria è frammentata su centinaia di piccole entità, ne ricaverà uno sconto fiscale stimato al 23%. In quanto alle persone fisiche, i repubblicani sostengono che questa riforma alleggerisce il carico fiscale sul 70% delle famiglie, un’affermazione che viene contestata dall’opposizione di sinistra e da molti esperti. L’impatto sul ceto medio dipende da molte variabili perché la nuova normativa modifica detrazioni e deducibilità delle spese. Il danno più evidente è per chi abita negli Stati governati dai democratici (come California e New York) dove ci sono maggiori servizi pubblici finanziati dalle addizionali Irpef. Queste imposte locali sul reddito non saranno più deducibili ed anche la deducibilità delle imposte sulla casa viene ridotta. Un’altra incognita è legata alla scadenza dei benefici, quelli per le famiglie possono sfumare dopo sette anni se il deficit pubblico aumenta. L’impatto sui conti pubblici è uno dei temi controversi. Un organo bipartisan del Congresso ha stimato che il deficit federale peggiorerà di mille miliardi in un decennio. I repubblicani rispolverano la «teoria dell’offerta» in voga ai tempi di Ronald Reagan, sostengono che l’impulso alla crescita finirà per aggiustare i conti pubblici. La sinistra ironizza sul fatto che i repubblicani promettono conti in pareggio quando sono all’opposizione, poi una volta al governo li sfasciano per regalare sgravi fiscali alle loro constituency più potenti. L’argomento degli sgravi fiscali che si auto-finanziano, tuttavia, è stato usato anche dalle sinistre europee in chiave anti-austerity. Almeno altrettanto controverso, è l’altro dogma ideologico che sta dietro questa riforma: anche questo ebbe la massima diffusione negli anni Ottanta sotto la presidenza Reagan quando venne definito «trickle-down effect» o effetto a cascata. È l’idea che tassare
La marcia di Donald Trump è stata per un momento fermata dall’incriminazione del generale Flynn sul Russiagate. (AFP)
meno le imprese e i loro grandi azionisti alla fine ci renderà tutti più ricchi, perché aumenteranno gli investimenti, le assunzioni, le retribuzioni. Quarant’anni di storia da Reagan ai nostri giorni, segnati dalla dilatazione estrema delle diseguaglianze e dalla concentrazione di ricchezze a vantaggio di una ristretta oligarchia, non hanno impedito la rinascita di questa teoria.
Risale al 1995, all’epoca di Clinton, il voto del Congresso per lo spostamento dell’ambasciata. I presidenti successivi lo ignorarono. Trump no «Siamo ai massimi su ogni fronte inclusa, la Borsa – ha dichiarato Trump – dopo il più grosso taglio delle tasse nella storia di questa nazione. I democratici la pagheranno perché non è politicamente utile votare contro le riduzioni d’imposte». Una parte del conto, stando alle prime stime, lo pagheranno 13 milioni di americani nei ceti meno abbienti: sono quelli che rischiano di perdere l’assistenza medica, perché la
manovra fiscale abolisce molti sussidi federali per l’acquisto di polizze sanitarie da parte di chi ha redditi bassi. La stessa fretta spasmodica criticata dai democratici per questo iter legislativo, si può leggere anche in altro modo: di fronte a un test decisivo la destra è riuscita a superare le proprie differenze interne e a dare prova di unità. La rivoluzione trumpiana è ripartita. O contro-rivoluzione: disfa i parchi nazionali, blinda le frontiere, liberalizza Wall Street, cancella sistematicamente le riforme del suo predecessore. Sta di fatto che il presidente è ripartito all’offensiva, macina atti e proposte come fosse tornato ai suoi primi cento giorni. Dopo quasi un anno di governo assai magro di risultati concreti fino a una settimana fa, gli ultimi giorni hanno visto un’improvvisa accelerazione. E tanti successi, sempre nel suo stile divisivo, lacerante: tant’è che nei sondaggi lui scende ancora, al minimo storico del 35%. Compatta i suoi, indigna gli altri. La riforma fiscale è un pezzo di programma elettorale che va in porto, e non era scontato visto che la maggioranza repubblicana si era sfilacciata quando aveva tentato di abrogare la sanità di Obama. Poco prima della votazione sulle tasse, la doppia nomina al vertice della Federal Reserve e dell’agenzia per la tutela del risparmiatore,
all’insegna della deregulation finanziaria: un’altra promessa fatta (a Wall Street) e ora mantenuta. Altri due capitoli della contro-rivoluzione riguardano ambiente e controlli alle frontiere. Il primo lo ha scritto Trump andando nello Utah ad annunciare un altro assalto all’ambientalismo del suo predecessore: sotto tiro i parchi nazionali, un’istituzione americana che fu sempre circondata dal rispetto bipartisan. L’ultimo sfregio è la rimozione dalle aree protette di vaste porzioni del Bears Ears National Monument, inclusa la magnifica Valley of Gods. Lo ha deciso in nome della lotta contro «lo strapotere federale», una crociata ideologica che neppure Reagan volle condurre così lontano. I parchi federali in quest’ottica sono una forma di statalismo... In realtà risalgono al repubblicano Theodore Roosevelt. E mentre Trump era nello Utah, gli arrivava la buona notizia della Corte suprema. Il massimo organo della giustizia americana – dove i repubblicani hanno la maggioranza – ha ripescato il Muslim Ban che diversi tribunali di ordine inferiore avevano bloccato. Così entrano in vigore quei blocchi ai visti per i cittadini di sei paesi a maggioranza musulmana. L’impeto ritrovato dà anche maggiore autorevolezza al presidente nei
confronti del suo partito, sia pure alienando ulteriormente l’elettorato democratico. Trump trascina il Grand Old Party verso una scelta delicata a pochi giorni dalla controversa elezione senatoriale in Alabama. Quella del 12 dicembre è diventata un test politico nazionale per via della figura del candidato repubblicano Roy Moore. Malgrado le accuse di diverse donne che dicono di essere state molestate da Moore quando erano minorenni, Trump ha deciso di appoggiarlo e i notabili repubblicani si sono accodati. «Non vogliamo un liberal democratico in Alabama» ha detto Trump. Prevale il dogma della destra, inclusi i puritani del fondamentalismo cristiano: la moralità dei politici non interessa, purché siano dei nostri (e antiabortisti). Ieri infine il presidente ha rilanciato il tema del protezionismo: «Basta squilibri commerciali con Messico e Canada, rivedremo il mercato unico Nafta». Eppure venerdì primo dicembre la notizia shock era stata di segno negativo: l’incriminazione del generale Michael Flynn, che dava l’immagine di una Casa Bianca assediata dallo scandalo. Ora un nuovo scudo contro il Russiagate viene affacciato da uno dei legali di Trump: è impossibile che il presidente sia colpevole di «ostruzione alla giustizia» visto che è lui il massimo responsabile dell’applicazione della giustizia in base alla Costituzione. Infine la rivoluzione o contro-rivoluzione è ripartita anche in politica estera con la clamorosa decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele. «Donald Trump mantiene le promesse». La Casa Bianca ricorda che in campagna elettorale l’allora candidato lo aveva detto più volte: sposteremo l’ambasciata a Gerusalemme. La sua alleanza con Benjamin Netanyahu è di ferro, questa è un’altra prova di fedeltà. È l’ultimo capitolo di una lunga storia di allineamento tra la destra Usa e la destra israeliana: risale al 1995 il voto del Congresso per lo spostamento dell’ambasciata, si era nel bel mezzo della presidenza di Bill Clinton. Tutti i presidenti successivi ignorarono quella volontà del Congresso, Trump no. L’ultima versione indica qualche concessione alle pressioni degli alleati arabi (sauditi e giordani): pur dichiarando il riconoscimento formale di Gerusalemme come capitale di Israele, Trump rinvia lo spostamento dell’ambasciata a una data da definirsi. Sfuma l’ipotesi del blitz istantaneo – in fondo basta cambiare targa all’ingresso del Consolato Usa e «trasformarlo» in ambasciata all’istante – ora la Casa Bianca parla di acquistare un terreno ad hoc. Un accorgimento che può far slittare l’apertura fisica della nuova ambasciata addirittura di anni. Resta il rischio che le reazioni dei palestinesi e del mondo arabo sfuggano di mano. Già il Dipartimento di Stato prepara avvertimenti per tutti gli americani in quell’area, in vista di violenze possibili. Il rischio geostrategico più generale è quello di accelerare una ricomposizione degli equilibri in Medio Oriente, spostando ancor più in favore della Russia le alleanze. Dopo il successo di Putin nel puntellare Assad abbiamo avuto l’avvicinamento tra la Turchia e la Russia, infine manovre di disgelo anche fra il Cairo e Mosca. Il grande vincitore in questo terremoto di alleanze nel Medio Oriente rischia di essere Putin. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Yemen, guerra dentro la guerra Giochi di potere L’ex presidente sciita Saleh, assassinato dai ribelli Houthi suoi nemici-amici-nemici, è stato a lungo
l’uomo dell’Arabia Saudita, ma nel 2012 Riad gli ha voltato le spalle per mettere al suo posto il vicepresidente Hadi
Marcella Emiliani In Medio Oriente è stato massacrato un altro dittatore di lungo corso, Ali Abdallah Saleh, presidente dello Yemen dal 1978 al 2012. È successo il 4 dicembre scorso: prima è stata presa di mira la sua abitazione a Sana’a, poi, mentre lui tentava la fuga, è stato colpito a 40 km dalla capitale. Il suo cadavere avvolto in un drappo è stato mostrato dall’emittente dei ribelli Houthi, al-Massirah, ma era difficile riconoscerlo perché il viso era completamente spappolato. Solo il comunicato del Congresso generale del popolo, il partito dell’ex presidente, ha dato al Paese la certezza che il cadavere esibito in tv fosse proprio quello di Saleh. La sua morte, così impietosamente simile a quella di Gheddafi nel 2011, ha segnato l’ennesima svolta drammatica nelle sanguinosissime guerre che stanno martoriando lo Yemen in cui si sta consumando la più grave catastrofe umanitaria a livello pianeta.
Quasi la metà degli yemeniti segue il ramo sciita dell’islam: questo per il regime saudita rappresenta un motivo di forte preoccupazione Parliamo di guerre perché il conflitto in atto in quella che fu l’Arabia felix è multiplo o polisemico, come dicono i politologi. Dal 2014 i ribelli Houthi, una tribù sciita zaidita originaria del Nord, sono entrati in rotta di collisione col governo di Abd-Rabbo Mansour Hadi sul nuovo modello di Costituzione da dare al Paese dopo l’uscita di scena di Saleh (sciita pure lui), avvenuta nel 2012, a seguito della primavera yemenita, ma solo dopo che l’Arabia Saudita e gli Emirati del Golfo (appoggiati in quell’occasione tanto dall’Onu quanto dalla Unione europea) avevano costretto il dittatore a ritirarsi. Da quel momento Ali Abdallah Saleh, che aveva combattuto gli Houthi in ben sei guerre dal 2004 al 2010 (quando si ribellavano per l’emarginazione politica ed economica in cui erano relegati), si è alleato proprio con gli arci-nemici Houthi per far deragliare il regime del suo successore alla presidenza, Mansour Hadi, sunnita. Il suo appoggio militar-tribale e i depositi di armi che ha messo a disposizione dei ribelli, hanno consentito loro di impadronirsi nel 2014 della capitale Sana’a e di costringere Hadi alla fuga verso Aden nel Sud. A quel punto lo Yemen è diventato l’ennesimo terreno di scontro tra le due potenze del Golfo, l’Arabia Saudita e l’Iran, con Teheran ad appoggiare ed armare gli Houthi e Riad a sostenere il periclitante governo di Hadi; Hadi che negli ultimi tempi non aveva neanche più il coraggio di risiedere ad Aden, per starsene al sicuro nella capitale saudita. Dal 2015, infatti, una coalizione di paesi arabi guidati dall’Arabia Saudita ha dichiarato una guerra vera e propria agli Houthi e al loro alleato Saleh con la presunzione di poterli sconfiggere e infliggere un duro colpo all’espansionismo dell’Iran nel Golfo. Ma così non è stato. Gli Houthi sono rimasti in sella, mentre lo Yemen è stato distrutto, la popolazione è stata ridotta alla fame, le vittime sono state quasi 9.000, due milioni gli sfollati, mentre il colera infuria nelle principali città. Non paga, l’Arabia Saudita ha chiuso tutte le frontiere di terra, cielo e mare del paese vicino, impedendo che gli aiuti umanitari raggiungessero la popolazione ormai stremata. Solo
Ribelli Houthi a Sana’a, Yemen, 4 dicembre 2017. (AFP)
nell’ultima settimana di novembre era stato finalmente consentito l’arrivo di cibo e medicinali, ma sabato 2 dicembre con uno dei suoi coupes de théâtre o voltafaccia che dir si voglia, Saleh ha ripudiato l’alleanza con gli Houthi per affiancarsi all’Arabia Saudita e «riportare la pace nel Paese». Da quel momento gli Houthi l’hanno considerato un traditore e a Sana’a è cominciata la caccia all’uomo per farlo fuori, impresa che è loro riuscita il lunedì successivo dopo un week end di sangue tra ribelli e sostenitori dell’ex presidente nella capitale Sana’a. Non bastasse, nella notte tra il 4 e il 5 dicembre l’aviazione saudita ha compiuto decine di raid aerei sullo Yemen, aggiungendo morti ai morti. Da Riad, il 5 dicembre Mansour Hadi via tv ha spronato i suoi connazionali a ribellarsi agli Houthi sempre «per riportare la pace nel Paese».
Dopo la fuga di Hadi, lo Yemen è diventato l’ennesimo terreno di scontro fra le due potenze del Golfo, Arabia Saudita e Iran Ma la pace in Yemen oggi com’è oggi sembra una chimera. Difficilmente i sodali e i leader tribali alleati di Saleh, elevato al rango di «martire», non cercheranno vendetta, anche se la rapidità con cui gli Houthi hanno sbaragliato i miliziani dell’ex presidente per mantenere il controllo di Sana’a fa supporre che non fossero poi così forti e agguerriti. Quale sarà inoltre la prossima mossa dell’Arabia Saudita? Sono in molti a pensare che Riad sia tentata di puntare sul primogenito di Saleh, Ahmed, già capo della Guardia repubblicana, il corpo d’élite dell’esercito yemenita quando il padre era presidente. Il disegno sarebbe quello di nominarlo alla testa del Congresso generale del popolo e farne l’artefice di una pax saudita in Yemen, sempre che sia disposto a collaborare con Mansour Hadi, l’attuale presidente e «burattino» di Riad. Il che non è scontato. Di certo anche l’Arabia Saudita vuole evitare che lo Yemen diventi il suo Vietnam, ma svincolarsi oggi è più difficile di ieri. Dal canto loro, anche gli Houthi non stanno meglio. In pratica sono ri-
masti soli contro tutti in patria e sarà arduo affrontare la guerra civile dentro la guerra civile che si è aperta con l’assassinio di Saleh. Certo possono contare sull’appoggio dell’Iran e degli
Hezbollah libanesi, ma Iran ed Hezbollah sono disposti a scendere in campo in prima persona nello Yemen e così affrontare direttamente l’Arabia Saudita? Nei suoi lunghi anni di dittatura
Saleh era solito dire che «governare lo Yemen era come ballare sulla testa dei serpenti». Ora che l’uomo che ballava sulla testa dei serpenti è morto, sul terreno restano solo i serpenti. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Politica e Economia
Stampa sotto assedio
Tettamanti e Tuor a duello
Giornalismo In Romandia molte testate storiche non esistono più e quelle che sopravvivono
Pubblicazioni I due
sono in mano ai grandi gruppi zurighesi, TAmedia in testa
commentatori del CdT incrociano la penna su liberismo e globalizzazione
Enrico Morresi
«T contro T» (con il sottotitolo «Te lo do io il liberismo») non è un saggio, non vuole esserlo. È una sfida epistolare fra due profilati commentatori del «Corriere del Ticino», l’avvocato e finanziere Tito Tettamanti e il giornalista Alfonso Tuor, già capo del settore economia del «Corriere del Ticino», su liberismo, globalizzazione e le diseguaglianze che l’attuale ordinamento economico ha generato nel mondo. Il tono amichevole («Caro Alfonso», «Caro Avvocato Tito Tettamanti») non tragga in inganno: i due hanno visioni diametralmente opposte e non temono di dirselo a chiare lettere, e anche laddove concordano sull’analisi dei fatti (raramente, in effetti), propongono sempre soluzioni contrastanti. Chi segue sul CdT Tettamanti e Tuor non si sorprenderà dei punti di vista che troverà nel libro (Edizioni San Giorgio): l’anti-statalismo di Tito Tettamanti, ossia il fastidio verso una burocrazia che limita le libertà individuali e di impresa, e la critica alla globalizzazione e al liberismo (ma non al liberalismo politico) da parte di Alfonso Tuor, sono un fil rouge che li contraddistingue. Interessante è però lo spazio di approfondimento che la dimensione «libro» permette e soprattutto che Tettamanti e Tuor, stimolandosi a vicenda, debbano affinare le loro riflessioni per controbattere all’altro. / Red.
«Le Temps» è l’ultimo quotidiano di qualità in Romandia; nella foto il suo direttore Stéphane Benoit-Godet. (Keystone)
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Bibliografia
A. Clavien, La Presse romande, Ėditions Antipodes e SHSR, pp. 203,Lausanne 2017 C. Campiche, La presse romande assassinée, Ėditions Eclectica, pp. 43, Grand-Saconnex, Genève 2017). Jahrbuch 2017, Qualität der Medien, Schweiz, fög/Universität Zurich, Schwabe Verlag, Zürich 2017 Edizioni San Giorgio
Tito Tettamanti Alfonso Tuor
T
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Te lo do io il liberismo
Il libro sarà presentato dagli autori questa sera alle 18.00 all’USI, aula 11. Annuncio pubblicitario
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Tit an fon de din fin sag (Co
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tore cita il piccolo numero di radio e televisioni private il cui capitale è nelle mani di poteri locali. Non cita (ma è essenziale) il ruolo divenuto centrale e indispensabile della SSR: il solo medium che in Romandia possa permettersi di colmare il vuoto di informazione di qualità lasciato dalle testate in mano privata. Non per niente, Qualität der Medien pone da sempre i servizi della TSR in testa alle classifiche. Superata – speriamo – la sfida dell’iniziativa popolare «No Billag», ristretta in seguito con tutta probabilità la funzione della SSR alla sua offerta essenziale, bisognerà aprire coraggiosamente il discorso dell’aiuto pubblico alla stampa. Campiche lo afferma non solo come autore di riferimento ma anche come presidente della più forte associazione nazionale di giornalisti («Impressum»): e ha ragione, se si vuole che il giornalismo continui servire con dignità le diversità regionali e cantonali di questo nostro fortunato Paese.
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di quello che c’era. Attualmente, come metodo, prevale la concentrazione delle redazioni che producono le pagine non-locali – Esteri, Svizzera, Economia, Sport –, operata accentrando le sedi e praticando decine di licenziamenti e pre-pensionamenti. Per esempio, TAmedia (68% del mercato) realizzerà dal 2018 una redazione comune a Losanna per la «Tribune de Genève», «24 Heures» e «le Matin dimanche». Il Gruppo Hersant prepara la fusione dei contenuti (salvo la cronaca locale) a «L’Express», giornale di Neuchâtel fondato nel 1881, del resto già fuso con «L’Impartial» (La Chaux-de-Fonds, Giura) e ora con «Le Nouvelliste» (Sion) e «La Côte» (Nyon). Quanto a Ringier, dopo la soppressione de «L’Hébdo», quel che resta dell’équipe redazionale è stato aggiunto a quella di «Le Temps». Questo è un giornale di qualità (il solo, veramente!) ma fatica a darsi i mezzi per mantenersi all’altezza delle ambizioni. Si sta dunque profilando un appiattimento: non solo la varietà dei prodotti ne soffre, ma anche la qualità: è il giudizio che viene elaborando di anno in anno il gruppo di studio dell’Università di Zurigo fondato da Kurt Imhof che pubblica il rapporto Qualität der Medien. «La diversità dei media è la condizione indispensabile del dinamismo intellettuale e spirituale di una regione» – scrive Christian Campiche. Ha ragione. Ma ci sono ancora speranze? L’au-
T contro T – Te lo do io il liberismo
tanza, delle regioni linguistiche e culturali della Svizzera, e a dover interessare non è solo il numero delle testate ma la loro qualità. La prima e più importante osservazione da fare è che i romandi non sono più padroni in casa propria. La grande maggioranza delle testate è stata venduta a due editori zurighesi (TAmedia e Ringier) e a un editore francese (Hersant): solo «La Liberté» a Friburgo e «le Courrier» a Ginevra sono ancora in mani romande. Il giornale cattolico friburghese, codino al punto che lo si chiamava «la menteuse», aveva preso forza e guadagnato rispetto con la direzione (1970-1990) di François Gross: oggi trae vantaggio dell’essere rimasto solo in campo in un cantone fiero della sua relativa separatezza all’interno della Romandia. A Ginevra «le Courrier», che sfiora i cent’anni di vita, ha una tiratura misera (meno di diecimila copie) ma è sostenuto da una ventina di associazioni più o meno cattoliche, più o meno di sinistra, e da due anni sostiene di uscire in pareggio con i conti. Per conoscere come si evolvono e verosimilmente si evolveranno le testate ormai dipendenti dalle scelte che si fanno a Zurigo basterà citare lo spirito con cui TAmedia affronta la crisi determinata dall’avvento del digitale e dal calo della pubblicità sul cartaceo. L’obiettivo era di ottenere un utile tra il 15 e il 20 per cento, che però il calo delle inserzioni ha reso irreale: perciò si è deciso di tagliare nella carne viva
Tito Tettamanti – Alfonso Tuor
L’immagine lasciata dalla lettura degli ultimi saggi usciti sulla storia e sulle condizioni attuali della stampa e del giornalismo romandi (A. Clavien, La Presse romande, Ėditions Antipodes e SHSR, pp. 203,Lausanne 2017; C. Campiche, La presse romande assassinée, Ėditions Eclectica, pp. 43, Grand-Saconnex, Genève 2017) è quella di un cimitero disseminato di tombe famose. Ne riconosco qualcuna, su cui leggo il nome della testata e quello del giornalista che la incarnava, ai bei tempi. Quella del «Journal de Genève», per esempio. Era l’unico giornale, con la NZZ e la «Gazette de Lausanne», che si poteva trovare in tutte le ambasciate svizzere all’estero, che si poteva comprare all’edicola a Mosca, a Madrid, a Stoccolma: fondato nel 1846, soppresso nel 1998. Lì accanto, la tomba della «Gazette de Lausanne»: la più vecchia di tutte (1798) e non la meno illustre se si ricorda Pierre Béguin (1903-1978), che la diresse dal 1946 al 1965. Autentico liberale, Béguin non piaceva alla destra e dovette lottare per l’indipendenza del giornale (vi ricorda qualcosa se lo paragoniamo al «Corriere del Ticino» di Guido Locarnini?). Lì vicino la pietra tombale de «La Suisse», fondata nel 1898, che il mio maestro, Piero Beretta, giornalista sportivo, leggeva dalla prima all’ultima riga, soppressa nel 1994. La giovane sinistra si riconosceva ne «L’Hébdo», settimanale fondato da Jacques Pilet nel 1981, proprietà dell’editore Ringier di Zofingen il quale voleva alzare il tiro – politicamente e intellettualmente – rispetto al settimanale popolare che gli apparteneva: «L’Illustré». Pilet veniva dalla Televisione e aveva il gusto dell’inchiesta: la lanciò come genere giornalistico e tutta la destra economica gli fece la guerra (25 cause giudiziarie in pochi anni). Ma erano gli anni buoni della pubblicità e pareva che gli editori fossero disposti a difendere le loro testate. A partire dal 2002, «L’Hébdo» era andato perdendo quota, aumentando i disavanzi: bastò che Ringier si alleasse con Springer, l’editore di Berlino, e la mannaia cadde. La pietra tombale dell’«Hébdo» è l’ultima posata, nel gennaio di quest’anno. Non ho l’intenzione di annoiare il lettore con un’infilata di titoli soppressi o in crisi. Chi legge si aspetta piuttosto che descriva… quel che resta. E non è poco, infatti: ma parliamo pur sempre della seconda, per proporzioni e impor-
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Politica e Economia
Enorme crescita delle cripto valute sui mercati
Finanza Il bitcoin, la valuta elettronica per eccellenza, ha superato il controvalore di 10’000 dollari ed è persino
entrato nella borsa merci di Chicago. Pregi e difetti di un sistema per il quale le autorità invitano alla prudenza
Ignazio Bonoli Il 30 novembre il valore del bitcoin aveva superato i 10’000 dollari. Una crescita formidabile se si pensa che nel dicembre del 2016 il valore di un bitcoin era di 1’000 dollari. Questa impennata ha fatto crescere l’interesse per le monete digitali in generale e per il bitcoin in particolare. Anche le banche propongono oggi investimenti in bitcoin a breve scadenza con enormi guadagni. Nonostante il grande sviluppo, il bitcoin resta però un illustre sconosciuto per la maggior parte delle persone. Si tratta infatti di una valuta digitale, che esiste soltanto sotto forma di scrittura elettronica criptata. Il professor Sergio Rossi, docente di economia monetaria a Friburgo, in una recente intervista, ha usato la definizione di «catena di numeri digitali». «Quando si paga con questa catena di numeri, il sistema Bitcoin verifica se chi paga ha i numeri giusti per farlo e poi aggiunge gli stessi a una catena numerica che diventa sempre più lunga. In sostanza – aggiunge – la valuta bitcoin non esiste materialmente». Il bitcoin è stato creato nel 2009 da un inventore anonimo che usa lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. Il termine Bitcoin (con la maiuscola) si riferisce tanto alla tecnologia, quanto alla rete, mentre bitcoin (minuscolo) è il termi-
ne usato per la valuta. Il sistema è molto decentrato, poiché non dispone di una «centrale», ma fa uso di un «database» che funziona mediante l’uso della criptologia (cifrata in base a un codice). Sistema che permette il trasferimento anonimo di valute. I dati necessari per utilizzare il bitcoin possono essere salvati su un computer o su uno smartphone, sotto forma di «portafoglio»digitale, oppure detenuti presso terzi, che svolgono funzioni simili a una banca. Questi dati possono essere trasferiti verso chiunque disponga di un «indirizzo bitcoin». Si tratta di una delle prime realizzazioni del concetto di «cripto-moneta» o «cripto-valuta». Si calcola che oggi siano in circolazione molti miliardi di bitcoin, ma non si sa però quanti con esattezza, così come è praticamente impossibile stabilire con certezza il loro valore in una moneta corrente (per esempio il dollaro). Per questo, il professor Rossi li definisce un «oggetto di speculazione». Uno dei suoi punti deboli sta perfino nel fatto che senza una fonte di energia elettrica non può funzionare e i suoi sviluppi potrebbero perfino creare problemi in campo energetico. Tuttavia i bitcoin permettono di evitare l’intermediazione delle banche. Rischia così di sovrapporsi alla normale circolazione di moneta, ma senza nessun con-
Un anno fa un bitcoin valeva 1000 dollari, e 10’000 a fine novembre 2017. (Keystone)
trollo da parte delle autorità monetarie. All’inizio si è perciò pensato di limitare «l’emissione» di bitcoin a 21 milioni, con un riferimento al dollaro, stimato in 1’309.03 dollari statunitensi. Ma con il sistema della catena, la «creazione» di bitcoin ha avuto una fortissima impennata. La disponibilità di nuovi bitcoin è cresciuta in proporzioni geometriche ogni quattro anni. Nel 2013, era già stata prodotta la metà delle possibili quantità di bitcoin, mentre quest’anno si dovrebbero raggiungere
i tre quarti delle possibilità. La durata delle emissioni è prevista in 32 anni. . Pensato come un mezzo di pagamento, il bitcoin si sta trasformando anche in un mezzo di riserva di valore. Tanto che c’è già chi lo ha definito «oro digitale». Ma utilizzare come mezzo di risparmio una valuta che non ha una base reale (come l’oro appunto) potrebbe essere molto rischioso. Il valore del bitcoin dipende esclusivamente dalla domanda e dall’offerta, come per qualsiasi altro bene economico.
Dal momento che è molto soggetto alla speculazione, il suo valore può crescere fortemente, ma anche calare altrettanto fortemente. Fra gli economisti vi è chi ha già evocato la nota crisi dei «subprime» che ha fatto traballare la finanza del mondo intero, ma con conseguenze che potrebbero essere anche peggiori. Intanto la borsa di Chicago ha introdotto la quotazione del bitcoin. Significativo che ciò avvenga nella principale borsa mondiale per le merci e non sui mercati finanziari, perfino con un mercato a termine, e introducendo il riferimento a un indice in tempi reali. Questa «professionalizzazione» del mercato dovrebbe attirare l’attenzione degli investitori istituzionali (per esempio casse pensioni) alla perenne ricerca di rendimenti adeguati. Ma proprio la speculazione potrebbe creare i maggiori pericoli. Secondo Thomas Peterffy, uno dei maggiori attori della finanza mondiale, il bitcoin si presta a speculazioni a breve termine, ma nel lungo termine potrebbe perdere tutto il suo valore. Inoltre, se il suo commercio aumenta le autorità potrebbero intervenire (la Cina lo ha già fatto) prima che sia troppo tardi. Intanto anche la FINMA, l’autorità di sorveglianza dei mercati finanziari, ha comunicato di seguire attentamente le cripto-valute e invita tutti alla prudenza.
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Politica e Economia
«Bitcoin» è il leitmotiv della finanza per il 2017 La consulenza della Banca Migros Thomas Pentsy
Thomas Pentsy è analista di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Quest’anno il bitcoin ha guadagnato oltre il 900%, ma questi progressi sono giustificati? Sul tema bitcoin c’è bisogno di fare chiarezza. Una giuria composta di cinque esperti finanziari ha quindi eletto il termine «Bitcoin» come leitmotiv finanziario del 2017. Considerando questi strepitosi utili si discute appassionatamente se attorno al bitcoin si sia gonfiata una mostruosa bolla speculativa. Quanto sta accadendo ricorda spesso la bolla delle dotcom della fine degli anni Novanta. Uno sguardo al passato rivela che in un periodo più breve il bitcoin ha guadagnato più terreno di quanto abbia fatto allora il mercato statunitense dei titoli tecnologici Nasdaq. I fautori delle criptovalute argomentano che, alla base dei bitcoin, c’è una «disruptive technology» che modifica definitivamente i processi operativi, dunque i rendimenti sono giustificati. Inoltre, la tecnologia blockchain supporta, ad esempio, i «contratti intelligenti» che vengono automaticamente eseguiti se sono soddisfatte determinate condizioni. Un vantaggio importante consiste nella struttura decentralizzata della rete bitcoin che non soggiace ad alcun organo di controllo o regolatorio. Le operazioni con i bitcoin si differenziano dunque notevolmente dalle tradi-
La giuria di cinque persone è composta da (partendo da sinistra): il fondatore di finews.ch Claude Baumann, lo scrittore Michael Theurillat, la professoressa Sita Mazumder, l’ex banchiere Oswald Grübel e l’analista di mercato e dei prodotti della Banca Migros Thomas Pentsy. (Michael Sicker)
zionali operazioni bancarie, nelle quali gli istituti finanziari possono intervenire per bloccare conti, verificare pagamenti nell’ambito del riciclaggio di denaro o imporre regole. Per molti il bitcoin rappresenta inoltre una possibilità di sottrarsi al sistema finanziario e all’influenza delle banche centrali. Di conseguenza, le criptovalute come il bitcoin sono di-
ventate un rifugio sicuro per attività che spaziano dalla cybercriminalità al traffico di stupefacenti, passando per la fuga di capitali da paesi con rigidi controlli sul traffico di denaro. La blockchain collegata ai bitcoin può rivoluzionare il mondo finanziario. Dopo tutto, anche la nascita di Internet negli anni Novanta ha rappresentato un cambiamento di
paradigma. Solitamente, le trasformazioni radicali non accadono dal giorno alla notte. Così come molte ex-meteore dotcom sono sparite dal mercato, a più lungo termine anche innumerevoli criptovalute potrebbero «tramontare». Che cosa pensate del bitcoin? Partecipate al dibattito: blog.bancamigros.ch Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Il Ticino si riorienta e guarda a Zurigo Il Dipartimento delle finanze e dell’economia del Canton Ticino ha avviato trattative per aderire alla «Greater Zürich Area» un’organizzazione privata (si tratta di una fondazione) che ha per scopo di promuovere le attività economiche, in particolare il marketing territoriale, all’interno della sua area di competenza. Della stessa fanno parte istituzioni pubbliche e aziende private. Difficile dire come l’area di competenza della GZA venga definita. All’inizio si trattava del territorio dei Cantoni e delle regioni che possono essere raggiunti in 60 minuti partendo dall’aeroporto internazionale di Zurigo. Visto che della GZA fanno parte, già oggi, anche i Cantoni di Uri e dei Grigioni è evidente che il raggio dei 60 minuti dall’aeroporto non rappresenta più l’unico criterio di definizione. Attualmente i responsabili dell’organizzazione sembrano orientarsi verso
il criterio della convergenza nella base economica. Essi sottolineano, in particolare, l’importanza dell’innovazione tecnologica. Da parte di chi vuole aderire si mettono quasi sempre in evidenza vantaggi, veri o presunti, di carattere localizzativo. Così un consigliere di Stato di Uri, cantone che fa parte della GZA, pensa che il suo Cantone abbia avuto validi argomenti per aderire perché è il primo di lingua tedesca sull’asse Nord-Sud e possiede condizioni di localizzazione eccellenti (leggi terreni per l’industria a prezzi ancora abbordabili). È difficile dire quali siano i motivi che hanno spinto il Dipartimento delle finanze e dell’economia del Canton Ticino ad avvicinarsi alla GZA. Sicuramente il fatto che la distanza tra Bellinzona e Zurigo sia, in termini di tempo di percorso, diminuita in modo significativo dopo la realizzazione dell’Alptransit, deve
aver giocato un ruolo importante. È probabile che anche la dipendenza dell’economia ticinese dalla piazza finanziaria e dal settore industriale zurighesi possano essere stati presi, per una volta, in considerazione. Non si dimentichi infatti che quasi il 10% delle aziende ticinesi sono da considerare come filiali di aziende che hanno la loro sede nel Canton Zurigo. È anche possibile che poter dire di far parte della GZA, ossia di un’organizzazione che si occupa del marketing della maggiore area economica del paese, possa rivelarsi argomento di peso e di prestigio in future negoziazioni con aziende internazionali che cercano nuove localizzazioni in Svizzera. Bellinzona c/o Zurigo, insomma! Quali siano gli argomenti che hanno contato in questa decisione delle autorità responsabili della politica economica del Cantone lo sapremo più avanti, quando le trattative con la
GZA diventeranno più concrete. Per il momento, tuttavia, è interessante sottolineare che, in materia di marketing territoriale si tratta di un cambiamento di paradigma abbastanza sensazionale. Per decenni – almeno dagli inizi degli anni Sessanta dello scorso secolo – le autorità ticinesi hanno promosso una politica di marketing territoriale orientata, si può dire esclusivamente, verso l’Italia. Ai rappresentanti del nostro governo facevano gola le aziende italiane. Così son venuti in Ticino dapprima i piccoli industriali della Brianza e del nord Italia che volevano risparmiare in materia di fisco. Più tardi, sempre per le medesime ragioni e anche perché la Svizzera non faceva parte dell’UE, si sono installate da noi le funzioni logistiche di grandi marchi della moda. Sembra che gli investimenti diretti dall’Italia nel settore industriale ticinese siano rallentati nel corso degli
ultimi anni. Non è però detto che la decisione di entrare a far parte della GZA, pur rappresentando un nuovo orientamento nella politica di marketing territoriale, sia legata a questo calo. La GZA potrebbe rappresentare unicamente una nuova interessante opportunità, specialmente per il Sopraceneri. Quello che può sorprendere è che, mentre il Canton Ticino sembra pronto a fare anche carte false pur di aderire alla GZA, la città di Zurigo che, geograficamente e economicamente parlando, ne costituisce il fulcro, considera l’attività svolta da questa fondazione in modo molto critico. Nel corso degli ultimi anni, in ogni discussione sul preventivo della città si è dovuto votare sulla proposta di stralciare il contributo della stessa alla GZA. Un po’ di attenzione prima di decidere sarebbe quindi d’uopo. Infatti, come dice il proverbio: Chi di lontano si va a maritare...!
La questione nordirlandese sembra tecnicamente complicata ma in realtà è brutalmente semplice, perché ci sono soltanto due strade percorribili, alternative. Londra ha detto di voler uscire dal mercato unico e dall’unione doganale, e questo significa che per entrare nel Regno ci saranno delle frontiere e delle dogane. L’Irlanda del nord fa parte del Regno e quindi si dovrà prevedere un confine – e i conseguenti controlli – con il sud, cioè con l’Irlanda. La quale però da tempo chiede all’Europa di non avere quel confine, perché i rapporti con il nord sono commercialmente molto solidi e perché reintrodurre una frontiera (che è esistita per settant’anni, dal 1923 al 1993) imporrebbe la ridefinizione non soltanto di trattati commerciali che riguardano centoquaranta aree di scambio, ma anche i trattati di pace. La May ha voluto dare seguito alla richiesta dell’Irlanda, ma la sua apertura ha scatenato una serie di reazioni che le hanno
impedito di fare passi avanti concreti con Bruxelles. Se l’Irlanda del nord resta nel mercato unico e nell’unione doganale, di fatto resta parte dell’Ue e non del Regno Unito. Il partito nordirlandese Dup, che garantisce la maggioranza al Parlamento del partito conservatore di governo, non vuole restare nell’Ue, cioè vuole seguire il Regno Unito fuori da mercato unico e unione doganale. Se si prevede un trattamento speciale per l’Irlanda del nord, allora anche altre parti del Regno – la Scozia, il Galles e la città di Londra – lo pretendono e così l’integrità dell’Union Jack è compromessa. Una terza via però non c’è: o l’Irlanda del nord mantiene le stesse tariffe previste dall’Ue e accetta le regole su prodotti industriali e agricoli dell’Ue, o ci saranno necessariamente controlli doganali. Il senso dell’«hard Brexit» è tutto qui, non ci sono scappatoie possibili. Tecnicamente si può intanto prevedere uno statuto speciale per l’Irlanda
del nord, così l’Europa può dichiarare «i progressi sufficienti» e si passa alla fase due del negoziato tra Londra e Bruxelles. Se poi l’Irlanda del nord dovesse votare contro, si finirebbe con la soluzione-incubo, che è il «no deal», ma intanto andrebbe avanti il processo negoziale. Al momento però l’Irlanda del nord non cede e tutti gli altri interlocutori interni al Regno della May sono sul piede di guerra. Come accade da quando il divorzio del secolo sta tentando di darsi una forma concreta, il Regno Unito si trova a dover negoziare prima al suo interno e poi anche con gli europei, che pure stanno cercando di essere, almeno nella forma, più concilianti. Ma non siamo nell’ambito dei cavilli: oggi a gravare sulla Brexit c’è l’idea stessa di Brexit, quell’«hard» che per Londra è imprescindibile ma che significa mettere in discussione ogni cosa, la tenuta del governo della May oggi, la tenuta dell’unità britannica domani.
ministrazione, insomma l’efficienza dell’apparato statale. «Tutte le società desiderano ormai un equilibrio fra prosperità e vivibilità, apertura e protezione economica, governance efficace e ascolto della voce dei cittadini, individualismo e coesione, libertà economica e welfare. I normali cittadini non misurano tutto questo sulla base di quanto è “democratico” lo Stato in cui vivono, ma su quanto si sentono sicuri nelle loro città, possono permettersi una casa e un lavoro stabile, quali sono le loro prospettive per la vecchiaia e la possibilità di restare in contatto con i propri familiari e amici». All’orizzonte di questa visione utilitaristica non c’è la politica ma la «policy», non il governo ma la «governance». Il mutamento lessicale è sintomatico. Entrambi i termini provengono dal vocabolario d’impresa; significano l’uno «indirizzo» o «linea-guida», l’altro «conduzione» o «direzione aziendale». Nessuno dei
due si apparenta con elezioni, partecipazione, legittimazione democratica. Sono parole nate nel contesto del management privato poi trasmigrate nella sfera pubblica. Si badi: non è solo una questione di forma, è un passaggio che riflette il cambiamento in atto nelle democrazie occidentali, ovvero la crescente volontà di assegnare ad un cenacolo di esperti (i tecnocrati) il governo della cosa pubblica. Secondo Khanna, il nostro paese ha già compiuto questo passo; «la Svizzera – su questo non dobbiamo illuderci – è un sistema altamente tecnocratico». Ma perché dovremmo consegnarci ad una tecnocrazia, o – in altre parole – ad un’élite illuminata? Perché solo loro, i tecnici, sanno cogliere e interpretare i bisogni della collettività; solo loro sono in grado di capire e risolvere tramite provvedimenti sensati i dilemmi che angustiano le società complesse, in campi quali l’energia nucleare, la difesa, la sanità pubblica, la disoccupazione, l’immigrazione, la
sicurezza. La democrazia – come sosteneva già Platone – scivola facilmente nella demagogia (oggi diremmo nel populismo), e quindi nella schiavitù. Come indicano i segnali provenienti dalle sedi storiche dei regimi parlamentari, la tentazione di abbandonare le vecchie strade per affidarsi a super-esperti, o presunti tali, è ricorrente. Ma c’è un aspetto che andrebbe chiarito oltre alla questione della legittimazione dei nuovi poteri. Una tecnocrazia deve per forza fondare la sua azione di governo su montagne d’informazioni raccolte tra i cittadini in ogni momento della loro giornata, come già fanno le grandi aziende attive nella distribuzione e nella gestione dei traffici in rete. Soltanto attraverso tale accumulo di dati («Big Data») in continuo aggiornamento si potrà aggirare le consultazioni popolari e dunque dichiarare obsoleto il voto. Sarà la cittadinanza digitalizzata, munita di codice a barre, la nuova frontiera che ci attende?
Affari Esteri di Paola Peduzzi Brexit e il nodo irlandese Il vertice europeo del 15 dicembre è l’ultima occasione dell’anno per dare una forma alla Brexit: i capi di Stato e di governo dell’Unione europea dovranno stabilire se il negoziato ha fatto «progressi sufficienti» per poter passare alla fase due, che riguarda gli accordi commerciali. A differenza di quanto è accaduto negli scorsi mesi, Londra e Bruxelles hanno allineato toni e aspettative e continuano a ripetere che si stanno facendo passi avanti e che l’intenzione comune è quella di approfittare di questa chance, ché il tempo è poco e la necessità di un po’ di stabilità è tanta. Ma a fronte di questo rinnovato spirito di collaborazione, sono emersi grandi e fondamentali problemi nella definizione dell’uscita del Regno Unito dall’Ue. Su due dei tre punti che costituiscono la prima fase della trattativa, si è sostanzialmente arrivati a un accordo. I dettagli sono da valutare, ma il Regno Unito garantirà i diritti dei cittadini europei sul suo territorio e
ha acconsentito a pagare un «Brexit bill», un conto del divorzio, che non è sproporzionato rispetto alle attese europee e che conferma il fatto – già sottolineato dalla premier britannica, Theresa May – che Londra vuole rispettare gli impegni finanziari presi con l’Ue. Si discute sulle cifre, sul lordo e sul netto e sulle incognite imponderabili, ognuno cerca di trasmettere alle proprie opinioni pubbliche il numero che meno spaventa, ma si intravvede, tra le pieghe di una trattativa spesso astiosa, la volontà di mettersi d’accordo. Il problema è il terzo punto: la questione nordirlandese. Da molte settimane i «Brexitologi», quella categoria di esperti che oggi va per la maggiore ed è ricercatissima, avvertono che sullo status dell’Irlanda del nord può precipitare tutto, il negoziato e il governo della May. Perché la Brexit è tutta qui, nella definizione dei futuri confini dell’Ue, una volta che il Regno Unito non ne sarà più membro.
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Tecnologia e tecnocrazia La Svizzera è retta da una tecnocrazia, più precisamente da una tecno-democrazia? Per Parag Khanna, «stratega geopolitico» e autore di un volume intitolato La rinascita delle città-stato, la risposta è sì: la Confederazione ha queste caratteristiche, al pari di Singapore, piccola repubblica asiatica super-efficiente e super-armata, ordinata e linda. Khanna non ha dubbi: «un ibrido fra la democrazia diretta della Svizzera e la tecnocrazia di Singapore – una tecnocrazia diretta – è la forma migliore di governo per il XXI secolo. Se Platone fosse vivo oggi sceglierebbe gli svizzeri, istruiti e impegnati, come i cittadini ideali della sua repubblica, e i tecnocrati di Singapore, con la loro rigorosa formazione, come i suoi Guardiani. Un ibrido fra queste due nazioni sarebbe il regime più noioso ma senza dubbio più efficiente del mondo – ossia esattamente ciò a cui ogni paese dovrebbe aspirare». C’è sempre da imparare dagli stranieri che osservano la nostra realtà
con occhi vigili. Spesso chi viene da fuori individua dinamiche che a noi sfuggono, prigionieri come siamo di consuetudini e rigidità mentali. Ma altrettanto spesso l’ammirazione espressa per il modello elvetico corre parallela alla denigrazione rivolta all’Unione europea, al disprezzo per la burocrazia di Bruxelles o per le politiche comunitarie, dall’euro al clima. Oppure si adula la Confederazione solo per parlar male del proprio paese, considerato vampiresco e corrotto. Nel caso di Khanna, la prospettiva è diversa. Leggendo il suo libro si capisce quale potrebbe essere il prossimo stadio dei sistemi di governo che non coltivano mire dittatoriali. Sistemi dunque, a prima vista, democratici e liberali, ma che non fanno mistero di voler rendere felice la cittadinanza. La democrazia, infatti, non basta, non può essere un fine in sé: lo scopo è il benessere del maggior numero possibile di cittadini, la buona am-
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Cultura e Spettacoli The Square, il dibattito Non succedeva da tempo che per un film la critica si scaldasse tanto
I nuovi The Corrs L’ultimo album della formazione irlandese è in bilico tra elementi folk e tentazioni mainstream
La madre di ogni strage A Chantilly una mostra impressionante a partire da un celebre quadro di Poussin
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W Harpo! È uscita finalmente in italiano l’autobiografia del comico statunitense pagina 38
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Antonio Puccinelli, L’epoca, circa 1885-1888. (Londra-MilanoSt. Moritz, Galleria Robilant + Voena)
Le divine creature dell’arte Mostre A Rancate una mostra racconta la donna e la moda dell’Ottocento
Alessia Brughera È il 1858 quando il sarto inglese Charles Frederick Worth, nel suo atelier al n.7 di rue de la Paix a Parigi, incomincia a confezionare abiti esclusivi, decretando così la nascita dell’haute couture. È con lui che la realizzazione di un vestito si trasforma in un fenomeno di lusso elitario. Elogiato anche da imperatrici e principesse, che sfoggiano i suoi capi nelle occasioni più importanti, Worth è il primo a concepire la moda come impresa creativa: fa sfilare i modelli in anticipo rispetto alla stagione, appone agli indumenti etichette con la propria firma per sottolinearne l’unicità e presenta materiali e decori sempre nuovi. Se gli abiti di Worth sono merce alla portata di pochi privilegiati, è invece con la diffusione dei primi grandi magazzini in tutte le metropoli europee che la moda femminile parigina si avvicina a un pubblico sempre più ampio con capi dalla qualità e dai costi molto diversificati. L’abbigliamento di tendenza diviene così accessibile anche ai gruppi meno abbienti per i quali fino a quel momento era stato solo un miraggio. Proprio in questo periodo la moda suscita un interesse particolare in ambito artistico, con pittori e scultori impegnati nella scrupolosa riproduzione di vestiti, acconciature e accessori utilizzati
come elementi chiave per raccontare la contemporaneità. Per le effigiate, invece, appartenenti all’aristocrazia e alla ricca borghesia, l’abito aggiornato sulle ultime novità (e dal prezzo molto elevato) è lo strumento con cui costruire l’immagine perfetta da eternare sulla tela, capace di farle apparire eleganti e di manifestare il prestigio della loro condizione. Ecco allora che nelle opere d’arte del secondo Ottocento emerge una figura femminile dal grande fascino, in sintonia con il gusto del tempo. I ritratti su commissione, emblema della ricerca di legittimazione delle nuove élite, sono sempre più richiesti, diventando il genere pittorico che meglio rappresenta l’evoluzione del costume e con esso lo sviluppo della posizione sociale della donna. Una mostra allestita nelle sale della Pinacoteca Züst di Rancate ci porta alla scoperta dell’intrigante mondo della moda per signore attraverso più di cinquanta sculture e dipinti realizzati dagli anni Sessanta del XIX secolo agli albori del Novecento. A questi si aggiungono alcuni ventagli d’autore e una selezione di raffinati abiti d’epoca creati da rinomate sartorie, testimonianza delle diverse tipologie di vestiti che una dama aveva l’obbligo di annoverare nel proprio guardaroba. Nei ritratti e nelle scene di ambientazione quotidiana presenti nella rasse-
gna ben si coglie quanto gli artisti attivi in Italia e nel nostro cantone fossero attenti alla meticolosa resa dell’abbigliamento e delle movenze delle modelle, facendosi interpreti di una nuova effigie mondana che sapeva celebrare la figura femminile in tutto il suo splendore. Tra i dipinti che ci accolgono a inizio percorso c’è l’opera del milanese Domenico Induno, stimato pittore degli anni del Realismo. Nel suo Allo specchio, datato 1870, una giovane agghindata con una lussuosa veste da ballo di ispirazione rococò guarda pensierosa le proprie spalle nude nella specchiera appesa alla parete. Così come stava avvenendo nel resto d’Europa, anche in Italia molti artisti si specializzarono nel ritratto alla moda. Giacomo Grosso è uno di questi, richiestissimo per la sua abilità nel rendere i più minuziosi dettagli di abiti, gioielli e pettinature. A Rancate è esposta la tela Ritratto della signorina O.S., del 1902, in cui il pittore torinese fa della donna raffigurata, colta mentre passeggia in un parco autunnale con un libro aperto in mano, un simbolo della modernità per il suo vestito essenziale, comodo e di un’eleganza sobria. Quanto anche gli accessori fossero fondamentali nell’abbigliamento delle dame dell’epoca lo dimostra la sezione dei ventagli, veri e propri strumenti di comunicazione sociale. In semplice carta
colorata o in stoffe pregiate, questi oggetti hanno suscitato l’interesse di tanti artisti che si sono cimentati nella realizzazione di esemplari di grande originalità. Belli, nell’esposizione, quello del pittore veneziano Federico Zandomeneghi, che rappresenta una fanciulla nuda mentre si pettina i lunghi capelli vicino a un ruscello, e quello di Giovanni Segantini, dai delicati accordi cromatici ed eseguito con pergamena e oro in polvere. A una nobildonna in particolare è poi dedicata una piccola mostra nella mostra. Si tratta della contessa ticinese Carolina Maraini-Sommaruga, figura affascinante e generosa, impegnata com’era nella valorizzazione del lavoro femminile e in molteplici attività in favore di bambini malati e ragazze indigenti. Abiti, mobili, opere d’arte e fotografie raccontano la sua vita pubblica e privata, fatta di eventi mondani (come i tanti ricevimenti organizzati nella villa romana sul Pincio che nel 1947 donò alla Confederazione), di interessi culturali e di filantropia. Il dialogo tra moda e arte si fa ancora più esplicito attraverso l’accostamento diretto di abiti d’epoca ad alcune tele, un modo per far cogliere al visitatore le consonanze tra i vestiti dipinti e quelli confezionati dal sarto. Al luminoso pastello del pittore ticinese Pietro Chiesa che ritrae la sorella Felicita è stato affiancato
l’indumento in taffetà di seta indossato durante la posa. All’opera Fiore di vita del torinese Giovanni Battista Carpanetto, datato 1902 e considerato un’icona dello stile floreale italiano, è stata accostata una veste decorata da Luigi De Servi in cui si ritrovano le medesime suggestioni art nouveau che ornano la tunica della modella effigiata. Degna di nota, infine, per il soggetto accattivante e il taglio moderno della composizione, è la tela di Italo Nunes Vais Ancora un bacio, del 1885 circa, in cui l’artista restituisce un brano di quotidianità cittadina immortalando un affettuoso bacio d’addio tra una madre in partenza e la sua giovane figlia. La fanciulla appare come un figurino di moda, con una lunga giacca aderente, guanti, parasole e alto cappellino: seducente e spigliata, diventa il manifesto della nuova donna di fine Ottocento, consapevole della propria bellezza e del proprio ruolo nella società. Dove e quando
Divina creatura. La donna e la moda nelle arti del secondo Ottocento. Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, Rancate. Fino al 28 gennaio 2018. Orari: da ma a ve 9.00-12.00 / 14.00-18.00; sa, do e festivi 10.00-12.00 / 14.0018.00; chiuso lu. www.ti.ch/zuest
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Cultura e Spettacoli
Noi allo specchio
Cinema Non capitava da tempo: il film The Square, vincitore
di quest’anno al Festival di Cannes, ha sollevato una serie di (graditi) dibattiti
Una scena da The Square di Ruben Östlund. (youtube)
terroga il direttore del Museo d’Arte Contemporanea leggendo qualche frase dal catalogo fresco di stampa. Lui sembra sentirla per la prima volta – già grave. E non riesce a spiegarle con parole sue, faccenda anche più grave. Sosteneva Franca Valeri che la prefazione al catalogo non serve a spiegare l’opera, ma la vanità di chi firma il testo. Ricordiamolo, quando abbiamo davanti parole e sintassi incomprensibili, e invece di spennacchiare l’autore siamo sotto ricatto della «cultura». Vale per tutti gli illeggibili romanzi spacciati per avanguardia solo perché il protagonista è uno scrittore che non riesce a scrivere, o perché non ci sono personaggi riconoscibili, o perché la punteggiatura latita (Franca Valeri invece la punteggiatura la metteva benissimo, Arturo Toscanini ne consigliava i monologhi per imparare le pause). Vale per tutti i film dove non succede niente ma si muore di noia lo stesso. Peggio ancora quando cerchiamo una recensione a nostro conforto, trovando solo deliri&metafore&specificifilmici. «Non c’era tempo per le discussioni: l’importante era arrivare per primi al buffet e via con gli applausi», scriveva Tommaso Labranca in Vraghinaroda (russo per «nemici del popolo»). Raccontava le mostre e dei curatori che applicano «il metodo posacenere»: quando vogliono umiliarti si guardano intorno
Anniversari La Biblioteca Cantonale
di Lugano organizza una mostra speciale
Mariarosa Mancuso Critica dell’arte contemporanea. Moralismo insopportabile. Sconnesso e noioso. Lungo e senza trama. Non ho capito dove vuole andare a parare. Preferivo Force majeure, il suo film sulla valanga e il padre di famiglia che acchiappa lo smartphone per darsela a gambe, mentre la madre cerca di mettere in salvo i figli. Sono i commenti ascoltati all’uscita di The Square, Palma d’oro a Cannes 2017. Dopo l’anteprima festivaliera e ora che il film si può vedere in sala. Il più articolato lo ha scritto Antonio Polito su «La Lettura» del «Corriere della Sera», domenica scorsa, offrendone una lettura sociale: parlerebbe del nostro rapporto con chi cerca aiuto. Da tanto non si litigava su un film. Abituati ai social e poco all’argomentazione, se a me è piaciuto il tale film e a te il tale film non è piaciuto, di questi tempi sembra cortese lasciar cadere l’argomento. The Square ci ha svegliati dal letargo e dall’effetto Dunkirk: sembravamo tutti d’accordo sul capolavoro Christopher Nolan, quando il giapponese nella giungla Goffredo Fofi lo ha abbattuto a colpi di ideologia (noi però conosciamo adulti di gran cultura che in sala facevano ta-ta-tà in sincronia con lo spitfire pilotato da Tom Hardy). Scritto e diretto dallo svedese Ruben Östlund, The Square non critica l’arte contemporanea. È vera satira, nel senso di Jonathan Swift: «Uno specchio rivolto verso di noi, in cui ognuno riconosce tutti tranne se stesso». L’arte contemporanea c’è – e non potrebbe non esserci – come cartina di tornasole. Il film parla del nostro atteggiamento di fronte all’arte, non solo contemporanea. E di fronte al cinema, ai romanzi, alle performance, al teatro, perfino alle serie. La giornalista Elizabeth Moss – perfetta, era la segretaria diventata copywriter nella serie Mad Men, è la femmina da riproduzione nel Racconto dell’ancella di Margaret Atwood – in-
Per i 90 anni di Ceronetti
e, ispirati da qualsiasi scritta, s’inventano il nome di un artista inesistente. (Potremmo chiamarlo «metodo Keyser Söze», se ancora si potesse alludere a Kevin Spacey senza rischiare le fiamme dell’inferno). The Square mostra gli invitati al vernissage che sciamano verso il buffet – si immagina vegano, o almeno bio – mentre lo chef superstellato illustra i bocconcini, capiamo che ne ha per una mezzoretta. Siamo noi, i satireggiati. Ma non chi punta al buffet. Chi ha dato ai cuochi l’alloro da artisti, e consente loro di destrutturare i cibi sui menu (a chi importa se i tre piselli di contorno vengono dall’orto del signor Carlo?) e nei piatti rigorosamente quadrati, con lo sbaffo di balsamico – ora riprodotto anche dalla trattoria sotto casa. The Square è un quadrato luminoso sul piazzale, «luogo di fiducia e carità dove tutti abbiamo gli stessi diritti e doveri». Ma bisogna vedere come reagisce il direttore del Museo, appena gli rubano lo smartphone: isteria, caccia al colpevole – lo trova in un ragazzino più scuro dello svedese medio – e voglia di farsi giustizia da sé. È solo l’inizio: con questo piglio e questa lucidità, Ruben Östlund racconta gli uomini e le donne (comprese le molestie). Racconta l’idea cretina che subito diventa virale e fa danni. Racconta i riflessi scimmieschi che ancora conserviamo.
Tra gli importanti fondi acquisiti dall’Archivio Prezzolini di Lugano spicca quello di Guido Ceronetti. Personalità dalla creatività multiforme quanto poche altre nel mondo culturale italofono, Ceronetti ha affidato il suo archivio al Cantone Ticino nel 1994, sull’onda dell’acquisizione da parte della nostra istituzione dell’Archivio Flaiano. E in occasione del novantesimo compleanno di Ceronetti le responsabili dell’Archivio, Diana Rüesch e Karin Stefanski, hanno pensato di allestire una mostra che ricostruisca le tappe più importanti del percorso creativo di questo singolare intellettuale torinese. Come ci hanno spiegato le curatrici, il percorso espositivo si dipana principalmente nella sala delle esposizioni della Biblioteca, nelle vetrine del pianterreno, e in quelle al piano meno uno: «Nella sala esposizioni vi è una scelta di materiali totalmente inediti, ossia mai esposti prima d’ora: su una parete abbiamo tracciato un percorso biografico di Ceronetti utilizzando la sua Autobiografia per immagini costituita da pannelli da lui stesso realizzati. Ovviamente, si trat-
È nato a Torino il 24 agosto del 1927. (Fondo Ceronetti)
ta di una selezione limitata (per motivi di spazio): sono 21 pannelli scelti tra 141. Sulla parete contigua, c’è l’ultima creazione di pannelli della serie Dalla Buca del Tempo la Cartolina Racconta, finora mai esposta: sono 18 pannelli» hanno precisato Rüesch e Stefanski. Altro materiale è stato disposto in ulteriori bacheche, che contengono elementi di vario genere: quaderni manoscritti, testi dattiloscritti e manoscritti, libri con correzioni, bozze, fotografie, ritagli di stampa, saggi da riviste e molto altro. Nelle 8 vetrinette del seminterrato si trova esposta poi la quasi totalità della sua opera in volume. Il rapporto di Guido Ceronetti con il suo fondo non è assolutamente «museale» ma dinamico e funzionale alle molte attività editoriali in cui lo scrittore è tuttora impegnato. «Fino a cinque anni fa, Ceronetti veniva regolarmente a Lugano, almeno un paio di volte all’anno» raccontano Rüesch e Stefanski. «Oggi, viste le sue condizioni fisiche, ciò non è più possibile, ma i contatti rimangono vivi soprattutto grazie alle comunicazioni via fax. Non soltanto Ceronetti “rifornisce” il suo Fondo di nuovi scritti, ma pure vi attinge per recuperare suoi testi da pubblicare in volume (come nel caso del suo diario Per le strade della Vergine), oppure per rimaneggiare qualche sua traduzione o testo lirico». D’altro canto, i documenti conservati vengono costantemente aggiornati: «Oltre al materiale scrittorio e grafico che riceviamo da lui, cerchiamo di recuperare tutto quanto di importante di lui si scrive in volume e in periodico» ci confermano le curatrici. La mostra è stata inaugurata lunedì 4 dicembre in una serata con i relatori Manuela Camponovo e Bruno Quaranta. Proiettato anche un estratto dal documentario di Francesco Fogliotti e Enrico Pertichini Il Filosofo Ignoto. Rimarrà aperta fino al 13 gennaio 2018 e sarà visitabile durante gli orari di apertura della Biblioteca. /AZ Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Fascino celtico
Musica La famiglia irlandese dei Corrs torna alla carica senza
trovare il coraggio di superare il proprio intimo dilemma stilistico
Emozioni e speranze al debutto Sul palco A Lugano si è tenuto «Testo
in Scena», concorso per giovani compagnie
Benedicta Froelich
Giorgio Thoeni
In tempi in cui la cultura popolare di matrice celtica ha conosciuto un revival davvero significativo a livello internazionale, anche nel mondo del pop-rock più di una formazione ha tentato di «cavalcare la tigre» e guadagnarsi il favore del pubblico con qualche contaminazione stilistica di sapore prettamente folklorico. A non tutti, però, la fortuna ha arriso quanto alla band irlandese dei The Corrs: definibile come un gruppo a vera e propria «conduzione famigliare», composto interamente dai fratelli Corr – Andrea, Sharon, Caroline e Jim (quest’ultimo l’unico maschio del quartetto) – il complesso ha conosciuto un’immediata popolarità e successo di pubblico fin dall’esordio, avvenuto nell’ormai lontano 1995 con l’album Forgiven, Not Forgotten. Un trionfo, quello della band di Dundalk, principalmente dovuto a un astuto compromesso: l’ingegnosa scelta di combinare le sonorità tipiche della tradizione folk irlandese con il sound pop più mainstream e radiofonico, dando così vita a un cocktail dal sicuro successo commerciale. Armati non solo del corredo tipico di ogni rocker, a base di chitarre elettriche, basso e batteria, ma anche di strumenti tradizionali del folklore irlandese e scozzese come il tin whistle e il fiddle (versione «popolare» del violino classico), i quattro ragazzi Corr si sono così prodotti in un repertorio a base di canzoni quasi esclusivamente d’amore, che alterna episodi di melensa enfasi romantica a pezzi dal respiro ben più drammatico e intenso, capaci di offrire riflessioni di maggior profondità. Una mescolanza che ha permesso alla band di guadagnarsi ammiratori sia tra gli ascoltatori casuali che tra gli amanti della musica tradizionale celtica – sebbene questa sorta di dicotomia artistica, quasi un conflitto irrisolto tra la pura qualità artistica e le necessità commerciali del momento, finisca per infastidire gran parte di quel ristretto pubblico che, come la sottoscritta, ritiene quasi un peccato mortale «contaminare» una tradizione dall’indubbio spessore culturale con qualsivoglia velleità di tipo commerciale. Anche il nuovo sforzo della
Una cinquantina di progetti teatrali hanno aderito a «TestoInScena 2017» un concorso lanciato dalla «Fondazione Claudia Lombardi per il teatro» con lo scopo di dare un sostegno per la crescita artistica di giovani compagnie e con il patrocinio di LuganoInScena, Divisione Eventi e Congressi della Città di Lugano, Teatro Foce di Lugano e ATIR Teatro Ringhiera di Milano. Sulla scorta di un entusiasmo maturato grazie a un’assidua frequentazione della drammaturgia contemporanea, l’iniziativa voluta da Claudia Lombardi si è subito rivolta a compagnie indipendenti per offrire quell’aiuto indispensabile a far decollare un sogno teatrale. L’originalità della proposta, inedita nel nostro avaro panorama, oltre a fornire un contributo finanziario, consiste nell’affiancare un affermato professionista per accompagnare le fasi decisive dell’allestimento. Inoltre, la Fondazione organizza il debutto dello spettacolo a Lugano e a Milano con l’aggiunta di quattro ulteriori repliche entro la fine dell’anno successivo. Insomma, un accompagnamento straordinario, visti i tempi che corrono. Rivolto al Ticino e alla Lombardia, la prima edizione del concorso ha ricevuto progetti soprattutto di area lombarda. Scarso invece è stato l’interesse dei ticinesi. Difficile capirne le ragioni. Una fra tante è che di giovani teatranti professionisti sotto i trentacinque anni dalle nostre parti non ce ne sono molti. E a quei pochi non è certo mancato l’interesse ma piuttosto il tempo di organizzarsi in breve tempo per un progetto.
Jupiter Calling è la più recente fatica degli irlandesi The Corrs.
band, dal titolo di Jupiter Calling, sembra seguire il sentiero tracciato dai Corrs fin dagli esordi, confermando in modo ancor più esplicito del solito questa sorta di implicita disputa, risultante in una connotazione stilistica per certi versi «sospesa» tra due mondi: tanto che, a un primo ascolto, ben poco di nuovo sembra affacciarsi all’orizzonte nella tracklist di questo CD. Infatti, accanto a brani pervasi di suggestioni letterarie e vibranti di pura intensità celtica – come l’ottima traccia di apertura Son of Solomon (che richiama da vicino classici del folk anglosassone quali Scarborough Fair) – troviamo anche pezzi molto più prosaici, quali Butter Flutter e Live Before I Die, ennesimi esempi di innocue ballate romantiche; tanto che, nonostante l’argomento, nemmeno il più ritmato SOS, incentrato sul dramma siriano, riesce a innalzarsi al di sopra delle regole di base del tipico, ma scialbo, pezzo orecchiabile di matrice pop. Tuttavia, se ci si prende il tempo di ascoltare con attenzione quest’album, si scopre come, in realtà, i Corrs abbiano stavolta «osato» contaminazioni e sperimentazioni più ardite del solito, andando oltre ai brani dal sapore inequivocabilmente irlandese (si veda la suggestiva The Sun and the Moon, reminiscente delle antiche leggende anglosassoni) per tentare esperimenti più azzardati: su tutti, l’intrigante Chasing Shadows, in cui si avverte chiaramente l’influenza della produzione del leggendario cantautore americano T Bone
Burnett, certamente responsabile delle sonorità più «sporche» e delle atmosfere da puro American sound evocate da alcuni passaggi melodici. Qualcosa di simile si riscontra anche nei lenti Road to Eden e Season of Our Love, fortunatamente scevri da troppe melensaggini, e nel più brioso Dear Life, che combina sonorità quasi da musical al sound irresistibile della giga irlandese. E se proposte più accattivanti quali Hit My Ground Running e Bulletproof Love risultano anche troppo convenzionali da un punto di vista compositivo e di arrangiamenti, per contro sorprende la presenza di un brano delicato e intimo come No Go Baby – tributo a un bambino a lungo desiderato ma mai nato, che, pur rischiando di scivolare nel melodramma puro, riesce comunque a mantenere fino alla fine un rigore compositivo piuttosto interessante. In tal senso, l’impressione generale data da Jupiter Calling è quello di una band per certi versi in bilico, divisa tra le limitazioni delle convenzioni mainstream e le opportunità di reinvenzione personale offerte dal contributo di influenze esterne tutt’altro che disprezzabili: la speranza è perciò quella che i fratelli Corr sappiano infine trovare il coraggio di buttarsi – stavolta completamente – in avventure sonore più ardite e meno convenzionali, dimostrandosi capaci di guardare oltre i meri piazzamenti da classifica per dedicarsi piuttosto ad innalzare il proprio livello artistico.
Ma c’è sempre una prima volta e «TestoInScena» quest’anno ha premiato il «Connettivo 24 grammi», un gruppo milanese di sei giovani attori che hanno debuttato sul palco del Foce di Lugano con La fabbrica della felicità, un testo scritto da Irene Canali e ispirato a Il mondo nuovo di Aldous Huxley. Nel suo romanzo fantascientifico più famoso lo scrittore inglese descriveva una società altamente controllata dalla scienza e dalla tecnologia: una visione decisamente premonitrice. La storia proposta dalla giovane compagnia racconta di una grande fabbrica, la Pfaizer, che fonda il suo successo sulla ricetta della felicità: il Soma, una pillola che elimina tutti i mali, vecchi e nuovi. Il suo uso viene sublimato nel «cinema degli odori», un intrattenimento in cui si consumano sentimenti subito dimenticati. Un gioco coraggioso su un tema avveniristico e visionario: la regia collettiva e lo sguardo esperto di Mattia Fabris, tutor per l’ultimo mese di prove, hanno contribuito a offrire uno spettacolo originale, con una scenografia funzionale e, soprattutto, con sei attori convincenti, portatori di un’emozione contagiosa dove entusiasmo e bravura hanno fatto da corollario a un’iniziativa utile e preziosa. Questa sera La fabbrica della felicità si sposta al Campo Teatrale per il suo debutto a Milano (21.00). Una nuova platea e nuovi applausi per la prima importante avventura teatrale di Irene Canali, Miriam Costamagna, Andrea Lopez Nunes, Marta Salandi, Giuseppe Attanasio e Daniele Palmeri.
La fabbrica della felicità è tratto da un romanzo di A. Huxley. (D. Banfi)
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Cultura e Spettacoli
Il massacro degli innocenti Mostre Un dramma tutto speciale al Domaine de Chantilly val bene una visita
Gianluigi Bellei I massacri ci sono sempre stati. Ieri come oggi. I più terribili, se questo è possibile, sono quelli dei bambini. Ieri come oggi. Emblematica è sicuramente la strage raccontata nel Vangelo di Matteo. Difficile dire se sia il racconto di una strage veramente accaduta in questo contesto o solo una delle tante del periodo. Nei Vangeli sinottici solo Matteo ne parla. Inoltre nessuno storico cita l’avvenimento. Considerata la popolazione del periodo, la natalità e altre variabili, quasi certamente i bambini al di sotto dei due anni residenti a Betlemme erano più o meno una ventina. La storia è nota. Erode vuole uccidere Gesù. Giuseppe e Maria scappano in Egitto con il figlio. Erode ordina che vengano uccisi tutti i bambini piccoli. Allora fu compiuta la parola di Geremia. Raffaele Cantarella la traduce così: «Voce in Ramà fu udita, pianto e gemito molto. Rachele piangente i suoi figli, e non volle essere consolata che più non sono».
Tutta l’esposizione al Jeu de Paume è incentrata su un famoso dipinto di Nicolas Poussin Molti artisti interpretarono l’avvenimento lungo i secoli nei più svariati modi. E sempre con partecipazione, anche perché nell’immaginario collettivo questa è la madre di tutte le stragi. Pierre Rosenberg dell’Académie française, presidente-direttore onorario del Musée du Louvre, ha organizzato al Jeu de Paume del Domaine de Chantilly nei pressi di Parigi un’esposizione sull’argomento. Esposizione incentrata sul famoso dipinto di Nicolas Poussin appeso nella Galerie de Peinture sul muro degli autori italiani del Musée Condé – appunto a Chantilly – dal 1880, dopo che il duca d’Aumale fece costruire il suo castello nel 1875. Il duca d’Aumale Henri
d’Orléans, figlio del re Louis-Philippe, acquista Le Massacre des Innocents a Londra, dove era in esilio, dal mercante Colnaghi nel 1854. L’autore, Poussin, nasce nel 1594 a Les Andelys e giovanissimo scappa a Parigi per prendere lezioni di pittura. Nel 1623, forse grazie alla protezione di Maria de’ Medici, collabora alla decorazione del Palais de Luxembourg. L’anno seguente lascia tutto per recarsi a Roma e ottiene ben presto una serie di commesse importanti. Ritorna quindi a Parigi nel 1640 dove inizia il periodo più fecondo della sua vita. Soprannominato il pittore filosofo, non è stato un vero e proprio erudito ma mediante solide letture, come ad esempio Michel de Montaigne e Torquato Tasso, riesce ad alimentare le sue «riflessioni sulla condizione umana». Splendidi i quadri rappresentanti le Stagioni e dipinti fra il 1660 e il 1664, un anno prima della sua morte, quando oramai il tremito alle mani lascia tracce ben visibili sulle tele. In una lettera del 1657 indirizzata a Paul Fréart de Chantelou scrive: «Si dice che il cigno canti più dolcemente quando è prossimo alla morte. Tenterò, a sua imitazione, di fare meglio che mai». Le Massacre des Innocents viene commissionato a Poussin pochi anni dopo il suo arrivo a Roma dal marchese Vincenzo Giustiniani nel 1627. Giustiniani vuole ricordare così la strage da parte dei turchi di diciotto suoi parenti adolescenti avvenuta a Chios nel 1566. Il dipinto rappresenta la brutalità dell’avvenimento. Poussin non mette in scena una moltitudine di personaggi, ma concentra la composizione del quadro in quattro figure. Lo sgherro, che con la spada alzata e un piede sopra il torace del bambino sta per colpirlo. La donna, disperata, che cerca di fermarlo e un’altra che scappa inorridita. Una scena semplice, realizzata mediante due diagonali con al centro il volto della donna che, proprio per questo, acuisce il dramma che sta per svolgersi. I colori sono anche loro semplificati a quelli primari. Nessun segno religioso, nessuna palma o angelo in cielo: un’opera laica.
Guido Reni, La strage degli innocenti, inizio XVII sec. (© Scala, Florence - Courtesy of the Ministero Beni e Att. Culturali).
Vis à vis, nella stessa sala, troviamo la Strage degli innocenti dipinta nel 1611 da Guido Reni, proveniente dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna che per l’occasione lo ha scambiato temporaneamente con Nesso e Dejanira, sempre di Guido Reni, proveniente dal Louvre. Dipinto sicuramente cono-
sciuto da Poussin tramite una copia. La Strage degli innocenti di Guido Reni è composta da una quinta teatrale complessa. Le figure strette nel recinto della tela sono molteplici: cinque madri, due aguzzini, vari bambini. Al centro il pugnale dell’aguzzino che sta per colpire. Le donne imploranti, in fuga,
strattonate per i capelli; i bambini riversi per terra sanguinanti. La scena è come congelata, mentre in alto due angeli osservano fra le nuvole. Qui il carattere religioso è preponderante e reso attraverso il tipico tratto del Reni che idealizzava la bellezza non così come è in realtà ma così come appare nella mente. Accanto l’Allegoria del massacro degli innocenti di Pietro Testa e la tavola di Cornelis Schut I con lo stesso soggetto che, come quelle di David de Haen, Nicolas Regnier e Antiveduto Grammatica, impreziosivano l’appartamento di casa Giustiniani a Roma. La fortuna del dipinto di Poussin si può cogliere nei secoli seguenti. In mostra la tela di Jean-Baptiste Marie Pierre del 1763, quella di Jean-Baptiste Peytavin nella quale il gioco delle diagonali contrasta con l’arco architettonico che divide il blu del cielo dall’oscurità della terra. Léon Cogniet preferisce incentrare la totalità del dipinto nella figura della madre nascosta dietro un muro diroccato che tiene in braccio e protegge il figlioletto mentre sullo sfondo si consuma il dramma. Ma è Picasso che, dopo Guernica del 1937, dipinge Le Charnier nel 1945 riprendendo il tema della madre e del bambino di Poussin. Alla fine del percorso arriviamo alla rilettura contemporanea dell’opera con Annette Messager, Henri Cueco, Markus Lupertz, Vincent Corpet. Un po’ d’après, un po’ no, ma sicuramente tutte di diverso livello artistico. Bella e attuale mostra; di spessore il catalogo, estroverso ma con anche l’indice delle persone e dei luoghi. Da notare che, per volontà testamentaria, le opere del Musée Condé non possono uscire dal museo stesso e di conseguenza Le Massacre des Innocents si può e si potrà vedere solo lì. Dove e quando
Le Massacre des Innocents. Domaine de Chantilly. Le Jeu de Paume, Chantilly. A cura di Pierre Rosenberg. Fino al 7 gennaio 2018. Catalogo Flammarion, 45 euro. www.domainedechantilly.com Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Cultura e Spettacoli
E infine Harpo parlò
Arte medievale nella Svizzera italiana
dei leggendari Fratelli Marx
Cerimonia I l 12
Pubblicazioni Tradotta in italiano Harpo Speaks!, l’autobiografia del più surrealista
dicembre la consegna del Premio Migros Ticino a Lugano
Giovanni Medolago
Concorsi
La sua favella non era forse arguta e speedata come quella dei suoi fratelli Chico e Groucho, ma Harpo Marx (1888-1964) non era affatto muto. Era invece destino che nessuno, al cinema, udisse la sua voce: la sua unica, semplicissima battuta («Sei sicuro di non poterti muovere?») la pronunciò infatti nel film Too Many Kisses, girato però quando il cinema era ancora muto. Harpo parlava e cantava, eccome!, all’inizio della lunga gavetta nel vaudeville. Prima dell’avvento del sonoro, tuttavia, aveva deciso che non avrebbe più aperto bocca – se non per esibirsi nelle sue celebri smorfie – né in teatro né sul set. Colpa o merito di un critico, che dopo averlo visto sul palco coi suoi fratelli in Cocoanuts (loro primo grande successo a Broadway eppoi a Hollywood) scrisse che «Harpo è così dotato di comicissima mimica che dovrebbe rinunciare alle battute» e lui seguì il consiglio. È uno dei tanti aneddoti che troviamo in Harpo speaks!, autobiografia pubblicata con l’aiuto del giornalista/ scrittore Rowland Barber già nel 1961 e solo recentemente tradotta in italiano da Erga Edizioni. Dicevamo delle sue smorfie, che lui chiamava Gookie, in omaggio a chi gliele aveva ispirate: Gookie era un operaio che rollava sigari alla finestra di una tabaccheria nella Lexington Avenue, a pochi isolati da casa Marx. «Era talmente assorbito dal suo lavoro che non aveva idea delle facce buffe che gli venivano. Buttava avanti la lingue ingrossandola e arrotolandola, gonfiava le guance, strabuzzava gli occhi e li incrociava». Quando Harpo si trova in difficoltà con un avversario (il venditore di bibite ne La guerra lampo dei Fratelli Marx), eccolo piazzargli un Gookie sotto il naso, prendere tempo e, se non proprio averla vinta, riuscire a scappare. L’irruzione sulla scena – improvvisa e fuori ogni logica – per rincorrere una spaventatissima girl urlante e mezza svestita era un altro suo tormento-
www.azione.ch/concorsi Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.
I Cocoanuts nel 1929: da sin. Chico, Zeppo, Groucho e Harpo Marx. (Keystone)
ne nato dalla voglia di giocare un tiro mancino a Groucho: «Dietro le quinte avevo chiesto a una ballerina se voleva una parte più importante nello spettacolo. Certo che la voleva! Tutto ciò che doveva fare era correre e urlare per il palco durante un tranquillo monologo di Groucho. Lei lo fece e io la rincorsi insidiandola da vicino, saltellando e suonando un corno.» Grandi risate, ma Groucho non si scompose: «È la prima volta che vedo un taxi che chiama un passeggero!» La famiglia Marx sbarcò a New York alla fine dell’800. Mamma Minnie si accorse subito della creativa esuberanza dei suoi cinque figli maschi e decise che ci sarebbero state le luci della ribalta nel loro futuro. S’improvvisò manager e organizzatrice, rincuorò i suoi ragazzi nei momenti più duri, quando la famiglia – a corto di scrittu-
re o truffata da un contabile disonesto – rischiava la fame. Una parte importante nella loro avventura esistenzialeartistica l’ebbe pure papà «Frenchie», umile sarto del Lower East Side, troppo buono per far carriera, ma sempre col sorriso sulle labbra e la battuta pronta. Harpo abbandonò la scuola in seconda elementare nel modo più diretto possibile: «Mi gettarono dalla finestra due fratelloni irlandesi». Lui era una vittima predestinata: piccolo per la sua età, dalla voce alta e stridula e, last but not least, ebreo. La scarsissima istruzione («Ho cercato di non sapere nulla di tante cose, e ci sono riuscito piuttosto bene») non gli impedì di conoscere e frequentare personalità illustri della sua epoca, a partire dal suo mentore Alexander H. Woollcott, celebre quanto eccentrico giornalista e critico
Home Rassegna teatrale Teatro Foce, Lugano Sabato 16 dicembre, ore 20.30
Harlem Gospel Choir Concerto di Natale Palazzo dei Congressi, Lugano Mercoledì 20 dicembre, ore 20.30
Transumanze
Omaggio a Beyoncé
Teatro delle Radici Testo e regia: Cristina Castrillo Con: Bruna Gusberti, Massimo Palo, Nunzia Tirelli, Carlo Verre, Irene Zucchinelli
The Harlem Gospel Choir è il coro evangelico più longevo e famoso d’America e si esibisce in tutto il mondo da 25 anni, con enorme successo. Fondato da Allen Bailey nel 1986, oggi il Coro presenta i migliori cantanti e musicisti nella zona di Harlem e New York.
www.foce.ch
www.biglietteria.ch
Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.
Per concorrere, segui le istruzioni contenute nella pagina del sito www.azione.ch/concorsi. Buona fortuna!
Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino
teatrale dell’epoca, fondatore di una vera e propria «Tavola Rotonda» alla quale, accanto ad Harpo, sedevano volentieri George e Ira Gershwin, Irving Berlin, Noel Coward, Harold Ross (creatore del «New Yorker») o Dorothy Parker; e poi tanti divi del grande schermo: i Barrymore, Greta Garbo, Tallulah Bankhead, Eddie Cantor e, tra gli altri, Ruth Gordon, la quale visse una seconda giovinezza nel 1971, quando Hal Ashby la scelse come protagonista di Harold and Maude. Più che le esperienze sul set o in tournée (Harpo ne affrontò una – trionfale – nell’Unione Sovietica nel 1933), il libro dedica ampi passaggi a questi e molti altri illustri personaggi di cui Harpo – il più anarcosurrealista dei Marx – ricordava a distanza di anni vizi e vezzi con invidiabile memoria: «Sovente gli elefanti mi chiedono consiglio…».
Il Premio Migros Ticino per ricerche di storia locale e regionale della Svizzera italiana, che ha cadenza biennale, è stato assegnato per il 2017 alla storica dell’arte Irene Quadri, autrice dell’opera Tra gli intonaci medievali di un’altra Lombardia (tesi di dottorato discussa all’Università di Losanna, 2016). La cerimonia di consegna del premio avrà luogo durante una serata pubblica che si terrà alla Biblioteca cantonale di Lugano martedì 12 dicembre 2017, ore 18.00. Saranno presenti Francesca Lepori Colombo, vicepres. del Consiglio di amministrazione di Migros Ticino, Carlo Agliati, presidente della Commissione del Premio Migros Ticino, Carlo Bertelli, storico dell’arte, professore emerito dell’Università di Losanna, Serena Romano, storica dell’arte, professoressa dell’Università di Losanna. La serata sarà moderata da Stefano Vassere, direttore della Biblioteca cantonale di Lugano. Seguirà un rinfresco offerto a tutti i partecipanti. Oggetto dello studio premiato è la pittura murale dall’XI al XIII secolo nelle terre che formano l’attuale Cantone Ticino: un tema trascurato, che ha lungamente sofferto della marginalità storiografica del Ticino medievale, ritenuto, in ragione della distanza dai centri di Como e Milano, una plaga culturalmente ritardataria. Il censimento e lo studio di tutte le testimonianze pittoriche ancora esistenti o perdute ha messo in evidenza come questa regione partecipi appieno alle vicende artistiche della Lombardia e dunque alle questioni di rilievo dell’arte medievale. Ne esce un quadro d’insieme che consente di definire il rapporto dei dipinti ticinesi con gli episodi lombardi coevi, lasciando emergere una visione sostanzialmente rinnovata che contribuisce ad approfondire la fisionomia artistica di un patrimonio locale capace di brani pittorici di grande pregio.
The Harlem Gospel Choir
Evento Al Palazzo dei Congressi di Lugano,
mercoledì 20 dicembre alle 20.30 Enza Di Santo Le voci di questo coro in stile gospel rispecchiano la rinascita di Harlem, il quartiere di Manhattan che negli anni Venti fu il centro nevralgico di produzioni artistiche di rilievo come il jazz in cui la cultura afro-americana rivendicava il suo spessore. La musica gospel risale al 1700, quando gli schiavi dall’Africa portarono la loro eredità musicale in America e la combinarono con i canti cristiani. Tra le immense fatiche della schiavitù è nata questa singolare tradizione corale che The Harlem Gospel Choir rappresenta con moderni classici del Vangelo eseguiti nelle chiese di Harlem e con un repertorio contemporaneo vastissimo di brani pop, blues e soul. È il coro evangelico più celebre degli Stati Uniti e le sue esibizioni sono momenti di grande festa spirituale il cui messaggio d’amore, pace e armonia si amplifica attraverso il potere dalla musica. La melodia, l’energia, e le grandi abilità canore e sceniche dei membri, tra i migliori cantanti e musicisti provenienti dalla Grande Mela e dalla zona
di Harlem sono la chiave del loro successo planetario da oltre 25 anni. The Harlem Gospel Choir è stato fondato da Allen Bailey nel 1986, e si è esibito per il presidente statunitenseObama, Nelson Mandela, Elton John e addirittura per Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI. È stato tra i protagonisti del Memorial trasmesso a livello internazionale in onore di Michael Jackson e ha collaborato con celebrità internazionali come Diana Ross, Bono e gli U2, i Simple Minds, Josh Groban, Pharrell Williams, i Gorillaz, Ben Harper e molti altri. Quello di The Harlem Gospel Choir, non è mai un semplice concerto, ma uno show in cui si fondono spirito, musica e danza, coreografie e grande energia. Finalmente a Lugano, a pochi giorni da Natale si esibirà in uno spettacolo unico che omaggerà l’artista pop Beyoncé al Palazzo dei Congressi. In collaborazione con
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Gesù Bambino e la sinistra Babbo Natale è di destra o di sinistra? Per molti anni non ho avuto dubbi: in quanto icona del consumismo chiassoso e dissennato, Babbo Natale era di destra. Perciò mi ritenevo fortunato, perché a me i regali li ha sempre portati Gesù Bambino, nei primi anni del dopoguerra Babbo Natale era una figura sfumata ed esotica. Eravamo bambini, mica scemi, sapevamo che i regali non li portava materialmente Gesù Bambino, appena nato, ma autorizzava i genitori a farlo, in base alla lettera con l’elenco dei nostri desideri. Chi invece, influenzato da mode americane, preferiva rivolgersi a Babbo Natale prima o poi era condannato a subire il trauma provocato da un compagno malizioso che gli rivelava che Babbo Natale non esiste. Non mi sentirei di escludere che il rancore diffuso nella società italiana, documentato dal recente rapporto Censis, sia stato in parte causato da questo trauma. Ricordo che un anno, suggestionato dalla lettura di un libro pubblicato nella BUR sui piccoli insetti, affermavo sulla letterina che avrei
tanto desiderato ricevere un microscopio. Mio papà, in piedi alle mie spalle, non era d’accordo su quello che stavo scrivendo: «Gesù Bambino sarebbe felice se tu gli chiedessi la scatola del traforo». «Come fai a saperlo?». «Suo padre Giuseppe è un falegname e lui desidera tanto che qualcuno continui a fare il suo mestiere. Lui fra un po’ inizierà a predicare e non potrà più aiutarlo nel laboratorio». Tra me pensavo che Gesù avrebbe potuto benissimo predicare la domenica, come da noi i preti in parrocchia e aiutare suo padre tutti gli altri giorni, ma non osavo manifestare le mie perplessità. Mio padre insisteva: «Chiediglielo bello grande, vedrai che ti accontenta, su sei bravo a scuola». Nella notte di Natale in effetti arrivava il traforo, era bello grande ma ci giocava lui! Io avevo solo il permesso di starlo a guardare mentre segava i fogli di balsa e li incollava; per mettere l’occhio al microscopio dovevo andare da un compagno che l’aveva chiesto in dono istigato da suo padre. Mia nonna tentava di giustificarlo: «Tuo padre andava a fare
i compiti a casa di un bambino ricco che giocava al traforo ma non glielo faceva mai toccare». Nella nostra famiglia i padri hanno sempre regalato ai figli i giochi che avrebbero voluto ricevere quando erano piccoli, è la legge. A mia volta, quando si trattava del Natale per mio figlio, l’ho spinto a desiderare la pista delle auto da corsa, che io da piccolo avevo sognato invano; in casa nostra non c’era una stanza abbastanza grande per contenerla. Dopo il pranzo di Natale, abbiamo liberato il pavimento della sala e iniziato a montarla. Più che altro ero io quello che assemblava i vari pezzi, mio figlio preferiva giocare con il polistirolo dell’imballaggio. Al momento di farla funzionare mi sono accorto che mancavano le batterie per alimentare il tutto, non comprese nella confezione. L’unico posto dove potevo sperare di trovare in vendita delle batterie nel pomeriggio del giorno di Natale, era alla tabaccheria della stazione. Mi sono rivestito, ho tirato fuori l’auto dal garage, sono andato in stazione e ho trovato le batterie, pagan-
dole uno sproposito. Tornato a casa le ho montate e la pista funzionava, le automobiline correvano che era un piacere. Mio figlio intanto aveva costruito un villaggio con il polistirolo e ha continuato a giocare con l’imballaggio. Gesù Bambino si lascia influenzare dal desiderio dei grandi, forse Babbo Natale non è di destra ma io non scriverei mai una lettera a questa icona che ha invaso tutti gli spot televisivi, tutti i manifesti. Dispone di un agente formidabile che lo piazza dappertutto, avrà le sue belle provvigioni sul venduto. Ogni anno sono migliaia i candidati che si mettono in lizza per interpretare quel ruolo e se lo fanno è perché hanno un tornaconto. Sono sicuro che se scrivo a Babbo Natale lui vende i miei dati sensibili alla grande distribuzione e dal giorno dopo arrivano le telefonate per convincermi a cambiare gestore, fornitore di energia, automobile, a comprare una laurea rumena in medicina. Non c’è paragone fra i due. È facile immaginare Donald Trump e Kim Jong-un travestiti da Babbi
Natale per porgere i doni ai figli dei collaboratori, con il nord coreano che regala ai bambini modellini di missili atomici funzionanti e l’americano la raccolta dei suoi messaggi su twitter. È impossibile pensare quei due vestiti da Gesù Bambino avvolti in chilometrici pannoloni fissati dall’ago da balia sul panzone. Chiunque può travestirsi da Babbo Natale, anche un condannato al 41 bis, anche l’allenatore della nazionale di calcio, anche il presidente del TAR, è rimasta una delle poche manifestazioni libere. Bisognerebbe istituire un patentino, far pagare la relativa licenza, ci pensi il ministro Padoan, ci farebbe dei bei soldini. Non è colpa di Babbo Natale se l’hanno trasformato in un bieco agente del consumismo, lui è partito da Bari come san Nicola, è emigrato nei paesi nordici, è sbarcato negli Stati Uniti e da lì è tornato da noi a popolare i mercatini e ad arrampicarsi sui balconi. È andata così e pazienza se la sinistra continuerà a scrivere a Gesù Bambino e a restare una minoranza.
cerone, uomo di mondo che piuttosto si sarà domandato se lo si notava di più essendo presente a una festa, o invece non facendosi vedere. Ai nostri tempi Nanni Moretti ha ben esplicitato il concetto fin da Ecce Bombo: Vengo? Ma mi si nota di più se vengo e sto in disparte, oppure se non vengo? Cosa c’era in tavola, poi, non era un problema per Cicerone. Uno che al mattino mangiava cibi conditi col garum, la salsa acida fatta da pesce fermentato, e ci beveva sopra del vino, non si sarà fatto problemi nemmeno di fronte alle lingue di pappagallo, prelibatezza della cucina romana. Tommaso d’Aquino invece era esterofilo, come noi con la passione del sushi. Il Giappone era però troppo lontano, così si limitò a maturare una passione per le aringhe, con cui si faceva colazione in Germania e forse anche in Francia, dove si era recato più volte per studio. La cena della Vigilia in convento sarà stata morigerata e senza carne, prima del giorno di Natale infatti era ancora tempo di Avvento, quindi di digiuno e penitenza (da qui le nostre anguille o capitoni e
altri animali acquatici per il menù della Vigilia). Ma tra questi filosofi, tra Cartesio sovrappensiero – essere o non essere, dubito dunque penso dunque sono, se sono potrei anche pranzare – e Hume intento a scrivere del gusto, quindi non a gustare, tra loro qualcuno si sarà pure sporcato le mani in cucina, forse. Non Kant, certo, dotato di maggiordomo, nemmeno Hegel, famoso e adorato professore. Forse Schopenhauer, per necessità, visto che licenziava tutte le domestiche. Però, rabbioso com’era, avrà avuto antipatia per le feste. Ricordate l’Innominato del Manzoni: «Che cos’hanno tutti da festeggiare?» si chiedeva con ira, al sentire le campane della domenica. Così Arthur Schopenhauer magari si faceva un uovo al tegamino, cercando anche di convincersi di essere l’uomo più sensato al mondo, a evitare i festeggiamenti natalizi. E intanto sbocconcellava una miniporzione di pandoro (liscio, né uvette né canditi o altre porcherie), di quelle che sono sempre un po’ secche, come se la morbidezza non riuscisse a penetrare la monoporzione.
La stessa mestizia dobbiamo pensarla in casa Heidegger. Anche se vivevano per lunga parte dell’anno in una baita nella Foresta Nera, anche se erano tedeschi quindi esportatori nel mondo di moltissime tradizioni natalizie, il professore era troppo avverso alle religioni per consentire banalità come i festeggiamenti natalizi. Sarebbero bastate due palline sugli abeti intorno, una candela accanto al camino. Ma niente, la povera Elfride doveva rinunciare agli addobbi, alle carte scintillanti, all’aragosta e al salmone. Si capisce bene come si sia vendicata facendo passare per figlio di lei e del marito il piccolo Hermann, nato invece dalla relazione con un amante. Ma, ancora, nessuno di questi filosofi in cucina. Un’idea: Wittgenstein! Ma certo, non solo amava disegnare e costruire in prima persona, ma fu anche colui che disse «è meglio tacere di ciò di cui non si può parlare». Ed è meglio non dire troppo il grande divertimento che ci dà, ogni anno, il Natale: potersi occupare di pasticci in cucina, shopping, abiti e belletti, senza dover cercare altre scuse.
nare: offrono una tale mole di pagine e di servizi, specie in ambito politico, che disorienta il lettore facendogli perdere il filo della notizia o della discussione. E a disorientare contribuisce il sovraccarico di occhielli, catenacci, riassuntini, sommari e minibox, un corredo decorativo che accresce la confusione. «Anteprima» offre al lettore l’essenziale perché si faccia un’opinione o almeno perché sia sollecitato ad approfondire: le «cose di cui tutti parlano» con un sano e condivisibile snobismo per la politica spicciola, ma anche notizie «clamorose» che si fa fatica a scovare altrove. Per esempio, il 4 dicembre si è aperto con un confronto angosciante tratto dal «British Medical Journal»: «Durata media di una visita medica in Italia: 9 minuti. In Svezia: 22 minuti. Nel Bangladesh: 48 secondi. Però in Italia in quei nove minuti già dopo 20 secondi il racconto del paziente viene interrotto dalle domande del dot-
tore che, per due terzi del colloquio, tiene gli occhi incollati al computer». Volendo approfondire la faccenda, si può andare a indagare nel sito della University of Cambridge che ha condotto la ricerca e si scoprirà che in Svizzera un medico di base impiega «ben» 17 minuti per visitare un paziente, mentre in Austria si scende a 5, il tempo di descrivere il punto irradiante dell’emicrania o di sdraiarsi su un lettino e rialzarsi. Sempre restando nei pressi delle coordinate temporali, «Anteprima» lo stesso giorno informava che Max Mara realizza un cappotto in non più di 169 minuti. Nessun dettaglio sui prezzi. Il 13 novembre ho saputo che Jeff Bezos (2), il fondatore di Amazon, l’imprenditore ed economista Warren Buffet (2) e il famoso presidente di Microsoft nonché filantropo Bill Gates (2) sono ricchi come la metà degli americani (tratta dal blog di Riccardo Ruggeri). Ma non mancano gli «alleggerimenti»,
che tendono ahimè a moltiplicarsi e che sarebbe meglio verificare. Del tipo: «Il 28 per cento delle donne preferisce maschi depilati nelle zone intime». Oppure: «Le pecore presenti sulla Terra sono un miliardo e la gran parte non ha la più pallida idea di chi sia Barack Obama, però otto di queste sanno riconoscere l’ex presidente degli Stati Uniti in fotografia dopo un allenamento di pochi giorni e premi in mangime». Senza dimenticare (impossibile!) le notizie di «appesantimento» che colpiscono o piuttosto potrebbero pericolosamente colpire. Tipo: «Gli svedesi stanno comperando dagli americani (...) i missili patriot con cui George Bush padre fece la guerra a Saddam nel 1991. Ci sarebbe la paura di Putin». Il 17 novembre, la scelta è caduta su una frase tratta da un articolo del giorno scritto dal filosofo Maurizio Ferraris: «Il miglior correttivo alla post-verità è la verità, cioè la cultura» (6+).
Postille filosofiche di Maria Bettetini Filosofi in cucina Quando si dice l’imbarazzo della scelta. I suggerimenti per il cenone della Vigilia e il pranzo di Natale hanno già invaso giornali e trasmissioni, non parlare di cucina è una grave pecca, il contrario di quello che insegnava la buona educazione: a tavola mai parlare di cibo, fuori dalla tavola solo il minimo indispensabile. Per noi invece è l’argomento forte dell’informazione e dell’intrattenimento. A noi non dispiace, in fondo – tranne quando eviscerano e spennano in diretta – è un bel vedere, qualcosa si impara, in un angolino del cuore siamo tutti un po’ cuochi, anzi chef. Ma che cosa ne avrebbero detto i nostri amici, i filosofi? Avrebbero apprezzato questa centralità della cucina nel quotidiano? E che cosa infine avrebbero, o avranno preparato per le feste? Non sono domande da poco, per questo ci permetteremo la libertà di invitare al desco anche coloro che delle festività natalizie non hanno avuto idea: ogni epoca e ogni luogo avrà ben avuto il suo Natale, capodanno poi vien per tutti. Di Socrate, per esempio, conosciamo la passione per i banchetti. Con i suoi
amici, rigorosamente maschi, su larghi futon a due o tre posti, si accomodavano a raggiera intorno al cratere del vino. Un vinaccio non tagliato, puro, quindi denso e forte. Prima mangiavano, poi bevevano e discutevano di un argomento scelto per la serata, finché crollavano dal sonno, ubriachi. Tutti tranne Socrate, che come leggiamo nel Simposio di Platone, all’alba abbandona gli amici e va in palestra. Come uno che dopo il pranzo di Natale decidesse di dedicarsi alle flessioni. Inutile poi pensare di invitare Epicuro e i suoi, non sia mai che qualche prelibatezza culinaria, o un sorso di vino, potessero dar piacere a quel gruppo di uomini (e donne, caso unico nell’antichità), rompendo così l’armonica atarassia, «assenza di turbamento» raggiunta evitando ogni piccolo piacere e ogni piccolo dolore. Non è masochismo, è solo voler essere lasciati in pace, come quel parente che non c’è mai per feste e pranzi, e tutti pensano al brutto carattere, alla depressione, alla salute: macché, in genere vuole stare per i fatti suoi. Un problema che certo non era quello di Marco Tullio Ci-
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Il dito nel nervo È dal 1 novembre scorso che Giorgio Dell’Arti, giornalista di lunghissimo corso, tra l’altro fondatore del «Venerdì» della «Repubblica», fa circolare via email un’«Anteprima» delle notizie di giornata che arriva (per ora gratuitamente) agli abbonati verso le 7.30 del mattino (eccetto il sabato e la domenica). Dell’Arti legge i quotidiani prestissimo, molto prima che sbarchino in edicola, seleziona le notizie che ritiene più interessanti e curiose, le riassume in poche righe segnalando sempre la fonte oppure propone alcune frasi testuali tra virgolette che ne trasmettano il succo. Una rassegna stampa rigorosa e selettiva che non trascura le cosiddette «hard news», ma che si concede anche qualche divertimento (a volte anche troppo). «È all’apparenza – ha commentato lo scrittore Sandro Veronesi – una semplice newsletter, ma in realtà è un dito che tocca il nervo e produce un inevitabile sussulto». Il sussulto è dato dalla sempli-
cità e dalla chiarezza della formula, priva di arredi, corredi e immagini: una serie di informazioni, ben scandite nelle tre sezioni quotidiane («Stamattina», «Oggi» e «Domani») e grazie alle parole-chiave che precedono i singoli testi. Nel salutare positivamente la nuova proposta di Dell’Arti, anche Veronesi ha toccato un nervo sensibile del giornalismo attuale, anzi, al plurale, un paio di nervi sensibili. Dunque se do 5+ all’«Anteprima», metto un bel 6 alle osservazioni di Veronesi. Quali sarebbero i nervi sensibili? Sono almeno due, ma significativi: 1. La cornice si è mangiato il quadro, come si dice. La grafica schiaccia e divora il testo: i giornali, spesso, trattano il lettore come un bambino che per leggere le fiabe ha bisogno delle figure, possibilmente molto grandi, e non fanno che amplificare le fotografie e i grafici. 2. I giornali sono in preda al furore della quantità e non si assumono la responsabilità di selezio-
Azione
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Idee e acquisti per la settimana
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Piatti festivi per amanti del pesce Attualità Nelle
pescherie di Migros Ticino non mancano le idee per portare in tavola spettacolari menu a base di pesce. Abbiamo chiesto qualche consiglio a Mario Cortazzo della filiale di Serfontana
Signor Cortazzo, quali sono le varietà di pesce più gettonate in occasione delle festività natalizie?
Nel periodo di Natale sono molto apprezzati pesci particolarmente delicati, come la rana pescatrice, il branzino, l’orata, gli scampi, i gamberi interi, le capesante, ma anche la fondue di pesce sta prendendo sempre più piede. In cosa si distingue il vostro banco del pesce fresco?
Sicuramente per l’ampia varietà di proposte ittiche, per la freschezza e la qualità dell’offerta e, ultimo ma non meno importante, per la sostenibilità: tutti i nostri pesci provengono infatti da fonti responsabili. Cosa apprezza lei del suo lavoro?
Il fatto di poter consigliare al meglio la clientela per qualsiasi preparazione culinaria a base di pesce. Quando un cliente torna soddisfatto per avergli proposto un ottimo pesce e la ricetta ha avuto successo è per me motivo di orgoglio.
Cosa consiglia di preparare a Natale?
Del salmone al forno avvolto in una friabile pasta sfoglia, delle capesante gratinate al forno preparate da noi oppure anche dello scorfano: un pesce che amo particolarmente perché, oltre che saporito, si presta sia intero che sfilettato a varie cotture, in umido, rosolato oppure anche al forno.
Salmone in crosta
Ingredienti per 4 persone: 450 g di filetti dorsali di sal-
mone · senza pelle · 1 mazzetto di aneto · 1 cucchiaino di senape dolce · 100 g di riso Basmati · 200 g di champignon · 2 cucchiai d’olio di girasole · 300 g di spinaci in foglia congelati (scongelare prima dell’uso) · 100 g di crème fraîche · 1 uovo · 500 g di pasta sfoglia · farina per stendere · sale e pepe. Preparazione: Sciacquate i filetti sotto l’acqua fredda e
Mario Cortazzo, responsabile del reparto pesce di Migros Serfontana, vi aspetta con i suoi consigli per i giorni di festa. (Flavia Leuenberger Ceppi)
tamponate. Tritate l’aneto e mescolatelo con la senape e un po’ di pepe. Con questa marinata spennellate i filetti di salmone. Fate riposare in frigo. Lessate il riso in acqua salata per ca. 15 minuti. Scolate e sgocciolate. Tagliate gli champignon a fettine e soffriggeteli nell’olio per 2-3 minuti. Strizzate bene gli spinaci e tritateli grossolanamente. Mescolate
il riso, gli champignon e gli spinaci con la crème fraîche e condite con sale e pepe. Sbattete l’uovo. Stendete la pasta sfoglia su poca farina in un rettangolo spesso 3-4 mm. Dividete la pasta in due. Su una parte spalmate la massa di spinaci lasciando libero tutt’attorno un bordo di ca. 5 cm. Accomodate i filetti con la marinata. Ripiegate i bordi della pasta sulla farcia. Spennellate i bordi con l’uovo. Ritagliate l’altra parte della pasta in un rettangolo delle dimensioni della farcia e appoggiatelo sopra. Premete bene i bordi. Ritagliate dalla pasta rimanente delle figure, ad esempio dei cuori, e con questi guarnite il salmone in crosta. Accomodate su una teglia foderata con carta da forno. Spennellate con l’uovo. Mettete in frigo per 15 minuti. Scaldate il forno a 180 °C. Cuocete il salmone in crosta al centro del forno per 40-45 minuti.
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Idee e acquisti per la settimana
Grandi classici italiani
Attualità I noti marchi Maina e Dal Colle sono presenti da Migros Ticino con diverse specialità natalizie Maina e Dal Colle, due dei marchi italiani più celebri nel settore dolciario, sono da sempre sinonimo di qualità e tradizione. L’azienda piemontese Maina nasce nel 1964 come piccolo laboratorio artigianale e oggi è uno dei principali protagonisti nell’ambito dei dolci lievitati da ricorrenza. Passione per la qualità, purezza, rispetto del tempo e della tradizione sono i valori distintivi di questa azienda ancora oggi a conduzione familiare. Dal Colle, la cui sede è nei pressi di Verona, è stata fondata dal Egidio Dal Colle nel 1896, e oggi è gestita dalla quarta generazione. L’attenta scelta degli ingredienti naturali quali burro, latte e uova, insieme ad un’esperienza di oltre 100 anni, hanno reso le specialità firmate Dal Colle delle vere e proprie eccellenze. Infine, segnaliamo che l’assortimento comprende anche un panettoncino e un pandorino senza glutine, affinché tutti quanti possano festeggiare il Natale con gusto.
Maina Gran Nocciolato 750 g Fr. 9.90
Maina Panettone Pan di Zucchero 750 g Fr. 9.90
Maina Panettone Tutti Frutti 1 kg Fr. 11.90
Colorate tentazioni
Dal Colle Pandoro Classico 1 kg Fr. 7.90
Regalare nostrano
Le invitanti composizioni di frutta secca confezionate a mano non sono solo belle da vedere e un regalo ben accetto in ogni occasione, ma fanno anche bene alla salute. La frutta secca, grazie all’elevato contenuto di fruttosio, fornisce rapida energia essenziale durante lo sport o semplicemente come spuntino durante la giornata. Inoltre contiene altre importanti sostanze quali vitamine, sali minerali e fibre alimentari. La frutta secca è ottima gustata da sola, ma è molto apprezzata anche per la preparazione di molte ricette, sia dolci che salate, come pane, müesli, specialità di pasticceria, oppure per conferire un delicato tocco di dolcezza a piatti a base di carne.
Per chi è a corto di idee in fatto di regali, una soluzione originale e gustosa apprezzata da tutti è sicuramente il cesto-regalo dei Nostrani del Ticino, composto da Farina Meschia, Tisana della sera, Farina di segale, Sciroppo all’uva, Confettura all’uva americana, Sugo al basilico, Biscotti alla farina bona, Gazosa al mandarino, Prosciutto crudo e Mortadella di fegato.
Composizione Fleur 490 g Fr. 19.–
Composizione Mosaik 795 g Fr. 29.–
Maina Gran Pandoro 1 kg Fr. 11.90
Composizione Papillon Bio 365 g Fr. 18.– In vendita nelle maggiori filiali Migros
Cesto Nostrano Fr. 59.50 In vendita nelle maggiori filiali Migros
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Idee e acquisti per la settimana
Un formaggio pregiato Perfetti per l’aperitivo
Grazie a questi bocconcini e canapè surgelati arricchirete con gusto e fantasia ogni aperitivo in modo facile e veloce. Sono realizzati a mano seguendo le ricette originali, a partire da ingredienti attentamente selezionati. I mini bocconcini si compongono in tre varietà: alle uova di trota, al salmone affumicato e al prosciutto crudo. I cana-
Unico e inimitabile: così potremmo definire il formaggio d’eccellenza Occelli al Barolo, già vincitore del «Gold» ai prestigiosi «World Cheese Awards». Questa specialità a pasta dura a base di latte di vacca viene lasciata stagionare a lungo nelle cantine di Valcasotto, in provincia di Cuneo, per poi essere affinato ancora oltre due mesi
in vinacce arricchite con vino Barolo DOCG. Tutte queste particolari caratteristiche conferiscono al prodotto un aroma e un profumo straordinari, che lo rendono di fatto un formaggio da meditazione perfetto per i momenti più speciali. Nei maggiori supermercati di Migros Ticino sono disponibili altre varietà di formaggio Occelli.
Dolcissimi Marrons Glacés
Canapè assortiti 32 pezzi Fr. 20.80
pè invece si distinguono in ben otto gusti assortiti: salmone affumicato, pomodorini e parmigiano, formaggio fresco e albicocca, crevettes al curry, uova di trota, prosciutto crudo e pistacchio, pesto e rucola, e coppa e pesto. Prima di servirli, entrambi i prodotti vanno lasciati scongelare a temperatura ambiente per almeno quattro ore.
Mini bocconcini 9 pezzi Fr. 8.50
Cioccolatini ticinesi
Flavia Leuenberger Ceppi
Gli storici Marrons Glacés della Sandro Vanini sono un assoluto must da regalare o da regalarsi in occasione delle festività. Prodotti secondo la ricetta originale del 1871 di nonno Vittorio, i criteri di qualità sono rimasti invariati negli anni: alle migliori castagne selezionate con cura viene dapprima asportata la buccia, dopodiché vengono sottoposte ad una lenta cottura, per poi essere candite per diversi giorni in una soluzione a base di zucchero. Prima di essere glassato e confezionato, ogni singolo marrone viene nuovamente controllato perché soddisfi i severi criteri di qualità aziendali.
Marrons Glacés Vanini 18 pezzi Fr. 21.– In vendita nelle maggiori filiali Migros
I cioccolatini sono da sempre uno degli aspetti più belli del Natale. Le fondenti praline della Chocolat Stella di Giubiasco sono una golosissima sorpresa per i propri cari. Queste specialità di autentica arte cioccolatiera svizzera sono realizzate con ingredienti provenienti dal commercio equo. Le due scatole regalo contengono una selezione di finissime creazioni declinate nei più svariati gusti: macchiato, pistacchio, truffes, gianduia, amaretto, limone, calvados, nougatine e cocco.
Chocolat Stella Praline assortite 18 pezzi Fr. 31.90 54 pezzi Fr. 59.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros
Per festeggiare insieme!
Piatto gastronomico pesce
Il Pain Surprise Nostrani del Ticino
56.– vassoio per 4 persone
46.–
(con pane bianco o integrale)
Pizzette e salatini di sfoglia mista
3.40 per 100 g
Piatto gastronomico carne
(min. di ordinazione 500 g)
68.– vassoio per 4 persone
I finger food salati
33.– confezione 15 pezzi
Il Pain Surprise salumi e formaggi
34.–
(con pane bianco o integrale)
Stella sfoglia frutta mista
3.20 per 100 g
(es. per 6 persone, ca. 840 g)
Questi e molti altri articoli sono disponibili in tutti i De Gustibus, i Ristoranti e i banchi pasticceria dei supermercati Migros del Ticino. (Ordinazioni con almeno 48 ore di anticipo) Tel. 0848 848 018 / party-service@migrosticino.ch Per maggiori informazioni: www.migrosticino.ch/party-service
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Idee e acquisti per la settimana
Suggerimenti
Il pesce in tavola Salmone flambato con mousse di rafano su pane dolce di segale Tagliare a quadretti le fette di Pumpernickel, il pane dolce di segale, e spalmare la mousse di rafano. Coprire con pezzetti di salmone e mela.
Migros Sélection salmone flambato 140 g Azione Fr. 7.90 invece di 9.90 dall’11 al 24.12
Salmone oro con crème fraîche su blinis Spalmare la crème fraîche sui blinis, aggiungere dei pezzetti di salmone, quindi guarnire con germogli di cipolla e physalis. In alternativa ai germogli di cipolla può essere utilizzato il crescione.
Tonno Albacore su fette di cetriolo Tagliare il cetriolo a fette spesse e spalmarci sopra un po’ di maionese. Aggiungere dei pezzi di tonno ben sgocciolato e guarnire con anelli di cipolla e aneto.
ASC-C-00066
Pesci e frutti di mare con il marchio Aus einer ASC-zertifizierten, di certificazione ASC (Aquaculture verantwortungsvollen Zucht. Stewardship Council) provengono da www.asc-aqua.org allevamenti responsabili, che garantiscono il benessere degli animali e condizioni di lavoro eque.
Pesci e frutti di mare con il marchio di certificazione MSC (Marine Stewardship Council) provengono da una pesca sostenibile, che previene la cattura accidentale di altre specie, tutela i fondali marini e garantisce mantenimento e crescita del patrimonio ittico.
Pesci e frutti di mare con il marchio Migros Bio provengono da allevamenti naturali e sostenibili. Sono nutriti con mangimi biologici e vivono in bacini di acqua dolce o salata di dimensioni generose.
Parte di
L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
Pesce sostenibile
Pescato senza inconvenienti
Migros Sélection salmone oro 120 g Azione Fr. 9.50 invece di 11.90 dall’11 al 24.12
Chi vuol mangiare le specialità di mare con la coscienza pulita trova tutto ciò di cui ha bisogno alla Migros. Questo perché tutti i pesci, i frutti di mare e il pesce contenuto nei prodotti lavorati – freschi, surgelati o in scatola – provengono da fonti sostenibili Testo Heidi Bacchilega; Foto Claudia Linsi
In Svizzera ogni persona consuma mediamente 9,2 chili di pesce o frutti di mare all’anno, una tendenza in aumento, e di cui il 90 per cento è importato. Tra i preferiti figurano i gamberi e le specie ittiche quali salmone, pangasio, tonno e merluzzo. Pesci e frutti di mare sono alimenti sani e gustosi, che si cucinano velocemente. I pesci particolarmente ricchi di grassi come il salmone, lo sgombro o l’aringa contengono molti acidi grassi omega-3, che proteggono dalle infiammazioni e dalle malattie cardiovascolari, rafforzano il sistema immunitario e supportano le funzioni cerebrali.
Questa popolarità ha però un prezzo elevato, dal momento che in parte gli oceani versano ormai in condizioni precarie e diverse specie ittiche sono vittime di una pesca indiscriminata. Secondo il WWF il tasso di catture accidentali si attesta al 40 per cento o più e l’ecosistema marino rischia di perdere il proprio equilibrio. D’altro canto l’allevamento ittico inquina le acque, mentre i mangimi utilizzati provengono raramente da fonti sostenibili. L’impegno Migros
Migros, che nel 2015 è stata eletta quale azienda più sostenibile al mondo dall’a-
genzia di rating Oekom Research, assume con serietà la sua responsabilità e già oggi offre solo pesci e frutti di mare provenienti da fonti sostenibili. Il marchio Marine Stewardship Council (MSC, per la pesca selvatica) garantisce che venga pescato solo un quantitativo di pesce che può ricostituirsi secondo il ciclo naturale. Le catture accessorie di altre specie vengono ridot te grazie all’adozione di metodi di pesca ottimali e le quote di pescato consentite vengono adeguate agli stock ittici. Il marchio Aquaculture Stewardship Council (ASC, per l’allevamento) garantisce la riduzione degli influssi negativi per
l’ambiente e il rispetto di standard sociali. Da Migros tutti i pesci e i frutti di mare provengono da fonti che il WWF classifica come consigliate o accettabili. In tal modo i clienti possono sempre acquistare con la coscienza pulita.
*La Oekom Research AG è un’agenzia leader di rating nel segmento degli investimenti sostenibili. Essa analizza regolarmente a livello mondiale delle aziende e ne valuta globalmente l’impegno sociale ed ecologico.
Tonno Albacore con crema di formaggio su indivia Mischiare la crema di formaggio nature con alcuni capperi e un po’ dell’acqua dei capperi. Mescolare con trito di aglio e di prezzemolo. Condire con sale e pepe. Riempire le foglie di indivia con l’impasto, quindi aggiungere dei pezzetti di tonno ben sgocciolati.
Tartare di salmone 100 g Fr. 4.90 Nelle maggiori filiali
Migros Sélection, filetti di tonno Albacore, MSC Azione 140 g Fr. 5.10 invece di 6.40 dall’11 al 24.12
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Suggerimenti
Il pesce in tavola Salmone flambato con mousse di rafano su pane dolce di segale Tagliare a quadretti le fette di Pumpernickel, il pane dolce di segale, e spalmare la mousse di rafano. Coprire con pezzetti di salmone e mela.
Migros Sélection salmone flambato 140 g Azione Fr. 7.90 invece di 9.90 dall’11 al 24.12
Salmone oro con crème fraîche su blinis Spalmare la crème fraîche sui blinis, aggiungere dei pezzetti di salmone, quindi guarnire con germogli di cipolla e physalis. In alternativa ai germogli di cipolla può essere utilizzato il crescione.
Tonno Albacore su fette di cetriolo Tagliare il cetriolo a fette spesse e spalmarci sopra un po’ di maionese. Aggiungere dei pezzi di tonno ben sgocciolato e guarnire con anelli di cipolla e aneto.
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Pesci e frutti di mare con il marchio Aus einer ASC-zertifizierten, di certificazione ASC (Aquaculture verantwortungsvollen Zucht. Stewardship Council) provengono da www.asc-aqua.org allevamenti responsabili, che garantiscono il benessere degli animali e condizioni di lavoro eque.
Pesci e frutti di mare con il marchio di certificazione MSC (Marine Stewardship Council) provengono da una pesca sostenibile, che previene la cattura accidentale di altre specie, tutela i fondali marini e garantisce mantenimento e crescita del patrimonio ittico.
Pesci e frutti di mare con il marchio Migros Bio provengono da allevamenti naturali e sostenibili. Sono nutriti con mangimi biologici e vivono in bacini di acqua dolce o salata di dimensioni generose.
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L’impegno Migros a favore della sostenibilità è da generazioni in anticipo sui tempi.
Pesce sostenibile
Pescato senza inconvenienti
Migros Sélection salmone oro 120 g Azione Fr. 9.50 invece di 11.90 dall’11 al 24.12
Chi vuol mangiare le specialità di mare con la coscienza pulita trova tutto ciò di cui ha bisogno alla Migros. Questo perché tutti i pesci, i frutti di mare e il pesce contenuto nei prodotti lavorati – freschi, surgelati o in scatola – provengono da fonti sostenibili Testo Heidi Bacchilega; Foto Claudia Linsi
In Svizzera ogni persona consuma mediamente 9,2 chili di pesce o frutti di mare all’anno, una tendenza in aumento, e di cui il 90 per cento è importato. Tra i preferiti figurano i gamberi e le specie ittiche quali salmone, pangasio, tonno e merluzzo. Pesci e frutti di mare sono alimenti sani e gustosi, che si cucinano velocemente. I pesci particolarmente ricchi di grassi come il salmone, lo sgombro o l’aringa contengono molti acidi grassi omega-3, che proteggono dalle infiammazioni e dalle malattie cardiovascolari, rafforzano il sistema immunitario e supportano le funzioni cerebrali.
Questa popolarità ha però un prezzo elevato, dal momento che in parte gli oceani versano ormai in condizioni precarie e diverse specie ittiche sono vittime di una pesca indiscriminata. Secondo il WWF il tasso di catture accidentali si attesta al 40 per cento o più e l’ecosistema marino rischia di perdere il proprio equilibrio. D’altro canto l’allevamento ittico inquina le acque, mentre i mangimi utilizzati provengono raramente da fonti sostenibili. L’impegno Migros
Migros, che nel 2015 è stata eletta quale azienda più sostenibile al mondo dall’a-
genzia di rating Oekom Research, assume con serietà la sua responsabilità e già oggi offre solo pesci e frutti di mare provenienti da fonti sostenibili. Il marchio Marine Stewardship Council (MSC, per la pesca selvatica) garantisce che venga pescato solo un quantitativo di pesce che può ricostituirsi secondo il ciclo naturale. Le catture accessorie di altre specie vengono ridot te grazie all’adozione di metodi di pesca ottimali e le quote di pescato consentite vengono adeguate agli stock ittici. Il marchio Aquaculture Stewardship Council (ASC, per l’allevamento) garantisce la riduzione degli influssi negativi per
l’ambiente e il rispetto di standard sociali. Da Migros tutti i pesci e i frutti di mare provengono da fonti che il WWF classifica come consigliate o accettabili. In tal modo i clienti possono sempre acquistare con la coscienza pulita.
*La Oekom Research AG è un’agenzia leader di rating nel segmento degli investimenti sostenibili. Essa analizza regolarmente a livello mondiale delle aziende e ne valuta globalmente l’impegno sociale ed ecologico.
Tonno Albacore con crema di formaggio su indivia Mischiare la crema di formaggio nature con alcuni capperi e un po’ dell’acqua dei capperi. Mescolare con trito di aglio e di prezzemolo. Condire con sale e pepe. Riempire le foglie di indivia con l’impasto, quindi aggiungere dei pezzetti di tonno ben sgocciolati.
Tartare di salmone 100 g Fr. 4.90 Nelle maggiori filiali
Migros Sélection, filetti di tonno Albacore, MSC Azione 140 g Fr. 5.10 invece di 6.40 dall’11 al 24.12
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Antipasto
Bisque di granchio con gamberetti Ingredienti per 4 persone 12 gamberetti surgelati, da scongelare prima dell’uso 5 dl di fumetto di pesce 400 g di verdura per minestra, ad es. carota, sedano, porro, cipolla 30 g di burro 2 cucchiai di concentrato di pomodoro 2 dl di vino bianco secco 1 presa di pepe di Cayenna ½ cucchiaino di paprica dolce 120 g di pezzi di granchio in scatola, peso sgocciolato 50 g di crème fraîche 200 g di cozze, surgelate sale, pepe macinato 2 rametti di dragoncello Preparazione 1. Sgusciate i gamberi lasciando la coda e rimuovete l’intestino. Lasciate sobbollire i gusci dei gamberi nel fumetto per ca. 5 minuti, poi filtrate. Riducete a dadini la verdura per la minestra e fatela appassire nella metà del burro per ca. 2 minuti, poi unite il concentrato di pomodoro e fatelo soffriggere brevemente. Sfumate con il vino bianco e il fondo di gamberi. Insaporite con il pepe di Cayenna e la paprica e lasciate sobbollire per 20 minuti. Frullate la minestra con un frullatore a immersione. Unite i pezzetti di granchio e lasciate sobbollire dolcemente per 5 minuti. Incorporate la crème fraîche e regolate di sale e pepe. 2. Scaldate il burro rimasto in una padella. Aggiungete le cozze e fatele soffriggere brevemente. Mettete il coperchio e continuate la cottura per ca. 4 minuti. Togliete il coperchio, aggiungete i gamberi e cuoceteli per ca. 3 minuti. Regolate di sale e pepe. Servite la bisque e guarnitela con le cozze, i gamberi e il dragoncello. Tempo di preparazione: ca 40 minuti. Per persona ca. 20 g di proteine, 12 g di grassi, 8 g di carboidrati, 1100 kj/270 kcal.
Costa cozze con guscio, ASC, surgelate 400 g Fr. 5.30 Nelle maggiori filiali
Piatto principale
Salmone glassato con miele e senape Ingredienti per 4 persone 300 g di porri ½ limone 1 spicchio d’aglio 4 cucchiai di miele di fiori liquido 4 cucchiai di senape granulosa 1 cucchiaio d’olio d’oliva 1 presa di pepe di Cayenna 1 presa di paprica dolce 1/2 cucchiaino di sale 1 presa di pepe macinato 4 fette di filetto di salmone selvatico 4 rametti d’aneto
M-Classic polpa di granchio 121 g Fr. 9.40
Pelican Black Tiger gamberetti, Bio, interi, crudi, surgelati 500 g Fr. 15.60
Preparazione Scaldate il forno a 200 °C. Tagliate i porri a pezzi lunghi ca. 10 cm, poi per il lungo a striscioline sottili. Disponete le striscioline di porro in una pirofila. Per la glassa, grattugiate finemente la scorza del limone e spremete il succo, poi aggiungete l’aglio schiacciato. Unite anche il miele, la senape, l’olio, il pepe di Cayenna, la paprica, il sale e il pepe e mescolate bene. Spennellate i filetti di pesce con la glassa, accomodateli sulle striscioline di porro e cuoceteli in forno per ca. 10 minuti. Poco prima di fine cottura, spennellate ancora il pesce con la glassa. Servite il salmone con il porro e guarnitelo con l’aneto.
Pelican filetti di salmone selvatico del Pacifico, MSC, surgelati in confezione da 3×250 g Azione Fr. 17.85 invece di 25.50 dal 12 al 18 dicembre, fino ad esaurimento stock
Tempo di preparazione: ca 40 minuti. Per persona ca. 33 g di proteine, 25 g di grassi, 23 g di carboidrati, 1900 kj/460 kcal.
Migusto è la piattaforma di cucina della Migros. www.migusto.ch
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Idee e acquisti per la settimana
Antipasto
Bisque di granchio con gamberetti Ingredienti per 4 persone 12 gamberetti surgelati, da scongelare prima dell’uso 5 dl di fumetto di pesce 400 g di verdura per minestra, ad es. carota, sedano, porro, cipolla 30 g di burro 2 cucchiai di concentrato di pomodoro 2 dl di vino bianco secco 1 presa di pepe di Cayenna ½ cucchiaino di paprica dolce 120 g di pezzi di granchio in scatola, peso sgocciolato 50 g di crème fraîche 200 g di cozze, surgelate sale, pepe macinato 2 rametti di dragoncello Preparazione 1. Sgusciate i gamberi lasciando la coda e rimuovete l’intestino. Lasciate sobbollire i gusci dei gamberi nel fumetto per ca. 5 minuti, poi filtrate. Riducete a dadini la verdura per la minestra e fatela appassire nella metà del burro per ca. 2 minuti, poi unite il concentrato di pomodoro e fatelo soffriggere brevemente. Sfumate con il vino bianco e il fondo di gamberi. Insaporite con il pepe di Cayenna e la paprica e lasciate sobbollire per 20 minuti. Frullate la minestra con un frullatore a immersione. Unite i pezzetti di granchio e lasciate sobbollire dolcemente per 5 minuti. Incorporate la crème fraîche e regolate di sale e pepe. 2. Scaldate il burro rimasto in una padella. Aggiungete le cozze e fatele soffriggere brevemente. Mettete il coperchio e continuate la cottura per ca. 4 minuti. Togliete il coperchio, aggiungete i gamberi e cuoceteli per ca. 3 minuti. Regolate di sale e pepe. Servite la bisque e guarnitela con le cozze, i gamberi e il dragoncello. Tempo di preparazione: ca 40 minuti. Per persona ca. 20 g di proteine, 12 g di grassi, 8 g di carboidrati, 1100 kj/270 kcal.
Costa cozze con guscio, ASC, surgelate 400 g Fr. 5.30 Nelle maggiori filiali
Piatto principale
Salmone glassato con miele e senape Ingredienti per 4 persone 300 g di porri ½ limone 1 spicchio d’aglio 4 cucchiai di miele di fiori liquido 4 cucchiai di senape granulosa 1 cucchiaio d’olio d’oliva 1 presa di pepe di Cayenna 1 presa di paprica dolce 1/2 cucchiaino di sale 1 presa di pepe macinato 4 fette di filetto di salmone selvatico 4 rametti d’aneto
M-Classic polpa di granchio 121 g Fr. 9.40
Pelican Black Tiger gamberetti, Bio, interi, crudi, surgelati 500 g Fr. 15.60
Preparazione Scaldate il forno a 200 °C. Tagliate i porri a pezzi lunghi ca. 10 cm, poi per il lungo a striscioline sottili. Disponete le striscioline di porro in una pirofila. Per la glassa, grattugiate finemente la scorza del limone e spremete il succo, poi aggiungete l’aglio schiacciato. Unite anche il miele, la senape, l’olio, il pepe di Cayenna, la paprica, il sale e il pepe e mescolate bene. Spennellate i filetti di pesce con la glassa, accomodateli sulle striscioline di porro e cuoceteli in forno per ca. 10 minuti. Poco prima di fine cottura, spennellate ancora il pesce con la glassa. Servite il salmone con il porro e guarnitelo con l’aneto.
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Tempo di preparazione: ca 40 minuti. Per persona ca. 33 g di proteine, 25 g di grassi, 23 g di carboidrati, 1900 kj/460 kcal.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 11 dicembre 2017 • N. 50
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Idee e acquisti per la settimana
Suggerimenti
TerraSuisse
Dai contadini svizzeri
Patate Contro le erbacce si interviene meccanicamente con la zappa, contro le malattie indesiderate, come i funghi, con un uso ridotto di anticrittogamici. I contadini mantengono inoltre superfici con erbe spontanee, che rappresentano una fonte di cibo per molti animali.
Sono numerosi i prodotti alimentari provenienti da contadini svizzeri. Partendo dai cereali, passando all’olio di colza e fino al prosciutto, molti agricoltori producono secondo le linee direttive IP-Suisse e possono così contrassegnare il frutto del loro lavoro con il marchio «TerraSuisse» Testo Claudia Schmidt; Foto Ruth Küng
Tagliatelle Tradition TerraSuisse 500 g Fr. 3.95 Olio di colza TerraSuisse 500 ml Fr. 3.35 Pane delle alpi TerraSuisse 380 g Fr. 2.60
Prosciutto cotto TerraSuisse per 100 g Fr. 3.30
Un trattamento rispettoso della natura non è compito dei soli contadini. Ognuno di noi può contribuire, per esempio acquistando solamente quanto è necessario. In tal modo è possibile evitare il Food Waste, vale a dire lo spreco alimentare.
Sminuzzato di manzo TerraSuisse per 100 g al prezzo del giorno
Rösti al burro TerraSuisse 400 g Fr. 2.80
Farina bianca TerraSuisse 1 kg Fr. 1.85
10 anni di TerraSuisse
Per il bene della natura e dell’ambiente Per il bene della natura e dell’ambiente Il label «TerraSuisse» esiste dal 2007, con l’inizio della collaborazione di Migros con IP-Suisse, l’associazione svizzera che raggruppa gli agricoltori che praticano la produzione integrata, e la Stazione ornitologica di Sempach. Desiderio comune dei partner è un’agricoltura svizzera rispettosa della natura e degli animali. Oltre 11000 aziende agricole producono per «TerraSuisse» secondo le severe direttive di IP-Suisse.
Succhi di frutta 200 agricoltori IP-Suisse producono la frutta per sidro. La frutta per i succhi proviene principalmente da alberi ad alto fusto, che offrono uno spazio vitale naturale a molti insetti e uccelli e che contribuiscono a caratterizzare il paesaggio.
Coltivare con sensibilità nei confronti della natura La regola fondamentale per i contadini IP-Suisse è un’agricoltura rispettosa della natura e degli animali. L’adempimento delle complesse normative è assicurato da controlli indipendenti. Biodiversità Tramite misure mirate che preservano la natura, i contadini IP-Suisse che producono per «TerraSuisse» promuovono ulteriori spazi vitali a favore di piante e animali rari. L’efficacia di queste normative è stata confermata dall’Istituto di ricerche dell’agricoltura biologica (FiBL).
Succo di mele frizzante TerraSuisse 1,5 l Fr. 2.20
Pane, farina & pasta Nella cerealicoltura gli agricoltori IP-Suisse rispettano disposizioni severe per quanto riguarda la protezione del terreno e delle colture, così come la concimazione. La lavorazione di questi cereali avviene con la massima cura e separatamente da quelli convenzionali. La coltivazione di antiche specie di cereali, come la spelta e il farro, rappresenta anche un contributo alla conservazione di produzioni tradizionali.
Olio di colza Gli agricoltori rinunciano all’utilizzo di insetticidi, fungicidi e regolatori della crescita, analogamente a quanto avviene nella coltivazione del grano. Dove possibile utilizzano gli insetti utili per combattere i parassiti. L’olio è spremuto con delicatezza e filtrato senza l’ausilio di additivi.
Carne & salumi I contadini allevano i loro animali secondo il sistema di stabulazione particolarmente rispettoso degli animali (SSRA) e il programma «URA», che contempla la possibilità di uscita regolare all’aperto e una zona riposo dotata di lettiera. I vitelli sono tenuti in gruppi e alimentati con latte di mucca e fieno. Le rigide linee guida di IP-Suisse garantiscono così il benessere degli animali.
I prodotti TerraSuisse provengono da un’agricoltura svizzera sostenibile. Le materie prime sono prodotte da contadini che danno grande importanza al benessere degli animali e al rispetto della natura.
Parte di
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Dai contadini svizzeri
Patate Contro le erbacce si interviene meccanicamente con la zappa, contro le malattie indesiderate, come i funghi, con un uso ridotto di anticrittogamici. I contadini mantengono inoltre superfici con erbe spontanee, che rappresentano una fonte di cibo per molti animali.
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Idee e acquisti per la settimana
Per saperne di più Il resto di un alimento contenuto in un vasetto che già è stato scaldato non dovrebbe più essere offerto al neonato. Se si desidera utilizzare solo una parte del contenuto del vasetto, è opportuno estrarre solo la porzione desiderata e riscaldarla separatamente. La parte rimanente può essere conservata in frigorifero fino al giorno successivo, nella confezione originale.
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Per garantire ai più piccoli una nutrizione naturale già dai primi pasti, da oltre 20 anni Alnatura offre una gamma completa di alimenti per i neonati e per la prima infanzia con un’alta qualità biologica
L’offerta comprende generi alimentari di tutti i tipi. Per i neonati sono disponibili diverse varietà di tisane, pappe con verdure e senza sale, passati il cui contenuto è al cento per cento frutta, pappe a base di cereali e menu completi. Per i bambini piccoli, che con i primi dentini hanno voglia di rosicchiare e di arrangiarsi da soli, ci sono barrette alla frutta, rondelle di riso, fette biscottate, biscotti e molto an-
cora. I prodotti vengono valutati da una commissione di esperti indipendenti, a partire dall’origine degli ingredienti fino alla ricetta. Se gli esperti ritengono che una ricetta, il metodo di lavorazione, l’origine o un singolo ingrediente non è utile e idoneo per l’alimentazione di un bambino, scartano il prodotto proposto. Nel limite del possibile tutte le materie prime provengono da agricoltura biodinamica.
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Alnatura Pappa di cereali 250 g* Fr. 3.40
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Idee e acquisti per la settimana
Per saperne di più Il resto di un alimento contenuto in un vasetto che già è stato scaldato non dovrebbe più essere offerto al neonato. Se si desidera utilizzare solo una parte del contenuto del vasetto, è opportuno estrarre solo la porzione desiderata e riscaldarla separatamente. La parte rimanente può essere conservata in frigorifero fino al giorno successivo, nella confezione originale.
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Idee e acquisti per la settimana
Actilife
Buona giornata! Rilassamento consapevole, esercizio fisico e, non da ultimo, alimentazione equilibrata sono fattori che migliorano il benessere. Chi a colazione si concede una bibita Actilife, rifornisce l’organismo di importanti vitamine e sostanze minerali già di primo mattino. L’assortimento è composto da diversi gusti. Per esempio la varietà «Good morning», a base di arance, pompelmi e lamponi, che grazie al contenuto di acido folico e ferro contribuisce a ridurre il senso di affaticamento. Anche praticare lo yoga il mattino aiuta a prepararsi in modo ottimale alla giornata. Consigliamo tre esercizi che stimolano la concentrazione e aumentano il livello di attenzione.
La posizione del loto aumenta il livello di attenzione e consapevolezza. Badare a che la schiena sia dritta. Con le mani eseguire lo «Jnana Mudra», avvicinando indice e pollice, appoggiando poi sulle ginocchia. Mantenere la posizione per qualche minuto praticando una respirazione consapevole.
La posizione del cane a testa in giù ha un effetto calmante sul cervello e dà energia al corpo. Spingere verso terra con le dita delle mani allargate e provare a toccare il tappetino da yoga con i talloni. Respirare profondamente e mantenere la posizione per uno fino a tre minuti.
La posizione yoga dell’albero ha un effetto positivo sulla concentrazione e sull’equilibrio. I muscoli di addome e gambe sono tesi. Respirare profondamente e con consapevolezza. Mantenere la posizione per qualche secondo o minuto, quindi ripetere cambiando la gamba di appoggio. M-Industria crea numerosi prodotti Migros, tra cui anche le bevande da tavola Actilife.
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LECCE Cassettone laccato bianco MDF 88 × 45 × 77 cm invece di 649.–
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BEAVER II Sedia laminato, nero gambe rovere invece di 299.–
209.–
30%
30%
Disponibile anche con 6 cassetti
Disponibile anche in bianco
LOMBOK Poltrona rattan, naturale 85 × 70 × 73 cm invece di 229.–
LISSABON Tavolino piastrelle in ceramica telaio in metallo 40 × 40 × 46 cm invece di 249.–
160.–
174.–
30% Disponibile anche in altre versioni
interio.ch
30%
I migliori nella loro categoria. VINCITORE
DEL TEST Fédération romande des consommateurs 11.2017 NOTA 82% (ottimo) test.frc.ch
1.35
Pomodori tritati bio in scatola 280 g
1.–
Pomodori tritati Longobardi in scatola 280 g
L’associazione di consumatori indipendente FRC ha testato dieci delle conserve di pomodoro più amate in Svizzera ed entrambi i prodotti della Migros testati hanno ottenuto la migliore votazione con un punteggio di 82 su 100. Le varietà bio e Longobardi si sono distinte per la qualità e, rispetto agli altri prodotti, hanno conseguito il miglior punteggio anche per quanto riguarda la presenza di insetticidi e bisfenolo A. Il tutto a un rapporto qualità-prezzo eccezionale. E tu cosa aspetti a provarli?
Apertura straordinaria
Domenica 17 dicembre
Saranno aperti dalle ore 10 alle 18 Centro Agno – Arbedo Castione Bellinzona – Biasca – Locarno Pregassona – Lugano Centro Parco Commerciale Grancia – Taverne Centro S. Antonino Centro Shopping Serfontana Losone Do it + Garden