Ombretta Moccetti ci parla di Sportello Alzheimer che si rivolge ai pazienti e ai loro familiari
Chi sostituirà Viola Amherd in Consiglio federale? I candidati del Centro e le possibili sorprese
ATTUALITÀ Pagina 13
Il MASI omaggia l’artista tedesco Ernst Ludwig Kirchner, che in Svizzera riuscì a ritrovare sé stesso
CULTURA Pagina 19
Le emozioni dell’amore maturo
Hong Kong, metamorfosi di una città dall’anima divisa tra identità e controllo, tradizione e modernità
TEMPO LIBERO Pagine 30-31
Scintillare di verde smeraldo
Lugano centro, lunedì scorso verso mezzogiorno. In un posteggio lungo via Bossi qualcuno ha lasciato una berlina azzurro acquamarina. Spicca come un fiore fra le molte altre vetture della zona. Un recente podcast di France Culture conferma quest’impressione: oggi tre veicoli su quattro sono bianchi, grigi o neri, nel 1952 erano rossi, verdi o blu. Cosa è successo nel frattempo?
Negli ultimi decenni anche le pareti interne delle case e degli appartamenti si sono progressivamente decolorate. Negli anni Sessanta e Settanta erano foderate con carta da parati a motivi geometrici o floreali. Negli anni Ottanta erano dipinte con tinte dal giallo oro al rosso mattone; color lavanda nei bagni. Oggi son tutte bianche. Anche nella moda di tutti i giorni indossiamo jeans e capi monocromi chiari o scuri, quasi sempre vestiti neri sopra scarpe sportive bianche. Se non vuoi sbagliare, meglio l’asciutta
sobrietà di un outfit senza eccessi. E così, piano piano, dalle auto ai maglioni, dall’oggettistica in cucina o in ufficio alle pareti del salotto, è passata l’idea che i colori sbraghino la tua immagine; che, sotto sotto, siano volgari. Solo i bambini possono permetterseli.
Per chi è cresciuto negli anni della psichedelia caciarona e allegramente kitsch, la consapevolezza di invecchiare dentro un mondo in bianco e nero è un po’ deprimente. Dove sono finiti i colori, in quest’epoca tristanzuola di pandemie, guerre e crisi economiche?
Nei loghi, per cominciare. In un mondo omologato attorno alla media cromatica tra nero e bianco, nel grigio del cemento e del metallo, i colori vivaci sono una prerogativa dei marchi di successo, che spiccano come semafori sopra i toni asfalto della giungla urbana. Le pubblicità imitano i maschi del pavone, che seducono la potenziale clientela sfoggiando piume arcoba-
leno. La merce è l’esca colorata del nuovo millennio, il marketing dei colori delle confezioni e la sua presa sulla psiche delle masse è la scienza che domina i quartieri generali delle grandi aziende.
Se vuoi distinguerti, per far soldi o per opporti all’andazzo generale, ti colori. L’arcobaleno è il simbolo della diversità rivendicata come un diritto nel mondo della «normalità». Sta nelle bandiere LGBTQ, nei look degli artisti e delle folle danzanti delle Street Parade. Per tutti gli altri il colore è sparito dal mondo reale ed è finito in forze nell’universo virtuale dei videogiochi, che sono una sbornia cromatica, e nelle tinte stupefacenti degli schermi dei computer e dei telefonini. Vestiti di grigio nel mondo grigio, ci tuffiamo a capo chino nella policromia in scatola degli smartphone, compulsando video, post e reel ubriacanti. Di fatto abbiamo relegato il colore dentro un
mondo parallelo che è soprattutto quello del tempo libero, del relax e del divertimento, in opposizione al tempo «occupato» degli impegni quotidiani. In altre parole, c’è il tempo obbligato delle «cose serie» di tutti i giorni ed è incolore. E c’è il tempo rubato delle «cose leggere»: gli ambienti di svago online, le vacanze al mare in infradito arancio e camicia hawaiana, le corse nel bosco in tuta aderente fluo, il Capodanno e il carnevale (in arrivo) coi faccioni di cartapesta, le Guggen e i coriandoli ed è coloratissimo. Viviamo drammaticamente scissi tra il mondo monocromo dei doveri e quello policromo dei piaceri. Fossimo capaci di ispirarci alla natura – che concede al bianco e nero una stagione su quattro: l’inverno – riempiendo di colori e contentezza la quotidianità e la routine, forse anche le nostre pareti, i nostri vestiti e i nostri umori scintillerebbero senza vergogna di rosso ferrarese e verde smeraldo.
Stefania Prandi Pagina 3
Carlo Silini
Un nuovo ACTIV FITNESS a Riazzino
Info Migros ◆ Il 16 marzo Migros Ticino aprirà il suo settimo centro fitness, non perdetevi l’offerta
Da venerdì 14 febbraio la catena di centri fitness sarà presente anche a Riazzino, presso il nuovo Centro Triangolo in via al Pizzante 6, nei pressi del deposito degli autobus della FART. Fino al 16 marzo l’abbonamento annuale sarà proposto allo straordinario prezzo di 649 franchi invece di 799.–. Per apprendisti, studenti, beneficiari AVS/AI il costo sarà invece di 549 franchi al posto di 699.-.
Ubicato a poche centinaia di metri dal supermercato Migros del Centro Leoni, su un’importante arteria viaria del Locarnese, il nuovissimo centro ACTIV FITNESS di Migros Ticino occuperà una superficie di circa 1200 metri quadrati, offrendo un eccezionale rapporto tra prestazioni e prezzo. Come negli altri centri fitness di Bellinzona, Giubiasco, Losone, Lugano, Mendrisio e Vezia, anche a Riazzino la palestra – frutto di un investimento di circa 2,2 milioni di franchi – sarà equipaggiata con attrezzature Technogym ed Escape di ultima generazione. Il pacchetto fitness si baserà su allenamento della forza, resistenza, coordinazione e agilità, così da preparare in modo mirato muscoli e articolazioni e promuovere al meglio la forma fisica. L’offerta sarà completata dal ricco calendario settimanale di corsi di gruppo – circa 25 ore –, che
proporrà agli avventori le ultimissime tendenze nel campo del benessere fisico, come il Bodytoning e il Bodypump, lo Yoga-Flex e il Vital-Fit, il Pilates, lo Spinning e il Bodycombat. L’abbonamento, come di consueto, permetterà l’accesso alla zona wellness, con sauna, biosauna, sauna a infrarossi e «cascata del ghiaccio», così come la possibilità di usufruire del servizio offerto dallo spazio bambini (accesso sino ai nove anni d’età).
Inoltre, i soci potranno allenarsi negli altri 123 centri ACTIV FITNESS presenti in tutta la Svizzera.
Per ogni iscritto verrà elaborato un programma d’allenamento personalizzato e saranno fissati gli obiettivi
da raggiungere, con garanzia d’assistenza per l’intero periodo di validità dell’abbonamento da parte di istruttori che ricevono una formazione altamente qualificata e aggiornamenti continui.
Presso il nuovo centro ACTIV FITNESS Riazzino, sotto la guida della competente gerente Leandra Wuest, tra istruttori fitness, istruttori corsi di gruppo e altre figure, sarà impiegata una ventina di collaboratori.
ACTIV FITNESS è presente in Ticino dall’ottobre del 2014, con l’apertura del primo centro di Losone, e da allora ha riscontrato un notevole successo, sviluppandosi con altre 6 sedi su tutto il territorio cantona-
Tutti ad Airolo per gli Ski Days
le. L’attività è svolta in franchising ed è frutto di un accordo tra Migros Ticino e MoveMi AG, società della Cooperativa Migros Zurigo, leader del settore in Svizzera, con 123 centri e oltre 235’000 iscritti. Nel corso dei prossimi anni Migros Ticino prevede l’apertura di ulteriori centri nel nostro Cantone.
ACTIV FITNESS è aperto 365 giorni all’anno, domeniche e festivi compresi.
Informazioni
Orari delle singole sedi: info@activfitnessticino.ch www.activfitness.ch
Tel. 091 850 86 00
Coesione invece di coesistenza
Socialità ◆ Un concorso che premia l’impegno
26 cantoni, quattro lingue nazionali e tante culture e stili di vita diversi: in Svizzera la diversità ha una lunga tradizione. Perché abbia anche un futuro, servono persone che si impegnino per esserci le une per le altre invece che semplicemente restare le une accanto alle altre. Lo studio del GDI Insieme nella diversità ha messo in luce le caratteristiche della nostra sfaccettata società, evidenziando al contempo i margini di intervento possibili e necessari affinché la società sia ancora più coesa.
Nell’ambito della #iniziativadiversita il Percento culturale Migros mette in palio 100 buoni Migros del valore di 100 CHF l’uno: per partecipare, basta raccontare la propria storia di coesione. Come quella di Eric Menétrey, autista volontario per l’Associazione Transport Handicap, o Nadja Donkor Kaufmann, che si impegna a favore dell’integrazione attraverso corsi di lingue alla Scuola Club.
Informazioni engagement.migros.ch/it/varieta
Sponsoring ◆ Talenti della discesa e famiglie: non mancate all’appuntamento del 22 e 23 febbraio in Leventina
La più grande gara di sci per bambine/i al mondo, ecco cosa è il Grand Prix Migros. Tra gennaio e marzo, si terranno 10 gare di qualificazione in tutta la Svizzera, oltre alla grande finale a Davos.
In totale, circa 6500 bambine/i e ragazze/i di età compresa tra i 4 e i 16 anni si cimenteranno sugli sci. Secondo il motto «molto più di una semplice gara di sci» il villaggio degli sponsor proporrà diverse attività per le/i bambini/e. Numerose sono le stelle dello sci che nel corso degli anni hanno partecipato all’evento, fra cui Marco Odermatt, Loïc Meillard, Lara Gut-Behrami, Michelle Gisin e Wendy Holdener. La manifestazione è resa possibile anche grazie al sostegno (da oltre vent’anni) da parte di Migros, che sarà ancora una volta sponsor principale.
La nuova stagione del Grand Prix
Concorso
«Azione» mette in palio 3 pacchetti famiglia per il Migros Ski Day di domenica 23 febbraio ad Airolo. Per partecipare al concorso mandate una e-mail a giochi@azione.ch (oggetto: «Migros Ski Day 2025»), indicando i dati della vostra famiglia entro il 16 febbraio 2025. Buona fortuna!
Migros è iniziata il 12 gennaio a Les Diablerets; entro la fine di marzo si svolgeranno in tutto dieci gare di qualificazione in diverse località sciistiche svizzere. Il momento culminante della stagione sarà, come ogni anno, la grande finale, durante la quale le/i bambini e le/i ragazze/i più veloci delle gare di qualificazione si sfideranno in due giorni di competizione. La finale del Grand Prix Migros avrà luogo dal 3 al 6 aprile a Davos.
Un video ricordo
Per ogni partecipante verrà realizzato un video individuale che catturerà la discesa con immagini mozzafiato. Questi video personalizzati, resi possibili e finanziati da Migros e Sunrise, saranno disponibili gratuitamente poco dopo l’evento, offrendo ai partecipanti un ricordo speciale e duraturo di un’esperienza unica.
Divertimento assicurato per tutte le famiglie.
Per le famiglie, doppio divertimento sulla neve
Durante quattro fine settimana, bambini e ragazzi avranno l’opportunità non solo di partecipare alla più grande gara di sci al mondo, ma anche di trascorrere una giornata indimenticabile sulla neve insieme alla propria famiglia. Nei weekend doppi organizzati a Hoch-Ybrig, Les Crosets, Airolo
e Riederalp, sarà possibile combinare la gara di sci per bambini e adolescenti con la giornata sugli sci in famiglia del Migros Ski Day. Questo permetterà di vivere un giorno all’insegna della competizione e un altro del divertimento in famiglia sulle piste.
Condizioni di partecipazione e costi Migros Ski Day
• 3-5 persone per famiglia, sci o snowboard
• A lmeno un bambino nato nel o dopo il 2010, max 2 adulti
• Max due partecipazioni per famiglia e per stagione. Tassa di iscrizione 120 CHF/famiglia
• Sconto ulteriore di 25 CHF per membri di Famigros e di SwissSki (prezzo 95 CHF/famiglia)
Gare di qualificazione rimanenti per la Finale di Grand Prix Migros
Domenica 16.2 Sörenberg
Sabato 22.2 Airolo
Domenica 9.3 Lenzerheide
Domenica 16.3 Grindelwald-Wengen
Domenica 30.3 Riederalp
Info e iscrizioni www.gp-migros.ch/fr
In palio 100 buoni da 100 franchi per chi si impegna per la coesione.
SOCIETÀ
Educazione sentimentale
Nel suo ultimo libro Maura Gancitano ci invita a riflettere sulle emozioni e sulle relazioni
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Sportello Alzheimer Incontro con Ombretta Moccetti responsabile del progetto che si rivolge ai pazienti e ai loro familiari
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Donne e malattie cardiache
Al Congresso Europeo di Cardiologia si è parlato soprattutto di prevenzione
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L’ultimo amore non si scorda mai
L’ecografia al tempo dell’IA Durante la gravidanza gli esami ecografici sono molto importanti e ora migliori grazie all’IA
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Relazioni ◆ Secondo studi e testimonianze, l’amore «maturo» può essere più forte di quello provato in gioventù Una realtà confermata anche da due psicologhe
«Ho divorziato alla fine dei miei quarant’anni, dopo un lungo matrimonio e tre figli. Non pensavo che avrei voluto un’altra relazione perché la separazione e gli anni che l’hanno preceduta sono stati orribili. Dopo tre anni in cui sono stata completamente single, godendomi l’indipendenza, ho deciso di chattare online e ho trovato alcuni uomini con i quali c’erano delle affinità. Ho aspettato tre settimane prima di passare all’incontro di persona. Lui viveva a un’ora di distanza da me. Ci siamo frequentati per otto anni mentre abitavamo nelle rispettive case, in attesa che i nostri figli adolescenti crescessero e prendessero la loro strada. Due anni fa, a cinquantanove e cinquantasei anni – lui ne ha tre in meno di me – ci siamo sposati. Sono più felice di quanto avessi mai sognato di essere». Così racconta una donna su Reddit, in un forum aperto da poche settimane, in cui si discute dell’amore dopo i sessant’anni. Come lei, anche altre partono dalla propria esperienza, dimostrando che le relazioni «mature» sono possibili. «Sono vedova e mi sono risposata da due anni» scrive un’altra donna. «Pensavo che non avrei mai più trovato l’amore. A un certo punto mi sono permessa di essere vulnerabile: volevo compagnia e trascorrere il resto della mia vita con qualcuno. Sono grata di averlo trovato».
Una ricerca americana ha provato che il cervello può mantenere attivi i circuiti dell’amore romantico anche in età più avanzata
Diverse ricerche indicano che l’amore adulto può essere non solo intenso quanto quello giovanile ma, per certi versi, migliore. Patrizia Paolini, psicologa e psicoterapeuta del centro Mindcenter, cita lo studio di Bianca P. Acevedo e Arthur Aron della Stony Brook University, pubblicato sulla «Review of General Psychology». La ricerca ha provato che il cervello può mantenere attivi i circuiti dell’amore romantico anche in età più avanzata. «Il sentimento si arricchisce di esperienza, consapevolezza e autenticità, riducendo le insicurezze giovanili – dice Paolini –. Da adulti si tendono a valorizzare la connessione emotiva e la stabilità, rendendo il legame profondo e appagante. Non sono gli anni a determinare la forza dell’amore, ma la qualità della connessione e la capacità di vivere emozioni autentiche».
Anche secondo Ameya Gabriella Canovi, psicologa e autrice di tre libri (l’ultimo è Dentro di me c’è un posto bellissimo. Imparare a volersi bene
affinché l’amore accada, pubblicato da Vallardi), l’amore maturo può essere meno irruento, ma non per forza perde di energia, e arriva quando si è usciti dal «rumore della vita», cioè da quella frenesia causata dal bisogno di fare carriera, dall’insicurezza e dall’urgenza di trovare un posto nel mondo. «Dopo i quarant’anni le priorità cambiano. Non si è più concentrati solo sull’impellenza del fisico. Si desidera altro, si cerca qualcuno con cui condividere un viaggio, il proprio tempo libero, i risultati che si ottengono sul lavoro. L’intimità ne guadagna, ma soltanto se abbiamo imparato a stare bene con noi stessi». Come racconta nel suo podcast Intrecci – l’arte delle relazioni, prodotto dalla piattaforma Storytel (con le nuove puntate in uscita il 14 febbraio), «abbiamo ancora un’idea stereotipata dell’amore, lo intendiamo come un sentimento fusionale, simbiotico e colloso. Penso all’amore che viene cantato nelle canzoni ed è basato su stereotipi. Per me l’amore è dignità e
rispetto. Significa tenere in mente se stessi e l’altro e coltivare il rapporto, senza perdere la propria identità nella relazione. Spesso, invece, ci si mette in disparte». Il fatto che pensiamo che il primo amore sia quello più importante, dimenticando che alcuni sentimenti si possono provare anche quando la prima, grande passione è finita, non è dovuto soltanto ai preconcetti, sosteneva l’antropologa americana Helen Fisher. Potremmo camminare per strada e chiedere ai primi che passano del loro primo amore e potrebbero raccontarcelo nei dettagli, ha detto Fisher in un’intervista a «The Guardian». Come riporta il giornale inglese, per studiare i «circuiti dell’amore», Fisher ha analizzato gli scanner cerebrali di un campione di persone. Ha osservato il tracciato di chi si era innamorato perdutamente, soffermandosi su una minuscola area vicino alla base del cervello, chiamata Vta o area tegmentale ventrale. Si tratta di una piccola regione cerebrale
da cui ha origine il sistema mesolimbico-corticale, con funzioni fondamentali nei processi cognitivi come il piacere, la motivazione e la ricompensa. Una zona che si trova proprio accanto a quella da cui provengono le spinte per la fame, la sete e il bisogno guidato dall’evoluzione di riprodursi, trasmettendo il proprio Dna alla prole. Il primo amore è così decisivo, secondo Fisher, perché costituisce la base delle nostre esperienze successive. Infatti, abbiamo una rete di cellule che si attivano insieme per darci un’esperienza cosciente del ricordo. Attraverso il piacere e il dolore, conosciamo quello che vogliamo provare di nuovo oppure che vogliamo evitare.
Tuttavia, i primi amori raramente sono duraturi. «L’idea di un “ultimo amore” è affascinante e reale per molte persone – dice Patrizia Paolini. – Se il primo amore rappresenta la scoperta e la freschezza delle emozioni, l’ultimo può incarnare la saggezza e la pienezza dell’espe-
rienza. È un sentimento che arriva dopo aver attraversato le complessità della vita, spesso privo di troppe aspettative irrealistiche, ma ricco di autenticità. L’“ultimo amore” non è necessariamente definitivo, però rappresenta una scelta consapevole di vivere il presente con profondità e reciprocità, valorizzando ciò che veramente conta».
Sempre sulla community di Reddit si può leggere un’altra testimonianza: «Alla tenera età di sessantuno anni ho incontrato il mio attuale fidanzato. Lui è l’amore della mia vita e non sono mai stata così felice. Stiamo insieme da quasi tre anni e speriamo di averne altri trenta davanti». Un entusiasmo che viene confermato da Paolini. «La maturità porta a relazioni più autentiche in cui la passione si mescola a un senso di gratitudine e presenza. Rispetto ai sentimenti giovanili l’amore in questa fase può essere meno impulsivo, ma più profondo e costruito su valori condivisi».
«Non è l’età a determinare la forza dell’amore, ma la qualità della connessione e la capacità di vivere emozioni autentiche». (Freepik.com)
Stefania Prandi
Nel segno dell’amore
Attualità ◆ Venerdì 14 febbraio si celebra San Valentino, la festa degli innamorati, ma anche di chi si vuole semplicemente bene Alla Migros c’è qualcosa per tutti, grazie a un’ampia scelta di idee regalo ideali per celebrare questa dolce ricorrenza
I fiori sono considerati messaggeri d’amore e d’affetto e regalano a tutti un gioioso sorriso durante tutto l’anno. In occasione di San Valentino acquistano tuttavia un significato ancora più speciale, diventando di fatto irrinunciabili. Nei reparti fiori Migros in questo giorno speciale si trova una vasta selezione di mazzi di rose, di fiori misti e arrangiamenti ad hoc. I nostri competenti collaboratori sapranno consigliarvi in modo personalizzato.
Rose Rosse Fairtrade a partire da Fr. 4.95
I cioccolatini sono sempre un must per San Valentino. Da noi ognuno trova delle golose idee per ogni budget ed esigenza. Oltre alle classiche praline della marca propria Frey in differenti varietà, proponiamo anche alcune bontà a firma Lindt e Ferrero, come pure piccole dolcezze da non lasciarsi sfuggire.
Pralinés du Confiseur Frey 147 g Fr. 9.50
Lindor Cuore Lindt 200 g Fr. 13.95
Orsetto di marzapane con cuore 55 g Fr 5.20
Marshmallow Heart Flower 50 g Fr. 2.80
Il regalo ideale per portare gioia e colore in occasione della festa degli innamorati. Questo kit della Lego include due rose facili da assemblare, foglie verdi e steli regolabili in lunghezza. Ogni stelo misura 26 cm.
I banchi pasticceria Migros per San Valentino propongono un’irresistibile gamma di dolci, preparati freschissimi dagli abili pasticceri nel laboratorio artigianale di S. Antonino. La proposta spazia dalle torte a forme di cuore S. Honoré, Pan di Spagna frutta e fragole, foresta nera, ai cuoricini di sfoglia ripieni alla crema fino ai biscotti di frolla con ripieno di marmellata di fragole.
I maggiori supermercati Migros, a libero servizio, in occasione della festa degli innamorati offrono alcune golosità di pasticceria a cui è impossibile resistere. Tra queste citiamo per esempio le tortine alle mandorle, il cioccolato fondente, i macarons ai lamponi e vaniglia, la torta di fragole e i discoletti.
Torta di fragole a forma di cuore 490 g Fr. 15.90
Cuori di Macarons 90 g Fr. 5.60
Tortine alle mandorle cuore 212 g Fr. 5.60
Cioccolato fondente cuore 180 g Fr. 4.95
Nella mall del Centro S. Antonino fino a giovedì 13 febbraio ti aspetta un’avvincente attività!
Presso il grazioso selfie corner decorato a tema San Valentino potrai scattare un selfie da postare nelle tue storie taggando la pagina del Centro.
Tra tutti i partecipanti, verranno sorteggiate cinque foto, che vinceranno un’esclusiva torta di San Valentino, da ritirare il giorno stesso della ricorrenza presso il banco pasticceria. Buona fortuna!
Rose Lego 2 pezzi Fr. 16.95 Nelle maggiori filiali
Cuore Foresta Nera 2-4 persone Fr. 14.90
Make-up accattivante per San Valentino?
Novità ◆ Grazie ai nuovi trucchi di Deborah Milano essere bellissime per la festa degli innamorati non è mai stato così facile
Il noto marchio Deborah Milano, tra i leader nel settore del beauty, ha appena lanciato due prodotti innovativi dedicati all’universo femminile. Il mascara Like a Pro Lash Lamination offre risultati professionali anche a casa propria. Altamente performante, ispirato alle ultime tendenze nel make-up, regala alle ciglia una curvatura da sogno, un volume estre-
mo e colore intenso, per un effetto laminazione immediato. Il prodotto si presenta da un lato con il primer dalla texture cremosa dalla formula arricchita con cheratina vegetale e acido ialuronico e, dall’altro, dal mascara dalla texture ultra-nera che dona una curvatura e un volume estremi, completando il look in modo impeccabile. I due scovolini in fibra sottile garantiscono un’applicazione super precisa. Disponibile in cinque tonalità, il nuovo Fondotinta Bio Lunga tenuta di Deborah Milano Formula Pura dalla formula confortevole e idratante a
In vendita nelle maggiori filiali Migros
base di 100% di ingredienti di origine naturale e complessi all’avanguardia, regala una coprenza medio-alta, ideale per mascherare discromie e piccole imperfezioni. Il filtro solare SPF 20 aiuta a proteggere la pelle dai raggi e dall’invecchiamento precoce. La sua formula delicata altamente performante è indicata per le pelli più sensibili e bisognose di trattamenti specifici. Infine, il fondotinta è certificato Vegan e Bio, come pure approvato da Peta per una bellezza sostenibile rispettosa dell’ambiente e degli animali.
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Like a Pro Lash Lamination Fr. 18.–
Organic Long Lasting Foundation SPF 20 Fr. 23.50
L’importanza della cura della propria intimità
Libri ◆ In Erotica dei sentimenti la scrittrice e filosofa Maura Gancitano riflette sul tema
Barbara Manzoni
L’educazione sentimentale è spesso invocata come «rimedio preventivo» quando la cronaca riferisce di episodi di femminicidio, di violenza di genere, di reati di stupro o stalking. Sembra essere indicata anche in caso di alcuni comportamenti dei giovani, ad esempio per una loro presunta difficoltà nel vivere un’affettività serena o per una sessualità che mette a rischio la loro salute e che deve un po’ troppo alla pornografia imperante nel web. Ma che cos’è veramente l’educazione sentimentale? Perché spesso ne diamo definizioni diverse? In quale rapporto sta con l’educazione sessuale? A chi spetta il compito di impartirla? Alla famiglia? Allo Stato? Alla scuola?
Su questi temi riflette la scrittrice e filosofa Maura Gancitano nel suo ultimo libro intitolato Erotica dei sentimenti. Per una nuova educazione sentimentale (Einaudi). L’autrice propone al lettore un percorso che parte dalla definizione stessa di sentimento, emozione, pulsione. Per farlo ci invita a esplorare con sincerità la nostra sfera emotiva e le dinamiche affettive che riteniamo acquisite. E subito ci avverte: «Come ci mostrano le tragedie greche, l’educazione sentimentale non ha niente di oggettivo o di assoluto: è una domanda, più che una risposta incontrovertibile. È qualcosa che costruiamo nel tentativo di descrivere il groviglio inestrica-
bile delle nostre vite emotive, di migliorare il nostro stare al mondo e la convivenza tra le diversità umane». Insomma l’educazione sentimentale è, nell’idea dell’autrice, una costruzione culturale che si muove in un preciso contesto storico e geografico, frutto della sensibilità generale. Ecco perché non la si può concepire come un semplice insieme di regole o comportamenti da rispettare, e tanto meno come una morale preconfezionata («occorre evitare un approccio normativo e prescrittivo dei rapporti umani»). Inoltre, e questa forse è l’idea più originale che l’autrice ci sottopone, l’educazione sentimentale, a differenza di quella sessuale, «non ha un inizio e una fine, ma coincide con tutto il nostro percorso di fioritura». Il libro riesce a mantenere un tono divulgativo, la riflessione è sì filosofica e sociologica ma l’autrice, con molta bravura, coinvolge il lettore utilizzando un approccio narrativo con riferimenti alla letteratura e soprattutto a esperienze personali. In particolare nel terzo e nel quarto capitolo intitolati «Una volta c’erano sani principi» e «Non è sufficiente leggere romanzi?» racconta la propria educazione sentimentale attraverso la letteratura e affronta una delle tante soluzioni facili che ritornano come un mantra nelle opinioni che spesso si leggono sull’educazione sentimentale. Quella che vorrebbe la
letteratura al centro di tale percorso educativo. Insomma perché inventarsi complicate proposte didattiche quando abbiamo i romanzi? Soprattutto i classici, si intende. Una delle fragilità di questo punto di vista sta proprio nel fatto, sottolinea Maura Gancitano, che «la materia dei classici viene sempre interpretata, specialmente quando serve come strumento educativo». Ma la riflessione va ben oltre, si occupa dei «romance» e del perché piacciono così tanto, si interessa all’atteggiamento dei giovani nei confronti dei libri e tra i giovani c’è la figlia stessa dell’autrice che ov-
L’illustrazione della copertina del libro è di Elisa Seitzinger
viamente «legge esattamente quello che le va». Così è proprio l’atteggiamento della figlia a portare l’autrice a parlare di libertà «perché non si può tracciare il percorso di un’altra persona, né avere il controllo sulla sua educazione sentimentale». Gli adulti dovrebbero semplicemente accompagnare i giovani a riconoscere i propri sentimenti. In tutto ciò ci si potrebbe chiedere che cosa c’entra l’erotismo che compare nel titolo del libro. Qui sta la forza del pensiero proposto da Maura Gancitano, che mette il tema dell’eros al centro dell’opera. Non in-
teso come semplice desiderio sessuale ma come una forza vitale che attraversa le relazioni umane. Una sorta di energia intima che rende desiderabile e preziosa la nostra vita emotiva. «Ecco perché – scrive l’autrice – erotica dei sentimenti: non si tratta di creare un decalogo di comportamenti da rispettare, una morale a cui conformarsi, ma di trasmettere il desiderio nei confronti della scoperta di sé e del mondo».
Ovviamente il libro di Maura Gancitano fa spesso riferimento alla realtà italiana, l’Italia d’altronde è uno degli ultimi Stati membri dell’Unione europea dove l’educazione sessuale non è obbligatoria a scuola. Ma al lettore, in realtà, sono proposti man mano molti stimoli di riflessione non tanto politica ma soprattutto intima. Non importa se si tratta di un genitore, di un insegnante, di un pedagogo, di un sociologo, di uno psicologo o di un politico, chi legge viene coinvolto, gli si chiede sincerità e consapevolezza e non è un caso che il libro si chiuda con una domanda: «Cosa accadrebbe, allora, se iniziassimo a proporre l’educazione sentimentale agli adulti?».
Bibliografia
Maura Gancitano, Erotica dei sentimenti. Per una nuova educazione sentimentale Einaudi 2024.
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Alzheimer, il bisogno di essere ascoltati
Incontri ◆ Ombretta Moccetti è responsabile del progetto Sportello Alzheimer presente a Bellinzona, Lugano, Locarno e Chiasso
Stefania Hubmann
Una diagnosi di demenza o comunque legata a un deterioramento cognitivo è un momento delicato sia per il paziente che per i suoi familiari. La presenza fisica in questi luoghi o nelle vicinanze di una rappresentante di Alzheimer Ticino permette di offrire ascolto e informazioni immediate per migliorare la conoscenza della malattia, il suo decorso e i servizi di supporto presenti sul territorio. Lo Sportello Alzheimer – aperto da alcuni anni presso quattro enti a Bellinzona, Lugano, Locarno e Chiasso – risponde a questo bisogno non sempre manifesto ma reale. Raggiungere e aiutare il prima possibile un maggior numero di persone è l’obiettivo del progetto, di cui è responsabile Ombretta Moccetti, fino a giugno 2023 a capo del Centro competenze Alzheimer con sede a Lugano, realizzato in collaborazione con Pro Senectute Ticino e Moesano. Lei stessa assicura al momento la presenza di mezza giornata alla settimana in ognuno dei quattro sportelli situati rispettivamente presso il Servizio Accertamento Medico (SAM) dell’Ente Ospedaliero Cantonale a Bellinzona, la Clinica Moncucco a Lugano, l’Ospedale La Carità a Locarno e l’Area Incontro Arte e Cura (AIAC) a Chiasso che fa capo a all’Associazione Assistenza e Cura a domicilio del Mendrisiotto e Basso Ceresio. La collaborazione con i medici specialisti da un lato e con i professionisti che visitano i nuclei familiari dall’altro è un valore aggiunto a favore della persona malata come pure dei familiari curanti.
«Ricevere la diagnosi di una malattia legata al deterioramento cognitivo rappresenta sempre un duro colpo da elaborare»
L’idea di questo progetto risale a prima della pandemia che però ne ha bloccato l’avvio. Ripreso nel 2023, ha potuto essere concretizzato con un primo Sportello nel luglio dello stesso anno a Bellinzona. Essendo difficile trovare uno spazio adeguato all’interno dell’Ospedale San Giovanni, ci si è accordati per la sede del SAM, situata poco distante. Lo Sportello presso l’Ospedale La Carità a Locarno ha iniziato la sua attività poche settimane dopo. Nell’autunno dello stesso anno è stato aperto il punto d’incontro alla Clinica Moncucco a Lugano e nella primavera seguente quello presso la sede di AIAC a Chiasso. Accolta con favore sia dai medici specialisti, sia dalla Piattaforma dei familiari curanti a livello cantonale, l’apertura dello Sportello Alzheimer segue l’esperienza già collaudata in altri cantoni svizzeri, come ad esempio quello di Berna.
«Le conoscenze della popolazione sulle malattie legate al deterioramento cognitivo sono molto migliorate – spiega Ombretta Moccetti, attiva in Alzheimer Ticino da molti anni – ciononostante ricevere questa diagnosi rappresenta sempre un duro colpo da elaborare. Attraverso lo Sportello possiamo fornire subito tutta una serie di informazioni pratiche, anche se l’attività svolta finora dimostra che sovente uno dei primi bisogni delle persone è quello di essere ascoltate. Questo vale anche per chi non si è ancora rivolto a uno specialista, ma ha dubbi sulla propria capacità di eseguire operazioni di pensiero. Si tratta sovente di giovani anziani ai quali si
offre un approccio soft, indirizzandoli comunque verso la diagnostica». Lo stretto contatto con i medici è uno dei punti di forza di questo servizio. Prosegue la rappresentante di Alzheimer Ticino: «Lavoriamo nel rispetto delle rispettive competenze nell’intento di rafforzare le possibilità di accompagnamento delle persone colpite da demenza e dei loro familiari. La vicinanza fra studi medici e Sportello Alzheimer favorisce la segnalazione della nostra presenza da parte degli specialisti e un feedback nei loro confronti in caso di incontro e accompagnamento». In assenza di Ombretta Moccetti negli Sportelli Alzheimer sono sempre disponibili opuscoli informativi e i recapiti per la presa di contatto. «È possibile presentarsi anche in maniera informale senza appuntamento – precisa l’intervistata – ma la maggior parte delle persone telefona prima». L’utenza è rappresentata più da pazienti o da familiari? «Allo Sportello arrivano entrambi con una piccola maggioranza di familiari. I primi, in genere a uno stadio iniziale della malattia, sono orientati alla ricerca delle prestazioni a livello pratico. Disponendo già di conoscenze di base sulla patologia, formulano soprattutto richieste mirate. Nel caso dei familiari emerge invece la preoccupazione per il futuro. Frequenti sono le situazioni in cui si cerca il sostegno necessario per prendere decisioni dolorose, come ad esempio il trasferimento dal domicilio a un istituto di cura». Alzheimer Ticino presta da sempre particolare attenzione al benessere dei familiari curanti, spiegando loro come la richiesta di aiuto sia un gesto responsabile anche nell’interesse della persona malata. Maggiore è l’energia e il tempo per ricaricarsi di cui dispongono i caregiver, maggiore e di migliore qualità è il sostegno che possono offrire ai loro cari.
La presenza di uno dei quattro Sportelli Alzheimer presso l’ente di assistenza e cura a domicilio (a Chiasso) rappresenta un’opportunità per collaborare con chi ha modo di valutare regolarmente la situazione dei pazienti a casa loro, individuando le criticità e i momenti delicati. Precisa al riguardo Ombretta Moccetti: «Il familiare curante tende ancora sempre a sopravvalutare le proprie forze, per cui è importante capire quale sia la situazione reale al domicilio in modo da adeguare la proposta di un supporto. Non bisogna dimenticare che esistono pure diverse forme di aiuti finanziari di cui queste famiglie possono beneficiare e non tutte ne sono al corrente».
Mantenere il più a lungo possibile le persone affette da un deterioramento cognitivo al loro domicilio è fra gli obiettivi di Alzheimer Ticino, associazione attiva al fronte da più decenni. Il suo nome è legato alla demenza più comune, ma la sindrome include altre forme di perdita solitamente cronica e progressiva della funzione cognitiva. I dati pubblicati sul sito di Alzheimer Schweiz mostrano che secondo le stime più recenti le persone affette da demenza che vivono in Ticino sono oltre 8mila (oltre 150mila in Svizzera). A livello nazionale si indicano da uno a tre familiari coinvolti per ogni persona ammalata. Con l’invecchiamento della popolazione il numero delle persone affette da questa patologia è destinato ad aumentare, per cui la loro presa a carico è oggetto di specifiche strate-
gie a livello federale e cantonale. Da parte sua Alzheimer Ticino ha risposto ai bisogni delle persone ammalate e delle loro famiglie con un’attività crescente sempre più differenziata. L’antenna telefonica, le vacanze Al-
zheimer, i gruppi di auto-aiuto e gli Alzheimer Café sono le tappe significative di questo processo che ora include anche gli Sportelli. Ombretta Moccetti ha seguito ognuna di queste tappe accumulando un’esperienza tale
per cui oggi è una delle figure di riferimento nel nostro cantone per il supporto alle persone affette da demenza e alle loro famiglie. Un’esperienza che nel frattempo hanno maturato anche altre persone, come afferma lei stessa, decisa a passare presto il testimone. «Quale infermiera presso l’Ospedale psichiatrico di Mendrisio all’inizio degli anni Ottanta – conclude ripercorrendo il suo percorso – mi sono confrontata già allora con le problematiche legate alla demenza per le quali non esisteva ancora una presa a carico specifica. È poi stata la malattia di mia madre a motivare il mio impegno per il consolidamento di quella che oggi è Alzheimer Ticino». L’obiettivo finale di tutti coloro che operano in questo ambito è quello di migliorare la qualità di vita delle persone con deterioramento cognitivo e dei familiari che li accudiscono in un lungo e faticoso percorso. Insistere sulla diffusione di informazioni e sulla consulenza è quanto compie lo Sportello Alzheimer avvicinandosi sempre più non solo ai diretti interessati, ma pure ai professionisti che li seguono affinché sia favorito un aggancio tempestivo con la rete di sostegno.
Ombretta Moccetti è una delle figure di riferimento nel nostro cantone per il supporto alle persone affette da demenza e alle loro famiglie.
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Ravioli a forma di cuore
Rosa e a forma di cuore questi ravioli tinti con succo di barbabietole e ripieni di ricotta al limone sono una prelibatezza per occhi e palato.
Antipasto
San Valentino
Cuori pomodoro e burrata
GUSTO
San Valentino
Entrecôte con insalata e toast a forma di cuore
Ingredienti per 2 persone
2 cucchiai di succo di mele
1/2 cucchiaio di senape granulosa
1 cucchiai d’aceto di mele
3 cucchiai d’olio di colza sale pepe
2 fette di pane per toast, ad es. Brioche Toast
100 g d’insalata , ad es. baby leaf
1/2 mazzetto di ravanelli
2 entrecôte di ca. 200 g
5 g di germogli , ad es. di cipolla
1. Per la salsa, mescola il succo di mele, la senape e l’aceto con la metà dell’olio. Condisci con sale e pepe. Ritaglia 1 cuore da ogni fetta di pane per toast, tostali senza aggiungere grassi e mettili da parte. Dimezza i ravanelli. Condisci la carne con sale e pepe. Scalda l’olio rimasto in una padella. Rosola le bistecche ca. 3 minuti per lato, avvolgile nella carta alu e lasciale riposare per ca. 5 minuti. Togli la carta alu e taglia la carne a fette sottili. Servi nei piatti l’insalata, i ravanelli, i germogli, i cuori di toast e la carne. Condisci con la salsa e gusta.
Pie a forma
Ingredienti per ca. 6 pezzi
di pasta frolla dolce già
di confettura , ad es. di di zucchero greggio
di confettura di di succo di limone di zucchero a velo
Srotola la pasta e ritaglia ca. 12 forme, cuori e rettangoli di varia grandezza, in modo da ottenere 6 pezzi doppi della stessa grandezza. Su alcune forme ritaglia dei cuoricini più piccoli al centro. Sbatti l’uovo. Distribuisci ca. 1 cucchiaino di confettura sulle forme di pasta, lasciando libero il bordo. Spennella l’uovo lungo il bordo e ricopri con la forma uguale. Schiaccia bene i bordi con una forchetta. Spennella le tortine con l’uovo e guarniscile con i cuoricini ritagliati. Cospargi di zucchero greggio e accomoda le pie su una teglia foderata con carta da forno.
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3. Per la glassa, scalda leggermente la confettura con il succo di limone, poi passala attraverso un colino e mescolala con lo zucchero a velo fino a ottenere una glassa densa e liscia. Se necessario diluiscila con poco succo di limone. Affina la glassa con la fleur de sel e decora le pie a piacimento. Lascia asciugare la glassa.
2. Scalda il forno a 180 °C. Dora le pie al centro del forno per ca. 15 minuti. Sforna le tortine più piccole un po’ prima delle altre. Lasciale raffreddare su una gratella per dolci.
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La salute del cuore delle donne
Medicina ◆ Al Congresso Europeo di Cardiologia di Londra si è parlato di come prevenire le malattie anche con decenni di anticipo Antonio Caperna
Le donne sono state al centro del Congresso europeo di cardiologia –ESC di Londra. Circa 32’000 professionisti della salute, provenienti da 171 Paesi, hanno partecipato all’evento, che ha coperto tutti i campi della medicina cardiovascolare. Il tema principale del congresso è stato «Personalising Cardiovascular Care». Oltre alla presentazione di 4 importanti linee guida per la pratica clinica ESC e di un nuovo documento di consenso sull’obesità, il Congresso ha avuto un numero record di studi e presentazioni scientifiche: ben 4.400. Nuove ricerche, che cambiano la pratica clinica, sono state illustrate con Cina, Stati Uniti e Giappone in testa. Tra le presentazioni più seguite c’è stato lo studio statunitense del dr. Paul M. Ridker, Direttore del Center for Cardiovascular Disease Prevention presso il Brigham and Women’s Hospital di Boston, secondo cui la misurazione di due tipi di grassi nel sangue insieme alla proteina C-reattiva (CRP), un marcatore dell’infiammazione, può predire con 30 anni di anticipo il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne. Lo studio è stato inoltre pubblicato sulla rivista «New England Journal of Medicine». I ricercatori hanno raccolto campioni di sangue e informazioni mediche da 27.939 operatori sanitari residenti negli USA. Le donne, che hanno iniziato lo studio tra il 1992 e il 1995 (età media di 55
anni), sono state seguite per 30 anni. I ricercatori hanno scoperto che le donne con i livelli più alti di colesterolo LDL avevano un rischio associato di malattie cardiache aumentato del 36% rispetto a quelle con i livelli più bassi. Per quelle con i livelli più alti di Lipoproteina A Lp(a) era aumentato del 33% e, infine, per quelle con i valori elevati di PCR il rischio associato era +70%. Quando tutte e tre le misure (colesterolo LDL, Lp(a) e PCR) sono state valutate insieme, le partecipanti con i livelli più alti avevano un rischio associato di ictus superiore di 1,5 volte e un rischio associato di malattia
come livelli aumentati di infiammazione possono interagire con i lipidi per aggravare i rischi di malattie cardiovascolari – ha affermato Ahmed AK Hasan, direttore del programma presso il National Heart, Lung, and Blood Institute – questo aiuta a spiegare perché livelli più bassi sono spesso migliori». Ma accanto a questo si è parlato molto di prevenzione, ad esempio nell’endometriosi, dove le donne hanno un rischio maggiore del 20% di sviluppare esiti cardiaci significativi rispetto a chi non ne soffre. «Per decenni, la malattia cardiovascolare (CVD) è stata considerata una malattia maschile e i fattori di rischio sono stati considerati dalla prospettiva degli uomini – ha spiegato la dott.ssa
coronarica più alto di 3 volte. I ricercatori sottolineano che, sebbene in questo studio siano state valutate solo le donne, ci si aspetterebbe di trovare risultati simili anche negli uomini. Le cellule immunitarie, che aiutano il corpo a ripararsi da ferite o infezioni, possono anche percepire l’accumulo di colesterolo in eccesso nelle cellule o attivarsi in risposta all’accumulo di placca e inviare segnali infiammatori. Ciò crea un ambiente iperinfiammatorio in cui la placca può formarsi, ingrandirsi o persino rompersi, e causare eventi cardiovascolari. «Negli ultimi anni, abbiamo imparato di più su
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Eva Havers-Borgersen del Rigshospitalet Copenhagen University Hospital, e autrice della ricerca – tuttavia, una donna su tre muore di CVD e una su dieci soffre di endometriosi. I nostri risultati suggeriscono che potrebbe essere giunto il momento di considerare di routine il rischio di CVD nelle donne con endometriosi».
Nello studio sono state coinvolte ben 60’508 donne con endometriosi; nello specifico c’è stato un rischio aumentato del 20% per l’ictus, del 35% di infarto cardiaco. «Suggeriamo che le donne con endometriosi si sottopongano a una valutazione del rischio di malattie cardiovascolari ed è giunto
il momento di considerare i fattori di rischio specifici delle donne, aggiungendo anche il diabete gestazionale e la preeclampsia», ha aggiunto l’esperta danese.
Restando in tema, anche le donne a cui viene diagnosticata la depressione perinatale hanno maggiori probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari nei successivi 20 anni. Lo studio, pubblicato sull’«European Heart Journal», è il primo del suo genere a esaminare la salute cardiovascolare dopo la depressione perinatale e ha trovato i collegamenti più forti con i rischi di ipertensione, cardiopatia ischemica e insufficienza cardiaca. Tra le donne con depressione perinatale, il 6,4% ha sviluppato malattie cardiovascolari rispetto al 3,7% delle donne che non ne avevano sofferto. Ciò equivale a un rischio maggiore del 36% di sviluppare le patologie del cuore. Il loro rischio di ipertensione era circa il 50% più alto, quello di cardiopatia ischemica maggiore di circa il 37% e il rischio di insufficienza cardiaca superiore di circa il 36%. La ricerca è stata condotta dalla Dott. ssa Emma Bränn, dal Dott. Donghao Lu e dai colleghi del Karolinska Institutet di Stoccolma: «Sappiamo che la depressione perinatale è prevenibile e curabile. I nostri risultati forniscono ulteriori motivi per garantire che l’assistenza materna sia attenta alla salute fisica e mentale».
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L’importanza dell’ecografia in gravidanza
Salute ◆ A supporto dell’ecografia prenatale anche l’Intelligenza artificiale che permette di migliorare ulteriormente diagnosi precoci e monitoraggio delle gestazioni
Maria Grazia Buletti
Fra le tecniche diagnostiche non invasive in gravidanza emerge l’ecografia, un esame eseguito in tre distinti periodi della gestazione che favorisce un ottimale monitoraggio delle gravidanze, ancor più quelle cosiddette «a rischio», nonché le diagnosi precoci. Conduce inoltre a ulteriori approfondimenti diagnostici laddove si reputa necessario. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda alle donne in attesa: «È auspicabile effettuare almeno un’ecografia prima delle 24 settimane di gravidanza per valutare l’età gestazionale e individuare con maggiore sicurezza eventuali anomalie fetali».
Applicata all’ecografia ostetrica, l’IA facilita le misurazioni rendendole più precise e migliora la visualizzazione tridimensionale
Il sistema sanitario svizzero riconosce l’importanza dell’esame ecografico in gravidanza per il monitoraggio e la diagnosi prenatale e, in assenza di patologie, ne rimborsa solo due. Per rapporto ai controlli effettuati in passato, oggi all’ecografia si attribuisce un pregio nettamente superiore sotto tutti i punti di vista. Dunque, il motivo per il quale si vuole ricorrere ai soli due esami ecografici in una gravidanza considerata «nella norma» risiede esclusivamente nel contenimento dei costi della salute con cui siamo sempre più confrontati. Tutto ciò non deve scoraggiare nell’ottenere il meglio di quanto si possa fare con le attuali tecniche: «Le indagini ecografiche seriate nelle gravidanze sono essenziali per un migliore controllo della loro evoluzione e per evidenziare eventuali anomalie e, nel caso queste si riscontrino, è necessario procedere a ulteriori e più approfondite indagini. Questo va a beneficio di un quadro più ampio sul procede-
re, sul parto (per il ginecologo) e sul neonato stesso (in aiuto al pediatra che accoglie il nascituro)». È la premessa del dottor Roberto Conturso che alla Clinica Sant’Anna di Sorengo è medico responsabile del Centro di Diagnosi prenatale: «Un servizio che coadiuva l’équipe ostetrica e la neonatologia nella presa a carico ottimale della gravidanza, la nascita e il neonato».
Tre sono le tappe che accompagnano i futuri genitori nel percorso gestazionale: «L’ecografia del primo trimestre, l’ecografia del secondo trimestre (morfologica) e l’ecografia del terzo trimeste (di accrescimento)». La prima è effettuata tra l’undicesima e la quattordicesima settimana: «È un esame approfondito nel quale si visualizzano testa, organi interni, arti, mani e piedini, con la possibilità di identificare eventuali anomalie maggiori. Durante l’esame si studiano alcuni “markers” ecografici e viene misurata la translucenza nucale (espressione di un accumulo di liquido sottocutaneo che tutti i feti presentano a livello della nuca). Esiste una correlazione tra l’ampiezza della translucenza nucale e le anomalie cromosomiche e/o altre malformazioni fetali. Tanto maggiore sarà questa misurazione, tanto più sarà elevato il rischio di avere un feto che presenta anomalie cromosomiche e in particolare la sindrome di Down». Lo specialista sottolinea che, per quanto attendibile, questo esame non è definitivo bensì statistico (valutazione del rischio): «Una translucenza che risulta negativa indicherà un basso rischio; se invece evidenziasse un alto rischio, allora potrebbero essere consigliati ulteriori accertamenti». Nulla, nemmeno un’ecografia seppur così precisa e approfondita, può preservare al 100% da eventuali problematiche.
L’ecografia del primo trimestre ha subìto una grande evoluzione nel tempo: pensiamo che fino allo scorso decennio quest’esame consentiva
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solo di determinare il numero dei feti, la presenza di un’attività cardiaca e confermare l’epoca della gestazione: «Oggi siamo in grado di diagnosticare oltre il 50% delle anomalie fetali, calcolare il rischio personalizzato di un feto affetto da anomalie cromosomiche e identificare (integrando con test biochimici) una serie di complicanze a carico della madre o del feto (ipertensione, iposviluppo e prematurità) che si possono verificare durante la gravidanza». Esiste la possibilità di ricercare frammenti di DNA fetale nel sangue materno per escludere alcune tra le anomalie cromosomiche più frequenti: «Lo scopo è di escludere alcune tra le anomalie cromosomiche più frequenti, soprattutto la Sindrome di Down, con un margine di errore infinitamente piccolo (tra
0.05 e 0.01%)». La ricerca di frammenti di DNA è una metodica che ha «rivoluzionato» lo screening del primo trimestre ma, sottolinea il medico: «Integra e non sostituisce il ruolo centrale dell’ecografia».
A proposito di esami più invasivi come villocentesi e amniocentesi, egli aggiunge: «Potenzialmente pericolosi per il feto, essi sono un’opportunità da discutere con il proprio ginecologo per valutare insieme finalità e rapporto fra rischio e beneficio. Ad ogni modo, ribadisco che essi integrano e non sostituiscono il ruolo centrale dell’ecografia». L’ecografia del secondo trimestre, meglio nota come «morfologica», permette di «vedere» meglio come sarà il nascituro: «È eseguita tra la 19ma e la 22ma settimana e consente di analiz-
zare nel dettaglio l’anatomia del feto (sistema nervoso centrale, scheletrico, cardiocircolatorio e via dicendo), così come di valutarne la crescita». Se in questa fase all’ecografia si dovessero riscontrare situazioni sospette «è auspicabile mantenere un atteggiamento positivo perché occorre molta prudenza anche da parte degli operatori: il sospetto diagnostico va confermato nei controlli successivi perché talvolta potrebbe trattarsi di un artefatto o semplicemente risolversi spontaneamente». E si giunge al terzo trimestre: «L’ecografia del terzo trimestre conferma la presentazione corretta del feto per la nascita e che la placenta sia pure correttamente posizionata; si può inoltre stimare il peso alla nascita e valutare il benessere fetale».
Anche in questo campo, oggi è possibile avvalersi del supporto dell’Intelligenza artificiale: «Applicata all’ecografia ostetrica, l’IA consente non solo di facilitare le misurazioni rendendole più precise e riducendone i tempi, ma anche di riconoscere gli organi fetali ed enfatizzare la visualizzazione tridimensionale. Questa tecnologia sarà sempre più integrata e utilizzata di routine, a vantaggio dell’accuratezza dell’esame diagnostico».
La possibilità di differenziare tutti gli organi ed evidenziare meglio la morfologia del feto ha pure un risvolto psicologico: «Dal punto di vista psicologico è importante che i futuri genitori possano vedere com’è fatto il loro bambino, il suo visino se possibile: ciò è utile a sfatare eventuali timori e produce sempre un effetto estremamente positivo». In conclusione, l’esame ecografico in gravidanza resta il metodo più efficace a disposizione per evidenziare eventuali malformazioni fetali o monitorare gravidanze patologiche: «Come tutti gli strumenti va usato con discernimento e raziocinio, apprezzandone le prerogative senza enfatizzarne le aspettative, consapevoli dei suoi limiti».
Avviso importante: L’allattamento al seno è ideale per il suo bambino. Il latte di proseguimento conviene solo a bambini a partire dai 6 mesi. Chieda un consiglio.
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ATTUALITÀ
Gran Bretagna isolata e in affanno L’economia del Paese è in ginocchio e il premier Keir Starmer cerca di barcamenarsi tra l’Europa e il volubilissimo Donald Trump
Pagina 14
La roccaforte undergroung di Berna Lo storico centro autogestito chiamato Reitschule fa parlare di sé soprattutto per i problemi legati alla sicurezza
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Trump mira al Canale di Panama
La politica estera statunitense si fa più aggressiva mentre si estende l’influenza cinese sulle aree strategiche del pianeta
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Verso un’elezione fuori dagli schemi
Consiglio federale ◆ Per la sostituzione di Viola Amherd, dopo un «fuggi fuggi» generalizzato, al vaglio del gruppo parlamentare del Centro restano due candidati: Markus Ritter e Martin Pfister. Ma il prossimo futuro potrebbe riservare delle sorprese
Spazio, in entrata, al dialetto del Canton Berna e ad un vocabolo che sta sempre più prendendo piede in Svizzera tedesca, anche nel mondo della politica federale. La parola è «gmögig», un aggettivo che significa su per giù piacevole e divertente, una sorta di sinonimo di simpatico. Di recente ne ha fatto uso anche Gerhard Pfister – il presidente dimissionario del Centro – quando ha elencato i motivi che lo hanno spinto a rinunciare ad una sua candidatura in Consiglio federale, dopo le dimissioni della ministra centrista Viola Amherd. Consigliere nazionale dal 2003, Pfister è il decano del Parlamento e ritiene di non essere considerato sufficientemente «gmögig» sotto la cupola di Palazzo federale. Sommata ad altre ragioni, questa lacuna l’ha spinto a non volersi schierare ai cancelletti di partenza in questa corsa verso il Consiglio federale.
Gerhard Pfister ritiene di non essere considerato sufficientemente «gmögig» sotto la cupola di Palazzo federale
Il termine in Bärndütsch era già balzato agli onori della cronaca nel dicembre del 2022 quando le Camere federali elessero Elisabeth Baume-Schneider al posto di Simonetta Sommaruga. La socialista giurassiana venne a sorpresa preferita alla basilese Eva Herzog, anche per una questione di pelle. Herzog era vista come la candidata favorita, per competenza e conoscenza della politica federale. A giocarle contro è stato anche il suo carattere, considerato troppo freddo e poco socievole. L’effetto-simpatia può comunque anche essere di breve durata, lo dimostra il difficile rodaggio in Consiglio federale della stessa Baume-Schneider. Un percorso al momento tutto in salita, segnato in particolare dal brusco abbandono del Dipartimento di giustizia e polizia, dove la ministra giurassiana è rimasta per un anno soltanto. Ora guida gli Interni, un passaggio a sorpresa che era stato accompagnato da critiche e perplessità, in un’atmosfera ben lontana da quella «gmögig» della sua elezione.
Tornando all’oggi e a Gerhard Pfister va detto che questo deputato del Canton Zugo siede in Parlamento da più di vent’anni, è stato eletto nel 2003 ed è al momento il decano delle Camere federali. Una lunga carriera che di certo non gli ha portato soltanto delle amicizie, con diversi problemi emersi di recente anche all’interno del suo partito, in particolare a causa di tensioni tra la dirigenza e una parte del gruppo parlamentare. Pfister ha così preferito continuare a vestire
i panni del deputato, ruolo che a suo dire rispecchia meglio la sua personalità e che gli permette di continuare a dibattere liberamento dentro e fuori il Palazzo. Con lui la lista di chi si è fatto da parte è decisamente corposa, diversi altri possibili «papabili» del Centro hanno gettato la spugna ancora prima di cominciare la corsa. Una sorta di «fuggi fuggi» generalizzato che non si era mai visto nella storia recente del nostro Paese e che ora getta più di un’ombra sui meccanismi di funzionamento interni del Centro. Solitamente le sezioni cantonali di un partito inviano a Berna cinque o sei candidature, che il gruppo parlamentare passa poi al vaglio per poter definire il cosiddetto «ticket», composto dai due nomi (a volte anche tre) chiamati a sfidarsi davanti al Parlamento. Questa la prassi degli ultimi decenni, il primo partito ad utilizzare questo strumento fu l’UDC, nel 1979, quando venne eletto il grigionese Leon Schlumpf. In precedenza la regola non scritta era un’altra, quella del candidato unico. Ogni partito chiamato a sostituire il proprio consigliere federale faceva in modo di presentare
un solo nome al Parlamento, a cui non rimaneva altro da fare che dare il proprio nullaosta. Non sono comunque mancate sorprese e sgambetti, con l’elezione di candidati non ufficiali. È capitato ad esempio anche nel lontano 1959, quando nacque la formula magica con cui i partiti si distribuiscono i seggi in Governo. Per i socialisti venne eletto un candidato «selvaggio», Hans-Peter Tschudi. Una sorpresa ma una scelta che fu decisamente azzeccata, visto che il socialista basilese viene ancora oggi ricordato per essere stato il «padre dell’AVS».
Altri partiti, in particolare a sinistra, potrebbero tentare mosse a sorpresa, per inserire in questa corsa anche il nome di una donna
L’ipotesi di un’elezione fuori dagli schemi si profila anche per la successione di Viola Amherd, visto che il ticket centrista rischia di non soddisfare parecchi parlamentari. I candidati sottoposti ora al vaglio del gruppo parlamentare del Centro sono
solo due, Markus Ritter, consigliere nazionale sangallese e presidente dell’Unione svizzera dei contadini. È lui l’uomo di riferimento della potente lobby agricola in Parlamento, compito che gli garantisce un buon numero di appoggi ma che gli può anche costare una certa dose di contrarietà, soprattutto a sinistra. A sfidarlo un volto molto meno noto della politica svizzera, il consigliere di Stato di Zugo Martin Pfister, responsabile del Dipartimento della sanità nel suo Cantone. Al suo attivo anche una lunga carriera militare, che lo ha portato fino al grado di maggiore. E questo è un aspetto che potrebbe aiutarlo, visto che il nuovo consigliere federale sarà chiamato con ogni probabilità a dirigere il Dipartimento della difesa e a tentare di sistemare i tanti cantieri aperti lasciati da Viola Amherd, ma anche dai due ministri UDC – Maurer e Parmelin – che l’avevano preceduta. Una sfida colossale, visti i tanti progetti, anche miliardari, che ancora faticano a uscire dalle secche di una diffusa malagestione grigioverde. Ritter e Pfister (Martin) saranno sicuramente sul ticket. La loro nomi-
na ufficiale è attesa per il 21 febbraio, ma di fatto si tratta una pura formalità visto che non vi sono altri nomi in circolazione. Un ticket preconfezionato che potrebbe spingere altri partiti, in particolare a sinistra, a cercare mosse a sorpresa, soprattutto per inserire in questa corsa anche il nome di una donna, andando magari a cercarla tra le deputate del Centro che finora non se le sono sentita di lanciarsi in questo giro di giostra. E qui c’è chi fa persino il nome di una o l’altra delle donne di spicco del Partito dei Verdi liberali, a cominciare dalla capo-gruppo Tina Angelina Moser. Una mossa al momento decisamente velleitaria ma che ha trovato anche il sostegno dalla «NZZ» di Zurigo, che non è di certo un quotidiano di sinistra e che la settimana scorsa ha titolato: «Verdi liberali, è il momento dell’attacco». Insomma il Centro dovrà ora guardarsi dai colpi a sorpresa, visto che le criticità emerse in queste settimane danno sicuramente slancio a chi vuole scompaginare le carte. L’elezione è prevista il 12 marzo, con un esito che potrebbe anche non essere molto «gmögig» per il partito di Gerhard Pfister.
Il nuovo consigliere federale sarà chiamato con ogni probabilità a dirigere il Dipartimento della difesa e a tentare di sistemare i cantieri aperti lasciati da Viola Amherd, ma anche dai due ministri UDC, Maurer e Parmelin. (Keystone)
Roberto Porta
Gran Bretagna isolata e in affanno
Il punto ◆ Cinque anni dopo la Brexit l’economia del Paese è in ginocchio e il premier Keir Starmer cerca di barcamenarsi tra un’Europa pigra e il volubilissimo Donald Trump che fa dichiarazioni controverse su qualunque argomento
Cristina Marconi
Un giorno questo dolore ti sarà utile recitava il titolo di un bellissimo libro dello scrittore statunitense Peter Cameron, e lo stesso magari si sperava di poter dire un giorno della Brexit. Solo che, dopo cinque anni di dolorosa operatività, l’uscita dall’Unione europea ancora non si è dimostrata particolarmente utile. Lo dicono i dati: 3 miliardi di sterline di perdite per i controlli all’export alimentare, piccole e medie imprese in ginocchio, burocrazia pervasiva, aumento dell’immigrazione, servizio sanitario nazionale allo sbando senza il personale europeo e università alle prese con un crollo degli studenti, che davanti alla prospettiva di pagare 30mila sterline di tasse si sono rivolti altrove e sono stati sostituiti da giovani asiatici interessati quasi solo alle materie scientifiche e al business.
Il Governo ha dovuto fare un’inversione all’insegna della deregulation e dei grandi progetti controversi e inquinanti
L’economia non ne ha tratto granché, anzi, la crescita è esangue e il Governo di Keir Starmer (nella foto), che ha vinto le elezioni con una vaga piattaforma di sinistra senza chiarire esattamente che Paese avesse in mente, ha dovuto fare una brusca inversione a U all’insegna della deregulation e dei grandi progetti controversi e inquinanti come la terza pista di Heathrow. Come controversa, ma al contrario del resto potenzialmente utilissima, si è rivelata la sparata di Donald Trump, che nelle ultime settimane usa toni sempre più flautati per parlare del premier britannico: nei giorni in cui è stato annunciato un ritorno dei negoziati con Bruxelles per smussare alcuni aspetti dell’uscita dalla Ue, il presidente americano ha detto che con Londra e solo con Londra «si può trovare una soluzione» sui dazi, anche perché Starmer «è stato molto carino», al telefono e di persona: «Vedremo se possiamo o no pareggiare la nostra bilancia». Diventare amici del bullo che fa dichiarazioni controverse su qualunque argomento, a partire da Gaza (leggi box a lato), o schierarsi con i placidi europei, sapendo che una vicinanza può rinfocolare polemiche interne con Reform fortissimo nei sondaggi, che comunque loro vorranno un po’ vendicarsi e che il loro potere di aiutare l’economia britannica a riprendersi ha effetti meno immediati? La posizione del battitore libero in cui si trova Starmer è piena di incognite e rischia di fare arrabbiare tutti, a partire dal volubilissimo Trump, che si diverte a fare il poliziotto buono lasciando che sia il suo collaboratore Elon Musk a prenderlo di mira con attacchi violenti e personali su X e di un tentativo per nulla mascherato di sostituirlo a Downing Street con
qualcuno di suo gradimento. Con una situazione economica come quella del Regno Unito e il rischio che la guerra commerciale indebolisca la domanda di prodotti britannici, il premier deve essere molto cauto e lo sa, e infatti ha dichiarato la sua volontà di restare neutro. «Entrambe le relazioni sono molto importanti e per questo non scegliamo tra le due», ha detto salomonico al termine di un incontro a Bruxelles, ben sapendo che questo equilibrio non potrà durare a lungo.
L’ultimo, o forse penultimo, progressista in giro sulla scena occidentale è in affanno: la sua cancelliera Ra-
chel Reeves, prima donna al Treasury ma anche comunicatrice austera e incline ai passi falsi – il suo libro sulle grandi donne dell’economia risultò copiato malamente da tante fonti, e pazienza che la colpa fosse dei suoi assistenti, il nome sulla copertina era suo – ha esordito a colpi di aumenti fiscali in particolare sul costo del lavoro e regole «d’acciaio» sulla responsabilità di bilancio. Ora, dopo pochi mesi e molti posti di lavoro perduti (anche su di lei erano circolate voci di sostituzione), ha finalmente cercato di infondere un po’ di ottimismo nel sistema-Paese, rispolverando un progetto importante
Il «piano» Trump: cacciare i palestinesi da Gaza
Settimana scorsa Donald Trump ha reso pubblico il suo «piano» per Gaza, scioccando persino alti dirigenti della Casa Bianca e del suo Governo, stando al «New York Times». Gli Usa dovrebbero prendere il controllo della Striscia e i circa due milioni di persone palestinesi che ci vivono dovrebbero andarsene. «I palestinesi – ha scritto il presidente su Truth – sarebbero reinsediati in comunità molto più sicure e belle, con case nuove e moderne. Avrebbero la possibilità di essere felici, sicuri e liberi». «È un’idea straordinaria e penso che dovrebbe essere davvero perseguita, esaminata e realizzata», ha commentato dal
Redazione Carlo Silini (redattore responsabile)
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canto suo il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Molti Paesi si sono detti indignati dalle dichiarazioni di Trump. A partire da quelli del Vecchio continente: «L’Unione europea rimane pienamente impegnata nella soluzione dei due Stati, che riteniamo sia l’unica via per una pace a lungo termine sia per gli israeliani che per i palestinesi», ha detto il portavoce della Commissione europea Anouar El Anouni. «Gaza è parte integrante di un futuro Stato palestinese, è una parte essenziale della futura politica» di tale Stato e «non ci dovrebbero essere ulteriori spostamenti forzati di palestinesi». / Red.
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come la creazione della risposta piovosa e fredda alla Silicon Valley con un rafforzamento delle infrastrutture nella zona del cosiddetto corridoio Oxford-Cambridge e altre iniziative in grado di generare circa 78 miliardi di sterline all’anno già nel 2035. Attualmente per percorrere la distanza che separa le due città universitarie ci vogliono due ore abbondanti nel migliore dei casi e in treno bisogna passare da Londra: Reeves vorrebbe strade migliori, una linea ferroviaria e delle cisterne d’acqua per servire le nuove case da costruire nella zona, in modo da attrarre nuovi talenti anche dall’estero e far scendere i prezzi altissimi dei due poli di quella che i britannici già chiamano Oxbridge. Un’idea visionaria, non nuovissima, ma sulla quale sognare per il futuro. Poi a Davos ha fatto marcia indietro sull’abolizione del regime speciale per i milionari e i miliardari che vivono nel Regno Unito e che per tre secoli hanno potuto tenere la residenza fiscale all’estero, pagando le tasse solo sulle entrate generate nel Paese. Visto che stavano scappando tutti, sottraendo gettito alle casse dello Stato, ha annunciato che il periodo di transizione verrà allungato. E poi, a fine gennaio, ha illustrato tutta una serie di grandi opere, a partire dalla terza pista di Heathrow, di cui si discute da anni e che comunque non sarà pronta prima di un decennio, per cercare di attirare investimenti. Il Governo è in serie difficoltà, e Starmer paradossal-
mente ha ottenuto plausi solo da Donald Trump: il premier laburista è giù nei sondaggi – non piace al 66% degli elettori, secondo YouGov – e gli indicatori economici sono un disastro: il Fondo monetario prevede un Pil al +0,9% per il 2024 e al +1,6% per il 2025, la disoccupazione è in aumento e la fiducia delle imprese in calo. Il 58% dei britannici voterebbe per rientrare nell’Unione europea ma nessuno vuole tornare a parlarne
Su questo, senz’altro, pesa anche l’onda lunga della Brexit, votata nel 2016 ma attuata solo il 31 gennaio del 2020: al di là della questione ideologica, di quel «take back control» che al momento sa solo di solitudine, confusione e mancanza di indirizzo, il fatto che Starmer abbia festeggiato l’anniversario andando a Bruxelles a chiedere di rivedere alcuni punti – difesa, sicurezza, standard alimentari, clima, per citarne alcuni – la dice lunga sull’efficacia del divorzio. Il 58% dei britannici voterebbe per tornare nella Ue, pensa che sia stato un errore uscire, ma nessuno vuole tornare a parlarne, il dibattito è stato troppo tossico, bisogna guardare avanti e cercare di contenere gli eccessi con «spietato pragmatismo», come dice Starmer. Non tornare a quel dolore, ma cercare attivamente qualcosa che si riveli finalmente utile.
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Il futuro incerto della roccaforte underground
Berna ◆ Sono bastate due settimane di chiusura per rimettere al centro del dibattito pubblico la Reitschule, storica realtà autogestita attualmente confrontata con problemi legati alla sicurezza e al cambiamento delle abitudini sociali post-pandemia
Luca Beti
Difficile non notarla, con le sue scritte e i graffiti colorati che fanno a pugni con i muri a graticcio e le torrette grigie. Per alcuni, la Reitschule è «la vergogna della città», per altri è l’ultima roccaforte della cultura alternativa nel cuore di Berna. Da oltre trent’anni, questo ex maneggio incastonato tra binari ferroviari, un groviglio di strade e l’area del Bollwerk, è uno dei simboli della capitale federale, nonché un luogo di scontro ideologico che, a scadenze regolari, si conquista la prima pagina dei giornali regionali e nazionali.
È successo anche all’inizio dell’anno quando il collettivo della Reitschule ha comunicato la chiusura temporanea del centro perché era «impossibile garantire la sicurezza sulla Schützenmatte», la grande piazza antistante, colpevoli «il fallimento della strategia sulla droga, lo smantellamento delle infrastrutture sociali e la politica repressiva in materia d’asilo».
La situazione intorno alla Reitschule è effettivamente degenerata negli ultimi mesi: ripetuti furti, risse, aggressioni e scontri tra bande rivali dedite allo spaccio di droga, con una media di cinque casi di violenza al mese registrati dalla polizia. L’episodio culminante risale al 29 dicembre, quando un uomo è finito al pronto soccorso con un dito amputato dopo un violento alterco. Il presunto aggressore, un algerino di 25 anni, è stato trovato in possesso di un coltello e un machete.
Mercoledì 22 gennaio la Reitschule ha riaperto i battenti, dopo una «pausa di riflessione» che ha permesso ai responsabili di «riorganizzarsi, allacciare contatti e fare la propria parte per trovare una soluzione per migliorare la situazione intorno al centro». Una soluzione che però il collettivo non può trovare da solo. E così, l’ultimo venerdì di gennaio, si è tenuto un importante incontro tra
i rappresentanti del centro culturale alternativo, la polizia cantonale, il Consiglio comunale e il Parlamento cittadino. Promossa dalla nuova sindaca Marieke Kruit (PS), la tavola rotonda è stata un primo tentativo per riavvicinare le parti, superare le tensioni e riprendere il dialogo, già storicamente complesso, giunto a un punto di rottura.
Nonostante il clima costruttivo, dal confronto non sono scaturite misure concrete e definitive. Da un lato, la polizia ha ribadito la necessità di avere pieno accesso al perimetro della Reitschule per garantire la sicurezza, mentre i rappresentanti del centro hanno sottolineato l’importanza di una strategia basata sul sostegno sociale anziché su interventi repressivi.
La Reitschule è quasi un unicum
nel panorama culturale alternativo svizzero. A pochi minuti da Palazzo federale, l’imponente edificio è stato occupato per la prima volta nell’ottobre 1981, dopo che gli ultimi cavalli avevano lasciato il maneggio municipale e la scuola di equitazione. L’esperimento sociale ha però vita breve: dopo soli sei mesi, la polizia interviene sgomberando le e i giovani. L’occupazione definitiva risale al 1987, quando un migliaio di persone riprende possesso della struttura. Una settimana dopo viene organizzato uno «sciopero culturale»: si tratta di un momento di ribellione collettiva con concerti di diverse band, tra cui quelle di Stephan Eicher, Polo Hofer, Züri West, a cui partecipano diecimila persone. Nel corso dei decenni la Reitschule si trasforma in un punto di riferimen-
to per la scena underground svizzera, sostenuta dalla città attraverso un contratto di prestazioni. Inoltre, è diventata un luogo di formazione della gioventù bernese, con il suo piazzale antistante che per anni è stato il più grande punto di ritrovo del Cantone, capace di accogliere fino a 3000 giovani nei fine settimana.
In un’intervista ad Azione, Ueli Mäder, professore emerito di sociologia presso l’Università di Basilea e coautore dello studio Berner Reitschule – Ein sozologischer Blick, ricordava anni fa che si tratta di «uno spazio di socializzazione molto importante.
In città e negli agglomerati urbani ci sono sempre meno edifici autogestiti. Sono palestre d’apprendimento di grande valore. Chi osserva il centro autogestito solo dall’esterno è portato
a pensare che sia davvero una vergogna per la capitale federale». Dietro al suo portone si celano infatti un cinema, un teatro, una tipografia, una falegnameria, una biblioteca, un locale per concerti, uno spazio per sole donne, un ristorante, vari bar e una sala polivalente. Insomma, una ricca offerta culturale e culinaria, a cui persone di vario ceto sociale e formazione non vogliono rinunciare.
Negli oltre 35 anni di storia, tra la Reitschule e Berna si è stabilito così un legame profondo, come dimostra il forte sostegno che la popolazione continua a manifestare nei confronti del centro. Nel 2010, il 70% delle e dei cittadini ha respinto per la quinta volta consecutiva un’iniziativa che ne chiedeva la chiusura.
Tuttavia, di recente qualcosa è cambiato. Pur mantenendo un’offerta culturale di qualità, il centro ha registrato una diminuzione del proprio pubblico, una disaffezione nei confronti della Reitschule da ricondurre a due cause principali: i problemi legati alla sicurezza e il cambiamento delle abitudini sociali post-pandemia. La Schützenmatte, il piazzale antistante, abbandonato in parte dalle e dai giovani, ha perso la sua funzione di aggregazione, diventando un ricettacolo dei problemi sociali attuali e un punto d’incontro della microcriminalità locale.
Il futuro della Reitschule è ora a un bivio, una situazione con cui il centro autonomo è stato confrontato a più riprese in passato. Il contratto di prestazione con la città scadrà nel 2027 e dovrà essere rinegoziato in un contesto profondamente mutato. La sindaca Kruit si è però detta fiduciosa che il dialogo avviato possa contribuire a migliorare la situazione. La sfida sarà trovare un equilibrio tra la preservazione dell’identità alternativa del centro culturale e la necessità di garantire un ambiente sicuro e accogliente per tutti e tutte.
Devo compilare la dichiarazione d’imposta
Quali detrazioni possono farmi risparmiare denaro?
La consulenza della Banca Migros ◆ Il segreto consiste soprattutto nel detrarre le spese e ridurre le entrate, ecco alcuni accorgimenti
Esistono molti modi per ridurre l’onere fiscale. Il segreto sta nel detrarre le spese e ridurre le entrate. Ecco una panoramica dei principali accorgimenti.
Spese professionali
I dipendenti possono detrarre dalle imposte le spese necessarie all’esercizio della loro professione. Queste includono i costi del tragitto per andare al lavoro o per gli indumenti da lavoro come le scarpe antinfortunistiche, ma non i capi rappresentativi come abiti da uomo e tailleur. Anche i costi per il perfezionamento professionale sono deducibili. È inoltre possibile una deduzione forfettaria per i pasti sul luogo di lavoro.
Interessi su debiti e crediti
Chi paga interessi ipotecari per la
proprietà abitativa o interessi su debiti privati può indicarli nella dichiarazione d’imposta. Lo stesso vale per gli interessi sui crediti al consumo, ad esempio per l’acquisto di un’auto.
Previdenza
Coloro che esercitano un’attività lucrativa possono detrarre i versamenti nel pilastro 3a dal reddito imponibile. Se possibile, si dovrebbe versare l’importo massimo per il periodo fiscale in corso, poiché questo consente di sfruttare interamente il vantaggio fiscale. Nel 2024 l’importo massimo per i dipendenti affiliati a una cassa pensioni ammonta a 7056 franchi. Sono deducibili anche i riscatti nella cassa pensioni. L’importo massimo possibile per i riscatti è indicato sul certificato della cassa pensioni dove ci sono ulteriori informazioni. In caso di notevoli lacune previdenzia-
preventivamente da una o uno specialista in finanze.
Spese sanitarie
Oltre ai premi dell’assicurazione malattie e infortuni, è possibile dedurre anche le spese sanitarie se non sono coperte dalla cassa malati, ad esempio le visite dal dentista o l’acquisto di nuovi occhiali. Attenzione: per la maggior parte dei cantoni, le uscite devono rappresentare almeno il 5% del reddito netto meno le deduzioni.
Gestione patrimoniale
Un potenziale di ottimizzazione è nascosto anche nei costi ricorrenti legati alla gestione patrimoniale. È possibile detrarre ad esempio i diritti di custodia o le commissioni per i conti bancari, ma anche per una cassetta di
sicurezza o per il rilascio di un attestato fiscale.
Immobili
Chi possiede un’abitazione di proprietà beneficia di investimenti in misure di risparmio energetico, come l’installazione di pannelli solari o di finestre ad alta efficienza energetica. Anche le manutenzioni e le ristrutturazioni (cucina, bagni, pavimenti, tetto) sono deducibili.
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li, occorre distribuire i riscatti in più periodi fiscali per poter beneficiare della massima detrazione fiscale. L’ideale sarebbe far verificare il riscatto
Sven Illi, consulente alla clientela della Banca Migros.
Pur mantenendo un’offerta culturale di qualità, la Reitschule ha registrato una diminuzione del proprio pubblico. (Keystone)
Perché Trump mira al Canale di Panama
Prospettive ◆ La politica estera statunitense si fa più aggressiva mentre si estende l’influenza cinese sulle aree strategiche del pianeta Giulia Pompili
Sin dalla sua campagna elettorale, Donald Trump ha più volte dichiarato la sua intenzione di «riprendersi» il Canale di Panama. Ha menzionato la vicenda perfino durante il discorso d’insediamento, sostenendo che l’infrastruttura, cruciale per il commercio globale come il Canale di Suez, sia ormai controllata dalla Cina e che vada strappata al suo dominio. Ma di recente la polemica si è intensificata. Nel suo primo viaggio all’estero da nuovo segretario di Stato dell’Amministrazione Trump, Marco Rubio è andato proprio a Panama, dove ha incontrato il presidente José Raúl Mulino e ha parlato di una situazione «inaccettabile»: la Casa Bianca avrebbe «stabilito in via preliminare che l’attuale posizione di influenza e controllo del Partito comunista cinese sull’area del Canale di Panama è una minaccia». Qualche giorno prima Trump aveva accusato le autorità di Panama di voler eliminare le prove del presunto «controllo» cinese sulla rotta interoceanica, sostenendo che il Governo panamense stava cercando di cancellare il 64% dei cartelli scritti in cinese presenti nella zona del Canale. Secondo il presidente americano, quei cartelli sarebbero la prova dell’influenza cinese nella regione. Le sue dichiarazioni bellicose erano arrivate poco prima dell’inizio del tour di Rubio a Panama, in Guatemala, El Salvador, Costa Rica e Repubblica dominica-
na, per rafforzare i legami diplomatici degli Usa con la regione e, probabilmente, rafforzare anche la posizione dell’Amministrazione Trump sulla questione del Canale, che fino a poche settimane fa sembrava una spacconata trumpiana, una boutade, e adesso invece assume i contorni di un obiettivo concreto.
«Il Canale di Panama è gestito in modo efficiente da mani panamensi e la crisi migratoria nella giungla del Darién è stata stabilizzata», ha dal canto suo detto il presidente Mulino, respingendo le accuse di Trump. Il Canale di Panama, che attraversa l’Istmo di Panama e collega l’Oceano Atlantico con l’Oceano Pacifico, è stato costruito dagli Stati Uniti e inaugurato nel 1914, diventando un’infrastruttura strategica per il commercio marittimo globale. Grazie alla nuova via d’acqua, che sfrutta un sistema di chiuse, tutte le imbarcazioni possono evitare il lungo e pericoloso viaggio intorno a Capo Horn, all’estremo sud dell’America. Per decenni Washington ha mantenuto il controllo del Canale, amministrandolo come un proprio territorio d’oltremare. Ma negli anni Settanta la crescente tensione tra la Repubblica di Panama e Washington ha portato alla firma dei trattati Torrijos-Carter, il 7 settembre 1977. Gli accordi stabilivano il trasferimento della gestione del Canale da Washington a Panama, un lungo processo che si è completato il 31
dicembre del 1999. Da allora, gli Usa hanno iniziato a usare il Canale di Panama come tutti gli altri, ma la piccola Repubblica dell’America centrale utilizza ancora il dollaro statunitense come valuta corrente e non ha una banca centrale né forze armate.
Secondo diversi rapporti d’intelligence, l’Amministrazione Trump non ha tutti i torti sull’influenza che Pechino, negli ultimi anni, ha aumentato nell’intera regione dell’America Latina, con frequenti visite diplomatiche dei rappresentanti del Partito comunista e attraverso ingenti prestiti e investimenti infrastrutturali concessi a diversi Paesi di aree tradizionalmen-
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te alleate di Washington. L’attenzione di Pechino su Panama è iniziata poco più di una decina di anni fa: nel 2017 la Repubblica di Panama ha chiuso le relazioni diplomatiche con Taiwan –che la Cina rivendica come proprio territorio – e aperto quelle con la Repubblica popolare cinese. Per il leader cinese Xi Jinping quella decisione aveva cambiato, e di molto, la proiezione della Cina in America Latina. Da anni, infatti, Xi sta lavorando per trasformare la Cina in un monopolio del trasporto marittimo internazionale, aumentando il controllo sui porti stranieri, dominando la produzione e il movimento di cargo e cercando vie
preferenziali diplomatiche nei passaggi strategici come il Canale di Panama e quello di Suez. L’influenza strategica cinese in alcuni punti nevralgici dei traffici internazionali è ormai considerata da quasi tutte le agenzie d’intelligence internazionali un problema per la sicurezza.
Trump, dal canto suo, ha spesso utilizzato argomentazioni geopolitiche per giustificare azioni di politica estera aggressive, e in molti hanno perfino paragonato il caso del Canale di Panama con lo schema usato dalla propaganda russa con l’Ucraina: così come Putin ha giustificato l’invasione dell’Ucraina parlando di un presunto accerchiamento della Nato, così Trump sta cercando di costruire una retorica secondo cui Panama avrebbe «svenduto» il controllo del Canale alla Cina, minacciando la sicurezza nazionale statunitense. Anche perché, parallelamente alle tensioni con Panama, Trump ha riacceso un’altra controversia geopolitica sin dall’inizio della sua presidenza: la sua ambizione di acquisire la Groenlandia, che dopo un iniziale scetticismo internazionale ha acceso diverse preoccupazioni tra i leader europei. Le due vicende – quella del Canale di Panama e della Groenlandia – mostrano come Trump stia cercando di ridefinire la politica estera americana con un approccio aggressivo, basato su un’interpretazione estrema della dottrina «America First».
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Al centro il segretario di Stato americano Marco Rubio visita il canale di Panama. (Keystone)
Il Mercato e la Piazza
Dove e perché mancano lavoratori qualificati
Seguo l’evoluzione del mercato del lavoro da più di cinquant’anni. In questo periodo molte cose sono cambiate. Con i provvedimenti di freno della congiuntura del 1964 è cambiato l’orientamento delle nostre autorità nei confronti dell’immigrazione di manodopera. Una posizione abbastanza liberale è stata sostituita, almeno fino alla fine del secolo scorso, da un controllo rigido orientato verso la limitazione della popolazione straniera nel nostro Paese. All’inizio degli anni Settanta è scomparso lo statuto dello stagionale. Con la forte recessione del 1975 è apparsa la disoccupazione, un fenomeno che non si riscontrava più, da noi, da almeno 30 anni. Con gli anni Ottanta dello scorso secolo, tuttavia, la richiesta di lavoratori ha ricominciato a crescere e con questa tendenza si è fatta più intensa la caccia alle ultime riserve di mano d’opera indigena. Così il tasso di attività fem-
Affari Esteri
minile, vale a dire la quota della popolazione attiva femminile che lavora, è andato di anno in anno aumentando. Parallelamente si è sviluppata anche la quota dei lavoratori a tempo parziale. Nel 2001 è stata introdotta la libera circolazione della manodopera e da allora non cessano di crescere, nell’economia, l’offerta di posti di lavoro e, nell’opinione pubblica, l’opposizione a questa riforma. Queste sono le trasformazioni del mercato del lavoro che, in misura maggiore o minore, si sono manifestate in tutta la Svizzera. Sarebbe comunque un errore pensare che l’evoluzione di questo mercato, essenziale per l’economia, sia stata dappertutto uguale. Soprattutto a partire dal 2001 si è infatti notato che la struttura dell’occupazione nei Cantoni di frontiera è evoluta in modo diverso da quella degli altri Cantoni. Per illustrare questa diversità possiamo compara-
re l’evoluzione del mercato del lavoro del Ticino, Cantone di frontiera, con quella del mercato del lavoro nazionale. Nel periodo 2001-2022 l’effettivo dei posti di lavoro è aumentato in Svizzera e in Ticino più o meno nella stessa misura: rispettivamente 41,1% e 43%. Per assicurare questa eccezionale crescita dell’occupazione si è fatto ricorso, in Ticino come nel resto del Paese, sia alla manodopera indigena che a quella estera. Ma in misura diversa. Così, a livello nazionale, il 51,2% dei nuovi posti di lavoro – più della metà – sono stati occupati da persone di nazionalità svizzera. In Ticino invece la quota indigena nell’aumento dei posti di lavoro è stata del 24,7%. Differenze tra il nostro Cantone e la media nazionale si manifestano anche nei riguardi delle quote dei lavoratori stranieri residenti e dei frontalieri nella crescita dell’occupazione. A livello nazionale, la quota più importante è quella dei
Germania, la rivincita di Friedrich Merz?
L’annuncio delle elezioni anticipate sono piombate sulla Germania inattese, nei giorni in cui gli occhi del mondo erano puntati altrove, cioè sulla vittoria di Trump in America. Nella distrazione generale, nel novembre scorso c’era stato un litigio interno alla coalizione al Governo a Berlino – che unisce i socialdemocratici dell’Spd, i Verdi e i liberali dell’Fdp – ma non era la prima volta ed era sembrato risolvibile, pur nell’insofferenza. Invece no, i liberali hanno rotto il patto di coalizione e così il cancelliere, Olaf Scholz, si è ritrovato a dover fare una conta incerta che ha portato alla decisione di votare il 23 febbraio.
Scholz, che è ancora il candidato del suo partito, arriva mesto all’appuntamento, dopo aver governato in modo a tratti incerto, di sicuro cauto, senza alimentare grande entusiasmo neppure nei suoi sostenitori, a volte ingiustamente. È arrivato al potere nel set-
tembre del 2021, dopo il lungo regno di Angela Merkel, e nel giro di pochi mesi è cambiato tutto perché Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina e ha costretto l’Occidente, e particolare la Germania, a ripensare il proprio posto del mondo. Non è nemmeno partito male, Scholz, con il discorso più citato del suo cancellierato, quello sulla Zeitenwende, il momento della svolta, e non ha nemmeno sbagliato molto visto che la Germania si è emancipata dalle risorse russe da cui era dipendente ed è il più generoso sostenitore dell’Ucraina dopo gli Usa, ma si è mosso riluttante e poco convinto, senza prendere l’iniziativa, senza fare il leader. Il prezzo di questa riluttanza lo paga lui e tutto il suo partito, l’Spd, che non ha voluto o forse potuto sostituirlo – il ministro della Difesa, Boris Pistorius, si è ritirato dalla corsa – e che ora viaggia attorno al 15% nei sondaggi, dieci punti in meno ri-
spetto alle elezioni delle 2021, al terzo posto. Prima di lui i conservatori della Cdu/Csu (Unione) e l’estrema destra dell’AfD. Già prima che le elezioni anticipate si rendessero inevitabili, Friedrich Merz, leader della Cdu, era dato per il futuro cancelliere della Germania. La Cdu ha vinto le elezioni europee nel giugno 2024 e il suo consenso è cresciuto, arrivando a essere il doppio del partito di Scholz. Merz, 70 anni il prossimo novembre, è un avvocato, da sempre attivo nella Cdu, che ha tentato più volte di guidare, ma sulla strada aveva trovato Angela Merkel, cancelliera per più di un decennio: la loro rivalità è una delle storie politiche più chiacchierate della Germania. Non è mai stato popolare, Merz, ha subito anche umiliazioni pubbliche negli scontri diretti con Merkel, ma questo è il suo momento, la sua rivincita. Sulla sua strada ora però c’è l’estrema
di Angelo Rossi
lavoratori stranieri residenti che hanno assicurato il 35,6% dell’aumento dell’occupazione nel periodo esaminato. In Ticino, invece, la quota più importante è quella dei frontalieri. Se la mia calcolatrice non si sbaglia, i frontalieri rappresentano infatti il 61,5% dell’aumento nell’effettivo delle persone occupate. Si tratta di differenze nell’evoluzione dell’occupazione per origine dei lavoratori che dovrebbero essere sempre tenute presenti quando si esamina la situazione prevalente sul mercato del lavoro. Quest’osservazione vale in modo particolare per le difficoltà che si incontrano nel reclutamento di manodopera supplementare. Sappiamo che, dopo il periodo del Covid, la domanda di posti di lavoro da parte della manodopera poco qualificata è aumentata, mentre invece resta carente quella da parte di lavoratori qualificati. Che la situazione sul mercato del
lavoro (svizzero e di altre Nazioni) evolva in questo modo lo dobbiamo a trasformazioni fondamentali avvenute in questi ultimi due decenni. Sia il progresso tecnologico che la trasformazione dei processi produttivi indotta dai nuovi obiettivi della politica di protezione dell’ambiente e di lotta contro il cambio climatico, passando dalla digitalizzazione delle attività di produzione, dell’amministrazione e dei trasporti, hanno fatto crescere l’offerta di posti qualificati da parte dei datori di lavoro. Intanto l’invecchiamento della popolazione ha influito negativamente sull’evoluzione degli effettivi disponibili di manodopera qualificata. Oggi quindi i datori di lavoro di tutto il Paese sostengono di incontrare grandi difficoltà a reclutare manodopera qualificata. Queste difficoltà sono tuttavia minori nei Cantoni che, come il Ticino, possono far capo ai frontalieri.
destra dell’AfD, che ormai è al 20% dei consensi (la Cdu al 30), e che è come tutti questi partiti radicali (in un modo particolarmente intollerabile, avendo venature neonaziste) allo stesso tempo un partner impossibile ma un partito che non si può non considerare. Merz ha escluso più e più volte di voler formare un’alleanza con l’AfD, il «cordone sanitario» con lui terrà, ma alla fine di gennaio al Bundestag, in un voto non vincolante sull’immigrazione, l’AfD è stata decisiva. Essendo una prima assoluta, molti si sono chiesti se quello fosse il preludio di un cambiamento, la credibilità di Merz si è ammaccata, le piazze si sono riempite. Presentando di recente il suo programma, il leader della Cdu ha ribadito il fatto di non poter mai formare una coalizione con l’AfD perché c’è un distacco valoriale incolmabile su temi quali la democrazia o la Russia. Gran parte degli analisti tedeschi dice
che non c’è da temere sull’affidabilità della promessa di Merz. Ma il problema della governabilità non si risolve. Molti hanno accarezzato la possibilità di una coalizione moderata tra la Cdu e i Verdi, che non è naturale (la Cdu ha in programma di smantellare alcune proposte ambientaliste introdotte dai Verdi) ma che esiste già in alcuni Lander. Ora però i numeri non ci sono. L’alternativa sarebbe la grande coalizione tra conservatori e socialdemocratici, che è un matrimonio forzato ma con anche tante possibilità di essere stabile. Ma nemmeno l’alleanza Cdu e Spd ha la maggioranza. Si dovrà quindi trovare, se così poi saranno i numeri, una nuova combinazione ed è questo che preoccupa di più visto che nel frattempo la Germania si è trasformata nel grande malato d’Europa e non necessita solo di stabilità, ha bisogno di levarsi cautele, tentennamenti e dotarsi di un po’ di coraggio.
di Paola Peduzzi
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CULTURA
Stile e identità culturale
La nuova traduzione di Greco cerca greca di Dürrenmatt modernizza l’opera, ma perde in svizzeritudine
Pagina 21
Sovrapproduzione libraria
Più pubblicazioni, meno lettori: un paradosso che colpisce anche chi lavora nel mondo dell’editoria
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Parole e suoni a teatro
Da Bello sarebbe… alla danza teatrale di Gli anni: un viaggio tra narrazione, storia e memoria
Pagina 24
Una saga mediorientale Tratta dal romanzo Miss Jerusalem, The Beauty Queen of Jerusalem è un’accattivante serie televisiva
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Kirchner, che cercò pace tra le montagne svizzere
Mostre ◆ Al MASI di Lugano i suoi dipinti dialogano con le opere dei pittori del gruppo Rot-Blau, nato in Ticino
Alessia Brughera
«Con la fede in una evoluzione, in una nuova generazione di creatori e di fruitori d’arte, chiamiamo a raccolta tutta la gioventù e, come gioventù che reca in sé il futuro, vogliamo conquistarci libertà di azione e di vita, contro le vecchie forze tanto profondamente radicate»: così recita il manifesto in caratteri gotici, stampato in xilografia, che nel 1906 Ernst Ludwig Kirchner propone per la prima mostra del Die Brücke (Il ponte), tracciando le premesse ideologiche del gruppo nato a Dresda che sarebbe stato all’origine della più vasta corrente dell’espressionismo tedesco.
Kirchner e compagni considerano l’arte come estrinsecazione diretta dei conflitti interiori, focalizzandosi sulla dimensione esistenziale irrisolta dell’uomo e sulla sua condizione di costante tensione e angoscia. Il nome scelto per il movimento (con riferimento allo Zarathustra di Nietzsche: «La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo») incarna l’idea di un passaggio dal vecchio al nuovo secolo, dalla tradizione accademica a una visione della creazione artistica incentrata sull’istintività e sulla voglia di rinnovamento.
Pittore, scultore e incisore tedesco, Kirchner, nato ad Aschaffenburg nel 1880, prima del forte turbamento psicologico che l’esperienza della guerra gli provoca, crede davvero in un modo di vivere e dipingere spontaneo e autentico. La sua pittura, negli anni di Dresda così come in quelli trascorsi a Berlino, vive di colori intensi e antinaturalistici, di pennellate intrepide e di prospettive distorte, nel totale disinteresse delle convenzioni. È uno stile sviluppato sulla lezione di van Gogh, di Munch e di Ensor nonché sulla conoscenza dell’arte africana, di cui l’artista apprezza la forte carica primitiva.
Già incline alla depressione e di fragile salute mentale, poco dopo essersi arruolato volontariamente nell’esercito nel 1915, Kirchner viene congedato a causa di un forte esaurimento nervoso, i cui postumi segnano profondamente il resto della sua esistenza. Quel «carnevale cruento», come l’artista stesso definisce il primo conflitto mondiale, lo traumatizza e destabilizza. Da qui in poi è un susseguirsi di ricoveri in sanatori e di crolli morali e fisici acuiti anche dall’abuso di sostanze stupefacenti.
Quando poi, negli anni Trenta, i nazionalsocialisti etichettano Kirchner come «artista degenerato», la sua salute peggiora in maniera drastica. Le opere del pittore confiscate dal regime sono ben 639, alcune delle quali esposte a Monaco di Baviera alla mostra diffamatoria del 1937 intitolata proprio «Entartete Kunst » (Arte degenerata), organizzata in concomitanza con una grande rassegna d’arte tedesca che celebrava invece lo sti-
le approvato dalla Germania nazista, la cosiddetta «arte pura». Una vicenda drammatica, questa, che causa a Kirchner un tale turbamento da condurlo al suicidio nel giugno dell’anno seguente.
Eppure, nonostante i travagli personali e professionali che minano la sua vita, Kirchner dà sempre prova di un carattere forte e di grande autostima, curando nel dettaglio la propria carriera artistica e promuovendo sé stesso con costanza e arguzia. Non soltanto è sua prassi abituale correggere i contributi critici che vengono pubblicati su di lui, ma arriva addirittura a inventare un critico d’arte, dal raffinato nome francese, dietro al quale si cela per anni per parlare a suo gusto della propria attività creativa.
Dell’intensa carriera artistica del maestro tedesco, la mostra allestita al Museo d’arte della Svizzera italiana a Lugano sceglie di raccontarci gli anni trascorsi nei pressi di Davos, dove Kirchner giunge da Berlino nel 1917, sconvolto dalle vicende della guerra, e dove rimarrà fino alla sua morte.
L’approdo in Svizzera segna per lui un momento di passaggio, una sorta di «ponte», parola a lui tanto cara, verso una rinascita. La natura alpestre nei Grigioni ospita un uomo annichilito e sfiduciato ma ancora pronto a rialzarsi. A dimostrarlo sono le parole che l’artista scrive nel 1927 dietro lo pseudonimo del critico france-
se da lui creato: «Quest’anno ricorrono i dieci anni da quando il giovane pittore tedesco Ernst Ludwig Kirchner, malato terminale, giunse da Berlino nei Grigioni dove trovò ospitalità e cure amichevoli per guarire oppure per morire. Riuscì a risalire la china. Rimase in montagna e, in solitudine, creò un secondo corpus di opere, che già oggi supera notevolmente sia per ampiezza che per importanza quello realizzato in Germania».
Sebbene a Davos Kirchner viva in solitudine, riesce a mantenere i contatti con il mondo dell’arte e a promuovere il proprio lavoro dentro e fuori i confini elvetici. In questi anni, inoltre, il suo linguaggio pittorico si trasforma, aprendosi a tonalità più chiare e luminose, grazie «all’aria limpida delle montagne», e a soggetti legati al luogo, come la vita contadina o il profilo iconico del Tinzenhorn.
Radunate a Lugano sono dieci opere, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, scelte perché esposte in due rilevanti mostre dedicate a Kirchner, la collettiva alla Kunsthalle di Basilea del 1923 e la personale al Kunstmuseum di Winterthur del 1924, che hanno avuto il merito di far conoscere l’artista in Svizzera.
Tra i lavori presentati spicca un prestito eccezionale dalla Collezione Thyssen-Bornemisza di Madrid, l’Alpküche (Cucina alpestre) del 1918,
un dipinto dalle tinte brillanti e dalla prospettiva alterata che ricorda certi interni vangoghiani. Emblematica della vita rurale incontaminata sulla Stafelalp è poi l’opera Alpaufzug (Salita all’alpe) del 1919, uno dei primi quadri di Kirchner di grande formato che immortalano un soggetto alpino, qui restituito attraverso pennellate vigorose e un uso soggettivo delle proporzioni che lo rendono un riflesso dell’inquieto mondo interiore dell’artista.
Di particolare interesse per la sua storia è Bauernmittag (Il mezzogiorno dei contadini), del 1920, uno dei lavori di Kirchner che il regime nazista aveva ritenuto appropriato per essere esposto alla già citata mostra d’arte degenerata organizzata a Monaco di Baviera: il dipinto era stato scelto per la fisionomia dei personaggi, considerata caricaturale e offensiva, e presentato in rassegna con l’accompagnamento di una didascalia ingiuriosa.
Altrettanto significativa, per motivi diversi, è l’opera Waldlandschaft mit Bach (Paesaggio boschivo con ruscello) datata 1925/26, tra i quadri maggiormente presi a modello da alcuni giovani artisti basilesi – Hermann Scherer, Albert Müller e Paul Camenisch – che proprio in quegli anni frequentano assiduamente Kirchner ammirandone lo stile e la potenza espressiva, e che nella notte di San Silvestro del 1924, nel nostro Cantone, preci-
samente a Castel San Pietro, fondano il gruppo Rot-Blau, eleggendo entusiasticamente il maestro tedesco loro mentore.
Ecco allora che i lavori di Kirchner esposti in mostra instaurano uno stretto dialogo con le opere dei suoi seguaci presenti nelle collezioni del Museo luganese, testimoniando come nell’ultimo periodo della sua esistenza l’artista sia riuscito a essere fonte di ispirazione per le nuove generazioni di pittori espressionisti. Dei suoi discepoli Kirchner si sente guida sicura e non risparmia energie nel supportarli in varie occasioni. E quando alla fine degli anni Venti due di loro muoiono di tifo facendo sfumare il suo sogno di sviluppare e promuovere una scuola che potesse raccogliere la sua eredità artistica, il pittore così scrive: «Metterò in piedi ancora una volta un nuovo Kirchner. Dopotutto, l’arte è cambiamento continuo e invecchiare secondo uno schema consolidato è mestiere, non arte».
Dove e quando
Da Davos a Obino. Ernst Ludwig Kirchner e gli artisti del gruppo Rot-Blau. Museo d’arte della Svizzera italiana, Lugano – sede LAC. Fino al 23 marzo 2025. Orari: ma-me-ve 11-18; gio 11-20; sa-do-festivi 10-18. www.masilugano.ch
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Ernst Ludwig Kirchner, Bauernmittag (Il mezzogiorno dei contadini), 1920. (Collezione privata, Svizzera)
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Dürrenmatt oggi: come rileggere un classico?
Letteratura comparativa ◆ Con la nuova edizione di Greco cerca greca si ripropone la riflessione sulla fedeltà traduttiva e sul potere delle diverse scelte stilistiche
Manuela Mazzi
Geniale, ironico, pungente, Friedrich Dürrenmatt ha affascinato da sempre i suoi lettori con trame caustiche e allegorie filosofiche. Così ha fatto anche in Greco cerca greca (Grieche sucht Griechin. Eine Prosakomödie, Verlag der Arche, 1955): non uno dei romanzi più noti, ma per noi forse il più riuscito. Quella che potrebbe venir definita una favola moderna incarna infatti tutto lo stile corrosivo e tagliente dell’autore svizzero, maestro nel mettere a nudo i paradossi della società borghese soprattutto di Zurigo, quale città assurta nei suoi lavori a emblema elvetico.
In Greco cerca greca Dürrenmatt ha creato una farsa caricaturale che delinea in modo divertente e crudele il mondo afflitto dal perbenismo, dai giochi di potere, dai valori distorti, dalla banalità dei bluff dell’essere umano, dal dilagante servilismo ipocrita, dalla pochezza dei sentimenti nobili, dai falsi miti, dal potere del sesso che fa girare l’universo,… dando spazio a quel suo sarcasmo sottile, che non si è mai limitato a deridere i conformismi del suo tempo, ma ha esplorato la fragilità dei sistemi morali che regolano il mondo moderno. E oggi, dopo anni in cui era fuori catalogo e dunque pressoché irreperibile, questa «commedia in prosa» è tornata sugli scaffali grazie a una nuova traduzione di Margherita Belardetti, pubblicata da Adelphi (2024), che ha di certo il merito di aver ridato vita a quest’opera.
Nel solco della… traduzione
Ma come si inserisce questa nuova versione nel solco tracciato dalla storica traduzione di Mario Spagnol, datata 1963 per l’edizione Feltrinelli, e ripresa nel 1975 per le edizione Einaudi?
La traduzione di un’opera come questa rappresenta sempre una sfida. Dürrenmatt ha costruito un linguaggio che, nella sua apparente semplicità, nasconde intricati giochi di significato e ironia, spesso – e diremmo quasi giocoforza – legati al contesto culturale svizzero. La scelta delle parole non è mai neutra, e ogni traduzione, per quanto fedele, inevitabilmente riflette la sensibilità del traduttore, non solo la lingua d’arrivo. Nel caso di Belardetti, traduttrice di buona esperienza (che ha già saputo confrontarsi con autori di grande calibro come Robert Walser e lo stesso Friedrich Dürrenmatt, Il sospetto nel 2022), questo processo a noi sembra che si sia qui manifestato attraverso una maggiore morbida fluidità del testo, che potrebbe avvicinare il lettore italiano a Dürrenmatt, ma non senza qualche inevitabile perdita lungo il percorso; perdita che ci permette di dare spazio a riflessioni sul grado di fedeltà letteraria mantenuto, o no, rispetto all’originale e all’edizione precedente.
Un paragrafo da esempio
Nel farlo, ci avvaliamo di un paragrafo che riportiamo nelle due versioni italiane per permettere al lettore di seguire le nostre considerazioni:
Traduzione di Mario Spagnol, 1963 –«Loro stavano sul quai, davanti al palazzo del Presidente. Il fiume era gonfio e fangoso; lo attraversavano ponti dalle ringhiere arrugginite; passavano
chiatte vuote con i pannolini stesi ad asciugare e i capitani infreddoliti che, la pipa in bocca, andavano su e giù per la coperta. Le strade s’erano riempite d’una folla domenicale: nonni solenni accompagnati da lindi nipoti, famiglie in riga sui marciapiedi».
Traduzione di Margherita Belardetti, 2024 – «Si trovavano sul lungofiume, davanti al palazzo presidenziale. Il fiume era color del fango, rigonfio oltre-misura. Ponti dai parapetti arrugginiti lo scavalcavano, chiatte vuote passavano con panni stesi e capitani infreddoliti che andavano avanti e indietro sulla tolda, fumando la pipa. Ovunque un brulichio domenicale di folla a spasso: nonni parati a festa con nipotini in ghingheri, famiglie accalcate sui marciapiedi».
Diciamo subito che abbiamo altresì effettuato un confronto con l’originale grazie all’aiuto di una traduttrice svizzera di nostra conoscenza, trovando che ci sia maggior fedeltà letterale (i panni sono in verità pannolini, anche in tedesco; ah! La satira può nascondersi persino nei diminutivi) oltre che culturale, secondo noi, con la versione di Mario Spagnol, nonostante tra i due sia Margherita Belardetti ad avere radici svizzere, essendo nata a Sorengo (seppur vanti una lunga carriera formativa in Italia). Ma veniamo alle motivazioni che hanno che fare principalmente con le scelte stilistiche che possono apparire lievi, ma sono comunque in grado di cambiare l’impatto complessivo dell’opera.
Quai o lungofiume?
Tra queste, l’aspetto linguistico in-
terviene anzitutto nella resa delle descrizioni. Un esempio che a noi risulta significativo – nel paragrafo preso quale modello – è l’uso del termine «quai», che nell’edizione di Spagnol mantiene la connotazione originaria, più vicina all’ambientazione suggerita da Dürrenmatt: ancora oggi nella lingua della svizzera italiana si predilige il termine usato da Spagnol, mentre il lungofiume ci rievoca semmai il lungomare, da noi poco in uso per ovvie ragioni; meglio, il lungolago, che però più spesso viene detto la riva. Nella nuova traduzione di Belardetti, di fatto, il termine lungofiume appare una scelta moderna e adatta a un pubblico italiano. Si potrebbe dire che ciò migliori l’accessibilità al testo grazie all’ambientazione più astratta e meno locale, tuttavia così facendo a noi sembra che corra il rischio di allontanare il lettore dall’atmosfera svizzera in cui si muovono i personaggi. Ugualmente accade con l’aggettivazione del fiume: nella vecchia traduzione, è descritto come «gonfio e fangoso», immagine che richiama alla mente i nostri fiumi in piena, i quali diventano tali con le grandi piogge. Nella versione di Belardetti, il fiume è semplicemente «color del fango», un’immagine meno concreta, che può sembrare più poetica ma che, al tempo stesso, perde il legame con la specificità elvetica, facendo venire alla mene il Tevere, per non dire il Gange, entrambi sempre di quel colore. Questo tipo di adattamento, di certo elegante, come detto contribuisce a una visione più universale, ma allontana dalla verosimiglianza geografica in cui è ambientata la narrazione.
Sotto, da sinistra: copertina della prima edizione in tedesco, Verlag der Arche, 1955; copertina Einaudi, 1975; copertina Adelphi, 2024.
Per non parlare dei parapetti: arrugginite possono essere al massimo le ringhiere, non certo i parapetti che risultano essere moderni, idealmente di acciaio, perché «moderna» risulta la parola nel nostro linguaggio locale, rispetto alle ringhiere. Questione di semantica, non di realtà oggettiva.
La resa della trama
Tralasciando altri dettagli di questo genere, è – in un certo senso – sulla resa della trama che si giocano però le differenze più sottili tra le due versioni. Greco cerca greca racconta la storia di Arnolph Archilochos, un uomo mediocre e ordinario, la cui vita prende una svolta inaspettata quando pubblica un annuncio per trovare moglie. La risposta arriva da Chloé Saloniki, una donna misteriosa che non solo sconvolge l’esistenza di Arnolph, ma smaschera la natura fittizia del suo «mondo consolidato». La trama, a metà tra il comico e il tragico, rivela un Dürrenmatt più che mai attento a scardinare i miti della borghesia, mettendo in discussione tutto ciò che sembra saldo e immutabile, compreso l’amore.
Nella traduzione di Spagnol, l’atmosfera di decadenza borghese è accentuata da un linguaggio che, anche nella sua semplicità, evoca con precisione l’immagine di una società ingessata nei suoi rituali e convenzioni. La nuova traduzione di Belardetti, invece, spinge piuttosto su un certo alleggerimento che, pure non perdendo il senso dell’umorismo o della satira, sfoca certe caratteristiche rendendole meno taglienti.
Non solo dettagli tipografici
In tal senso, uno degli interventi più significativi riguarda l’uso delle maiuscole, che in questo romanzo non sono semplici dettagli tipografici, ma veicolano l’ossessione del protagonista Archilochos per l’«Ordinamento morale del mondo», sottolineando la sua cieca idolatria nei confronti proprio di quel sistema sociale che Dürrenmatt non manca di demolire con feroce ironia. Nella versione di Belardetti, l’abolizione di molte maiuscole sembra alleggerire il testo, rendendolo più scorrevole, ma al contempo meno incisivo nella sua lettura allegorica. Non da ultimo, nella descrizione della folla domenicale, la nuova traduzione dipinge un’immagine più caotica, con famiglie «accalcate» sui marciapiedi e nonni «parati a festa» con nipotini in «ghingheri» che, pur essendo un termine, quest’ultimo, a noi familiare, sembra adattarsi più al linguaggio popolare che alla borghesia zurighese, cui invece appartengono i «nonni solenni e i nipoti lindi» della traduzione precedente, che mette in «riga» le famiglie, ora sì ordinatamente svizzere, non solo secondo il nostro immaginario. Questo cambio di registro non è solo linguistico, ma come si vede può modificare la percezione del lettore sulla classe sociale di riferimento, spostando l’equilibrio della narrazione.
Fluidità o profondità?
Per concludere, la nuova traduzione di Margherita Belardetti rappresenta senza dubbio un contributo importante alla riscoperta di Greco cerca greca, portando l’opera di Dürrenmatt a un pubblico più ampio. Tuttavia, il confronto con la traduzione di Spagnol rivela come certe scelte stilistiche, apparentemente minime, condizionino l’interpretazione culturale delle scene. Certo: la satira del romanzo è feroce, e sia nella vecchia sia nella nuova traduzione emerge lo spirito dell’autore, sebbene con sfumature diverse. La vecchia traduzione trasmette una sensazione di maggiore «autenticità elvetica» attraverso dettagli che sembrano riecheggiare la Zurigo borghese di Dürrenmatt. Mario Spagnol era riuscito a preservare un rispetto quasi filologico per la struttura e l’immaginario dell’originale tedesco. Al contrario, la nuova traduzione sembra più orientata verso un pubblico italiano, con scelte linguistiche che, nonostante siano accurate ed eleganti, rischiano di attenuare e talvolta distorcere leggermente sia l’ironia sia la precisione dell’immaginario svizzero.
Chi conosce l’opera di Dürrenmatt e ne apprezza la sottigliezza ironica potrebbe dunque trovare nella traduzione di Spagnol un ancoraggio più forte al contesto culturale originario. In definitiva, entrambe le versioni offrono un valido accesso a Greco cerca greca, ma la scelta tra le due dipenderà da ciò che il lettore cerca: una lettura fluida e moderna, o un’immersione più profonda nel mondo borghese che Dürrenmatt amava così tanto ridicolizzare.
Bibliografia
Friedrich Dürrenmatt, traduzione di Margherita Belardetti, Greco cerca greca, Adelphi, 2024.
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Hong Kong tra radici storiche
Marco Moretti, testo e foto
La giacca di Mao Zedong in cashmere di tutti i colori con la fodera in seta decorata dai multipli con cui Andy Warhol raffigurò il leader cinese, è la nota creazione pop con cui Shanghai Tang, il più famoso fashion designer di Hong Kong, dipingeva nel 1996 il futuro della Cina. La colonia britannica situata alla foce del Fiume delle Perle, Hong Kong, era di fatto vista come un ponte, politico e culturale, tra Cina comunista e Occidente. Il take-away cinese – come lo scrittore Paul Theroux battezzò in Ultimi giorni a Hong Kong il passaggio della colonia britannica a Pechino nel 1997 – fu però ben diverso dalla metafora dello stilista. Non fu la Cina a diventare come Hong Kong, bensì il contrario. Non ci furono gli espropri – tra squallore, inganno e corruzione –narrati nel romanzo dell’autore americano. Ma, a metà percorso, Pechino non rispettò gli accordi che concedevano a Hong Kong cinquant’anni di autonomia politica e, reprimendo i movimenti per la democrazia, provocò l’esodo di 300mila giovani professionisti (su sette milioni e mezzo di
in un viaggio attraverso skyline, feng shui e cultura pop
abitanti) verso Paesi più liberali: soprattutto Canada e Australia. Intervento che influenzò negativamente l’economia di una città, un tempo tra le più dinamiche del mondo.
Sempre più cinese
Reportage ◆ L’evoluzione urbanistica e culturale della città simbolo della fusione
In quella che fu una delle maggiori piazze finanziarie, la borsa stagna ai livelli del 1997. Ed è crollato il turismo occidentale. Oggi la quasi totalità dei visitatori, come degli investimenti, viene dalla Repubblica Popolare. Hong Kong è sempre più cinese. M+ – il maggiore Museo di arti visive dell’Asia, inaugurato nel 2021 a West Kowloon – insegue la Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976) tra filmati e grafica di propaganda dell’epoca, oltre a spaziare tra arte contemporanea e design di tutto l’Estremo Oriente. E l’opera Chanel n. 5 del pechinese Wang Guangyi – un manifesto icona delle guardie rosse contaminato dalla famosa maison – sembra la risposta, sempre in chiave pop, alla provocazione di Shanghai Tang.
L’edificio che ospita M+ è diventato uno dei simboli di Victoria Harbour, la baia che divide Hong Kong Island da Kowloon: le due principali aree della città, gli opposti che la compongono.
Hong Kong Island
A Hong Kong Island – l’isola improduttiva di 80 kmq ceduta da Pechino a Londra nel 1841 dopo la sconfitta della Prima Guerra dell’oppio – si coglie ancora l’impronta britannica. Colorati tram di latta a due piani trillano tra il canyon di avveniristici grattacieli che forma i quartieri Central e Wan Chai (nucleo originario della colonia). Torri di acciaio e cristallo svettano con forme appuntite, squadrate, ellittiche: s’innalzano con vetrate nere, azzurre, dorate. Edifici costruiti con impalcature di bambù: la pianta simbolo della tenacia orientale al servizio di un’urbanistica proiettata nella fantascienza.
furia con tram, auto e bus tra svincoli di cemento. Mentre uomini e donne passeggiano tra marciapiedi e viadotti appoggiati al primo piano degli edifici: un labirinto di passerelle e piazze che conducono a banche, alberghi, centri commerciali. E da Central la scala mobile più lunga del mondo risale per 800 metri la montagna tagliando vie e slarghi su cui si affacciano pub, ristoranti, boutique e immancabili gabbiette di uccelli.
Un futurismo tradizionale
L’assetto stradale di Hong Kong Island si articola su diversi livelli. Il fondo strada è per il traffico, che in-
È la città del futuro che ispirò nel 1982 al regista Ridley Scott Blade Runner, il film cyber-punk ambientato in una distopica Los Angeles del 2019, ma con molte scene girate proprio a Hong Kong, come quella del jet che (nei pressi del vecchio aeroporto) sorvola a bassa quota una via piena di ristoranti all’aperto con i cibi spadellati nei wok su fuochi vivi.
attraversano gli edifici – è copiato in questi giorni da Chongqing, la più popolosa municipalità del mondo (33 milioni di abitanti), il principale porto fluviale sullo Yangtse (Fiume Azzurro) situato al confine meridionale del Sichuan, nel centro geografico del gigante giallo.
Il modello urbanistico di Hong Kong – con diversi livelli per uomini e mezzi di trasporto e con treni che
Hong Kong è proiettata nel futuro ma è ancorata alla tradizione. I suoi grattacieli sono costruiti secondo le regole del feng shui per indirizzare la sorte. La torre dell’Hong Kong Shanghai Bank (HSBC) – la cattedrale del commercio del distretto finanziario di Central – fu progettata da Norman Foster seguendo le indicazioni del consulente di geomanzia Koon Lung secondo il quale «i due leoni all’ingresso rappresentano la forza e i principi universali di ying e yang. L’interno dell’edificio è vuoto per accogliere l’energia veicolata dalla luce solare. La scala mobile sghemba è nella direzione propizia per portare il denaro al primo piano dove ci sono gli sportelli. La banca ha due porte, una rivolta alla montagna da dove arrivano i soldi, l’altra al mare, fonte d’influenze positive» .
Hong Kong, vista da Victoria Peak; nella pagina accanto in senso orario: barca a Victoria Harbour; tram tra i grattacieli; Tempio Man Mo; Shanghai Tang boutique.
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L’illusione della scelta infinita
Editoria ◆ Un’indagine sulle contraddizioni tra il numero crescente di libri pubblicati e la stagnazione dell’interesse pubblico per la lettura
Paolo Di Stefano
Siamo nell’età dell’eccesso e dell’indistinto. E i libri non si sottraggono a questa aria del tempo. Secondo i dati Istat (Istituto italiano di statistica), nel 2023 sono usciti 85’192 libri, che equivalgono a circa 280 libri al giorno (solo i feriali). Nel 2024 sono sicuramente cresciuti e nel 2025 arriveremo a sfiorare i 100mila. Il paradosso è che la crescita di produzione libraria è inversamente proporzionale al numero dei lettori, diminuiti in Italia di circa un milione rispetto al 2023. Qualche giorno fa, il mio quasi omonimo Paolo Di Paolo, scrittore e giornalista (non è un parente), ha inviato al giornale web Dagospia una nota, lamentando il fatto che tra quelli che leggono sempre meno ci sono anche gli addetti ai lavori: cioè gli editori in primis, i funzionari editoriali e i giornalisti. E ci sono anche i politici, gli imprenditori, i manager, gli autori televisivi. Persino gli insegnanti leggono poco, e non solo i docenti di scuola secondaria: è triste vedere i professori universitari fare corsi sui soliti bestseller o invitare per conferenze accademiche solo gli autori premiati allo Strega. Ci si chiede: possibile che, anche per loro, come per i festival e per la televisione, l’unico criterio di scelta sia il successo? Di Paolo conclude: «Difficile fare proseliti se non si ha più fede».
In effetti, come si può promuovere la lettura se non si legge (o si leggono soltanto i soliti noti)? Io che non faccio che leggere senza avere la pretesa di promuovere la lettura, non riesco a star dietro a un centesimo di quel che esce. Purtroppo, non ho ancora imparato le tecniche della lettura trasversale, e se devo recensire un romanzo lo
leggo tutto, lo annoto e spesso lo rileggo. Il tempo limitato (le 24 ore quotidiane, i sette giorni alla settimana) mi costringe a trascurare libri anche molto importanti che compero (o che ricevo in omaggio da editori, da autori, da amici o pseudo amici), che mi piacerebbe leggere e che purtroppo finiscono per giacere a lungo su una scrivania, progressivamente sovrastati da altri volumi che restano lì, sovrastati a loro volta dai nuovi arrivi destinati a essere sovrastati, e così all’infinito. Sommerso da questa mole spaventosa (comunque, per fortuna, una minima parte del totale delle uscite), non faccio che maturare sensi di colpa rispondendo picche ad autori (amici e no) che mi sollecitano a leggere i loro libri (anche quelli non ancora pubblicati). Non posso negare di vivere con una certa ansia certe richieste pressanti di lettura.
Pur tuttavia, mi sento un privilegiato. Ci sono addetti ai lavori editoriali e/o culturali che non hanno il tempo di leggere nulla. Prendiamo l’addetto-tipo dell’ufficio stampa di una qualunque casa editrice. Anni fa era un’attività che spettava a intellettuali e scrittori di primo piano, come Italo Calvino, Guido Davico Bonino, Nico Orengo, Ernesto Ferrero: si trattava e si tratta di tenere i rapporti con gli autori, che un tempo erano spesso rapporti di amicizia e di scambio alla pari; di promuovere un romanzo o un saggio presso i giornali, puntando sugli elementi di forza e di novità per attivare l’interesse dei critici e in definitiva del lettore. Quando Calvino alzava il telefono, lo faceva a ragion veduta. Oggi l’ufficio stampa non può
materialmente occuparsi con attenzione della valanga di titoli sfornata dalla sua casa editrice: può semmai soffermarsi rapidamente su alcuni aspetti più o meno significativi orecchiati qua e là, oppure segnalati in una sinossi o nella quarta di copertina. Nessuno si sogna di «perdere tempo» a leggere interamente i libri da promuovere, ma molti fingono di averli letti o almeno ne parlano come se…
Qualche settimana fa mi sono imbattuto in un paio di errori clamorosi leggendo le bozze (licenziate per la stampa) di un romanzo molto atteso: ho segnalato le incongruenze allo stesso funzionario editoriale che pochi giorni prima me ne aveva tessuto le lodi. Per spiegargli in che cosa consistevano gli errori, ho dovuto richiamare alcuni personaggi del libro; ma di fronte al suo imbarazzo, mi sono sentito costretto a chiedere al mio interlocutore: «Tu il libro l’hai letto?». Messo alle strette, mi ha risposto in tutta onestà di no. Avrebbe girato le mie segnalazioni all’editor che aveva seguito (o non seguito) il romanzo. Errori così macroscopici dovevano essere avvistati immediatamente a una prima lettura sul «dattiloscritto» e discussi dall’editor con l’autore. Il sospetto è che l’editor non abbia fatto il suo dovere, e che non abbia letto il libro come avrebbe dovuto. Probabilmente ha avuto pochissimo tempo a disposizione, pressato da altri libri da editare (senza leggerli, ovviamente). C’era un tempo in cui se qualcosa sfuggiva all’occhio del redattore, il correttore di bozza avrebbe provveduto a rimediare.
D’accordo, ma la domanda-chiave è: perché si pubblica tanto se si vende sempre meno? Prima risposta: perché pubblicando tanti libri un editore (grande e piccolo) è più visibile sugli scaffali della libreria. Secondo: perché pubblicando tanti libri, hai statisticamente più probabilità di azzeccare il titolo che vende. Terzo: se si scegliesse la strada della decrescita, gli editori pubblicherebbero solo i libri che vanno in televisione o i probabili bestseller. Questa terza risposta è l’unica che guarda alla qualità. Il guaio è che qualità letteraria, anzi letteratura, è diventata sinonimo di noia, di difficoltà e quindi di insuccesso. E se i primi a non crederci sono gli editori, figurarsi i lettori.
Satira editoriale
Pubblicazione ◆ La vendetta dei bibliotecari esplora la cultura libraria con fumetti e parodie sottili
Elisa Rossello
Proporre contenuti letterari in forma di fumetto viene spesso interpretata come un’operazione divulgativa per rendere i classici impegnati più accessibili, oppure come un tentativo di nobilitare tramite temi colti la narrazione per immagini ritenuta leggera. Non rientrano in nessuno di questi casi le strisce di Tom Gauld, raccolte nel volume La vendetta dei bibliotecari (Mondadori, 2024), che trattano argutamente di vari aspetti della letteratura con brevi fumetti raffinati. In realtà non si tratta solo di fumetto in senso stretto: vengono incluse anche molte altre combinazioni di parole e immagini, scelte per comunicare al meglio le idee dell’autore. Ai fumetti si alternano dunque anche illustrazioni, mappe, grafici statistici, giochi enigmistici e linguaggio pubblicitario. Il tratto si adatta a tutti questi usi rimanendo estremamente essenziale. Forse proprio questo minimalismo visivo ha il pregio di risultare più evocativo, poiché affida alla sensibilità di chi legge l’incarico di completare l’invisibile.
Questo stile semplice ma efficace dà vita a scenari fantasiosi e divertenti in cui i personaggi di un genere ben codificato vengono inseriti in un al-
tro, la stesura di un romanzo prende la forma di un’avventura disseminata di ostacoli, si ipotizzano bislacche versioni alternative dei classici, i volumi su uno scaffale discutono delle loro esperienze nel venire letti, e anche gli animali si dedicano alla poesia per esprimere le loro riflessioni esistenziali.
Tema onnipresente è la cultura libraria, rappresentata, dissacrata e celebrata in ogni sua forma: chi legge, chi edita e chi scrive, ma anche, i generi più disparati, i personaggi di romanzi famosi o ipotetici, le librerie, le biblioteche, il ruolo della lettura nella società e la sua rivalità con la tecnologia. Non vi sono intellettualismi elitari o pretenziosi: ogni striscia è una parodia bonaria di un aspetto legato al mondo dei libri, con riferimenti comprensibili da chiunque. Si evince spesso un messaggio autoironico a cui è facile relazionarsi, che mette in evidenza i difetti di chi a questo mondo partecipa, ma sempre con tono amorevole, e una sottile fierezza.
Bibliografia
Tom Gauld, La vendetta dei bibliotecari, Mondadori, Milano, 2024, 192 pagine.
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Dalla politica del disincanto all’Antropocene
Esordi ◆ Nel romanzo Pietà di Antonio Galetta un racconto corale su potere, natura e razzismo in un paesino pugliese
Laura Marzi
Si intitola Pietà il romanzo d’esordio edito da Einaudi di Antonio Galetta, ventisei anni, dottorando in Letteratura italiana all’Università Sorbona di Parigi. Il testo si distingue fin da subito per un approccio alla scrittura innovativo: in questo romanzo non c’è un io narrante e la storia non è raccontata neanche in terza persona. A parlare è un «noi» che, anche se Galetta non lo scrive mai esplicitamente, sembra rappresentare gli uomini che dedicano la propria esistenza alla ricerca del potere, che agiscono solo all’interno di dinamiche volte alla sua conquista o alla sua preservazione.
Il romanzo racconta la storia di una campagna elettorale in un paesino del sud Italia di cui non conosciamo il nome, ma che si trova in Puglia: sono diversi, infatti, i riferimenti agli ulivi malati, attaccati dalla xylella, il batterio che qualche anno fa ha fatto razzia proprio in quella regione. Anche il modo in cui Galetta racconta gli alberi testimonia del suo sguardo originale sulla realtà: essi diventano personaggi con un’esistenza autonoma, ma solo quando non sono ridotti a semplice sfondo in un paesaggio. È evidente infatti che più che la questione climatica – che fa capolino nel romanzo col divampare di un incendio non doloso provocato dalle temperature troppo elevate e dalla siccità – Galetta racconta l’antropocene: «Non vogliamo accettare che la politica, oggi, è assediata da uno sfondo che brucia».
A contendersi le elezioni del paesino piccolissimo raccontato nel romanzo sono diversi gruppi elettorali dai nomi quanto meno parlanti: il Calderone, la Delegazione, Casa dolce Casa
e infine il partito creato da una donna in un garage. Lei è convinta di avere un superpotere, quello di incantare le persone con le proprie parole, nonostante la sua balbuzie. E in effetti ci riesce. Il suo argomento principale è il razzismo, «la donna che ci tradirà» così la chiama Galetta, che solo alla fine del libro scopriremo chiamarsi Maria Grazia, crede nella superiorità biologica delle persone caucasiche su quelle non caucasiche. Nel romanzo il razzismo che lei propugna come un’arma e che rappresenta il modo che ha di esprimere l’odio che le alberga nel cuore da quando è una bambina viene definito «ciò che sappiamo e che da sempre dimentichiamo».
A rappresentare la novità e quindi l’apparente speranza di un cambia-
mento è la lista civica Casa dolce Casa, fondata da un giovane, anch’egli senza nome quasi fino alla fine del testo, che dopo essere andato nel nord Italia per studiare e cercare lavoro, come quasi tutti i suoi coetanei del paesino, ed essere riuscito a laurearsi e a fare fortuna, torna e decide di mettersi in politica. Sembra che lo faccia per condividere il proprio successo, per aiutare anche altri giovani a restare, ma nel romanzo di Galetta nessuno di «noi», di coloro quindi che cercano il potere, risulta essere innocente. In primo luogo perché ignorano «loro», le persone qualunque, i cittadini e le cittadine, cioè: «I lavoratori del piccolo call center, i contadini di ottant’anni e le loro mogli, anche quelle che ci hanno generato […] drogati, zitelle, ludopatici, depressi, post-ado-
lescenti irrisolte, stranieri». E poi perché non ascoltano «i ragazzi del nostro piccolo paese», che invece hanno chiare le ingiustizie che si perpetrano intorno, come risulta nell’unica scena in cui prendono parola: «Oggi l’Europa è un insieme di repubbliche fondate sul lavoro dei migranti, sfruttato». Galetta affida agli adolescenti, che costituiscono una sorta di coro a mo’ di tragedia greca, anche la risposta al razzismo: «Le parole di quella donna servono a convincerci che il nostro egoismo sia una conquista e un valore… a farci difendere il nostro posto nel mondo… a occuparlo per un altro po’». In una visione non antropocentrica del mondo, la voce narrante del romanzo di Galetta, finita la lotta elettorale, diventa il noi di uno storno di
uccelli: il giovane scrittore realizza così quello che il filosofo post-strutturalista Gilles Deleuze considerava una sorta di imperativo morale, cioè il divenire-animale, che non significa farsi bestie o realizzare la massima di Plauto homo homini lupus («l’uomo è un lupo per l’uomo»; le immagini sono tratte dalla copertina), anzi. Significa accettare i propri limiti e comprendere che la specie umana fa parte del Pianeta insieme ad altre, vegetali e animali. A distinguerci, e su questo non possiamo fare altro che continuare ad arrovellarci, sono le «parole, a cui si crede come si crede all’orizzonte».
Bibliografia: Antonio Galetta, Pietà, Einaudi, 2024, pp. 260.
Parole che entrano nel cuore con leggerezza
Teatro ◆ Dalla narrazione biografica di Bello sarebbe… di Mariani alla riflessione sul tempo e la memoria con Gli anni di Ciappina
Giorgio Thoeni
Il teatro di narrazione è una modalità che ha una lunga storia. Dalle sue antiche fonti embrionali della tradizione orale passando a grandi balzi tra i fabliaux (ndr: poesie narrative medievali, spesso comiche o piccanti) e le giullarate (ndr: performance dei giullari, che mescolavano musica, danza e battute), per riferirci alla sua forma più affermata del XX secolo dobbiamo senza dubbio prendere Dario Fo come capostipite per poi arrivare a Marco Paolini, Marco Baliani, Ascanio Celestini, Laura Curino, Lucilla Giagnoni, Mario Perrotta, per citarne alcuni e ognuno a modo suo. Ma esercitarsi nel racconto teatrale non è da tutti. Ci vogliono personalità, padronanza della parola e idee.
Da diversi anni seguiamo con interesse e curiosità il lavoro di Stefania Mariani, autrice e attrice di spettacoli per il pubblico di tutte le età. Si è formata alla Scuola di Teatro Dimitri di Verscio dove si è diplomata nel 1998, quando era ancora una scuola – come tiene a sottolineare – e i maestri erano quelli storici, a cominciare dal suo celebre fondatore.
Il suo è un artigianato alla ricerca della parola giusta, incastonata fra fiabe, avventure storiche e poesia, con uno stile semplice e immediato che si snoda lungo spettacoli che già orientano con titoli significativi come Domitilla e la stella delle parole perse (2007), Poetica-Mente Cuore
(2021) o altri che sono spesso il frutto di indagini biografiche. Alla Giuliana Musso, per intenderci. O come nel caso di Bello sarebbe… ovvero insolite parole d’auguri, uno spettacolo visto al Teatro Foce di Lugano che nasce dall’esigenza di contribuire alla lettura di problematiche contemporanee attraverso l’interpretazione dell’arte di soggetti come l’ambiente, l’emigrazione, la diversità, il rispetto per il prossimo in relazione con personaggi realmente esistiti.
Ecco quindi il risultato di due anni di lavoro, una ricerca incentrata sulla necessità di ridare valore alle parole,
al loro profondo significato, proiettandole sul racconto di biografie eccellenti, un criterio ormai consolidato nella pratica di Stefania Mariani che ha raggiunto uno stile ben definito. Parole come Coraggio, Cura, Bellezza e Sogno diventano le pietre miliari lungo il percorso del racconto di quattro umanità esemplari. Quella di Beatrix Potter (illustratrice e naturalista britannica), di Barbara «Baba» Uffer (domestica di Giovanni Segantini e modella di molti suoi quadri), di Maria Lai (artista sarda e simbolo dell’emancipazione femminile) e di Mimmo Lucano (sindaco di Riace,
emblema di accoglienza e inclusione degli emigrati). Ogni storia viene raccontata con semplicità e leggerezza, con segni distribuiti sulla scena a complemento delle storie, con la musica e con parole sfiorate da intonazioni che riportano al linguaggio dei luoghi d’origine di ogni personaggio.
Dalla britannica inflessione dell’attivismo ambientale della Potter all’essenziale e scarna svizzeritudine di Baba, dalla sarda unicità artistica della Lai al coraggioso sogno calabrese di Mimmo Lucano.
Bello sarebbe… è un lavoro sulla fisicità della parola costruita sapientemente con la consulenza di Antonella Astolfi, aperto alla cura del dettaglio nel discorso sull’arte come gioco e con uno sguardo di meraviglia sui personaggi, su realtà che possono rappresentare lezioni di vita per contrastare certe assurdità di una società così complessa, spesso difficile da decifrare e in continua trasformazione.
Bello sarebbe… completa il suo messaggio con l’inserimento della musica dal vivo con il violino in loop di Amanda Nesa: una presenza tutt’altro che di contorno e commento in quanto aggiunge un racconto parallelo, una dimensione delicata e discreta per traghettare le storie dalla pagina scritta al palcoscenico nella sua dimensione allusiva e coinvolgente. Uno spettacolo piacevole, scorre-
vole, educativo, di attualità e adatto a tutti, che tornerà in scena, questa volta al Teatro del Gatto di Ascona per la rassegna Teatro Over 70, giovedì 13 marzo alle 15:30, nella forma gratuita per i pensionati.
Dalla scrittura alla danza con Marta Ciappina
La nuova stagione del Teatro San Materno di Ascona diretto da Tiziana Arnaboldi è interamente dedicata alla danza e ha da poco debuttato con la danzatrice Marta Ciappina in scena con Gli anni, uno spettacolo di Marco D’Agostin vincitore di due Premi Ubu nel 2023: miglior spettacolo di danza dell’anno e migliore performer. Era dunque un’occasione da non perdere. Nella sua asciuttezza simbolica e con un’indubbia efficacia interpretativa, il lavoro si sviluppa su una geniale trama drammaturgica sul tempo e la memoria attraverso parole criptiche e segni del passato sulla falsariga dell’omonimo libro di Annie Ernaux in cui la scrittrice immagina la vita della protagonista su due coordinate cartesiane, l’orizzontale per gli accadimenti ordinari, la verticale per gli eventi importanti. Belli e a tratti irreali, sono cinquanta minuti di scrittura coreografica destinati a rimanere impressi.
Stefania Mariani tiene il violino in mano, mentre Amanda Nesa lo suona con l’archetto.
Una saga mediorientale dal sapore vintage
Serie TV ◆ The Beauty Queen of Jerusalem è realizzata dalla stessa casa di produzione di Shtisel
Elda Pianezzi
Difficile parlare di Israele o di Palestina andando al di là degli stereotipi o delle proprie convinzioni politiche. Eppure c’è una serie che ci riesce, in modo egregio. Si intitola The Beauty Queen of Jerusalem, è uscita nel 2023 e parla del periodo storico che va dagli anni Venti del secolo scorso fino alla fine della Seconda guerra mondiale, prima dunque della creazione di Israele.
È la saga di tre generazioni degli Hermosa, famiglia sefardita che si trova ad affrontare la transizione fra tradizione e modernità. La serie è costruita su più livelli. Innanzitutto vi è il background storico-politico che te-
matizza prima la dominazione turca e poi quella britannica, con l’insorgere dei movimenti terroristici separatisti ebraici e il crescere delle tensioni con la comunità araba.
Dal punto di vista sociologico viene inoltre descritto il rapporto non sempre facile fra la comunità sefardita proveniente dalla penisola iberica, insediatasi da secoli a Gerusalemme, che si considerava «originaria», e quella ashkenazita, formata dai «nuovi arrivati» provenienti dall’Europa orientale.
A livello linguistico questa dinamica culturale dà vita a una vera e propria celebrazione della parlata delle varie comunità: scegliendo l’audio della versione originale si passa dall’ebraico infarcito di termini e frasi presi in prestito dal giudeo-spagnolo (di facile comprensione per chi parla italiano), allo yiddish (la lingua della comunità ashkenazita), passando attraverso l’arabo e l’inglese.
Su questo ricchissimo humus storico-culturale si sviluppa la saga familiare degli Hermosa, che narra di amori impossibili e matrimoni sbagliati, di convivenza intergenerazionale in spazi angusti e soffocanti, di tradimenti e violenza, di amicizie profonde dal potere salvifico e catartico e ancora di sentimenti fraterni vissuti fino alle estreme conseguenze.
Tra i temi trattati, spicca quello della condizione femminile all’interno di
una società in rapida mutazione, illustrato soprattutto attraverso le vicende della protagonista Luna e di sua sorella Rachelika, entrambe alla ricerca di una propria personale emancipazione.
Per una volta, l’opera originale – un romanzo –, non riesce a tenere il passo con una serie che la supera di gran lunga
Luna attraverso la moda e Rachelika per mezzo dello studio, le sorelle riescono così a trascendere il peso della tradizione, incarnata dalla madre Ro-
sa, mirabilmente interpretata da Hila Saada, capace di esprimere con un solo sguardo disagio, amore e dolore. Saada non è comunque la sola a brillare all’interno di questo fantastico cast, in grado di animare una vicenda che può essere definita anche come uno studio degli archetipi umani. L’amante, l’infedele, la vittima, il traditore, l’innocente, la ribelle, il fallito: tutte queste tipologie vengono descritte con un’empatia e una sensibilità capaci di mostrarci figure complete in tutte le loro sfaccettature.
Realizzata da Yes Studios, la stessa casa di produzione della bellissima e riuscitissima serie Shtisel, The Beauty
Queen of Jerusalem è tratta dal romanzo Miss Jerusalem di Sarit Yishai-Levi (Sonzogno, 2015), che racconta una storia alquanto diversa, meno intensa e poetica, con un linguaggio, un intreccio e una drammaticità di livello decisamente inferiore rispetto alla serie.
Per una volta è l’opera originale a non tenere il passo con l’adattamento cinematografico, che ha invece saputo condensare in modo mirabile gli elementi più interessanti del libro esaltandoli, perfezionandoli e creando un prodotto non solo raffinato ed elegante, ma anche ricco di spessore e suggestioni.
San Valentino è il 14 febbraio
Regalate alla persona amata dei raffinati cioccolatini da Lindt.
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Qui accanto, locandina della serie; in basso a sin., il libro di Sarit Yishai-Levi.
ATTUALITÀ
Evoluzione dei prezzi
Perché il caffè
costa sempre di più
I prezzi sul mercato mondiale sono in aumento e anche alla Migros il caffè è diventato più caro Cosa c’entra la siccità in Brasile e il consumo di caffè in Cina
Testo: Kian Ramezani
Il prezzo in negozio I prezzi del caffè sul mercato globale sono aumentati sensibilmente, obbligando la Migros ad aumentare i prezzi di vendita in tutte le categorie di circa il 5-10%. Gli aumenti di prezzo sono meno marcati per il caffè in capsule, perché in questo caso il caffè rappresenta una quota minore dei costi di produzione rispetto alla confezione.
come
Il prezzo al ristorante
Da metà febbraio il prezzo di una tazza di caffè nei ristoranti Migros di gran parte delle cooperative aumenterà leggermente e sarà fissato a franchi 3.70. Per tutte le bevande a base di caffè vengono utilizzati chicchi certificati Rainforest Alliance. Nella Cooperativa di Zurigo, che usa esclusivamente il caffè bio Max Havelaar, il prezzo sale a franchi 3.90.
Il prezzo sul mercato mondiale
Da novembre dell’anno scorso i prezzi del caffè a livello globale sono in forte aumento. Ciò è dovuto principalmente al Brasile, che produce il 40% del caffè venduto nel mondo. Di conseguenza il mercato reagisce ai cambiamenti che avvengono in questo Paese sudamericano. In alcune regioni in cui viene coltivato il caffè, il clima è stato troppo caldo e secco da settembre a novembre. I raccolti attesi per il 2025, che inizieranno a maggio, hanno così dovuto essere corretti al ribasso. A sua volta questo ha provocato un’impennata dei prezzi.
Questa volta è diverso
Il fatto che il mercato mondiale reagisca alla situazione in Brasile non è affatto eccezionale. L’attuale situazione è però diversa: il prezzo del caffè stava già aumentando da diversi mesi a seguito delle notizie negative provenienti dal Brasile e si prevede che rimanga alto ancora per qualche tempo. Ciò è dovuto al fatto che il consumo annuo è sempre stato lievemente superiore alla produzione e che, di conseguenza, le riserve mondiali di caffè grezzo sono diminuite. Di conseguenza, i mercati delle materie prime sono molto sensibili alle notizie negative.
Evoluzione dei prezzi
Il prezzo del caffè aumenta
Da novembre 2024 il caffè è rincarato notevolmente a livello mondiale. La materia prima scambiata in dollari statunitensi ha raggiunto da allora un massimo storico di oltre 3,25 dollari per libbra Già nei mesi precedenti era aumentata continuamente
Evoluzione dei prezzi del caffè crudo in centesimi di dollaro per libbra
I prezzi elevati sono buone notizie per i piccoli produttori, poiché il caffè viene commercializzato senza interventi statali
Scarsità di caffè
In sé la produzione globale di caffè non è in calo. La domanda però è in aumento, perché molti Paesi industrializzati emergenti, come la Cina, hanno scoperto il piacere del caffè. È molto probabile che in questo Paese il consumo torni a diminuire a causa dei prezzi elevati. Resta da vedere se il comportamento dei consumatori in Svizzera, con la sua forte cultura del caffè, cambierà. Ci si può aspettare che gli amanti del caffè continueranno ad acquistarlo anche in futuro.
Cambiamenti climatici
In linea di principio le temperature più calde rappresentano un vantaggio per la coltivazione del caffè. Allo stesso tempo però gli eventi meteorologici estremi come siccità, canicola, temporali e piogge intense stanno diventando sempre più fre-
quenti. Come sta attualmente avvenendo in Brasile, questi eventi possono portare a raccolti più scarsi, che si riflettono in un aumento dei prezzi.
Cosa ne ricava il coltivatore di caffè La Migros acquista il caffè in diversi Paesi del mondo, principalmente Brasile, Colombia, Vietnam, Honduras, Guatemala, Perù e India. Questo assicura all’assortimento di caffè una varietà di gusti. Ove possibile, la Migros cerca di approvvigionarsi direttamente dai coltivatori e dalle cooperative e sostiene progetti in questo ambito in Honduras, Perù, Brasile e Colombia. I prezzi più alti sono una buona notizia per i coltivatori, in quanto, a differenza del cacao, il caffè viene liberamente commercializzato nel mondo senza interventi statali. In questo modo i coltivatori ne beneficiano integralmente.
Il caffè crudo è ottenuto dalla ciliegia di caffè
Le capsule di caffè aumentano lievemente
Il consumo di caffè cresce mondialmente,
anche i prezzi
Marzo Maggio Luglio Settembre
ATTUALITÀ
San Valentino
Campionato
mondiale di trasporto della moglie
Dal 1982 a Sonkajärvi, in Finlandia, si tengono i Campionati mondiali di trasporto della moglie. Ogni anno delle coppie si sfidano in una gara nella quale i mariti devono trasportare in spalla le proprie mogli lungo un percorso a ostacoli di 253,5 metri. Non c’è però alcuna regola che vieti alle donne di trasportare il proprio partner: l’unica condizione è che la persona da trasportare abbia più di 17 anni e pesi più di 49 chili. Il premio è tanta birra quanto è il peso della persona trasportata.
Curiose usanze amorose
da tutto il mondo
Ti piacerebbe ricevere tanta birra quanto è il peso della persona amata invece di omaggiarla di rose a ogni santo San Valentino? Abbiamo dato un’occhiata in giro per il mondo scoprendo alcune strabilianti manifestazioni d’amore.
Testo: Barbara Scherer
Prosciutto per un matrimonio senza rimpianti
Ogni quattro anni, nella cittadina inglese di Great Dunmow, le coppie sposate possono dimostrare davanti a una giuria di non essersi pentite del proprio matrimonio, ad esempio in una prova in cui coniugi devono lavarsi i denti a vicenda. Se il modo in cui lo fanno convince la giuria, ricevono in premio un grosso prosciutto.
Sudiciamente a zonzo per il natio borgo selvaggio
Nel nord della Scozia, il giorno prima delle nozze le donne –e sempre più spesso anche gli uomini – vengono spalmate con una poltiglia di fango, piume e scarti di pesce. Così profumatamente agghindate, vengono quindi condotte in giro per il villaggio. Questa non proprio invitante usanza ha lo scopo di preparare la coppia alla vita matrimoniale e di proteggerla dagli spiriti maligni.
Proposta fetente
In Austria, in occasione dei balli serali, in passato le ragazze «in età da marito» si appiccicavano sotto le ascelle un pezzo di mela che poi alla fine della festa porgevano bello intriso di sudore all’uomo desiderato. Se costui mangiava il tanto delizioso frutto, l’interesse era reciproco. Questa usanza esisteva nel XIX secolo. All’epoca, il deodorante non era ancora stato inventato.
Lucchetti per l’eternità
Questa è un’usanza che si è ormai affermata in tutto il mondo: i lucchetti sui ponti. Attaccandoveli, le coppie vogliono suggellare il loro amore per l’eternità. Spesso sul lucchetto gli innamorati scrivono, o addirittura fanno incidere, le proprie iniziali. L’usanza ha probabilmente avuto origine in Italia: una tradizione vuole che per festeggiare il momento del congedo, gli allievi ufficiali dell’accademia di sanità militare di Firenze gettassero le chiavi dei propri armadietti nel fiume. Il bestseller «Tre metri sopra il cielo» di Federico Moccia, pubblicato nel 1992, ha consacrato questa usanza. Nel libro i protagonisti si giurano amore eterno e attaccano un lucchetto sul Ponte Milvio di Roma.
Sputi di felicità coniugale
Tra i Masai in Kenya e Tanzania è consuetudine che il padre della sposa sputi sulla testa e sul petto della figlia prima del matrimonio. Questo rito dovrebbe assicurare un matrimonio fecondo e felice.
Dillo con un tangram personalizzato
Un progetto semplice e originale per trasformare cartone e colori in un puzzle creativo a forma di cuore da regalare a chi si ama per un San Valentino speciale
Una scelta di libertà e autonomia
La nuova tendenza turistica è il viaggio in solitaria, un fenomeno in crescita che riflette i cambiamenti sociali e le nuove esigenze dei viaggiatori
Hong Kong tra radici storiche e spinte globali
Reportage ◆ L’evoluzione urbanistica e culturale della città simbolo della fusione tra Oriente e Occidente, in un viaggio attraverso skyline, feng shui e cultura pop
Marco Moretti, testo e foto
La giacca di Mao Zedong in cashmere di tutti i colori con la fodera in seta decorata dai multipli con cui Andy Warhol raffigurò il leader cinese, è la nota creazione pop con cui Shanghai Tang, il più famoso fashion designer di Hong Kong, dipingeva nel 1996 il futuro della Cina. La colonia britannica situata alla foce del Fiume delle Perle, Hong Kong, era di fatto vista come un ponte, politico e culturale, tra Cina comunista e Occidente. Il take-away cinese – come lo scrittore Paul Theroux battezzò in Ultimi giorni a Hong Kong il passaggio della colonia britannica a Pechino nel 1997 – fu però ben diverso dalla metafora dello stilista. Non fu la Cina a diventare come Hong Kong, bensì il contrario. Non ci furono gli espropri – tra squallore, inganno e corruzione –narrati nel romanzo dell’autore americano. Ma, a metà percorso, Pechino non rispettò gli accordi che concedevano a Hong Kong cinquant’anni di autonomia politica e, reprimendo i movimenti per la democrazia, provocò l’esodo di 300mila giovani professionisti (su sette milioni e mezzo di
abitanti) verso Paesi più liberali: soprattutto Canada e Australia. Intervento che influenzò negativamente l’economia di una città, un tempo tra le più dinamiche del mondo.
Sempre più cinese
In quella che fu una delle maggiori piazze finanziarie, la borsa stagna ai livelli del 1997. Ed è crollato il turismo occidentale. Oggi la quasi totalità dei visitatori, come degli investimenti, viene dalla Repubblica Popolare. Hong Kong è sempre più cinese. M+ – il maggiore Museo di arti visive dell’Asia, inaugurato nel 2021 a West Kowloon – insegue la Rivoluzione Culturale Proletaria (1966-1976) tra filmati e grafica di propaganda dell’epoca, oltre a spaziare tra arte contemporanea e design di tutto l’Estremo Oriente. E l’opera Chanel n. 5 del pechinese Wang Guangyi – un manifesto icona delle guardie rosse contaminato dalla famosa maison – sembra la risposta, sempre in chiave pop, alla provocazione di Shanghai Tang.
L’edificio che ospita M+ è diventato uno dei simboli di Victoria Harbour, la baia che divide Hong Kong Island da Kowloon: le due principali aree della città, gli opposti che la compongono.
Hong Kong Island
A Hong Kong Island – l’isola improduttiva di 80 kmq ceduta da Pechino a Londra nel 1841 dopo la sconfitta della Prima Guerra dell’oppio – si coglie ancora l’impronta britannica. Colorati tram di latta a due piani trillano tra il canyon di avveniristici grattacieli che forma i quartieri Central e Wan Chai (nucleo originario della colonia). Torri di acciaio e cristallo svettano con forme appuntite, squadrate, ellittiche: s’innalzano con vetrate nere, azzurre, dorate. Edifici costruiti con impalcature di bambù: la pianta simbolo della tenacia orientale al servizio di un’urbanistica proiettata nella fantascienza.
L’assetto stradale di Hong Kong Island si articola su diversi livelli. Il fondo strada è per il traffico, che in-
furia con tram, auto e bus tra svincoli di cemento. Mentre uomini e donne passeggiano tra marciapiedi e viadotti appoggiati al primo piano degli edifici: un labirinto di passerelle e piazze che conducono a banche, alberghi, centri commerciali. E da Central la scala mobile più lunga del mondo risale per 800 metri la montagna tagliando vie e slarghi su cui si affacciano pub, ristoranti, boutique e immancabili gabbiette di uccelli.
Un futurismo tradizionale
È la città del futuro che ispirò nel 1982 al regista Ridley Scott Blade Runner, il film cyber-punk ambientato in una distopica Los Angeles del 2019, ma con molte scene girate proprio a Hong Kong, come quella del jet che (nei pressi del vecchio aeroporto) sorvola a bassa quota una via piena di ristoranti all’aperto con i cibi spadellati nei wok su fuochi vivi.
Il modello urbanistico di Hong Kong – con diversi livelli per uomini e mezzi di trasporto e con treni che
attraversano gli edifici – è copiato in questi giorni da Chongqing, la più popolosa municipalità del mondo (33 milioni di abitanti), il principale porto fluviale sullo Yangtse (Fiume Azzurro) situato al confine meridionale del Sichuan, nel centro geografico del gigante giallo.
Hong Kong è proiettata nel futuro ma è ancorata alla tradizione. I suoi grattacieli sono costruiti secondo le regole del feng shui per indirizzare la sorte. La torre dell’Hong Kong Shanghai Bank (HSBC) – la cattedrale del commercio del distretto finanziario di Central – fu progettata da Norman Foster seguendo le indicazioni del consulente di geomanzia Koon Lung secondo il quale «i due leoni all’ingresso rappresentano la forza e i principi universali di ying e yang. L’interno dell’edificio è vuoto per accogliere l’energia veicolata dalla luce solare. La scala mobile sghemba è nella direzione propizia per portare il denaro al primo piano dove ci sono gli sportelli. La banca ha due porte, una rivolta alla montagna da dove arrivano i soldi, l’altra al mare, fonte d’influenze positive» .
Hong Kong, vista da Victoria Peak; nella pagina accanto in senso orario: barca a Victoria Harbour; tram tra i grattacieli; Tempio Man Mo; Shanghai Tang boutique.
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Tra Tesla, Mercedes e Rolls Royce che solcano il traffico, a Hong Kong Island si ha la sensazione di essere in una delle città più ricche del pianeta. Una verità, come sempre, valida solo per alcuni. Con i prezzi degli immobili tra i più alti del globo, per molti la puntata sul cavallo vincente all’ippodromo di Happy Valley è l’unica possibilità di racimolare il capitale necessario a mettere su casa. La passione per l’azzardo accomunò inglesi e cinesi. Ma qui dove le credenze dell’antica Catay si mescolano all’alta tecnologia e al capitalismo selvaggio, gli impazienti hongkonghesi interrogano gli indovini del tempio confuciano di Wong Tai Sin, consultano gli oracoli per vincere al gioco: in borsa, come all’ippodromo di Happy Valley.
Nei vicoli dietro i grattacieli
La Cina dei brulicanti mercati alimentari e dei cibi gridati è dietro l’angolo dei grattacieli. Nel dedalo di vicoli a monte di Central, tra le bancarelle di Gage Street: un viaggio tra gli ingredienti della cucina cantonese, da un pastaio con trenta varietà di noodle (tagliatelle cinesi) a un’infinita scelta di baby verdure, dai pescivendoli ai macellai. Più una pletora di micro ristoranti che servono dim sum, noodle, wonton e l’infinita gamma di piatti cinesi. Come la popolarissima tea house Lan Fong Yuen, dove ci si siede dopo minimo mezz’ora di coda.
Da qui si sale tra vie gradinate fino a Hollywood Road, la strada degli antiquari costellata di negozi che mescolano tele, sculture, mobili, oggetti e gioielli importati da tutto l’Oriente con memorabilia maoista (statue del Grande Timoniere, manifesti e riviste della Rivoluzione Culturale) diventata l’ultimo grido del modernariato cittadino. Al confuciano Man Mo Temple di Hollywood Road si ritrova la tradizione tra statue di antenati e riti con l’incenso. Ma a pochi passi, in Upper Lascar Row, nel vicolo dei rigattieri, le antichità di poco valore si mescolano a libretti rossi e ad altri oggetti del revival maoista. Immediatamente a monte di Hollywood Road si trova Tai Kwun, l’ex
stazione di polizia con annessi caserma e carcere (dove fu imprigionato il leader vietnamita Ho Chi Minh) restaurati e trasformati in spazi espositivi per mostre di arte contemporanea e sulla storia della città.
Al tramonto, una cremagliera conduce all’osservatorio di Victoria Peak, dove lo sfavillio di luci dei grattacieli, accese attorno a Victoria Harbour, mostra il fascino di una baia reputata tra le quattro più belle del mondo insieme a Rio de Janeiro, San Francisco e Sydney.
Un panoramico viaggio in ferry, o pochi minuti in metropolitana attraverso un tunnel sottomarino, portano sull’altro lato della baia. Nel formicaio di Kowloon. La città completamene cinese con il triste record della peggiore condizione abitativa urbana: centi-
naia di migliaia di poveri vivono – in appartamenti iperfrazionati – in loculi o in gabbie della dimensione di un letto singolo. Disagio celato, secondo l’abitudine cinese a non manifestare mai i propri sentimenti.
Bruce Lee
Kowloon con il primo chilometro di Nathan Road disseminato di centri commerciali e boutique. Al 218 di Nathan Road, visse con la famiglia Bruce Lee, il più famoso figlio di Hong Kong. Il cineasta a 360 gradi che portò sugli schermi di tutto il mondo l’arte marziale del Jeet Kune Do. In realtà nacque a San Francisco dove i genitori, cantanti dell’Opera Cantonese, si trovavano in tournée.
La casa in cui visse da bambino non esiste più, fu demolita per costruire lo shopping centre che s’incontra oggi a quell’indirizzo. Bruce Lee fu un personaggio fuori dal comune anche per il mondo del cinema. In soli quattro film interpretati nel ruolo protagonista, tra 1971 e 1973, raggiunse una popolarità mondiale con combattimenti e spettacolari salti mescolati a una ingenua filosofia del bene, della lotta contro oppressione e ingiustizia, che i nemici fossero malfattori o invasori giapponesi, come in Dalla Cina con furore I tre dell’Operazione del Drago, il suo ultimo film in gran parte girato a Hong Kong – tra Aberdeen Harbour, Tai Tam Bay, il monastero di Tsing Sham in Tuen Mun e l’Hong Kong Cemetery in Happy Valley – produsse
il secondo maggior incasso alla Warner Bros dopo L’esorcista
Il volto miserabile della città
Il volto presentabile di Kowloon termina tra odori, colori e sapori del night market di Temple Street. Per poi cedere a una brutta quando non fatiscente architettura: il volto miserabile della città. Qui, in 41 Cumberland Road, tra vecchie case degradate di un quartiere popolare, Bruce Lee visse fino alla morte. Hong Kong lo celebra con la Gallery 6 nel periferico Hong Kong Heritage Museum: esposizione di foto, oggetti, memorabilia, video e dimostrazioni di Jeet Kune Do, l’ibrida arte marziale da lui inventata. E con una stella sulla Avenue of Stars di Kowloon: si trova alla fine di Tsim Sha Tsui, l’affollatissimo lungo baia con vista su Hong Kong Island. Kowloon nel weekend è invasa dalla massa di turisti che arrivano dalla Cina: la megalopoli di Shenzen è a soli quindici minuti di treno. In Nathan Road, la congestionata via dello shopping, il sabato e la domenica è persino difficile camminare. Mentre a Tsim Sha Tsui migliaia di giovani coppie cinesi si scattano selfie sullo sfondo della skyline di Hong Kong Island, di una celebrata cartolina, di un mondo agognato che non esiste più.
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Crea con noi ◆ Per la festa degli innamorati si può regalare un puzzle dai colori accesi con materiali in parte riciclati
Giovanna Grimaldi Leoni
Questo tangram (rompicapo cinese) a forma di cuore è un regalo ideale per esprimere affetto in modo creativo. Realizzato con materiali in parte riciclati, è un gesto d’amore anche verso l’ambiente. Il tangram non è un semplice puzzle, ma anche un’attività divertente e interattiva per chi lo riceve, dovendo ricomporre il cuore pezzo a pezzo o creare nuove figure. Che sia per un partner, un amico speciale o un famigliare, questo progetto è un modo unico per dire «ti voglio bene» con le proprie mani.
Procedimento
Stampate il cartamodello e trasferitelo su un cartone pulito per due volte. Ritagliate entrambi i cuori seguendo il perimetro esterno. Lasciate uno dei
cuori intero: questo servirà come decorazione per la copertina della cartellina che andrete a creare. Prendete invece il secondo cuore e ritagliatelo seguendo le linee del cartamodello per ottenere i pezzi del tangram Procedete ora con la pittura. Utilizzate i colori bianco e rosso per dipingere i vari pezzi a tinta unita. Iniziate con il bianco e aggiungete gradualmente il rosso per creare diverse tonalità, passando dal rosa tenue al rosso intenso. Questo darà varietà cromatica al vostro tangram. Contemporaneamente, dipingete anche il cuore lasciato intero con le stesse tonalità, così da mantenerne l’armonia visiva. Se avete difficoltà a dipingere con precisione, potete utilizzare del nastro adesivo di carta per delimitare le aree.
Giochi e passatempi
Cruciverba
Forse non tutti sanno che i tarli preferiscono mangiare la parte più esterna del legno, quella subito sotto la corteccia che si chiama… Scoprirai il resto della frase a soluzione ultimata leggendo le lettere evidenziate.
(Frase: 7, 2, 1, 5, 2, 5)
ORIZZONTALI
1. Il nome della Parietti
4. La patria di Abramo
6. Il «de» dei tedeschi
7. Leandro morì per raggiungerla
8. Congiunzione eufonica
9. Era (verbo) in latino
10. Si dice indicando qualcuno
13. Durano millenni
14. La utilizza il parrucchiere
18. Ginevra era sua moglie
20. Ha clienti frettolosi
21. Stanno in coda
22. Un Bravo messicano...
23. Temibili insetti
25. Preposizione
26. Logore, consumate
27. Con don e dan
29. Crostaceo dalle carni pregiate
30. Si decidono valutando
VERTICALI
1. L e nonne di una volta
2. Parola di plauso
3. Le iniziali dell’attrice Nielsen
4. Fiume euro-asiatico
5. Ruzzolare
7. Prode 9. Filo o tessuto grezzo
11. Una classe di cittadini
12. Misura lineare inglese
15. Il braccio degli inglesi
16. Li seguono in bilico
17. Giovani belli e seducenti
19. Sono simili ai fiordi
20. Reagisce con l’acido
23. È ripetitivo
24. Così si chiamava Tokyo
26. Pronome personale
28. Centro della capitale
Una volta asciugata la base di colore, usate pennarelli acrilici per aggiungere decorazioni ai vari pezzi. Disegnate motivi come righe, cuori, puntini o zig-zag, alternando i disegni per rendere ogni pezzo unico e vivace. Ora passate alla creazione della base. Tagliate un pezzo di cartone riciclato di dimensioni 43x20 cm. Incidetelo lungo due linee per formare una cartellina con due facciate da 20x20 cm e un dorso di 3 cm. Rivestite il lato esterno della cartellina con pellicola adesiva bianca e l’interno con pellicola adesiva nera per un effetto elegante e rifinito. Decorate l’esterno della cartellina. Incollate sulla copertina il cuore intero precedentemente dipinto. Ritagliate la scritta «Tangram di San Valentino», incollatela su un rettangolo di cartone per aggiungere tridimensionalità e posizionatela al centro del cuore per completare la decorazione. All’interno della cartellina, sulla facciata destra, create un riquadro decorativo bianco dove il tangram potrà essere assemblato. Sulla facciata sinistra, incollate una busta rossa che servirà per custodire i pezzi del tangram quando non in uso.
Materiale
• Cartone riciclato (preferibilmente di uno spessore non troppo elevato per facilitare il taglio)
• Colori acrilici o tempere (bianco e rosso), pennello piatto
• Pennarelli acrilici (bianco e rosso)
• Righello e taglierino
• Pellicole adesive bianca e nera (o cartoncini)
• Busta rossa
• Colla a caldo
• Stampante per il cartamodello allegato (I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)
Il vostro regalo è pronto per essere donato. Idea in più: Potete plastificare i pezzi del tangram per aumentarne la durata. Non dimenticatevi di aggiungere un messaggio personalizzato scritto a mano all’interno della cartellina.
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del
intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie
Vinci una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una carta regalo da 50 franchi con il sudoku
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Viaggiatori d’Occidente
Così evolve il viaggio solitario
Gli agenti di viaggio lo sanno bene. Quando la richiesta di un preventivo arriva da Paesi al di fuori dell’Europa, potrebbe essere un buon affare. Certo, sulla carta la maggior parte della popolazione non ha le risorse per viaggiare, ma anche nei Paesi più poveri non tutti lo sono. L’India per esempio: le stime più restrittive limitano la classe media al sei per cento della popolazione, ma anche così sono pur sempre ottanta milioni di persone, più di Italia e Svizzera messe assieme. Lo stesso ragionamento vale per la Cina, il Messico, l’Indonesia, il Marocco eccetera. In tutti questi Paesi la famiglia tradizionale allargata resta saldamente il fondamento della società e il viaggio finisce per assomigliare alla migrazione di una tribù. Anche quando la vita in città spinge verso la più moderna famiglia nucleare (genitori e figli soltanto), proprio un viaggio può essere l’occasione per
far incontrare nonni, nipoti, zii, cugini e altri parenti. Ogni generazione ha il suo compito. Per esempio i numerosi adolescenti, sempre con lo smartphone tra le mani, danno indicazioni al gruppo sulla direzione da seguire o le attrazioni da visitare. Così era anche da noi solo mezzo secolo fa, quando delle vacanze si apprezzava proprio la dimensione collettiva, la condivisione di un benessere faticosamente conseguito dopo tanta povertà. Poi, nel nuovo millennio la società è cambiata. La famiglia è in crisi e la natalità ai minimi storici. Forse anche per questo si preferisce viaggiare da soli. È una tendenza in rapida crescita, ben oltre i limiti di una nicchia. Nel 2023 le ricerche su Google di «viaggi da soli» sono quasi raddoppiate rispetto a cinque anni prima e negli Stati Uniti i viaggiatori solitari sono già un decimo del movimento turistico complessivo.
Cammino per Milano
Il Jamaica
Per antifrasi, rispetto alle grigie giornate milanesi ed evocando al contempo il Jamaica Inn (1939), taverna-titolo di un film di Hitchcock, un bar di Brera nel dopoguerra, si racconta, viene ribattezzato così da un musicologo. Giulio Confalonieri (18961972), anche pianista, compositore – tra le sue opere Rosaspina (1939), leggenda drammatica su libretto proprio in tre atti e quattro quadri – e autore di un libro sui barboni di Milano e uno sulla vita di Cherubini, era un grande amante dello scopone. Frequenta, ogni giorno, il bar Jamaica, dove appollaiato su uno sgabello, di spalle, in febbraio, sono al bancone. Per abbracciare con gli occhi il più alto numero possibile di piastrelle bianche che rivestono le mura: forse l’unica vera particolarità rimasta di questo bar storico decaduto.
Una con la faccia grigia, dietro il bancone, urla contro i camerieri. Da que-
sto punto di vista, con i tavolini davanti vuoti riservati per i fantasmi dei vecchi habitué o per non avere nessuno tra i piedi e tutti nel dehor-serra triste, inquadro, con lo sguardo, tutto l’arco ricoperto di piastrelle bianche tipiche di certe latterie milanesi anni Cinquanta. È la stessa inquadratura, più o meno, in cui l’ho visto la prima volta, al trentaseiesimo minuto del film La vita agra (1964) di Carlo Lizzani, tratto da La vita agra (1962) di Luciano Bianciardi: Ugo Tognazzi al bancone con l’amico Carlone (Elio Crovetto) e la morosa Anna (Giovanna Ralli). Alle loro spalle, sotto l’arco, Enzo Jannacci strimpella la chitarra e canta L’ombrello di suo fratello (1961). Riappare, questo buco di bar a cinquanta metri dall’Accademia di Belle Arti – gestito ai tempi d’oro da Elio Mainini, figlio della signora Lina, anima del posto dal 1911 quando era ancora una fiaschetteria per arti-
Sport in Azione
Tutte le generazioni sono interessate, ma i più inclini a questa esperienza sono i millennials (nati tra 1980 e 1995). Nel caso dei giovani peraltro spesso si parte soli sapendo che scelte di viaggio simili creeranno spontaneamente dei gruppi: per esempio Interrail o il viaggio zaino in spalla nel sud est asiatico e in Australia (la meta prediletta). Anche le donne sono ben rappresentate, con percentuali sorprendenti, considerando che il Solo Travel può essere più complicato, soprattutto per ragioni di sicurezza. Ma al tempo stesso viaggiare da sole è un’esperienza di emancipazione e autodeterminazione; è sinonimo di autonomia, libertà, coraggio. Inoltre le donne di regola sono più interessate a viaggi esperienziali e di crescita personale, a ritiri di benessere, percorsi spirituali, immersioni in altre culture ‒ tutti viaggi più difficili da condividere.
Se in passato viaggiare soli era una (triste) necessità, oggi è una scelta ben consapevole. E anche chi potrebbe facilmente avere compagnia preferisce gestire il proprio tempo senza dipendere da altri. Alla prova dei fatti gli inconvenienti sono minimi: pranzare o cenare da soli e dover contrattare un poco sul prezzo della stanza singola, dato che l’offerta di solito si basa su una doppia (peraltro nella costruzione di nuovi alberghi e grandi navi da crociera già si tiene conto delle nuove tendenze, con un maggior numero di singole).
La nuova tendenza si è appena delineata e già si trasforma. L’ultima tendenza? Viaggiare da soli ma… in comitiva. Una contraddizione? Niente affatto. Semplicemente diversi tour operator propongono un viaggio di gruppo dove tutti i partecipanti sono senza accompagnatori: niente coppie, famiglie, bambini eccetera. I van-
taggi? Per cominciare i meno esperti possono contare su una buona organizzazione, quasi necessaria in Paesi più complicati per ragioni linguistiche, culturali o di sicurezza (per esempio il Sudafrica); poi si ha la possibilità di conoscere nuovi amici con le nostre stesse priorità di budget, tempo libero e interessi (altrimenti non sarebbero lì).
E chi proprio ha bisogno di spazi per sé, può facilmente aggiungere al programma comune qualche giorno davvero in solitaria, prima e dopo, per coltivare i propri interessi esclusivi.
Il Solo Travel può essere giudicato in modo diverso: è segno di una maggiore indipendenza o rimanda piuttosto a una difficoltà di dialogo, a un ripiegamento su noi stessi? Di certo viaggi e turismo rivelano molto della nostra società e del nostro tempo; altro che svago.
giani del quartiere – quattro minuti dopo. Altra scena: Tognazzi in stato di grazia preda di discorsi bianciardiani-mezzi flussi di coscienza-critica del consumismo-enumerazioni milleriane con sottofondo l’orchestrina jazz dal vivo e una fauna fumosa indimenticabile. In mezzo alla quale, si può acchiappare, in un cameo fuggevolissimo stile nouvelle vague, Bianciardi stesso avvolto in una giacca di montone. Chiamato «bar delle Antille» nel suo romanzo, spunta a pagina ventidue la notte tardi quando «i quattro giocatori di tressette nemmeno litigavano più». Torna la pagina dopo, due volte, sempre con due caffè doppi. La prima «per fortuna non si fanno vedere i pittori capelloni» e la seconda «senza badare ai pittori capelluti». Con i capelli cortissimi, immortalato a metà anni Cinquanta in alcuni scatti di Ugo Mulas, la faccia un po’ da
È lo sport la religione del 21esimo secolo?
Le sfide della spiritualità nello sport: limiti, gioco e identità è il titolo della tesi di dottorato di Alessandra Maigre, teologa ginevrina di origini anche leventinesi.
Alcuni stralci e alcune suggestioni della sua ricerca, l’autrice le ha proposte negli spazi della Gottardo Arena a un folto pubblico che ha risposto all’invito del Museo di Leventina. Una maglia, una fede: la magia di un rito collettivo, è il titolo della conferenza. L’esempio attorno al quale la relatrice ha costruito il suo pensiero, è il rapporto tra l’Ambrì-Piotta, i suoi tifosi, i suoi luoghi, i suoi riti sacri e pagani. Perché lei stessa gioca a hockey su ghiaccio, ma anche perché le sue radici la riconducono ad affetti antichi e profondi.
Alessandra Maigre ha preso le mosse dall’interrogativo se lo sport sia o meno la religione del 21esimo secolo. Ci sono segnali che lascerebbero intu-
ire una risposta affermativa: gli sportivi che si fanno il segno della croce prima di scendere in campo o dopo aver segnato una rete. Altri che si inginocchiano per pregare. Per non parlare della celeberrima «mano de Dios» ricevuta in dono, come illuminazione divina, da Diego Armando Maradona per «punire» gli Inglesi. La ritualità dello sport richiama le religioni. «Pensate ad esempio – ha sottolineato l’autrice dello studio – alle cerimonie inaugurali e finali dei grandi eventi totalizzanti come i Giochi Olimpici». Sono scandite da gesti e formule spesso affidate a officianti che si atteggiano a figure ieratiche. D’accordo con le analogie tra ritualità religiosa e ritualità sportiva, tuttavia, ha chiarito Alessandra Maigre, lo sport non può dare un senso globale alla vita. Una partita di hockey propone tutti gli ingredienti della sacralità: il quadro spazio-temporale (la
celebrazione della Messa all’interno di un luogo di culto), i giocatori (gli officianti), gli spettatori (i fedeli), i top player (idoli o santi), il ghiaccio, spazio sacro e inviolabile ai profani (il presbiterio). Ciò nonostante siamo pur sempre in presenza di un rito pagano in cui la fede può manifestarsi anche con la deflagrante violenza delle sue derive. Cent’anni or sono, la retorica dello sport avrebbe potuto essere messa in relazione a quella dei grandi e nefasti totalitarismi del Novecento. Oggi la musica è cambiata. Sociologia, psicologia di massa e scienza della comunicazione hanno capito quanto sia pagante legare il fenomeno sportivo alla sacralità e alla ritualità delle religioni. Lo hanno compreso anche gli addetti ai lavori. A questo proposito, Alessandra Maigre, ha ripercorso quanto fu fatto, detto e scritto, l’11 settembre del 2021, in occasione della partita inau-
bamboccione ciondolante in cui contrastano occhi intelligenti, qui era di casa, anche perché la casa-studio era dietro l’angolo, in via Fiori Chiari, Piero Manzoni (1933-1963). Morto giovane, l’artista della merda – Merda d’artista (1961) – ma non solo: magnifici i suoi acromi fatti di michette immerse nel caolino, sassolini, pallini di polistirolo espanso, fibra di vetro, batuffoli di ovatta, peluche. Mulas stesso bivaccava qui al bar Jamaica – ritratto ben quattordici volte nelle fotografie in biancoenero esposte alla mostra appena vista stamattina a Palazzo Reale – per ore. Con la pazienza dei merli, nascosto dietro il giornale, aspetto che succeda qualcosa che ravvivi il mio reportage. Ma è solo deserto, noia, nostalgia, malagrazia, urla di nuovo contro i poveri camerieri, un altro caffè così così ingollato per disperazione. Filologico, ricordo, una notte di vent’anni
fa o giù di lì, ai tempi di drammaturgia alla Paolo Grassi, un gemmologo al bancone: beveva solo rum. Un altra sera tardi al Jamaica incontrai un rummologo di Anversa. Benché a quei tempi ci fosse ancora, oltre alla cartina della Giamaica come macchia astratta tipo incisione che c’è ancora, il veliero nella bottiglia di rum, non è che qui – dove impera l’umore un po’ blasé senza però più estro né umanità malcelata – ti ammazzassi dalle risate neanche allora. Uno entra, si guarda intorno, sbuffa, mugugna qualcosa, esce. Resta, dove rifugiare lo sguardo, la mappatura geografica di piastrelle bianche un po’ irregolari che richiama gli Achromes pieromanzoniani o quelle della latteria Pirovini scomparsa qui vicino. «È la Milano che dispare: e quale la lasceremo non era, e qual’era neppur più la ricordo», Carlo Emilio Gadda, L’Adalgisa (1943).
gurale del nuovo «tempio» leventinese, la Gottardo Arena. La sfida fu preceduta da un rituale ad altissimo contenuto simbolico ed emotivo: l’addio alla vecchia Valascia. Una fitta folla intergenerazionale e interclassista si era riunita davanti al vecchio «tempio» per dedicargli l’ultimo abbraccio. Dall’elaborazione del lutto, alla gioia per un futuro radioso. Ovvero, i tre giorni che separano la crocefissione di Gesù dalla sua resurrezione, riassunti in poco più di un’ora, con processione, canti e discorsi che aiutassero il popolo dei fedeli a riconoscere il valore identitario del nuovo stadio. Il discorso pronunciato dal presidente Filippo Lombardi, ampiamente citato dalla relatrice, è un esempio chiarissimo. Più che ovvio e atteso il riferimento all’11 settembre di vent’anni prima: «Dove l’odio divide e uccide, lo sport unisce e crea. […] Oggi vince chi vuole costruire, e non
vince solo un presidente o una società sportiva. Vince una valle, vince una regione, vince un popolo intero che crede nei suoi valori, nella sua identità e nella sua unità. […] Era impossibile, quindi lo abbiamo fatto. È il motto che abbiamo scelto per questa sfida quasi sovrumana. Teniamocelo ben stretto, questo motto, perché rappresenta lo spirito più autentico dell’Ambrì». «Questi rituali pagani – ha concluso Alessandra Maigre – sono indispensabili alle istituzioni. Legittimano e mettono in scena il corpo sociale. Sono una struttura, una regola di vita, un orizzonte, un orientamento». Si tratta tuttavia di non perdere di vista l’ambito in cui ci si sta muovendo: una partita di hockey o di calcio. In una sola parola, lo sport. Quindi, se il fervore trascende nel furore, significa che siamo messi male. Il confine è labile. Sta a noi capirne i contorni, compito non sempre agevole.
di Claudio Visentin
di Oliver Scharpf
di Giancarlo Dionisio
Hit della settimana
Validi gio. – dom.
Settimana Migros
Tutto l'assortimento Citterio Italia, per es. salame Milano, 70 g, 2.59 invece di 3.70, in self-service, (100 g = 3.70) 30%
7.80
invece di 11.20
Filetti di trota salmonata con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Danimarca, 380 g, in self-service, (100 g = 2.05) 30%
Detersivi Ariel in confezioni speciali, per es. Color+, 4 litri, 25.90 invece di 51.80, (1 l = 6.48) 50%
Il 14 febbraio è San Valentino
17.47
1.–
Arance sanguigne Italia, rete da 800 g, (100 g = 0.13)
invece di 24.95
Bouquet di San Valentino il mazzo 30%
Tutti i mitici Ice Tea in brik al limone, light al limone e alla pesca, 10 x 1 litro, per es. al limone, 4.98 invece di 8.30, (100 ml = 0.05)
Pere Svizzera, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.20) 1.–
Migros
Ticino
Prezzo
basso
Già 500 amatissimi prodotti a prezzo basso permanente
2.75 Philadelphia alle erbe
200 g, (100 g = 1.38)
4.70 Burro da cucina Migros Bio
220 g, (100 g = 2.14)
–.60 Quark alla fragola M-Classic
125 g, (100 g = 0.48)
1.80
Carne macinata mista IP-SUISSE per 100 g, in self-service
1.60 Mezza panna acidula Valflora
200 g, (100 ml = 0.80)
3.60 Le Gruyère grattugiato maxi, AOP
250 g, (100 g = 1.44)
4.95
Filetti di salmone selvatico M-Classic, MSC pesca, Pacifico nordorientale, per 100 g, in self-service
1.95
Latte drink UHT Migros Bio 1 litro
–.50
Yogurt M-Classic al naturale denso, 200 g, (100 g = 0.25)
PREZZO BASSO
Offriamo già 500 prodotti a prezzo discount: da M-Budget alla qualità bio. I prezzi bassi si trovano su tutto l’assortimento e includono i prodotti preferiti dalla nostra clientela, rendendo gli acquisti sensibilmente più convenienti per tutti. Ma non è tutto: stiamo già lavorando per offrire ulteriori prezzi bassi.
3.25 Formentino Anna's Best
2.20
2.80
2.85
3.30
Da croccante a succoso Frutta e verdura
–.85 invece di 1.–
Cetrioli Migros Bio Spagna, il pezzo 15%
Poker di cavoletti Italia, 700 g, confezionati, (100 g = 0.56) 20%
3.95 invece di 4.95
a partire da 2 pezzi 25%
Vitamine dal congelatore
Tutto l'assortimento di verdura Migros Bio, surgelata (articoli Alnatura esclusi), per es. verdura mista svizzera, 500 g, 3.60 invece di 4.80, (100 g = 0.72)
3.95
Formentino Migros Bio 100 g Hit
Migros Ticino
Facili da sbucciare, succose e molto dolci
Prodotti freschi e pronti
conf. da 3 33%
Pasta refrigerata Migros Bio
3.85
Finocchi Migros Bio Italia/Spagna, al kg 22%
invece di 4.95
fiori ricotta e spinaci o agnolotti all'arrabbiata, per es. fiori, 3 x 250 g, 9.90 invece di 14.85, (100 g = 1.32)
5.50 invece di 7.90
Clementine extra Orri Spagna, rete da 2 kg, (1 kg = 2.75) 30%
2.50
invece di 3.20
Pomodori Perla Spagna, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.50) 21%
conf. da 2 20%
Fettine alle verdure e patate o nuggets, Migros Bio per es. fettine, 2 x 180 g, 6.30 invece di 7.90, (100 g = 1.75)
3.95 invece di 6.20
Extra Mirtilli Marocco, 250 g, confezionati, (100 g = 1.58) 36%
Zucca a cubetti Italia/Portogallo, al kg 28%
5.40 invece di 7.50
conf. da 3 25%
Pizze dal forno a legna Anna's Best, refrigerate mini prosciutto o prosciutto & mascarpone, in confezioni multiple, per es. mini prosciutto, 3 x 210 g, 8.85 invece di 11.85, (100 g = 1.40)
Offerte valide dall’11.2 al 17.2.2025, fino a esaurimento dello stock.
Migros Ticino
Il nostro pane della settimana: la corona si distingue per la sua mollica soffice e una nota intensa tipica della cottura in soluzione alcalina
Tutte le paste in blocco, già spianate e non spianate, Migros Bio per es. pasta per crostate, 270 g, 1.84 invece di 2.30, (100 g = 0.68)
CUMULUS
4.40
Berliner con ripieno ai lamponi in conf. speciale, 6 pezzi, 420 g, (100 g = 1.05) 30%
invece di 6.30
5.96
Ø 16 cm, 500 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.19) 25%
invece di 7.95
20x
Torta Foresta Nera
Pasta lievitata di frumento con semi di sesamo
1.20 Simit
Limited Edition, 115 g, in vendita sfusa, disponibile nelle maggiori filiali, (100 g = 1.04)
5.75
Prussiani di spelta Migros Bio 300 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.92) 20%
invece di 7.20
1.60
Limited Edition, 85 g, in vendita sfusa, disponibile nelle maggiori filiali, (100 g = 1.88) 20x
Plunder agli speculoos
1.40
Raspberry Queen
Limited Edition, 75 g, in vendita sfusa, disponibile nelle maggiori filiali, (100 g = 1.87)
CUMULUS
Formaggi, latticini e uova
Tutto il gusto della cremosità
Grana Padano e Parmigiano Reggiano, Migros Bio trancio o grattugiato, per es. Parmigiano Reggiano, trancio, per 100 g, 2.52 invece di 3.15, prodotto confezionato 20%
16.80
Naturalmente senza lattosio
2.40 invece di 3.–
Canaria Caseificio per 100 g, prodotto confezionato 20%
Formaggella Blenio «Ra Crénga dra Vâll da Brégn» per 100 g 21%
2.–
invece di 2.55
Migros Ticino
1.62
invece di 1.90
Vacherin Fribourgeois dolce AOP circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 15%
2.25
700/800 g, per 100 g, prodotto confezionato 15%
Parmigiano Reggiano DOP
Raclette al naturale Raccard, IP-SUISSE in blocco maxi o a fette in conf. da 2, per es. in blocco, per 100 g, 1.80 invece di 2.25, prodotto confezionato 20%
5.15
invece di 2.65
Palline di mozzarella Migros Bio 3 x 150 g, (100 g = 1.14)
invece di 6.90
Caprice des Dieux in conf. speciale, 330 g, (100 g = 1.58) 20%
5.20 invece di 6.55
Tutti i Caprice des Dieux e i Caprice des Anges (formato maxi escluso), per es. Caprice des Dieux, 300 g, 4.76 invece di 5.95, (100 g = 1.59)
Migros Ticino
7.90
4.50
Migros Ticino
Pesce e frutti di mare
Per chi ama il pesce
3.60
invece di 4.50
Filetti di pesce persico con pelle M-Classic d'allevamento, Svizzera, per 100 g, in self-service 20%
7.95
Cozze fresche M-Classic, MSC pesca, Atlantico nordorientale, 2 kg, in self-service, (1 kg = 3.98) 50%
invece di 15.90
Tutti i prodotti a base di salmone affumicato Migros Bio per es. al naturale, d'allevamento, Norvegia/Irlanda, 6.36 invece di 7.95, in self-service
13.95
invece di 23.25
Gamberetti tail-on cotti Pelican, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 750 g, (100 g = 1.86)
Per una «fiesta»
a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento Fiesta del Sol per es. tortillas di frumento, 8 pezzi, 320 g, 3.04 invece di 3.80, (100 g = 0.95)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutti i tipi di crème fraîche (prodotti Beleaf esclusi), per es. Valflora al naturale, 200 g, 2.28 invece di 2.85, (100 g = 1.14)
2.72 invece di 3.40
Tortilla Chips al naturale e al chili, Migros Bio per es. al naturale, 150 g, (100 g = 1.81) 20%
a partire da 2 pezzi 25%
Avocado Migros Bio Spagna/Perù, il pezzo, 1.31 invece di 1.75
Migros Ticino
A lunga conservazione, sempre una delizia
Pipe, fusilli, penne o spaghetti, M-Classic in confezioni speciali, per es. pipe, 750 g, 1.75 invece di 2.63, (100 g = 0.23) 33%
Adatti per piatti unici, insalate o contorni
4.95 invece di 6.20
Salsa di pomodoro Migros Bio 2 x 400 g, (100 g = 0.62)
Couscous, quinoa, lenticchie e ceci, Migros Bio per es. couscous, 500 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 0.56) 20%
Tutti i tipi di olio e aceto, Migros Bio (articoli Alnatura esclusi), per es. olio d'oliva greco, 500 ml, 9.56 invece di 11.95, (100 ml = 1.91) 20%
Pommes Duchesse o Pommes Rissolées, Delicious, M-Classic prodotto surgelato, 2 x 600 g, per es. Pommes Duchesse, 6.90 invece di 9.90, (100 g = 0.58) 30%
Tutte le zuppe Bon Chef per es. vellutata ai funghi porcini, in bustina da 75 g, 1.36 invece di 1.70, (100 g = 1.81) a partire da 2 pezzi 20%
a partire da 2 pezzi –.50 di riduzione
Tutte le noci e tutta la frutta secca, Migros Bio (prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. noci di anacardi, Fairtrade, 150 g, 3.20 invece di 3.70, (100 g = 2.13)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutti gli infusi bio (articoli Alnatura esclusi), per es. infuso di menta Migros Bio, 20 bustine, 1.– invece di 1.25, (10 g = 0.36)
Chips Zweifel
Wave Inferno, al naturale, alla paprica oppure Poulet im Chörbli, in conf. XXL Big Pack, per es. Wave Inferno, 250 g, 4.75 invece di 6.15, (100 g = 1.90) 22%
a partire da 2 pezzi 41%
Chicco d'Oro in chicchi 1 kg, 10.59 invece di 17.95, (100 g = 1.06)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le confetture Fruits Suisses e Satin, Belle Journée per es. Fruits Suisses ai frutti di bosco, IP-SUISSE, 350 g, 3.88 invece di 4.85, (100 g = 1.11)
conf. da 6 40%
Pepsi
Regular, Zero, Cherry Zero e decaffeinata, 6 x 1,5 litri, 6 x 500 ml o 6 x 330 ml, per es. Regular, 6 x 1,5 litri, 7.50 invece di 12.50, (100 ml = 0.08)
Original, Zero o Rouge, 6 x 1,5 l, 6 x 500 ml e 6 x 250 ml, per es. Original, 6 x 1,5 litri, 8.28 invece di 13.80, (100 ml = 0.09)
Succhi di frutta Sun Queen, Fairtrade arancia o multivitaminico, 6 x 1 litro, (100 ml = 0.17) conf. da 6
di 16.50
Conquistare cuori è facile
Disponibili solo per poco: i praliné in edizione grande amore
Lindt Lindor disponibili in diverse varietà, 200 g e 500 g, per es. al latte, 200 g, 9.56 invece di 11.95, (100 g = 4.78)
Pralinés du Confiseur Frey Édition d'amour, 452 g, (100 g = 2.20) 50%
9.95 invece di 19.95
3.50 Tavoletta cuore Frey al latte, 93 g, (100 g = 3.76)
Tutti i praliné Ferrero per es. Rocher, 200 g, 5.06 invece di 5.95, (100 g = 2.53) 15%
5.60
20% 11.92 invece di 14.90
a cuore 6 pezzi, 90 g, prodotto confezionato, (100 g = 6.22)
Macarons
Palline
a partire da 2 pezzi
Praliné Schutzengeli
La pagina che ti catapulta direttamente al settimo cielo
Branches Frey milk, dark o white, in conf. speciale, per es. milk, 30 x 27 g, 9.90 invece di 15.30, (100 g = 1.22) 35%
32%
5.95 invece di 8.85
Biscotti Oreo Original, Double Cream o Golden, per es. Original, 3 x 154 g, (100 g = 1.29)
M&M's in confezione party
Peanut o Chocolate, in conf. speciale, 1 kg, per es. Peanut, 10.95 invece di 12.91 15%
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le tavolette di cioccolato Lindt per es. al latte finissimo, 100 g, 2.36 invece di 2.95
20%
Biscotti M-Classic biscotti Japonais, biscotti all'albicocca o Rocher al cioccolato al latte, per es. biscotti Japonais, 3 x 115 g, 4.65 invece di 5.85, (100 g = 1.35)
6.55 invece di 7.93
Maltesers in conf. speciale, 400 g, (100 g = 1.64) 17%
conf. da 3
conf. da 3
Per tutta la famiglia
40%
Tutto l'assortimento di biancheria da uomo da giorno e da notte (articoli Hit esclusi), per es. pantaloncino Essentials medium, in cotone biologico, grigio, il pezzo, 7.77 invece di 12.95
a partire da 2 pezzi 20%
Latte di proseguimento e Junior, Aptamil (latte Pre, latte di tipo 1 e Confort esclusi), per es. Junior 12+, 800 g, 19.96 invece di 24.95, (100 g = 2.50)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutte le pappe Hipp bio, per es. biscotti per bebè mela-banana, 190 g, 1.68 invece di 2.10, (100 g = 0.88)
a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento di prodotti per la cura dei bebè e di detergenti, Milette (confezioni multiple escluse), per es. shampoo, 300 ml, 2.36 invece di 2.95, (100 ml = 0.79)
a partire da 2 pezzi
30%
Tutto l'assortimento di stoviglie e bavaglini, Milette per es. piatto per bebè Safari, il pezzo, 2.94 invece di 4.20
Tollerano anche le gelate leggere
20%
7.95 invece di 9.95
Cassetta legno Spring disponibile in diverse varietà, il pezzo
Un po’ di lusso per il corpo
Prodotti per la doccia I am o I am Men in confezioni multiple, per es. doccia crema Milk & Honey I am, 3 x 250 ml, 4.– invece di 5.40, (100 ml = 0.53)
Shampoo o balsami, Ultra Doux per es. shampoo al miele, 2 x 300 ml, 7.40 invece di 9.90, (100 ml = 1.23)
Particolarmente delicata sulla pelle
Fructis
di 14.25
danni, Forti & brillanti o Vitamine & forza, per es. Addio danni, 3 x 300 ml, (100 ml = 1.11)
Tanta pulizia in buona compagnia
le mantienemacchie, i colori
18.–
19.–
Carta igienica o salviettine umide, Soft in confezioni multiple o speciali, per es. Comfort Recycling, 30 rotoli, 14.35 invece di 20.50
Tutte le caraffe isolanti, le caffettiere e le teiere, Bialetti e Kitchen & Co. (articoli Hit, bicchieri isotermici, thermos e portavivande esclusi), per es. caffettiera Bialetti color argento, per 6 tazze, il pezzo, 20.97 invece di 29.95
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Tutto l'assortimento Maybelline per es. mascara Sensational Sky High, il pezzo, 9.98 invece di 19.95, offerta valida dal 13.2 al 16.2.2025
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Tutti i cornetti precotti per es. cornetti al burro M-Classic, IP-SUISSE, 5 pezzi, 200 g, 2.31 invece di 3.30, (100 g = 1.16), offerta valida dal 13.2 al 16.2.2025
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Filetto di manzo al pezzo M-Classic Australia, per 100 g, in self-service, offerta valida dal 13.2 al 16.2.2025