Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 27 dicembre 2016
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Società e Territorio Il quartiere di Cornaredo a Lugano cambierà radicalmente, e ora si aspettano i piani per la nuova viabilità
Ambiente e Benessere Il Consiglio federale sostiene l’applicazione delle misure proposte dal Masterplan per le formazioni professionali sanitarie
Politica e Economia L’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara non incrina le relazioni fra i due Paesi
Cultura e Spettacoli Il Kunsthaus di Zurigo omaggia Giacometti esponendo anche opere raramente esposte
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Keystone
Auguri a tutti di serenità e pace
Arriva il 2017, su un po’ di fiducia! di Lorenzo Emma Siamo bombardati da informazioni su crimini, incidenti, catastrofi e disgrazie di ogni genere . I 7 miliardi di abitanti del pianeta e la natura imprevedibile ci assicurano un flusso permanente di brutte notizie da tutto il mondo, supportato da media tradizionali ed elettronici. Anche in questo campo va molto il «prodotto locale»: il tema e gli ingredienti sono simili anche se c’è una chiara preferenza per la politica, le malefatte finanziarie, le disgrazie dei VIP e relativi addentellati possibilmente con dettagli scabrosi. La scarsità di materia prima dovuta all’esiguità del territorio è compensata dai numerosi media presenti nella nostra regione, alimentando polemiche anche partendo da fatti tutto sommato banali, trovando sempre chi si presta ad alzare i toni in cambio di un po’ di visibilità. Assistere ai relativi tiri di palta è spesso divertente, tanto è vero che è una delle attività preferite dei ticinesi durante il fine settimana: inizia con certi programmi televisivi del giovedì e venerdì sera e trova l’apice nella lettura dei domenicali.
Tutto questo potrebbe essere considerato poco importante se non generasse una crescente sfiducia nelle istituzioni, nella classe politica, nella società, nel mondo economico, nel futuro in generale e non portasse a rimpiangere il passato e pensare che ci avviamo verso tempi sempre più bui. Un passato del quale si ha spesso un ricordo tinto di rosa, caratterizzato da una vita più semplice e più sana, in cui tutto costava meno, il lavoro era meno faticoso, ecc. Ma guardiamo ai fatti, senza tornare indietro di 200 anni, quando i ticinesi abbandonavano le famiglie per emigrare o vendevano i loro bambini perché non riuscivano a sfamarli. Solo dal 1980 a 2015, l’aspettativa di vita nel nostro cantone è aumentata di 6 anni per gli uomini e 8 anni per le donne; a fronte di un aumento dei prezzi di circa l’80 per cento, le retribuzioni sono più che raddoppiate ed il potere d’acquisto è aumentato del 25 per cento, tant’è vero che nel 2015 per l’alimentazione – alla quale una volta si destinava una parte importante del budget famigliare –si è dedicato poco più del 6,4 per cento del reddito lordo, quasi quanto si è destinato al tempo libero, lo svago e la cultura (5,7 per cento).
Ancora all’inizio degli anni 50 si lavoravano 48 ore alla settimana mentre ora la durata del lavoro è ridotta a 41 ore settimanali (malgrado una settimana di vacanza in più). Sono solo alcuni esempi, per dire che certo, ci sono ancora guerre, malattie, ingiustizie, disonestà. C’è chi soffre e vive nel disagio, ma le cose non vanno peggio di prima. Il futuro è tutto da creare e dipenderà molto da come lo affrontiamo: con fiducia e ottimismo sarà sicuramente meglio che con pessimismo e negatività. Tutto questo per incitare chi legge queste righe ad affrontare l’anno che sta per cominciare con spirito positivo e guardando in avanti con l’obiettivo di migliorare le cose. Da parte mia guardo all’anno che sta per finire per ringraziare, a nome del consiglio di amministrazione e del comitato di direzione, le socie e i soci, le clienti e i clienti che hanno scelto i beni e servizi dalla cooperativa dando così un segno di apprezzamento al lavoro svolto da collaboratrici e collaboratori di Migros Ticino. Ringrazio quindi questi ultimi per l’impegno e tutti i nostri partner commerciali per la collaborazione. A tutti un Felice Anno Nuovo!
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Attualità Migros
Buon olio a poco prezzo? Olio di oliva extravergine M-Budget Consumi In risposta a una discutibile valutazione sulla qualità di un prodotto del nostro assortimento
C’è qualcuno che (con i soldi di chi?) si erige a paladino (di cosa?), svolgendo costose analisi su analisi e mettendo in discussione la qualità di alcuni generi alimentari… Questo ovviamente costringe Migros – azienda seria e responsabile che già di suo svolge sistematicamente approfonditi controlli su prodotti e produttori – a spendere migliaia di franchi in più in altrettante costosissime controanalisi che, guarda un po’, provano sempre e semplicemente la piena conformità del prodotto.
I test dell’International Olive Council e di una rivista specializzata confermano il giudizio positivo Ma queste indagini e queste denunce, ci fanno sentire più sicuri in un paese come la Svizzera dove, secondo alcuni, le autorità e gli organi di controllo sarebbero completamente assenti, dove non vi sarebbero apparentemente regole e dove ognuno avrebbe la possibilità di vendere ciò che vuole e come vuole, anche a costo di mettere a rischio la salute dei cittadini. D’altronde, sempre secondo alcuni, l’obiettivo di un’azienda in Svizzera, vero e proprio far west del commercio al dettaglio, parrebbe non più quello di coltivare la propria clientela con buon servizio e ottimi prodotti a prezzi con-
Nelle immagini la documentazione che smentisce la trasmissione televisiva.
correnziali, ma quello di truffarla e, se possibile, sterminarla con prodotti rancidi o tossici, tutto in nome dei facili guadagni. Insomma, un futuro garantito! Intelligenti però costoro, perché con una trentina di puntate a stagione, avendo Migros circa 40mila articoli in
assortimento, si sono assicurati servizi per i prossimi 1333 anni! A lungo andare, quindi, vecchia o rancida rischia di diventare solo la trasmissione televisiva in questione… Per il momento possiamo solo rassicurarvi sul fatto che il nostro olio di oliva extravergine M-Budget (4.30. – franchi al litro) è stato nuovamente testato in data 11 novembre 2016 da un laboratorio accreditato dall’IOC (International Olive Council – Consiglio Oleicolo Internazionale) e risulta un extravergine a tutti gli effetti e non presenta anomalie di alcun genere. E oltretutto è stato considerato «buono» nel confronto effettuato in agosto dalla Redazione di «Spendere Meglio». Pertanto, ottima insalata a tutti!
L’arte di fare la spesa
Ecologia Quattro borse riutilizzabili realizzate da creativi artisti
Sono arrivati i Migroji!
Tecnologia Migros lancia i primi emoji
Il Museo Migros di arte contemporanea, un’istituzione del Percento culturale Migros, e Marketing Migros hanno invitato quattro artisti a realizzare nuove borse per la spesa riutilizzabili. Le borse, realizzate ispirandosi a una vasta gamma di prodotti delle industrie Migros, sono frutto di una personale
interpretazione degli artisti. I risultati sono molto particolari e spaziano dalla natura morta al collage. Olaf Breuning (1970 Sciaffusa, CH, vive e lavora a New York) si è ispirato al reparto dolciumi di Migros, giocando nella sua bozza con l’umorismo dei suoi collage, sculture, disegni e fotografie. Daniele Buetti
Il progetto di Olaf Breuning.
(1955 Friburgo, CH, vive e lavora a Zurigo), noto per il suo approccio critico nei confronti del mondo del glamour, fa comunicare tra loro i prodotti Migros utilizzando i fumetti. Alexandra Navratil (1978 Zurigo, CH, vive e lavora ad Amsterdam e a Basilea), artista che si occupa di film e fotografia, si ispira per il suo collage all’imballaggio dei prodotti, facendo riferimento al tema dell’assenza e della presenza degli oggetti, ricorrente nella sua opera. Stefan Burger (1977 Müllheim, D, vive e lavora a Zurigo), nelle sue fotografie umoristiche e concettuali, approfondisce la mitologia della quotidianità. Con queste borse riutilizzabili realizzate dagli artisti, Migros offre un oggetto funzionale, che ci accompagna ovunque: al supermercato come a un concerto, al lago o durante un’escursione. Le borse sono anche un oggetto da collezione per intenditori e amanti dell’arte e un accessorio di culto per i clienti. Tutte sono in vendita a un prezzo di 2 franchi.
svizzeri per iMessages
Gli utenti iPhone possono scrivere su iMessages con gli originali Migroji: il set è composto dall’immagine di 17 amatissimi prodotti Migros e 14 emblemi svizzeri. Per il loro lancio Migros aveva proposto una campagna di crowdsourcing su Migipedia, durante la quale sono state raccolte idee per creare altri cinque Migroji. Le migliori idee sono state premiate con un totale di 1000 franchi. Si tratta del primo set di sticker lanciato dall’azienda svizzera per la piattaforma iMessages. È composto da circa 30 emoji rappresentanti motivi tipici della quotidianità svizzera. Tra i simboli troviamo emblemi della cultura elvetica come il Cervino e la fondue, ma anche
molti amatissimi prodotti di Migros, come per esempio l’Ice Tea, il detersivo Handy, il gelato alla vaniglia con il motivo della foca e molti altri ancora. Al momento il set di sticker è disponibile solo per iMessenger sul sistema operativo iOS-10. Altri canali sono ancora in fase di elaborazione. Il set di sticker Migroji può essere scaricato nell’App Store della Apple: https://itunes.apple.com/ch/app/migrojis/id1158513781. La collezione non è però ancora completa. E per questo Migros aveva lanciato una campagna di crowdsourcing su Migipedia. Le dieci migliori proposte sono state sottoposte a una votazione, e le cinque al top verranno realizzate. Annuncio pubblicitario
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Società e Territorio Bambini con alto potenziale cognitivo È nata a Locarno l’associazione Filo di Seta a sostegno dei bambini «plusdotati» e dei loro genitori, ne abbiamo parlato con la presidente Anna Galassetti e con lo psicologo Giovanni Galli
Conoscere il rischio L’esposizione interattiva Risk inSight attualmente in corso negli spazi dell’ex asilo Ciani a Lugano invita a riflettere sul concetto di rischio pagina 6
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La porta di Lugano
Nuovo Quartiere Cornaredo Entro
Roberto Porta Uno sguardo alla storia ci dice che i prati di Cornaredo stavano per essere trasformati in una base aerea. Erano i primi anni del ‘900. I pionieri dell’aviazione luganese decisero però altrimenti e optarono per Agno. Cento anni dopo il quartiere di Cornaredo è ora ad un passo dallo spiccare davvero il volo, verso la sua configurazione futura. «Il quartiere deve diventare quello che abbiamo progettato negli anni – ci dice Roberto Lurati, il presidente dell’agenzia NQC «Nuovo Quartiere Cornaredo» – Abbiamo pianificato in modo avveniristico per costruire un comparto per il lavoro ma anche per l’alloggio. Con l’obiettivo di garantire al quartiere un’alta qualità della vita. Anche per questo motivo si è pensato a costruire in altezza, al centro, lasciando grandi spazi liberi verdi attorno. In questo senso avremo il grande parco di Trevano, il parco fluviale e la camminata verso Lugano». L’agenzia NQC raggruppa i comuni di Canobbio, Porza e Lugano e ha come obiettivo principale la concretizzazione del piano regolatore intercomunale siglato nel 2010. Con Lugano che vede nel nuovo quartiere la «sua porta d’ingresso», ci dice il sindaco Marco Borradori, «perché con la galleria Vedeggio-Cassarate, Cornaredo costituisce il primo impatto con la città per chi arriva da nord. Abbiamo cercato di immaginare un quartiere che potesse essere all’avanguardia, per riqualificare l’intero comparto, tenendo conto delle esigenze strategiche di una città e di una regione in continua evoluzione». Progetti e visioni che sulla carta ci sono già da diversi anni ma che finora hanno faticato parecchio a trovare una loro realizzazione concreta. «Per lo sviluppo futuro della città è un progetto fondamentale, – continua Borradori – difficile e complesso, perché si intrecciano diverse problematiche (pianificatorie, urbanistiche, architettoniche, economiche) che richiedono una stretta collaborazione tra Cantone e Comuni. C’è poi l’aspet-
to più delicato, quello legato alla mobilità e ai parcheggi». Che la viabilità fosse l’elemento più sensibile lo si è capito anche nel corso del 2016, con il Cantone a frenare in un primo tempo lo stanziamento di un credito di 84 milioni di franchi per il riassetto viario del nuovo quartiere, un contributo poi accettato nella sessione di settembre del Gran Consiglio. «Per noi questa è la priorità assoluta – sottolinea Roberto Lurati – entro la primavera 2017 il Cantone deve pubblicare i piani per la nuova viabilità, dall’uscita della galleria fino alla zona dello stadio. Contemporaneamente i tre comuni sono pronti con gli atti per la pubblicazione del piano per le strade di quartiere. Lo sviluppo del comparto può avvenire solo attraverso una mobilità che funziona, altrimenti ci saranno dei problemi». Quello che si vuole scongiurare a tutti i costi è il caos viario e qui subentra il tema, delicatissimo, dei parcheggi. Oggi chi si reca in centro, soprattutto per lavoro, può usufruire di un Park&Ride privato, di proprietà della famiglia Mantegazza, e preso in affitto dal Cantone. Dal prossimo febbraio però Bellinzona non intende rinnovare questo contratto. «Stiamo discutendo con il legale della famiglia Mantegazza allo scopo di subentrare al Cantone – fa notare il sindaco Borradori – siamo nel pieno delle trattative. Il nostro obiettivo è quello di continuare a far capo a quell’autosilo per tenere sotto controllo la situazione viaria». Nel concetto della nuova viabilità – che comprende tra l’altro anche la realizzazione di una rotonda sul Cassarate e di una pista ciclabile sopraelevata – c’è anche la costruzione di un nuovo autosilo pubblico. «Questo è un altro tema delicato – ci dice Roberto Lurati – Ricordo che la costruzione di questo era prevista già prima del 2012, e cioè prima dell’apertura della galleria Vedeggio Cassarate, secondo gli accordi sottoscritti 15 anni fa tra il Consiglio di Stato e i tre Comuni di Canobbio, Porza e Lugano. Il P&R però è ancora lì, in attesa di una progettazione definitiva. In questo senso la nostra agenzia
(CdT - Bruno Pellandini)
la prossima primavera il Cantone dovrebbe presentare i piani per la nuova viabilità in un’area urbana che cambierà radicalmente
ha ultimamente inoltrato un’esplicita richiesta al Consiglio di Stato chiedendo di indicarci il numero dei posteggi legati al P&R che si devono costruire. Aspettiamo delle risposte entro il prossimo mese di febbraio». In questi lunghi anni – il piano regolatore intercomunale è del 2010 – si è passati dall’ipotesi iniziale di 1200 posti auto per i pendolari ad una capacità minima per il nuovo autosilo che sembra ora di 600. Il Cantone per questa opera metterà a disposizione 30 milioni. Viabilità e parcheggi che interessano anche gli investitori privati, perché il futuro di Cornaredo è legato anche all’apporto dell’economia. In questo senso ci sono tre grandi progetti. Sul territorio del comune di Porza, le torri della famiglia Mantegazza, un investimento da 110 milioni di franchi per la creazione di un comparto amministrativo-residenziale. E il progetto del gruppo immobiliare Artisa di Lamone, il cosiddetto «Parco Cornaredo», presentato pubblicamente lo
scorso mese di settembre. 100 milioni di franchi da investire nelle immediate vicinanze della pista di ghiaccio, con la realizzazione di strutture abitative a prezzi accessibili e di un centro con appartamenti destinati alla terza età, con servizi di assistenza e di cura. Prevista anche l’edificazione di una pista da ghiaccio e di uno stand di tiro (per pistola) sotterranei. «Dai privati abbiamo avuto finora ottimi segnali – constata Roberto Lurati – questo perché Cornaredo è situato in una posizione strategica molto importante per la regione e per l’intero cantone». Investitori che poco più a sud si sono mossi anche per la realizzazione del nuovo stadio. «Abbiamo un progetto che è uscito vincente da un concorso internazionale – afferma il sindaco Marco Borradori – Un progetto molto bello dal punto di vista estetico, con un nuovo stadio che risponde alle esigenze della Lega calcio. Ci sarà poi un palazzetto dello sport per varie attività sportive, la pallavolo, il basket e altre
discipline che oggi sono costrette a cercare, tra non poche difficoltà, spazi per gare e allenamenti. E poi ci sono le due torri destinate ad uffici, magari anche amministrativi, e ad unità abitative». È il cosiddetto progetto «Sigillo», che aspetta anche lui lo sblocco del piano di quartiere, da due anni al vaglio delle autorità cantonali. «È difficile far capire al cittadino le ragioni di questi tempi lunghi e io sono il primo a non essere particolarmente soddisfatto – ci dice Roberto Lurati – Purtroppo a livello dell’amministrazione cantonale, ma non solo, e di procedure in generale ci sono problematiche che allungano di parecchio i tempi». Dopo una quindicina d’anni di pianificazione e in attesa che da Bellinzona giungano entro la primavera le risposte necessarie per impostare la nuova viabilità, Cornaredo nel 2017 potrebbe davvero cominciare a costruire il proprio futuro, mattone dopo mattone. Dopo tanto attendere non c’è più tempo da perdere.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Società e Territorio
Un dono da non sottovalutare Filo di seta L’associazione nata a Locarno si impegna a sostenere i bambini dotati di alto potenziale cognitivo
e le loro famiglie. A colloquio con la presidente Anna Galassetti e con lo psicopedagogista Giovanni Galli
Alessandra Ostini Sutto Gifted, così vengono internazionalmente definiti gli individui dotati di un alto potenziale cognitivo. Si tratta di persone con un’intelligenza fuori dal comune, che hanno, a volte, capacità straordinarie in campi specifici. Nella realtà dei fatti però questo «dono» richiede un grande impegno affinché non vada sprecato, e questo fin dalla tenera età. «Comunque si vogliano definire, si tratta di bambini che l’opinione comune reputa fortunati e che invece sono spesso protagonisti di una sofferenza causata dalle loro stesse potenzialità che non riescono a mettere a frutto nel contesto scolastico e sociale», afferma Anna Galassetti, presidente dell’associazione Filo di Seta, fondata a Locarno la scorsa primavera con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istanze educative alla tematica dell’alto potenziale cognitivo (Apc).
I bambini con un quoziente intellettivo superiore a 130 spesso sono dotati anche di particolari caratteristiche emotive e sensoriali Realtà relativamente poco conosciuta in Svizzera – nel nostro Cantone meno che in altri – quella dei bambini intellettivamente precoci interessa direttamente circa il 2% degli allievi. «A livello statistico, il 2,28% di persone di ogni fascia di età presenta un Q.I. superiore a 130», afferma Giovanni Galli, psicologo e psicopedagogista con studio privato a Locarno, specializzato in Apc, «possiamo però stimare che questa percentuale arrivi al 5%, ma al momento non esistono ricerche “a tappeto” sul tema e non tutti i casi vengono diagnosticati». Ma come ci si accorge che un bambino è effettivamente dotato di un alto potenziale intellettivo? «I primi osservatori sono in genere i genitori, che notano, per esempio, una padronanza linguistica o numerica anticipata, una grande capacità di memorizzazione o una curiosità insaziabile», continua Galli. A questo punto si procede con un colloquio clinico, nel corso del quale si raccolgono informazioni relative alla crescita e allo sviluppo del bambino, ai suoi interessi, ad eventuali apprendimenti precoci, come l’imparare autonomamente a leggere verso i 4 anni. Se da questo colloquio scaturiscono gli elementi per pensare
che il bambino sia effettivamente dotato di un alto potenziale cognitivo, si procede con dei test: «Si usa in genere il WISC (Wechsler Intelligence Scale for Children), di cui esistono versioni diverse a seconda delle fasce d’età. Composto da una serie di prove, questo test internazionalmente usato e riconosciuto, consente di valutare le competenze del bambino, che vengono poi espresse in termini numerici. Un Q.I. di 130 è il valore di riferimento per la diagnosi di alto potenziale cognitivo», spiega lo psicologo, che da anni si occupa di questa popolazione in Ticino e in Italia. I bambini ad alto potenziale hanno tratti che li caratterizzano pure a livello emotivo. «Spesso sono di difficile gestione in quanto molto sensibili e talvolta anche narcisisticamente fragili», continua Galli, «per arrivare ad una diagnosi forniscono indicazioni utili pure gli strumenti che determinano il quoziente di intelligenza emotiva». Non è quindi soltanto una questione di Q.I, anche se questo, dal punto di vista scientifico, resta inequivocabile. Nei soggetti ad alto potenziale, tra la sfera emotiva e quella intellettiva esiste una relazione particolare. «Da un punto di vista clinico, vediamo che più alto è il potenziale cognitivo più si possono supporre dei problemi di gestione dell’emotività e socializzazione, anche se, a mia conoscenza, non esistono degli studi statistici specifici a conferma di questo aspetto. Bisogna considerare che un bambino ad alto potenziale si pone problemi intellettualmente evoluti, pur avendo un’esperienza che corrisponde alla sua età anagrafica. Questo lo porta a vivere le cose in maniera più intensa rispetto ai coetanei, e ad avere, a volte, delle reazioni forti». «Troppo» è di fatto un termine che caratterizza le persone superdotate. «Si è “troppo” di tutto. E questo è frustrante perché spesso gli altri o non capiscono o non apprezzano o trovano che tu sia esagerata», afferma Anna Galassetti, che ha iniziato ad approfondire la tematica – con la quale si confronta pure professionalmente, essendo formatrice di didattica della musica presso il Dipartimento formazione e apprendimento della SUPSI e docente di educazione musicale nelle Scuole elementari – dopo che, in età adulta, è stato riconosciuto il suo alto potenziale. «Da un certo punto di vista si impara a controllare l’aspetto emotivo, ma ci sono delle sensazioni che sfuggono al controllo», continua la presidente del Filo di Seta, riferendosi all’ipersensibilità e all’ipersensorialità, che pure figurano tra i tratti caratterizzanti di un profilo Apc. Nel secondo caso, i sensi esacerbati portano ad avere una sorta di bombardamento sensoriale costante. «È
In Svizzera i bambini «plusdotati» sono circa il 2 per cento degli allievi. (Keystone)
per questo che a me, da ragazza, non piaceva andare in discoteca; musica e odori mi risultavano insopportabili. Questo è uno dei tanti episodi che ho compreso dopo aver fatto i test, i quali mi hanno portato a rileggere, in prospettiva, la mia vita, con un’implicazione psicologica piuttosto pesante». L’ipersensorialità comporta pure delle reazioni fisiche esagerate quando si provano delle emozioni, per esempio il fatto di empatizzare a livello fisico il malessere di una persona vicina. Ci sono poi delle persone plusdotate che sono sinestetiche. Per esempio ascoltano la musica e vedono un colore oppure vedono qualche cosa e provano a livello fisico un senso di piacere o di dolore. Un’altra caratteristica dei soggetti ad alto potenziale è il pensiero travolgente, che non si ferma mai. «È come se qualcuno ti parlasse costantemente nell’orecchio. Bisogna trovare la propria strategia per incanalare il pensiero e raggiungere così un equilibrio; per me è la lettura ad alta voce», continua Anna Galassetti. Per altri può essere la
scrittura o lo «scarabocchiare». Ecco perché certi bambini ad alto potenziale a scuola hanno bisogno di fare altro mentre ascoltano; ed ecco perché è importate che la peculiarità di questi bambini sia diagnosticata. «Se l’insegnante sa che questo è un modo per concentrarsi, lo accetterà ed esso potrà venir concordato con il resto della classe», afferma la presidente del Filo di Seta, che in questo ambito mira ad una collaborazione con le istanze pubbliche, ponendosi come un referente per indirizzare e informare i genitori. In Ticino l’approccio scelto è quello dell’integrazione; mentre in altri Cantoni – nello specifico Zurigo e Ginevra – esistono delle scuole private per bambini ad alto potenziale cognitivo. Nel nostro Cantone, i bambini segnalati possono beneficiare di misure di differenziazione o sostegno pedagogico e, eventualmente, salto di classe. E la via intrapresa proseguirà, con ogni probabilità, con la riforma «La scuola che verrà». «Le parole d’ordine sui documenti diffusi in relazione alla consultazione per “La scuola che verrà” sono “inclu-
in famiglia e da giornate intense, in cui tutti dobbiamo essere più buoni, ci sentiamo sollevati all’idea di poter ricacciare tutto sotto il tappeto fino all’anno venturo? E non è neanche così difficile visto che sempre di più perdiamo i tempi, i ritmi e la spiritualità dell’attesa. Ai primi di dicembre sono stata in un grande magazzino noto per avere vasti assortimenti di decorazioni e addobbi ma mi accorgo – fatta eccezione per qualche pallina rossa – che di natalizio non vi è nulla. Con la faccia del nano brontolo chiedo alla commessa che fine hanno fatto gli articoli di Natale «Sono finiti. Signora, abbiamo iniziato ad esporli il 15 di ottobre, pretendere di trovare ancora qualcosa….». Saremo bravi in tante cose ma non siamo più bravi nel rispettare i tempi e le tradizioni dell’attesa. Come
pac-man fagocitiamo tutto ciò che ci viene incontro convinti, pure, che alla fine qualcuno ci darà un premio. Mentre scrivo è quasi Natale e su Fb leggo dell’attentato a Berlino. Il mio amico Marco che ci vive, sul sistema Safety Check di Fb, si dice salvo. Ci sono stata tante volte in quella piazza ai piedi della Gedächtniskirche, con quel suo tetto bombardato e mai più toccato per mantenere vivi gli orrori della guerra. E di nuovo penso che dovremmo correre di meno e fermarci a capire di più, non solo il nostro presente ma anche il nostro passato, ricordarci ogni tanto da dove veniamo, chi siamo. Credo che dovremmo avere più rispetto per noi stessi e per la nostra umanità e quella degli altri, che dovremmo fare uno sforzo maggiore nel renderci conto che il mondo
sione”, “personalizzazione” e “differenziazione” con un progetto personale per ogni bambino», commenta la presidente dell’associazione che mira proprio a sostenere i bambini plusdotati e le loro famiglie, «questa ci sembra un’ottima notizia, dal momento che i bambini Apc hanno bisogno di accorgimenti pedagogici specifici, avendo un’intelligenza che funziona diversamente, sia dal libro di testo sia da come le materie vengono insegnate, e, a volte, pure un comportamento diverso da quello che si esige da un ragazzo a scuola». Se non compresi, questi ragazzini rischiano di avere un rendimento scolastico che non rispecchia il loro potenziale, oltre a problemi di integrazione e manifestazioni di disagio, come non riconoscere l’autorità scolastica, disturbare o essere talmente attivi da venir considerati iperattivi. «A causa del mito diffuso secondo il quale, grazie alla loro intelligenza “superiore”, i giovani Apc se la cavano comunque, le loro difficoltà possono essere mal interpretate o sottovalutate», afferma Anna Galassetti. Spesso ad un Apc fanno difetto attenzione, concentrazione e tenacia. Importante per la loro riuscita è il concetto di «sforzo»: «A volte quando vedono che con l’intuizione o la memoria non ci arrivano più si bloccano; nel momento in cui avrebbero bisogno di studiare non hanno un metodo. A questo punto serve qualcuno che li accompagni e insegni loro come studiare», spiega Anna Galassetti, che continua raccontando la propria esperienza: «Fino al liceo mi bastava seguire le lezioni per ricordare le cose. Vedevo però che per i miei compagni non era così. Ho scelto allora di affiancare al liceo il conservatorio di musica – scuola specializzata nell’ambito in cui ero meno brillante – per mettermi a livello degli altri; mi sono auto-compensata con qualcosa che mi richiedesse uno sforzo e ho imparato ad avere un metodo». Per fortuna vi sono anche bambini ad alto potenziale che riescono serenamente a mettere a frutto il loro dono e non vivono situazioni di disagio. E in questo i genitori possono sicuramente essere d’aiuto, soprattutto sostenendo la loro sete di imparare e offrendo un ambiente stimolante: «Non bisogna mai pensare “non devo incoraggiare a leggere il mio bambino perché se no quando andrà a scuola si annoierà”, mai frenare. I bambini vanno stimolati, a dipendenza dei singoli casi, con attività che non nutrano solo il cervello ma anche il corpo e lo spirito», conclude Giovanni Galli. Informazioni
www.filodiseta.ch
La società connessa di Natascha Fioretti Il nuovo anno sotto le coperte Non so a quale categoria apparteniate voi, io appartengo a quella che ama il Natale e detesta il nuovo anno. Dal 24 dicembre fino al 15 di gennaio mi tapperei in casa nell’illusione che l’atmosfera natalizia perduri, lontana dal freddo grigiore e dalla spaventosa incertezza che l’affacciarsi del nuovo porta con sé. Farei anche volentieri a meno di tutti gli oroscopi che ti raccontano di un anno favoloso, oppure ti intimano di stare attento se non vuoi che un intero palazzo ti crolli addosso. Senza contare l’affanno sui media e sui social per raccontarti quante cose sono successe nel 2016, quante cose ti sei perso (come hai potuto?!), quanti splendidi post e foto hai messo su Fb in quella che sembra una gara a chi ha avuto l’anno più bello, più fortu-
nato, «più», insomma. Tutto questo lo salterei a piè pari e opterei invece per restare sotto le coperte in compagnia di un buon libro, le candele accese, White Christmas in sottofondo, l’odore dei mandarini e dei Lebkuchen che si spandono per tutta la casa. Unico motivo per uscire dalle coperte: fare meravigliose passeggiate col cane, magari nella neve, e incontrare gli amici all’ora del tè inglese. Aspetto il Natale con tanta trepidazione assaporando la magia di ogni domenica dell’avvento, il profumo degli aghi di pino, l’odore di cannella che viaggia per la cucina mentre i biscotti si cuociono nel forno e i bimbi giocano divertiti nella polvere della farina. Perché mettere tutto nel cassetto dopo il 27 di dicembre? Non è forse vero che una volta spacchettati i regali, reduci dalle abbuffate
sta cambiando e noi, forse, non stiamo andando nella direzione giusta, non stiamo comprendendo davvero la portata di certi avvenimenti, e non ci interessiamo davvero ai morti della Siria o allo sfregio dell’ambiente. Le bellezze e le brutture di questa vita ci vengono servite sullo stesso piatto come se non vi fosse differenza e come se fossimo in grado di sopravvivere a tutto. E invece dobbiamo imparare a distinguere, a capire, a vivere dando il giusto nome e valore alle cose, alle persone, agli affetti. Per quanto mi riguarda, sicuramente brontolando, uscirò dalle mie calde coperte e spegnerò luci e candele promettendomi, come scriveva Charles Dickens, di onorare il Natale nel mio cuore e di tenerlo con me tutto l’anno nella speranza che il 2017 sia più giusto e sereno per tutti. Buon anno.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Società e Territorio
Un successo editoriale
Vivere con il rischio
il 125.mo dalla fondazione
sul concetto di rischio con un approccio scientifico, sociale e culturale
Anniversari I l «Corriere del Ticino» festeggia in questi giorni
Mostra Risk inSight invita a riflettere
Enrico Morresi Le imprese di famiglia nel mondo dei quotidiani hanno una lunga tradizione, anche in Svizzera. Non tutte sono sopravvissute ma alcune tengono ancora banco, con successo: i Ringier a Zofingen («Blick», «Schweizer Illustrierte», «L’Hébdo»), i Coninx a Zurigo (in quanto titolari del gruppo Tamedia, editore del «Tages-Anzeiger» e di «Le Temps»)… Nel piccolo gruppo, tre famiglie ticinesi: i Soldati, eredi del fondatore del «Corriere del Ticino» nel 1891, i Salvioni, editori de «Il Dovere» dal 1911 al 1992 e in seguito de «laRegione», e i Rezzonico, dal 1935 al 1992 editori de «l’Eco di Locarno», dal 1994 del domenicale «il caffè»… Il «Corriere del Ticino» festeggia in queste settimane il 125.mo dalla fondazione, avvenuta alla fine del 1891 per iniziativa di Agostino Soldati (1857-1938), terzo di tredici figli di una famiglia patriarcale di Neggio nel Malcantone. L’albero genealogico dei suoi eredi conterà dunque moltissimo, in questo articolo: ma più ancora si vorrà mettere in risalto l’indirizzo politico e sociale che la famiglia ha impresso all’azienda e che nei decenni si è evoluto con una coerenza di cui è giusto dare atto.
Stefania Hubmann
Il «Corriere del Ticino» fu fondato da Agostino Soldati alla fine del 1891, il nipote Raffaele costituì nel 1941 una fondazione Il rapporto del fondatore con la realtà del suo tempo è campo di indagine della storiografia più autorevole (per tutti: A. Ghiringhelli, Il Ticino della transizione 1889-1922, Dadò, Locarno 1988). Stupisce semmai che a una figura come quella di Agostino Soldati non sia mai stata dedicata una monografia: dalla pubblicistica disponibile egli emerge tuttavia con una statura politica fuori dal comune. Alla fine dell’Ottocento era tra i fautori di un Ticino aperto al progresso civile e proto-industriale (in questo gli furono sodali i suoi fratelli: Giuseppe e Pio, che avevano fatto fortuna in Argentina). In politica Agostino Soldati cercò a lungo di tracciare una via mediana tra liberali e conservatori, impostando una «politica delle cose»: ma rimase deluso. La messa in angolo di uno dei due storici contendenti (il partito liberale radicale) sarebbe avvenuta soltanto nel 1921 con l’entrata in governo dei socialisti, un’evoluzione che Soldati mostrò di non apprezzare. Sarebbe anacronistico, retrospettivamente, fargli carico di non aver intuito l’importanza del socialismo democratico (quando egli nacque, negli anni Cinquanta dell’Ottocento, il Regno d’Italia non esisteva ancora e in Francia governava Napoleone III). Ma ebbe un merito, che la celebrazione di questi giorni giustamente mette in rilievo: quello di capire che su premesse differenti – editoriali, non partitiche – si poteva fondare un giornale non meno influente. L’avvenire del foglio si sarebbe edificato senza agganci politici o religiosi, diversamente da tutti i giornali di quel tempo in Ticino: a contare sarebbe stato solo il successo editoriale. La storia gli diede ragione. Giunto alla sera della sua vita, Agostino – che non aveva figli – ritenne di lasciare la proprietà del giornale al nipote Raffaele Soldati (figlio di un suo fratello Silvio, morto nel 1923). Questi, tre anni dopo, nel 1941, decise a sua volta di separare il giornale dalle proprietà della famiglia, costituendo una fondazione in cui coinvolse il cugino Agostino Soldati (1910-1966), diplomatico e ambasciatore svizzero
in varie capitali. Il governo della fondazione appartiene da allora in parti uguali al ramo di Neggio (rappresentato da Raffaele e dai suoi successori) e al ramo d’Argentina (rappresentato dall’ambasciatore Agostino e dai suoi successori). La presidenza si sarebbe alternata tra l’uno e l’altro ramo. Negli anni dell’immediato secondo dopoguerra, il «Corriere» era sempre e ancora diretto da Vittore Frigerio (1885-1961), un milanese che Agostino Soldati aveva chiamato nel 1912 alla guida della redazione e che si era fatto un nome come autore di romanzi di successo (ciò che con molta probabilità gli valse l’indulgenza dei ticinesi per le simpatie che il giornale aveva dimostrato per l’Italia fascista). La famiglia proprietaria in quegli anni si faceva poco sentire: l’erede di Agostino, Raffaele, morto giovane, nel 1952, e sua moglie Sofia, cui era toccata la presidenza, scomparsa pure lei, appena un anno dopo. Quanto all’ambasciatore, era in giro per il mondo. La presidenza toccò a Matilde Soldati, allora giovanissima: era nata nel 1930. Nessuno poteva immaginare che quella giovin signora dalla folta capigliatura bionda potesse essere la chiave del successo ulteriore del «Corriere del Ticino». Ma fu lei a incoraggiare Guido Locarnini (1919), assunto come consulente editoriale negli anni Sessanta, a realizzare una nuova sede, autonoma dal profilo editoriale in quanto non più dipendente da una tipografia «esterna». Locarnini, direttore del giornale dal 1969 al 1982, avrebbe impostato una politica di apertura chiamando in redazione giornalisti di ogni tendenza, sinistra compresa, purché rispettosi dell’ordine democratico. Quella scelta fruttò al giornale, in poco più di dieci anni, il raddoppio della tiratura. La domanda potrebbe essere questa: sarà stato per l’inesperienza della giovane presidente che le aperture di Locarnini furono possibili? Difficile dire. Di sicuro contò il successo economico del giornale, come pure la sua crescita in autorevolezza e indipendenza grazie alla qualità del lavoro redazionale e dei collabora-
tori. La designazione di Sergio Caratti (1932-2012) come successore di Locarnini nel 1982, vista oggi – allora fu bersaglio facile delle sinistre – appare una scelta di sostanziale stabilità. A quel punto avvenne la ripresa delle destre, il Sessantotto pareva morto e sepolto. Il giornale avrebbe potuto scivolare nel pelago della reazione (come quella che travolse Piero Ottone, il direttore aperturista del «Corriere della Sera»): ma al «Corriere» questo non accadde. Nuovi venuti nel Consiglio di fondazione – figli di milanesi che avevano sposato delle eredi dei Soldati d’Argentina: i Guasti e i Foglia – si dimostrarono rispettosi dell’autorità della presidente e del suo consigliere economico: il banchiere Amilcare Berra. Certo, il «Corriere del Ticino» non era più il giornale coraggioso degli anni Settanta, ma neppure era diventato la fotocopia luganese de «Il Giornale Nuovo» come sarebbe piaciuto ai «Liberi e Svizzeri». A un’idea di Montanelli (far stampare il suo giornale nella tipografia del «Corriere» in caso di scioperi a Milano) non fu data risposta positiva. Tramontò il «secolo breve» e nel nuovo l’ultimo atto per cui Matilde Bonetti Soldati può essere lodata fu la sopravvivenza offerta nel 2004 al «Giornale del Popolo»: sei milioni che rimisero a galla il giornale cattolico. E ora? Ora le cose sono infinitamente più complicate. Il compito del nuovo presidente – Fabio Soldati, nato nel 1957, figlio di un fratello di Matilde – si esercita a contatto con realtà nuove: gli interessi del Centro stampa (da dove escono ormai quasi tutti i giornali che si pubblicano in Ticino), l’avvento delle stazioni radio (Radio 3iii) e televisive (TeleTicino), il calo delle inserzioni sul cartaceo e l’avvento della comunicazione online, il partenariato pubblicitario con il «Giornale del Popolo»… Non rimane che augurare alla proprietà del «Corriere» di continuare a tutelare il profilo di indipendenza che ha distinto questo giornale nei momenti migliori, in quanto fondato solo sulla qualità del lavoro giornalistico ogni giorno prodotto.
È una mostra leggera, che fa leva sulla provocazione e sui contrasti, che suscita domande e curiosità, per affrontare il concetto di rischio da una nuova prospettiva, libera da emozioni negative e aperta al dibattito. Risk inSight, allestita fino al 20 gennaio negli spazi dell’ex asilo Ciani a Lugano, ha il pregio di proporre il rischio a tutto tondo attraverso un approccio scientifico, artistico e sociale. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che si è concentrata la ricercatrice Valérie November, ideatrice dell’esposizione interattiva, presentata per la prima volta nel 2012 al Politecnico federale di Losanna e ora proposta dal Cantone Ticino nell’ambito della Comunità di lavoro Arge Alp. Un masso sospeso nel vuoto, un tronco sollevato da due strisce di carta, un’affascinante mina navale coperta di veri licheni all’esterno e rivestita come un divanetto all’interno. Le prime sale della mostra catturano subito l’attenzione e proiettano i visitatori nel cuore del tema. Cos’è il rischio? Come viene identificato, percepito e soprattutto gestito? Sul posto ad aiutarci nella ricerca di risposte Laurent Filippini, responsabile dell’Ufficio dei corsi d’acqua del Dipartimento del territorio, che ha curato l’allestimento ticinese assieme a Giosia Bullo della Cancelleria dello Stato. Allestimento comprendente testi in italiano e tedesco e arricchito da una speciale sezione dedicata alla Buzza di Biasca, evento storico che tra il 1513 e il 1515 rivoluzionò la morfologia del fondovalle da Biasca al Lago Maggiore. La catastrofe naturale segnò nella nostra regione, ma anche sul piano europeo, l’inizio della percezione del rischio a livello sociale, come testimonia la rappresentazione iconografica contenuta nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci. Il fenomeno, fra i più rilevanti delle Alpi, viene oggi riletto con il distacco maturato nei 500 anni trascorsi. L’intero percorso della mostra punta proprio a risvegliare questo sguardo oggettivo, privo di pregiudizi e stereotipi. «Troppo spesso il rischio è associato a eventi tragici ed emozioni negative», spiega Laurent Filippini. «È un argomento delicato anche dal punto di vista della comunicazione, in particolare per quanto riguarda il settore legato ai fenomeni naturali. Per questo motivo la mostra curata da Valérie November, oggi direttrice di ricerca al CNRS (Centre national de la recherche scientifique), è un’occasione molto interessante anche per le scuole alle quali sono destinate in gennaio diverse attività didattiche. La presenza di opere d’arte ispirate al rischio come pure l’accento posto sui risvolti sociali oltre che sulle informazioni
scientifiche, sono elementi che permettono di diffondere una cultura del rischio oggi ancora poco conosciuta». Rischio e catastrofe non sono la stessa cosa, ma il nostro immaginario tende ad associarli in modo automatico. La mostra smonta la possibile confusione fra i due concetti a suon di provocazioni a partire dal sottotitolo che si chiede: «Vivere con il rischio è veramente una catastrofe?» Lungo il percorso, animato anche da installazioni multimediali, il rischio assume sempre più una connotazione ambivalente per finire con un messaggio positivo. Sì, perché conoscere il rischio significa anche poter attuare le misure necessarie per gestirlo, evitando appunto che si trasformi in catastrofe. I casi presentati spaziano dal territorio al settore finanziario, da quello sanitario alla mobilità. Nei diversi ambiti numerosi dispositivi come mappe dei pericoli naturali, modelli economici, misure di prevenzione e strumenti di rilevazione, permettono di gestire il rischio. Nella vita quotidiana, non ci rendiamo conto di quanto sia importante ed intenso il lavoro di chi vigila sulla nostra sicurezza. La mostra Risk inSight svela anche questo «dietro le quinte» con un documentario che racconta il lavoro svolto in cinque diverse sale di controllo. Il traffico aereo, la circolazione stradale, le reti di distribuzione dell’elettricità, le previsioni meteorologiche e le catastrofi naturali nel mondo sono sotto continua sorveglianza per il bene comune. Percezione e gestione del rischio sono quindi due aspetti fondamentali di questo tema che deve fare i conti anche con due reazioni in antitesi: esasperazione e banalizzazione. «Quest’ultimo comportamento – precisa la nostra guida – è ben illustrato da un contributo fornito dall’architettura e presentato attraverso alcuni modellini. Il progetto di un nuovo rifugio sul Monte Bianco, la cui cima si è trasformata in un prodotto di consumo, offre l’occasione di rendere gli alpinisti più consapevoli del gesto dell’ascensione. La capanna è stata spostata più in basso per ridare valore alla vetta e alla sua scalata. L’aspetto spartano dell’edificio e la sua posizione “aggrappata” alla roccia ricordano inoltre la realtà di questo luogo di alta montagna». Identificare i rischi, abitare con essi, dibattere sul tema, convivere con questo concetto non sono solo i quattro moduli tematici nei quali si articola l’esposizione. Sono le basi di un nuovo approccio sociale e culturale per confrontarsi con questa realtà. Dove e quando
Ex asilo Ciani, Lugano, ma-do 10.0018.00. Fino al 20 gennaio. www.ti.ch/argealp
L’installazione Parazite di Gilles Perez: mina navale, ma anche virus e riccio marino da osservare all’esterno e sperimentare all’interno. (M. Marazzi, Uff. dei corsi d’acqua)
PUNTI. RISPARMIO. EMOZIONI.
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ll successo di Alvaro Soler, al momento impegnato come giudice a X Factor 2016, è inarrestabile: 6 dischi di Platino per il singolo «Sofia» e disco d’oro per la nuova versione album «Eterno Agosto Italian Edition». L’artista spagnolo si esibirà a Lugano l’8 marzo, giorno della Festa della Donna, presso il Centro Esposizioni Padiglione Conza, per un’unica data in Ticino, nella quale porterà con sé i ritmi estivi e mediterranei che caratterizzano il suo sound travolgente. Quando: 8 marzo 2017 Dove: Lugano Prezzo: fr. 38.80 (invece di fr. 48.50) Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Ambiente e Benessere Edera, kiwi e cuscuta L’incredibile evoluzione di piante che si sono fatte furbe: parliamo delle rampicanti pagina 9
Le foglie che pensano Intervista al neurobiologo vegetale Stefano Mancuso che ci spiega l’intelligenza degli alberi
L’avventura delle piante rampicanti
Sciare sui vulcani non è per tutti Mentre l’industria turistica propone esperienze sempre più estreme, i viaggiatori esperti cercano stimoli in avventure a misura d’uomo
pagina 11
pagina 12
Botanica Chi si arrampica, chi intreccia e chi strozza
Alessandro Focarile
Angeli della salute cercansi
Il settore delle cure va sostenuto per garantirgli ricambio e vitalità. (Keystone)
Formazione Nuove strategie a livello federale intendono attrarre professionisti nel settore sanitario
perché entro il 2025 serviranno 40mila curanti in più Maria Grazia Buletti «Attirare più specialisti nel settore delle cure di lunga durata e prolungare la loro permanenza nella professione»: è questo l’intento del Consiglio federale che, in un comunicato dello scorso 9 dicembre, ha dichiarato di sostenere finanziariamente «i corsi per il reinserimento professionale e il miglioramento effettivo dell’ambiente di lavoro». Tale presa di posizione si basa sul rapporto conclusivo del «Masterplan formazioni professionali sanitarie» ed è parte dell’Iniziativa sul personale qualificato (IPQ) per valorizzare meglio il potenziale indigeno. Stando al rapporto, stilato dal Consiglio federale nel gennaio 2016, i risultati sono positivi: «Le misure per aumentare il numero di titoli professionali nel settore sanitario conseguiti a livello nazionale hanno (già) dato i loro frutti, poiché dal 2007 si assiste a un continuo incremento». In Svizzera tuttavia si registra ancora carenza di personale curante nel settore della salute, ivi comprese le case di cura per anziani, tanto che, dice il recente comunicato, «secondo l’Osservatorio svizzero della salute, nel 2025 il settore sanitario avrà bisogno di 40mila persone in più, il 70 per
cento delle quali nel settore delle cure di lunga durata. (...) Lo scarto è particolarmente ampio tra gli specialisti formati nelle scuole professionali superiori (SUP) e nelle scuole specializzate superiori (SSS), dove i titoli richiesti raggiungono appena il 43 per cento. Tra il 2010 e il 2014, il 40 per cento degli specialisti delle cure neoassunti proveniva dall’estero. Nel complesso, oggi un terzo del personale di cura proviene dall’estero». Questo in risposta anche al rapporto OCSE 2013 nel quale risultava che la Svizzera aveva fatto registrare (nel 2011) il maggior numero di infermieri pro capite a livello internazionale. Quasi il doppio dei dati di Francia e Austria. E sempre secondo lo stesso rapporto, la nostra Nazione disponeva del maggior numero di nuove leve nel settore infermieristico: «Con 78,1 nursing graduates ogni 100mila abitanti supera nettamente il numero di infermieri diplomati austriaci (55,6), francesi (35,5) e tedeschi (27,8)». Dati che sembravano contrastare l’esigenza elvetica di incrementare i professionisti del settore sanitario, a più livelli. Difatti parrebbe legittimo chiedersi come si spiegano le carenze di personale di cura se la Svizzera, nel
confronto internazionale, ha fatto registrare il numero più elevato in assoluto di infermieri pro capite e il quarto valore più elevato per quanto attiene alle nuove leve. Riflessioni e domande per le quali il Consiglio federale aveva già dato risposte nel marzo del 2015, sull’analisi dell’effettivo del personale sanitario secondo l’Osservatorio svizzero della salute (Obsan): «Nel settore sanitario, l’occupazione è caratterizzata dalle seguenti particolarità: una crescita costantemente forte, con una forte domanda di personale specializzato, un’elevata quota di donne e stranieri, e una quota più elevata della media di impieghi a tempo parziale». Inoltre, sempre secondo il comunicato del 9 dicembre scorso, occorre considerare i seguenti nuovi dati: «Per oltre il 90 per cento delle case di cura e per anziani reperire personale è difficile o molto difficile. Le nuove generazioni sono poco inclini a esercitare una professione nel settore delle cure di lunga durata: soltanto un quinto dei giovani operatori socio-sanitari intervistati ravvisa in questo ambito il proprio futuro professionale. Temono infatti che le opportunità di carriera e di apprendimento in questo settore siano basse e rendano praticamente impossibile un
passaggio successivo al comparto delle cure intensive. Inoltre, stando a un’analisi dei dati scaturiti dal rilevamento strutturale sul personale sanitario, il 46 per cento degli specialisti formati nel settore delle cure abbandona la professione». Sono diversi, dunque, i fattori che influiscono sulla carenza di personale di cura specializzato e non è cosa facile rispondere alla domanda in maniera esaustiva, a causa di un ventaglio multifattoriale. A tale proposito tuttavia una strategia ora è stata adottata e prevede due punti essenziali: da una parte la necessità di attirare personale con una campagna d’immagine e un programma di reinserimento professionale ; e dall’altra quella di migliorare l’ambiente di lavoro e aumentare la durata di permanenza nella professione. Per quel che concerne il primo punto, «sotto la guida della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) nel 2018 la Confederazione e le organizzazioni del mondo del lavoro lanceranno una campagna» mirata allo scopo di «incoraggiare i futuri professionisti del settore sanitario a seguire una formazione in cure di lunga durata, informarli sulle opportunità di carriera e sfatare i pre-
concetti». Inoltre, «Il Consiglio federale ha incaricato la SEFRI di sostenere finanziariamente i programmi cantonali che promuovono il reinserimento professionale» in questo tipo di cure. «La Confederazione e i Cantoni, assumendosi congiuntamente i costi dei corsi di reinserimento nel periodo 2018–2022, puntano a convincere 2000 specialisti socio-sanitari a “rientrare” nel settore». In quanto all’ambiente di lavoro e alla durata di permanenza nella professione «su richiesta del Consiglio federale, l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) studierà in che modo l’ambiente di lavoro incide sulla permanenza (...). Dal 2019, sulla scorta di questi riscontri, scatterà un sostegno finanziario mirato per le aziende del settore che intendono migliorare alcuni fattori centrali del contesto lavorativo». In conclusione, il Consiglio federale vede l’incremento di posti di formazione e tirocinio esistenti come un compito permanente, parallelamente alla creazione di nuovi impieghi. Monitoraggio, applicazione dei risultati e nuove ricerche che studino le dinamiche del settore sono le condizioni perché i cosiddetti «angeli della salute» restino un esercito adeguato professionalmente e numericamente.
Nel mondo vegetale vi è un esercito molto numeroso di piante, che si caratterizzano per un loro evoluto costume di vita: le rampicanti. Hanno bisogno di un sostegno, un appoggio, un tutore per svilupparsi e vivere, che si tratti di un albero, di un pergolato, di un esile stelo d’erba, oppure di un muro. Le rampicanti, senza un supporto al quale affidarsi, non potrebbero vivere. Dal profilo evolutivo, si tratta di un vero successo biologico e comportamentale. In quanto questi vegetali, affetti da evidenti complessi di inferiorità, hanno escogitato e messo in funzione, nel corso di lunghissimi tempi, un meccanismo di compensazione che consente loro di cavarsela molto bene nella vita. Dalla maestosa edera (foto 1-3) detta strozza-bosco – che può ricoprire fino a trenta metri d’altezza i vetusti muri di un maniero in Scozia, e vivere durante centinaia di anni – all’umile convolvolo che, strisciante modestamente al suolo, tenta di arrampicarsi per qualche decimetro, spiraleggiando intorno a uno stelo d’erba, passando al glicine (Wisteria sinensis), ridondante di fiori profumati, che può ricoprire fino a quindici metri un pergolato. Nella permanente penombra sotto il fogliame, l’intricato e complesso mondo delle liane è uno degli aspetti più clamorosi della vita vegetale in permanente lotta nella foresta tropicale: dalla Nuova Guinea all’Amazzonia, attraverso l’Africa. Le liane nascono piccole, e hanno un compito molto difficile da assolvere per superare la concorrenza dei vicini e raggiungeViluppi di convolvolo su uno stelo d’erba. (Alessandro Focarile)
Dal profilo evolutivo, una rampicante è il risultato di un vero successo biologico. (Lynn Greyling)
re la luce, magari a 50 metri di altezza sopra la volta della foresta. Esse, prima di raggiungere l’ottenimento di questo bene vitale, dovrebbero impiegare anni con un enorme dispendio energetico per poter produrre un loro tronco indipendente, a portata di luce. Ma c’è anche un’altra soluzione attraverso la via più breve, ossia quella scelta dalla rampicante. La quale, essendo una scansafatiche (Mancuso e Viola 2015), prenderà una scorciatoia verso l’alto, aggrappandosi a un tronco già pronto per arrivare in molto meno tempo in alto. Raggiungerà il bene essenziale che consentirà la fotosintesi, grazie alla quale i vegetali superiori trasformano l’energia solare in energia chimica, producendo amido che si evolverà in zucchero. Piante rampicanti. Sono quelle con un fusto che si avvolge a spirale ai fusti di altre piante vicine, aderendovi con appositi organi di attacco. Sono i cirri dei piselli e dei fagioli, i viticci (o vinchi) della vite e della clematide, le ventose della vite del Canada. Radici aggrappanti che spuntano dal fusto e raggiungono la pianta-supporto che, nel caso dell’edera su un muro può raggiungere notevoli altezze, grazie a un movimento avvolgente e continuo. Tra i vegetali, l’edera è un vero «fossile vivente». Reminiscenza di antichissime flore forestali, è rappresentata in epoca attuale soltanto da quattro specie a livello mondiale. Inattaccabile
dagli erbivori in quanto contiene in tutte le sue componenti (foglie, bacche e legno) un alcaloide: l’ederina. Tale sostanza è ignorata dagli insetti, salvo che da un minuscolo coleottero (2 millimetri), il quale ha saputo superare questa barriera chimica: il Kissophagus hederae, ovvero il bostrico dell’edera. L’edera è diffusa di tordi e merli ghiotti delle sue bacche, ha un areale europeo molto vasto: dalle Isole Canarie al Caucaso (assente in Russia). La pianta ha elaborato un sofisticato apparato di ancoraggio formato da diffuse e minuscole radici subaeree, dette austori (foto). Esse permettono a questa liana di arrampicarsi anche sui tronchi di molte specie di alberi (alcuni, come i platani, ne sono immuni): raggiunge notevoli altezze e provoca alla fine la morte del supporto per soffocamento. Anche nel cantone Ticino si possono osservare alberi completamente soffocati da una esuberante proliferazione fogliare della liana. Le sue foglie sono sempreverdi, lucenti, spesse e coriacee. Quelle dei rami fertili, che portano fiori e frutti, sono ovali, acuminate, e non lobate. La nostra rampicante è molto longeva: si conoscono piante di età superiore ai quattro secoli. Fin dai tempi più antichi, l’edera era conosciuta in Egitto e considerata simbolo di Osiride, il Dio più importante, in quanto sintetizzava gli aspetti più originali della religione e della Radicelle modificate (austori). (Alessandro Focarile)
cultura egiziane. Inoltre, insieme con la vite era l’emblema di Dionisio, dei poeti e dell’immortalità. Dioscoride, il fondatore della farmacopea, descrisse duemila anni or sono le proprietà medicinali di oltre seicento specie vegetali allora note, e conosceva già la tossicità dell’edera, soprattutto delle sue bacche. Ma l’edera non è l’unico interessante caso di rampicante da esaminare. Il kiwi (Actinidia) originario della Nuova Zelanda ma ormai ampiamente coltivato anche con i climi temperati europei, non solo produce frutti squisiti, ma anche un groviglio di fusti che si intrecciano tra loro e insidiano le piante vicine, in una permanente competizione. La cuscuta è una singolare pianta erbacea rampicante e priva di clorofilla. Ha filamenti sinuosi, fusti avvolgenti il vegetale aggredito. Questo insieme si presenta come fitti intrecci intorno alla pianta ospite, alla quale aderiscono per trarne il suo nutrimento. È parassita di molti vegetali erbacei anche coltivati, ai quali può arrecare gravi danni. Ha foglie ridotte a piccole scaglie, e fiori biancastri altrettanto piccoli. Ne sono conosciute ben 170 specie diffuse nelle regioni temperate e tropicali, cinque delle quali in Svizzera. Con prepotenza, la cuscuta intreccia le sue spire intorno al supporto fino a strozzarlo. Supporto che può essere un pisello oppure un fagiolo. Un elaborato e sofisticato meccanismo, formato da minuscole ventose assorbenti, si installa sulla pianta ospite e ne succhia la linfa. Questa non è in grado di elaborare strumenti chimici di difesa, efficacemente validi. Nel grandioso bilancio della Natura, le cui leggi sono spesso incomprensibili per noi umani, questo è l’esito finale del parassitismo: la cuscuta muore insieme con la sua vittima ormai priva di linfa. Ma prima è abbondantemente rosicchiata da un minuscolo coleottero monòfago: lo Smicronyx jungermanniae (2 millimetri). In quanto anche nella Natura vige la «legge del taglione».
La descrizione del fenomeno delle rampicanti consente di proporre alcune constatazioni: 1. Lo sviluppo a spirale intorno al supporto è l’unico che consenta una progressione verso l’alto, verso la luce; 2. L’appoggio si può perfezionare grazie alla formazione e alla messa in opera di organi di ancoraggio, che hanno tutte le caratteristiche morfologiche di radici avventizie (foto); 3. Nell’edera, queste radici, oltreché di ancoraggio, hanno anche la funzione di assorbire fluidi, qualora l’edera stessa usufruisca di un vegetale; 4. Nella cuscuta, il meccanismo è più complesso in quanto il parassita, per finale mancanza di nutrimento, causa la sua stessa morte. Le rampicanti sono presenti ovunque. L’edera abbisogna di ambienti forestali freschi per svilupparsi durante tempi centenari. Cuscute, convolvoli e clematidi amano gli ambienti aperti e soleggiati. In quanto ai glicini, alle passiflora, e ai kiwi, queste vigorose rampicanti di esotica provenienza (Nuova Zelanda, Asia orientale, Sud-America) sono state importate in Europa per scopi ornamentali e commerciali, e raramente sono in grado di inselvatichire. Da quanto abbiamo narrato, è lecito affermare che molte piante possiedono anche il senso del tatto, che si esplicita con modalità razionali e quindi ottimali. Bibliografia
Mario Ferrari & Danilo Medici, Alberi e arbusti in Italia, Edagricole (Bologna), 1998, 987 pp. Stefano Mancuso & Alessandra Viola, Verde brillante, Giunti editore (Firenze-Milano), 2015, 142 pp. Roger Phillips & Martyn Rix, Arbustes, La Maison Rustique (Paris), 1990, 287 pp. Severino Viola, Piante medicinali e velenose della flora italiana, Edizioni artistiche Maestretti (Milano), 1975, 270 pp. Frits W. Went, Les Plantes, Life (New York), 1968, 193 pp.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Ambiente e Benessere Edera, kiwi e cuscuta L’incredibile evoluzione di piante che si sono fatte furbe: parliamo delle rampicanti pagina 9
Le foglie che pensano Intervista al neurobiologo vegetale Stefano Mancuso che ci spiega l’intelligenza degli alberi
L’avventura delle piante rampicanti
Sciare sui vulcani non è per tutti Mentre l’industria turistica propone esperienze sempre più estreme, i viaggiatori esperti cercano stimoli in avventure a misura d’uomo
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Botanica Chi si arrampica, chi intreccia e chi strozza
Alessandro Focarile
Angeli della salute cercansi
Il settore delle cure va sostenuto per garantirgli ricambio e vitalità. (Keystone)
Formazione Nuove strategie a livello federale intendono attrarre professionisti nel settore sanitario
perché entro il 2025 serviranno 40mila curanti in più Maria Grazia Buletti «Attirare più specialisti nel settore delle cure di lunga durata e prolungare la loro permanenza nella professione»: è questo l’intento del Consiglio federale che, in un comunicato dello scorso 9 dicembre, ha dichiarato di sostenere finanziariamente «i corsi per il reinserimento professionale e il miglioramento effettivo dell’ambiente di lavoro». Tale presa di posizione si basa sul rapporto conclusivo del «Masterplan formazioni professionali sanitarie» ed è parte dell’Iniziativa sul personale qualificato (IPQ) per valorizzare meglio il potenziale indigeno. Stando al rapporto, stilato dal Consiglio federale nel gennaio 2016, i risultati sono positivi: «Le misure per aumentare il numero di titoli professionali nel settore sanitario conseguiti a livello nazionale hanno (già) dato i loro frutti, poiché dal 2007 si assiste a un continuo incremento». In Svizzera tuttavia si registra ancora carenza di personale curante nel settore della salute, ivi comprese le case di cura per anziani, tanto che, dice il recente comunicato, «secondo l’Osservatorio svizzero della salute, nel 2025 il settore sanitario avrà bisogno di 40mila persone in più, il 70 per
cento delle quali nel settore delle cure di lunga durata. (...) Lo scarto è particolarmente ampio tra gli specialisti formati nelle scuole professionali superiori (SUP) e nelle scuole specializzate superiori (SSS), dove i titoli richiesti raggiungono appena il 43 per cento. Tra il 2010 e il 2014, il 40 per cento degli specialisti delle cure neoassunti proveniva dall’estero. Nel complesso, oggi un terzo del personale di cura proviene dall’estero». Questo in risposta anche al rapporto OCSE 2013 nel quale risultava che la Svizzera aveva fatto registrare (nel 2011) il maggior numero di infermieri pro capite a livello internazionale. Quasi il doppio dei dati di Francia e Austria. E sempre secondo lo stesso rapporto, la nostra Nazione disponeva del maggior numero di nuove leve nel settore infermieristico: «Con 78,1 nursing graduates ogni 100mila abitanti supera nettamente il numero di infermieri diplomati austriaci (55,6), francesi (35,5) e tedeschi (27,8)». Dati che sembravano contrastare l’esigenza elvetica di incrementare i professionisti del settore sanitario, a più livelli. Difatti parrebbe legittimo chiedersi come si spiegano le carenze di personale di cura se la Svizzera, nel
confronto internazionale, ha fatto registrare il numero più elevato in assoluto di infermieri pro capite e il quarto valore più elevato per quanto attiene alle nuove leve. Riflessioni e domande per le quali il Consiglio federale aveva già dato risposte nel marzo del 2015, sull’analisi dell’effettivo del personale sanitario secondo l’Osservatorio svizzero della salute (Obsan): «Nel settore sanitario, l’occupazione è caratterizzata dalle seguenti particolarità: una crescita costantemente forte, con una forte domanda di personale specializzato, un’elevata quota di donne e stranieri, e una quota più elevata della media di impieghi a tempo parziale». Inoltre, sempre secondo il comunicato del 9 dicembre scorso, occorre considerare i seguenti nuovi dati: «Per oltre il 90 per cento delle case di cura e per anziani reperire personale è difficile o molto difficile. Le nuove generazioni sono poco inclini a esercitare una professione nel settore delle cure di lunga durata: soltanto un quinto dei giovani operatori socio-sanitari intervistati ravvisa in questo ambito il proprio futuro professionale. Temono infatti che le opportunità di carriera e di apprendimento in questo settore siano basse e rendano praticamente impossibile un
passaggio successivo al comparto delle cure intensive. Inoltre, stando a un’analisi dei dati scaturiti dal rilevamento strutturale sul personale sanitario, il 46 per cento degli specialisti formati nel settore delle cure abbandona la professione». Sono diversi, dunque, i fattori che influiscono sulla carenza di personale di cura specializzato e non è cosa facile rispondere alla domanda in maniera esaustiva, a causa di un ventaglio multifattoriale. A tale proposito tuttavia una strategia ora è stata adottata e prevede due punti essenziali: da una parte la necessità di attirare personale con una campagna d’immagine e un programma di reinserimento professionale ; e dall’altra quella di migliorare l’ambiente di lavoro e aumentare la durata di permanenza nella professione. Per quel che concerne il primo punto, «sotto la guida della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione (SEFRI) nel 2018 la Confederazione e le organizzazioni del mondo del lavoro lanceranno una campagna» mirata allo scopo di «incoraggiare i futuri professionisti del settore sanitario a seguire una formazione in cure di lunga durata, informarli sulle opportunità di carriera e sfatare i pre-
concetti». Inoltre, «Il Consiglio federale ha incaricato la SEFRI di sostenere finanziariamente i programmi cantonali che promuovono il reinserimento professionale» in questo tipo di cure. «La Confederazione e i Cantoni, assumendosi congiuntamente i costi dei corsi di reinserimento nel periodo 2018–2022, puntano a convincere 2000 specialisti socio-sanitari a “rientrare” nel settore». In quanto all’ambiente di lavoro e alla durata di permanenza nella professione «su richiesta del Consiglio federale, l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) studierà in che modo l’ambiente di lavoro incide sulla permanenza (...). Dal 2019, sulla scorta di questi riscontri, scatterà un sostegno finanziario mirato per le aziende del settore che intendono migliorare alcuni fattori centrali del contesto lavorativo». In conclusione, il Consiglio federale vede l’incremento di posti di formazione e tirocinio esistenti come un compito permanente, parallelamente alla creazione di nuovi impieghi. Monitoraggio, applicazione dei risultati e nuove ricerche che studino le dinamiche del settore sono le condizioni perché i cosiddetti «angeli della salute» restino un esercito adeguato professionalmente e numericamente.
Nel mondo vegetale vi è un esercito molto numeroso di piante, che si caratterizzano per un loro evoluto costume di vita: le rampicanti. Hanno bisogno di un sostegno, un appoggio, un tutore per svilupparsi e vivere, che si tratti di un albero, di un pergolato, di un esile stelo d’erba, oppure di un muro. Le rampicanti, senza un supporto al quale affidarsi, non potrebbero vivere. Dal profilo evolutivo, si tratta di un vero successo biologico e comportamentale. In quanto questi vegetali, affetti da evidenti complessi di inferiorità, hanno escogitato e messo in funzione, nel corso di lunghissimi tempi, un meccanismo di compensazione che consente loro di cavarsela molto bene nella vita. Dalla maestosa edera (foto 1-3) detta strozza-bosco – che può ricoprire fino a trenta metri d’altezza i vetusti muri di un maniero in Scozia, e vivere durante centinaia di anni – all’umile convolvolo che, strisciante modestamente al suolo, tenta di arrampicarsi per qualche decimetro, spiraleggiando intorno a uno stelo d’erba, passando al glicine (Wisteria sinensis), ridondante di fiori profumati, che può ricoprire fino a quindici metri un pergolato. Nella permanente penombra sotto il fogliame, l’intricato e complesso mondo delle liane è uno degli aspetti più clamorosi della vita vegetale in permanente lotta nella foresta tropicale: dalla Nuova Guinea all’Amazzonia, attraverso l’Africa. Le liane nascono piccole, e hanno un compito molto difficile da assolvere per superare la concorrenza dei vicini e raggiungeViluppi di convolvolo su uno stelo d’erba. (Alessandro Focarile)
Dal profilo evolutivo, una rampicante è il risultato di un vero successo biologico. (Lynn Greyling)
re la luce, magari a 50 metri di altezza sopra la volta della foresta. Esse, prima di raggiungere l’ottenimento di questo bene vitale, dovrebbero impiegare anni con un enorme dispendio energetico per poter produrre un loro tronco indipendente, a portata di luce. Ma c’è anche un’altra soluzione attraverso la via più breve, ossia quella scelta dalla rampicante. La quale, essendo una scansafatiche (Mancuso e Viola 2015), prenderà una scorciatoia verso l’alto, aggrappandosi a un tronco già pronto per arrivare in molto meno tempo in alto. Raggiungerà il bene essenziale che consentirà la fotosintesi, grazie alla quale i vegetali superiori trasformano l’energia solare in energia chimica, producendo amido che si evolverà in zucchero. Piante rampicanti. Sono quelle con un fusto che si avvolge a spirale ai fusti di altre piante vicine, aderendovi con appositi organi di attacco. Sono i cirri dei piselli e dei fagioli, i viticci (o vinchi) della vite e della clematide, le ventose della vite del Canada. Radici aggrappanti che spuntano dal fusto e raggiungono la pianta-supporto che, nel caso dell’edera su un muro può raggiungere notevoli altezze, grazie a un movimento avvolgente e continuo. Tra i vegetali, l’edera è un vero «fossile vivente». Reminiscenza di antichissime flore forestali, è rappresentata in epoca attuale soltanto da quattro specie a livello mondiale. Inattaccabile
dagli erbivori in quanto contiene in tutte le sue componenti (foglie, bacche e legno) un alcaloide: l’ederina. Tale sostanza è ignorata dagli insetti, salvo che da un minuscolo coleottero (2 millimetri), il quale ha saputo superare questa barriera chimica: il Kissophagus hederae, ovvero il bostrico dell’edera. L’edera è diffusa di tordi e merli ghiotti delle sue bacche, ha un areale europeo molto vasto: dalle Isole Canarie al Caucaso (assente in Russia). La pianta ha elaborato un sofisticato apparato di ancoraggio formato da diffuse e minuscole radici subaeree, dette austori (foto). Esse permettono a questa liana di arrampicarsi anche sui tronchi di molte specie di alberi (alcuni, come i platani, ne sono immuni): raggiunge notevoli altezze e provoca alla fine la morte del supporto per soffocamento. Anche nel cantone Ticino si possono osservare alberi completamente soffocati da una esuberante proliferazione fogliare della liana. Le sue foglie sono sempreverdi, lucenti, spesse e coriacee. Quelle dei rami fertili, che portano fiori e frutti, sono ovali, acuminate, e non lobate. La nostra rampicante è molto longeva: si conoscono piante di età superiore ai quattro secoli. Fin dai tempi più antichi, l’edera era conosciuta in Egitto e considerata simbolo di Osiride, il Dio più importante, in quanto sintetizzava gli aspetti più originali della religione e della Radicelle modificate (austori). (Alessandro Focarile)
cultura egiziane. Inoltre, insieme con la vite era l’emblema di Dionisio, dei poeti e dell’immortalità. Dioscoride, il fondatore della farmacopea, descrisse duemila anni or sono le proprietà medicinali di oltre seicento specie vegetali allora note, e conosceva già la tossicità dell’edera, soprattutto delle sue bacche. Ma l’edera non è l’unico interessante caso di rampicante da esaminare. Il kiwi (Actinidia) originario della Nuova Zelanda ma ormai ampiamente coltivato anche con i climi temperati europei, non solo produce frutti squisiti, ma anche un groviglio di fusti che si intrecciano tra loro e insidiano le piante vicine, in una permanente competizione. La cuscuta è una singolare pianta erbacea rampicante e priva di clorofilla. Ha filamenti sinuosi, fusti avvolgenti il vegetale aggredito. Questo insieme si presenta come fitti intrecci intorno alla pianta ospite, alla quale aderiscono per trarne il suo nutrimento. È parassita di molti vegetali erbacei anche coltivati, ai quali può arrecare gravi danni. Ha foglie ridotte a piccole scaglie, e fiori biancastri altrettanto piccoli. Ne sono conosciute ben 170 specie diffuse nelle regioni temperate e tropicali, cinque delle quali in Svizzera. Con prepotenza, la cuscuta intreccia le sue spire intorno al supporto fino a strozzarlo. Supporto che può essere un pisello oppure un fagiolo. Un elaborato e sofisticato meccanismo, formato da minuscole ventose assorbenti, si installa sulla pianta ospite e ne succhia la linfa. Questa non è in grado di elaborare strumenti chimici di difesa, efficacemente validi. Nel grandioso bilancio della Natura, le cui leggi sono spesso incomprensibili per noi umani, questo è l’esito finale del parassitismo: la cuscuta muore insieme con la sua vittima ormai priva di linfa. Ma prima è abbondantemente rosicchiata da un minuscolo coleottero monòfago: lo Smicronyx jungermanniae (2 millimetri). In quanto anche nella Natura vige la «legge del taglione».
La descrizione del fenomeno delle rampicanti consente di proporre alcune constatazioni: 1. Lo sviluppo a spirale intorno al supporto è l’unico che consenta una progressione verso l’alto, verso la luce; 2. L’appoggio si può perfezionare grazie alla formazione e alla messa in opera di organi di ancoraggio, che hanno tutte le caratteristiche morfologiche di radici avventizie (foto); 3. Nell’edera, queste radici, oltreché di ancoraggio, hanno anche la funzione di assorbire fluidi, qualora l’edera stessa usufruisca di un vegetale; 4. Nella cuscuta, il meccanismo è più complesso in quanto il parassita, per finale mancanza di nutrimento, causa la sua stessa morte. Le rampicanti sono presenti ovunque. L’edera abbisogna di ambienti forestali freschi per svilupparsi durante tempi centenari. Cuscute, convolvoli e clematidi amano gli ambienti aperti e soleggiati. In quanto ai glicini, alle passiflora, e ai kiwi, queste vigorose rampicanti di esotica provenienza (Nuova Zelanda, Asia orientale, Sud-America) sono state importate in Europa per scopi ornamentali e commerciali, e raramente sono in grado di inselvatichire. Da quanto abbiamo narrato, è lecito affermare che molte piante possiedono anche il senso del tatto, che si esplicita con modalità razionali e quindi ottimali. Bibliografia
Mario Ferrari & Danilo Medici, Alberi e arbusti in Italia, Edagricole (Bologna), 1998, 987 pp. Stefano Mancuso & Alessandra Viola, Verde brillante, Giunti editore (Firenze-Milano), 2015, 142 pp. Roger Phillips & Martyn Rix, Arbustes, La Maison Rustique (Paris), 1990, 287 pp. Severino Viola, Piante medicinali e velenose della flora italiana, Edizioni artistiche Maestretti (Milano), 1975, 270 pp. Frits W. Went, Les Plantes, Life (New York), 1968, 193 pp.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Ambiente e Benessere
Le piante? Sono intelligenti, estremamente
Intervista Il neurobiologo Stefano Mancuso ci spiega che i vegetali sono più complessi di quel che pensiamo
Capitano occasioni in cui il concetto di fuori tema perde quella sua connotazione scolastica, negativa. Si prova quasi sollievo pensando che, per una volta, divagare sarà del tutto lecito. Così è capitato di recente durante il convegno organizzato a Lugano dall’Associazione Fare Arte nel Nostro Tempo, che organizza giornate di riflessione su temi di volta in volta diversi, coinvolgendo specialisti di vari ambiti del sapere, pur mantenendo le arti visive come filo conduttore. Il giardino è stato l’argomento cardine per questo incontro e numerosi sono stati i relatori, per lo più di ambito umanistico. Ma chi studia questo spazio, in bilico fra naturale e artificiale, sa bene come il giardino sia luogo dai mille rimandi e dalle mille sfaccettature, tanto che diventa necessario fare capo a molte discipline per raccontarne tutti gli aspetti. Se l’intervento di Franco Cardini ha ripercorso la storia del giardino dall’antichità al Medioevo e l’artista Daniel Buren ha illustrato le molte occasioni in cui si è trovato a concepire le sue installazioni in legame con la natura, di grande interesse è stato anche un détour in ambito strettamente scientifico del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso. Oltre alla sua attività di ricerca svolta fra la Toscana e il Giappone, Mancuso si impegna in numerosi progetti fuori tema, nella convinzione che l’arte sia uno strumento formidabile per la diffusione delle più innovative scoperte dalla scienza. Di seguito, alcune domande a cui il neurobiologo ha risposto.
Cucina di Stagione La ricetta della settimana
Cos’è la neurobiologia vegetale?
Si tratta di una nuova disciplina scientifica molto recente, nata nel 2005. Ha alla base lo studio delle piante in quanto esseri dotati di capacità cognitive, perciò utilizza le tecniche tipiche delle neuroscienze per studiare ciò che avviene in esse. Seppure le piante non abbiano alcun sistema nervoso, ne hanno però una serie di analoghi: non hanno organi singoli, quindi né cervello, né nervi, ma tutte le cellule del loro corpo si comportano in maniera molto simile ai neuroni del nostro cervello. Per capirci, i neuroni hanno una caratteristica unica: produrre e trasportare nel corpo impulsi elettrici. Nel corpo degli animali solo i neuroni e poche altre cellule sono in grado di fare questo, mentre nelle piante ogni cellula svolge questo ruolo. Possiamo quindi parlare di una forma di intelligenza delle piante?
La questione dell’intelligenza riguarda innanzitutto la definizione che ne diamo. Se chiedessimo a cento ricercatori, ognuno avrebbe una definizione diversa. La più divertente sostiene che l’intelligenza sia una questione variabile a seconda della persona a cui chiedi di definirla. La definizione che però viene più ampiamente accettata la descrive come la capacità di risolvere problemi. Se accettiamo questa spiegazione, allora le piante sono estremamente intelligenti, nel senso che sono in grado di risolvere problemi anche molto complessi.
Non sembra semplice capire questa forma di intelligenza.
Ogni comportamento delle piante è molto difficile da capire per noi, perché esse sono organismi talmente diversi
(Pexels-photo)
Ada Cattaneo
dagli animali da essere veri e propri alieni. Potrebbero provenire da un altro pianeta e sfidare allo stesso modo la nostra capacità di comprensione. Non le capiamo perché sono completamente diverse da noi animali, pur avendo dei comportamenti simili ai nostri.
Quale utilità può avere la neurobiologia vegetale per noi?
Per prima cosa, esiste un’utilità generale delle piante per sviluppare le nostre tecnologie. Mi spiego: noi siamo animali e quindi siamo costruiti con un centro di comando che dice agli organi cosa fare. Su questo modello ancestrale noi costruiamo tutto, anche gli strumenti che riteniamo più moderni. Un computer, esempio di modernità, è un analogo sintetico del nostro corpo: il processore come cervello, la scheda audio, la scheda video, la memoria. Tendiamo a replicare
Ingredienti per uno stampo da cake di circa 25 cm (circa 20 fette): 400 g di farina · 1 cucchiaino di sale, circa 8 g · 1 cucchiaio di zucchero · 15 g di lievito fresco · 3 dl d’acqua, tiepida · 2 cucchiai d’olio d’oliva · 150 g di gherigli di noce · 1 dl d’olio d’oliva · 1 spicchio d’aglio · 1 cucchiaino di miele · 10 g di funghi porcini secchi · farina per spianare la pasta.
L’abbonamento annuale a Cucina di Stagione, 12 numeri, costa solo 39.– franchi.
Lei si impegna molto per portare queste conoscenze in ambito umanistico.
Ritengo che il compito di uno scienziato non si limiti a fare scoperte: la storia della scienza è piena di scoperte importanti rimaste ignorate. Io penso che si debbano avere delle idee e fare sì che vengano accettate. Sappiamo bene
Cake salato alle noci Dessert
Un esemplare gratuito si può richiedere a: telefono 0848 877 869* fax 062 724 35 71 www.saison.ch * tariffa normale
ciò che siamo: lo riteniamo lo schema migliore, ma non è l’unico e neanche il più efficiente. Allora le piante sono una miniera straordinaria di informazioni cui ispirarsi. La consapevolezza che le piante siano molto complesse comincia a farsi strada e così anche le prime applicazioni pratiche di questo nuovo sapere. Oggi studiando le piante si cominciano a riprodurre le loro capacità in maniera sintetica, tecnologica, quindi applicando un modello diverso.
1. Mescolate la farina con il sale e lo zucchero in una scodella e formate al centro un incavo. Sciogliete il lievito nell’acqua e versatelo nell’incavo. Aggiungete l’olio e impastate gli ingredienti fino a ottenere una massa morbida e omogenea. Copritela e fatela lievitare del doppio in un luogo caldo per circa un’ora. 2. Rosolate le noci in poco olio. Unite lo spicchio d’aglio schiacciato, il miele e mescolate bene. Fate raffreddare le noci e tritatele non troppo fini. Macinate finemente i funghi nel tritatutto. e mescolate il tutto. 3. Scaldate il forno a 180 °C. Foderate lo stampo con carta da forno. Stendete la pasta formando un rettangolo di circa 3 mm di spessore, con un lato lungo circa 24 cm. Coprite il fondo dello stampo con parte del rettangolo di pasta. Spalmate sopra un po’ di noci e olio. Procedete ripiegando a serpentina la pasta, cospargendo di volta in volta gli strati di pasta con noci e olio. Infornate per circa 40 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare il cake. Preparazione: circa 30 minuti + lievitazione circa 60 minuti + cottura in forno circa 40 minuti. Per persona: circa 4 g di proteine, 11 g di grassi, 7 g di carboidrati, 750 kJ/180
kcal.
come oggi sia importante l’aspetto narrativo, quindi tutto ciò che può veicolare le nuove informazioni è benvenuto, dai libri di divulgazione ai concerti, dal teatro alle opere di arte contemporanea. Sta succedendo in un progetto per la città di Firenze con l’artista Carsten Höller, con cui abbiamo molto in comune: lui è arrivato all’arte partendo dalla scienza (ndr: Höller si è laureato in agraria, per poi svolgere ricerche nell’ambito dell’entomologia; le sue opere sono spesso basate su processi scientifici) e io ritengo che l’arte sia uno strumento incredibilmente potente di amplificazione delle scoperte scientifiche. Nel mio caso si tratta di rendere più consapevoli le persone su cosa siano veramente le piante, perché se capiamo che esse sono esseri viventi così sofisticati, cominceremo a trattarle in maniera più rispettosa. E ciò è fondamentale per la sopravvivenza dell’uomo, poiché la nostra vita è perfettamente dipendente dalla vita delle piante. Da questo punto di vista la Svizzera ha una tradizione straordinaria essendo stata la prima e unica nazione a elaborare il concetto di dignità delle piante: qui venne organizzata a livello governativo una commissione di esperti per elaborare il concetto di dignità degli esseri viventi arrivando, fra le altre cose, alla conclusione che le piante, essendo esseri viventi sofisticati, avevano anch’esse la propria dignità. In collaborazione con
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Ambiente e Benessere
Scivolando nel 2017
Viaggiatori d’Occidente Anche gli sport invernali riflettono le nuove tendenze del turismo
Bussole Inviti a
letture per viaggiare
Claudio Visentin Quest’anno, quando racconterete di aver sciato nelle prestigiose stazioni svizzere, rischiate di ricevere in risposta solo un sorriso di sufficienza. Infatti se il cambiamento climatico ha messo sotto pressione molte località di sport invernali, in compenso sembra aver risvegliato la fantasia dei praticanti.
Perché? Perché spingersi tanto oltre? Perché non ci basta mai quel che abbiamo a portata di mano? Per esempio si può sciare su un vulcano attivo, l’Etna, in Sicilia. E i più coraggiosi scendono anche d’estate, evitando le rocce laviche affioranti lasciate dalle ultime eruzioni. Ma si scia anche ai tropici, nelle assolate isole Hawaii, passando dal costume da bagno alla tuta da sci nello stesso giorno; anche qui su un vulcano (ma questa volta dormiente), il Mauna Kea, alto più di quattromila metri. In gennaio e febbraio il Mauna Kea si copre di un manto bianco, con una neve fine e polverosa, assai apprezzata. Nessun impianto di risalita (si arriva in cima con un fuoristrada, guidando a turno) ma ben cento miglia quadrate di campi innevati a disposizione. Chi crederebbe poi che si possano praticare gli sport invernali nell’Africa subsahariana? Eppure in Lesotho, il piccolo Paese interamente circondato dal Sudafrica, Afri-Ski è aperto per tutta estate, sui monti Maluti, a oltre tremila metri d’altezza. Fin qui si tratta di curiosità geografiche, ma pur sempre di possibilità offerte dalla natura. A Dubai invece si scia nel deserto sotto la gigantesca cupola di Ski Dubai, una sorta di smisurato frigorifero con tanto di pinguini veri, anche quando la temperatura esterna tocca i quaranta gradi. Un’autentica stravaganza e soprattutto un vero insulto al cambiamento climatico e alle preoccupazioni ecologiche del resto del mondo. Meglio allora il progetto danese di creare una pista da sci lunga 440 metri, con quattro livelli di difficoltà, sopra un inceneritore di Copenhagen, dove i rifiuti vengono trasformati in energia. L’apertura è programmata per il 2017, c’è tempo per abituarsi all’eventuale cattivo odore… Anche l’industria turistica è sempre alla ricerca di nuove proposte per i suoi annoiati clienti. E l’ultima moda nelle vacanze invernali è senza dubbio
Carnet della foresta pluviale
«Da bambino volevo essere un Aye-aye [un primate nativo del Madagascar]. E siccome l’enciclopedia a dispense “Natura Viva” cominciava, prolissamente sistematica, con i primati e la lettera A, quello fu il primo animale che rivestii di sapere zoologico. Fu anche il primo nome scientifico mandato a memoria: Daubentonia madagascariensis. Insieme al nome, anche un luogo, un’isola lunare e stravagante entrò nella mia geografia personale. A distanza di anni il Madagascar mi ha nuovamente chiamato…».
Il centro Ski di Dubai. (Frank Seiplax)
il Polo Sud: «Perché dovreste sciare in Antartide», spiega l’articolo di una patinata rivista internazionale di viaggi. Anche qui niente ski lift naturalmente, né resort a cinque stelle; già solo arrivarci è piuttosto complicato tra aereo, auto, nave, barca e svariati altri mezzi di trasporto. Inevitabilmente è anche assai costoso, fino a venticinquemila dollari per i soggiorni più lunghi in piccoli gruppi di soli cinque ospiti su uno yacht privato. In compenso il paesaggio è straordinario, tra foche e pinguini, con le balene sullo sfondo. Si parte da Ushuaia, in Argentina, la città più meridionale del mondo, unendosi con gli sci in spalla a una crociera in Antartide. Molti guardano con giustificata preoccupazione questa crescente presenza umana in ecosistemi fragili e al tempo stesso pericolosi per l’uomo, in quanto lontani e poco attrezzati in caso di emergenza. Nella stessa direzione, qualche mese fa («Azione» 34 del 22 agosto), abbiamo raccontato della prima crociera attraverso il leggendario Passaggio di nord-ovest, lungo la costa settentrionale del Canada, nel Mar
glaciale artico. In quel caso tutto è andato secondo i programmi, ma chi può garantire per il futuro? E ogni impresa riuscita ha solo l’effetto di incoraggiare nuovi tentativi… Perché? Perché spingersi tanto oltre? Perché non ci basta mai quel che abbiamo a portata di mano? Perché non sappiamo fermarci? Certo c’è il fascino di regioni appena toccate dall’uomo, l’eterna molla dei viaggi. E poco importa se lo stesso turismo, nel realizzare questo sogno, strapperà quei luoghi alla loro condizione originaria. Va messa in conto anche la ricerca di nuove destinazioni avvertite come sicure dopo che il terrorismo internazionale ha cambiato radicalmente la geografia del turismo. Meno confessabile ma altrettanto importante è poi il cosiddetto bragging, ovvero il desiderio di compiere esperienze che una volta condivise sui social possano suscitare l’invidia di amici e conoscenti, accrescendo il nostro prestigio: «Hai fatto Eliski? Sai, io invece sono stato in Antartide…». Si nota un curioso paradosso: mentre l’industria turistica spin-
ge sempre più avanti i suoi limiti, i viaggiatori più esperti si muovono in direzione ostinata e contraria. Più vicino, più lento, più intenso, più profondo sembra essere il nuovo mantra. Lo sguardo allenato da una lunga esperienza permette di cogliere l’esotico alle porte di casa, come cantava Celentano in una canzone di qualche anno fa, Azzurro: «Cerco un po’ d’Africa in giardino, tra l’oleandro e il baobab»… Per esempio il 2016, Anno dei cammini in Italia, ha tratto il viaggio a piedi dalla sua confortevole nicchia e ne ha fatto una proposta per tutti: basti pensare al Touring Club Italiano, che ha puntato soprattutto sulla valorizzazione della Via Francigena. Restringendo lo spazio ed espandendo il tempo si cambiano le regole del gioco: una profonda meraviglia prende il posto dello stupore superficiale provocato dalle continue novità. E proprio questa dissonanza, una delle tante, forse troppe del nostro tempo, potrebbe essere il filo conduttore del 2017, considerato dal punto di vista dei viaggi.
Conosciamo già questa storia meravigliosa, raccontata in anteprima per i lettori di «Azione» in due colorati reportage («Azione», numeri 3 e 7 del 2014). Un’esperienza d’altri tempi, di prima della fotografia, quando le spedizioni scientifiche avevano al seguito dei pittori, per raccontare con l’acquerello le nuove specie di animali e le varietà di piante mai vedute prima. L’emozione della scoperta è ancora possibile nella foresta di Betampona, nell’entroterra tropicale del Madagascar centro-orientale, una riserva naturale integrale dove solo pochi studiosi selezionati possono accedere ogni anno. Infatti anche in occasione di questa spedizione si registrarono molte scoperte. E tuttavia questa avventura – testimoniata dal taccuino fedelmente riprodotto nel curatissimo volume – è stata soprattutto occasione per un viaggio a ritroso nel tempo, sino alle foreste immaginate, sognate (e disegnate!) nell’infanzia, con palme e liane, serpenti e uccelli tropicali, e naturalmente una tigre. Gli incontri con piante e animali, guide aborigene e scienziati sono eventi quanto mai concreti e al tempo stesso occasioni per riflettere su categorie come naturale e sovrannaturale, animale e umano, scienza e immaginazione: l’uomo si scopre e si conosce nella foresta primigenia. Bibliografia
Stefano Faravelli, Verde stupore. Madagascar. Carnet della foresta pluviale, EDT, 2016, pp.110, € 32. Annuncio pubblicitario
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Idee e acquisti per la settimana A Tavola
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Politica e Economia Aleppo riconquistata Lo annuncia un trionfale Assad incurante degli orrori che non sono stati risparmiati alla città e dei 30 mila sfollati
La guerra dei soldi in Venezuela Maduro ritira dalla circolazione le banconote da 100 bolivares, che rappresentano il 48% del denaro contante. La gente non sa più come pagare e prende d’assalto i supermercati pagina 19
Una soluzione in extremis A pochi mesi dalla scadenza fissata nell’iniziativa del 9 febbraio 2014, le Camere federali approvano la legge d’applicazione per l’articolo 121 a della Costituzione pagina 21
(AFP)
pagina 18
Russia-Turchia, intesa d’interesse Ambasciatore russo ucciso ad Ankara Se l’obiettivo del delitto (da parte di Gulen o altri) era quello di spezzare
l’amicizia tattica tra Erdogan e Putin, la missione non è stata raggiunta. Anzi, ha rinsaldato la gestione della crisi Lucio Caracciolo L’assassinio di un ambasciatore è sempre un atto gravissimo, talvolta fatale, nelle relazioni internazionali. Certo se due secoli fa il messo di San Pietroburgo presso la Sublime Porta fosse stato freddato da un giovane giannizzero, ne sarebbe probabilmente scaturita la guerra. E il caso vuole che mentre il ventiduenne Mevlut Mert Altintas freddava l’ambasciatore russo ad Ankara, Andrej Karlov, il presidente Putin stesse per assistere a una rappresentazione teatrale dedicata alla figura di Aleksandr Griboedov, inviato dello zar a Teheran, ucciso nel 1829. Ma questa volta non solo niente guerra, né calda né fredda e nemmeno diplomatica, ma anzi immediato rinsaldamento dell’intesa tattica che da qualche mese Russia e Turchia hanno saputo allestire, nonostante una storia plurisecolare di frizioni e conflitti e l’appartenenza a due schieramenti geopolitici assai diversi. Il freddo calcolo dell’interesse nazionale, che in questa fase porta Erdo-
gan e Putin (foto) a procedere affiancati, ha finora prevalso sulla reazione automatica che in genere provoca un fatto del genere. Anche perché la convinzione di entrambi è che a muovere la mano dell’attentatore sia stata la Cia, che si dedica sia alla destabilizzazione della Turchia che ad intralciare il cammino della Russia, specie dopo le rivelazioni sulla presunta interferenza di Mosca nel voto presidenziale americano. Più precisamente, Erdogan e gran parte dell’opinione pubblica turca vede nell’assassinio un tassello del mosaico di infiltrazione e sabotaggio delle istituzioni turche concepito dall’imam Gulen, in esilio in Pennsylvania. La stessa eminenza grigia che avrebbe architettato il fallito colpo di Stato estivo contro Erdogan. E che il 24 novembre dell’anno scorso avrebbe scagliato due caccia turchi contro un Su-24 russo che aveva invaso lo spazio aereo nazionale, abbattendolo. C’è sempre molta dietrologia nelle percezioni di Ankara, ma in questo caso pare basarsi su elementi concreti e razionali. L’intesa rinsaldata fra Mosca e An-
kara è testimoniata dalla decisione di condurre insieme le indagini sul caso. Una folta delegazione di spie, funzionari e poliziotti russi è sbarcata nella capitale turca, affiancando i colleghi locali. Si scava nella vita del poliziotto ventiduenne, che avrebbe fatto parte per due anni e mezzo della squadra dedicata alla repressione delle rivolte e dei moti di piazza – alcuni sostengono che fosse stato impiegato anche per proteggere lo stesso presidente Erdogan. D’altronde, l’organizzazione gulenista, che il regime turco considera nientemeno che terroristica, ha alle spalle una lunga tradizione di infiltrazione nella polizia e in altri corpi di sicurezza dello Stato, per tacere delle magistratura. Se la pista gulenista fosse confermata, l’obiettivo immediato dell’assassinio apparirebbe l’accordo Putin-Erdogan sulla Siria. In sostanza, i russi hanno ottenuto mano libera ad Aleppo, ormai ricaduta nella sfera di sovranità del regime di Damasco, mentre i turchi possono dedicarsi liberamente alla caccia al curdo siriano, per impedire che si saldi con
il Pkk installato in Anatolia sud-orientale. Le parole di Altintas – «non dimenticate Aleppo! Non dimenticate la Siria» – non avrebbero potuto essere più chiare. Ma la riunione al vertice fra i ministri degli Esteri turco, russo e iraniano si è svolta regolarmente poche ore dopo l’uccisione di Karlov. E ha sancito e dettagliato i termini dell’approccio più o meno coordinato delle tre potenze in Siria (e in Iraq). Una secca sconfitta per l’Occidente e in particolare per gli Stati Uniti, che fino a poco tempo fa si illudevano di liquidare il regime di al-Assad facendo leva su variopinte formazioni ribelli, tra cui alcune di spiccata impronta jihadista, anzi qaedista. Resta da vedere come la nuova amministrazione vorrà gestire questo rovescio. Per ora sembra che Trump sia intenzionato a scendere a patti con il terzetto, anche per mancanza di serie alternative. Ma vorranno gli apparati dello Stato – a cominciare da Pentagono, Cia e altri servizi volgersi a una linea di pacificazione con il nemico russo e con quello iraniano? Oltre che con il turco formalmente alle-
ato, ma considerato ormai inaffidabile e quasi impresentabile dal Congresso e da gran parte dell’opinione pubblica americana? Intanto Erdogan sfrutta l’onda dell’allarme antiterrorismo per proseguire nell’opera di ricomposizione del suo controllo su tutte le strutture dello Stato, attraverso operazioni, purghe, arresti e altre iniziative meno visibili quanto efficaci. La prossima tappa dovrebbe essere l’istituzionalizzazione del regime presidenziale, mutando in situazione di diritto una condizione di fatto. Accompagnata dal ripristino della pena di morte, malgrado le proteste internazionali, in special modo europee. Sarà quindi interessante seguire l’evolvere della crisi nei rapporti turcoeuropei. L’intesa raggiunta con la Germania via Bruxelles per chiudere il passaggio turco-greco nei flussi migratori, per ora tiene. Ma per quanto? E come sarà toccato anche dalla recente strage del mercatino di Natale, a Berlino? Per quanto minacciato, Erdogan sembra tenere in mano le carte decisive.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Politica e Economia
Brutta storia ad Aleppo
Siria Assad annuncia trionfante la riconquista della parte orientale della città con il sostegno
di Russia e Iran e Turchia, ufficialmente fatta passare come una crociata contro l’Isis Marcella Emiliani «Ad Aleppo si sta facendo la Storia»: con queste parole e un’espressione trionfante, il presidente della Siria Bashar al-Assad ha annunciato al mondo la conquista della parte orientale della città – avvenuta il 12 dicembre – ad opera del suo esercito e della Sacra Triade che lo ha sostenuto fino a rovesciare completamente l’esito di una battaglia che poteva risultare fatale per le sorti del suo regime. Per «sacra triade» intendiamo la Russia di Vladimir Putin, vero regista del futuro assetto non solo della Siria, ma dell’intero Medio Oriente. La Turchia di Recep Tayyip Erdoğan che dopo aver brigato per fare in modo che Bashar cadesse, non ultimo sostenendo e armando l’Isis, con un voltafaccia di 180° non solo si è alleato a Putin (dopo aver abbattuto un caccia russo sul confine siro-turco non più tardi del 24 novembre dell’anno scorso), ma è sceso in campo con le sue truppe per sostenere il periclitante
In realtà i veri nemici di Assad sono quei ribelli che nel 2011 hanno dato vita alla primavera araba siriana governo di Damasco e garantirsi con mezzi propri il controllo sui curdi siriani. Infine l’Iran degli ayatollah che – dopo aver firmato l’accordo sul nucleare coi «5+1», cioè i membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con potere di veto (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) più la Germania, si è buttato di buona lena a sostenere tutti i suoi alleati sciiti nella regione (di cui Bashar al-Assad è il «pezzo» più pregiato) e – se possibile – «spezzare le reni» all’avversario di sempre: l’Arabia saudita sunnita e relativi alleati del Golfo. Accanto all’Iran non va dimenticata la sua appendicola libanese, Hezbollah, il Partito di Dio, che in Teheran e Damasco ha avuto fin dalla sua nascita nel 1982 i padrini più interessati, allora in funzione anti-israeliana. Aleppo nel frattempo non esiste più, è stata ridotta a un cumulo di macerie, non c’è orrore che le sia stato risparmiato, non c’è crimine di guerra che non sia stato compiuto sulla sua gente nella più sconsolante impotenza della diplomazia internazionale e di quella occidentale in particolare. Ma Bashar al-Assad il 19 dicembre, quando ha diffuso via Telegram il suo video-messaggio compiaciuto, non pensava certo ai 450’000 morti che è costata da cinque anni a questa parte la guerra civile siriana, né pensava ai 5 milioni di profughi fuggiti all’estero e agli 11 milioni di sfollati interni che ha causato su una popolazione di quasi 18 milioni di abitanti. A lui di questa immensa catastrofe sembrava non importare proprio niente: quello che gli premeva era essersi garantito la sopravvivenza politica sulla pelle del suo paese. In un sussulto di lucidità, ha ammesso che la vittoria ad Aleppo non significa la fine della guerra, ma ormai – sempre in virtù dell’intervento della Sacra Triade – l’unica grande città che ancora sfugge al suo, o meglio al loro controllo, è solo Raqqa, la capitale siriana dell’agonizzante Califfato islamico. Ma Raqqa, evidentemente non preoccupa più di tanto né Damasco, né Mosca, né Ankara né Teheran, vista la furia con cui si sono scagliate su Aleppo dove i tagliagole dell’Isis sono in gran parte fuggiti dopo aver compiuto ogni genere di nefandez-
Aleppo non esiste più, è un cumulo di macerie a cui non è stato risparmiato nessun orrore. (Keystone)
ze sui civili, spesso usati come scudi umani. Ufficialmente quella contro Aleppo è passata come una crociata contro il Califfato. Nella realtà è stato il redde rationem contro i «ribelli» che nel 2011 avevano dato vita alla primavera araba siriana, quelli che per Bashar erano e rimangono i veri terroristi. Dal canto suo l’Isis, ormai quasi indisturbato fuori Aleppo, l’11 dicembre ne ha approfittato per riconquistare Palmira. Chi sono allora i «ribelli» antigovernativi che hanno tentato una strenua resistenza ad Aleppo Est? Innanzitutto i miliziani del Libero Esercito della Siria, gli unici professionisti in campo dell’opposizione armata non islamista a Bashar, essendo nati da una scissione dell’esercito siriano fin dal 2011. In secondo luogo gli islamisti del Fronte al-Nusra (Fronte del soccorso al popolo di Siria, in rotta con l’Isis), già braccio operativo di al-Qaeda in Siria, il cui leader Abu Mohamed al-Julani il 28 luglio scorso ha ribattezzato Jabhat Fatah al Sham (Fronte per la conquista del Levante) non solo per prendere le distanze dalla casa-madre, ma soprattutto per tentare di unire in una formazione – a suo dire – «più moderata» il maggior numero di oppositori al regime di Bashar al-Assad, jihadisti e non. Resta il fatto che – per quel che è dato sapere – il Fronte per la conquista del Levante è riuscito a coordinarsi principalmente con altre organizzazioni jihadiste salafite come Harakat Ahrar al-Sham alIslamiyya (Uomini liberi della Grande Siria), già operativa nel nord-ovest e soprattutto nella provincia di Idlib. Citiamo solo le formazioni principali perché in tutto sono un centinaio, e non menzioniamo le organizzazioni curde impegnate nel Kurdistan siriano. L’unica cosa certa è che sul terreno, in tutta la Siria e non solo ad Aleppo, l’opposizione pacifica al regime di Bashar, quella che nel 2011 scendeva in piazza disarmata ed era riuscita ad organizzarsi in due alleanze, la Coalizione nazionale siriana e il Consiglio nazionale siriano, sono state messe fuori gioco dai signori della guerra, islamisti e non.
Dal 12 dicembre, quando Aleppo è tornata sotto il controllo governativo, è stato difficile anche organizzare e garantire l’evacuazione della popolazione stremata e dei cosiddetti ribelli. Nonostante l’esperienza già fatta in operazioni simili ad Homs e Damasco, non si riusciva, infatti, a negoziare né un cessate il fuoco né un corridoio umanitario che consentisse una via di fuga per i civili. Da una parte il regime aveva tutto l’interesse ad eliminare il maggior numero di «ribelli» armati, e dal canto loro i «ribelli», pur essendosi arresi, non volevano rassegnarsi a perdere la loro ultima roccaforte nei quartieri orientali della città, arrivando a sparare contro gli autobus in cui veniva ammassata la popolazione che intendeva andarsene attraverso il corridoio meridionale Ramousah-Ameriya. Il timore di quanti volevano partire era che le milizie sciite iraniane o libanesi, o gli effettivi alauiti (sciiti) dell’esercito siriano compissero atti di ferocia contro la popolazione sunnita inerme. Il 18 dicembre, invece, l’evacuazione dei civili da Aleppo è stata sospesa quando ad infierire contro i civili di Foua e Kefraya, due villaggi sciiti nella provincia di Idlib, sarebbero stati i miliziani sunniti del Fronte per la conquista del Levante che li assediavano e che – come ultima ratio – avevano attaccato e incendiato i pullman messi a disposizione dalle Nazioni Unite per consentire anche l’evacuazione sciita. Al 20 dicembre, oltre agli abitanti di Foua e Kefraya, gli sfollati da Aleppo Est erano circa 30’000 (di cui 4000 miliziani armati), mentre risultava ancora impossibile calcolare quanta gente avesse deciso di rimanere nella città ormai invasa dai caterpillar governativi intenti a sgombrare le macerie. Mentre si interrompeva l’evacuazione da Aleppo Est, al Palazzo di Vetro di New York si interrompevano anche i lavori del Consiglio di sicurezza dell’Onu convocato dalla Francia per approvare una risoluzione che consentisse l’invio di osservatori delle Nazioni Unite nella città tornata sotto il controllo del regime di Bashar al-Assad. A mettersi di traverso, la Russia e la Cina, preoccupate della possibile «violazione
della sovranità siriana» rappresentata dalla presenza dei suddetti osservatori. «Quelle délicatesse!» verrebbe voglia di commentare, ma il 19 dicembre il Consiglio riusciva finalmente ad approvare la risoluzione all’unanimità. Più che alla Cina, cosa ha fatto cambiare idea alla Russia? Con gli Stati Uniti fuori gioco in attesa dell’insediamento alla presidenza di Trump, comunque «ben disposto» nei confronti di Putin, la Russia è rimasta l’unica potenza internazionale in grado di tenere sotto controllo le sorti della Siria, costi quel che costi soprattutto ai siriani. Inoltre, come Putin ben sapeva, a breve, il 27 dicembre, si sarebbero riuniti a Mosca sotto la sua egida i veri demiurghi del futuro siriano: oltre alla Russia medesima, la Turchia e l’Iran. Perché allora continuare ad opporsi in sede Onu o preoccuparsi della lentissima marcia della cosiddetta diplomazia internazionale che, per bocca dell’inviato speciale Staffan de Mistura annunciava una ripresa dei colloqui di pace di Ginevra addirittura per l’8 febbraio 2017? Tanta self-confidence è stata invece disturbata il 19 dicembre dall’uccisione ad Ankara dell’ambasciatore russo in Turchia, Andrey Karlov, freddato al grido di «Allahu Akbar!» da un poliziotto all’inaugurazione di una mostra d’arte. La morte del povero Karlov è servita solo ad accelerare i tempi del summit di Mosca, che è stato anticipato e si è regolarmente svolto il 20 dicembre. Ne è uscita una sorta di road map per la soluzione del disastro siriano che prevede nell’ordine: 1) la tutela della sovranità e dell’integrità territoriale della Siria; 2) una soluzione politica, non militare, al conflitto; 3) un accordo tra il governo siriano e l’opposizione, che però non ricalchi la «ricetta sponsorizzata» dall’Occidente, ovvero la dipartita di Bashar al-Assad dal potere. La Triade si farà garante di tale accordo che verrà negoziato non a Ginevra, con buona pace dell’Onu, ma nella capitale del Kazakhstan, Astana in data da definirsi. Solo un’ultima domanda: chi rappresenterà l’opposizione ad Astana?
Fra i libri di Paolo A. Dossena SERGIO ROMANO, Putin e la ricostruzione della Grande Russia, Longanesi, 2016 Chi sono gli oligarchi? Si tratta di gente che viene dal Komsomol, l’organizzazione giovanile del regime sovietico, la cui caduta li ha resi straricchi e potenti. Al punto che anche Vladimir Putin, un ex colonello della polizia politica dell’Urss, arriva al potere nel 1999 anche grazie a questa casta (l’aiuto più importante arrivò dall’ex KGB). Alla quale, scrive Sergio Romano, «premeva che nessun presidente mettesse in discussione le baronie finanziarie e mediatiche che aveva creato». Ma gli oligarchi non hanno capito con chi hanno a che fare: il nuovo arrivato ha fin dall’inizio un disegno personale. Putin comincia con l’affrontare il più grave dei conflitti etnici che dilaniano il Paese: quello che dalla Cecenia, sta allargandosi a tutto il Caucaso. Ha a che fare con terroristi spregiudicati, che anticipano le attuali tecniche dell’Isis. In quel 1999, la reazione di Putin è durissima, e quella cecena fu «per la ferocia spietata di entrambe le parti, una delle guerre più sporche combattute dopo» il 1945. In secondo luogo, Putin sgomina gli oligarchi e anche i nuovi boiardi, ovvero i governatori degli oblast e dei kraj (le regioni nate con la costituzione post-sovietica del 1993), feudatari che trattenevano per sé l’intero gettito fiscale. È la fine del federalismo russo post-sovietico: da allora i governatori sono soltanto prefetti nominati dal governo centrale. Cosa pensa di Putin la massa dei russi? Approva. Gli ex comunisti si sentono vendicati, chi teme il terrorismo islamista e la nuova criminalità si sente difeso, gli ortodossi apprezzano la devozione del leader, i nazionalisti sono gratificati dal nuovo prestigio mondiale della Russia, dove patria e fede sono due volti della stessa medaglia. Oltre che della nuova Russia, Putin è architetto della sua memoria identitaria. Occorre dare continuità alla storia del Paese, quindi nemmeno Stalin viene rimosso dal Pantheon nazionale, che concilia tradizione, periodo sovietico e cristianesimo ortodosso (la Russia come santa erede di Bisanzio e Terza Roma). La data dell’insurrezione nazionale del 1612, ad esempio, è una festa patriottica che cade nell’anniversario della Rivoluzione d’ottobre. Così le celebrazioni continuano a svolgersi sulla Piazza Rossa. Per esistere e governare il proprio immenso spazio, la Russia ha bisogno di un’ideologia, di una missione. Per un certo periodo, tra i consiglieri di Putin appare Aleksandr Dugin, un estremista di destra che porta alle orecchie del leader le teorie etnogenetiche di Lev Gumilev. Questi era un superstite dell’arcipelago gulag, un teorico dell’euroasiatismo e delle razze primordiali della Russia, la cui qualità era la capacità di sopportare, soffrire, sacrificarsi. Questi gruppi etnici, bollati come primitivi dagli occidentali, sono la vera, eterna anima della Russia. Putin crede in tutto questo? Forse gli serve solo una teoria che proclami l’originalità della Russia rispetto alle seduzioni della cultura occidentale. Il giorno in cui Putin avesse bisogno dell’ovest, queste idee euroasiatiche finirebbero nel cassetto. Eppure, conclude amaramente Sergio Romano, dovremmo chiederci se all’origine dell’autoritarismo di Putin non vi sia anche la pessima immagine che le democrazie occidentali stanno dando di sé. Nessuno avrebbe potuto tracciare un simile ritratto di Putin, della sua ricostruzione identitaria della Russia e dei suoi rapporti con l’Occidente se non Sergio Romano, che scrive nella doppia veste di grande storico e di ex ambasciatore a Mosca e alla Nato.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Politica e Economia
La guerra delle banconote
Crisi economica In Venezuela sono iniziati i saccheggi dei supermercati e le proteste di strada per il ritiro dalla
circolazione di carta moneta. Che potrebbero dare il via alla rivolta generale contro Maduro, come insegna la storia Angela Nocioni Ondata di saccheggi in Venezuela. Folle inferocite hanno preso d’assalto e distrutto supermercati e autoservizi. Ad accendere la miccia della protesta popolare è stata un improvviso rastrellamento di contante. Le banconote da 100 bolìvares sono state ritirate, con 72 ore di preavviso, dalla circolazione. Il presidente della repubblica, Nicolas Maduro, ha annunciato la drastica misura definendola «radicale, dura ed inevitabile».
Maduro ha definito la misura drastica e inevitabile, provocando l’esasperazione del Paese per la mancanza di contante Ha detto di averla presa per combattere le «mafie che dalla Colombia e dagli Stati Uniti» avrebbero orchestrato un’operazione per far uscire banconote venezuelane e destabilizzare così la già debilitatissima moneta venezuelana, ormai risucchiata in un vortice di iperinflazione insostenibile per la maggioranza della popolazione. Le banconote da 100 bolivares, le più alte finora in circolazione, rappresentano il 48% del denaro contante al momento in Venezuela, secondo le cifre ufficiali del Banco central. Toglierle dal mercato serve a Maduro a tentare di frenare l’ascesa del dollaro nel mercato nero e a sperare di rallentare così l’ormai irrallentabile iperinflazione. Il governo sostiene che i biglietti da 100, il prezzo di una caramella, sono stati fatti uscire in grandi quantità dal Paese ad opera di «mafie speculatrici». Ha denunciato un golpe finanziario. Cucuta e Macaio, due cittadine di frontiera in territorio colombiano, sarebbero secondo il governo «sede di un centro permanente di attacco al sistema bancario». «Ci sono depositi pieni di banconote da 100 bolivares a Cartagena e a Bucaramanga» ha detto Maduro in tv. Ha anche accusato una società che ha contatti con il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti di fare parte del complotto. Il ministro degli Interni, Nestor Reverol, ha detto in tv che le «mafie speculatrici» avrebbero fatto uscire dal Paese 300 miliardi di bolivares, che al mercato nero valgono 300 milioni di dollari. Ha detto che l’operazione ha il patrocinio statunitense e ha accennato a un ruolo per una ong di cui però non ha fatto il nome. Ha detto che ai contrabbandieri venivano pagati 120 bolivares per ogni biglietto da 100 esportato. Caracas ha chiesto al governo colombiano di Juan Manuel Santos l’erogazione di un decreto che permetta ai commercianti delle città di fontiera di stabilire il valore delle valute straniere. Contemporaneamente una campagna di propaganda governativa sostiene che in Germania e Ucraina, addirittura, ci sarebbero depositi pieni di banconote venezuelane trafugate da
Un uomo mostra alcune banconote da 100 bolivares, che rappresentano il 48% del denaro contante in Venezuela. (AFP)
Caracas. Con questa versione dei fatti il governo riesce a dare la possibilità di una lettura ideologica a una misura impopolare che, in realtà, è un tentativo di intervenire a livello macroeconomico sul cambio. La verità è che il bolivar cade in picchiata. Solo il mese scorso si è svalutato del 59%. Da qui l’impossibilità di pagare in contanti, l’aumento dei prezzi e l’impoverimento del potere d’acquisto della moneta locale. I prezzi crescono un giorno dopo l’altro, letteralmente. Il dollaro è il bene più richiesto oggi a Caracas, i venezuelani con denaro contante a disposizione sono pronti a pagarlo qualsiasi prezzo, terrorizzati dal bisogno di proteggersi dall’aumento dell’inflazione. Il Fondo monetario internazionale ha pronosticato un’inflazione del 720% per quest’anno. Uno dei siti più cliccati in internet da Caracas oggi è il «Dolar Today», che calcola con quanti bolivares si può comprare un peso colombiano in Colombia e poi, con questi pesos, quanti dollari si possono comprare. È ormai considerato l’indicatore ufficiale dei mutamenti di prezzo al dettaglio in Venezuela. Annunciata la misura del rastrellamento da parte di Maduro, i venezuelani hanno avuto 72 ore di tempo per presentarsi allo sportello di una banca pubblica per fare il cambiamento di moneta, passate le quali il cambio viene fatto solo alla sede del Banco central de Venezuela, luogo irraggiungibile per moltissime persone. Nel frattempo, visto un ritardo nella consegna delle nuove banconote di taglio maggiore che ha lasciato a casse vuote le banche a lungo, in Venezuela la banconota più grossa in circolazione è stata per giorni quella da 50 bolivares, un centesimo di euro al valore di cambio del mercato nero.
Negli ultimi giorni della settimana scorsa, la banconota da 100, di gran lunga la più utilizzata negli scambi, era sparita. Nelle città di confine e nei posti di provincia dove meno frequenti sono le transizioni in moneta elettronica e il pagamento con carte di credito, il biglietto da 100 aveva cominciato ad essere venduto a un prezzo superiore. In Venezuela esiste da quattordici anni un controllo del cambio, fissato dal governo e non passibile di fluttuazione nel mercato delle monete. Questo ovviamente consente che i prezzi fluttuino, e di molto, nel mercato nero.
La miccia è stata accesa dal ritiro di tutte le banconote da 100 bolivares, dopo una campagna di propaganda che denunciava un golpe finanziario con il patrocinio degli Usa Al malcontento per una crisi economica di lungo corso, nelle strade del Venezuela si è aggiunta quindi l’esasperazione per l’assenza di contante. Venerdì mattina, tra le centinaia di persone che si ammassavano davanti alla porta chiusa del Banco central a Maracaibo, capitale dello stato Zulia, frontiera ovest, è scoppiata una rivolta. Scontri con la polizia. Dieci arresti. Ondata di saccheggi alla periferia della città. Dall’altra parte del Paese, nell’estremo sud est, nello stato Bolìvar, nella città mineraria di El Callao, l’insurrezione popolare è stata inne-
scata dall’improvviso rifiuto di tutti i commercianti di accettare banconote da 100 come pagamento. Almeno un morto. Lunga catena di saccheggi, soprattutto nei supermercati cinesi, che sono i tipici distributori al dettaglio nelle zone periferiche delle città. Saccheggi ovunque nello stato di Bolìvar, anche nella sua capitale, Ciudad Bolìvar. A Guasdualito, nel distretto speciale dell’Alto Apure, nella pianura sudoccidentale del Venezuela, agenzie bancarie sono state prese d’assalto e incendiate. Qui sono stati arrestati tre dirigenti regionali e un deputato del partito d’opposizione antichavista Primero Justicia (PJ), accusati di aver promosso gli scontri. Incendi e saccheggi a raffica anche a Merida, Tachira, Monagas, Anzoategui e Trujillo. A Caracas la fila per depositare le banconote da 100 al Banco central è arrivata a misurare più di 20 isolati. Molti salari – viene pagato ogni 15 giorni normalmente lo stipendio – non sono stati pagati per assenza di contante a chi non dispone di un conto in banca. Non c’è proprio contante in giro, la gente non sa con cosa pagare. Il governo ha disposto che i trasporti pubblici siano gratuiti per qualche giorno, limitandosi di fatto a registrare l’incontrovertibile dato che già da venerdì autobus e treni circolano a porte aperte e gratis perché non ci sono più le monete per pagare. Un elemento ulteriore di tensione lo comporta il fatto che tutto ciò accade nel mese di dicembre, periodo consacrato dai venezuelani tradizionalmente al divertimento e al consumo. Fare festa con l’inflazione alle stelle e il denaro rastrellato, non è stata una bella esperienza. Niente, per ora, a confronto di quanto accadde qualche Natale fa,
quando Maduro, di recente insediatosi, impose d’imperio un Natale socialista a tutti. C’era stata una prima ondata di saccheggi. Il problema erano gli approvigionamenti. Mancavano prodotti negli scaffali dei supermercati. La banca centrale aveva da poco ammesso che non c’era approvvigionamento per il 22% dei beni necessari e Maduro cosa fece? Spedì i militari ad occupare i negozi e costrinse i commercianti a vendere quasi tutto, anche i televisori di ultima generazione, a prezzi politici. A Caracas, Valencia, Maracay e Merida – le principali città del Paese – centinaia di persone, esasperate da mesi di contingentamenti di prodotti, finirono per prendere d’assalto i supermercati. Caffè, zucchero, olio e farina di mais erano a quei tempi prodotti già introvabili anche nei mercati socialisti che il governo organizzava per aggirare il sistema di distribuzione privata. La scarsezza alimentare era evidente anche allora in provincia più che a Caracas, dove l’esercito si occupava di scortare le merci fino ai depositi. Quell’ondata di proteste rientrò, ma fu il primo segno del ritorno ad aleggiare nell’aria di una disponibilità generale a grandi escalation di violenza di piazza allo stile del Caracazo, l’insurrezione popolare che diede inizio ai rivoltosi anni dell’America Latina in lotta contro la ristrutturazione in termini strettamente neoliberisti della sua economia e che di quella lotta fu il faro e il simbolo. Sempre, storicamente in Venezuela, le fasi di grande capovolgimento politico sono precedute da piccole ondate di saccheggi. Maduro lo sa e non sa se l’esercito starà dalla sua parte. È questo, al momento attuale, il suo più grande problema.
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Politica e Economia
Un capolavoro di equilibrismo
Confederazione Le Camere approvano la legge d’applicazione per la modifica della Costituzione federale
scaturita dall’Iniziativa contro l’immigrazione di massa del 9 febbraio 2014
Marzio Rigonalli Ci son voluti quasi tre anni di dichiarazioni e di discussioni, di progetti e di mezzi progetti, di accuse e di ballon d’essai, di passi un po’ avanti e un po’ indietro! Alla fine, dopo un’ultima maratona, le Camere federali sono riuscite ad approvare la legge d’applicazione dell’articolo 121 a della costituzione federale, scaturito dall’approvazione popolare dell’iniziativa dell’UDC contro l’immigrazione di massa il 9 febbraio 2014. Il testo concordato non induce certo a pensare al coniglio estratto dal cilindro, bensì ad un faticoso compromesso che cerca di conciliare il contenuto di un articolo costituzionale con la difesa d’importanti interessi nazionali. Pochi sono i partiti politici che si sono dichiarati veramente soddisfatti; la maggior parte di loro si è limitata a parole ed osservazioni di circostanza. Soltanto l’UDC si è espressa contraria al testo ed ha chiesto l’applicazione fedele della norma costituzionale. La nuova legge, contro la quale con ogni probabilità non verrà lanciato il referendum, non applica alla lettera l’articolo 121a della costituzione federale. Non prevede nessun tetto massimo annuale e nessun contingente annuale per gli abitanti dei paesi europei che vogliono immigrare e lavorare in Svizzera. Non fa sua nemmeno la preferenza nazionale, ossia la priorità data ad un lavoratore svizzero rispetto ad uno straniero. Si limita a privilegiare la mano d’opera indigena. I datori di lavoro sono chiamati a reclutare i residenti disoccupati, senza distinzione di nazionalità, piuttosto che ad assumere all’estero i lavoratori di cui le loro aziende hanno bisogno. È stato definito un articolato meccanismo che scatta quando vien raggiunto un alto tasso di disoccupazione in gruppi professio-
nali, settori di attività o regioni economiche. I datori di lavoro vengono sollecitati a segnalare i posti vacanti e gli uffici regionali di collocamento dovranno svolgere un ruolo attivo per consentire ai disoccupati indigeni di trovare un posto di lavoro. In ultima analisi, l’imprenditore resterà comunque libero di assumere un lavoratore straniero se lo riterrà necessario. Misure supplementari potranno essere adottate dal Consiglio federale in caso di seri problemi causati dal massiccio afflusso di frontalieri. Non è chiaro in che misura questa nuova legge riuscirà a limitare l’immigrazione. Per saperne di più, probabilmente bisognerà aspettare l’ordinanza che emetterà il Consiglio federale e forse anche un primo periodo di applicazione pratica della legge. Intanto, il laborioso compromesso ha avuto subito almeno due conseguenze. Innanzitutto, ha consentito al Consiglio federale di estendere la libera circolazione delle persone alla Croazia, l’ultimo paese a diventare membro dell’Unione europea. La firma del relativo protocollo era stata posta da Bruxelles alla Svizzera come condizione per poter partecipare al programma di ricerca europeo Orizzonte 2020. La richiesta è stata ora soddisfatta, con grande sollievo da parte degli atenei e dei ricercatori elvetici, immersi in una fitta rete europea di consultazioni, informazioni, lavori condivisi e finanziamenti. In secondo luogo, ha portato un po’ di tranquillità nei rapporti tra l’UE e la Svizzera, rapporti che negli ultimi tre anni sono stati tesi, dopo l’approvazione dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa. Bruxelles temeva l’adozione da parte della Svizzera di tetti massimi e di contingenti annuali, che non avrebbe potuto accettare perché contrari alla libera circolazione della persone, uno dei principi fondamentali dell’Unione. Le prime reazioni
Philipp Müller, PLR di Argovia, uno degli artefici della legge. (Keystone)
registrate nella capitale belga ed europea sono state positive. Varie fonti della Commissione europea hanno parlato di un passo nella giusta direzione, pur aggiungendo che un giudizio più completo verrà dato soltanto quando sarà ultimato l’esame del testo della nuova legge e quando saranno stati consultati i governi dei 27 paesi membri. Che cosa succederà ora? Il fossato esistente tra la norma costituzionale e la legge d’applicazione, nonché le iniziative in corso o annunciate, indicano che il cantiere rimane più che mai aperto e che assisteremo presto a nuovi sviluppi. Due sono i percorsi che si stanno delineando. Il primo è quello dell’iniziativa popolare «RASA» (Raus aus der Sackgasse), che chiede l’abrogazione dell’articolo 121a della costituzione federale. Il Consiglio federale è contrario all’iniziativa e ha deciso di presentare un controprogetto. Il testo definitivo del controprogetto non è ancora pronto. Due varianti sono state inviate in consultazione, i cui risultati sa-
ranno noti entro la fine del mese di aprile. L’idea di base è quella di difendere gli accordi bilaterali con l’UE e d’impedire che possano venir cancellati con la norma costituzionale approvata il 9 febbraio 2014. Un rigido controllo dell’immigrazione porterebbe all’abrogazione della libera circolazione delle persone e, quindi, alla cancellazione degli accordi bilaterali. La votazione popolare si svolgerà nel corso dell’anno. Il secondo percorso è ancora più diretto e potrebbe essere quello annunciato dall’ASNI. Subito dopo il voto delle Camere federali, l’Azione per una Svizzera neutrale ed indipendente ha lanciato un’iniziativa che chiede di rinunciare all’accordo sulla libera circolazione delle persone a vantaggio di una gestione autonoma dell’immigrazione. L’iniziativa dell’ASNI ha sorpreso l’UDC, che voleva giocare questa carta più tardi, ma è stata ben accolta dagli altri partiti, perché consentirà di chiarire finalmente i nostri rapporti con l’Unione europea, optando per la libera circola-
zione delle persone e gli accordi bilaterali, oppure rinunciandovi. I sondaggi eseguiti fin ora mostrano che la maggioranza della popolazione è favorevole agli accordi bilaterali. L’ASNI intende cominciare al più presto a raccogliere le firme e se avrà successo, il voto popolare potrebbe avvenire fra un paio di anni. Il lungo e tortuoso iter che ci lasciamo alle spalle, ci consente infine di fare ancora un paio di considerazioni. Conviene innanzi tutto osservare che la soluzione adottata dalle Camere federali non è stata proposta dal Consiglio federale. È emersa dal lavoro di un gruppo di parlamentari, tra i quali il più attivo sembra essere stato il consigliere agli stati argoviese PLR, Philipp Müller. In altre parole, in quasi tre anni, il governo federale non è stato capace di proporre una via d’uscita suscettibile di trovare il consenso necessario. È poco per chi si attende che i sette saggi esercitino nel paese un ruolo guida. In secondo luogo, la contrapposizione dei partiti politici sul tema Europa ha registrato un cambiamento. Prima, l’UDC si trovava sola di fronte a tutti gli altri partiti. Questa volta, il PPD si è staccato dalle altre formazioni, si è avvicinato alle posizioni dell’UDC e si è astenuto nella votazione finale. È una scelta che riflette chiaramente la volontà del presidente Gerhard Pfister di imprimere un nuovo corso al suo partito. Infine, nonostante la legge approvata, la sensazione dominante è che siamo tutt’ora a metà del guado, in una situazione transitoria, senza alcuna certezza sugli ulteriori sviluppi. Una situazione che non è positiva né per l’economia, né per le prospettive future del paese, e dalla quale emerge con forza la necessità, addirittura l’urgenza, di definire in modo chiaro ed inconfondibile i nostri rapporti con l’Unione europea.
So di non sapere. Questa è la mia lezione per il 2017 La consulenza della Banca Migros Albert Steck Che cosa ci porterà il nuovo anno? Innumerevoli esperti ci sommergono con le loro previsioni, spesso dettagliate fino ai decimali, alimentando così la fallace illusione che il mondo segua sempre alla lettera il copione. Ma la Brexit e l’elezione di Donald Trump ci convincono del contrario.
Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Mark Twain è stato uno dei più grandi scrittori americani, ma non aveva alcun’idea di come funzionasse l’economia. Eppure è proprio sua un’arguta citazione, che ogni economista dovrebbe tenersi sempre ben davanti agli occhi: «non sono le cose che non sappiamo a metterci in crisi, ma quelle che crediamo di sapere». Soprattutto all’avvicinarsi del nuovo anno numerosi economisti ci sommergono di dettagliate previsioni sulla borsa, sui tassi e sulle valute. Ma gran parte di loro si è sbagliata sull’esito del referendum sulla Brexit e sull’elezione di Donald Trump. Che cosa succede se molti credono di sapere quello che, in realtà, è sbagliato, lo abbiamo visto chiaramente in Svizzera con lo shock sul franco del gennaio 2015. Le previsioni sono notoriamente inattendibili. Ma ciò vuol dire che non ha senso pensare a che cosa succederà in futuro? Certamente no! Solo che invece di elaborare rigide previsioni e ipotesi si dovrebbe pensare in termini di scenari. Quindi è opportuno non tanto affermare
Enormi differenze da un anno all’altro
GEN
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Andamento della borsa svizzera su base annua (Swiss Performance Index) dal 1988. (Dati: SIX)
che ci aspetta un anno buono o cattivo per le borse, ma piuttosto trarre una conclusione molto più utile: «le azioni hanno una probabilità statistica del 30 percento di subire una perdita entro fine anno. Tuttavia, dopo cinque anni, il rischio scende ad appena il 10 percento». Questo approccio in termini di scenari è ben illustrato nel grafico, che richiama un quadro dipinto. Vi è raffigurato
l’andamento della borsa svizzera su base annua dal 1988. Proprio nelle fasi di maggiore incertezza, come l’attuale, sentiamo il bisogno di controllo e sicurezza. Eppure dovreste resistere al fascino delle previsioni facili o delle spiegazioni preconfezionate, che simulano una falsa sicurezza. Chi, invece, riconosce la propria ignoranza si mette al riparo da una pericolosa presunzione
e, in ultima istanza, prende decisioni migliori. Oppure, per dirlo con le parole di Charlie Munger, partner d’affari di lunga data del guru della finanza Warren Buffett: «La vera competenza è appannaggio di colui che sa dove finisce». Con questo spirito vi auguro un 2017 di successi. Attualità su blog.bancamigros.ch: La mia lezione per il 2017.
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Cultura e Spettacoli Anche il legno è prezioso Alla Pinacoteca Züst di Rancate una mostra dedicata all’arte del legno, spesso sottovalutata
Il meglio e il peggio Una selezione di tre lavori discografici di matrice italiana usciti nel 2016: c’è di che gioire, ma anche di che disperarsi pagina 25
Un selvaggio molto sensibile A colloquio con l’attore Viggo Mortensen, di cui è appena uscito nelle sale l’osannato Captain Fantastic diretto da Matt Ross pagina 27
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Gesso, pietra, argilla e bronzo Mostre Alberto Giacometti al Kunsthaus
di Zurigo
Gianluigi Bellei In Svizzera quasi tutti conoscono Alberto Giacometti. Se non altro perché campeggia imponente sulle banconote da cento franchi. Su di lui si è costruito un mito. Quello del vallerano solitario che vive asceticamente tra i sassi della sua Bregaglia, con poche cose, dal carattere irsuto e nodoso come il suo aspetto. Tipica visione romantica che fa innamorare le ragazzine che studiano storia dell’arte ma anche i più seriosi «professoroni». In realtà lui si trova benissimo a Parigi come in altre città e mantiene rapporti con le persone che contano: dagli intellettuali, ai quali piacciono le persone burbere e montanare, alle gallerie internazionali come Maeght di Parigi. Certo qualche problemino famigliare e psicologico deve senz’altro averlo avuto se nel 1932 realizza la scultura Woman with Her Throat Cut, tra il sadico e il misogino. Sesso, nel vero senso della parola, e violenza: il titolo la dice lunga, si può tradurre più o meno in donna sgozzata. La figura è smembrata, il costato aperto, le gambe divaricate, la bocca aperta e una ferita si staglia sul collo. Ma allora il termine «femminicidio» non era in voga. E poi Giacometti frequenta quel simpaticone di George Bataille il quale fra follie famigliari e sifilidi varie scrive libri come L’Anus solaire (traducete voi) ed è comunista, surrealista, nicciano, ma soprattutto amante di tutto ciò che è inaccettabile. Detto questo Woman with Her Throat Cut è uno dei capolavori del Surrealismo. Ma la sua opera viene spesso e volentieri associata al pensiero di Jean-Paul Sartre e all’Esistenzialismo. Giulio Carlo Argan scrive nella sua Storia dell’arte che Giacometti «non vuole manifestare un essere ma un nonessere» ed è per questo che Sartre ha sentito nella sua scultura «l’espressione in immagine della condizione esistenziale dell’uomo moderno alla soglia tra l’Essere e il Nulla». Una sorta di inaccessibilità e incomunicabilità tra gli individui. Non è un caso che sia proprio Sartre nel 1948 a firmare l’introduzione in catalogo della prima mostra di Giacometti a New York nella galleria di Pierre Matisse. Un altro amico di Gia-
cometti, e anche suo biografo, è Jean Genet famoso per la vita dissolutezza, e i suoi libri pornografici e lussuriosi come la sua vita sordida e sessualmente controcorrente. Genet scrive che ai «volti dipinti da Giacometti sembra non resti più un solo secondo da vivere, né un movimento da fare». Dopo queste idilliache visioni non rimane che andare al Kunsthaus di Zurigo per vedere l’intensa esposizione dedicata allo scultore per il cinquantesimo anniversario della morte. Occasione unica soprattutto perché si possono vedere 75 opere in gesso donate da Bruno e Odette Giacometti all’Alberto Giacometti-Stiftung presso il Kunsthaus nel 2006 e raramente esposte per via della fragilità del materiale. Le opere, recentemente restaurate, fanno parte integrante delle oltre 250 in mostra, alcune delle quali provengono da istituzioni internazionali quali la Fondation Alberto et Annette Giacometti, diretta da Catherine Grenier, e il Centre Pompidou, ambedue a Parigi. L’esposizione ubicata nella sala superiore del museo, che consta di 1000 metri quadrati, si sviluppa in forma cronologica e tematica attraverso l’intrecciarsi di grandi spazi e piccole salette che richiamano l’atelier dell’artista. Vengono privilegiate le opere realizzate direttamente da Giacometti con materiali quali la plastilina, il gesso e l’argilla. Questi materiali, infatti, non subiscono come il bronzo la mediazione di uno specifico artigiano, ma sono interamente plasmati dall’artista. Si ritiene in generale che abbiano minor valore dell’opera finita in bronzo, ma in realtà non è così. Anzi, il tocco delle dita e la stratificazione del materiale sono le componenti principali per individuare il procedimento di esecuzione e il pensiero che ne sta a monte. Giacometti inizia con la plastilina che è un materiale molto duttile, anche se non «professionale», poco costoso e più facilmente reperibile. Questo fino al 1935 quando a Parigi finalmente può avere a disposizione l’argilla. I ritratti del 1914-1918 sono particolarmente realistici e i dettagli finemente lavorati. Sino alla Testa di ragazzo del 1919 nella quale si intravvedono i primi segni espressionistici nelle minuscole e tondeggianti aggiunte di terra che
Alberto Giacometti, La main, 1947, Kunsthaus Zürich, Alberto Giacometti-Stiftung (Dominik Büttner, Succession Alberto Giacometti / 2016 ProLitteris, Zürich)
contribuiscono a modellarne il volto. I primi anni parigini dopo il 1925 lo vedono incontrare Ossip Zadkine, Constantin Brancusi e Jacques Lipchitz dai quali assorbe l’interesse per la scultura messicana e africana. Le opere che ne derivano sono di carattere postcubista e diventano lineari, pulite, quasi astratte. Segue l’incontro con André Breton e il periodo Surrealista fra il 1928 e il 1935. Ma Giacometti è sempre attratto dall’uomo e il ritorno alla realizzazione di teste figurative provoca la sua espulsione dal gruppo degli artisti surrealisti. Siamo negli anni della crisi personale e generale: quelli della Seconda guerra mondiale. Nel periodo della maturità le figure si assottigliano fino a quasi scomparire. Quello che rimane sono i grandi piedi su cui poggiano le figure in contrasto con le teste piccolissime. L’uomo è materia, sembra dirci, e questa è poggiata saldamente per terra. Più si va in alto, verso il cielo e le nuvole, più la materia si fa leggera, quasi evanescente e le idee sembrano scomparire. L’artista plasma le sculture con le dita, tocco dopo
tocco, argilla dopo argilla con foga e nello stesso tempo determinazione e riflessione. Gli ultimi anni vedono assemblarsi la ricerca della somiglianza del soggetto con quella dell’assoluto. Il gesso diventa forma creata e increata nel suo farsi e disfarsi come un dilatarsi delle ansie e un eterno ritorno nicciano nel quale – come scrive Jean Soldini nel suo ultimo libro dedicato all’artista edito da Mimesis – i singoli eventi passati fanno sì che il tempo sia simultaneamente spazio, «quello spazio che non esiste, che bisogna creare, che viene incessantemente creato che è secondo rispetto a una profondità temporale che non è il tempo lineare, ma eterno ritorno di forze». Nei gessi i ritratti diventano accumulo di informazioni e nel contempo sovrapposizione di segni come le rughe del tempo che passa. I vari ritratti dedicati al filosofo giapponese Isaku Yanaihara, arrivato a Parigi per studiare filosofia alla Sorbona, sono l’occasione per fissare il suo pensiero che considera la scultura come un doppio della realtà. Gli ultimi lavori sono un inno alla me-
moria e rappresentano la compagna Annette, la giovanissima modella Caroline, la madre e il fratello Diego. In sostanza, scrive Philippe Büttner in catalogo, il gesso rappresenta per Giacometti la materia più malleabile e facile da utilizzare e che, negli ultimi lavori, si presta in certi casi all’aggiunta del colore «per una manipolazione dolce e nervosa» e per l’interpretazione dura della massa plastica accentuata dalla pittura. Bella mostra, in un certo senso irripetibile per via della fragilità dei gessi; ottimi l’illuminazione come l’allestimento; buono il catalogo con interventi di Casimiro Di Crescenzo, Catherine Grenier, Tobias Haupt, Christian Klemm, Kerstin Mürer e Stefan Zweifel. Dove e quando
Alberto Giacometti. Material und Vision, Kunsthaus, Zurigo. A cura di Philippe Büttner. Fino al 15 gennaio. Catalogo D/E/F, Scheidegger & Spiess, fr. 59.–. www.kunsthaus.ch
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Cultura e Spettacoli Scultore tedesco e scultori leventinesi (?) Presepe, XVI – XVIII secolo Giornico, Museo di Leventina.
Il tempo vuoto che vuoto non è
Pensieri di fine anno I n un mondo
assordante il silenzio a volte è difficile Maria Bettetini
La nobiltà del legno
Mostre A Rancate una rassegna di opere sacre dal Medioevo
al Settecento Alessia Brughera
Si intitola Legni preziosi la mostra ospitata negli spazi della Pinacoteca Züst di Rancate che raccoglie un nutrito gruppo di opere sacre realizzate tra il XII e il XVIII secolo: Madonne, Crocifissi, busti, polittici, ma anche reliquiari, tabernacoli e altari a sportelli, tutti rigorosamente intagliati nel legno e intimamente legati al Canton Ticino. È un titolo sicuramente emblematico, questo, che nell’accostamento del termine «prezioso» a un materiale «povero» vuole ridare dignità a un tipo di produzione che per tanto tempo ha avuto scarsa considerazione, scalzando i pregiudizi che l’hanno relegata a semplice espressione d’arte popolare. Per la sua economicità e per la sua facile reperibilità, difatti, il legno ha sempre sofferto il confronto con elementi ritenuti di gran lunga più pregiati, marmo o bronzo ad esempio, cosicché i manufatti lignei sono stati spesso ritenuti una forma artistica minore, avvicinabile più all’artigianato che all’arte vera e propria. Trascurata anche sul fronte degli studi scientifici, in area ticinese è solo negli ultimi trent’anni che la scultura in legno è diventata oggetto di indagini specifiche, che, sebbene ancora sporadiche, hanno però già ampiamente dimostrato la ricchezza e l’alto valore di queste opere, dietro le quali si possono rintracciare le correnti culturali e le vicende umane che hanno caratterizzato nei secoli passati il nostro cantone. La rassegna di Rancate si inserisce pienamente in questa operazione di riscoperta e scoperta delle testimonianze di una tradizione artistica che ha saputo approdare a livelli di grande qualità, palesando i suoi strettissimi legami con ciò che accadeva nelle diverse regioni italiane, l’attuale Lombardia su tutte, e nell’area tedesca, in un susseguirsi continuo di scambi e influssi da nord e da sud. Una mostra di ricerca, dunque, che, come spesso accade per le esposizioni organizzate dalla Züst, muove da una meticolosa ricognizione sul territorio con l’obiettivo di fare emergere opere non ancora pienamente valorizzate, quando non del tutto dimenticate, e di dare impulso agli studi avanzando ipotesi attributive e proponendo nuovi spunti di analisi.
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Nell’allestimento curato dall’architetto Mario Botta, connotato dal suggestivo contrasto tra il grigio scuro delle pareti e i colori vivaci dei supporti realizzati con materiale di cantiere, si avvicendano in ordine cronologico lavori lignei provenienti da chiese, monasteri e musei ticinesi, molti dei quali sono stati oggetto di interventi di restauro o di verifiche sullo stato di conservazione proprio in occasione della rassegna. Il percorso prende avvio dall’epoca medievale con alcune opere che nella loro varietà rispecchiano bene la peculiare situazione del nostro cantone quale area di frontiera, aperta da una parte alla cultura della Lombardia e dall’altra ricettiva nei confronti del mondo d’Oltralpe. Di mano di uno scultore lombardo è la romanica Madonna in trono col Bambino di Arogno, che siede austera e solenne su uno scranno finemente decorato e che allo stato attuale delle conoscenze è la più antica testimonianza della produzione lignea medievale ticinese. Di grande impatto è anche il Crocifisso di Olivone, fatto risalire al primo quarto del XV secolo e anch’esso riconducibile a un maestro lombardo, un’opera dalla potente drammaticità espressa nella fisionomia smagrita del Cristo e nel suo volto severo. Nel Rinascimento si fa ancora più evidente lo stretto rapporto con la Lombardia, cosa piuttosto naturale se si pensa che fino al 1513 il Ticino appartiene al Ducato di Milano e fino all’Ottocento dipende dal punto di vista ecclesiastico dalle Diocesi di Milano e di Como. Molti degli intagli presenti nella sezione cinquecentesca della mostra sono difatti eseguiti dai medesimi artisti operanti nei territori lombardi, a partire dai fratelli De Donati, che realizzano l’ancona di Ponte Capriasca di cui a Rancate è esposta la statua raffigurante Sant’Ambrogio, o da Giacomo Del Maino, alla cui bottega si deve l’inedita Madonna di Loreto di Bellinzona, solitamente non visibile al pubblico. Nella rassegna viene ben documentata anche la presenza nel cantone di lavori di fattura tedesca, con una sala che raduna alcuni manufatti arrivati dal Nord al tempo della Riforma, quando numerose opere vengono rivendute nelle aree rimaste fedeli alla dottrina cattolica. Tra queste spicca la Pietà di Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Claro, collocabile tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo (e ampiamente rimaneggiata nel Seicento), che ritrae Maria avvolta in un’abbondante veste drappeggiata con in grembo un Cristo dal corpo livido ricoperto di sangue rosso carminio. Nel XVII secolo ci troviamo di fronte a diverse opere conformi ai nuovi dettami liturgici della Controriforma guidata dal cardinale Carlo Borromeo, con la Madonna del Rosario che diventa una delle iconografie più rappresentate. Una versione non proprio ligia di questo soggetto ci è proposta in mostra dalla statua lignea della chiesa dei Santi Cosma e Damiano di Mendrisio, in cui l’autore, uno scultore di area lombarda, ha voluto rinnovare il modello con piccoli strappi alla regola nella postura del Bambino e nello sguardo della Vergine. I lavori settecenteschi presenti a Rancate attestano poi l’apertura del nostro cantone verso altri territori italiani, come la Liguria, la Romagna o il Piemonte Sabaudo. Il dinamico e aggraziato San Vincenzo Ferrer di Vacallo è difatti riconducibile a uno scultore genovese, mentre per il compassato Beato Angelo Porro di Mendrisio, figura dal potente realismo che appartiene alla tipologia delle statue vestite, si è ipotizzato un artista romagnolo. Curioso, infine, e degno di nota visto il periodo natalizio, è il Presepe proveniente dal Museo di Leventina a Giornico: creato per accumulo, ha preso forma nel corso di tre secoli, vedendo l’iniziale nucleo composto da una cinquecentesca Sacra Famiglia di ambito tedesco arricchirsi via via con angeli, pastori e animali intagliati da scultori locali. Un’opera che, per la sua eterogeneità, sa restituire bene quel carattere multiculturale tipico della terra ticinese.
«Sempre caro mi fu quest’ermo colle». Il poeta manifesta amore per una collina e per la siepe che la sovrasta, chiudendo come un sipario lo sguardo sul panorama dell’entroterra marchigiano. Perché un Leopardi poco più che ventenne ha «caro» proprio ciò che sembra ostruire la vista, imprigionare il legittimo desiderio di fuga? Dove potrà correre un giovane chiuso da un colle e una siepe? Il poeta, però, non corre, non fugge, né questo sembra desiderare. Il poeta sta seduto, guarda e immagina panorami da far paura al cuore: interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete. L’infinito finisce bene, il naufragare nel mare dell’immensità è dolce al poeta. Cambio di scena: ospedale milanese, medicina iperbarica. Vestiti con le divise delle carceri Usa, ingentilite dal colore azzurro, coperti da lungo camice ignifugo e calzari altrettanto potenti nel mettere in fuga il temutissimo fuoco per autocombustione di ossigeno, un manipolo di individui di varia età si avvia verso una sorta di batiscafo. Sembriamo i Puffi, «noi Puffi siam così, noi siamo tutti blu», la forma dei calzari da gnomo sottolinea l’irrealtà di questo travestimento, obbligatorio per chi si sottopone a terapia iperbarica, a respirare quindi ossigeno puro per un paio d’ore, chiusi nel batiscafo dove l’aria è compressa come se ci si fosse calati a 14 metri di profondità. Ci si sottopone a questa cura per molti e svariati motivi, quel che c’è di buono è che finalmente è una terapia che male non fa, e magari risolve anche qualche problema. Ogni giorno, le donne della comitiva si ricordano l’una con l’altra che, addirittura, la pelle e i capelli ne trarranno giovamento, grazie a una maggiore ossigenazione. Ringrazio il lettore per aver seguito fin qui l’apparentemente incongruo racconto, il susseguirsi di poesie del 1819 e vita di ospedale di ieri. Ma il senso c’è, eccome: forse non tutti sanno che durante la terapia non si può né leggere né scrivere, né tantomeno usare telefoni e computer, o qualunque altro arnese, compresi gli orologi, è meglio evitare infatti di causare incen-
Dove e quando
Legni preziosi. Sculture, busti, reliquiari e tabernacoli dal Medioevo al Settecento. Pinacoteca cantonale Giovanni Züst, Rancate (Mendrisio). Fino al 22 gennaio 2017. A cura di Edoardo Villata. Orari: da ma a ve 9.00-12.00/14.00-18.00; sa, do e festivi 10.00-12.00/14.00-18.00; lu chiuso. www.ti.ch/zuest Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Giacomo Leopardi (1798-1837). (Keystone) Tiratura 101’614 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
di, esplosioni e altre spiacevoli conseguenze della pressione dell’aria unita all’ossigeno che siamo qui a respirare. Uomini e donne del ventunesimo secolo sono obbligati a tacere, a pazientare, quindi a pensare. Ebbene, sembra incredibile, ma ecco un luogo dove si «sente» il trascorrere del tempo, non si può sfuggire, non ci sono sabbie dove nascondere la testa, non ci sono rumori con cui distrarsi. Non ci si può nemmeno assopire, la situazione è scomoda, illuminata e rumorosa. I neofiti, tutti lo siamo stati, hanno paura, non solo terrore di ciò che non si conosce, ma paura di un tempo che sembra infinito, che sembra non finire mai, quindi forse non finisce mai. Le nostre unità di misura non sono di aiuto, perché sulla lunghezza di mezze ore, scandite da brevi pause, non siamo preparati. I nostri dialoghi di solito sono scambi di battute e di emoticon, le nostre letture sono didascalie delle immagini che dappertutto ci piovono addosso, i nostri pensieri sono concentrati su cosa accendere, cosa ascoltare, cosa spegnere per ascoltare altro. Meglio: cosa abbassare per sentire «anche» altro. La nostra attenzione ha la tenuta di uno spot, che però gode dei benefit di musica, colori, sceneggiatura, regia, nomi noti di attori e prodotti. E quando siamo soli davanti a un tempo che non possiamo misurare, potenzialmente infinito, senza gli ausili della tecnica, senza alcuna distrazione, allora ci sentiamo perduti. Abituati ad affrontare il presente nascosti dal rumore di fondo di voci, musiche, panorami, che mutiamo sperando di mutare con loro. E lo diceva Seneca, nel suo trattato sulla serenità, che cambiano i cieli sopra di noi, ma non lo stato della nostra anima, perché sono con noi le cose da cui cerchiamo di fuggire. E ribadiva Agostino di Ippona: «Gli uomini vanno a contemplare le vette delle montagne, i flutti vasti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri, e non pensano a sé stessi». Per questo è prezioso l’aiuto di un argine all’infinito, all’abisso che può essere sublime come infernale, la nostra paura va placata. Dentro la camera iperbarica, fuori dal mondo, la sopravvivenza l’ho trovata nell’afferrare quel tempo, nell’imporgli dei limiti, cantando canzoni, recitando poesie e preghiere, quando il pensiero si perde. A poco a poco, col passare dei giorni, quelle ore non mi hanno fatto più paura, perché so di poterle riempire di pensieri e parole, ricordi e canzoni, ma anche di non doverlo fare, perché a volte i pensieri sgorgano sereni. È come domare un animale selvaggio, gestire un tempo senza argini, non per niente i carcerati segnano i giorni trascorsi in prigione, contano quelli mancanti al rilascio. Porre steccati all’infinito, questo ce lo rende amico, meno spaventoso, quasi vicino. Questo aveva capito il giovanotto malinconico di Recanati, che proprio la «siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude» rende il pensiero e il cuore capaci di immaginare silenzi, spazi, voci, di perdersi in un infinito dove il naufragare è dolce. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Cultura e Spettacoli
Storia e attualità a confronto
Teatro Emanuele Santoro propone Emigranti di Slawomir Mrožek, mentre la compagnia del Teatro Paravento
rielabora la celebre pièce La visita della vecchia signora di Dürrenmatt Giorgio Thoeni L’anno teatrale sta offrendo ancora qualche debutto da parte delle produzioni indipendenti. A cominciare da e.s. teatro che ha presentato al Teatro Foce di Lugano Emigranti di Slawomir Mrožek, nell’adattamento, regia e interpretazione di Emanuele Santoro in scena con Roberto Albin. È un testo che Santoro conosce bene per averlo interpretato nel 1999 accanto a Vito Gravante con la Compagnia Nuovo Teatro di Locarno e la regia di Gerardo Wuthier. Drammaturgo e scrittore polacco scomparso nel 2013, Mrožek è stato un intellettuale coraggioso. Dopo la rottura con il suo Paese a causa di una aperta dissidenza, è stato esule volontario in giro per l’Europa fino alla morte. Emigranti, uno dei suoi maggiori successi a livello mondiale, nasce proprio da quella esperienza. Scritta nel 1974, dunque ancora in pieno regime comunista, la commedia è ambientata in una cantina dove un intellettuale e un lavoratore emigrati all’estero vivono sotto lo stesso tetto. Una condivisione dettata dalla necessità, nutrita da profonde differenze nella comune e frustrante condizione di sradicamento. Mrožek evidenzia questi aspetti in un atteggiamento di diffidenza fra i due coatti, naufraghi nella solitudine sociale. Una metafora
Roberto Albin ed Emanuele Santoro (da sin.), protagonisti di Emigranti.
realistica della realtà migratoria, tema ancora di stretta attualità, esasperata dal confronto fra operaio e intellettuale, archetipo di storiche diversità. I protagonisti dividono il loro squallido rifugio in una città straniera, è l’ultimo giorno dell’anno e sopra di loro giungono gli echi dei festeggiamenti. Un respiro tragicomico alimenta la commedia di Mrožek, in un dialogo serrato
con venature ironiche, graffianti, al limite del grottesco: livelli di lettura che Santoro fa aderire alla lezione originale adottando un registro dove la commedia popolare si alterna al dramma psicologico lungo un’interpretazione che si muove sull’asse di una comicità che porta a una riflessione ancora forte della sua attualità ma che non concede sconti sull’uso dei caratteri.
I conti in sospeso della vecchia signora
Chissà se sarebbe piaciuto a Friedrich Dürrenmatt ipotizzare il ritorno di Claire Zachanassian, la sua celebre «vecchia signora» al paese di Güllen molti anni dopo la sua celebre visita? La compagnia del Teatro Paravento non ha avuto dubbi rimaneggiando il capolavoro del grande scrittore e dramma-
turgo svizzero con un adattamento che torna sugli avvenimenti descritti ne La visita della vecchia signora in una sorta di analisi e memoria critica. Come si ricorderà, nella commedia originale Claire, divenuta miliardaria, torna al suo paese e promette un’importante donazione a patto che venga commesso un omicidio. In altre parole compera la collettività per vendicarsi di un grave torto da lei subito in gioventù e dove tutta la popolazione le si era schierata contro. Proviamo ora a immaginare Il ritorno della miliardaria (così il nuovo titolo) come l’apparizione di un fantasma della donna allo «Stammtisch» della bettola di Güllen, tornata per una resa dei conti e per denunciare l’immoralità di quella collettività. La drammaturgia proposta dal Paravento fa rivivere la storia con un incastro di scene originali precedute da pagine del presente narrato. Cabaret, commedia e clownerie sono gli strumenti e i tratti distintivi della compagnia locarnese e gli attori agiscono in quella dimensione in un gioco teatrale di straniamento e dichiarato scambio di ruoli. La regia è di Miguel Àngel Cienfuegos in scena con un’efficace Luisa Ferrone e con Amanda Rougier Appignani, Marco Capodieci e Fabio Martino (alla fisarmonica). Pubblico ridotto ma applausi convinti al Teatro Foce di Lugano.
Il meglio e il peggio del 2016 discografico in italiano
Palcoscenico napoletano
sull’anno che si chiude ci porta qui a cercare di isolare il buono e il meno buono della produzione discografica 2016
Spagnoli di Napoli è come una visita a teatro
Musica Come ormai consolidata abitudine, il moto retrospettivo
Itinerari Un pranzo da Ciro nei Quartieri
Manuel Rossello
Zeno Gabaglio Il meglio: Niccolò Fabi – Una somma di piccole cose
Nella canzone italiana dell’ultimo trentennio esiste un solco invalicabile che separa il mainstream dal circuito indipendente, un orrido baratro che divide sì gli artisti ma anche i pubblici di riferimento, le modalità autoriali e gli approcci critici. Con il disco Una somma di piccole cose Niccolò Fabi è sorprendentemente riuscito a scavalcarlo, a piè pari e senza farsi neanche un graffio. Il background del musicista romano è notoriamente legato al mainstream, nella declinazione di un cantautorato pop intelligente e raffinato (ma così pop da non sfigurare nella vetrina di Sanremo o di Un disco per l’estate) che il disco pubblicato ad aprile ha fondamentalmente rimesso in discussione. Ma forse ancor più in discussione è stato messo il giudizio degli ambienti indipendenti, che loro malgrado in questo disco hanno trovato sintassi e grammatiche musicali incredibilmente vicine al proprio credo: un album sentito e curato, acustico ma mai languido, crudo e pure tagliente, intimo ma anche civile. E questa è la dimensione più disarmante: semplici canzoni che dall’elaborazione soggettiva parlano a tutti, evitando retorica o banalità, intense dalla prima all’ultima traccia senza decadere neanche un solo momento. Il buono: Motta – La fine dei vent’anni
Un tratto caratteristico dell’autorialità musicale in lingua italiana – malgrado le ben note crisi di commercio
e di attenzione – è la continua spinta al rinnovamento. Ogni anno sono infatti molte le proposte di artisti esordienti; forse il tempo non le confermerà tutte, ma comunque vanno a costituire una pregiata linfa per il secolare albero della cultura italiana. Tra le novità più apprezzabili e apprezzate del 2016 c’è il disco La fine dei vent’anni di Motta, il trentenne cantautore pisano Francesco Motta. L’intero arco dell’album presenta invero esiti discontinui tra giovanilismo e maturità, per una portata espressiva che – sulla strada della perfezione – dev’essere ancora ben calibrata. Ma il singolo La fine dei vent’anni è la classica rovesciata in area che vale il prezzo dell’ingresso: una sferzata che mescola estasi e rabbia in un destabilizzante andamento psichedelico. Una pietra miliare per le nuove frontiere della canzone italiana. Il peggio: Laura Pausini – Laura Xmas
«Lavorare con una cantante così importante nel mondo è stato molto emozionante. È una delle migliori interpreti che io abbia mai incontrato, è una persona carismatica ed è stato un vero piacere lavorare con lei. Laura è molto versatile, può cantare davvero qualsiasi cosa». Si fosse giustificato con un laconico «tengo famiglia» il produttore e arrangiatore americano Patrick Williams sarebbe stato senz’altro più credibile, perlomeno umanamente; anche perché le sue collaborazioni con Frank Sinatra e Barbra Streisand non possono che far a pugni con la seconda frase dell’affermazione e con la sua stessa parte-
Il cantautore Niccolò Fabi.
cipazione al disco Laura Xmas. Fatto sta che – complice l’esperto musicista già nominato al Pulitzer e all’Oscar – per la dodicesima produzione in studio Laura Pausini ci ha riservato una sconvolgente novità: un disco di cover natalizie. Poco male, si dirà, così almeno non si sono inondate radio e televisioni dell’abituale melassa grondante dai suoi brani originali. No, invece, perché il risultato è forse ancora peggio: Jingle Bells l’avevano effettivamente già maltrattata in molti, ma così piatta e falsamente swing non la si era mai sentita. E un Adeste fideles così soffocato nella plastica non l’avrebbe potuto immaginare nemmeno un venditore di presepi filippini al mercato di Fuorigrotta. L’apice della piramide capovolta è però costituito dall’Astro del ciel che chiude il disco: al sorgere degli abbellimenti e delle armonizzazioni della linea vocale è piuttosto netta la percezione di un bambino che – nella sua grotta lontana tempo e spazio – sofferente trema.
In uno dei più divertenti racconti di Giuseppe Marotta, avendo saputo che il camorrista insediatosi in casa sua è cardiopatico, l’oppresso padrone di casa afferra una pila di piatti e la lascia cadere in mezzo al salotto proprio mentre il prepotente è appisolato sulla sua poltrona. Chi fosse tanto temerario da inerpicarsi fin nel cuore dei Quartieri Spagnoli di Napoli e varcare la soglia della trattoria «Da Nennella», sappia che le esperienze sensoriali a cui andrà incontro potrebbero assomigliare all’episodio evocato. Non che Ciro, il dominus incontrastato del locale, sia paragonabile al cattivo del racconto, ci mancherebbe altro. Non si può non notare, tuttavia, che la somiglianza con John Gandolfini, il boss della serie TV Soprano, è impressionante e che il brogliaccio su cui è vergato il menu ha un’inquietante somiglianza con un pizzino. Inoltre il locale si espande come una piovra su tutta la via obbligando i ragazzini del quartiere a impennare altrove le loro moto truccate. Il servizio (dovrei dire lo spettacolo) inizia verso le dodici e trenta e per quell’ora la folla, tra cui molti turisti, è già così numerosa da ostruire il vicolo. Ciro è appostato davanti all’ingresso, dove quattro assi inchiodate alla bell’e meglio sono il Checkpoint Charlie oltre il quale avanzano i prescelti. Protervo e beffardo, egli regna incontrastato sulla calca: chi lo chiama, chi lo implora di lasciarlo passare, chi per ingraziarselo ostenta la maglietta del Napoli, chi pur di muoverlo a clemenza si proclama suo lontano parente. Ma la concessione del lasciapassare dipende esclusivamente dal suo capriccio. Ed è allora che don Ciro dà il meglio di sé: sghignazzi, sfottò, tirate da avanspettacolo, cori da stadio, battute da caserma, tutto un repertorio collaudatissimo in cui si riconosce la discendenza dai maestri del teatro popolare napoletano, da Scarpetta
a Viviani, da Totò a Troisi, da Eduardo a Leopoldo Mastelloni. Senza dimenticare il grande Mario Merola. «Struffagli e pinzillacchere!», direbbe il principe De Curtis. Si potrebbe pensare che la gente in fila dopo un po’ si scocci. Macché, lo ascoltano adoranti e non si perdono una battuta. E quelli che sono dentro si godono cibo e spettacolo, lasciando partire di tanto in tanto un fragoroso applauso a cena aperta. In questa baraonda infernale Ciro trova il tempo per afferrare il telefono che squilla in continuazione e urlarci dentro con quanto fiato ha in gola: «Siamo aperti, venite!». Il pasto è un turbinio di delizie servito su un ottovolante: in men che non si dica sul tavolo atterrano acqua e un chiarello della casa. Come primo vi verrà fatta un’offerta che non potrete rifiutare: pasta e patate in un’interpretazione da urlo. Per secondo non potrete dire di no a una spettacolare cernia in gratella di pistacchio. Se il cameriere è di luna buona vi concederà un contorno. Scordatevi i dolci. All’arrivo di un cesto di frutta vi consiglio di metter mano al portafogli e dirigervi verso l’uscita. Il conto è sottile come una sfogliatella: antipasto-primo-secondo-acqua-vino-caffè-coperto quindici euro. Sappiate che se lasciate una mancia innescherete un rimbombo di ringraziamenti e vi rimarrà il dubbio se sia un folkloristico omaggio o una spudorata presa in giro. Dopodiché sarete catapultati fuori con una pacca sulla spalla degna di Cassius Clay. E mentre nell’appagato stordimento cercherete di riemergere dal labirinto dei Quartieri Spagnoli, i bestiali gorgheggi di Ciro vi inseguiranno fin quasi in Via Toledo. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Cultura e Spettacoli
Tutto il fascino di Captain Viggo
Incontri A colloquio con l’attore Viggo Mortensen che ha interpretato un intenso film in cui si racconta la storia
di un padre e dei suoi sei figli, lontani dal mondo e dal consumismo Blanche Greco Captain Fantastic è un titolo degno di un supereroe dei fumetti, ma anche se il film tratta di tutt’altro, il suo interprete Viggo Mortensen, sembra accentrare su di sé l’aura del condottiero, il destino dell’eroe e il carisma del leader, sia che vesta i panni di Aragorn, re guerriero del Signore degli Anelli; o quelli di un micidiale killer come in La promessa dell’assassino; ma anche se, per una volta interpreta un padre un po’ speciale, come in questa storia, con sei figli a carico che vuole trasformare in esseri umani colti, indipendenti ed anticonformisti.
Il nuovo film con Mortensen a tratti è esilarante, ma riesce anche a commuovere «Quando ho cominciato a leggere la sceneggiatura ho pensato che fosse la solita storia di una famiglia americana di sinistra, che tempra i figli con le tecniche della sopravvivenza e si scontra con il modo di pensare dell’America conservatrice. E invece avevo sbagliato», esordisce Viggo Mortensen, quando lo intervistiamo alla Festa del Cinema di Roma dove il film Captain Fantastic di Matt Ross, miglior regia al 69esimo Festival di Cannes (sezione «Un Certain Regard»), si è anche aggiudicato il Marco Aurelio d’Oro, Premio del Pubblico. «È una storia di ideali e di amore. Ben Cash, è uno dei più bei personaggi che mi siano capitati in questi ultimi anni» ha affermato Viggo Mortensen, la voce morbida, lo sguardo ceruleo gentile e fiero, che sono parte del fascino di questo talentuoso attore daneseamericano, che nei panni di Ben è un emozionante amalgama di forza e di fragilità paterna. «La dedizione e l’onestà con la quale ha improntato
Viggo Mortensen attorniato dai suoi «figli» in una scena di Captain Fantastic di Matt Ross. (Keystone)
il rapporto con i suoi figli, ti conquistano e ti lasciano senza fiato, perché Ben vuole essere il miglior padre del mondo, una sorta di “benevolo dittatore”, ma è possibile? Essere dei bravi genitori è difficile e questo film ci dà molto a cui pensare». Captain Fantastic racconta la scelta estrema di una coppia che, decisa a sottrarsi alle influenze della moderna cultura consumistica, vive con i sei figli lontano dalle metropoli, in mezzo alle grandi foreste del Nord America. Ben ha abbandonato ogni ambizione personale per dedicarsi alla loro educazione, li allena fisicamente e intellettualmente in quel lontano paradiso naturale, insegnando loro a vivere di caccia e di pesca; a
scalare le montagne e a lottare per la loro vita; ma anche a coltivare il gusto per lo studio: dalla matematica, alle lingue straniere, alla letteratura, alla musica, alla religione, per farne dei «re filosofi» capaci di difendere quello in cui credono. Ma a seguito di un evento tragico, i ragazzi, da quello di cinque anni, a quello di diciassette, di comune accordo costringono il padre ad affrontare con loro un viaggio attraverso quell’America che non conoscono, e Ben è obbligato a confrontarsi con la realtà e le proprie teorie educative. Commovente, divertente, ironico, a tratti di una comicità esilarante, Captain Fantastic è una straordinaria prova d’attore per il cinquantasetten-
ne Mortensen, attorniato da sei giovani interpreti, tutti capaci di tenergli testa e di contendergli la scena: «Ho subito amato Ben, e, come faccio per ogni personaggio, ho cercato di ricostruire il suo passato e la sua psicologia per farne un uomo vero e reale. Mi sono chiesto dove fosse nato, che lavoro facesse. Ho creato dei dettagli che lo raccontassero; ho imparato dalle sue stesse caratteristiche e abilità. Sono uno sportivo e suono il pianoforte, ma ho dovuto imparare il free climbing che non mi piace, e a suonare la chitarra. E dovevo farlo bene, perché avevo “i miei figli”, alle calcagna. Erano attori senza esperienza, ma brillanti, curiosi, e dovevo essere un padre sempre all’altezza delle loro
aspettative, altrimenti la famiglia sullo schermo non avrebbe funzionato», racconta Viggo Mortensen, con ironia e affetto, ricordando le lunghe giornate di prove, il set, gli spostamenti, le domande interminabili e le e-mail che i ragazzi ancora gli mandano. «Non è un film ideologico, non ha messaggi, ma parla di un problema importante della nostra società, la mancanza di comunicazione. La polarizzazione che esiste in molte parti del mondo per ragioni di classe, di razza, di nazionalità; dovuta all’omofobia, alla misantropia, all’odio per i migranti, all’ideologia politica, e che va combattuta favorendo il dialogo. Nessuno può vivere isolato». Parlandogli ci si rende conto che quel carisma che il cinema e tanti registi gli riconoscono, è una cosa vera, una sorta di «sortilegio personale» che emana dalla personalità di questo attore che, dal set del film Hidalgo, storia vera di un cow-boy e del suo puledro impegnati in una corsa contro i più noti cavallerizzi del mondo, si portò a casa tutti i cavalli, che altrimenti sarebbero stati abbattuti. Che non esitò a trasferirsi in Nuova Zelanda per alcuni anni per girare la trilogia di Peter Jackson Il Signore degli Anelli, che Mortensen definisce: «Un’esperienza lunga e intensa come una vita. Ho un ricordo vivido di quel Paese, della natura, del set dove tanta gente si è incontrata, si è innamorata, si è lasciata, si è sposata ed io sono in contatto con molti di loro. E mi piace tornarci con la mente». Della sua infanzia in Argentina, del periodo newyorchese, o di quello trascorso in Danimarca come poeta e musicista prima d’iniziare la carriera di attore, Viggo Mortensen non ha archiviato niente: ha da poco inciso un disco di concerti per pianoforte e, sorseggiando mate racconta che presto esordirà come regista: «È un’esperienza che voglio fare, ho appena finito la sceneggiatura. Ma non vi dico altro, è un progetto in divenire e non è bello contrariare il destino parlandone».
Dialetti e molto altro Linguistica Una serie di quattordici volumetti dedicati alla lingua italiana curati dall’Accademia della Crusca
e allegati al quotidiano «la Repubblica» Stefano Vassere «Solo due anni fa, quando già dicevo normalmente “sindaca”, mi trovai per un attimo bloccato e capii in un istante quanto conti l’abitudine, per cui vicesindaca, meno frequente e parola composta, non mi usciva di bocca con naturalezza». Da qualche settimana e per parecchie settimane ancora il quotidiano «la Repubblica» allega volumetti dedicati a diversi temi a vario titolo legati alla lingua italiana, pubblicati insieme con l’Accademia della Crusca. Per intenderci: la grafia, le parole della Rete, l’italiano nella musica, l’italiano nel diritto e così via. L’impresa del frequentatore di giornalai a fronte di azioni di questo genere è spesso faticosa: il più delle volte ci si accorda con il giornalaio stesso e si acquista tutto in blocco, alla fine, ipotecando in anticipo una discreta cifra. Oppure ci si accontenta di imbroccare la settimana giusta o talune rimanenze e capita, come a questo frequentatore, di sentirsi strane offerte del tipo «guardi, ho qui il pri-
mo, poi – vediamo un po’ – dialetti, La ricchezza dei dialetti, il linguaggio di generazione (sarebbe di genere, ma al giornalaio non si può chiedere di sapere sempre tutto) e Le lingue degli altri».
A sentire i giornalai, sembra che i nuovi librettini di «Repubblica» e della Crusca vadano a ruba Quindi, per non sbagliare, preso dialetto e linguaggio di genere e letti nell’ordine. Sul primo, che cosa dire? Uno: che la ricchezza dei dialetti sarà anche ricchezza dei dialetti ma che la ricerca sui dialetti ha, oggi, perso ricchezza: se la linguistica è di sovente considerata scienza molle, la dialettologia è da taluni ritenuta disciplina spugnosa, mollerrima. Due: è già un po’ che a questa direzione di ricerca molti chiedono qualche svolta (pragmatica? Strutturale? Socio-
linguistica? Situazionale? Qualcosa, insomma), che vada un po’ al di là delle annotazioni minime su qualche episodico volgere fonetico strappato a sapienti vive voci e delle rassegne di testi con dialetto dentro (il dialetto nel cinema, il dialetto nella musica e, inevitabile ormai, il dialetto in Rete). Il linguaggio di genere è invece tematica à la page; qui, c’è il fatto che la lingua è come risucchiata in faccende di società e cultura ben più grandi di lei. Chiedere alla lingua di risolvere questioni e discriminazioni annose è intento supponente e ingeneroso e la scienza cerca di fare quello che può. Per esempio far notare che sindaca va bene, ma che vicesindaca può voler dire “la vice di un sindaco”, ma a rigore sarebbe “la vice (o il vice) di una sindaca”. Oppure che nelle raccomandazioni del diffuso rapporto su Il sessismo nella lingua italiana, curato nel 1987 da Alma Sabatini per conto della Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna, non ha preso piede l’accordo dei participi passati sulla base del genere della maggioranza
di un gruppo: Sono arrivati resta al maschile anche se la maggioranza di quelli che sono arrivati sono donne. Sì, sul lessico un po’ si può incidere, sulla morfosintassi è difficile. Oppure ancora che avanzano concetti e no-
zioni più produttivi e meno ideologici, come quello del «valore generico e non marcato» del genere maschile (si può, no? Non è irrispettoso). Sembra (sentendo ancora il giornalaio) che librettini di «Repubblica» e Accademia della Crusca, vadano letteralmente a ruba. Sarà il fascino della serie che impone, preso il primo, di prenderli compulsivamente fino a esaurimento; oppure, per i più ottimisti, sarà un autentico interesse per la lingua nazionale. Con gli alti e i bassi, la collana è decisamente una buona idea e il canale di distribuzione un’idea supremamente ottima. «Ma la lingua, lo ricordiamo ancora una volta, non si impone e non si modifica “a comando”: occorrono decenni perché nuove forme e nuovi usi si radichino nella lingua, e secoli perché modificazioni più profonde prendano piede». Bibliografia
Il quarto libretto della serie.
L’italiano. Conoscere e usare una lingua formidabile, «la Repubblica» e Accademia della Crusca, 2016.
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Roulade di salmone con cetriolo, crêpe al prezzemolo e formaggio fresco alla limetta e al rafano Per 4 persone
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9.90 invece di 21.80 Salmone di San Silvestro all’arancia e alle erbe aromatiche d’allevamento, Scozia, 280 g, offerta valida il 29.12.2016 DA QUESTA OFFERTA SONO ESCLUSI GLI ARTICOLI M-BUDGET E QUELLI GIÀ RIDOTTI. QUESTA OFFERTA PER LA GIORNATA JOLLY È VALIDA SOLO ALLA DATA INDICATA E IN QUANTITÀ USUALI PER UNA NORMALE ECONOMIA DOMESTICA, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK.
Ingredienti: 250 g di salmone affumicato di Capodanno, 1 cetriolo, 200 g di formaggio fresco al naturale, 100 g di mousse al rafano, 2 fogli di gelatina, 1 limone, 65 g di farina bianca, 1 uovo, 1,5 dl di latte intero, 25 g di burro sciolto, ½ mazzetto di prezzemolo riccio, ½ mazzetto di aneto, 1 vasetto di uova di salmone o di lompo, sale, pepe dal macinino Preparazione: per preparare l’impasto delle crêpe mescolare bene la farina, il latte, l’uovo e il burro sciolto in un misurino. Aggiungere il prezzemolo lavato e mescolare bene ancora una volta. Insaporire con sale e pepe. Cuocere le crêpe fino a doratura in una padella con un po’ di olio d’oliva e farle raffreddare su un piatto. Mescolare la mousse al rafano con il formaggio fresco e con il succo del limone e insaporire con sale e pepe. Far sciogliere un cucchiaio del composto in un pentolino e sciogliervi i fogli di gelatina precedentemente ammorbiditi in acqua fredda per 5 minuti. Aggiungere alla massa e mescolare bene. Lasciar raffreddare per circa 10 minuti. Disporre la crêpe raffreddata su una pellicola trasparente e spalmare con la mousse. Tagliare fino il cetriolo con il pelapatate, farlo asciugare bene su un pezzo di carta da cucina assorbente e disporlo sulle crêpe. Distribuire il salmone, spalmare di nuovo con la mousse e arrotolare completamente la crêpe. Per stabilizzare gli involtini avvolgerli completamente nella pellicola di alluminio e farli raffreddare in frigorifero per circa un’ora. Infine tagliare con un coltello affilato e guarnire con le uova di pesce, un po’ di mousse e l’aneto. Preparazione: ca. 25 minuti Consiglio: l’impasto per la crêpe può essere arricchito, oltre che con il prezzemolo, anche con noci tritate o con altre spezie.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Gli insaccati da cuocere della nostra regione
Attualità Le classiche specialità servite durante le festività – e non solo – accompagnate dalle lenticchie
Sergio Simona
sono un pasto gradito da tutti i commensali che amano banchettare all’insegna della tradizione. Le nostre proposte di produzione ticinese in vendita a Migros Ticino
Lo sapevate? Si ritiene che lo zampone sia nato attorno al 1500, a Mirandola, in provincia di Modena. Durante l’assedio della città da parte di Giulio II i mirandolesi cominciarono a insaccare impasti di parti povere in cotenne per salvare ogni risorsa alimentare che era ancora a disposizione. L’idea ebbe talmente successo che successivamente si sviluppò l’usanza di utilizzare il caratteristico zampetto anteriore del suino.
1
Celebre insaccato di origini modenesi, lo Zampone prende il suo nome proprio dal fatto di essere insaccato nella pelle della zampa anteriore del maiale svuotata. L’impasto è a base di carni suine magre, cotenna e lardo, a cui viene aggiunto sale, pepe e spezie varie, a seconda della ricetta «segreta» di ogni produttore. L’insaccato subisce una cottura a secco perché possa essere meglio conservato. Lo zampone di produzione locale è prodotto artigianalmente da due noti salumifici, Sciaroni di Monte Carasso e Salumi Val Mara di Maroggia. Entrambi i prodotti sono già precotti, pertanto vanno solo riscaldati in acqua calda per un’oretta senza estrarli dal loro sacchetto originale.
2
Il Borsotto proviene dal Mendrisiotto, dove è prodotto dalla Salumi del Pin seguendo una ricetta locale tramandata da generazioni di mastri salumieri. Gli ingredienti utilizzati per l’impasto sono simili a quelli dello zampone, mentre invece la sua forma è, piuttosto, a mo’ di «borsa». L’impasto è insaccato nella cotenna del suino e una volta sigillato subisce una breve cottura a vapore. Prima del consumo, estrarre il borsotto dalla propria confezione e riscaldarlo per 45 minuti in acqua calda, senza bucarlo.
3
Sotto la gamma dei Nostrani del Ticino, ecco due tipicità fresche a base di carne di suini nati e allevati nel rispetto della specie nel nostro Cantone: il codegótt (cotechino) e i Lüganigh (luganighe) della Salumi Val Mara. Carne di maiale magra, una certa percentuale di cotenna e lardo macinati finemente, nonché una sapiente miscela di spezie e buon vino rosso sono gli ingredienti che compongono l’impasto. Dopo essere stato accuratamente mescolato onde amalgamare per bene tutti gli ingredienti, l’impasto viene insaccato nel budello naturale. Entrambi i prodotti vanno cotti in acqua calda, ma non bollente, da 30 minuti (per le luganighe) a 1 ora per il cotechino. Bucare solo al termine per non perdere gli aromatici succhi.
Zampone Sciaroni 100 g Fr. 2.20 Zampone Valmara 900g Fr. 23.–
Borsotto Salumi del Pin 100 g Fr. 2.50
Luganighe Nostrane 100 g Fr. 2.– Cotechino Nostrano 100 g Fr. 2.05
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
Gustare ostriche a Capodanno
Attualità Sono sempre di più anche da noi coloro che per il cenone di fine anno si concedono volentieri
delle ostriche, una raffinatezza non solo buona ma anche ricca di benefici per la salute
*Azione 30% dal 30 al 31 dicembre
Ostiche Marennes Oléron 12 pezzi con coltello gratis Fr. 11.90* invece di 17.– In vendita nelle maggiori filiali Migros il 30 e 31.12
Come aprire le ostriche Perché l’ultimo dell’anno non portare in tavola come antipasto delle deliziose ostriche al posto dei soliti piatti? Una volta aperti con l’apposito coltello, il modo più semplice per gustare questi prelibati molluschi è quello di spruzzarli con qualche goccia di limone o, a piacimento, anche pepe macinato fresco, tabasco o aceto di vino rosso. Come accompagnamento si possono servire delle fettine di pane di segale imburrate. Tra le varietà di ostriche particolarmente rinomate, citiamo quelle della Marennes Oléron. Questa regione francese bagnata dall’Oceano Atlantico è considerata una delle zone più importanti in Europa per
la pratica dell’ostricoltura. Le ostriche di questa regione sono le uniche in Francia a potersi fregiare del marchio di qualità «Indicazione Geografica Protetta». La «Fine de Claire» è quella più gradita dai consumatori, che la scelgono per la sua polpa delicata e la ricchezza d’acqua. I molluschi sono allevati e affinati per diverse settimane in bacini argillosi poco profondi con flussi di acqua dolce e acqua di mare (detti «Claires»), aspetto che conferisce al prodotto un gusto più fine rispetto alle ostriche allevate in mare aperto. Il loro sapore risulta equilibrato, nocciolato, con sentori di terra che ben si amalgamano al delicato aroma marino.
Ma le ostriche non sono solo una prelibatezza da buongustai, sono pure considerate benefiche per la nostra salute. Gli acidi grassi insaturi (del tipo omega 3) in esse contenuti sono utili nel ridurre il tasso di colesterolo e, conseguentemente, nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. Inoltre le ostriche sono ricche di sali minerali e oligoelementi, come fosforo, importante per la salute dei denti e delle ossa; ferro, buono in caso di anemie; come pure calcio, iodio e zinco. Infine, non mancano nemmeno le vitamine, soprattutto quelle del gruppo B, atte a favorire il metabolismo energetico e importanti per le funzioni nervose.
Aprire un’ostrica non è sempre un’operazione tra le più semplici. Munitevi dell’apposito coltello apriostriche (disponibile presso i banchi del pesce Migros oppure contenuto nella confezione da dodici ostriche Marennes Oléron). Posizionate la parte appuntita del mollusco verso di voi e posate quella bombata nel palmo della mano. Collocare il pollice a 1 cm dalla lama. Introdurre la punta del coltello all’altezza della giuntura e tagliare il muscolo. Fare leva tra le due conchiglie e sollevare quella superiore eliminando la prima acqua.
All’appuntamento coi festeggiamenti dell’ultimo dell’anno non mancano mai i freschissimi dolci della pasticceria artigianale di Migros Ticino, perfetti da accompagnare con un calice di spumante o champagne. Il modernissimo laboratorio di S. Antonino approvvigiona quotidianamente tutti i supermercati con decine di specialità, tutte preparate con competenza ed esperienza da personale qualificato secondo standard di
sicurezza alimentare elevati. Le sfiziosità sfornate quest’anno vanno dalle magnifiche torte classiche, come la Torta di Capodanno al burro, la St. Honoré e la Foresta Nera; agli speciali Tronchetti al kirsch o cioccolato; fino alle piccole tentazioni come le mini mousse nei più differenti aromi. I prodotti sono in vendita dal 30 al 31 dicembre e possono essere riservati in anticipo direttamente presso i banchi pasticceria Migros.
Flavia Leuenberger
Festeggiare con dolce creatività
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
Flavia Leuenberger
Quando il cibo è di buon auspicio
Capodanno La vigilia del nuovo anno è ricca
di riti e gesti simbolici. Anche a tavola
Chi non si affaccia al nuovo anno con sogni, speranze e buoni propositi? E se ci sono detti e credenze che ci illudono di raggiungere i traguardi con maggior certezza, perché non adottarli? Tanto più se «l’onere» consiste nel gustare specifici frutti o piatti saporiti. Tra le numerose leggende sui frutti o le verdure che portano fortuna, alcune nascono da detti popolari di casa nostra, altre arrivano da mondi lontani. A cominciare dalla bella ed elegante melagrana, ritenuta sin dalla mitologia greca un simbolo di fertilità e ricchezza, fama che l’ha portata a colorare e addolcire numerose ricette dolci e salate. Anche l’uva simboleggia l’abbondanza e si suggerisce di mangiarne dodici acini ai rintocchi delle campane della mezzanotte dell’ultimo dell’anno, per assicurarsi soldi e fortuna per tutti i mesi dell’anno a venire. Sempre sul fronte ricchezza e floridezza, a Capodanno dovremmo mangiare le lenticchie che, ricordando
le monete, non possono che evocare guadagni e prosperità. Le bietole, che agli anglosassoni ricordano «i verdoni» o dollari, non possono mancare sulla tavola di americani, irlandesi e tedeschi. La stessa tavola su cui magari è stato sparso del riso crudo o servito in numerose ricette, ineluttabile viatico di ricchezze altrettanto copiose. Tra i più sentimentali è d’uso alleviare i patemi d’amore mettendo in camera da letto un sacchettino con sette chicchi di riso e sette di melagrana. Per unire superstizione a colore e allegria, si possono anche appendere questi sacchettini all’albero di Natale, insieme ad altri con le lenticchie, caricandolo così di ogni fortuna. Se infine l’aspirazione ha un orizzonte addirittura esistenziale si dice che la forma tonda del mandarino (e degli agrumi in generale) sia simbolo di eternità e buon auspicio per una lunga vita. Fatene una bella scorta. Mal che vada, pare siano ricchi di vitamina C!
Gusto e freschezza di casa nostra
Quale insalata portare in tavola durante i giorni di festa? Facile: il croccante formentino dei nostri campi. Con il suo delicato sapore dolce che ricorda la noce conferisce un tocco inconfondibile ai menu importanti. Il formentino è l’insalata invernale per eccellenza, dal momento che sopporta bene le basse temperature. Si gusta principalmente in insalata, ma è ottimo anche appena saltato in padella con un po’ di burro. Per un’insalata gustosissima lavate deli-
catamente le foglie sotto l’acqua corrente e asciugatele con un panno. Mettetele in un’insalatiera e conditele con olio di oliva delicato, aceto di mele e qualche goccia di succo di limone. Unite qualche gheriglio di noce, dei dadini di pancetta appena rosolati, uova sode sbriciolate e crostini di pane dorati. Salare e pepare a piacimento. Nei reparti verdura Migros è disponibile il formentino nostrano, sia di produzione integrata che biologica.
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Idee e acquisti per la settimana
San Silvestro
Dal tegamino o dal grill
Capesante cattura, Atlantico Nord Occidentale per 100 g al prezzo del giorno *Nelle maggiori filiali
Pesce e frutti di mare preparati sul grill da tavolo sono una gustosa e salutare alternativa alla carne e alle salsicce. Grigliati sottoforma di spiedini oppure cotti nel tegamino: sogliola limanda, merluzzo, salmone, gamberetti o capesante sono un vero piacere culinario in occasione della sera di San Silvestro
Migros-Bio Gamberetti Tail-on* cotti, allevamento, Ecuador per 100 g Fr. 5.50
Il filetto di sogliola limanda avvolto nella pancetta è una vera delizia. Chi preferisce il piccante può spennellare i gamberetti con dell’olio al peperoncino.
Filetti dorsali di merluzzo MSC selvatico Atlantico Nord Orientale per 100 g al prezzo del giorno
Tovaglioli «New Year» 16 pezzi, oro e argento Fr. 4.35
Filetti di sogliola limanda selvatica* Atlantico Nord Orientale per 100 g al prezzo del giorno
Anche le verdure sono ottime nel tegamino. Scongelare le verdure surgelate prima dell’uso e condirle.
Nella vostra Migros trovate tutto l’occorrente per un festoso San Silvestro. Lasciatevi ispirare su www.migros.ch/natale
Con gli spiedini di pesce è ideale un chutney di peperoncino-mango e succo di limetta.
Foto & Styling Ruth Küng
Cuocere brevemente nel tegamino del pesce a scelta con una salsa pomodoro e brodo brunoise.
Grazie alla consistenza soda della loro carne, salmone, filetto di sogliola limanda e gamberetti sono ideali per la cottura sul grill.
Migros-Bio filetto di salmone* con pelle allevamento, Norvegia per 100 g al prezzo del giorno
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
San Silvestro
Dal tegamino o dal grill
Capesante cattura, Atlantico Nord Occidentale per 100 g al prezzo del giorno *Nelle maggiori filiali
Pesce e frutti di mare preparati sul grill da tavolo sono una gustosa e salutare alternativa alla carne e alle salsicce. Grigliati sottoforma di spiedini oppure cotti nel tegamino: sogliola limanda, merluzzo, salmone, gamberetti o capesante sono un vero piacere culinario in occasione della sera di San Silvestro
Migros-Bio Gamberetti Tail-on* cotti, allevamento, Ecuador per 100 g Fr. 5.50
Il filetto di sogliola limanda avvolto nella pancetta è una vera delizia. Chi preferisce il piccante può spennellare i gamberetti con dell’olio al peperoncino.
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Tovaglioli «New Year» 16 pezzi, oro e argento Fr. 4.35
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Anche le verdure sono ottime nel tegamino. Scongelare le verdure surgelate prima dell’uso e condirle.
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Cuocere brevemente nel tegamino del pesce a scelta con una salsa pomodoro e brodo brunoise.
Grazie alla consistenza soda della loro carne, salmone, filetto di sogliola limanda e gamberetti sono ideali per la cottura sul grill.
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Idee e acquisti per la settimana
Assortimento Migros-Bio
Migros-Bio
Diversità e varietà
Sempre più bio!
Se all’inizio vi era solo frutta e verdura, oggi quasi tutti gli alimenti sono disponibili in qualità bio. Proponendo di continuo nuovi prodotti, l’assortimento Migros-Bio assicura un’ampia varietà di cibi biologici.
Scoprite come i clienti di una filiale Migros hanno trovato le nuove mandorle con timo e rosmarino e a cosa le abbinano Testo Heidi Bacchilega; Immagini Paolo Dutto
Scoprite continuamente nuovi prodotti bio
Roger Studer «Le mandorle hanno il gusto delle erbe di Provenza. Sarebbero perfette da sgranocchiare davanti alla televisione».
Marlene Beck «Le mandorle sono croccanti e ideali come aperitivo. Sono una buona alternativa alle noci salate».
Migros Bio Pane fresco Twister 360 g* Fr. 3.50
Migros Bio Anna’s Best Vegi Ravioli castagne-funghi porcini 250 g Fr. 5.90
Adrian Frischknecht «È chiaro che si tratta di mandorle con una miscela di spezie. Penso che ci sia timo e sale marino».
Kibrab Keleta «Mmmm... le mandorle sono buone! Mi piacciono. Andrebbero sicuramente bene anche con un bicchiere di vino».
Le mandorle al timo e rosmarino di qualità Migros-Bio sono lavorate e confezionate dalla Delica AG di Birsfelden (BL), un’azienda di M-Industria Migros Bio è sinonimo di agricoltura in armonia con la natura. Il marchio Bio annovera oltre 1300 prodotti.
Parte di
Dora Frey «Hanno un buon sapore, ma è troppo tenue per i miei gusti. Le metterei ancora un po’ in forno».
Da leggere la prossima settimana: degustazione di burro con olio di colza
Migros-Bio Mandorle con timo e rosmarino 170 g* Fr. 5.40
*Nelle maggiori filiali
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Idee e acquisti per la settimana
Assortimento Migros-Bio
Migros-Bio
Diversità e varietà
Sempre più bio!
Se all’inizio vi era solo frutta e verdura, oggi quasi tutti gli alimenti sono disponibili in qualità bio. Proponendo di continuo nuovi prodotti, l’assortimento Migros-Bio assicura un’ampia varietà di cibi biologici.
Scoprite come i clienti di una filiale Migros hanno trovato le nuove mandorle con timo e rosmarino e a cosa le abbinano Testo Heidi Bacchilega; Immagini Paolo Dutto
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Roger Studer «Le mandorle hanno il gusto delle erbe di Provenza. Sarebbero perfette da sgranocchiare davanti alla televisione».
Marlene Beck «Le mandorle sono croccanti e ideali come aperitivo. Sono una buona alternativa alle noci salate».
Migros Bio Pane fresco Twister 360 g* Fr. 3.50
Migros Bio Anna’s Best Vegi Ravioli castagne-funghi porcini 250 g Fr. 5.90
Adrian Frischknecht «È chiaro che si tratta di mandorle con una miscela di spezie. Penso che ci sia timo e sale marino».
Kibrab Keleta «Mmmm... le mandorle sono buone! Mi piacciono. Andrebbero sicuramente bene anche con un bicchiere di vino».
Le mandorle al timo e rosmarino di qualità Migros-Bio sono lavorate e confezionate dalla Delica AG di Birsfelden (BL), un’azienda di M-Industria Migros Bio è sinonimo di agricoltura in armonia con la natura. Il marchio Bio annovera oltre 1300 prodotti.
Parte di
Dora Frey «Hanno un buon sapore, ma è troppo tenue per i miei gusti. Le metterei ancora un po’ in forno».
Da leggere la prossima settimana: degustazione di burro con olio di colza
Migros-Bio Mandorle con timo e rosmarino 170 g* Fr. 5.40
*Nelle maggiori filiali
Tipicamente svizzero.
conf. da 2
5.50
Raccard all’aglio a fette 225 g
Fondue Swiss-Style moitié-moitié e Tradition in conf. da 2 per es. moitié-moitié, 2 x 800 g, 22.40 invece di 28.–
7.90
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Raclette Höhlengold a fette 300 g
20% Tutti i caquelon per fondue (set esclusi), per es. rosso con stelle alpine Cucina & Tavola, 22 cm, il pezzo, 39.80 invece di 49.80, offerta valida fino al 9.1.2017
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Pane croccante 400 g
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2.80 invece di 3.30 Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g
Tutta la carne per fondue chinoise M-Classic surgelata, per es. manzo, 450 g, 22.40 invece di 28.–
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2.20 invece di 3.70 Arance bionde Spagna, rete da 2 kg
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5.90 invece di 9.10 Filetto di manzo Australia, al banco a servizio, per 100 g
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11.90 invece di 17.– Ostriche Marennes Oléron (n. 3) Francia, in conf. da 12 pezzi, con coltello in omaggio
33%
40% Zucchero fino cristallizzato Cristal da 1 kg e da 10 x 1 kg per es. 1 kg, –.60 invece di 1.–
20% Tutto l’assortimento di frutta secca e noci (Alnatura escluso), per es. nocciole M-Classic, 200 g, 2.80 invece di 3.50
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9.50 invece di 19.–
5.40 invece di 7.30
Nuggets di pollo prodotti in Svizzera con carne di pollo dal Brasile/Argentina, in conf. da 900 g
Fettine fesa di vitello tagliate fini TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g
IL PIACERE DELLA GRIGLIATA Si griglia a tavola? È già una festa. Sul fornello da tavola ognuno arrostisce quello che preferisce. Inoltre la carne alla griglia ha un sapore fantastico, proprio come le pommes duchesse alla zucca, ideali come contorno. Trovi la ricetta su saison.ch/consigliamo e tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.
20%
6.95 invece di 8.70 Carne secca dei Grigioni affettata Svizzera, 100 g
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2.35 invece di 3.95 Grill da tavola manzo, maiale e cipollata, Svizzera, per 100 g
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4.50 invece di 7.60 Prosciutto crudo S. Daniele Italia, affettato in vaschetta, per 100 g
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 27.12.2016 AL 2.1.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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8.95 invece di 13.–
11.40 invece di 19.–
Prosciutto cotto 1956 Ferrarini Italia, in conf. da 2 x 120 g/240 g
Salmone selvatico Sockeye MSC pesca, Alaska, 280 g
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1.20 invece di 1.75 Cotechini prodotti in Ticino, imballati, per 100 g
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3.20 invece di 4.60 Filetto dorsale di merluzzo MSC pesca, Atlantico nord-orientale, per 100 g, fino al 31.12
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2.80 invece di 3.50 Insalata di mare prodotta in Italia, al banco a servizio, per 100 g
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1.50 invece di 1.90 Insalata russa prodotta in Ticino, in confezione, per 100 g
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7.10 invece di 14.25 Wienerli M-Classic in conf. da 5 Svizzera, 5 x 4 pezzi, 1 kg
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9.50 invece di 19.–
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Nuggets di pollo prodotti in Svizzera con carne di pollo dal Brasile/Argentina, in conf. da 900 g
Fettine fesa di vitello tagliate fini TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g
IL PIACERE DELLA GRIGLIATA Si griglia a tavola? È già una festa. Sul fornello da tavola ognuno arrostisce quello che preferisce. Inoltre la carne alla griglia ha un sapore fantastico, proprio come le pommes duchesse alla zucca, ideali come contorno. Trovi la ricetta su saison.ch/consigliamo e tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.
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6.95 invece di 8.70 Carne secca dei Grigioni affettata Svizzera, 100 g
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Prosciutto cotto 1956 Ferrarini Italia, in conf. da 2 x 120 g/240 g
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2.80 invece di 3.50 Insalata di mare prodotta in Italia, al banco a servizio, per 100 g
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3.65 invece di 4.60 Le Gruyère grattugiato in conf. da 2 2 x 120 g
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20% Fondue Swiss-Style moitié-moitié e Tradition in conf. da 2 per es. moitié-moitié, 2 x 800 g, 22.40 invece di 28.–
6.30 invece di 7.90 Raclette Cave d’Or in conf. da 300 g
1.40 invece di 2.20 Carote Svizzera, in busta da 1 kg
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2.– invece di 2.50 Furmagèla (formaggella della Leventina) prodotta in Ticino, a libero servizio, per 100 g
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Porcellino portafortuna con pianta da fiore il pezzo
Dessert Tradition Crème in conf. da 4 per es. al caramello, 4 x 175 g
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Bouquet di rose Fairtrade, mazzo da 30 colorato, lunghezza dello stelo 40 cm
conf. da 2
20% Snack Anna’s Best Asia in conf. da 2 per es. dim sum con gamberetti, 2 x 250 g, 11.– invece di 13.80
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
Valorizzare gli avanzi
Festeggiare con i resti
Lo sapevate che? La parte più fredda del frigorifero è quella in basso, verso l’alto la temperatura aumenta. Per questo motivo è opportuno riporre i prodotti più sensibili, come la carne e la salumeria, sul ripiano inferiore. Per la conservazione dei latticini la zona centrale è la più idonea.
Che si tratti di biscotti, salmone o formaggio, gettare ciò che non è stato consumato durante i pasti festivi è un gran peccato. Anche perché con un po’ di creatività gli avanzi diventano gli ingredienti di nuove e sorprendenti pietanze che sbalordiscono per il loro gusto Suggerimenti
Trasformare con fantasia
1+3
2
Cheesecake Dessert per 8 persone, per 1 tortiera apribile di 24 cm Ø
1
I biscotti al panpepato e cioccolato e i milanesini sono particolarmente adatti da utilizzare come base per le torte.
Testo Sonja Leissing; Foto Lukas Lienhard; Illustrazione Rahel Eisenring: Ricette Janine Neininger
3
Ingredienti 70 g di burro ca. 180 g di biscotti di Natale 400 g di formaggio fresco e 100 g di yogurt o 500 g di quark 1-2 uova ca. 100 g di zucchero poco zucchero vanigliato o pasta di vaniglia 2 cucchiai d’amido di mais 1-2 cucchiai di confettura o gelatina, ad es. di fragole, lamponi o albicocche
Preparazione 1. Foderate il fondo della tortiera con carta da forno. Fate fondere il burro. Mettete i biscotti in un sacchetto e sbriciolateli con un matterello. Mescolate i biscotti con il burro fuso e distribuiteli sul fondo della tortiera, formando un bordo di 2 cm. Schiacciate bene la massa e mettete in frigo per ca. 15 minuti.
2. Scaldate il forno a 170 °C. Mescolate il formaggio con le uova, lo zucchero, lo zucchero vanigliato e l’amido fino a ottenere una massa omogenea. Versate la massa sul fondo di biscotti. Mescolate bene la marmellata, versatela goccia a goccia sulla massa e con uno spiedino mescolate per ottenere l’effetto marmorizzato. Cuocete al centro del forno per ca. 45 minuti. Sfornate il cheesecake e lasciatelo raffreddare. Copritelo e mettetelo in frigo per ca. 2 ore.
Suggerimenti Sostituite lo yogurt al naturale con uno yogurt al limone. Tempo di preparazione ca. 30 minuti + cottura in forno ca. 45 minuti + raffreddamento ca. 2 ore
Con i formaggi a pasta molle, come il Brie e il Camembert, e con i formaggi freschi a base di latte di capra o di mucca si possono facilmente formare delle piccole palline, che una volta ricoperte di pepe ai fiori o di un trito di erbette fresche sono perfette per il rinfresco di San Silvestro. Mantecati, molti formaggi a pasta molle si trasformano in salse cremose, che possono poi essere affinate con crème fraîche o quark, da servire con bastoncini di verdure. La maggior parte dei formaggi a pasta dura può invece essere consumata ben oltre la data consigliata. In alternativa il formaggio a pasta dura può essere congelato, grattugiato o a pezzi. Il salmone affumicato si abbina praticamente a tutti i tipi di pasta. Se tagliato a strisce, va aggiunto all’ultimo momento, direttamente sulla pasta, affinché non perda la sua colorazione. Per il brunch uova strapazzate su pane da tost con salmone e germogli di cipolla? Oppure meglio una tartare di salmone con aneto e scalogno tritati molto fini? I biscotti rimasti sono l’ideale per preparare tiramisù o dessert a strati. Sbriciolati, i biscotti natalizi possono essere conservati come base per altri dolci. Finemente grattugiati e congelati, sono un’ottima farcitura per la preparazione delle mele cotte. Per altro eccellente anche l’abbinamento dei Brunsli di Basilea cosparsi sulla zuppa di zucca.
1+2 Pasta con formaggio alle erbe e salmone Piatto principale per 4 persone Ingredienti 400 g-500 g di pasta, ad es. spaghetti sale, pepe ½ - 1 mazzetto di erbe, ad es. erba cipollina, aneto ca.150 g di brie ca. 1 dl di panna semigrassa 150 g-200 g di salmone affumicato
Preparazione Lessate gli spaghetti al dente in abbondante acqua salata. Tritate le erbe. Tagliate il brie a dadini e mescolatelo con la panna. Scaldate lentamente e a fuoco basso la miscela di panna e brie, finché il formaggio inizia a sciogliersi. Scolate gli spaghetti e rimetteteli in pentola.
Aggiungete la salsa e il trito d’erbe e mescolate bene. Unite qualche pezzetto di salmone. Condite con il pepe e servite gli spaghetti con il resto del salmone affumicato.
Suggerimenti Non fate sobbollire troppo forte la panna e il brie, altrimenti la salsa impazzisce. Tempo di preparazione ca. 20 minuti
Ricette di Su www.generazione-m.ch/cucinare-con-gli-avanzi troverete un video con le istruzioni per queste e altre ricette con i resti di cibo. www.saison.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 27 dicembre 2016 • N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
Valorizzare gli avanzi
Festeggiare con i resti
Lo sapevate che? La parte più fredda del frigorifero è quella in basso, verso l’alto la temperatura aumenta. Per questo motivo è opportuno riporre i prodotti più sensibili, come la carne e la salumeria, sul ripiano inferiore. Per la conservazione dei latticini la zona centrale è la più idonea.
Che si tratti di biscotti, salmone o formaggio, gettare ciò che non è stato consumato durante i pasti festivi è un gran peccato. Anche perché con un po’ di creatività gli avanzi diventano gli ingredienti di nuove e sorprendenti pietanze che sbalordiscono per il loro gusto Suggerimenti
Trasformare con fantasia
1+3
2
Cheesecake Dessert per 8 persone, per 1 tortiera apribile di 24 cm Ø
1
I biscotti al panpepato e cioccolato e i milanesini sono particolarmente adatti da utilizzare come base per le torte.
Testo Sonja Leissing; Foto Lukas Lienhard; Illustrazione Rahel Eisenring: Ricette Janine Neininger
3
Ingredienti 70 g di burro ca. 180 g di biscotti di Natale 400 g di formaggio fresco e 100 g di yogurt o 500 g di quark 1-2 uova ca. 100 g di zucchero poco zucchero vanigliato o pasta di vaniglia 2 cucchiai d’amido di mais 1-2 cucchiai di confettura o gelatina, ad es. di fragole, lamponi o albicocche
Preparazione 1. Foderate il fondo della tortiera con carta da forno. Fate fondere il burro. Mettete i biscotti in un sacchetto e sbriciolateli con un matterello. Mescolate i biscotti con il burro fuso e distribuiteli sul fondo della tortiera, formando un bordo di 2 cm. Schiacciate bene la massa e mettete in frigo per ca. 15 minuti.
2. Scaldate il forno a 170 °C. Mescolate il formaggio con le uova, lo zucchero, lo zucchero vanigliato e l’amido fino a ottenere una massa omogenea. Versate la massa sul fondo di biscotti. Mescolate bene la marmellata, versatela goccia a goccia sulla massa e con uno spiedino mescolate per ottenere l’effetto marmorizzato. Cuocete al centro del forno per ca. 45 minuti. Sfornate il cheesecake e lasciatelo raffreddare. Copritelo e mettetelo in frigo per ca. 2 ore.
Suggerimenti Sostituite lo yogurt al naturale con uno yogurt al limone. Tempo di preparazione ca. 30 minuti + cottura in forno ca. 45 minuti + raffreddamento ca. 2 ore
Con i formaggi a pasta molle, come il Brie e il Camembert, e con i formaggi freschi a base di latte di capra o di mucca si possono facilmente formare delle piccole palline, che una volta ricoperte di pepe ai fiori o di un trito di erbette fresche sono perfette per il rinfresco di San Silvestro. Mantecati, molti formaggi a pasta molle si trasformano in salse cremose, che possono poi essere affinate con crème fraîche o quark, da servire con bastoncini di verdure. La maggior parte dei formaggi a pasta dura può invece essere consumata ben oltre la data consigliata. In alternativa il formaggio a pasta dura può essere congelato, grattugiato o a pezzi. Il salmone affumicato si abbina praticamente a tutti i tipi di pasta. Se tagliato a strisce, va aggiunto all’ultimo momento, direttamente sulla pasta, affinché non perda la sua colorazione. Per il brunch uova strapazzate su pane da tost con salmone e germogli di cipolla? Oppure meglio una tartare di salmone con aneto e scalogno tritati molto fini? I biscotti rimasti sono l’ideale per preparare tiramisù o dessert a strati. Sbriciolati, i biscotti natalizi possono essere conservati come base per altri dolci. Finemente grattugiati e congelati, sono un’ottima farcitura per la preparazione delle mele cotte. Per altro eccellente anche l’abbinamento dei Brunsli di Basilea cosparsi sulla zuppa di zucca.
1+2 Pasta con formaggio alle erbe e salmone Piatto principale per 4 persone Ingredienti 400 g-500 g di pasta, ad es. spaghetti sale, pepe ½ - 1 mazzetto di erbe, ad es. erba cipollina, aneto ca.150 g di brie ca. 1 dl di panna semigrassa 150 g-200 g di salmone affumicato
Preparazione Lessate gli spaghetti al dente in abbondante acqua salata. Tritate le erbe. Tagliate il brie a dadini e mescolatelo con la panna. Scaldate lentamente e a fuoco basso la miscela di panna e brie, finché il formaggio inizia a sciogliersi. Scolate gli spaghetti e rimetteteli in pentola.
Aggiungete la salsa e il trito d’erbe e mescolate bene. Unite qualche pezzetto di salmone. Condite con il pepe e servite gli spaghetti con il resto del salmone affumicato.
Suggerimenti Non fate sobbollire troppo forte la panna e il brie, altrimenti la salsa impazzisce. Tempo di preparazione ca. 20 minuti
Ricette di Su www.generazione-m.ch/cucinare-con-gli-avanzi troverete un video con le istruzioni per queste e altre ricette con i resti di cibo. www.saison.ch
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Idee e acquisti per la settimana
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Tutto a portata di mano
Il 2017 è il momento di dare avvio al riordino dell’ufficio di casa. Migros offre tutto ciò che rende più semplice il lavoro d’ufficio di tutti i giorni: raccoglitori, cartelle, mappette e tutto ciò che serve a organizzare le pile di carta e garantire una scrivania ordinata
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Idee e acquisti per la settimana
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