Azione 51 del 16 dicembre 2019

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio In Ticino il progetto «Da meno 9 a più 36» a favore della salute psichica nella prima infanzia

Ambiente e Benessere L’ambientalista Bill McKibben, nel libro Falter, lancia l’allarme sulla catastrofe imminente causata dai cambiamenti climatici

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXII 16 dicembre 2019

Azione 51 Politica e Economia Al vertice di Parigi segnali di disgelo sulla guerra russoucraina del Donbas

Cultura e Spettacoli In anteprima mondiale Adelphi propone un nuovo, strepitoso romanzo di Isaac B. Singer

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di G. Gavazzeni e S. Faller pagine 41 e 45

Brescia/Amisano – Teatro alla Scala

Tosca ammaliatrice

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Concordanza nel dilemma di Peter Schiesser Onestamente, qualcuno si aspettava un risultato diverso dalle elezioni per il Consiglio federale di mercoledì scorso? Ossia, che la presidente dei Verdi Regula Rytz sarebbe riuscita a scalzare Ignazio Cassis e quindi a togliere un seggio ai liberali-radicali? Dal momento in cui il presidente del Partito popolare democratico Gerhard Pfister ha dichiarato che non avrebbe sostenuto la candidata dei Verdi, evitando persino di convocarla, i giochi erano fatti. E i numeri sono stati chiari: 145 voti per Ignazio Cassis, 82 per Regula Rytz (e 11 per candidati diversi). Non un risultato brillante, ma un buon margine di vantaggio per il consigliere federale ticinese. Tuttavia, queste elezioni del Consiglio federale non sono state inutili: nelle prese di posizione dei partiti che hanno preceduto le elezioni è emerso con chiarezza il dilemma in cui si trova oggi il sistema di concordanza, fondamento della politica federale. In realtà, tutti avevano una buona dose di ragione nelle proprie argomentazioni: se i partiti di centro e di centro-destra hanno messo l’accento sulla necessità di garantire la stabilità del sistema politico elvetico in nome

della concordanza, a sinistra e anche fra i Verdi liberali si è levata la richiesta di dare una nuova forma alla concordanza, poiché non può più essere chiamata tale se il Consiglio federale rappresenta oggi solo due elettori su tre. Il dilemma sta proprio nel fatto che nelle elezioni dell’11 dicembre non era possibile trovare una soluzione, una formula di governo che rispettasse al contempo la volontà dell’elettorato, che ha premiato le formazioni ecologiste nelle storiche elezioni del 20 ottobre, e la stabilità garantita dall’attuale sistema politico e dalla «formula magica» che ne è espressione dal 1959 (pur con gli scossoni subiti nel 2003 e nel 2007 con le mancate rielezioni di Ruth Metzler e poi di Christoph Blocher). Considerato che fra socialisti, liberaliradicali, Verdi e popolari democratici ci sono (fra il primo e il quarto) meno di 6 punti percentuali di differenza, non si giustifica più che socialisti e liberali-radicali abbiano due seggi, i popolari democratici uno e i Verdi nessuno. Ma toglierne uno ai liberali-radicali per darlo ai Verdi rafforzerebbe in modo eccessivo il fronte di sinistra, mentre il centro (PPD, BDP e Evangelici) risulterebbe sotto-rappresentato; i Verdi liberali, poi, non lo sarebbero per nulla. Un bel rompicapo, che non poteva essere sciolto l’11 dicembre.

Se prendiamo sul serio le dichiarazioni dei partiti e le proposte ventilate alla vigilia dell’11 dicembre, potremmo dire che la soluzione del dilemma è solo rinviata. Da una parte si attende che i Verdi e i Verdi liberali confermino il loro exploit elettorale fra quattro anni (c’è poco da dubitarne, visto che l’emergenza clima non si dissolverà), dall’altra che in questa legislatura i quattro partiti di governo assieme a Verdi e Verdi liberali affrontino seriamente la questione ed elaborino una nuova «formula magica» di governo. Le proposte oggi sul tavolo sono molteplici: si va da un Consiglio federale a 9 nove seggi per integrare in governo Verdi e Verdi liberali senza togliere seggi ad altri, all’idea di Blocher di togliere un seggio ai socialisti e uno al PLR per darlo a Verdi e Verdi liberali, a quella di Gerhard Pfister di limitare a 8 anni la durata massima della carica di consigliere federale per permettere dei veri ricambi. Vedremo se l’impegno verbale della vigilia avrà un seguito, ora che i giochi sono fatti. Al più tardi se ne riparlerà fra quattro anni. Ma ha senso attendere tanto? È ancora possibile, in un mondo e in un’economia che mutano così radicalmente e rapidamente, mantenere i lunghi tempi politici di un periodo storico ormai passato?


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